Scarica demo - Casa Editrice Marcelli

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Scarica demo - Casa Editrice Marcelli
Franca Marino
AFRICA
Personaggi e storia sono di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o fatti accaduti è veramente e puramente casuale!
La ragazza varca la vetrata, dell’ufficio amministrazione, e si ritrova nella vasta stanza,
dove sono tre scrivanie. Raggiunge la sua, salutata dalla collega-amica Irene.
- Ciao, Paola…
- Ciao. Mi chiamo Africa. Quante volte devo dirtelo?
- Ma perché insisti con quel nome assurdo?
- Perché è il mio. Vuoi mettere un anonimo Paola contro un originale Africa? - replica, ironica, sedendo.
- I tuoi genitori dovevano avere una rotella fuori posto - dice Irene, con tono cordialmente
divertito.
- E la capa dov’è?
- L’ho vista andare dal capo; sarà qui a momenti, non illuderti.
- E che m’importa? Io faccio il mio dovere e tanti saluti.
Paola, anzi, Africa, come le piace farsi chiamare, accende il computer. Dopo aver messo
per prima le cartelle contenenti lettere e di seguito i lavori più lunghi, s'immerge nel lavoro. A fermare le sue dita veloci è Sofia che entra dicendo.
- Ragazze, il direttore mi ha comunicato che, probabilmente nella settimana entrante, verrà
a farci visita il signor Visenti.
- E chi è? - domanda Irene.
- Il nuovo proprietario. Sapete che abbiamo cambiato titolare, no?
- Sì, certo - conferma Africa - Lo conosci?
- Di lui si legge spesso sui rotocalchi. Mi sorprende che può fare una vita da nababbo e, invece, alterna il divertimento con un serio impegno negli affari. Noi siamo un piccolo neo
nel vasto impero finanziario ereditato dal padre e dal nonno.
- Perché ha fatto l'acquisto, allora? - si sorprende Irene.
- Giochi di potere; o di carte, se vuoi. La nostra ditta era compresa in un pacchetto di titoli
- spiega Sofia - Beh, rimettiamoci al lavoro. e, tenete presente che tutto deve essere nel miglior ordine possibile. Quindi, se avete qualcosa in sospeso, sistematela.
Alla pausa pranzo, Irene e Africa siedono allo stesso tavolo della mensa.
- Chissà che tipo è? - dice Irene.
- Chi? - domanda, distratta, Africa, sollevando lo sguardo. Si specchia negli occhi vividi e
nerissimi dell’amica, che dice enfatica.
- Il signor Visenti.
- Un tipo che guarda tutti dall’alto del suo piedistallo.
- Come puoi dirlo? - protesta, divertita, Irene, scuotendo la chioma corvina.
- Perché l’immagino così. Chi è a capo di un impero finanziario, deve per forza essere grigio, legnoso e con la sferza negli occhi. Ti classifica con uno sguardo; poi prende le cesoie e
sfronda i rami che non servono più.
- Pensi che questa visita serva a licenziare qualcuno?
- Può essere, perché no? Ha comprato delle carte e viene a vedere a cosa corrispondono.
- Non ti sapevo così catastrofica!
- Non lo sono; suppongo che chi ragiona con le cifre, non si lascia influenzare dal cuore.
- La nostra azienda ha sempre chiuso in attivo.
- Ma il nuovo proprietario potrebbe voler raddoppiare gli utili e, logicamente, diminuire i
costi. Potrebbe decidere, per esempio, che due ragazze in amministrazione sono troppe,
dato che Sofia se la cava egregiamente anche da sola.
- No, non voglio nemmeno pensarci! Oggi sei più nera dell’uccello del “malaugurio”.
- Non volevo esserlo. Ma, pensando a questo Visenti…
- L’Africa torna a dominare - ironizza Irene, riferendosi allo spiccato senso intuitivo dell’amica.
- C’è poco da ironizzare. Finora mi sono sbagliata?
- Purtroppo, no. Ma questa volta spero proprio di sì. Io non voglio perdere il posto.
- Non lo perderai, sta’ tranquilla.
- Devo fidarmi del tuo intuito?
- Almeno provaci.
A sera, Africa si ritrova nella stanzetta a pensione, dopo aver consumato la frugale cena,
nella solita trattoria. Si prepara per la notte e si corica. Purtroppo stanchezza non sempre
equivale a sonno immediato. Ad occhi sgranati, guarda il soffitto, ripensando a quando
detto ad Irene. Che pensieri assurdi! Ciò nonostante, li sente veri. Il suo inspiegabile istinto! In questo, secondo lei, l’Africa non c’entra affatto; sebbene deve il nome proprio all’essere nata lì.
Ha visto la luce in un paese sperduto in mezzo ad un’intricata e lussureggiante giungla,
poco più a sud dell’equatore. I suoi genitori, paramedici missionari laici, si sono conosciuti
proprio in quell’angolo di mondo, distante dalla città più vicina centinaia di chilometri. Il
paese, se non ricorda male, si chiama bokungu e la città più vicina è Mbandaka, o, altrimenti detta, Coquillatville, lo stato è lo Zaire. Per sua fortuna, non ci visse molto, perché i
genitori la spedirono in Italia, appena compiuti i cinque anni. Di quel periodo ricorda
poco. La sensazione più forte è sempre stata l’essere diversa. I bambini suoi coetanei, e anche di poco più grandi, glielo facevano pesare; lei, timida, se ne stava per lo più rinchiusa
nel caseggiato, che ospitava tutta la “squadra bianca”, a domandarsi il perché di quella
vaga avversione, dato che i suoi genitori erano sempre pronti e disponibili ad aiutarli. Probabilmente era a causa della sua luminosa bellezza. Di carnagione bianca, una fluente cascata di capelli biondo-miele ad incorniciare un viso ovale, sul quale fanno spicco una bocca rosso-vermiglio, un nasino, con la punta maliziosamente all’insù, e due occhi blu pervinca. Certamente doveva essere un vero “pugno nell’occhio” per quella marmaglia color
ebano, con occhi e capelli nerissimi. A volte, riusciva anche a giocare con loro, ma mai a
parlare. Quei pochi anni hanno segnato profondamente la sua formazione mentale e morale. Per incominciare, è dotata di una grande forza di volontà e di adattabilità. Non ha fisime alimentari e non è ossessionata da un esagerato senso dell’igiene. In un posto dove
l’acqua è un bene d’inestimabile valore, è tassativamente vietato lo spreco, perciò lei, ancora oggi, tratta l’acqua, e, in genere, i beni della natura, con un che di rispettoso, quasi sacrale. Per concludere, è fatalista e, come dice Irene, terribilmente istintiva. Adesso, all’età
di ventun anni, vive in un sobborgo della metropoli di Milano, a pochi “passi” dalla fabbrica, dove lavora come dattilografa, non ha amiche, se si esclude Irene, che, comunque,
vede raramente fuori dalla “gabbia”. Alle volte si sente così sola che è colta dal folle desiderio di raggiungere i suoi ancora in Africa. Ma, la sua indole non è fare la missionaria. I
suoi desideri sono molto più egoistici e, perché no?, alquanto venali. Aspira alla bella vita
di cui sente tanto parlare. Forse, è meglio dire che sono sogni favolosi, cui si abbandona
per non farsi sopraffare dal grigiore che la circonda.
Che il signor Visenti sia già arrivato, Africa lo deduce dall’aria elettrica che respira, appena mette piede in ufficio. Irene occupa già la scrivania, e ricambia il saluto, senza nemmeno sollevare la testa. Inutile, ma spontanea, la domanda.
- È arrivato?
- Sì - è la laconica risposta.
- È un tipo che ama le sorprese - ironizza, per niente turbata.
Irene non replica. Con una lieve scrollata di spalle, s’accinge al lavoro. Sofia entra in quel
mentre, solo per prendere le carte richieste. Sparisce subito, per ricomparire più tardi.
sbuffando per la tensione, cerca altre carte, chiedendo aiuto alle due, poi esce di nuovo.
Manca poco a mezzogiorno quando torna e siede.
- A posto - esorta, rigida - Stanno arrivando.
Un fremito inconscio percorre la schiena di Africa. La sua spavalda sicurezza vacilla un
po’; le mani ne risentono perché corrono troppo in fretta sui tasti, causando non pochi errori... La vetrata si apre ed entra il dottor Marconi, seguito da tre uomini.
- Signore, buon giorno - le tre sollevano la testa, ricambiando il saluto - Signori, la signora
Sofia la conoscete già. La dattilografa, signorina Arcieri e la ragioniera, signorina Costa.
Tre sguardi freddi le percorrono, prima che all’unisono i signori pronuncino un laconico
“buon giorno”. Quando i passi si perdono in lontananza, un fischio d’ammirazione sfugge
ad Africa.
- È il più bel esemplare di maschio che mi sia capitato di vedere; chi è?
- Ma che modi! - esclama Sofia, rigida - Modera il linguaggio; stai parlando di Visenti in
persona.
- Cosa? - sussulta, incredula, Irene - Quel bel pezzo di fico è Visenti?
- Proprio lui.
- Ha cominciato in fasce - ironizza Africa - avrà una trentina d’anni.
- Ventinove, per l’esattezza - puntualizza Sofia.
- Bene! l’età giusta. Quasi, quasi gli faccio la corte - conclude, sarcastica, Africa.
Alla pausa pranzo, Irene parla a ruota libera. Sapere il nuovo proprietario così giovane la
mette di buon umore.
- Hai visto? Ti sei sbagliata - dice enfatica.
- Solo perché ha trent’anni? - rimanda, seria - Non illuderti. I giovani hanno una calcolatrice al posto del cuore.
- Con quegli occhi? - replica, sognante, Irene - Non ho mai visto un verde così intenso.
- È come quello dei gatti -la frena Africa -Ma non posso darti torto. È proprio un tipo da
sogno. Peccato che non lo vedremo più. Piuttosto, cosa farai domenica?
- Forse partecipo ad un ballo in maschera. Gianpaolo mi ha invitata…
- Hai già il costume?
- No, non ancora. Vuoi venire con noi?
- Non lo so. Ti farò sapere.
- E domani?
- Vado in centro per spese. Ti va di farmi compagnia?
- Volentieri.
L’indomani sono sulla corriera diretta in centro. Irene racconta, sbuffando, quanto le è co-
stato convincere la madre; e conclude.
- Beata te che non hai questo problema.
- Non lo dire - rimanda Africa, seria - Alle volte t’invidio. Almeno quando torni c’è qualcuno che t’aspetta, che, forse con mala grazia, ti mette davanti un piatto di minestra. Ma ti va
bene anche così, perché sai che l’ha preparato pensando al tuo ritorno.
- Ti mancano i tuoi?
- Mi manca “qualcuno”. I miei sono, ormai, dei perfetti sconosciuti. Quasi non ricordo
nemmeno le loro facce. Io sono figlia dell’amore, ma il sentimento per me era ben poca
cosa, rispetto a quello smisurato per quei derelitti che hanno bisogno di tutto.
- Gliene vuoi per questo?
- No, assolutamente. Sono vissuta in un piccolo centro missionario e, sebbene ci sia stata
pochissimo, mi ricordo delle enormi carenze di quelle persone.
- Faceva caldo?
- Si superavano i quaranta gradi. Ma la cosa più fastidiosa era l’umidità. Eri bagnata da
mattina a sera, anche se te ne stavi immobile. In compenso, avevo un’abbronzatura da far
invidia ad un mulatto.
- Non riesco a vederti. Sei così chiara.
- È perché da quando sono rientrata, ho evitato il sole con tutte le mie forze. Sopportavo
appena le vacanze che zia Vincenza trascorreva sistematicamente al mare. Per sfuggire al
caldo stavo in ammollo per ore.
- Perché non sei rimasta con lei?
- Con zia Vincenza? Non potevo più. Ha accettato di ospitarmi in cambio di un consistente
contributo. Mi sono sempre domandata dove mai prendessero i soldi i miei, visto la vita di
fame che si fa in quei posti, ma non ho mai avuto il coraggio di chiederglielo. Gli zii mi
hanno mantenuto fino alle medie ma non avevano alcuna intenzione di farmi proseguire.
E poi, zio Aldo incominciava a fare l’insofferente. Diceva che una ragazza è una responsabilità troppo grande. Temeva, forse, che con i miei cugini potessi combinare qualche guaio
irreparabile. Così dissi ai miei che volevo frequentare solo una scuola professionale, in
modo da finire presto e trovare lavoro. Dissi anche che avrei lasciato la casa degli zii. Per
fortuna non fecero obiezioni. Così mi trasferii a Milano.
- Ma eri una bambina!
- Effettivamente. Ma i miei riuscirono a sistemarmi in una buona pensione. Adesso mi scrivono quando possono; mi telefonano anche… Ma sono puntuali nel mandarmi qualcosa
per aiutarmi a vivere.
- Ecco che si spiega, allora!
- Cosa?
- Il fatto che non ti lamenti mai dei soldi. Io devo lasciare lo stipendio quasi per intero a
casa.
- Ed io devo pagare vitto e alloggio, l’hai dimenticato?
- Con un simile contributo, che sarà mai?
- Non ho più usato quei soldi da quando lavoro. Li ho messi da parte per quando, eventualmente, mi sposo.
- Ma ce l’hai un ragazzo?
- No. Quelli del quartiere sono poco interessanti; e poi li vedo anche pochissimo. Con l’o-
rario balordo che facciamo!
- Hai ragione. dovremmo sfruttare meglio i momenti liberi.
- Come oggi, per esempio - conclude allegra Africa.
Dopo un sabato all'insegna della spensieratezza, la domenica la passa occupandosi dell'igiene personale, del vestiario e del riordino della camera. Dopo pranzo decide di fare una
passeggiata, portandosi dietro il lettore Cd per ascoltare la nuova lezione di francese. Che
non sia proprio il miglior sistema per imparare la lingua, l’ha capito anche lei, ma, non potendo avere un francese a portata di mano… Una voce d’uomo le “dice” nelle orecchie: “Je
suis heureux”. “Io no” risponde inconsciamente. I pensieri si susseguono e la lezione diventa un mormorio vago. “La vita d’impiegata è piatta. arrivi, tutti i giorni, puntuale in ufficio, siedi alla scrivania e ti consumi le unghie sui tasti. Forse se facessi il lavoro di Sofia…
ma lei dice che vorrebbe trovarsi al nostro posto. Come dire che nessuno è contento della
propria condizione. Dovrei decidermi a raggiungere i miei; forse la loro vita difficile e sofferta, è molto più appagante”. Un brivido le percorre la schiena. No, non fa per lei. Quei
posti le ispirano solo emozioni negative: caldo terribile, umidità, animali di ogni genere, e
per lo più pericolosi, e insetti, tanti insetti! Spuntavano da ogni dove; lei imparò a non urlare, appena ne scorgeva uno, ma i brividi di ribrezzo li prova tuttora. E, se vogliamo completare il quadro, c’è da aggiungere gli sguardi dall’indecifrabile espressione dei suoi coetanei. Quegli occhietti tondi e nerissimi, che la scrutavano non riesce proprio a dimenticarli. Alle volte popolano i suoi incubi. Quando qualcuno parla con entusiasmo dell’Africa e
di quanto è bello andare a visitarla, non sa decidere se consigliare o sconsigliare quegli
ignari. Ad onor del vero, i suoi ricordi risalgono a parecchi anni fa. Forse se ci andasse
adesso, avrebbe altre reazioni. Ma è certo che non vuole assolutamente provarci, almeno
per il momento. Fra qualche anno, magari… deve pur rivedere i suoi genitori. Che strano
rapporto con i suoi. Non li vede da ben sedici anni; ciò nonostante non sente necessità
d’incontrarli.
L’alba di lunedì spunta fin troppo presto. Riluttante e sbuffante, si mette in piedi. Rabbrividendo per il freddo, infila vestaglia e pantofole, e raggiunge il servizio in fondo al corridoio. Alle otto e mezzo, puntuale, prende posto dietro la scrivania. Sofia le mette sotto gli
occhi un lungo elenco.
- Cos’è? - chiede a mo’ di saluto. “Come al solito” sospira, avviando il computer “C’è sempre qualcosa di urgente”. Man mano che va avanti, strabilia. I nomi che legge, appartengono alla crème della società milanese. A cosa serviranno? Il trillo dell'interfono la richiama al
presente.
- Arcieri? Venga qui, un attimo - è la voce di Marconi.
- Sì, subito - quando entra nell’ufficio, sussulta. Seduto alla scrivania c’è Visenti - Buon
giorno - saluta con un filo di voce.
- Venga avanti - esorta Marconi - La signora Sofia le ha passato un elenco?
- È già in macchina.
- Bene - approva la voce profonda di Visenti. Un rimescolio le scuote le viscere, quando si
perde nello smagliante verde, che ha fatto sognare Irene - Può stampare il tutto su queste
buste?
Quando rientra in stanza, la sua agitazione è notata subito.
- Che t’è successo? Cosa voleva Marconi? - chiede Irene.
- Indovina chi ho visto? Visenti in persona.
- Ma va, mi prendi in giro.
- È comodamente seduto nell’ufficio di Marconi. Sono rimasta di sale.
- Come mai è qui?
- Per metterci alla prova - rimanda, seria. L’euforia e la trepidazione si dissolvono. Al loro
posto un’ansia nuova. Che sia vero ciò che teme? Che sia davvero venuto per valutare le
loro capacità? E, alla fine, che importa? Nella peggiore delle ipotesi andrà a vivere in Africa. Tira fuori dalla scatola un mazzo di buste e l’infila nella stampante.
- Hai finito? - l’apostrofa Sofia, poco dopo.
- Quasi - replica pronta.
- Sbrigati, le sta aspettando.
- A cosa gli servono? - s’incuriosisce Irene.
- Non me l’hanno detto.
- Forse lo so io - dice Africa, mostrando un cartoncino bianco, bordato con un righino d’oro e con una maschera nera nell’angolo in basso a destra.
- Che cosa chic - mormora Irene - Cosa vuol farne?
- Vuoi scommettere che sta organizzando un ballo in maschera? - risponde Africa, mentre
con gesto repentino fa scivolare il cartoncino nel cassetto. Poi sistema le buste nella scatola
e la tende a Sofia.
Quando si ritrova nel chiuso della sua camera, lo trae dalla borsa e lo guarda a lungo. Cosa
ci scriverà sopra il bel Visenti? Userà la stampa o la penna? Sarà una frase uguale per tutti
o personalizzata? E come usa firmare? Bravata inutile, tanto più che non sa nemmeno a
cosa servirà veramente. Il fatto che ci sia una maschera, non vorrà necessariamente dire
che stia organizzando un ballo. Anche fosse, dove si terrà? Quando? E, supponendo di essere a conoscenza di tutte queste notizie, dove potrebbe procurarsi un costume? Quanti sogni fantastici! Africa vi si abbandona con tutta se stessa, fino a cadere nel sonno. Le fantasie nutrite durante il giorno si animano nei sogni. Eccola in un salone vastissimo, illuminato a giorno da cento candelabri d’argento; alle pareti, decine di consolle sormontate da
specchi grandissimi; e dappertutto cesti di fiori variopinti e profumatissimi. E poi, vestiti
d’ogni epoca e foggia, volti nascosti dietro maschere nere o luccicanti di strass e musica. I
valzer più celebri spandono le loro note tutt’intorno e lei, col viso debitamente celato dalla
maschera, racchiusa in un vaporoso vestito, volteggia nella sala, come una graziosa farfalla, che qualcuno trattiene nelle sue mani, guidando i suoi passi, talmente leggeri, che sfiorano il pavimento. “Se, almeno qualche volta, i sogni fossero realtà!” pensa l’indomani,
quando il grigiore della sua vita si ripresenta puntuale con la camera anonima e spoglia, lo
scenario freddo fuori dalla finestra, e la prospettiva di un’ennesima giornata in ufficio.
“Era molto più luminoso quel salone pieno di luci tremolanti e lunghe ombre, che questo
mattino livido di febbraio”.
Alla fermata del tram, incontra una conoscente.
- Ciao Cammela - saluta, usando con dolce ironia il suo idioma - A unni vai?
- Ciao - ricambia la ragazza - Al lavoro, come al solito.
-Va, che noia! e dove lavori?
- Dai Rostani.
- Rostani, hai detto?
-Sì; li conosci?
- Magari! So, comunque, una cosa che li riguarda.
- Cos’è?
- Non posso dirlo - gioca Africa, mentre un’idea favolosa le si forma in mente.
- Avanti! Non farti pregare.
- Ma non lo dirai a nessuno, d’accordo?
- Certo che no! Non voglio mica perdere il posto.
- Stanno per ricevere un invito, forse per un ballo in maschera.
- E tu come lo sai? Chi li invita?
- Ho scritto le buste. Il signor Visenti.
- Visenti?! lo scapolone d’oro? Dio, che meraviglia. Quella sciapita snob di “signorina
Beba” ci parteciperà di corsa.
- Vorrei chiederti un piccolo favore. Vorrei sapere cosa c’è scritto sull’invito.
- E come posso? Cosa te ne fai?
- Tu vedi di procurarmelo. Ciao, mi raccomando - conclude, prendendo al volo il tram.
Due giorni più tardi, Carmela le riferisce che l’invito è arrivato ma la signora l’ha chiuso a
chiave nel suo secretaire. “Adesso, che faccio?” pensa sconsolata, rigirando il cartoncino tra
le mani… Uno scritto microscopico lungo il bordo sinistro la fa drizzare in tutta la persona. “È il nome della tipografia! La più rinomata, naturalmente… ma non mi serve…”. Le
azioni non seguono affatto i pensieri e prende il telefono. Alla voce che risponde, dice con
grande faccia tosta.
- Buona sera, sono la segretaria del signor Visenti. Abbiamo commissionato dei cartoncini
d’invito…
- Signora, mi scusi… sono andati via tutti.
- Oh! Questo è un contrattempo che non piacerà al signor Visenti. Senta, sia gentile, mi
ascolti con attenzione, così evitiamo di sollevare un putiferio…
- Mi dica - accetta l’uomo, intuendo la velata minaccia.
- Le dicevo che un cartoncino è giunto con la stampigliatura opaca. Ho evitato di farlo presente al signor Visenti; sto appunto cercando di rimediare, capisce? Se lei è così gentile da
trovare il modo di stamparmelo, io manderei qualcuno a…
- Se è proprio necessario…
Poco dopo, in tipografia, l’uomo le consegna un nuovo cartoncino. Ringraziandolo sentitamente, si congeda. “È fatta!” esulta “È stato più facile di quanto pensassi. Adesso pensiamo al vestito”. Vagando a lungo, riesce, finalmente, a trovare un negozio ben fornito. “Che
costume indosserà il bel Visenti?” si domanda, mentre varca la soglia. Gli occhi si posano
su una lunga tunica bianca di raso, con scollatura quadrata, vita alta e senza maniche. Dalle spalle parte una specie di mantello azzurro che forma corpetto e maniche e scende morbido lungo i fianchi fino a terra. Un fremito le percorre la schiena.
- Scelgo questo - dice - A quale epoca s’ispira?
- Napoleonica, dicono - le risponde la commessa, mentre le mostra un’elaborata parrucca
tenuta insieme da perle e fermagli.
- No, troppo pomposa. Non ne avrebbe una lunga da acconciare?
Poco dopo, gasata al massimo, torna alla pensione. Quando è nel chiuso della sua camera,
prende in mano il biglietto: “Ho organizzato un party mascherato sabato, hotel Bridge, ore
22,30. Conto sulla Tua presenza. A.Visenti”. “Manca la firma” pensa sconsolata, mentre il
castello di carta frana miseramente.
L’indomani, sulla scrivania trova una busta dalla quale tira fuori una banconota da cento
euro e un biglietto dove è scritto semplicemente: “Grazie” e una “V” per firma.
- Ah, l’hai trovata - la distrae Sofia.
- Che significa? - chiede, imbambolata.
- È per il lavoro extra.
- È molto generoso - mormora, emozionata.
- O interessato.
- E si abbasserebbe a me?
- Quando si tratta di spassarsela non c’è ceto che tenga.
- Hai ragione - aggiunge Irene - Se parlate del nostro fascinoso “capo”, ne ho giusto letto
una su questa rivista.
- E chi se ne frega! Comunque sia, queste mi fanno proprio comodo - rimanda Africa, intascando la moneta. “E anche la firma” pensa felice.
La giornata di lavoro sembra lunghissima, ma il suo umore è alle stelle. Appena libera, va
a ritirare il vestito e si fa acconciare la parrucca. Nel chiuso della stanza, prova il tutto per
essere certa di non farsi riconoscere. Per ultimo, ricopia la firma sull’invito.
Finalmente, arriva la sera di sabato. Dopo una doccia profumata, si veste, badando di non
sciupare i tessuti e poi si trucca in modo da sfalsare i lineamenti. Infine, nasconde la chioma bionda sotto la parrucca. Infila i guanti, si avvolge bene nella cappa, mette il ventaglio
e alcune banconote nella borsetta di stoffa e, mascherina nera tra le mani, lascia la stanza.
In strada l’aspetta un taxi. È euforica, perché tra poco sarà al bridge che, da quanto le risulta, è qualcosa di megagalattico. Ma riuscirà a confondersi tra quella gente? È un ballo in
maschera, di che si preoccupa? Lei non riconoscerà nessuno e nessuno riconoscerà lei. Ma,
come riconoscerà lui? Via, via! Niente pensieri negativi. Finora è andato tutto a meraviglia!
Poco dopo, entra in una vasta hall, dove sono molte persone, agghindate con le tolette più
varie, ma non tutti celano il volto. “E Arthur porta la maschera?” si chiede, mentre giunge
all’ingresso di una sala. Mal celando l’ansia, tende il cartoncino ad un usciere e firma il registro. A passi incerti, si dirige all’angolo dove è sistemato un ricchissimo buffet. Sta per rivolgersi al cameriere che una voce la previene.
- Champagne, Josephine?
- Come, scusi? - si volge e, sconcertata, vede davanti un magnifico Napoleone.
- Non beve champagne, la mia Josephine? - la canzona lui, e lei decide di stare al gioco.
- Lungi da me il pensiero di contraddirla, altezza.
Il cameriere, premuroso, riempie due coppe. Napoleone le prende e gliene tende una.
- Al nostro incontro - dice, sollevandola. Lei imita il gesto.
“Chi sei?” pensa, intanto “La voce sembra…”.
- Qualche problema, mia cara?
- No, maestà - replica con un sorriso.
- Allora, bevi. Ti va una tartina? - allunga la mano al vassoio. Non le dà il tempo di servirsi, perché lo fa lui.
- Lei mi lusinga - mormora, arrossendo. Per fortuna, trucco e maschera lo celano a meraviglia.
- Ehi, Napoleone, sei già partito all’attacco? - una voce d’uomo li fa volgere.
- Ciao, Marcantonio. sei arrivato, finalmente.
- Sai bene che non manco mai quando “fischi”. C’è sempre da divertirsi. A quanto vedo, ti
sei già accaparrato qualcuna. Non credo di conoscerla… me la presenti?
- Il bello del ballo in maschera è “l’elemento sorpresa”. Lei è Josephine Beauharnais. Per scoprire la sua identità devi aspettare la mezzanotte.
Sconcertata dallo scambio di battute, lei s’allontana, confondendosi tra le persone che s’accalcano al buffet. “Ci sei cascata, piccola allocca!” si rimprovera, raggiungendo l’angolo
più buio della sala. “Ha lanciato l’amo e tu hai abboccato. Che ingenua! Gli sarà bastato un
giro di telefonate. e poi, non ha certo bisogno che si levino la maschera per riconoscere i
suoi amici. Tutti conoscono tutti. Io sono stata l’unica che non è andata a salutarlo. Che
stupida, stupida, stupida! È meglio svignarsela. Non voglio essere lo zimbello della festa;
l’elemento sorpresa come mi ha definito”. Veloce guadagna l’uscita.
- Il mantello, per favore - chiede all’inserviente. Aspetta fremente, guardando l’ingresso
come ambita meta, mentre continua a rimproverarsi. “Sciocca! Credevi veramente di confonderti con i “nobili” senza pagarne lo scotto? Ma quanto ci mette questo cristo a…”. Due
mani premurose le posano la cappa sulle spalle, le braccia s’incrociano sul petto, mentre
una voce suadente le sussurra all’orecchio.
- Scappi, Josephine? Non si fa così, cara. Bisogna chiedere licenza prima di lasciare la mia
“corte”.
- E va bene! - sospira rigida - Le chiedo scusa; di tutto. Adesso mi lasci andare.
- Non prima di avermi detto chi sei.
- Che serve, ormai? Sa bene dove ha gettato l’esca.
- Brava, sei sveglia. Chi delle tre?
- Lei quale preferisce? - chiede, maliziosa. Uno spiritello impertinente la spinge a provocarlo, incurante che non ha molto da scherzare con un tipo simile. Ma è proprio il contatto
caldo del suo petto contro le spalle a sconvolgerle i sensi.
- Se mi esprimo potrei offenderti.
- E un play boy non commette mai simile sciocchezza, se vuol godere al massimo dell’ultima conquista - replica, sarcastica - A me la scelta se stare al gioco. Bene, maestà. Josephine
resta al ballo fino a mezzanotte. Poi se la filerà come Cenerentola.
- Andiamo, cara? - chiede lui, offrendole il braccio.
In sala la festa si è animata. I gruppi di persone si compongono e scompongono in fretta, il
buffet è sempre preso d’assalto e, su tutto, musica e luci soffuse.
- Vuoi mangiare o bere qualcosa?
- Champagne per Josephine! - dice, ironica. Al buffet si fanno servire. Lei beve con calma,
ma senza indugio - Adesso vorrei ballare…
Ad un cenno di Napoleone, nella sala si spandono ben presto le note di un celebre valzer.
- Mi concedi questo ballo, Josephine?