Il trovatore Febbraio 2015

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Il trovatore Febbraio 2015
l m o n d o de l l a v o r o
M e n s i l e di i n f or m az i o ne s u
a c u r a de l CS L O g l i a s t ra
Cinque minuti per essere valutati.
Cinque minuti per leggere il curriculum vitae, tra i tre e i nove per il colloquio: sono questi i tempi medi che i selezionatori italiani impiegherebbero per valutare un candidato secondo una ricerca
condotta da Robert Half, società di recruitment per risorse specializzate, intervistando 100 selezionatori. Ne è emerso che il 45% dei responsabili delle risorse umane dedica fino a 5 minuti all’analisi del profilo professionale di ogni singolo candidato, mentre solo un 16% impiega più di 10
minuti per la medesima operazione. Tempi rapidi anche nel colloquio faccia a faccia: il 44% dichiara di farsi un’opinione del candidato in meno di 5 minuti e il 63% di cambiare idea “mai” o
“raramente”. “Alcuni cv cominciano con quello che viene definito riepilogo professionale, quattro
o cinque righe in cui viene riassunta l’esperienza e la qualifica – dice Matteo Colombo, Country
Manager Italia per Robert Half –. L’analisi per noi comincia da qui, oppure dall’ultima o dall’attuale posizione ricoperta, segue poi l’osservazione delle date e dei periodi di lavoro, per verificare
la congruenza temporale tra la competenza richiesta dall’azienda e quella offerta dal candidato”.
Alle collaborazioni di due anni viene data, di norma, un valore minore rispetto a quelle di quattro
o cinque, considerate un arco temporale più consono per veder crescere e sviluppare un progetto
d’impresa. Valutazioni che però, al giorno d’oggi, restano valide, ma solo in linea teorica. “Il nostro ambiente ha sviluppato maggior tolleranza rispetto alle durate degli incarichi, con una particolare attenzione per i percorsi professionali da gennaio 2009 a oggi – continua Colombo –. Sarebbe
infatti un errore selezionare risorse umane senza prendere in considerazione le oscillazioni e i cambiamenti del mercato del lavoro degli ultimi quattro anni”. Dopo la valutazione della esperienze
professionali, sono le abilità accessorie a completare i cinque fatidici minuti di analisi del curriculum: in particolare si verifica la conoscenza delle lingue straniere e degli strumenti informatici.
“Per un profilo senior la lettera di presentazione può fare la differenza – aggiunge Colombo –. Di
fronte a due candidati idonei e ugualmente interessanti, infatti, la lettera spesso rappresenta un
plus importante”. Per i profili junior e per chi è appena uscito dall’università, il consiglio, invece, è
di “puntare tutto su un cv il più possibile personale, dando spazio alla tesi di laurea e che stia su
una sola pagina”. Essere sintetici vale, comunque, per tutti: “Si possono usare gli elenchi puntati e
bisogna raccontarsi in maniera pertinente rispetto alle richieste specifiche dell’azienda”. Superata
la prima selezione, è la volta del colloquio. L’11% dei selezionatori si fa un’opinione del candidato
nei primi 3 minuti, il 33% tra i 3 e i 5, il 36% tra i 6 e i 10, solo il 20% impiega più di 10 minuti.
Esercitarsi in un’efficace presentazione di sé e della propria esperienza professionale, che duri non
più di 3 minuti, è quindi un buon modo per prepararsi e fare buona impressione, lasciando al
selezionatore il tempo per approfondire. Inutile dire che l’attenzione alla forma e allo stile non
possono che facilitare, assieme a un abbigliamento adeguato alla mansione e al tipo di ambiente
lavorativo. Apprezzate, anche, la spontaneità e una certa dose di autocontrollo. Spesso i processi di
selezione si articolano attraverso diversi colloqui, fino a livelli che possono coinvolgere direttamente l’amministratore delegato della società. Anche qui la prima impressione è fondamentale: se i
cinque minuti dedicati dai primi selezionatori derivano spesso dal gran numero di candidature
ricevute, all’alzarsi del livello aziendale il tempo dedicato al colloquio può diminuire. “In ogni caso
– conclude Colombo –, ogni successivo passo nella selezione permette di farsi conoscere meglio,
ed è opportuno e legittimo che sia lo stesso candidato a chiedere informazioni rispetto la posizione
da ricoprire, tenendo sempre presente l’interlocutore che ha davanti”.Fonte: Mio job
Anno VII Numero 2
07 Febbraio 2015
Sommario
Cinque minuti per
essere valutati.
1
LinkedIn: modifiche
grafiche per cercare lavoro.
2
Creare lavoro ri2
qualificando il territorio.
Se la selezione pas- 3
sa da Skype: il video colloquio.
Professione crimino- 4
logo: Master a Roma.
Il libro del mese.
4
LinhedIn: modifiche grafiche per cercare lavoro.
“Dai risalto al tuo profilo con uno sfondo personalizzato. Prova con un’immagine che rappresenti la tua università, la tua professione o una causa che ti sta a cuore”. È questo il messaggio apparso recentemente sui profili degli utenti LinkedIn: il social
network professionale, che a metà 2014 ha tagliato il traguardo dei 7 milioni di iscritti in Italia (sono più di 300 milioni a livello
mondiale), ha infatti introdotto anche per i profili basic la possibilità di inserire dietro al proprio ritratto un’immagine di copertina, così come già fatto prima da Facebook e poi da Twitter e Google+. Ma è davvero necessaria un’immagine di sfondo per
trovare nuovi contatti di lavoro e, magari, anche una nuova occupazione? Secondo Nicole Williams, official career expert di LinkedIn, la risposta è un sì deciso. “Si sprecherebbe un’occasione a non metterla – ha detto alla testata statunitense Business Inside
–. La fotografia di copertina, esprimendo la nostra identità professionale, può aiutare potenziali clienti, investitori e responsabili
delle risorse umane a vederci sotto la luce che desideriamo”. Come sceglierla, allora? Innanzitutto, evitando di utilizzare la stessa
fotografia caricata su Facebook e sugli altri social network. “L’immagine di copertina deve essere legata al chi sei come professionista”. Niente fotografie di tramonti, animali e vacanze al mare o in montagna, al meno che non si faccia il meteorologo, il veterinario o l’agente di viaggi. L’imprenditore inglese Richard Brranson, proprietario tra l’altro della compagnia aerea Virgin Atlantic e personalità più influente di LinkedIn, ha per esempio utilizzato un cielo al di là di una coltre di nuvole. L’immagine dello
sfondo deve infatti quanto meno evocare la propria carriera e le proprie competenze. Va scelta con cura, dal momento che è
quella che dà il benvenuto a chiunque giunga alla propria pagina su LinkedIn e vuole farsi un’idea il più velocemente possibile.
Se si ha qualche dubbio potrebbe essere utile chiedere un consiglio ad amici e colleghi o vedere che cosa ha messo chi ha un
profilo simile. L’immagine, in ogni caso, può essere sempre cambiata, quindi nessuna paura.“Prima di pubblicarla, chiedetevi
però se davvero vi rappresenta al meglio” continua Nicole Williams, che per il suo profilo ha utilizzato la fotografia di un set di
matite: “Scrivere è la parte del mio lavoro che mi piace di più”. Chi ha a che fare coi conti può quindi mettere immagini di numeri, grafici e tabelle, gli architetti caricare il progetto a cui sono più affezionati o quello dei sogni. Il ceo di LinkedIn Jeff Weiner ha utilizzato semplicemente una fotografia della sede di Mountain View con il motto “Connecting talent with opportunity at
massive scale”. Non ci sono limiti, quindi, eccetto la dimensione, che non dev’essere inferiore ai 1.400 pixel di larghezza per 425
di larghezza. Meglio, anche, non appropriarsi di fotografie altrui, ma caricarne di originali o, comunque, non coperte da diritti.
Si può utilizzare il motore di ricerca Creative commons, ma il web è pieno di archivi fotografici gratuiti: tra i principali, Free
Images, Free Range Stock, Free Photos Bank e Image Free. Diversi richiedono una registrazione, ma può valerne la pena. Fonte:
Mio Job
Creare lavoro riqualificando il territorio.
Dare un futuro alle città e creare lavoro per i giovani. Sono questi i due obiettivi di “Culturability – spazi d’innovazione sociale”,
il nuovo bando della Fondazione Unipolis, la fondazione d’impresa del Gruppo Unipol, da anni impegnata nel sostegno alla
cultura e al suo ruolo sociale, soprattutto per dare prospettive alle nuove generazioni. A disposizione ci sono 360 mila per 6 progetti che producano innovazione sociale attraverso il recupero di spazi urbani degradati o inutilizzati. “In Italia le città sono il
perno attorno al quale ruota la vita economica, sociale e produttiva, ma spesso si sono espanse in modo caotico in periferie prive
di aree verdi o di servizi”, dichiara Walter Dondi della Fondazione Unipolis. A questo si aggiunge poi il processo di trasformazione in corso in questi anni, aggravato dalla crisi economica, che lascia molti luoghi abbandonati, come ad esempio i capannoni
delle aziende che chiudono e che possono essere riqualificati attraverso progetti che coinvolgono i cittadini, in particolare i più
giovani. C’è tempo fino al 28 febbraio 2015 per presentare proposte e idee. Che cos’è ‘Culturability’. Ideata e promossa dalla
Fondazione Unipolis, Culturability nasce nel 2009 con un workshop di coprogettazione e si concretizza poi con la redazione di
un manifesto. In seguito, la fondazione ha lavorato soprattutto per promuovere un’idea di cultura intesa come strumento di coesione sociale e di inclusione, per favorire l’accesso a conoscenza ed educazione da parte delle nuove generazioni e di coloro che
ne sono stati esclusi. Culturability unisce i termini cultura e “capability” perché l’idea è quella di creare spazi reali e virtuali in cui
l’accesso alla cultura possa agire come mezzo per la coesione sociale e per creare sviluppo sociale ed economico. Obiettivo di Culturability è quindi quello di coniugare allo stesso tempo una riflessione e un intervento concreto su queste tematiche, promuovendo il dibattito attraverso l’organizzazione di incontri e l’attività del sito Internet (Culturability.org) e sviluppando un impegno
sul territorio a sostegno di iniziative culturali che abbiano come fine ultimo la crescita sociale e civile della società, con collaborazioni e partnership nell’ottica della sostenibilità. Il bando. La seconda edizione di Culturability si rivolge a organizzazioni non
profit e altre realtà associative costituite prevalentemente da under 35, che siano impegnate nel recupero di aree degradate o
inutilizzate per farne spazi di crescita culturale, sociale e di lavoro. Tra tutti i progetti che saranno presentati ne saranno selezionati 6 che riceveranno 60 mila euro ciascuno, di cui 40 mila euro come contributo economico a fondo perduto e 20 mila euro
attraverso percorsi di formazione. “Vogliamo contribuire a realizzare progetti che siano efficaci e abbiano un reale impatto sociale
e culturale e per farlo servono competenze e professionalità”, prosegue Dondi. I percorsi formativi per i vincitori servono quindi
a far sì che questi progetti possano durare nel tempo. La prima edizione del bando si chiamava “Culturability – fare insieme cooperativa”. Lanciata nel 2013, era rivolta agli under 35 interessati a creare nuove imprese culturali e creative in forma di cooperativa. Hanno partecipato oltre 3 mila giovani da tutta Italia (soprattutto donne) con 824 progetti. I 15 selezionati – una volta diventati cooperative – hanno ricevuto 20 mila euro a fondo perduto (per un totale di 300 mila euro).. Fonte: Mio Job.it
Anno VII Numero 2
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Se la selezione passa da Skype: il video colloquio.
Per chi è alla ricerca di un lavoro permette di abbattere i costi delle trasferte, che in un mercato in molti settori globalizzato
potrebbero essere anche di migliaia di chilometri (e di almeno qualche centinaio di euro di spesa). Ma il colloquio via Skype è
da tempo una manna anche per chi fa la selezione, perché è il modo più rapido ed efficace per arrivare alla “short list” dei
candidati e poi procedere con gli incontri faccia-a-faccia. Semplice, quasi banale – un click e via, senza dover neanche uscire di
casa – non va però affrontato in maniera superficiale, perché da quei venti minuti di videochiamata può dipendere il futuro
lavorativo. Bisogna prepararsi. Vediamo come.
Account. Che nickname avete su Skype? Inutile dire che Gattina78 e ForzaRoma83 non fanno esattamente colpo su chi offre
lavoro. Non cercate di essere originali, ma semplicemente voi stessi. Bastano nome e cognome. Già occupati da un omonimo?
Provate a mettere un punto, solo l’iniziale del nome o, come ultima scelta, l’anno di nascita. Anche fotografia e messaggio
personale devono essere appropriati: no a un’immagine di Bart Simpson, no a slogan filosofeggianti, qualunquisti, politicizzati. Può essere un segno di sciattezza e di poca personalità lasciare la sagoma azzurrina di default: una vostra foto a mezzobusto
decente l’avete, no?
Tecnologia. Pronto? Pronto? Pronto! È appena iniziata la videochiamata – oppure, peggio, siete nel bel mezzo del passaggio
clou, quello che vi siete preparati così bene, in cui spiegate le qualità che vi rendono il candidato ideale – e salta la comunicazione, le voci diventano metalliche, l’immagine sfuma, non si sente più nulla con un avvilente effetto acquario. Evidentemente, non avevate verificato per tempo che tutto funzionasse a puntino. Testate la linea, gli altoparlanti (o le cuffie), il microfono
e la webcam, chiamando un amico o un parente. Per avere una connessione stabile, interrompete (o fate interrompere, se
convivete con altri) streaming e download vari.
Location. Silenzioso, ordinato, luminoso: così deve essere il posto in cui fare la videointervista. Assicuratevi, innanzitutto, che
non possiate essere disturbati: avvisate familiari e coinquilini, staccate telefono fisso, mobile e citofono, mettete persino un
cartello fuori dalla porta del vostro appartamento. Lo sfondo dev’essere il più possibile neutro e professionale. Da evitare,
quindi: la cameretta con il poster dei Nirvana o di Roger Federer; la cucina, con o senza i piatti sporchi; il bagno, per carità.
Più che un muro bianco, è meglio avere alle spalle una libreria o una bella stampa. Curate anche l’inquadratura: viso esposto
alla luce (meglio se arriva leggermente di sbieco), occhi all’altezza della webcam, schiena dritta.
Look. Anche se avviene a distanza, la videointervista via Skype è pur sempre un colloquio di lavoro. L’abito dev’essere adeguato alla posizione per cui vi candidate: se servono, quindi, non esitate a indossare giacca e cravatta per gli uomini e il tailleur
per le donne. Non fate, però, l’errore di stare con i pantaloni del pigiama o della tuta (o, peggio, in mutande), perché “tanto
non mi vedono”. Potrebbe capitarvi di dovervi alzare, magari perché vi siete dimenticati di staccare il telefono (vedi punto
sopra) e vostra madre vi deve dire as-so-lu-ta-men-te qualcosa. Anche le scarpe contano, perché aiutano ad assumere un atteggiamento professionale: sì ai tacchi, quindi, no alle pantofole a cagnolino. Barba e capelli in ordine, un filo di trucco: ora siete
pronti.
Postazione. Per evitare di avere distrazioni inutili nel corso del colloquio – dareste l’impressione di essere poco interessati –
disattivate sul vostro computer le notifiche della posta elettronica e dei social network. Tenete a portata di mano: un foglio e
una penna per prendere eventuali appunti; tutti i possibili documenti utili, a partire dal cv, nel caso ve li chiedessero; un bicchiere e una bottiglietta d’acqua per non ridurvi con la lingua felpata alla quarta risposta. Bere elegantemente un sorso d’acqua potrebbe anche aiutarvi a prendere del tempo prezioso per rispondere a una domanda imprevista.
Durante. Essere puntuali, mostrarsi sicuri, essere informati sull’azienda e sul ruolo, non rispondere a monosillabi: sono queste le regole d’oro di ogni colloquio, in presenza o a distanza. In quest’ultimo caso, però, vale la pena adottare qualche ulteriore accorgimento. Il primo è mantenere il più possibile il contatto visivo con il selezionatore. Guardate dritto in camera come
foste un conduttore del tg e non state a controllarvi ogni secondo nel riquadrino. Consiglio: riducete la vostra finestra al minimo e mettete a tutto schermo quella dell’interlocutore. E se il selezionatore non attiva la sua webcam? Meglio, potrete concentrarvi maggiormente su quel che dite e vi viene chiesto. Ora non vi resta che dare il meglio. In bocca al lupo!Fonte: Mio Job
Anno VII Numero 2
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Professione criminologo: Master a Roma.
“Oggi in tv va molto di moda la cronaca nera: in tanti si improvvisano detective, sembra che tutti abbiano la soluzione in tasca. In
realtà, il mestiere del criminologo è molto complesso e richiede una formazione multidisciplinare”. A parlare è Natale Fusaro, coordinatore didattico del master di secondo livello in Scienze forensi dell’Università La Sapienza di Roma, che giunge quest’anno alla
sua tredicesima edizione. Il master, che si svolge da gennaio a ottobre, è diviso in 4 moduli: criminologia, investigazione, security e
intelligence. Le lezioni spaziano dal diritto penale alla psicologia giuridica, dalla medicina legale alla sociologia criminale, dal giornalismo investigativo alla balistica forense. Si approfondiscono, inoltre, temi come la sicurezza urbana, la criminalità informatica, il
terrorismo e i sistemi criminali. I corsi si tengono nelle sole giornate di venerdì e sabato, in modo da agevolare i professionisti ed i
fuori sede. “Il corpo docenti è composto sia da professori ordinari sia da professionisti impegnati sul campo, coinvolti nell’analisi e
nello studio di alcuni tra i più noti casi di interesse – spiega Fusaro –. Quest’anno sarà nostro ospite il professor David Canter,
inventore del criminal profiling, lo studio del profilo dell’astratto autore del reato e del luogo ipotetico dove dovrebbe vivere”. Tra
gli altri docenti anche il direttore della rivista Archivio penale Alfredo Gaito, il colonnello Luigi Saravo del Raggruppamento investigazioni scientifiche dei Carabinieri e il dirigente della Polizia Antonio Pignataro. Tante anche le attività pratiche previste dal
master: un giovedì al mese viene dedicato a seminari, simulazioni, stage in laboratorio e visite guidate presso centri di ricerca, istituti di investigazione e sedi delle forze di polizia. Inoltre, alcuni delitti realmente avvenuti vengono presi come casi di studio in classe:
“Gli studenti della scorsa edizione hanno analizzato il processo per l’omicidio di Meredith Kercher, per poi scrivere alcune note di
commento alle diverse sentenze. Un altro studio è stato condotto sul delitto di via Poma, tuttora insoluto. L’obiettivo è riuscire a
coniugare il ‘saper fare’ con il ‘saper essere’”. Il percorso si conclude con uno stage da svolgere presso aziende di investigazione privata o laboratori scientifici. Tra questi il Raset di Roma, centro all’avanguardia nel settore degli equipaggiamenti speciali a supporto
delle indagini, e il Simef di Reggio Calabria, che compie accertamenti di tipo tecnico-scientifico con microscopi a scansione elettronica, a cui recentemente sono stati affidati alcuni incarichi persino da Scotland Yard. “Gli sbocchi occupazionali del master sono
diversi, si va dalle consulenze alle perizie in ambito giudiziario, dalla security all’intelligence, fino alle indagini private e quelle difensive, che sono oggi l’ambito lavorativo più spendibile”. Il master in Scienze forensi è riservato a un massimo di 75 iscritti. Necessaria una laurea magistrale in medicina, giurisprudenza, psicologia, sociologia, scienze della formazione e scienze politiche. Tra gli
studenti delle passate edizioni (in tutto, 650 diplomati), molti provenivano da Paesi europei. Fonte: MioJob
Le nostre sedi:
Lanusei
Via Marconi, 91
Tel. 0782.42203
0782.480110
Orari di apertura al pubblico:
lunedì-venerdì 8.30 – 12.00
martedì e giovedì 15.30-17.00
Tortolì
Via Mons. Virgilio, 74/A
Tel. 0782.623225
Orari di apertura al pubblico:
lunedì-venerdì 8.30 – 12.00
lunedì 15.30-18.00
Jerzu
( sportello informativo )
Corso Umberto, 364
Tel. 0782.70108
Orari di apertura al pubblico:
lunedì-venerdì 8.30 – 12.00
Seui
( sportello informativo)
Via Roma, 399 ( ex Palazzo
Municipale )
Orari di apertura al pubblico:
martedì 9.00– 12.00
Il Libro del mese
E la borsa e la vita. Distribuire e ridurre il tempo di
lavoro: orizzonte di giustizia e benessere.
Di Craviolatti Marco
Ed. Ediesse
Sofferenza sociale, minacce ambientali, crisi economiche
ricorrenti... la necessità di profondi cambiamenti del
"modello di sviluppo" è ormai consapevolezza diffusa,
ma in quale direzione? La risposta ortodossa è da decenni la stessa: più lavoro. I sindacati lo invocano per aumentare l'occupazione, le imprese lo impongono allungando e intensificando le prestazioni dei dipendenti.
Però il lavoro è sempre di meno: la riduzione dell'orario
"medio" è già in atto da decenni in tutti i paesi avanzati,
tuttavia si traduce in una crescente polarizzazione tra
sottoccupati e sovraoccupati, con effetti drammatici per
entrambi. Se dunque l'uovo di Colombo sotto gli occhi
di tutti consistesse nella risposta opposta: meno lavoro?
Meglio: nella distribuzione equa di un lavoro in diminuzione, ma più efficiente, dignitoso e utile alla collettività.
Il testo esplora questa possibilità, alla ricerca di una possibile quadratura del cerchio tra punti di vista solo in
apparenza inconciliabili: un sindacato capace di rinnovarsi, movimenti sociali che coniugano idealismo e pragmatismo, attori economici innovativi e responsabili.
Chiamando la politica al suo ruolo dimenticato di indirizzo dell'economia. Prefazione di Stefano Fassina.