IMPIEGO DELLA CARTA “BATH” NELLA PRODUZIONE DEI
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IMPIEGO DELLA CARTA “BATH” NELLA PRODUZIONE DEI
IMPIEGO DELLA CARTA “BATH” NELLA PRODUZIONE DEI FRANCOBOLLI DELLO STATO PONTIFICIO Scriveva Ippolito Nievo all’ amico Andrea Cassa in una lettera datata “Padova, giugno 1853” : “ … Benedetta la Provvidenza che mi insegnò a scrivere e che mediante le benefiche scoperte dell’inchiostro bleu del Signor Luigi Topo, chimico patentato, della penna d’acciajo a tre punte e della carta uso Bath della privilegiata fabbrica di Rovereto ….”.. Questa lode dello scrivere come elemento liberatorio dell’ animo e, nelle parole del letterato, atto sufficiente a giustificare una stessa esistenza, mostra comunque l’esigenza, del tutto umana, di farlo con i migliori mezzi a disposizione. Ecco allora che all’ “inchiostro bleu del Signor Luigi Topo”, alla “penna d’ acciaio a tre punte” si unisce, nell’ elencazione del meglio, “la carta uso Bath”. Notiamo bene, non la carta “Bath” ma un succedaneo, probabilmente di qualità analoga, se non superiore, fornito da una delle tante cartiere che si specchiavano sul lago di Garda. Non voglio qui entrare nel merito delle risorse economiche dello scrittore né delle sue possibilità di acquisire per sé carta della “famosa ditta inglese” (come ormai siamo abituati a dire) piuttosto che un analogo prodotto italiano. Quello che mi preme, più banalmente, è testimoniare come quella carta fosse diventata sinonimo del massimo della qualità di un prodotto in una nazione che, da secoli, vedeva disseminate nell’ intero territorio le migliori industrie dello specifico settore. Già, in precedenza, Giacomo Leopardi in una lettera del maggio del 1833 scriveva alla sorella Paolina: “Cara Pilla. Io sapeva che Recanati aveva la strada lastricata, e rifatte le facciate de' Monaci e del palazzo Luciani, ma anche la carta di Bath, e le ostie da suggellare stampate? Si vede che la civiltà fa progressi grandi da per tutto. …” Circa sessant’anni dopo, anche Antonio Fogazzaro la cita in “Piccolo mondo antico”: “… Com'ebbe rilette e rigustate le strofe ispirategli dal Tartufo Pasotti, tornò a frugare nel caos dello scrittoio e ne cavò un foglietto di carta Bath per scrivere a monsignor Benaglia, la sola persona che gli potesse giovare in avvenire presso la nonna. …”. Sicuramente il prodotto si presentava in maniera eccellente sia come consistenza che come finitura ma, probabilmente, a farne crescere la fama fu anche quel marchio in rilievo con la scritta “BATH” inserita all’ interno di un ornato che veniva apposto in alto a sinistra di ogni foglio. Ma quale era la “famosa ditta inglese” che si identificava con tale marchio e dove operava? I primi ad utilizzarlo per contraddistinguere la carta di loro produzione furono, agli inizi dell’ ‘800, gli inglesi John Bally, William Ellen e George Steart che come “John Bally & Co Paper Manufactures” operavano nel mulino De Montalt situato ad un paio di chilometri a sud della città di Bath nel Somerset. La loro produzione consisteva di carta di eccellente qualità per lavori artistici (acquerello, ecc.), carta per banconote e la ormai famosa carta da lettere (normalmente di colore grigio azzurro). Dal momento che l’ attività del mulino cessò attorno al 1834 per la morte di uno dei proprietari e la fine della collaborazione fra i produttori, è verosimile che, da quel momento, tale marchio possa essere stato ripreso ed utilizzato da altre fabbriche, sia in Inghilterra che all’ estero, che fecero propri anche i sistemi di produzione di quel tipo di carta. Questo giustificherebbe la presenza, nel 1861, di un foglio di carta da lettere che unisce al marchio “Bath” il marchio della cartiera dei “Fratelli Avondo” di Serravalle Sesia (produttori, fra l’altro, della carta per i “Cavallini di Sardegna” e poi di quella per i francobolli stampati dalla De La Rue). Una conferma a questa ipotesi può essere trovata nelle parole di un produttore e commerciante olandese che, nel 1890, diceva: “La parola “Bath” era inserita in un ornato che veniva impresso in risalto a secco nella parte superiore sinistra del foglio, in quanto si riteneva che la migliore carta da lettere provenisse da quella località. Noi non consideravamo quel marchio come “fraudolento” giacché la parola “Bath” era ormai diventato un termine generico e la sua aggiunta era considerata come la parte finale di un processo di produzione”. Questo marchio variò quasi di anno in anno e non sarebbe difficile attribuirgli oggi, come per i francobolli, una data per ciascuna delle innumerevoli “tirature”, anche se con la dovuta approssimazione legata ai mille fattori che incombono sulla datazione di beni prodotti a ciclo continuo (giacenze di magazzino, approvvigionamenti differenziati per località, ecc.). Ecco alcuni esempi di tale marchio rilevati su lettere datate nell’ arco degli anni a cavallo della metà del 1800: 1847 1850 1850 1852 1853 1855 1856 1856 1856 1857 1858 1858 1859 1859 1861 1862 Un prodotto quindi di estrema qualità che, in teoria, non sarebbe dovuto entrare nella filatelia se non come supporto pregiato per lo scambio di notizie, di pensieri o più banalmente di comunicazioni commerciali. In effetti le cose andarono diversamente e la carta “Bath” entrò nel 1864 a pieno titolo come protagonista anche nella storia dei francobolli dello Stato Pontificio. Io non so quanto costasse un foglio di questa carta ma penso che il responsabile dell’ approvvigionamento della carta da utilizzare per la stampa dei francobolli di questo Stato abbia sudato freddo quando, a fronte dell’ editto del Cardinal Antonelli del 6 novembre 1863, entrato in vigore l’ 1.1.64, in materia di nuova sistemazione degli uffici postali e modifica delle tariffe, dovendo far fronte ad una improvvisa quanto enorme richiesta di francobolli da 2 Baj fu costretto ad acquisire sul mercato quanto gli era venuto a mancare nei magazzini, ivi compresa la carta di questo tipo. In effetti l’ esigenza derivante dalla citata modifica tariffaria, che vedeva le lettere tassate non più sulla base della distanza fra il luogo di partenza e quello di arrivo ma per il peso della lettera (10 grammi), aveva reso il francobollo da 2 Baj unità di misura di ogni invio all’ interno dello Stato Pontificio. Come si può rilevare dai seguenti grafici, la produzione del francobollo da 2 Baj fino al 1863 si era mantenuta su livelli in linea con quella degli altri francobolli e solo nel 1864 si ebbe un primo picco con una richiesta, ed una conseguente produzione, di 1.500.000 francobolli che, nell’ anno successivo, fu portata addirittura ad 1.800.000. 1/2 Baj 4 baj 8 baj 1 Baj 5 Baj 50 Baj 2 Baj 6 baj 1 Scudo 3 Baj 7 Baj 2.000.000 1.800.000 1.600.000 1.400.000 1.200.000 1.000.000 800.000 600.000 400.000 200.000 0 1852 1853 1854 1855 1856 1857 1858 1859 1860 1861 1862 1863 1864 1865 1866 1867 Produzione dei francobolli dello Stato Pontificio dal 1852 al 1867 Nell’ anno 1866 si ebbe una flessione, anche se su livelli comunque alti (1.250.000 esemplari), ma, nel 1867, si riprese a stampare francobolli da 2 Baj a ritmo frenetico. Il valore di 1.400.000 francobolli prodotti in tale anno, non deve trarre in inganno giacché si riferisce ai soli primi nove mesi. Se dovessimo fare una proiezione sui dodici mesi, avremmo una cifra superiore a 1.900.000 esemplari. 18 52 18 53 18 54 18 55 18 56 18 57 18 58 18 59 18 60 18 61 18 62 18 63 18 64 18 65 18 66 18 67 2.000.000 1.900.000 1.800.000 1.700.000 1.600.000 1.500.000 1.400.000 1.300.000 1.200.000 1.100.000 1.000.000 900.000 800.000 700.000 600.000 500.000 400.000 300.000 200.000 100.000 0 Produzione del francobollo da 2 Baj dal 1852 al 1867 Date queste premesse, il collezionismo non tardò ad avere riscontro dell’impiego di questo tipo di carta nella produzione dei francobolli dello Stato Pontificio. Già nel numero di agosto del 1961, “Il Collezionista – Italia Filatelica”, in un’ articolo firmato con la solo lettera “A.”, dava l’ immagine del “verso” di una quartina del 6 Baj lilla azzurro chiaro, nuovo con gomma, che presentava l’ impronta a secco del marchio “Bath”. In questo articolo tale varietà sembrava essere unica anche se, a detta dell’ estensore, era nota da molto tempo. L’ argomento incuriosì più di un collezionista e, qualche mese dopo, nel numero 1 del gennaio 1962, la stessa rivista, dava notizia del reperimento di un francobollo da 2 Baj, avorio verdastro, usato, angolo di foglio, che presentava il tipico marchio in rilievo ortogonale rispetto alla stampa francobollo. Dava anche notizia di altri due francobolli analoghi, e sempre dello stesso colore, in cui il marchio però era collocato orizzontalmente, anche se in maniera meno nitida. 2 Baj bianco verdastro con impronta “BATH” (pos. 91 del foglio) Nell’ articolo, siglato “J.”, e verosimilmente attribuibile ad Enrico Jalongo, si ipotizzava un impiego più generalizzato di tale tipo di carta, impiego che poteva coinvolgere anche altri valori. Tuttavia, in tempi successivi, e precisamente nel numero 37 del 25 ottobre 1966 della rivista “Filatelia”, lo stesso Jalongo ritornava sull’ argomento, riportando il fatto che i francobolli con tale varietà, ormai circoscritta al 2 ed al 6 baj delle emissioni del 1864 (francobolli del colore bianco verdastro per il 2 Baj e lilla azzurrastro per il 6 Baj) erano stati inseriti nei principali cataloghi italiani. Riportava anche il testo del certificato che l’ ing. Alberto Diena aveva stilato, il 23 ottobre 1965, per il francobollo riportato nell’ articolo. Tale certificato recitava: “Ho esaminato il francobollo dello Stato Pontificio 1852, 2 bajocchi, avorio verdastro, annullato. L’esemplare, angolo inferiore sinistro del foglio di cento, mostra, in parte sul margine ed in parte sul francobollo, l’ impronta a secco del marchio della fabbrica inglese di carta “Bath”. Tra i francobolli dello Stato Pontificio, 1852, con un tale marchio finora a me noti (un 6 bajocchi e quattro del 2 bajocchi) questo ha il “Bath” impresso nella misura più evidente”. Ovviamente, da quella data, altri esemplari con quella tipologia si sono presentati nell’ orizzonte collezionistico, sia sciolti che su lettera. Possiamo quindi datare alla fine degli anni ’60 il riconoscimento ufficiale di questa varietà. E’ anche opportuno dire che, a partire da quella data, tale varietà viene riconosciuta, per il 2 Baj , solo per il colore bianco verdastro e quindi per l’ emissione del 1864. Ancora oggi, se si controllano i cataloghi specializzati, vediamo che questa è la versione ufficiale. Ma siamo certi che sia così? Un cortese collezionista mi ha permesso di riprodurre un blocco di 15 esemplari del 2 Baj bianco verdastro che presenta una doppia impronta del marchio “Bath” sulla parte alta del lato sinistro. Una piega che taglia a metà tutta la prima riga di francobolli dimostra che la doppia impronta deriva dallo spiegamento del foglio in fase di stampa per cui l’ impronta superiore è in rilievo e l’altra si presenta incavata. Blocco di 15 del 2 Baj bianco verdastro con doppia impronta “BATH” Particolare del blocco di 15 del 2 Baj bianco verdastro con doppia impronta “BATH” Ma le sorprese non finiscono qui. Anche il blocco di 34, riportato di seguito, presenta una doppia impronta “Bath” sul margine di foglio sul lato sinistro in corrispondenza della parte alta del francobollo in posizione 1 e del francobollo in posizione 11. Ed anch’ esso presenta la stessa piega che contraddistingue la stampa dei francobolli su foglio spiegato. Tuttavia il fatto singolare è che il colore dei francobolli del blocco è il caratteristico bianco avorio del 2 Baj delle tirature effettuate a partire dal marzo del 1867 . Blocco di 34 esemplari del 2 Baj bianco avorio che presenta una doppia impronta “Bath” sul lato sinistro alto del margine del foglio. Particolare del blocco di 34 francobollicon la doppia impronta parziale del marchio “Bath”. La possibilità di disporre di un discreto numero di fogli di tali tirature, che peraltro è confermato dallo scarso valore che i cataloghi attribuiscono a tale francobollo allo stato di nuovo, permette un confronto che non concede appelli. Tra l’ altro, quanto esposto non costituisce in effetti una novità giacché trova riscontro in un certificato che, sempre l’ ing. Alberto Diena, stilò per un analogo pezzo su lettera e che riporto, eliminando, purtroppo, gli elementi strettamente identificativi perché non nella mia disponibilità. Come si vede, un analogo francobollo, chiaramente identificato come avorio ed applicato su una lettera del luglio 1867, periodo in cui le affrancature con il 2 Baj presentano comunemente francobolli in quella sfumatura di colore, era già noto al Diena nel febbraio del 1967. Sembrerebbe quindi opportuno riesaminare quanto sinora riportato dai cataloghi e prevedere fra i francobolli con impronta del fabbricante della carta “Bath” oltre al 2 baj bianco verdastro (1864) anche il 2 Baj bianco avorio (1867) e, per entrambe le sfumature di colore, la ulteriore varietà della doppia impronta. Giuliano Padrin Questo modesto lavoro non sarebbe stato possibile senza la cordiale collaborazione di Enti, Associazioni ed appassionati collezio-nisti che mi hanno messo a disposizione le loro conoscenze ed il loro materiale. Sento quindi il dovere ed il piacere di ringraziare: Mr. Steve Bailey Administrator del Bath Postal Museum Mr. Ian Hendry Secretary della British Association of Paper Historian. Dr. Jean Stirk della British Association of Paper Historian Mr. Harry Dagnall della British Association of Paper Historian Mr. Richard Harlow Founder & Hon. Secretary dell’ Italy & Colonies Study Circle Mr. Peter Rayner dell’ Italy & Colonies Study Circle e gli amici del di : Michele, Andrea Bizio Gradenigo, Giuseppe Cirneco, Gigio, Nicolò, Enrico Carsetti, Luca Boldrini, Sergio de Villagomez e Luca Pepi. Infine un “Grazie di cuore” alla persona della quale mi considero un indegno allievo: l’ avv. Ennio Palmigiano di Palermo P.S. Questo articolo è stato scritto nel 2005. In seguito l' auspicio è stato accolto e sia il bianco avorio (catalogo Vaccari 2008-2009) che la doppia stampa (Catalogo Sassone 2010), sono stati inseriti nei cataloghi specializzati . (N.d.A.)