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Il Medioevo di Guido Morselli. Note su Roma senza papa.
di Daniele Orlandi
Negli ultimi trentotto anni si è scritto molto su Morselli, con foga e piglio esegetico, per
recuperare il tempo in cui lo scrittore fu assente, calvinisticamente rifiutato
dall’industria culturale del dopoguerra (o vanamente invitato a modificare i suoi manoscritti già perfetti). Quando poi, per gli stessi inconoscibili criteri, si pubblicò, nel 1974,
Roma senza papa. Cronache romane di fine secolo ventesimo, il «Corriere della Sera»
parlò della rivelazione di «un Gattopardo del Nord […] Frutto raro e inimmaginabile»1.
Davvero “inimmaginabile” oppure l’Italia delle Lettere scopriva di colpo l’evidenza che
essa stessa aveva negato «con luciferina sicumera»2? L’autore di Gavirate era comunque morto il 31 luglio dell’anno prima. Di suicidio e silenzio. Si era concesso di vivere
sessant’un anni. Aveva atteso pervicacemente una legittimazione editoriale quando avrebbe potuto pubblicare a sue spese come aveva già fatto coi saggi Proust o del sentimento (1943) e Realismo e fantasia (1947). Ogni discorso sul “caso Morselli” e su ciò
che avrebbe rappresentato, se un riconoscimento in vita avesse influito sui suoi libri futuri3, resta dunque un’inverificabile ipotesi retrospettiva.
Tuttavia, in questo contributo ci interessa che per reagire al silenzio
dell’incomprensione - «un così vasto cielo e nessun bene»4 - che gli incombeva sulla testa, Morselli, tra i più contemporanei degli scrittori italiani del Novecento5, ha guardato
spesso all’ucronia: la Storia come un disco lanciato in aria che per dispettosi motivi
cambia a un tratto direzione. Quelle di Morselli furono «incursioni irrispettose»6 in zone
sacre. Poteva permettersene la libertà poiché accusato di sfasamento rispetto al proprio
tempo. Il progetto editoriale per Il comunista (‘64-‘65) si arenò quando il libro era arrivato in bozze per Rizzoli. Dopo quella cocente delusione - essere scrittore solo nella
propria coscienza è devastante per uno scrittore - abbiamo un’infilata di romanzi allo1
G. NASCIMBENI, Il romanzo di fantateologia che sta diventando un caso letterario: c’è forse un Gattopardo del Nord, in «Corriere della Sera», 21 ottobre 1974.
2
A. PORTA, Un inedito di Guido Morselli, in «Il Giorno», 3 marzo 1976, p. 3.Sulle responsabilità individuali davanti al rifiuto di Morselli si veda almeno V. S. GAUDIO, Glossarietto morselliano, in «Rivista
di
Studi
Italiani»,
XXVII,
2
(2009)
pp.
253-254.
http://www.rivistadistudiitaliani.it/articolo.php?id=1486
3
Cfr., A. GRATTON, In viaggio attraverso le coordinate di un silenzio: breve introduzione all’opera
narrativa di Guido Morselli, in «Quaderns d’Italià», 14 (2009), p. 160.
4
G. MORSELLI, Diario, a cura di V. FORTICHIARI, Milano, Adelphi, 1988, p. 95.
5
Cfr., A. SANTURBANO, Guido Morselli, l’inattualità di un contemporaneo, in «In limine», 2012, pp.
103-114. http://www.nuovacultura.net/ojs/index.php/in_limine/article/view/252/351
6
A. DI GRADO, Mitteleuropa come utopia: il «contropassato» di Guido Morselli, in «La rassegna della
letteratura italiana», 3 (1984), p. 457.
1
storici come la trilogia di Roma senza papa (‘66-‘67), Contro-passato prossimo (‘69‘70) e Divertimento 1889 (‘70-‘71), che diventa una tetralogia con la finale Dissipatio
H. G., tra 1972 e 1973. La prospettiva è mutata: il dramma borghese del presente non lo
stimola più e l’autore schiaccia ogni idiosincrasia della Storia tra un Medioevo prossimo
venturo e un futuro distopico. Entro queste coordinate immaginifiche, corre
quell’antistoricismo, che lo ha tanto penalizzato: «Quid est historia? Secondo me ci sono soltanto uomini che hanno agito, o che agiscono, per i loro scopi»7. L’idea crociana,
già incrinata dal Falco, degli storici medici dell’anima che si sforzano di mostrare come
il dolore della vicenda storica sia «necessario agli uomini per salire più in alto»8, in
Morselli è completamente sparita.
Quattro libri, tre temi: guerra, cattolicesimo e morte ma quest’ultima nel senso di evaporazione e autoprofezia: «Era deciso, io mi sarei ammazzato»9.
∗
Concentrati sulle bizzarre historiae morselliane come “ventaglio dei possibili”, non
si è dato peso alla base storiografica filologicamente impeccabile, ma indifferente alla
problematica della periodizzazione, che sottende i suoi romanzi, tra erudizione e dimensione filosofica quale resistente ma regolabile puntello, specie in Roma senza papa, dove la Storia è essenzialmente storia della Chiesa, che vede i suoi momenti fondanti nel
Medioevo. Attenzione filologica, sia come meticoloso ricercatore sia come «consultatore di archivi inesistenti»10, come di lui scrisse Giorgio Manganelli. Non a caso l’autore,
in una nota del 2 novembre 1967, lo appuntava come «un esemplare di saggio (o romanzo) avveniristico anche se non ha molto di fantascientifico. Titolo: “Nel 2040”»11.
Alla mensa della Gregoria, con i miei recenti amici. («Gregòria, il nome che le
dànno loro). Self-service, sfondo di musiche elettroniche dell’abate Le-Jeune. Centinaia di commensali, liste in una decina di lingue, non una bottiglia divino, softdrinks. Wiener Schnitzel, spaghetti e curry all’indiana, preparati da automati, in
cucine, mi dicono, dove la presenza umana è abolita […] La cafeteria brulicante di
giovani è sorvolata dallo sguardo di Giovanni XXIV, che si porge urbi et orbi da
una foto, almeno 7 metri per 5, alla parete maggiore»12.
7
G. MORSELLI, Contro-passato prossimo. Un’ipotesi retrospettiva, (1975), Milano, Adelphi, 1987, p.
240.
8
Cfr., G. FALCO, La Santa Romana Repubblica, (1942), Milano-Napoli, Ricciardi, 1973, p. 171.
9
G. MORSELLI., Dissipatio H.G., Milano, Adelphi, (1977), 2009, p. 19.
10
G. MANGANELLI, Raccontò il possibile inesistente, in «Il Mondo», 5 giugno 1975.
11
G. MORSELLI, Diario, cit., p. 125.
12
ID., Roma senza papa, (1974), Milano, Adelphi, 2000, pp. 36-37. D’ora in poi RSP.
2
Presi a considerarlo essenzialmente un libro fantateologico con spiccato accento umoristico13, si è persa di vista l’importanza che riveste lo sfondo medievistico14 in cui è
calato questo futuro tangente della città eterna (non la Roma dei Cesari ma la Roma dei
Papi, per dirla con D’Annunzio). Qui la trama coincide con lo sfondo. Fin dal titolo:
Roma orfana del pontefice rimanda al “secolo breve” della Chiesa, dal 1309 al 1378, in
cui, a partire da Clemente V (Bertrand de Got) la Curia fu avignonese15 (RSP, 12; 57).
Si direbbe che il libro, elenco di ciò che Roma è divenuta, sia una futuribile versione dei
medievali Mirabilia Urbis, ma dove qui la teologia sostituisce quella che lì era toponomastica sacra: luogo-avvenimento. È un romanzo anticonradiano, una serie di considerazioni sul mondo contemporaneo traslate nella metafora di un pellegrinaggio per crucem ad lucem: verso il pontefice. «Mi sono votato a fare a piedi gli ultimi trenta chilometri del mio pellegrinaggio. Il Papa ci riceve sabato mattina» (RSP, 9). Pellegrinaggio
ad limina (RSP, 12) chiama subito in causa un periodo storico braudelianamente di
“lunga durata”, tanto da essere sparato nel futuro: quale occasione migliore di un papa,
Giovanni XXIV, monaco, bello (Jacqueline Kennedy ne è innamorata), figlio
dell’Irlanda di San Colombano, che benedice dagli altoparlanti, come il Big Brother di
Orwell dai teleschermi? Scriveva l’eminente medievista Jacques Le Goff:
Questo papa che, con il suo comportamento, con le sue idee, con la sua parola è un
uomo del Medioevo, ma che allo stesso tempo è l’uomo dei mass media, dei quali sa
servirsi perfettamente. Per me l’attuale papa Giovanni Paolo II è il Medioevo più la televisione16.
Il papa di Roma abbandonata non usa la Tv ma il suo mito si accresce di giorno in
giorno come quello di un personaggio televisivo che d’un tratto si vieta al suo pubblico.
Morselli non vedrà oltre il 1973. «Non mi pento (e non sorrido)», scrive metaletterariamente il protagonista, «della mite audacia profetica in cui culmina, e si chiude, il mio
quaderno romano. E non solo perché a volte è dato agli umili l’antivedere che è negato
ai grandi» (RSP, 155), dove antivedere, come infinito sostantivato, si attesta in tre occasioni dantesche. In Inf., XXVIII, 78: «Che se l’antiveder qui non è vano»; in Purg.,
XVIII, 109; «Che se l’antiveder qui non m’inganna»; in Purg., XXIV; «Tu te n’andrai
13
M. LESSONA FASANO, in Guido Morselli. Un inspiegabile caso letterario, Napoli, Liguori, 1998,
coglie l’aspetto colto del libro ma poi lo definisce incautamente «ameno […] scherzoso e paradossale» (p.
101) Si tratta, al contrario, di un libro serissimo e non privo di ombrosità. Più che fantateologico si direbbe fantacattolico in quanto presenta la verosimile evoluzione della caratteristica politica più spiccata della
Chiesa, il proselitismo e l’espansione esperite attraverso varie forme di evangelizzazione, con l’obiettivo
di coincidere con l’ecumene. È questo un fenomeno che trova la sua origine nel Medioevo. È semmai la
Chiesa moderna che tenderà a chiudersi in se stessa e ad accettare i confini di un’Europa spaccata in due
dalla Riforma.
14
Lo cita una storica dell’Età Moderna come Marina Cafiero in La Repubblica nella città del Papa, Roma, Donzelli, 2005, p. 3, la quale sposta l’ambientazione al 1997, su basi non chiare.
15
Crf., G. C. MERLO, Il cristianesimo latino bassomedievale, in G. FILORAMO – D. MENOZZI, (a
cura di), Storia del cristianesimo. Il medioevo, Roma- Bari, Laterza, 1997, pp. 278-285.
16
J. LE GOFF, Intervista sulla storia, (1982), Milano, Mondadori, 1996, pp. 130-131.
3
con questo antivedere». Quest’ultimo luogo in particolare sembra profetizzare la prescienza morselliana a cui egli stesso porrà fine di lì a pochissimi anni, vale a dire
l’incapacità di gestire un presente caparbiamente ostile (rigetti editoriali) ma di sentire
sviluppi futuri. Farinata e Cavalcante (Inf., X, 94-99).
Come in Contro-passato prossimo, in Roma senza papa il background è generato da
un’ipotesi stravagante: Paolo VI, al secolo Giovanni Battista Montini e guarda caso il
pontefice sotto il quale Morselli scrive il romanzo, ha spostato, la residenza papale fuori
dal Vaticano, trasferendosi in via provvisoria in Laterano (RSP, 76). Non è la prima volta ma è la prima da sei secoli. Non è un caso che il papa da cui parte questo futuro alternativo e provocatorio sia un uomo che se da una parte si definiva in linea col precedente
pontificato di Roncalli, dall’altra si spendeva a riaffermare il ruolo del capo della Chiesa
sul Concilio (Ecclesiam suam, 1964), e una serie di tradizioni minacciate del cattolicesimo romano come il culto di Maria (l’enciclica Mense maio è del ’65)17. Il trasloco è
l’inizio dello scadimento di San Pietro a mausoleo della cattolicità e della decadenza del
cattolicesimo. Alle soglie del XXI secolo, «Roma ha finito di essere caput mundi, è una
capitaletta di terz’ordine sperduta nel MEC» (RSP, 57) mentre Zagarolo è assurto a rango di strapaese, dopo aver scartato una lista di storiche località laziali più idonee, tra cui
«persino Anagni infausta» (RSP, 152), ultima residenza prima della sedevacanza francese. «La Roma urbana è imprigrita, svuotata, con un che di depresso: faccio fatica a ritrovarla io che so quale fosse» (RSP, 30). O ancora: «È una rovina […] Una femmina
senza marito» (RSP, 77). Riecheggiano il Petrarca del viaggio nell’urbe del 1337 (Familiare II, 12) e un passo dell’Anonimo romano: «La citate de Roma stava in grannissima
travaglia. Rettori non avea»18. Dalla Elvezia nevosa, il pastore Don Walter, ritorna dopo
anni a Roma con la missione intellettuale di difendere il cattolicesimo dalla minaccia
della “protestantizzazione” o della codificazione di laceranti tradizioni in una sorta di
una seconda Rerum Novarum. Ma il suo cattolicesimo non è romano che «volenterosamente» (RSP, 39). Romeo (Ρωµαίος), con espressione bizantina, si definisce Walter, vale a dire romano di koinè. Non la Roma comunale di Dupré Theseider19, non la triplice
idea di Roma di Paolo Brezzi20, che in questa cronachetta sembra totalmente tramontata,
ma la teutonica monumentale Geschichte del Gregorovius21 è la guida dell’immaginario
soggiorno capitolino di Morselli.
L’enciclica Foederis Mirandi Narratio (FOEMINA) di Libero I ha istituito il matrimonio ecclesiastico (RSP, 20), abbattendo un pilastro della controriforma tridentina; i
tedeschi plaudono, «melius peccare sensibus […] L’astinenza può essere indizio di ten17
Crf., G. VERUCCI, La Chiesa cattolica in Italia dall’unità a oggi 1861-1998, Roma-Bari,Laterza,
1999, pp. 85-86.
18
ANONIMO ROMANO, Cronica, a cura di G. PORTA, Milano, Adelphi, 1981, p. 111.
19
E. DUPRÉ THESEIDER, Roma dal Comune di popolo alla Signoria pontificia (1252-1377), Bologna,
Cappelli, 1952.
20
P. BREZZI, Storia di Roma, Milano, Martello, 1963.
21
F. GREGOROVIUS, Storia della città di Roma nel Medioevo, Torino, Einaudi, 1973.
4
denze ribelli» (RSP, 28) - autunno del Medioevo, Lutero e Caterina von Bora, pecca
fortiter – ma il via libera alla pillola (Mulierum Christianarum) è eccessivo anche per
gli indolenti romani. Lo stesso papa turco aveva poi anche sancito la fallibilità del pontefice in materia di fede a vantaggio del Sinodo o del Concilio con l’enciclica Humilitate repleti. La parola d’ordine a questo punto non può essere che: «L’obiettivo è il Medioevo. Cinque secoli di deviazionismo umanistico devono essere scavalcati: a ritroso»
(RSP, 40), proprio nel momento in cui la cristianità sta andando verso il prossimo Concilio che dovrà tenersi nel 2000, il Lateranense VI, in cui all’ordine del giorno ci sarà la
battaglia sulla socialidarietà, sfuggente concetto teoeconomico, «che cosa resta da fare
alla charitas oggi. La psicoanalisi novant’ani fa liquidò quel poco che restava
dell’esorcistica. La socialidarietà farà lo stesso con quello che rimane della carità cristiana» (RSP, 71). Niente collette solidali con popolazioni colpite da catastrofi naturali
poiché non è prassi ispirata al Vangelo ma al «gretto istinto della mutualità, hodie tibi,
cras mihi». (Ibidem) La carità si deve pagare. Il tempo della Chiesa coincide ormai, finalmente teorizzato, col tempo del mercante. Il tramite sono i soldi. Scioccante.
Nello stesso tempo anche il conservatore iperista (difensore del culto mariano, con il
saggio Difesa dell’iperdulia) Don Walter, prete integrato e sposato ma non felice a dispetto delle apparenze, non può fare a meno di guardare alla città con occhi che ricordano da vicino quelli di Frate Martino: «Per noi di razza tedesca questa città continua a
fingere una delle possibili propedeutiche all’inferno» (RSP, 12). Si è realizzata la profezia delle pitture propagandistiche di Cola di Rienzo in Campidoglio: la nave in tempesta, senza timoniere, come racconta l’anonimo cronista22, dove Roma è la Chiesa e viceversa, accomunate dal destino del naufragio: «La navicella è sugli scogli» (RSP, 14).
In questa Roma non più cuore ma grosso snodo della cattolicità, le diatribe teologiche sono al centro dei dibattiti come accadeva tra gli intellettuali, non solo chierici, del
Medioevo. La Chiesa che Don Walter annota sul taccuino per poi rielaborarla nella sua
Heimat svizzera alla maniera dantesca - «Rileggo i miei appunti romani e posso scusarmi dell’impressionismo che ci trovo […]» (RSP, 13) «Io dico seguitando ch’assai
prima» (Inf., VIII, 1) -, il cui futuro per noi è già il suo contro-passato è conciliare, lateranense, medievale e insieme postmoderna (si va da Roma a Zurigo in pochi minuti di
pneumatica mentre si sta da secoli sulla santità di Maria). Poiché è nel Medioevo che il
cristianesimo occidentale si definisce, attraverso una serie di Concili e dispute anche
sanguinose, da Nicea (325) al Lateranense V(1512-1517). Sicché questa Chiesa fin de
siècle in è molto più vicina a quella intellettualmente “libera” medievale che non a quella dogmatica uscita dalla lunga risciacquatura di Trento (1545-1563). Se il cattolicesimo
va protestantizzandosi, sembra dirci Morselli, è perché non si è riformato nel Cinquecento; non perché Erasmo abbia vinto, ma perché Lutero ha perso. Don Walter vive una
serie di contraddizioni. Nella Roma vaticana e dintorni, dov’è ambientato il grosso della
storia, splende un alto sole sopra una miriade di bambini e gonne nere di preti svolaz22
ANONIMO ROMANO, Cronica, cit., pp. 106.
5
zanti ma tutta l’opera suona «note di diffusa amarezza»23. Walter si pone mille domande
preda di una nevrosi e sta scendendo a Zagarolo affinché il papa-psicologo gliela sciolga. Roma, in crisi profonda poiché vive del papa - «come all’epoca di Dante o di Severino Boezio» (RSP, 77) -, antica coppia litigiosa e rassegnata, altro non è che lo specchio di una confessione ecumenica ormai preda di tendenze relativiste (sono i moniti di
Joseph Ratzinger), «un estremo di crisi che il mondo spirituale attraversa, in questa incertezza di ogni credente creatura» (RSP, 181). Walter teme per la salvezza della Fede,
e teme per la sua stessa identità. Ma Roma non permette di gridare al pericolo, concede
al limite di scrivere un saggio poco letto, nominato in corpo 5 nella rubrica dei libri ricevuti su «L’Osservatore Romano» (RSP, 14). Walter non ha più scritto dopo quei «30
mesi di lavoro oscuro, massacrante» (RSP, 15). Quando il protagonista della Dissipatio
si siederà alla macchina da scrivere non potrà toccarla: «Il ticchettio dei tasti mi avrebbe
sconvolto»24. Morselli, che generalmente latita dietro i suoi personaggi, che li anticipa o
regredisce, deve aver voluto bene al prete svizzero come un vero e proprio doppio autobiografico.
∗
Ma l’aspetto più acuto del romanzo sta nell’aver saputo interpretare una delle più dilanianti caratteristiche dello spirito medievale, della sua cultura e psicologia. La sempre
tentata e quasi mai riuscita parificazione tra i retaggi classici e la Bibbia. Tra un sacro
indiscutibile e un passato profano al quale tuttavia non si può non guardare poiché gli
intellettuali medievali definiscono se stessi quali nani sulle spalle di giganti. Per leggere
i classici il Medioevo ha bisogno di farli coincidere con i precetti biblici, a questo servono gli integumenta, i rivestimenti in chiave cristiana degli auctores. Nihil sub sole
novum, sed renovata vides, secondo Giovanni di Garlandia (XIII sec.). Si confrontino
questi due passi. Il primo è Don Walter.
C’erano vescovi gallicani che proibivano al clero l’uso ‘peccaminoso’ della cioccolata, e intanto non si accorgevano che nei seminari si leggeva Bayle (l’“ateo virtuoso”, ndr) sottobanco, e ci si preparava a leggere Jean-Jacques. (RSP, 106)
Il secondo è il mediolatinista Gustavo Vinay. Nell’Alto Medioevo, gli dèi, vale a dire
il male,
23
24
G. MORSELLI, Diario, cit., p. 98.
ID., Dissipatio H. G., cit., p. 15.
6
sono troppo dèi per essere qualcos’altro: a differenza della Scrittura, l’Eneide resiste nella sua lettura che nulla vale a scalfire. E allora si legge, si gode, si nasconde
sotto il cuscino e la notte vengono gli incubi25.
Il problema del male e del diavolo è splendidamente risolto dalla Chiesa del Duemila
attraverso la cattolicizzazione dell’inconscio. «Unconscious and Sacrament» (RSP, 47)
sarà la rivista della Loyola University di Chicago, molto attiva in questa battaglia. La
scoperta più rivoluzionaria del Novecento viene sacralizzata e come avevamo FordFreud nella distopia di Huxley, abbiamo Cristo-Freud in Morselli. I tormenti
dell’intellettuale medievale, tra liceità ortodossa ed eresia, il cristianesimo del futuro li
sta combattendo con la creazione dell’IPPAC, «Istituto per la Promozione della Psicoanalisi Cattolica» (RSP, 46). Una mossa politica:
Si tratta di assicurare alla Chiesa l’ideologia del secolo. Devo “capacitarmi”, Calvino, Rousseau e Marx al contrario erano dei dilettanti. Si tratta di convertire
l’Anticristo, di battezzare Freud. […] – Chi ha la psicoanalisi ha il mondo -. (Ibidem)
L’inusitato integumentum di Freud e Jung risolve il più grande problema della fede:
il serpente. Giovanni XXIV ha abolito la credenza nel diavolo, con buona pace delle
mai sopite tendenze catare in seno al cristianesimo. Il nuovo Papa è Victor Diaboli. I
dubbi sono divenuti «“sintomi schizofrenici”. Sant’Agostino, Duns Scoto, Meister Eckart furono tormentati dal dubbio. Lo sappiamo bene. Ma ecco, precisamente: si parlava di dubbio. Adesso si parla di schizofrenia» (RSP, 108). Se il monaco Otlone di
Sant’Emmeram, nel XI secolo, tormentato dalla sua spietata lettura di una Bibbia altrettanto crudele – De tentationibus suis –, a precorrere i travagli luterani, sfiorava la follia
e poi rientrava in seno alla Chiesa per aver storicizzato la sua stessa nevrosi, allo stesso
modo non c’è contraddizione per i seguaci dell’IPPAC: «Sono neurosi, ‘disturbi’ da curare, tutt’al più in una delle nostre belle cliniche svizzere sui laghi […] La fede è risolta
al 100% nella psicologia, o psicopatia, è un caso particolare della casistica studiata da
Charcot o da Freud».
Similmente sono tenuti in conto i miracoli, quella sorta di istruzione probatoria della
fede, dove «il taumaturgo opera con mezzi assimilabili al meta-psichico o semplicemente all’ipo-psichico: vale a dire il suggestivo, l’inconscio individuale o collettivo» (RSP,
138). L’esempio di Padre Pio sostituisce l’antica agiografia. Un’isteria di massa, ma
controllata e indirizzata nelle sue potenzialità. E la memoria del medievista non può che
andare al pionieristico classico di Marc Bloch (1924) sul tocco delle scrofole, dove si
analizza un vero fenomeno di lunga durata. La credenza diffusa in Europa per circa dieci secoli nelle potenzialità guaritrici dei re di Francia e d’Inghilterra, che generarono ve25
G. VINAY, Peccato che non leggessero Lucrezio, Riletture proposte da Claudio Leonardi, Spoleto,
CISAM, 1989, p. 446.
7
ri e propri pellegrinaggi di malati alla corte dei sovrani capetingi e plantageneti, I re
taumaturghi. Uno studio di storia sacra e insieme politica sul concetto medievale e moderno di regalità derivata direttamente da Dio. Ma la novità dell’approccio blochiano, in
particolare evidente in questo libro stava proprio nella fusione di discipline diverse
dell’ambito umanistico, in funzione di ancelle della ricerca storica, come appunto
l’antropologia e la psicologia. Sulla scorta, anche qui di Jung, Durkheim e Lévy-Bruhl,
lo storico lionese arrivava a spiegare quella mentalità primitiva e quelle condizioni psicologiche del tempo che creavano la base della credenza stessa nel miracolo col risultato di un gigante «errore collettivo»26.
Infine, il Medioevo di Morselli e l’elegante rappresentazione dello scontro in atto tra
una neoscolastica e «un umanesimo senza Dio»27, terminano davanti al pontefice, simbolo vivente e felicemente consapevole del tramonto del papacentrismo. Giovanni, il
padre in assoluto, è persino tendenzialmente agorafobico. Cosa resta in lui del Vicarius
Christi? I medievisti sanno che secondo la formula del canonista Enrico di Susa, detto
l’Ostiense (seconda metà del XIII secolo), Ubi papa, ibi Roma. L’espatrio avignonese
era stato giustificato da una sconfitta politica del papato contro la monarchia di Filippo
IV il Bello, dallo sfregio di Sciarra Colonna e di Nogaret a Benedetto Caetani. Ma alle
soglie del Duemila, abdicando alla nuda proprietà del suolo romano, sostituita con quella agreste della sacra masseria di Zagarolo, dov’egli torna monaco nelle attività di ogni
giorno, cosa resta in lui del Vicarius Petrii? I romani la sentono quasi come una intollerabile sconfitta sportiva e si vendicano sui muri con anonime pasquinate: «No me consolo – Non per chi m’ha piantato come un palo - Ma che a fregamme è stato Zagarolo»
(RSP, 174).
Da ultimo è nel corso dell’udienza che Sua Santità rivolge ai presenti parole che
rompono non solo ogni tradizione ma secoli di progettazione teologica: «Dio non è prete» (RSP, 177) e «delle cose del mondo il Papa non può occuparsi […] non può trattare»
(RSP, 179). Non è prete, dunque il rapporto privilegiato tra Chiesa e Dio, Chiesa e Scritture, come istituzione di mediazione tra cielo e Terra non ha ragione di esistere. Non
può trattare delle cose terrene, dunque alla Chiesa va ricondotta solo la cura d’anime. È
la rinuncia all’aspirazione temporale o alla ingerenza politica. Di più: è l’abdicazione
del papa alla sua magna sapientia nel temporale. Secoli di elaborazione dottrinale – dai
Dictatus Papae di Gregorio VII (1075) alla Unam Sanctam (1303) di Bonifacio VIII
(Ego sum Caesar, ego sum Imperator28) sono definitivamente sepolti.
26
M. BLOCH, I re taumaturghi. Studi sul carattere sovrannaturale attribuito alla potenza dei re particolarmente in Francia e in Inghilterra, (1924), Torino, Einaudi, 1998, p. 335.
27
C. MARIANI, Guido Morselli, in «Studi Novecenteschi», XVIII, 41 (1991), p. 21.
28
Affermazione attribuita a Bonifacio davanti ai cardinali, secondo il Chronicon dal 1276 al 1314 di
Francesco Pipino, in L. A. MURATORI, Rerum Italicarum Scriptores, Milano, 1926, p. 745.
8
∗
Nel 1971, Vittorio Sereni per Mondadori aveva posto a Morselli come condizione
dell’uscita di Contro-passato prossimo la revisione (vera e propria riscrittura) di alcune
parto del romanzo giudicato troppo saggistico-didascalico ma l’idea di fondo e lo stile
erano comunque graditi. Morselli, che voleva percorrere le vie legali senza operazioni
eutanasiche clandestine sulla versione originale delle sue opere, rispose inserendo tra la
prima e la seconda parte, un intermezzo critico, dove immaginava una conversazione tra
autore ed editore sul testo pubblicato e difendeva la sua concezione di storia come
“scienza del probabile” di contro alla storia scienza del passato: l’opera, scriveva, «non
appartiene alla letteratura evasoria, non è una fuga all’indietro»29. Era l’irrimediabile
rottura tra i due. Sereni respingeva la pubblicazione30.
Nemmeno Roma senza papa lo era. Non fuga all’indietro né salto nel buio ma un apocrifo sperimentale divertissement che risolveva i nodi insoluti della storiografia della
prima metà del XX secolo nell’unico modo possibile: negando la religione storicista del
tutto ciò che è razionale è reale e viceversa. Troppo per un tradizionalissimo modo di
concepire la Storia per compartimenti stagni ed etichette: classicità, secoli bui, modernità. Troppo per un Medioevo tradizionale appannaggio di studiosi cattolici (il Medioevo
cristiano di Raffaello Morghen è del 1951). Troppo anche per il clima pre-sessantottino
in cui il libro veniva presentato. Quando, del resto, dopo il suicidio venne letta la sua
posta, si trovò una lettera di rifiuto di Bompiani che definiva Dissipatio H. G. – il libro
che spiega tutti gli altri libri di Morselli – «interessante ma troppo ambizioso». Aggiungendo un significativo e inane: «Peccato»31.
29
30
31
G. MORSELLI, Contro-passato prossimo, cit., p. 123.
V. FORTICHIARI, La fama è postuma, in «La linea d’ombra», 132 (1998), pp. 10-11.
Ivi, p. 42.
9