seduta antimeridiana di mercoledi`3 ottobre 2007

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seduta antimeridiana di mercoledi`3 ottobre 2007
Camera dei Deputati
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Indagine conoscitiva – 7
SEDUTA ANTIMERIDIANA DEL
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COMMISSIONE XIII
AGRICOLTURA
RESOCONTO STENOGRAFICO
INDAGINE CONOSCITIVA
7.
SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 3 OTTOBRE 2007
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIUSEPPINA SERVODIO
INDICE
PAG.
Sulla pubblicità dei lavori:
Servodio Giuseppina, Presidente ................
3
INDAGINE CONOSCITIVA SUL SETTORE
VITIVINICOLO
Audizione delle associazioni nazionali di
produttori del vino (Federvini, Federdoc,
Unione italiana vini):
Servodio Giuseppina, Presidente ..... 3, 4, 9, 10, 14
PAG.
Cagiano De Azevedo Ottavio, Direttore generale della Federvini ..................................
6, 12
Fiorio Massimo (Ulivo) ...............................
9
Ricci Curbastro Riccardo, Presidente della
Federdoc ........................................................
4, 11
Sabellico Alberto, Rappresentante della
Unione italiana vini ....................................
3, 14
N. B. Sigle dei gruppi parlamentari: L’Ulivo: Ulivo; Forza Italia: FI; Alleanza Nazionale: AN; Rifondazione
Comunista-Sinistra Europea: RC-SE; UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di
Centro): UDC; Lega Nord Padania: LNP; Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo: SDpSE;
Italia dei Valori: IdV; La Rosa nel Pugno: RosanelPugno; Comunisti Italiani: Com.It; Verdi: Verdi;
Popolari-Udeur: Pop-Udeur; DCA-Democrazia Cristiana per le Autonomie-Partito Socialista-Nuovo
PSI: DCA-NPSI; Misto: Misto; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Movimento per
l’Autonomia: Misto-MpA; Misto-Repubblicani, Liberali, Riformatori: Misto-RLR; Misto-La Destra:
Misto-Destra.
PAGINA BIANCA
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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
GIUSEPPINA SERVODIO
La seduta comincia alle 9,45.
(La Commissione approva il processo
verbale della seduta precedente).
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà
assicurata anche attraverso l’attivazione di
impianti audiovisivi a circuito chiuso e la
trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.
Audizione delle associazioni nazionali di
produttori del vino (Federvini, Federdoc, Unione italiana vini).
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca,
nell’ambito dell’indagine conoscitiva sul
settore vitivinicolo, l’audizione delle associazioni nazionali di produttori del vino
(Federvini, Federdoc, Unione italiana vini).
Sono presenti il dottor Ottavio Cagiano
De Azevedo, direttore generale della Federvini, il dottor Riccardo Ricci Curbastro,
presidente della Federdoc, il dottor Pasquale De Meo, rappresentante della Federdoc, e il dottor Alberto Sabellico, rappresentante dell’Unione italiana vini.
Ringrazio cordialmente i nostri ospiti
per aver accolto l’invito della Commissione; questa non è la prima volta che ci
incontriamo e che dibattiamo sul tema
oggetto dell’odierna audizione.
Ricordo che la Commissione ha deliberato, nella seduta del 28 giugno scorso,
di svolgere un’indagine conoscitiva, al fine
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di seguire attentamente la definizione
della riforma del mercato vitivinicolo a
livello comunitario e, in una fase successiva, di valutarne l’impatto a livello nazionale, anche sotto il profilo normativo.
Come è stato segnalato nella lettera di
invito, l’audizione è finalizzata, in particolare, ad acquisire le vostre valutazioni
sulla proposta di regolamento comunitario
relativo alla riforma dell’organizzazione
del mercato vitivinicolo, presentata dalla
Commissione europea il 4 luglio scorso.
Do ora la parola agli auditi, che ringrazio di nuovo. Al loro intervento faranno
seguito eventuali domande da parte dei
deputati, alle quali gli auditi potranno
replicare.
ALBERTO SABELLICO, Rappresentante
dell’Unione italiana vini. Sono Alberto
Sabellico, rappresentante dell’Unione italiana vini.
Senza scendere nei dettagli, la Confederazione ritiene, in linea di massima, che
l’impostazione della nuova OCM vino predisposta dalla Commissione europea sia
idonea a realizzare l’equilibrio del mercato vitivinicolo a livello europeo e a
rilanciare il settore in campo internazionale. Si nutrono, tuttavia, perplessità per
quanto concerne l’aspetto relativo alla designazione, cioè all’etichettatura, in quanto
non si condivide la previsione di indicare
la varietà di vite per i vini da tavola
generici. Se si dovesse verificare tale previsione, si creerebbero notevoli interferenze con la categoria dei vini da tavola a
indicazione geografica, che attualmente riscuotono un notevole successo da parte dei
consumatori. D’altro canto, indicare la
varietà di vite nei vini da tavola generici
presenterebbe anche notevoli difficoltà ai
fini del controllo, in quanto risulterebbe
molto arduo accertare se effettivamente
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quel vino provenga dalla varietà di vite
indicata nell’etichettatura, non essendo la
tracciabilità nel settore dei vini da tavola
molto marcata, a differenza delle categorie
dei vini ad indicazione geografica tipica e
a denominazione di origine controllata.
In conclusione, in via generale, si concorda con l’impostazione data dalla Commissione europea alla nuova realizzazione
dell’OCM vino, si nutrono perplessità per
quanto concerne l’indicazione della varietà
di vite sui vini da tavola generici e si
è possibilisti nel prevedere per quest’ultima categoria di vini, cioè i vini da tavola generici, che sia riportata l’annata di
raccolta.
PRESIDENTE. La ringrazio, anche per
la sinteticità.
RICCARDO RICCI CURBASTRO, Presidente della Federdoc. Ringrazio la Commissione per l’attenzione che ci sta dimostrando in questi mesi, in una fase in cui
oggettivamente siamo molto preoccupati.
Siamo tutti d’accordo che sia necessaria una riforma della OCM vino, molto
meno concordi sui risultati che la proposta
della Commissione europea stessa potrebbe portare nel nostro settore e, in
particolare, per quanto riguarda i vini a
denominazione di origine controllata, che
sono per l’Italia uno dei più importanti
pilastri. Voglio ricordare che quando si
parla, come nei giorni scorsi sui giornali,
di grande successo dei vini italiani, il
primato, in America, spetta al Pinot grigio
del Veneto, che è un vino ad indicazione
geografica tipica. Quindi, dobbiamo porre
grande attenzione ad un meccanismo che
fino adesso ci ha permesso di conseguire
notevoli successi.
Mi riferirò essenzialmente alla relazione dell’onorevole Castiglione, perché
siamo in fase di discussione, e credo sia
importante ricordare a tutti noi che entro
il 18 ottobre sarà possibile presentare
emendamenti, che saranno discussi in sede
di Commissione agricoltura dell’Unione
europea e, successivamente, a dicembre, in
sede plenaria presso il Parlamento di Strasburgo. Il budget attuale (mi riferirò agli
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articoli per semplificare il mio intervento)
deve restare, riguardo all’articolo 17 (concordiamo in proposito con l’onorevole Castiglione), nel primo pilastro, evitando che
possa trasferirsi al secondo pilastro, diventando un budget generico, non più
destinato al settore vitinicolo. Questo è un
passaggio fondamentale, perché rischiamo
di perdere fondi che sono fondamentali
per la viticoltura europea.
Gli articoli 7 e 9 riguardano le misure
di sostegno. Le attuali previsioni di programmi di sostegno con promozione e
conoscenza sul mercato comunitario,
come sapete, sono assolutamente risibili:
un budget di tre milioni di euro, per un
mercato che rappresenta il 67 per cento
del mercato mondiale del vino, significa
lasciare il mercato europeo in mano ai
nostri concorrenti più agguerriti. Anche in
questo caso, la proposta dell’onorevole
Castiglione, che prevede una migliore distribuzione dei fondi, con campagne anche
di informazione ed educazione al consumo
di vino in Europa, ci trova assolutamente
favorevoli. Sosteniamo anche l’idea che sui
mercati terzi si debbano promuovere essenzialmente i vini ad indicazione geografica, quindi quelli a denominazione di
origine e indicazione geografica.
Gli articoli 20 e 26 concernono le
pratiche enologiche. Condividiamo la proposta dell’onorevole Castiglione di respingere quanto scritto dalla Commissione.
Non è possibile immaginare un sistema
duale di pratica enologica, cioè pratiche
enologiche ammesse per i vini che si
producono per i Paesi terzi e pratiche
enologiche ammesse per i vini che si
producono per il mercato interno: un
meccanismo di questo genere è incontrollabile. Ben venga una lista positiva di
pratiche enologiche unica, però non controllata dalla Commissione (che in passato,
soprattutto con gli accordi bilaterali con
gli Stati Uniti, ha creato tanti problemi in
questo settore), ma che continui ad essere
gestita dal Consiglio.
L’articolo 26-bis riguarda le prestazioni
viniche. Giustamente, la proposta Castiglione ripristina la pratica nella misura del
10 per cento dell’alcol contenuto nel vino.
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Sottolineo che questo passaggio è fondamentale, non soltanto per una questione
qualitativa (si tratta di evitare la sovrappressione dei prodotti dell’uva nella produzione del vino, quindi è una misura di
qualità), ma soprattutto pensando alla destinazione dei sottoprodotti, vinacce e feccie, i quali, se non andassero alla distillazione, diventerebbero rifiuti speciali, di
cui non sapremmo cosa fare, nelle nostre
cantine, con conseguenti costi esorbitanti
di smaltimento. Quindi, si tratta di un
passaggio che ha una duplice funzione:
destinare questi prodotti alla distillazione
significa renderli inattivi dal punto di vista
ambientale, il che non va assolutamente
sottovalutato. Questa è una misura che ha
una duplice valenza, di cui sottolineo con
forza la seconda.
L’articolo 27 riguarda la denominazione di origine. La proposta Castiglione
definisce in modo corretto la denominazione di origine, chiarendo che non solo
l’origine delle uve, ma anche la trasformazione, l’elaborazione e l’imbottigliamento debbono avvenire in una zona geografica delimitata. Questo è un passaggio
che la Commissione aveva completamente
obliterato e che avrebbe reso possibile (noi
lo abbiamo detto in termini provocatori)
che si producesse un Chianti a Stoccolma.
Ciò non ci avrebbe fatto assolutamente
piacere, anche perché si perderebbe quel
rapporto con il territorio e con le pratiche
enologiche che ben conoscete.
L’articolo 28 parla di disciplinare. Si
prevede una descrizione del vino, le principali caratteristiche fisiche, chimiche, microbiologiche e organolettiche. Ciò va benissimo, inclusa la delimitazione geografica della zona di produzione, però bisogna fare attenzione, perché nel meccanismo messo in piedi dalla Commissione
(questo non è previsto nella proposta Castiglione) le DOC passerebbero automaticamente al sistema DOP e le IGP passerebbero automaticamente al sistema IGP.
Questo significa che anche per le IGT e
IGP future sarebbe previsto un disciplinare molto più restrittivo di quello attuale.
Il grande vantaggio ricordato prima a
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proposito del Pinot grigio del Veneto – e
sottolineo ancora una volta questo meccanismo – sarebbe vanificato.
Il grande vantaggio del sistema italiano
è quello di avere due binari: da una parte,
dei disciplinari più restrittivi, che riguardano i vini a denominazione di origine,
dall’altra, dei vini moderni, anche più
facili da produrre, per grandi masse, con
i quali abbiamo ottenuto un grande successo. Non vorremmo che il disciplinare di
questi vini diventasse la fotocopia di quello
degli altri, perché ciò ostacolerebbe queste
produzioni di grande successo. Ribadisco
questo passaggio, rispetto al quale stiamo
studiando cosa scrivere nel testo legislativo. Sottolineo (non è scritto nel documento che vi lasceremo, ma credo sia
condiviso anche dal mondo industriale)
che corriamo il rischio di produrre due
vini molto simili, e non ne abbiamo bisogno. Oggi noi viaggiamo su due binari ben
distinti, entrambi di grande successo.
L’articolo 37 riguarda i marchi commerciali. Anche a questo proposito, ci
sembra che la proposta Castiglione vada
nella giusta direzione: è lo Stato membro
che procede alla registrazione delle denominazioni; non è possibile premiare un
marchio privato nella fase di registrazione
di una denominazione. Con il meccanismo attuale e con i tempi di Bruxelles,
sarebbe stato facilissimo presentare un
marchio privato nella fase istruttoria di
una futura ed eventuale denominazione.
Per non essere frainteso, chiarisco che non
avverto la necessità di nuove denominazioni, anzi sono tra coloro che vorrebbero
fossero diminuite, ma evidentemente dobbiamo tenere presente questo tipo di problema: non possiamo premiare il marchio
privato che va a coprire un nome di
denominazione.
L’articolo 50 concerne l’etichettatura.
Siamo, come nella proposta Castiglione,
contrari all’indicazione di annata e vitigno
sui vini da tavola, per il semplice fatto
– lo ha ricordato chi mi ha preceduto –
che non è possibile dare garanzie al consumatore riguardo all’origine di questi
vini. Non essendoci una garanzia di origine, diventa impossibile dare una garan-
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zia relativamente ad annata e vitigno.
Oltretutto, sempre parlando del sistema
binario italiano, le nostre IGT sono di
fatto dei vini da tavola che riescono a
garantire queste indicazioni geografiche,
perché hanno un minimo di disciplinare e
quindi di tracciabilità.
L’articolo 55 è relativo alle organizzazioni interprofessionali. L’emendamento
Castiglione prevede una diversa definizione delle organizzazioni interprofessionali, che condividiamo interamente perché
chiarisce cosa si intende, soprattutto nel
nostro Paese, quando si parla di organizzazioni interprofessionali.
L’articolo 80 riguarda i diritti di reimpianto. La proposta Castiglione prevede il
divieto di impianto solo per le superfici
vitate a denominazione e la libertà di
impianto per le superfici vitate da tavola.
Vorrei sottolineare che siamo abbastanza
spaventati da questa ipotesi, perché riteniamo che i vigneti da tavola verrebbero
impiantati in vaste zone di produzione a
denominazione, con il rischio che con il
tempo si tenti di travasare queste produzioni all’interno delle denominazioni. D’altra parte, siamo, come tutti, favorevoli a
trovare un sistema che dia maggiore libertà alle imprese per crescere. Riteniamo
che, almeno fino al 2014, il sistema potrebbe prevedere la massima liberalizzazione dello spostamento dei diritti di reimpianto all’interno dell’Unione europea.
Questo dovrebbe permettere una crescita
adeguata a quelle imprese e a quelle zone
che sono in grado di crescere, per poi fare
una valutazione della situazione nel 2014.
Il meccanismo dei diritti di reimpianto è
evidentemente molto delicato; non sappiamo con esattezza che cosa succederà,
nessuno di noi riesce a fare delle previsioni precise. Quindi, forse questa sarebbe
una strada più prudente, che, allo stesso
tempo, soddisferebbe la richiesta di liberalizzazione da parte di alcune imprese.
Nell’allegato V, vi sottolineo questo passaggio: laddove si parla di arricchimento,
acidificazioni e disacidificazioni in alcune
zone viticole, le regole proposte non tengono assolutamente conto della specificità
dei vini spumanti. I vini spumanti sono
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una categoria molto importante per il
nostro Paese, hanno la caratteristica di
avere oggi, sempre e comunque, indipendentemente dalla buona o cattiva annata,
un arricchimento di due gradi. L’ipotesi di
un arricchimento massimo di un grado
renderebbe impossibile la produzione di
questi vini, che sono caratterizzati essenzialmente dalla necessità di essere raccolti
prima della maturazione, in modo da
garantire acidità più alte. Essi, quindi,
hanno bisogno di un arricchimento nell’ordine dei due gradi, che non può essere
legato all’annata, ma che è un fatto strutturale di questi vini: è sempre stato cosı̀ e
continuerà ad esserlo.
Questo è un passaggio fondamentale,
sul quale vi chiediamo la massima attenzione, perché, se non preserviamo l’attuale
lettera H dell’allegato V del regolamento
CEE 1493/99, con una piccola modifica
(che tra l’altro vi ho indicato per iscritto),
rischiamo di perdere la produzione spumantistica nel nostro Paese.
OTTAVIO CAGIANO DE AZEVEDO,
Direttore generale della Federvini. Devo
innanzitutto motivare l’assenza del presidente Piero Mastroberardino, che è bloccato nel traffico sull’ autostrada tra Napoli
e Roma e si scusa per non poter essere
presente.
Mi permetterò, vista l’attenta e precisa
presentazione di chi mi ha preceduto, che
condivido per tantissime parti, di ripercorrere solo i vari punti, in modo da
completare il quadro e guadagnare tempo
nell’esposizione. Parto proprio dall’ultima
considerazione, quella sui vini spumanti,
non fosse altro perché sono un prodotto
per brindisi e quindi devono essere sempre
pronti per poter brindare ai successi, come
l’emanazione di un buon regolamento.
È positivo porre attenzione sulla richiesta presentata e anche su un’altra piccola
considerazione, per la quale la professione
italiana si batte da anni: eliminare la
categoria dei cosiddetti prodotti gassificati.
Oggi, nel regolamento, tali prodotti sono
presenti; si parla continuamente di vino
frizzante gassificato, di vino spumante gassificato. Non vi è ragione di utilizzare
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promiscuamente dei termini riferiti a categorie di prodotti per i quali le tecniche
spontanee e naturali sono complesse e un
prodotto è gassificato, cioè ottenuto per
semplice addizione di anidride carbonica.
È un dettaglio, ma è un dettaglio di rilievo
proprio in questo processo di semplificazione, oltre che di migliore e maggiore
tutela del consumatore.
Mi soffermo quindi a ritroso, per comodità di memorizzazione, sui temi toccati da chi mi ha preceduto, partendo
proprio dalla liberalizzazione degli impianti o cosiddetti diritti di rimpianti. È
un tema sul quale è difficilissimo avanzare
delle ipotesi su quanto avverrà, ma che
non può neanche essere affrontato in
termini di principi: liberalizzazione sı̀ o
liberalizzazione no. Partiamo dall’esame di
ciò che ha portato al blocco degli impianti
dei vigneti nella vitivinicoltura europea e
in quella italiana. Credo, purtroppo, che
non possiamo non verificare che ciò ha
creato molta distorsione, perché lo abbiamo considerato uno strumento utile,
ipotizzando che il vigneto e il mercato del
vino nel mondo fossero solo quelli europei.
Il resto del mondo è andato avanti con
altre regole, con altre produzioni, che sono
proprio quelle che, ad un certo punto,
hanno creato squilibri sul mercato finale.
In più, ha creato complicazioni alla produzione, perché non dobbiamo dimenticare che molte delle denominazioni di
origine italiane (probabilmente quelle
meno note, quelle che comunque oggi
fanno parte di un sistema difficile da
gestire e da accreditare al consumatore)
sono nate o per aggirare il divieto, quando
esso in un primo momento riguardava solo
i vini da tavola e non quelli DOC, o per
aggirare gli obblighi di distillazione,
quando questi riguardavano i vini da tavola e non quelli DOC. Se non dimentichiamo questa stortura iniziale, probabilmente riusciremo a fare un’analisi, pur
difficile e complessa, su ciò che può essere
la liberalizzazione.
Come rappresentanza di imprese, affermiamo che la liberalizzazione è necessaria, non può esistere un settore con un
vincolo cosı̀ forte all’origine, al punto di
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partenza, quello delle materie prime, lasciando poi una liberalizzazione completa
sul mercato. Non siamo cosı̀ sciocchi, ma
possiamo anche dire cose peggiori; visto
che parlo della mia persona, non sono cosı̀
sciocco da non ritenere che alla liberalizzazione si debba arrivare con un volano,
con una serie di misure che siano attente
agli equilibri. Se non si farà questo percorso, se non si imboccherà questa strada,
chi soffrirà di più saranno proprio le
vitivinicolture tradizionali, in primis quella
italiana, che si rivolge ad un territorio
complesso come quello italiano.
Anche qui una piccola notazione rispetto a tutte le altre vitivinicolture europee: Spagna, Francia, Portogallo, Germania, i maggiori Paesi produttori vinicoli
hanno, nel proprio ambito, aree estesissime
di produzione viticola, hanno delle zone
vocate. Noi abbiamo un sistema Paese vocato: non c’è regione, non c’è provincia, non
c’è comune che non abbia una parte del
territorio impegnata a vite. È una differenza fondamentale, importantissima, sulla
quale chiediamo di valutare con attenzione
come possa incidere il processo delle liberalizzazioni degli impianti.
Per quanto riguarda la questione delle
denominazioni di origine, siamo favorevoli
all’impianto previsto dalla Commissione
riguardo all’evoluzione del sistema di tutela. Cerco di spiegarmi meglio. L’attuale
sistema di protezione delle denominazioni
è un sistema efficace ma non troppo, come
abbiamo visto nel 1999, quando molte
delle nostre denominazioni tradizionali
sono state giudicate non tutelabili; comunque, è un sistema efficace all’interno dell’Unione europea. All’interno dell’Unione
europea non c’è possibilità di « sgarrare »:
il Chianti deve essere Chianti, il Frascati
deve essere Frascati, la IGT Sicilia deve
essere IGT Sicilia. Purtroppo, cosı̀ non è in
campo internazionale. Ci sono delle denominazioni che vengono usurpate, che non
sono sufficientemente tutelate.
Segnalo quello che da una parte è uno
strumento efficace di tutela, ma dall’altra
è un’aberrazione del sistema, cioè l’essere
stati costretti a ricorrere, sui mercati internazionali, al deposito come marchio
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delle nostre denominazione più importanti. Ritengo sia un sistema efficace,
perché la legge sui marchi è la più forte in
campo internazionale, ma lo considero
un’aberrazione, perché un marchio, per
quanto collettivo, è uno strumento di natura privatistica, è uno strumento di tutela
particolare. Una denominazione, che è
un bene nazionale, non può sottostare a
questo vincolo, a parte l’onerosità e a
parte che la protezione deve essere garantita nel tempo. Non si tratta solo di
registrarla ogni « tot » anni, ma anche di
opporsi agli usi impropri: alla onerosità
della registrazione si aggiunge l’onerosità
della protezione.
Da questo punto di vista, auspichiamo
che la proposta della Commissione faccia
un passo in avanti e fornisca gli strumenti
per proteggere le denominazioni in ambito
internazionale. È un lavoro difficile; tecnicamente, ci sono spazi (e al riguardo
condivido pienamente l’intervento del presidente Ricci Curbastro) per migliorare le
norme, ma l’obiettivo finale, quello di
uscire da un sistema di tutela che è stato
efficace solo all’interno dell’Unione europea per andare verso un sistema di tutela
che guardi il mondo, noi lo condividiamo,
lo sposiamo e lo riconosciamo come un
obiettivo fondamentale di questa nuova
riforma.
Sulle questioni più tecniche, le pratiche
enologiche e l’etichettatura, esprimiamo
un giudizio critico sulla liberalizzazione
della possibilità di indicare il vitigno e
l’annata svincolati dal riferimento geografico. Il riferimento geografico deve rimanere l’elemento principale di riferimento;
se andassimo verso la sola indicazione del
vitigno, probabilmente faremmo perdere
al settore non solo uno degli elementi
fondanti dell’economia, ma anche il prestigio, cioè il legame con le sue radici.
Quindi, da questo punto di vista, ripeto, ci
opponiamo e concordiamo con la proposta
dell’onorevole Castiglione.
Anche in materia di pratiche enologiche dobbiamo essere cauti. Il sistema
duale, cioè una lista di pratiche enologiche
per il mercato europeo ed una per il
mercato nazionale, non può funzionare;
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però non può neppure funzionare che noi
accettiamo, riceviamo e consumiamo produzioni ottenute con tecniche non invasive, che in Europa potrebbero anche
essere utilizzate serenamente, ma non si
usano a causa di preoccupazioni di poco
conto rispetto della tradizione o, peggio, di
tipo salutistico. Se beviamo un vino perché, in virtù del commercio internazionale,
lo abbiamo ricevuto da altri Paesi, che
hanno già valutato queste caratteristiche,
credo sia giusto che anche l’Europa limiti
un poco la sua supponenza, che la porta
a considerarsi più brava nel tutelare la
salute dei propri cittadini.
Quindi, non due liste di pratiche enologiche, non due pesi e due misure, ma
una lista unica, sulla quale poi ogni Stato
possa introdurre le sue limitazioni, perché
lo Stato membro avrà sempre la facoltà di
disciplinare diversamente e in maniera più
restrittiva le proprie norme e le proprie
produzioni. Tuttavia, una lista di riferimento esiste, e quindi in questo caso il
riferimento all’organizzazione internazionale della Vigne et du Vin (un organismo
intergovernativo che opera anche con la
collaborazione di comitati di esperti in
tutte le discipline, non solo in enologia, ma
anche in medicina e in tossicologia) ci
sembra corretto e riteniamo sia un giusto
faro per l’elenco che la Commissione deve
adottare.
Infine, l’insieme di problemi che, anche
se diversi nei contenuti e nelle materie,
considero un tutt’uno: gli interventi di
mercato, il saccarosio e le prestazioni
viniche. Perché li considero un tutt’uno
pur essendo ben diversi ? Perché qui bisogna « smascherare » la Commissione.
Questa proposta, al di là delle dichiarazioni, che condividiamo (e mi ha fatto
piacere ascoltare un’analoga condivisione
da parte di chi mi ha preceduto), deve
risolversi in una riforma incisiva, che vada
in profondità. Ma non possiamo fare
solo una riforma a costo zero (la riforma
delle pratiche, la riforma del concetto di
denominazione di origine), quando sappiamo che tutte le misure, dal saccarosio
alle prestazioni viniche, agli interventi di
mercato, alla promozione, richiedono un
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certo budget, e qui tale budget non c’è.
Quello che c’è, al momento, è un budget
improprio.
Questo perché, come è emerso chiaramente dopo la prima riunione del Consiglio dei ministri dell’Unione europea (nella
quale 22 Stati su 27 si sono opposti), non
c’è un equilibrio che faccia immaginare
che sia possibile trovare delle formule di
compromesso (noi invece lo chiediamo in
tutti i modi). Nel momento in cui, in
deroga, verrà reintrodotto il saccarosio,
tutto il bilancio ne risentirà. Dovremmo
riavere gli aiuti ai mosti per compensazione, altrimenti avremo dei sistemi vitivinicoli sperequati e, quando andremo a
dragare le risorse per l’aiuto ai mosti,
salteranno la promozione e le prestazioni
vinicole (che peraltro sono già saltate). Ma
qui non aggiungo nulla rispetto alle considerazioni già espresse dal presidente
Ricci Curbastro.
Dal momento che Ferdevini segue anche altri settori, prima delle preoccupazioni ambientali, mi preoccupo del venir
meno della materia prima per la nostra
grappa, che è un’altra bella bandiera. Le
vinacce sono per noi una materia prima e,
essendo la grappa un’acquavite di vinaccia,
la vinaccia non potrà e non dovrà mai
essere un rifiuto.
Ritornando al punto, con riguardo a
tutta questa parte delle misure, o « smascheriamo » subito la Commissione, obbligandola a fare un bilancio corretto, oppure rischiamo di trovarci all’ultimo
giorno con una riforma a metà o, peggio,
con una riforma zoppa. Ritengo che ciò
sia fondamentale perché, oltre alla questione dei mosti e a quella delle prestazioni viniche, che sono fondamentali per la
nostra enologia, dobbiamo considerare il
tema della promozione, per noi altrettanto
vitale, visto che siamo il Paese europeo con
il maggior valore di esportazioni. Abbiamo
necessità di promozione e, al riguardo,
apprezzo molto il passaggio della relazione
dell’onorevole Castiglione in cui si parla di
promozione e comunicazione. Quando
promuoviamo il vino, promuoviamo anche
la cultura, la tradizione, il territorio, un
modello di consumo e tante altre cose, non
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solo il vino. Promuoviamo, in un certo
senso, la saggezza di determinati comportamenti.
Tutto ciò si potrà portare avanti se il
quadro finanziario sarà adeguato agli
obiettivi. Quindi, la commissaria deve superare le sue esitazioni o le sue caute
attenzioni politiche e dire chiaramente: ho
perso sul saccarosio (ci dispiacerà, perché
siamo stati tra i settori più convinti), ma
questo mi impone di riscrivere tutto il
piano finanziario della riforma. Se cosı̀
non sarà, rischiamo, all’ultimo minuto dell’ultima riunione, di fare il solito gioco
delle voci. Questo è un rischio enorme
perché, lo ripeto, la nostra è una enologia
fondamentale e di grande rilevanza per
l’immagine europea.
Mi scuso per la prolissità del mio
intervento, ma, dato che la Commissione è
sempre molto attenta, ne ho approfittato
per esprimere nel modo migliore le mie
opinioni. Vi ringrazio.
PRESIDENTE. Siamo noi a ringraziarla.
Do ora la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.
MASSIMO FIORIO. Ringrazio i rappresentanti delle associazioni di produttori di
vino per il loro contributo.
Da qualche settimana siamo impegnati
in questa indagine conoscitiva sul settore
vitivinicolo nel suo complesso. Ci interessa
anche alla questione relativa alla legge
n. 164 del 1992, ma è evidente che la
« madre » di tutte le leggi, in questo momento, è l’OCM, da cui, « a cascata »,
discenderà il resto. Siamo quindi inevitabilmente concentrati su questo fronte.
Vi ringrazio per la dovizia delle puntualizzazioni, che credo sia utile al lavoro
che stiamo svolgendo. Questa Commissione ha già votato, all’unanimità, un documento relativamente alla prima proposta, il 14 febbraio 2007. Poi, quella proposta ha avuto un’evoluzione; ne conosciamo i contenuti, alcuni dei quali sono
positivi. La battaglia, nella prima parte, si
è concentrata sulla questione delle estir-
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pazioni; dimezzata quella, abbiamo ritenuto che questo fosse già di per sé un
risultato in qualche modo positivo. Cerchiamo di mantenere alcune linee di fondo
che tengano compatto tutto l’impianto.
Sono d’accordo con voi sul fatto che,
eliminando alcune misure (penso in primis
allo zuccheraggio), tutto l’impianto rischierebbe di crollare e la stessa filosofia del
documento verrebbe meno. Se l’obiettivo è
quello di destinare risorse non a misure di
settore, ma a sostegno del settore nel suo
complesso, per renderlo competitivo sul
mercato, il venir meno di quell’elemento
farebbe saltare tutto l’impianto. Dico questo anche rispetto al lavoro di elaborazione del nostro documento; ci confronteremo anche con gli europarlamentari,
ma, ad oggi, la valutazione della proposta
non può che essere positiva, pur sottolineando alcuni aspetti. Penso alle prestazioni viniche, aspetto per noi altrettanto
fondamentale; è inutile parlare dei costi
ambientali di quella misura e del rischio
di pratiche fraudolente.
Noi esprimeremo un giudizio positivo e
terremo l’acceleratore premuto sulla questione dello zuccheraggio, anche se sembra
che ai 22 Stati membri che si oppongono,
in questi giorni, se ne stiano aggiungendo
altri, il che rende la questione sempre più
difficile. Ritengo che, rispetto a quanto è
emerso in queste settimane, dobbiamo
essere compatti nel concordare in modo
fermo sul divieto dello zuccheraggio.
Credo che questo sarà l’elemento trainante
della nostra posizione; gli altri saranno dei
corollari su cui andremo a proporre delle
modifiche.
Ritengo che altrettanto strategico sia il
tema delle indicazioni in etichetta e che il
passaggio di regime tra DOC e IGP sia
fonte di preoccupazioni. Su questo tema
daremo, altresı̀, dei segnali.
Altra questione sul tappeto è quella
dell’indicazione del vitigno e dell’annata
sui vini da tavola. Mi chiedevo, e ho
chiesto ai vostri colleghi nelle precedenti
audizioni, se si possa evitare che a tale
misura siano sottoposti i vitigni autoctoni.
Mi sembra che da parte degli Stati membri
a questo riguardo vi sia una minore op-
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posizione, e che quindi si possa costruire
una posizione più positiva, che venga incontro alle nostre esigenze. Vorrei sapere
da voi se questo potrebbe già essere un
elemento oppure se tale ipotesi debba
essere contrastata del tutto. Ripeto, le
condizioni politiche sono differenti rispetto a quelle relative alle altre misure.
Mi interessa saperlo per capire quale posizione, in concreto, possiamo assumere.
PRESIDENTE. Vorrei fare alcune osservazioni.
Condivido le preoccupazioni e le proposte che il collega Fiorio ha sottoposto
alla Commissione, dopo il dibattito che si
è svolto qualche mese fa. Vorrei capire
meglio il ruolo delle organizzazioni interprofessionali, perché nel documento che ci
avete consegnato (e di cui vi ringrazio),
all’articolo 55, sono contenute modifiche
molto importanti. Vorrei capire se queste
modifiche sono legate al modello delle
nostre organizzazioni interprofessionali, o
se tengono conto anche di come queste
sono organizzate in altri Paesi dell’Unione
europea.
Credo che le organizzazioni interprofessionali stiano diventando per l’Unione
europea un luogo, accanto alle istituzioni
pubbliche, per fare politica, nel senso più
positivo. Abbiamo incontrato altri esperti,
anche istituti di ricerca; ritengo di poter
affermare che, al di là del contenuto
positivo del documento, siamo preoccupati
circa la questione dello zuccheraggio (ed
io, venendo dal Mezzogiorno d’Italia, pur
non essendo un produttore, soffrirò a
maggior ragione per questa misura).
Siamo molti Paesi e dobbiamo trovare su
tutte le politiche un equilibrio fra le varie
esigenze; tuttavia, la misura relativa allo
zuccheraggio mi sembra una forzatura,
perché nega la vocazione dei territori. Da
questo punto di vista, essa farebbe venire
meno il significato profondo che attualmente ha questo documento, il quale si
collocherebbe in una fase difensiva dell’Europa e non in una fase di attacco, di
salto di qualità. Ciò mi preoccupa molto,
non tanto perché piegherebbe anche economicamente il nostro sistema, ma soprat-
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tutto perché darebbe l’idea di un’Europa
che vuole omologare: l’Europa dell’omologazione. Ciò che si può fare in Puglia,
forse, non si può fare in Norvegia, ciò che
si può fare in Sicilia non si può fare in
Svizzera; il non rispetto delle vocazioni,
che significa non rispetto delle culture, ma
anche dell’ambiente, del clima e delle
tradizioni economiche e produttive, è un
elemento che, al di là del settore, mi
preoccupa molto.
L’altro tema che vorrei approfondire è
quello della liberalizzazione degli impianti,
con la conseguente preoccupazione che
questo possa incidere sulla qualità. A me
sembra, obiettivamente, un po’ strano che
si parli di estirpazione e di liberalizzazione. Ritengo che nel documento (sperando anche nell’intelligente posizione dei
nostri europarlamentari, che in questo
settore ci garantiscono) sia contraddittoria
la linea, la metodologia, perché, se è vero
che produciamo troppo vino, è altrettanto
vero che, se non si chiarisce in quali
termini avverrà la liberalizzazione, mi
sembra che questi due strumenti opereranno in maniera « strabica ».
Vi ringrazio nuovamente per il vostro
contributo e per la documentazione che
ci avete consegnato, che ci dà analiticamente la misura ed il profilo degli emendamenti che vi augurate siano approvati,
anche se noi non possiamo emendare il
documento, ma solo formulare un atto di
indirizzo.
Do la parola agli auditi per la replica.
RICCARDO RICCI CURBASTRO, Presidente della Federdoc. Comincio, per dovere di ospitalità, rispondendo al presidente.
Estirpazione e liberalizzazione: è evidente che esiste una contraddizione in
termini. Dobbiamo però anche dirci con
estrema franchezza che in Europa vi sono
alcune aree coltivate a vigneti che, fino ad
oggi, hanno prodotto non per il mercato,
ma per le misure di sostegno. Credo che
questo, soprattutto in camera caritatis, dovremmo dircelo e che dovremmo essere
molto attenti in questo passaggio: probabilmente, in alcune zone, qualche estirpa-
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zione può essere utile, ed è evidente che
debba essere accompagnata da misure di
mercato.
L’aspetto della promozione diventa fondamentale per dare sbocchi ai mercati,
perché, nel momento in cui vietiamo la
distillazione, dobbiamo essere coscienti
che abbiamo del vino che deve essere
promosso e commercializzato, anche in
termini qualitativi. Chi ha prodotto fino ad
ora per la distillazione deve far crescere il
proprio vino; ripeto, per noi sono microaree, se parlassi davanti al Parlamento
spagnolo, dove, invece, gli interessi in
questo senso sono molto più forti, direi
altre cose.
Quanto all’articolo 55, le integrazioni
che abbiamo fatto sono funzionali alle due
leggi italiane di riferimento, la n. 164 del
1992 e la n. 256 del 1997, perché purtroppo la nostra interpretazione dell’organismo interprofessionale è leggermente diversa da quella di altri Paesi. Di conseguenza, con queste integrazioni, riprendiamo integralmente quanto già previsto
dalle due leggi nazionali, alle quali fino ad
oggi abbiamo fatto riferimento. La preoccupazione di fondo è quella (se guardate
l’ultimo emendamento; mi riferisco al
n. 13) del contributo della gestione alla
denominazione. Ovviamente, è un’interpretazione di parte, lo riconosco; è il
presidente della Federdoc che sta parlando, ma per noi è fondamentale che
siano gli organismi in loco a gestire, insieme alla regione, eventuali strumenti di
produzione: aumenti di produzione, diminuzioni di produzione, tutti gli strumenti
che sappiamo di avere nella nostra legislazione.
Per quanto riguarda la vocazione produttiva delle zone, questo riferimento, presidente, è bellissimo, però credo che anche
in questo caso dobbiamo essere molto
pratici. Non possiamo dire una cosa del
genere ad un collega francese; voi sapete
che la Francia è spaccata a metà sulla
questione dello zuccheraggio e sceglierà la
strada del sı̀ allo zucchero, per evitare una
rivoluzione interna (i francesi sono bravi a
fare le rivoluzioni, e le fanno anche tagliando le teste, quindi sono pericolosi) tra
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Alsazia e Champagne. Possiamo permetterci di dire che zone come l’Alsazia e lo
Champagne, e in parte anche la Borgogna,
non hanno una vocazione produttiva ?
Credo che questo non si possa dire. Certamente, possiamo affermare, con molta
chiarezza, che ci siamo forse lasciati un
po’ andare, abbiamo ritenuto che questi
due gradi di arricchimento fossero una
cosa normale, forse non ci siamo sforzati
abbastanza in vigna per esprimere quel
potenziale che pure ci deve essere anche
in quelle zone.
Questo è l’aspetto politico della questione; c’è però un aspetto molto pratico,
in sede di trattativa, che mi preoccupa
moltissimo. Sottolineo le parole dette
prima dal dottor Cagiano: nel momento in
cui noi dovessimo perdere questa battaglia, ci troveremmo al tavolo della trattativa con la richiesta di ritornare al nostro
sistema, che è quello dell’uso dell’MCR.
Questo sistema costa 120 milioni di euro,
la nostra envelope è di 130-140 milioni, se
il ministro sarà bravo a portare a casa
tutta l’envelope. Attenzione: non può entrare nell’envelope, diciamocelo con franchezza, altrimenti tutte le altre misure
saltano.
È evidente che questa nostra posizione
peserà sul tavolo delle trattative, se vi sarà
una posizione di non chiarezza da parte
della Commissione prima di arrivare al
tavolo del Consiglio dei ministri. Peserà
enormemente perché è facile immaginare
che gli altri 26 Paesi diranno al nostro
ministro: « Che altro vuoi, hai appena
avuto 120 milioni per l’MCR e vuoi ancora
qualcos’altro ? » Quindi, attenzione a questo passaggio; dobbiamo veramente forzare la Commissione nel fare chiarezza.
Scusate se l’ho brutalizzato con i numeri,
ma credo sia importante che ci diciamo le
cose in questi termini.
La questione dello zucchero rischia per
noi di essere una battaglia di principio,
corretta, sacrosanta, ma che ci può far
perdere tutte le altre battaglie. Per questo
motivo, va giocata con molta astuzia. Probabilmente, l’astuzia sarà quella di dire
all’ultimo momento che siamo d’accordo
per lo zuccheraggio, ma in cambio vo-
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gliamo certe cose, cioè dovremo fare finta
di vendere qualche cosa che, di fatto, è già
decisa. Però, non possiamo neanche tardare troppo in questo senso, perché il
giorno in cui sarà chiaro che la battaglia
è persa, gli altri non crederanno che gli
abbiamo fatto un piacere. Con questo,
credo di aver risposto anche in parte
all’onorevole Fiorio.
La questione del vitigno autoctono e
dell’annata non è legata alla tipologia del
vitigno, bensı̀ alla possibilità di garantire al
consumatore che quanto è scritto sull’etichetta sia reale, e la fiducia che ci ha
consentito di essere il primo produttore al
mondo di vino è legata al fatto che abbiamo sempre dimostrato che quanto scrivevamo sulle nostre bottiglie corrispondeva alla realtà. Non possiamo perdere
questo aspetto in nessuna maniera, sia che
si tratti di vitigni autoctoni, sia che si tratti
di vini che hanno solo la denominazione,
sia che si tratti di vitigni internazionali. Il
passaggio fondamentale è il seguente: chi
compra un vino DOC o IGT oggi sa che ha
un’origine, e quanto meno c’è un albo
vigneto e alcune regole produttive, quindi
un minimo di tracciabilità. Per il vino da
tavola questo non è possibile, che si chiami
autoctono, internazionale o in qualsiasi
altro modo.
OTTAVIO CAGIANO DE AZEVEDO,
Direttore generale della Federvini. Vorrei
esulare solo per pochi secondi dalla OCM
ma, poiché si è fatto più volte riferimento
alla legge n. 164 del 1992, chiedo alla
Commissione di sollecitare in qualche la
riforma di tale legge, non ultimo perché il
Comitato per la tutela delle denominazioni
di origine dei vini (a seguito di un decreto
del Presidente della Repubblica pubblicato
nel mese di giugno, che rientra in una più
ampia disciplina di tutta la pubblica amministrazione) è oggi soggetto alla spada di
Damocle di una relazione che valuti la
perdurante utilità dei singoli organismi e
della conseguente eventuale proroga della
loro durata, comunque non superiore a tre
anni. Se il massimo organo che abbiamo
per il riconoscimento delle denominazioni
di origine e per le loro regole di produ-
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zione è soggetto ad una disposizione che
ne deve giustificare l’esistenza in vita ogni
tre anni, credo non solo che vi sia stata
una disattenzione a danno del settore
vitivinicolo italiano, ma che si possa creare
un danno d’immagine. Il nostro diventerebbe un settore a scadenza, che crea un
prodotto alimentare che ogni « tot » giorni
deve essere verificato e tolto dalle offerte
del supermercato.
Mi scuso per questo inciso, ma credo
che, nell’ambito delle riflessioni, sia altrettanto strategico per l’immagine italiana.
Riguardo ai temi della liberalizzazione
e dell’espianto, apparentemente essi sono
in contrasto tra loro, ma rappresentano
anche strumenti d’intervento, se la decisione politica e strategica è effettivamente
quella di attuare un intervento forte ed
incisivo. Nelle tecniche di restauro o di
ripristino di un appartamento si possono
seguire due strade: la semplice lucidatura
del parquet e l’imbiancatura delle pareti
oppure la messa a norma degli impianti.
Quando si fanno delle messe a norma, ci
possono essere delle piccole distruzioni,
degli spostamenti di tramezzi o il loro
abbattimento. Questo non vuol dire che si
perda qualcosa nel disegno finale. Cosı̀, si
ritorna all’impianto e al convincimento
della commissaria. Quando ha fatto la
prima comunicazione, a febbraio, quella
che commentava l’onorevole Fiorio, ha
detto certe cose, e noi ci siamo convinti
che stesse facendo un’analisi corretta. La
cartina di tornasole di questa sua determinazione ad incidere profondamente
l’abbiamo individuata proprio nella proposta del saccarosio, che interveniva dopo
quarant’anni di gestione sempre un po’
incerta e nebulosa di questo tema da parte
dell’Europa: la sua chiarezza era il simbolo di una determinazione.
Quindi, non si tratta soltanto di un
venir meno della vocazione del territorio,
perché c’erano gli strumenti per riconoscere situazioni territoriali tradizionali
come quelle francesi. Nessuno nega la
tradizionalità dell’Alsazia o della Champagne, ma non si poteva andare contro tanti
nuovi Paesi nella fase in cui l’obiettivo
politico era quello dell’adesione, dell’allar-
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gamento, giustamente rilevante, che ha
fatto passare sopra tante piccole « tesserine », una delle quali è stata lo zuccheraggio, che molti Paesi hanno vinto nel pacchetto di adesione.
Questo era il segnale di cambiamento,
che purtroppo vacilla, in maniera cosı̀
pesante da far temere un crollo. È opportuno essere pronti anche a contrattare e a
dire: se crolla lı̀, è la credibilità stessa
della proposta che ne risente, ci devono
essere degli strumenti per restituire credibilità al disegno politico, per una riforma incisiva e forte.
Due ultime considerazioni, la prima sul
vitigno. Non è facile, tutte le soluzioni e
tutte le riflessioni sono utili, ma il problema è, da un lato, quello del controllo e,
dall’altro, quello della considerazione della
nostra base ampelografica, europea e italiana. Se passassimo all’idea di escludere i
vitigni autoctoni, limitandoci solo ad una
elencazione di alcune tipologie, sicuramente andremmo contro l’ampelografia
europea, ma soprattutto contro l’ampelografia italiana. I cosiddetti vitigni internazionali, che potrebbero essere quelli con
un regime più flessibile (qui mi rivolgo al
presidente della Federdoc, che sui numeri
gioca molto meglio di me !), in Italia sono
al di sotto del 10 per cento.
Un’ultima considerazione riguardo alle
interprofessioni. Il presidente Ricci Curbastro ha detto di essere consapevole che
ci possono essere delle diversità di vedute:
gli do soddisfazione nel dire che abbiamo
idee diverse. L’interprofessione la dobbiamo guardare in base all’esperienza internazionale. L’esperienza del mondo
francese non ha mai avuto eguali in altri
Paesi, né in Spagna, né in d’Italia, è
un’interprofessione complessa ma anche
rispettata, cui si affidano importanti incarichi e attenzioni. Ci sono delle regole di
composizione, delle regole di maggioranza
e minoranza, delle regole chiare su chi sta
dal lato viticolo e chi dal lato vinicolo, cioè
su chi segue, e fino a dove, le uve e le loro
prime trasformazioni e chi, invece, fa
parte del mondo del vino, della sua commercializzazione e distribuzione.
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Il modello francese era alla base delle
riflessioni che hanno portato agli articoli
di legge italiani, ma in Italia non ha mai
trovato applicazione perché l’interprofessione esiste solo in alcuni ambiti locali, in
cui si è sviluppata, certamente per l’interesse economico di valorizzare la produzione vitivinicola, ma anche per la grande
sensibilità di tutti gli operatori presenti in
loco. Ma queste sono « perle », non realtà.
Riprendere oggi questo schema attraverso
previsioni normative ci lascia molto perplessi, ma non ci impedisce di tornare a
riflettere.
ramente un vino proveniente dalla varietà
di vitigno Pinot grigio. Nei vini da tavola,
infatti, non c’è la tracciabilità, a differenza
di quelli ad indicazione geografica tipica e
dei vini a denominazione di origine controllata, rispetto ai quali dal vigneto si può
arrivare fino alla bottiglia e, a ritroso, con
la rintracciabilità, dalla bottiglia si può
arrivare fino al vigneto: c’è tutta una
documentazione ben precisa, che garantisce il consumatore. Per i vini da tavola
generici non esiste questa garanzia.
Quindi, l’Unione italiana vini è nettamente
contraria a questa proposta.
ALBERTO SABELLICO, Rappresentante
dell’Unione italiana vini. Vorrei rimarcare
le difficoltà che verrebbero a presentarsi
qualora si avverasse la previsione di indicare la varietà di vite nei vini da tavola
generici. Come è stato dimostrato da chi
mi ha preceduto, non c’è possibilità di
controllo, quindi il consumatore non è
tutelato. Se il consumatore compra un
vino da tavola generico la cui etichetta
reca la scritta « Pinot grigio », non ha la
garanzia che quella bottiglia contenga ve-
PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti
e dichiaro conclusa l’audizione
La seduta termina alle 10,50.
IL CONSIGLIERE CAPO DEL SERVIZIO RESOCONTI
ESTENSORE DEL PROCESSO VERBALE
DOTT. COSTANTINO RIZZUTO
Licenziato per la stampa
il 9 novembre 2007.
STABILIMENTI TIPOGRAFICI CARLO COLOMBO
PAGINA BIANCA
€ 0,30
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