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LA TRUFFA DEL BIODIVERSITY OFFSETTING LA TRUFFA Ovvero, come distruggere il Pianeta e passare per amico della natura DEL BIODIVERSITY OFFSETTING Ovvero, come distruggere il Pianeta e passare per amico della natura Scritto da Giulia Franchi Editing Luca manes Prodotto da Re:Common www.recommon.org - [email protected] Grafica: Carlo Dojmi di Delupis Testi chiusi a Dicembre 2016 Creative Commons BY-NC-SA 4.0 È consentita la riproduzione e la diffusione dell’opera integralmente o in parte, purché non a scopi commerciali, citando l’autore e a condizione che venga mantenuta la stessa licenza creative commons. Questa pubblicazione è stata realizzata con il sostegno economico dell’Unione Europea. I contenuti di questa pubblicazione sono di esclusiva responsabilità di Re:Common e non riflettono in alcun modo la posizione dell’Unione Europea. LA TRUFFA DEL BIODIVERSITY OFFSETTING Ovvero, come distruggere il Pianeta e passare per amico della natura Mongolia Foto di Olexi Pasyuk/Bankwatch Introduzione Salve, sono un aspirante distruttore patentato! È proprio quando pensiamo di aver già visto e sentito tutto che sopraggiunge l’inimmaginabile a convincerci che, almeno dal punto di vista della creatività e dell’inventiva, c’è ancora tanto da imparare. Per esempio dagli aspiranti distruttori patentati. “Chi sono costoro?” vi chiederete. Beh, l’elenco è lungo. Da alcuni anni molte imprese multinazionali coinvolte nell’estrazione mineraria, nell’agricoltura industriale e nella costruzione di grandi infrastrutture, le istituzioni finanziarie internazionali come la Banca mondiale e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, alcune grandi organizzazioni internazionali per la protezione della natura e un numero crescente di governi nazionali hanno cominciato a utilizzare in maniera sempre più frequente una strategia nota come “compensazione della biodiversità”, traduzione letterale dall’inglese biodiversity offsetting1. 1 “Licenza di distruggere: cos’è e come funziona il Biodiversity Offsetting”, Re:Common, 2014 (http://www.recommon.org/pubblicazionebiodiversity-offsetting/). Gli aspiranti distruttori sostengono che questo meccanismo aiuterebbe a proteggere la diversità biologica per intenderci le foreste, ma anche gli insetti, gli uccelli, e le attività spontanee degli ecosistemi a essi collegati - perché per ogni ettaro di terreno che viene distrutto attraverso le loro operazioni, la biodiversità e l’attività degli ecosistemi collegate a quello stesso ettaro di terreno sarà protetta o ripristinata altrove. Capiamoci meglio facendo qualche esempio. Vuoi annientare un pezzo di foresta pluviale nel Sud del Madagascar per far spazio a una fruttuosa miniera d’ilmenite? Puoi farlo, basta ricreare, ma a volte è sufficiente preservare, un habitat naturale in un altro punto del Paese o del Pianeta che abbia le stesse caratteristiche di quello distrutto. Vuoi costruire un’autostrada in Macedonia in una gola tra due montagne da sempre dimora di specie endemiche di avvoltoi e altri uccelli? Facile, basta che costruisci un rifugio per gli uccelli nella montagna a fianco e “convinci” i pennuti a dimorare da quelle parti. Vuoi estrarre rame e oro dal deserto del Gobi sventrando chilometri e chilometri di territorio mongolo unico al mondo? Puoi, basta che metti i collari alle gazzelle dalla coda nera e agli asini Khulan che vivono solo in quella località e affermi che compensi riducendo la caccia illegale e monitorando le specie a rischio estinzione. Se poi, oltre alla licenza formale per continuare a distruggere, per farlo vuoi pure intascare un po’ di soldi, meglio se tanti e pubblici, perché gli assegni li staccano le istituzioni finanziarie internazionali, allora questi piani di compensazione devi proprio attuarli. O quantomeno devi raccontare a tutti che li renderai operativi. In alcuni casi la logica della compensazione si basa sul principio like-to-like, cioè un ettaro di foresta la distruggo qui, un ettaro uguale lo ricreo lì (o lo proteggo, o fingo di farlo…). In altri casi la si forza un po’, cioè a dire: se dove distruggo ci sono specie protette, per esempio animali che, diversamente dagli alberi, hanno bisogno di spostarsi, allora creo le condizioni per “tutelarli” altrove. Oppure, se esistono, sfrutto la presenza di aree già protette da altri e li trasferisco lì. Vedrai che si adatteranno. 4 La truffa del biodiversity offsetting Non è fantascienza, non è invenzione, non è la trama dell’ultima serie TV che prefigura un futuro immaginario. È pura creatività al servizio di un sistema incapace di fermarsi. Per riuscire a fare tutto questo, al distruttore che aspira alla patente serve un quadro legislativo complice e conforme. Poco male se per ottenerlo deve “oliare un po’” il sistema politico che glielo garantisce, in fondo si tratta di affari e tutto è lecito in nome dello sviluppo. Ha poi bisogno di attendibilità scientifica e autorevolezza sul tema. La trova sguinzagliando un esercito ben addestrato (e retribuito) di accademici conniventi e organizzazioni conservazioniste che fanno la fila per certificare le sue come buone prassi. Infine, ha necessità di consolidare un concetto chiave: “natura” vuol dire essenzialmente pianta, fiume, ape, uccello, foresta, ma non include gli esseri umani che quella foresta la usano per vivere. No, quelli no, anzi, sono loro i veri agenti patogeni che ne causano l’annientamento. Spetta quindi al distruttore e alle sue miniere, autostrade e piantagioni monoculturali intensive intervenire per salvarla. E se possibile insegnare come farlo anche agli agenti patogeni, infischiandosene del fatto che questi ultimi in quei luoghi abitano da tempo immemore e forse qualcosina sulla corretta gestione del territorio e delle sue risorse l’hanno imparata. Nella maggior parte dei casi, infatti, i meccanismi di compensazione della biodiversità sono fortemente sostenuti dagli aspiranti distruttori patentati come antidoto a quello che viene presentato come un indiscriminato, irrazionale e inefficiente uso tradizionale del territorio da parte delle comunità che lo vivono, e questo costituisce un incentivo strutturale per attribuire loro la colpa per il degrado della biodiversità che la compensazione dovrebbe contrastare. Negli stessi casi, le alternative generatrici di reddito per alleviare la perdita da parte delle comunità dell’accesso e dell’uso del territorio utilizzato per i progetti di compensazione sono promesse ma non si materializzano, mentre vengono poste subito in atto restrizioni che limitano la capacità delle comunità di auto-sostenersi. Esempi provenienti da più parti dimostrano che la compensazione della biodiversità in concreto si traduce spesso in un doppio furto di terra, portata via alle comunità non solo laddove si scavano miniere o si costruiscono infrastrutture, ma anche nelle zone che si prevede di utilizzare per la compensazione, con effetti devastanti sperimentati direttamente dalle popolazioni che vivono in entrambi i siti. Eppure, il distruttore patentato vince sempre, e non nella modalità tradizionale del cattivo-cattivo che distrugge il Pianeta, ma in quella del cattivo-buono-pulito-e-giusto che salva la Terra. In sintesi, questo è uno dei capolavori assoluti della green economy2. Non è fantascienza, non è invenzione, non è la trama dell’ultima serie TV che prefigura un futuro immaginario. È pura creatività al servizio di un sistema incapace di fermarsi e rinunciare a un po’ di profitti, pur di non distruggere l’unico Pianeta che abbiamo. 2 “Non è tutto verde quel che luccica”, curato da Re:Common, Ed. Altreconomia, 2012. Madagascar Immagine tratta dal documentario “Your Mine” di Stefano Martone e Folco D’Amelio, 2016 Madagascar Rio Tinto, errare humanum est... Quello della multinazionale mineraria anglo-canadese Rio Tinto/QMM nella regione di Anosy, sud-est del Madagascar, una delle isole dal punto di vista biologico e culturale più variegate al mondo, è forse il progetto di compensazione maggiormente pubblicizzato nel settore minerario. L’ obiettivo dichiarato sarebbe quello di compensare la perdita di biodiversità derivante dalla distruzione di una foresta costiera unica e rara “collegata” all’apertura di una miniera d’ilmenite a Fort Dauphin, nel sud del Paese, con l’introduzione di restrizioni all’uso di un’altra foresta, quella di Bemangidy-Ivohibe, a circa 50 chilometri a nord del sito estrattivo. L’ilmenite scavata fuori a Fort Dauphin viene spedita in Canada e serve soprattutto come sbiancante per dentifrici e vernici. L’efficientissimo Ufficio Comunicazione della Rio Tinto è riuscito nell’incredibile impresa di far ottenere alla multinazionale mineraria tra le più potenti al mondo, con conflitti socioambientali diffusi in sei continenti, il riconoscimento di “campione globale” nella tutela della biodiversità. Per farlo ha messo in campo alleanze strategiche con autorevoli gruppi conservazionisti e con esperti accreditati nel mondo accademico. Questi importanti soggetti hanno consentito alla corporation di poter affermare, senza suscitare ilarità diffusa, che la sua miniera di ilmenite “è venuta a salvare la biodiversità unica della zona litorale di Fort Dauphin”3. A tal scopo Rio Tinto ha infatti coinvolto l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), Kew e Missouri Botanical Gardens, Ong internazionali e malgasce di protezione della natura (tra cui il partner nazionale di BirdLife International) e un Comitato consultivo per la biodiversità con membri provenienti dal mondo accademico e ambientalisti delle grandi organizzazioni globali. 3 A mine at the rescue of the unique biodiversity of the littoral zone of Fort Dauphin, QIT Madagascar Minerals (QMM) SA Press Kit, 2009. citato in The mining –conservation nexus: Rio Tinto, development ‘gifts’ and contested compensation in Madagascar, Caroline, Seagle, LDPI Working Paper 11, footnote 85, April 2011 Per toccare con mano gli effetti di questo impetuoso piano di protezione, noi di Re:Common, insieme al World Rainforest Movement (WRM), nel settembre 2015 siamo partiti alla volta di Fort Dauphin con l’obiettivo di raccogliere le opinioni dei membri delle comunità che vivono nei pressi di uno dei tre siti che compongono il piano di compensazione4. La nostra indagine sul campo e le lunghe chiacchierate con gli abitanti del villaggio di Antsonso, dove il progetto di compensazione è operativo, hanno rilevato che il quadro reale è molto diverso dalle storie raccontate nelle brochure patinate distribuite a livello internazionale. In particolare, i mezzi di sussistenza di queste persone presso il sito della compensazione sono rese ancora più precarie proprio a causa del programma5. Le nostre interviste hanno confermato che le 4 “Rio Tinto’s biodiversity offset in Madagascar. A double landgrab in the name of biodiversity?” WRM and Re:Common, 2016 (http://www. recommon.org/eng/new-report-rio-tintosbiodiversity-offset-madagascar/). 5 “Rio Tinto in Madagascar: A mine destroying the unique biodiversity of the littoral zone of Fort Dauphin”, WRM and Re:Common, 2016 (http://www.recommon.org/eng/rio-tinto-madagascar-mine/) La truffa del biodiversity offsetting 7 limitazioni all’impiego della foresta sono state imposte senza aver portato avanti alcuna negoziazione e senza tenere conto del fatto che quel luogo fino ad allora era stata l’unica fonte di sopravvivenza per la gente della zona. Erano state promesse alternative in grado di generare reddito per alleviare la perdita di accesso alla foresta, ma non si sono mai materializzate, mentre le severe restrizioni nei confronti della comunità sono già abbondantemente in atto. Incontrando le associazioni conservazioniste incaricate della realizzazione del progetto, si è inoltre appreso che per garantire il rispetto di tali restrizioni sono stati impiegati metodi deplorevoli dal punto di vista etico. In particolare i residenti del villaggio di Antsotso sono stati lasciati in una situazione disastrosa: la comunità ha perso l’accesso alla foresta utilizzata per coltivare il suo alimento base, la manioca. Adesso l’unico posto per far crescere la manioca sono le dune di sabbia ad alcuni chilometri di cammino dal villaggio. La produzione lì non rende come nella foresta. Bisogna costantemente aprire nuovi campi lungo una stretta striscia di terreno sabbioso lungo la spiaggia. Il rendimento è basso a causa della composizione del terreno, non c’è bisogno di un esperto per capirlo. Anche la pesca nelle lagune e nel mare lungo la costa è compromessa, perché le restrizioni nell’uso della foresta implicano che gli abitanti dei villaggi non sono autorizzati a tagliare gli alberi necessari per costruire nuove canoe atte a sostituire quelle usurate. Come risultato del progetto di compensazione, le famiglie sono lasciate senza reddito in denaro per comprare il cibo e quindi non sono in grado di sfamarsi. Una ulteriore visita al villaggio effettuata nel settembre del 2016 da Re: Common ha certificato come la situa- Madagascar Immagine tratta dal documentario “Your Mine” di Stefano Martone e Folco D’Amelio, 2016 zione sia ben lungi dall’essere in fase di miglioramento. La sopravvivenza quotidiana per gli abitanti del villaggio sta diventando sempre più difficile e tutto ciò sta contribuendo a creare un clima di disordini sociali nella zona. Mongolia ...perseverare autem diabolicum Eppure i nostri amici della Rio Tinto alla compensazione della biodiversità dichiarano di crederci veramente, o comunque ci tengono molto a convincere tutti di essere i pionieri del settore. La compagnia arriva a dichiarare non solo che le sue miniere tutelano la biodiversità esistente, ma che alla fine delle operazioni il bilancio per la natura è decisamente in positivo. Anche in Mongolia i pionieri dell’“Impatto Netto Positivo” non si lasciano scappare l’opportunità di difendere le gazzelle dalla coda nera e gli asini Khulan e insegnare ai Mongoli come gestire adeguatamente le aree protette e ridurre la caccia illegale. Poco male se per farlo devono estrarre qualche tonnellata di oro e rame dal deserto del Gobi. Così nasce il progetto estrattivo di Oyu Tolgoi. La miniera a cielo aperto di Oyu Tolgoi è il più grande investimento minerario mai autorizzato in Mongo- lia. Inoltre è stato il primo progetto a includere un piano di compensazione della biodiversità nella sua valutazione di impatto ambientale e relativo piano di gestione della biodiversità, sotto la guida di The Biodiversity Consultancy di Cambridge. Il progetto costa circa 10 miliardi di dollari e la miniera rappresenterà circa il 30% del PIL della Mongolia. L’ok al progetto è arrivato nel 2013 dal ministero dell’Ambiente dopo che, su consiglio della Banca mondiale, il governo aveva modificato la legge ambientale introducendo la possibilità di compensazione della biodiversità. Un Mongolia Progetto Oyu Tolgoi - Miniera di oro e rame nel South Gobi. Foto Brücke-Osteuropa. Wikimedia Commons piano specifico è quindi stato concordato con lo “sponsor” elaborando misure ad hoc, come per esempio il monitoraggio per alcune specie a rischio estinzione nella zona di progetto, quali il Khulan e la gazzella dalla coda nera la cui sparizione dalla faccia della terra tanto preoccupa Rio Tinto. Così, nell’aprile del 2015, siamo volati anche in Mongolia per toccare La truffa del biodiversity offsetting con mano cotanta motivazione e per capire come si pone, in proposito, il governo di Ulan Bator. In seguito a consultazioni con la Banca Mondiale, che non perde occasione per individuare nuovi meccanismi di mercato per rendere le nostre vite sempre più succubi dei mercati finanziari, la Mongolia ha adottato questa normativa sulla Valutazione di Impatto Ambientale per i progetti in realizzazione nel Paese, che include tra i requisiti necessari la compensazione della biodiversità. Tutte le persone incontrate durante la missione, dalle autorità di governo alle aziende, dalle società di consulenza alle organizzazioni della società civile e alle comunità locali, sembravano piuttosto confuse su cosa si debba intendere per compensazione della biodiversità e sulle modalità di attuazione di un meccanismo di questo tipo. Il ministero dell’Ambiente ha riferito che alcune società utilizzano metodologie diverse da quella adottata dall’esecutivo mongolo, poiché si avvalgono di aziende di consulenza internazionali che impiegano le proprie metodologie. Sembra che ci siano opinioni diverse in merito a dove si debba localizzare un progetto di compensazione e a quale debba essere la sua distanza dal sito del progetto da compensare. Cioè a dire, se faccio una miniera nel deserto del Gobi, basta se compenso la distruzione provando a ripiantare alcune piante o portando l’acqua per gli animali sotto stress nella zona del complesso industriale, oppure devo inventarmi metodi creativi per proteggere le steppe mongole a migliaia di chilometri di distanza? 9 compensazioni da qui a oltre il 2040. Per i pastori nomadi che hanno visto un drastico calo dei propri greggi di cammelli per la mancanza di acqua e micro-vegetazione dovuta alla miniera, la compensazione sarà un aiuto a certificare il loro cashmir come “sostenibile” per poi venderlo per qualche tugrit mongolo in più. Per ridurre il bracconaggio – in cui i pastori non c’entrano nulla, contrariamente a quello che sostiene l’impresa – sono stati finanziati nuovi strumenti per Per quanto riguarda il progetto di monitorare il territorio. Peccato però estrazione di oro e rame della Rio che una manciata di ranger dovrebTinto, il già citato Oyu Tolgoi, sta be controllare migliaia di chilometri emergendo un conflitto tra le autorità quadrati di territorio. Nonostante competenti in materia ambientale. La l’installazione di buffi cartelli colorati questione riguarda i siti che potrebnel mezzo del deserto, tanti poveri bero essere utilizzati per la compen- uccelli, per altro di specie in estinziosazione. L’unità di gestione ambienne, continuano a rimanere fritti sulla tale del Sud Gobi avrebbe definito un nuova linea dell’alta tensione che elenco di aree, con il principio che attraversa il Gobi per alimentare la ogni progetto di estrazione della pro- miniera. Questi uccelli saranno comvincia deve implementare le attività di pensati guardando al futuro. Ossia compensazione al suo interno. Questa la Rio Tinto consiglierà il governo di disposizione sarebbe però apparente- Ulan Bator su come installare nuovi mente in conflitto con l’intenzione del pali dal design innovativo che ridurministero dell’Ambiente di consentirebbero gli scontri con gli uccelli, nel re anche compensazioni tra diverse caso della costruzione di una ulterioprovince. re linea di alta tensione che collegherà un nuovo impianto a carbone. Così E tra i due litiganti il terzo gode. magari anche per il carbone partirà Così la Rio Tinto ha finalmente reso un nuovo circo di compensazioni. pubblico il suo piano di gestione delle Dulcis in fundo, visto che i sottopassi 10 La truffa del biodiversity offsetting della nuova strada, con cui una fila di camion senza fine porta il rame estratto verso la Cina, non funzionano per proteggere le gazzelle e i Khulan dagli investimenti, allora molti esemplari di questi saranno spostati a mille kilometri di distanza nel nord-est del paese. In una zona ritenuta simile dal punto di vista ecologico, dove però passa da 70 anni la mitica ferrovia transiberiana, Pechino-Ulan Bator. Quest’ultima fu costruita dai sovietici con una recinzione. Ora la Rio Tinto pagherà per togliere la protezione così che gli animali potranno correre senza limiti. Ma perché poi gli asini mongoli dovrebbero fare attenzione ai treni e non ai camion, non si capisce. Magari un’eredità degli addestramenti di Gengis Khan! di lasciare carta completamente bianca alle aziende. Non esiste alcuna regolamentazione sull’applicazione di una gerarchia di metodologie per fronteggiare la devastazione ambientale ad opera delle imprese: dal più tradizionale “avoidance”, cioè l’evitare gli impatti negativi, alla mitigazione di alcuni di questi, e in terzo luogo alla riabilitazione o il ripristino delle condizioni precedenti e l’utilizzo della compensazione soltanto come ultima risorsa, sembra non esserci troppa chiarezza. Questo lascia troppa discrezionalità e, potenzialmente, potrebbe essere un incentivo per le imprese a utilizzare la compensazione della biodiversità come un modo più conveniente ed economico di mitigazione e di riabiliIn ogni caso tutti i livelli di governo tazione. Inoltre non esiste un quadro incontrati in Mongolia (nazionale, legislativo sulla responsabilità delle regionale e locale) hanno sottolineato società a lungo termine, ovvero se che non dispongono della capacità la compensazione funziona corretdi monitorare la realizzazione dei tamente per il periodo previsto e in progetti di compensazione. Il ministe- base a quali obblighi. ro dice che l’obbligo di monitoraggio spetta all’amministrazione locale, Di fatto, il mercato che potrebbe che però non ha i mezzi, in termini di potenzialmente svilupparsi sui crediti veicoli, carburante ed esperti tecnici, della biodiversità (sulla falsa riga per un corretto monitoraggio. dei crediti di carbonio, per capirci), Senza una meritevole opera di conappare ancora lontano dal realiztrollo in loco, la compensazione, già di zarsi: un funzionario del ministero per sé un concetto aleatorio, rischia dell’Ambiente ha dichiarato che non esiste alcuna comprensione comune su come si possa mai effettuare una valutazione economica della biodiversità. Tuttavia, lo stesso funzionario ci ha anche informato che sono in fase di studio cinque progetti pilota di conservazione nella zona occidentale del Paese per verificare la possibilità, per ora solo elaborata a tavolino, di generare crediti della biodiversità attraverso progetti di compensazione, che potrebbero poi essere scambiati tra le compagnie minerarie per soddisfare i requisiti secondo la nuova legge ambientale. Un’evoluzione ancora più sconfortante dei piani di compensazione visti fino ad ora, e cioè: io voglio continuare a estrarre e quindi attentare alla biodiversità nel Paese. Per farlo, se non posso o non ho voglia di mettere in atto progetti di compensazione (del tipo visti sopra), basta disporre dei soldi necessari per comprarmi da altri i crediti per “bilanciare” la distruzione in atto. Facile, economico e pulito. Georgia come ti creo un monumento naturale La storia della diga di Dariali, attualmente in costruzione in Georgia, a 160 chilometri dalla capitale Tbilisi, apparentemente non si discosta troppo da quella di tanti altri impianti idroelettrici di grandi dimensioni. Come dettagliato dalla Ong georgiana Green Alternative in un ricorso6 presentato alla Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS), istituzione che ha cofinanziato il progetto con 80 milioni di dollari, l’iter di costruzione è stato caratterizzato dalle solite inadeguatezze e problematiche “endemiche” nella realizzazione di infrastrutture di questo tipo. Si va da una valutazione inadeguata degli impatti ambientali e sociali, come la scelta di un sito a elevato rischio geodinamico, alle ingenti conseguenze sugli insediamenti umani ai margini 6 “Complaint Regarding The Dariali Hydro Power Plant Project”, Green Alternative, 22 novembre 2014, presentato al Project Complaint Mechanism della Banca per la ricostruzione e lo sviluppo. del fiume Tergi, interessato dalla diga, per poi arrivare ai finanziamenti concessi e ai lavori iniziati, come spesso accade, prima dell’ottenimento delle autorizzazioni necessarie e in violazione dei processi di consultazione e partecipazione pubblica delle comunità coinvolte. Per di più la diga di Dariali è in costruzione sul territorio di un’area Georgia L’area interessata dalla costruzione della diga di Dariali, nel Parco Nazionale di Kazbegi. Foto Green Alternative protetta, per l’esattezza nel Parco Nazionale di Kazbegi, sebbene la legge georgiana vieti la costruzione di impianti idroelettrici in tali zone. Ciononostante l’ente promotore dell’opera, la JSC Dariali Energy, ha chiesto 12 La truffa del biodiversity offsetting e ottenuto un permesso per procedere con i lavori. Dando il suo nulla osta all’opera, la BERS ha “accettato” che la legislazione georgiana fosse violata, nonché ha contravvenuto al proprio regolamento interno in materia di tutela ambientale e sociale. Ma fin qui nulla di nuovo. La cosa peculiare, e interessante ai fini della nostra riflessione sulla ricerca spasmodica di “licenze per distruggere”, è cosa si sono inventati quelli della BERS per giustificare queste violazioni. “Il terreno necessario per le attività di costruzione è stato acquisito dalle autorità competenti per i parchi nazionali. L’area acquisita ... è stata classificata come ad “uso misto” ed era già ampiamente modificata con l’utilizzo a pascolo per il bestiame, con la costruzione di strade e altre attività umane. In cambio il Cliente ha acquisito una zona di terra che è stata legalmente trasferita in titolarità al parco nazionale a titolo di risarcimento (o compensazione). Studi sulla flora e sulla fauna hanno confermato che la biodiversità nella zona di compensazione è di un valore maggiore rispetto all’area del parco e questo garantirà che non ci sarà nessuna perdita netta di habitat critici o di specie protette (…).” Come a dire, noi finanziatori (e il cliente) la diga la vogliamo metter su e per farla ci serve un pezzo di parco. Visto che il parco era già malmesso a causa delle attività di pascolo della gente del posto (!), tanto vale che noi lo distruggiamo come si deve, ma in cambio compriamo dallo Stato un altro pezzo di territorio più bello e biodiverso e lo ritrasferiamo alle autorità competenti per i parchi nazionali dello Stato per creare nuovi “monumenti naturali”. Definizione su cui preferiamo stendere un velo pietoso... Al di là della sottostante solita logica perversa che gli habitat naturali sarebbero come le pere e le mele e se mangi l’una o l’altra è sostanzialmente uguale, scavando si scopre pure che i “nuovi monumenti naturali” erano in realtà già aree protette dallo Stato, nella realizzazione delle quali il “cliente”, o la BERS, non avrebbero avuto alcun ruolo. Non esiste, infatti, alcuna prova o documentazione ufficiale che dimostri che la società sia stata coinvolta nella creazione dei tre “monumenti naturali” a cui fa riferimento il progetto quali misure di compensazione. Queste aree sono Georgia I lavori per la diga di Dariali. Foto Green Alternative. http://greenalt.org/dariali-hydro-power/ state dichiarate “monumenti naturali” indipendentemente del progetto e la certificazione del loro status protetto non dovrebbe essere impropriamente utilizzata come schema di mitigazione degli impatti. Un gioco delle tre carte niente male. Per l’azienda è a costo zero, dal momento che guadagna i finanziamenti delle banche pubbliche internazionali per continuare a devastare, ma soprattutto la patente di protettore avanguardista della natura a rischio distruzione. Armenia Pastori sotto assedio Nel nostro viaggio attraverso l’assurda logica della compensazione come meccanismo per contrastare la perdita di biodiversità e degli ecosistemi non poteva mancare una miniera d’oro in Armenia, altro minestrone esemplare e ben assortito di tutti gli ingredienti necessari a patentare i distruttori. e dello stambecco Bezoar, ottieni possono essere raggiunti attraverso l’autorizzazione per estrarre oro dalle il miglioramento della biodiversità dimore dei suddetti ospiti indesiderati. (per esempio ripristinando aree di habitat degradati), oppure conferendo protezione della biodiversità ad aree Purtroppo per avere soldi da istituzioni pubbliche come la Banca dove si rischia di perderla a causa di mondiale e la BERS tocca trovare una altre attività umane. soluzione per la biodiversità a rischio maltrattamento. Niente paura, basta Ora guardate che cosa accade grazie a un’abile mossa dei consulenti chiedere a Treweek Environmental Consultant7 del Devon (Regno scientifici internazionalmente Unito) di elaborare un credibile accreditati. I pastori del Caucaso, che Piano d’Azione per la Biodiversità. prima usavano i terreni della miniera I consulenti scientifici cominciano come pascolo per i loro animali, a contare i passi degli orsi sotto da principali impattati del progetto Prendi un’impresa ambiziosa sfratto e con complicate metriche ed (insieme ai mufloni) diventano gli (e ben finanziata) come la equazioni attribuiscono un valore a “agenti patogeni” che degradano la Lydian International Ltd’s, astro ogni unità di natura disturbata dalla biodiversità, per tutelare la quale emergente dell’industria mineraria. miniera, così da individuare un piano il Progetto si impegna a investire Quindi individua una location al di compensazione per garantire nella creazione di un nuovo Parco contempo accessibile, ma anche che non ci sarà perdita netta di Nazionale a Jermuk. Nota a sufficientemente remota per non dare biodiversità (il famoso No Net Loss margine, la pianificazione del parco troppo nell’occhio come la montagna NNL). è sapientemente guidata dal WWF di Amulsar, a 170 chilometri da Armenia. Yerevan, nel mezzo del Sud del Ora, il piano d’azione dettaglia che Caucaso. per dimostrare il raggiungimento Così i finanziamenti alla miniera del No Net Loss è necessario sono assicurati, la legislazione Poi negozia col governo armeno dimostrare che i guadagni realizzabili è prontamente conformata ai una sostanziale modifica del Codice attraverso le compensazioni siano bisogni dell’industria estrattiva, la Minerario, che altrimenti vieterebbe commisurati alle perdite causate reputazione dell’azienda è salva e, lo sfruttamento del sottosuolo di se la popolazione del villaggio di dal progetto. Questi guadagni zone dove dimorano specie animali e Gndevaz non fa troppe storie, anche vegetali a rischio estinzione. Infine, 7 “Biodiversity Action Plan for Amulsar, Armenel Sud del Caucaso vedrà la luce nia”, Treweek Environmental Consultant (http:// superando lo sconcerto del muflone l’ennesimo capolavoro della Green www.geoteam.am/resources/geoteam/pdf/df34 armeno, della pecora rossa iraniana Economy. 159f868c2a3aeb5b1d3755bb7194.pdf). Macedonia Avvoltoi dispettosi Per concludere la nostra carrellata all’insegna del paradosso non possiamo esimerci dal portare la nostra solidarietà anche agli avvoltoi grifoni, sfrattati con indifferenza dalla gola di Demir Kapija, in Macedonia. Anche qui lo scenario è noto. Lo testimonia con precisione l’organizzazione macedone Eco-Svest, che segue da anni l’applicazione dei meccanismi europei di protezione ambientale nel Paese balcanico8: la Banca europea per gli investimenti, quella per la ricostruzione e lo sviluppo e l’esecutivo di Skopje fanno una cordata che vale 219 milioni di euro per costruire 28 chilometri di un’autostrada a quattro corsie9 nei pressi di una gola protetta come “monumento naturale” dal 1960, dimora di volatili rari e di mammiferi in via di estinzione. 8 “Verification of the European Environmental Protection Mechanisms in Macedonia by analyzing the Corridor X case”, Ana Colovic Lesoska, Vesna Ilievska Utevska, Stojan Lesosk, Eco-Svest, maggio 2015. (http://ekosvest.com. mk/images/publikacii/Demirkapija_en.pdf) 9 Dettagli tecnici sul progetto: http://www. corridorx-demirkapija.com/financing/ Nonostante la valutazione di Impatto Ambientale del progetto dichiarasse con chiarezza che le attività di costruzione e il conseguente disturbo degli uccelli non fossero autorizzati nel periodo tra febbraio e agosto, così da permettere la riproduzione della specie, l’impresa costruttrice non si è curata di fare attenzione e gli elicotteri per il trasporto di materiali hanno intralciato la stagione dell’amore degli avvoltoi. Per prevenire tutto ciò gli investitori avevano proposto cosiddette misure Macedonia La Gola di Demir Kapija, interessata dal progetto di biodiversity offsetting. Foto Eco-Svest. di compensazione, che consistevano essenzialmente nel cercare di ricreare un rifugio per i volatili su una montagna antistante. Operazione che non ha funzionato, visto che gli indignatissimi avvoltoi hanno preferito migrare in Bulgaria! Conclusioni non ironiche Adesso, però, torniamo seri. Se da un lato rivendichiamo che la logica alla base di meccanismi come quello della compensazione della biodiversità sia talmente assurda da giustificare il fatto che venga trattata con l’ironia che merita, dall’altra gli effetti legati all’applicazione del meccanismo sulla realtà dei fatti sono tutto fuorchè fonte di ilarità. Se può far sorridere che ci sia chi pensa davvero che se distruggi una foresta e ne ricostruisci o preservi un’altra altrove la somma dà zero (anzi a volte il valore sarebbe addirittura positivo), l’indigenza in cui è precipitata la popolazione di Antsonso a causa del programma di protezione della foresta di Rio Tinto in Madagascar è però un fatto tutt’altro che irrilevante, e men che meno marginale. Se l’idea che gli avvoltoi macedoni sfrattati a causa di una nuova autostrada possano trovare rifugio altrove senza intaccare il patrimonio faunistico della zona può sembrare un plot per un buffo cartone animato, tuttavia le centinaia di milioni di euro di soldi pubblici che grazie a questo scherzetto arrivano nelle tasche della multinazionale di turno sono tanti, reali, e appartengono a tutti noi. Se ci lascia indifferenti il fatto che quando la Banca Mondiale chiama i governi nazionali si affrettano a cambiare le legislazioni in materia ambientale, forse stiamo sottovalutando il processo pericolosamente già in atto della privatizzazione del diritto, che sposta sulla tutela del profitto privato l’obiettivo di molte leggi in discussione. Ossia si legalizza un reato ambientale per coloro che possono pagare un obolo per la compensazione del danno. dere le motivazioni reali alla base dello sviluppo di programmi di questo tipo. Il caso della Rio Tinto potrebbe suggerire che il beneficio economico dei programmi di compensazione non risiede davvero nel potenziale di sviluppo di un mercato della compensazione (visto il fallimento di esperienze analoghe come il mercato dei crediti di carbonio), ma nella continuazione del core business distruttivo della società mineraria, che ha bisogno di devastare la natura per continuare a estrarre minerali in giro per il mondo, senza riabilitazione effettiva o mitigazione possibile. Se, infine, ci appare paradossale che accademici di rilievo e grandi organizzazioni conservazioniste della natura siano a libro paga delle multinazionali minerarie, forse ci sta sfuggendo la capacità di adattamento e rigenerazione del sistema estrattivista, che pur di sopravvivere ha introiettato perfettamente la narrativa della green economy e se ne serve alla grande per rigenerarsi. Si tratta di un’equazione impossibile e ingiusta, per la quale le comunità locali subiscono le conseguenze di un doppio accaparramento di terra, con il paradosso di vedere contemporaneamente rigenerata l’immagine già poco pulita delle aziende coinvolte che, anzi, vengono presentate come campioni nella conservazione della natura e acclamate a livello internazionale per aver migliorato le condizioni della biodiversità nei siti delle loro operazioni. Ci spingiamo, infatti, a ipotizzare che il discutibile esercizio di dare un valore economico alla natura altro non sia che una cortina di fumo per nascon- Questa convergenza di interessi tra compagnie private e governi ci pone però una domanda più semplice ma cruciale su chi sia veramente a bene- 16 La truffa del biodiversity offsetting ficiare dall’attuazione di tali meccanismi. Una domanda che riteniamo non possa più essere elusa e che dovrebbe essere riportata al centro di qualsiasi discussione seria su questi temi. frenare l’opposizione popolare. Lo Stato così diventa strutturalmente indispensabile per poter rendere possibile questa nuova “impresa”. Deve cioè renderla giuridicamente possibile e giustificata in nome di L’estrattivismo inteso come sistema- un “interesse pubblico” che viene tica estrazione di ricchezza e sovrani- riformulato per conformarsi all’imperativo di pochi interessi privati. La tà dai territori ha bisogno di sempre nuovi progetti minerari o grandi dighe compensazione della biodiversità è un esempio di privatizzazione della in aree ricche di biodiversità (più spesso nel Sud del mondo), così come legge. Ovvero coloro che sono autodi mega progetti infrastrutturali come rizzati a pagare attraverso l’attuazioautostrade o insediamenti residenne di un progetto di compensazione per distruggere la natura in violazione ziali in località più antropizzate (più spesso nel Nord del mondo), in cui le del diritto ambientale in vigore possono commettere legalmente quello zone protette rappresentano i pochi hotspot della biodiversità rimasti. che sarebbe stato altrimenti trattato Allo stesso tempo, vi è l’urgenza di come un crimine ambientale perpesuperare la crescente opposizione da trato da chiunque altro non avesse parte delle comunità locali che riven- potuto permettersi di pagare. Non è dicano il diritto di decidere quel che un caso, infatti, che i governi ospitanti avviene sul loro territorio, sia nelle in diverse parti del mondo si stanno aree più urbanizzate del Nord globale affrettando, a volte sotto le pressioche in quelle più remote del Sud del ni della Banca mondiale o di grandi mondo. In entrambi i casi l’aumento investitori, a cambiare il loro diritto ambientale per includervi la compendell’estrazione di risorse naturali e ricchezza più in generale dai territori sazione della biodiversità. Al di là della legalizzazione dell’ane la trasformazione di questi necessita il sacrificio di aree protette o an- nientamento della biodiversità e della cora incontaminate. Da qui il bisogno natura a favore degli interessi corper le aziende di trovare una nuova porativi e al di là dell’atteggiamento licenza sociale e ambientale per con- repressivo dei governi intenzionati a tinuare a distruggere il bene comune, stringere sempre più il controllo sui territori e sulle comunità locali, le prosfruttando il ruolo dello Stato per ve raccolte nel nostro peregrinare tra progetti di compensazione in giro per il mondo sollevano anche una riflessione di base che riguarda la giustizia. Riteniamo semplicemente inaccettabile che famiglie contadine perdano i loro mezzi di sussistenza per permettere alle più grandi aziende minerarie del Pianeta di incrementare i loro profitti, in un momento in cui gli investimenti redditizi sono sempre di meno. Non sta né in cielo né in terra che le aziende e le organizzazioni conservazioniste che avallano queste operazioni con i loro sigilli di sostenibilità non ritengano necessario informare le persone colpite da questi progetti delle vere ragioni celate dietro alle restrizioni imposte sull’uso dei loro territori. Per una cosa crediamo, però, che meccanismi come quelli della compensazione della biodiversità siano estremamente efficaci: aiutano a spostare l’attenzione dal cosa al come. Concentrandosi sul come rendere sempre più socialmente accettabili ed ecologicamente sostenibili i soliti affari, permettono di evitare di discutere in modo trasparente e democratico su autentiche alternative a un modello di sviluppo che continua a funzionare solo per pochi a scapito di molti. LA TRUFFA DEL BIODIVERSITY OFFSETTING Vuoi annientare un pezzo di foresta pluviale nel Sud del Madagascar per far spazio a una fruttuosa miniera d’ilmenite? Puoi farlo, basta ricreare, ma a volte è sufficiente preservare, un habitat naturale in un altro punto del Paese o del Pianeta che abbia le stesse caratteristiche di quello distrutto. Vuoi estrarre rame e oro dal deserto del Gobi sventrando chilometri di territorio mongolo? Puoi, basta che metti i collari alle gazzelle dalla coda nera e agli asini Khulan che vivono solo in quella località e affermi che come contropartita riduci la caccia illegale e monitori le specie a rischio estinzione. Si chiama “compensazione della biodiversità” e da alcuni anni molte imprese, istituzioni finanziarie internazionali come la Banca mondiale, alcune grandi organizzazioni per la protezione della natura e un numero crescente di governi hanno cominciato a utilizzarla in maniera sempre più frequente. Sembra un processo virtuoso, in realtà è una “truffa”. Re:Common è un’associazione che conduce inchieste e promuove campagne contro la corruzione e la devastazione dei territori nel Nord e nel Sud del mondo. www.recommon.org | email: [email protected] Questa pubblicazione è stata realizzata con il sostegno economico dell’Unione Europea. I contenuti di questa pubblicazione sono di esclusiva responsabilità di Re:Common e non riflettono in alcun modo la posizione dell’Unione Europea.