Garofoli_Le interrelazioni tra ricerca e industria nei sistemi innovativi

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Garofoli_Le interrelazioni tra ricerca e industria nei sistemi innovativi
II Conferència Econòmica de la Mediterrània Nord-Occidental
Barcelona, 6-7 giugno 2011
Le interrelazioni tra ricerca e industria nei sistemi innovativi locali: i fattori critici di
successo
di Gioacchino Garofoli
Università dell’Insubria, Varese (Italia)
1. Introduzione
Nelle riflessioni sullo sviluppo endogeno l’orientamento all’innovazione e la capacità di
introdurre innovazione rappresentano alcune delle caratteristiche essenziali del processo di
sviluppo e trasformazione, in una prospettiva di sostenibilità temporale (“durabilité”).
Non è forse un caso che il sistema produttivo locale rappresenti l’espressione territoriale
dello sviluppo endogeno e che esso spieghi i meccanismi alla base della produzione di
competenze specifiche e di esternalità che consentono la riproduzione del sistema
produttivo.
Si è più volte sottolineato, nelle ricerche degli ultimi anni, che il processo di innovazione
non è riservato esclusivamente ai settori “high tech” ma deve essere una caratteristica
dinamica di tutte le aree e regioni che si identificano in un processo di sviluppo territoriale1
ma in genere per ogni regione che non possa o non voglia competere sui costi di
produzione.
L’innovazione si può introdurre nei distretti industriali, nei sistemi produttivi locali, nelle
aree a prevalente produzione agro-industriale e basate sulla produzione di prodotti tipici e a
denominazione di origine protetta. Innovazione e creatività devono essere applicate in tutti
i settori, compresi i settori che producono servizi per i cittadini.
La questione cruciale riguarda, in ogni caso, il passaggio da uno “statement” di principio
ad un metodo di lavoro per organizzare una effettiva interazione tra attori pubblici e privati
che favorisca lo scambio di informazioni strategiche, la produzione di conoscenze e
competenze (incluse quelle relazionali e di sistema che vedremo, in seguito, essere
particolarmente cruciali) che consentano ad una società locale/regionale di orientarsi verso
l’innovazione e che presupponga meccanismi di apprendimento collettivo e istituzionale.
Lo scopo di questa relazione è, dunque, quello di fornire una riflessione sulle opportunità
per sostenere un orientamento all’innovazione e sulle modalità (e sui dispositivi) da
introdurre per superare gli ostacoli all’innovazione che sono particolarmente rilevanti
1
Basti pensare alla letteratura sui distretti industriali che ha sempre sottolineato la mancanza di
relazione tra innovazione e intensità tecnologica, comunque misurata (cfr. ad esempio, per un
approfondimento su questo specifico tema, Garofoli, 2002). Recentemente è stato pubblicato un
documento in Francia con il titolo “Creativité et innovation dans les territoires”, risultato di un
gruppo di lavoro presieduto da Michel Godet e pubblicato dal Conseil d’Analyse Economique, dal
Datar e dall’Académie des Téchnologies (AA.VV., 2010), che giunge a considerazioni analoghe.
1
specie nelle aree di piccola e media impresa, come sono i distretti industriali e i sistemi
produttivi locali.
Nella prima sezione della relazione si tratterà brevemente delle relazioni tra ricerca,
innovazione e sviluppo tecnologico. Nella seconda sezione si discuterà il caso dei poli
tecnologici, come specifico modello di sviluppo che focalizza l’azione strategica degli
attori pubblici e privati nell’introduzione dell’innovazione. Nella terza sezione si
prenderanno in considerazione i riflessi e gli insegnamento del modello dei poli tecnologici
per l’introduzione di strategie e politiche a livello territoriale. Nella quarta sezione, infine,
si valuteranno alcune recenti politiche a sostegno dell’innovazione introdotte a livello
regionale e nazionale in vari pesi europei.
2. Ricerca, innovazione e sviluppo territoriale
La relazione tra ricerca – innovazione – sviluppo tecnologico non si manifesta con una
modalità unilaterale ma piuttosto dà luogo a fenomeni e a meccanismi plurimi di
interconnessione, innescando processi dinamici nei vari territori in quanto la realizzazione
compiuta del circuito presuppone volontà da parte degli attori che partecipano al “gioco”,
produzione di conoscenze e competenze (spesso impreviste), assunzione del rischio e
imprenditorialità in alcuni passaggi cruciali, e “capabilities” specifiche nel trasformare
opportunità in realizzazioni concrete. Il processo interattivo che porta all’innovazione e
allo sviluppo tecnologico presuppone, dunque, una “mission” diffusa tra vari partecipanti
(pubblici e privati) e una capacità e volontà di realizzazione che non è semplice riscontrare
nei casi concreti.
Sono necessarie, a questo proposito, due considerazioni fondamentali rispetto al processo
di valorizzazione della ricerca: a) la contrapposizione tra modello lineare vs. modello
interattivo; b) l’innovazione è (generalmente) un processo territoriale in quanto basato su
un sistema di relazioni e di interazione favorito dalla prossimità.
L’idea che il processo di innovazione procedesse a cascata in un processo lineare dalla
spesa in ricerca alla produzione di invenzioni e al loro sfruttamento in innovazione da parte
delle imprese era tipica della letteratura degli anni sessanta. I modelli evoluzionistici
dell’innovazione, a partire dagli anni ottanta, hanno sempre più evidenziato il processo
cumulativo e interattivo dell’innovazione attraverso modalità di apprendimento
progressivo che portano all’emergere di innovazioni integrate e incrementali (Dosi et al.,
1988).
La considerazione di una dimensione territoriale interna alla dinamica tecnologica e
dell’innovazione può essere fatta risalire a François Perroux (1955, 1961) con il ruolo
determinante dell’impresa motrice e dei meccanismi di induzione economica sul territorio.
Non va, tuttavia, dimenticato il ruolo di un ambiente favorevole e produttore di conoscenze
e competenze che l’impresa motrice riesce a valorizzare.
Tre sono stati i filoni analitici che hanno sviluppato la specificazione territoriale dello
sviluppo tecnologico: l’analisi del distretto tecnologico (Antonelli, 1986), l’analisi del
“milieu innovateur” effettuata dagli economisti del Gremi (Groupe de Recherche Européen
sur les Milieux Innovateurs), a partire dai contributi di Aydalot e di Perrin (Aydalot, 1986;
2
Perrin, 1989) e l’analisi dei “regional innovations systems” (Gaffard, 1992; Asheim, 1999).
Nel distretto tecnologico il processo di cambiamento tecnologico è favorito dalle relazioni
tra le imprese e dalla loro prossimità, sottolineando quindi il ruolo delle economie esterne.
La nozione di milieu innovateur si oppone ad una concezione funzionalista del progresso
tecnico e consente di fornire una visione territoriale dell’innovazione: l’innovazione è
opera di un milieu locale, è il frutto della capacità inventiva del milieu e risponde ad
esigenze di sviluppo locale (Maillat e Perrin, 1992; Camagni e Maillat, 2006). La nozione
di regional innovation system deriva sinteticamente dai risultati delle ricerche sullo
sviluppo locale (e sui distretti industriali in particolare) e dall’approccio evoluzionistico
dell’innovazione. Gli autori sottolineano il ruolo determinante dell’apprendimento
interattivo nel processo di innovazione, oltre al ruolo delle interconnessioni tra imprese e
istituzioni di supporto (Asheim, Isaksen, 2003).
La capacità di organizzare strategie per l’innovazione locale implica un disegno strategico
e una potenziale alleanza tra attori complementari (spesso sia pubblici che privati), che
riescano ad introiettare sia la necessità di orientarsi al cambiamento sia la obbligatorietà
della cooperazione con altre organizzazione per perseguire obiettivi di medio-lungo
periodo, che è resa possibile solo dopo aver costruito un rapporto stabile di fiducia
reciproca.
Tre sono considerazioni iniziali per organizzare una strategia per l’innovazione locale: :
• l’innovazione è necessaria in tutti i sistemi territoriali, in tutte le aree e regioni che
vogliono allontanarsi da una competizione basata sul prezzo e, quindi, sui costi di
produzione (in definitiva sui costi del lavoro);
• l’importanza di apprendere dagli insegnamenti delle “best practices”: gli esempi
dei casi di successo (ma anche dei fallimenti di altre iniziative) sono fondamentali
per non ripetere errori, sprecare risorse e perdere fiducia nell’approccio di
“sviluppo dal basso”;
• la consapevolezza che la “governance” dell’innovazione è un processo complesso e
delicato e che richiede risorse, dedizione, tempo
L’innovazione nel territorio, in sintesi, può essere organizzata attraverso la costruzione di
una capacità di comparazione con altri casi, con una valutazione critica delle “best
practices”, con un meccanismo di apprendimento a partire dalle esperienze di successo in
diversi contesti territoriali. In secondo luogo, i meccanismi di interazione tra i diversi attori
(del sistema locale ma anche con l’accompagnamento e con l’aiuto di organizzazioni
esterne) sono fondamentali per lo scambio di informazioni complementari e per la
produzione di nuove conoscenze e competenze che potranno favorire l’introduzione
dell’innovazione: In questo senso, una riflessione sulle tipologie di sviluppo locale e dei
loro rapporti con il processo innovativo può essere particolarmente utile per far crescere la
consapevolezza dei diversi attori sulle questioni in gioco e sulle modalità di soluzione
possibili e sui rischi che si possono incontrare.
3. Il modello dei poli tecnologici
3
Negli ultimi anni la produzione della letteratura sui poli tecnologici come modello di
sviluppo e come punto di riferimento per le politiche a sostegno dell’innovazione è stata
particolarmente cospicua. Ciò nonostante sono ancora numerose le ambiguità sia sulla
definizione concettuale sia sulle opportunità di moltiplicare le esperienze sulla base delle
politiche industriali e delle politiche dell’innovazione.
In particolare, pochi sono i casi concreti di successo a livello internazionale e, soprattutto,
non esiste in Italia un caso che sia identificabile come rappresentazione empirica di questo
particolare modello di sviluppo. La letteratura che si è sviluppata soprattutto a partire
dall’analisi di casi specifici (Saxenian, 1994; Saxenian, 2002; Keeble et al, 1999; Keeble,
2002; De Bernardy, 1999; Longhi, 1999 e 2002; Wang, 2002a, 2002b; Gilly, Dupuy, 2003,
Giraud, 2007, Parthasarathy, 2007, Novarina, 2010), ha fatto emergere alcuni casi di
successo a livello internazionale. La lista dei casi di successo, tuttavia, sembrerebbe
limitarsi ai seguenti: Silicon Valley, Cambridge, Grenoble, Toulouse, Hsinchu (Taiwan),
Singapore, Bangalore (India).
Proverò dunque a ricordare quali sono, almeno nella mia interpretazione, i caratteri
essenziali e i meccanismi di funzionamento di un tale modello di sviluppo.
Il polo tecnologico è definibile come un set complesso di attori (pubblici e privati) che
operano congiuntamente per l’introduzione dell’innovazione e dello sviluppo tecnologico.
Il polo tecnologico rappresenta dunque un territorio dell’accumulazione di conoscenze
tecnico-scientifiche e delle condizioni pre-competitive per l’introduzione dell’innovazione.
In sintesi, il polo tecnologico rappresenta un grande laboratorio territoriale di R & S.
Le variabili chiave per analizzare le modalità di funzionamento del modello “polo
tecnologico” sembrerebbero le seguenti:
- gli attori;
- le competenze;
- le relazioni tra attori;
- i meccanismi di funzionamento;
- la massa critica degli investimenti;
- il coordinamento.
Ora saranno analizzate, in dettaglio, le diverse variabili cruciali.
a) Gli attori presenti nel polo tecnologico sono almeno i seguenti:
• Le imprese orientate all’innovazione;
• Università e Istituti di ricerca interessati al trasferimento e allo “spin-off”
tecnologico;
• Laboratori di ricerca privati;
• Istituzioni formative orientate ai fabbisogni delle imprese;
• Lo Stato centrale;
• Lo Stato locale.
b) Le competenze necessarie per la realizzazione del modello sono le seguenti:
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•
•
•
•
•
•
Elevate competenze tecnologiche;
Elevate competenze scientifiche;
Competenze manageriali nel campo della R & D;
Elevate competenze tecnico-professionali nelle imprese industriali;
Capacità imprenditoriale diffusa;
Competenze relazionali e competenze di sistema.
c) Le relazioni tra gli attori devono rispettare le seguenti condizioni necessarie per un
fertile processo di interazione:
• Interscambio di informazioni e conoscenze grazie alle relazioni di prossimità
territoriale e culturale;
• Relazioni di scambio interattivo tra gli attori locali: formali (attraverso la stipula di
contratti, convenzioni e accordi) e informali;
• La costruzione della fiducia reciproca tra gli attori locali per consentire l’instaurarsi
di rapporti di collaborazione nel lungo periodo;
• Il ruolo delle strutture di “interfaccia” che permettono il dialogo tra ambienti ed
organizzazioni diverse e che non sono abituate a confrontarsi e dialogare.
d) I meccanismi di funzionamento del modello interattivo è soggetto al rispetto delle
seguenti condizioni:
• Disponibilità e capacità di offrire risposte ai fabbisogni tecnologici delle imprese e
di realizzare trasferimento tecnologico;
• Orientamento diffuso all’innovazione da parte degli attori locali, disponibilità al
confronto e al dialogo con altre organizzazioni e apertura all’esterno;
• Sollecitazione alla ricerca (da parte delle imprese e dello Stato centrale e locale) sui
temi rilevanti e incentivi per l’avvio di ricerche e linee di azione finalizzate;
• Circolazione e diffusione delle informazioni strategiche;
• Cooperazione e interazione tra mondo della ricerca e mondo della produzione, che
dipende dalla capacità di comprendere i diversi “commitment” delle varie
organizzazioni e capacità di mediare e trovare compromessi evolutivi;
• Interesse e “commitment” specifico per la creazione di spin-off tecnologico.
e) Massa critica degli attori coinvolti e degli interventi e progetti da avviare. Senza il
raggiungimento di una soglia critica (di operatori, progetti, ma anche di spesa iniziale per
investimenti di R & S e in infrastrutture) è impossibile pensare di organizzare un modello
di sviluppo territoriale di questo tipo. I casi che saranno discussi, fra poco, faranno
chiarezza su questo punto. Ciò serve sia ad evitare illusioni: organizzare un modello di
sviluppo di questo tipo piuttosto difficile e soggetto ad elevati rischi di insuccesso. Ciò non
vuol dire che non si possano avviare processi di apprendimento e di interazione innovativa
anche in assenza di massa critica, ma questo significa esclusivamente avviare un processo
di trasformazione e di maggior orientamento all’innovazione di sistemi produttivi locali già
esistenti e diversi dal polo tecnologico.
f) Il coordinamento degli interventi è necessario perché il modello del polo tecnologico
rappresenta un modello costruito di relazioni tra attori diversi, sufficientemente numerosi e
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in relazione complessa tra di loro. La capacità di visione strategica, la costanza
nell’impegno di perseguire gli obiettivi, sapendo di lavorare con attori con “mission”
diverse e che devono avviare relazioni complesse e non codificabili (né nelle modalità, né
delle relazioni risorse – risultati) rappresenta una funzione strategica che può essere svolta
informalmente in un ampio “board” di soggetti sensibili, intelligenti e rispettosi degli altri.
Il leader del progetto deve guadagnarsi i “galloni sul campo” e non necessariamente può
essere predefinito.
Il polo tecnologico, dunque, rappresenta innanzitutto un modello di sviluppo territoriale. In
secondo luogo rappresenta un modello di innovazione basato sulle interrelazioni e
sull’apprendimento interattivo; un modello dinamico e basato sulla costruzione di nuove
conoscenze e competenze; un modello “costruito” dalla visione strategica di alcuni attori
cruciali e dalla coerenza delle azioni strategiche. Il polo tecnologo rappresenta, in effetti,
un caso esemplare di “utopia realizzabile”. Il modello necessita, dunque, di coordinamento,
oltre che di “capabilities” di gestione di sistemi e competenze relazionali diffuse.
4. Alcuni casi esemplari
4.1. Il caso di Grenoble
Il caso di Grenoble rappresenta una storia esemplare (di lungo periodo) di interazione
ricerca – industria. La collaborazione tra il mondo della ricerca e il mondo
dell’industria inizia alla fine dell’ottocento con l’utilizzazione dell’energia idrica (la
“houille blanche”) e con il ruolo determinante di Aristide Bergès, attore fondamentale
della rivoluzione industriale a Grenoble.
La possibilità di utilizzare l’energia idrica mette in movimento non solo ingenti
investimenti nell’industria energetica e nell’industria elettromeccanica ma anche una
determinante interazione tra ricerca (elettrotecnica, elettromeccanica, geologica,
geografica,..) e industria e si determina la creazione di istituti universitari e di ricerca (a
partire dall’Institut Electrotechnique de Grenoble nel 1898.
L’industria necessita, infatti, di nuove figure professionali, di conoscenze e competenze
nei nuovi settori che si stanno formando; sollecita e promuove la costituzione di nuovi
indirizzi formativi e di nuovi istituti di ricerca. Inizia dunque una lunga fase di
confronto tra mondo produttivo e mondo della ricerca e, direi quasi, di pianificazione
strategica “ante litteram” del futuro della città.
Nella costruzione della “cultura dell’innovazione” a Grenoble l’industria, la ricerca e
l’industria si incontrano, con un ruolo fondamentale dei “tre Louis”: Louis Néel e
Louis Weil (professori) e Louis Merlin Gerin (imprenditore industriale, a lungo
Presidente dell’Associazione degli industriali di Grenoble). Ciò consente, sin
dall’inizio del Novecento, la costruzione dei primi ponti tra attività ed attori che non
partengono allo stesso ambiente e che non si conoscono e non si frequentano
abitualmente.
Non si deve, tuttavia, dimenticare nel gioco dell’interazione tra i diversi attori il ruolo e
la spinta del sistema pubblico (nella complessa articolazione tra Stato centrale, regione,
6
Département, associazioni intercomunali, città) che segna in modo inequivocabile
alcuni passaggi determinanti del processo di trasformazione dell’economia e della
società locale. Basti pensare alla “Exposition internationale de la houille blanche” nel
1925, alla creazione del CENG nel 1956, alla nascita del primo campus francese a
Grenoble nel 1961, alla costituzione della ZIRST (zona industriale per la ricerca e lo
sviluppo tecnologico) nel 1971, alla costituzione del grande progetto europeo sul
“Synchrotron” nel 1984, al lancio del progetto Minatec nel 2001.
L’innovazione a Grenoble può contare, dunque, su quattro pilastri:
•
•
•
•
Industria (con oltre 95.000 addetti)
Ricerca (con 21.000 addetti)
Insegnamento Superiore/Universitario (con 63.000 studenti, di cui 49.000 nelle
Università)
Sistema delle istituzioni pubbliche (Stato centrale, Regione, Département,
associazioni intercomunali, città).
Grenoble rappresenta la seconda città della ricerca francese, con una ricerca pubblica
prestigiosa con numerosi centri di ricerca di eccellenza, sia a livello internazionale che
a livello nazionale. Basta ricordare i seguenti centri (Giraud, 2007):
– Centri di ricerca internazionale : ESRF, ILL, EMBL, IRAM
– Centri di ricerca nazionali : CEA, LETI, CNRS, INRIA, INSERM,CRSSA,
INRA, CEMAGREFF, CEN
– Centri di ricerca universitaria : 90 laboratori di ricerca.
La ricerca privata è particolarmente rilevante e molto diversificata. Sono sufficienti
alcuni dati per sottolinearlo (Giraud, 2007):
–
–
–
6 500 ricercatori sono occupato nelle imprese e nei laboratori privati;
sono praticamente rappresentati tutti i settori produttivi, dalla
microelettronica alle apparecchiature elettriche, dall’informatica alla
produzione di cemento e di alluminio, dalle telecomunicazioni alla chimica
e aa settore della produzione della carta;
sono presenti imprese di rinomanza internazionale: ST Microelectronics,
Schneider, Hewlett-Packard, Lafarge, Alcan, France Télécom, Air Liquide,
Ahlstrom,…
Per quanto riguarda il ruolo e il peso dell’Università nel processo di innovazione è
sufficiente ricordare le seguenti cifre che le quattro Università di Grenoble riescono a
raggiungere:
•
•
•
oltre 5.000 ricercatori;
elevato orientamento alla specializzazione scientifica: il 42 % degli studenti è
iscritto a Facoltà scientifiche;
elevata intensità della ricerca nell’attività universitaria;
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•
•
•
•
elevato livello di qualificazione;
14 scuole di dottorato ;
3.500 studenti coinvolti in tesi di dottorato;
elevata attrattività internazionale : 9 000 sono gli studenti stranieri.
Il sistema industriale dell’area di Grenoble resta sufficientemente solido e reagisce alle
sfide della competizione. La diminuzione dell’occupazione industriale è molto più
contenuta nell’area di Grenoble (- 4%) rispetto alla caduta osservata, tra il 1999 e il 2006,
a livello nazionale (-9%) (Giraud, 2007).
Il sistema industriale dell’area di Grenoble ha rinnovato le sue attività e ciò ha
determinato alcune dinamiche positive sia in termini occupazionali che in termini di
approfondimento della struttura produttiva. Le attività “high-tech” (soprattutto
l’elettronica) sono state creatrici di occupazione e le attività di progettazione e di
concezione di nuovi prodotti (centri studi, R & D, marketing, uffici acquisti,…), cioè le
funzioni strategiche delle imprese, conoscono un forte sviluppo. Un ambiente
particolarmente favorevole ha, inoltre, consentito l’offerta di nuovi servizi qualificati per le
imprese.
Tutto ciò ha determinato un forte orientamento e un forte coinvolgimento della ricerca
e dell’insegnamento universitario con l’industria locale.
Possiamo, dunque, discutere ora il ruolo del quarto pilastro. Il sistema delle istituzioni
pubbliche è, come precedentemente ricordato, strategico nelle trasformazioni del sistema
economico del territorio. Le decisioni strategiche sono state sempre prese con l’impulso e
il sostegno del sistema delle istituzioni pubbliche.
Basti pensare all’installazione del Centro per l’Energia Atomica (CEA) nel 1956 e la
costituzione del Synchrotron nel 1984, con un ruolo ovviamente determinante dello Stato
nazionale. Si può, inoltre ricordare la decisione del Consiglio della Regione Rhône-Alpes
nel 2001 per la costituzione del Minatec nel 2001, con inizio delle attività nel 2006.
Ancora un ruolo del sistema pubblico è alla base dell’alleanza e della fusione di ST nel
2002, come per la costituzione di Métis nel 2004 (accordo tra Conseil Général della
Regione, comune di Bourgoin e associazione degli industriali) e di Minalogic, “pôle de
compétitivité mondial” nel 2005 (con una co-decisione pubblico/ privato) e la
partecipazione ai “pôles de compétitivité” di Lyon Biopôle (“pôle de compétitivité
mondial”), di Axelera e di Tenerrdis.
Per concludere sul caso di Grenoble sembra particolarmente importante sottolineare due
questioni fondamentali:
a) la presenza diffusa di strutture di “interfaccia” tra mondo della ricerca e mondo
dell’industria per consentire l’utilizzo di un linguaggio comune e la ricerca delle
interazioni. Non esiste un centro di ricerca di importanza sufficientemente rilevante
che non abbia al proprio interno un funzionario dedicato a mantenere i rapporti con
le imprese e con il mondo produttivo per trasferire le proprie conoscenze e per
comprendere i fabbisogni tecnologici delle imprese. Non esistono imprese
sufficientemente strutturate e interessate all’innovazione che non abbiano al proprio
interno un ufficio dedicato ai rapporti con le Università e con i centri di ricerca per
8
•
valorizzare le loro conoscenze e competenze per lo sviluppo tecnologico delle
imprese.
la ridondanza delle “risorse di sistema” è una caratteristica tipica del caso di
Grenoble. Le risorse umane capaci di gestire le relazioni con altri attori e che hanno
le competenze per comprendere la logica di funzionamento del sistema nel suo
complesso sembrerebbero troppo numerose. Questa ridondanza non è tuttavia un
costo per il sistema quanto una grande opportunità proprio per la possibilità di
riscontrare in diverse organizzazioni la sensibilità e la capacità di comprendere i
vantaggi di lungo periodo delle interazioni tra ricerca e industria.
4.2. Il caso di Hsinchu (Taiwan)
Il parco scientifico è stato costituito nel dic. 1980, anche se la rilevanza del polo
tecnologico di Hsinchu appare all’inizio degli anni ’90 (con oltre 100 imprese localizzate e
22.000 addetti).
Tra gli attori presenti nel parco tecnologico (all’inizio) e poi nel polo tecnologico si
possono individuare i seguenti: ITRI (Industry Technology Research Institute), 2
Università, 3 laboratori nazionali, 3 Centri di ricerca specializzati, oltre 50 incubatori
d’impresa, oltre 400 imprese high-tech, con un’occupazione nelle imprese che è giunta a
quasi 140.000 addetti in 440 imprese high-tech nel 2009.
Le imprese localizzate nel parco tecnologico di Hsinchu appartengono ai seguenti settori
(informazioni relative alale imprese localizzate nel 2004):
- Circuiti integrati (164 imprese)
- Computer e periferiche (58 imprese)
- Telecomunicazioni (52 imprese)
- Optoelettronica (61 imprese)
- Macchinari di precisione (21 imprese)
- Biotecnologie (28 imprese).
Il livello educativo dell’occupazione nelle imprese high-tech localizzate nel parco
tecnologico è incredibilmente elevato come si evince dalla tabella:
- Ph. D.
- Master
- Laurea
- Dipl. post-secondario
- Diploma Sc. Second.
- Altro
1%
19%
24%
23%
26%
7%
La dinamica occupazionale nelle imprese high-tech localizzate nel parco tecnologico può
essere analizzata dalla tabella seguente:
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- 1990
- 1995
- 2000
- 2004
- 2010
22.356
42.257
102.840
115.477
139.416
Infine, per comprendere il ruolo della variabile “massa critica” del polo tecnologico di
Hsinchu è utile riportare le seguenti informazioni. Lo Stato centrale ha investito, dall’anno
di costituzione del parco scientifico al 2004, 1.679 milioni di dollari per le infrastrutture
del parco scientifico e per le “facilities” alle imprese (servizi, attrezzature, agevolazioni)
5. Innovazione e territorio: gli insegnamenti dei poli tecnologici per le politiche a
sostegno dell’innovazione
Non è un caso che il tema delle relazioni ricerca – industria rappresenti un argomenti sul
quale non solo i fallimenti del mercato ma anche i fallimenti dello stato trovano esempi
clamorosi.
È possibile, infatti, parlare dell’esistenza di diversi ostacoli all’innovazione, di ostacoli
all’internazionalizzazione delle imprese, oltre che di ostacoli in termini di formazione e
reclutamento di nuove figure professionali strategiche per imprese che vogliano introdurre
strategie “alte” di competizione.
Ciò potrebbe essere la conseguenza di una eccessiva attenzione, negli ultimi anni, ai
vantaggi competitivi di breve periodo (e, apparentemente, di costo) piuttosto che ai
vantaggi competitivi dinamici e quindi strutturali (cultura diffusa di creatività, capacità di
produrre soluzioni, capacità di innovare, capacità di introdurre nuovi prodotti) che
dipendono da un processo dinamico e dall’evolversi ed arricchirsi di interazioni tra
imprese, oltre che tra imprese e organizzazioni “no profit”, che producono apprendimento,
rafforzamento delle competenze professionali, apertura a conoscenze esterne, mediazione,
metabolizzazione e “internalizzazione” di conoscenze esterne che sono alla base del
processo di continuo cambiamento e innovazione. In altri termini, è il processo economico
e sociale che è alla base della produzione di nuove “risorse” per lo sviluppo che non sono
precostituite e predefinite ma, appunto, prodotte dal processo di sviluppo stesso (Courlet,
Garofoli, 2008). Sono risorse pubbliche, vere e proprie “economie esterne” a disposizione
delle imprese del territorio e che costituiscono il “plus” dei distretti industriali e dei sistemi
produttivi locali.
Per questo il processo di innovazione è fortemente radicato sul territorio: innovazione e
territorio si intrecciano in modo indissolubile non solo come è chiarito in buona parte della
letteratura economica (a partire dai contributi pioneristici di François Perroux) ma come è
stato ben compreso nelle politiche per l’innovazione sia in Francia che in Spagna. Nel
primo caso sono stati avviate politiche di sostegno dei “pôles de competitivité”
incentivando le relazioni tra imprese orientate all’innovazione e i centri di ricerca
attraverso il lancio di bandi pubblici promossi dallo Stato nazionale (Pecqueur, 2007;
Scandella, 2008). Nel secondo caso è stata introdotta una nuova politica industriale che fa
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perno sul sostegno all’interazione tra grandi imprese, piccole imprese innovative e mondo
della ricerca nelle agglomerazioni di impresa esistenti nel paese a prescindere dal modello
di organizzazione della produzione (e che, quindi, coinvolge tutte le tipologie: poli di
sviluppo “à la Perroux”, distretti industriali, cluster “à la Porter”) perché luoghi che
producono saperi e competenze radicate e, quindi, economie esterne (Trullén, 2007).
L’esperienza francese dei “pôles de competitivité” e l’esperienza spagnola delle nuova
politica industriale sulle agglomerazioni di impresa rappresentano due casi particolarmente
interessanti perché la politica nazionale ha compreso che il processo di innovazione ha
forte radicamento territoriale e perché utilizza dispositivi che favoriscono l’interazione
ricerca- industria su territori specifici.
Quando a ciò si aggiungano gli insegnamento del modello del polo tecnologico, credo si
possa giungere a qualche considerazione conclusiva sulle strategie e le politiche di
sostegno dell’innovazione a livello locale.
Innanzitutto è ormai assodato che le interazione tra attori diversi e tra le competenze
tecnico-scientifiche delle diverse organizzazioni sono fondamentali per favorire
l’introduzione dell’innovazione. Si è, ormai, certi che il superamento della discrasia tra
sistema della ricerca e sistema industriale rappresenti un obiettivo prioritario per lo
sviluppo economico. Nella consapevolezza di essere di fronte ad un sistema complesso,
che deve essere posto nelle condizioni di organizzare un sistema di relazioni che è
elemento indispensabile per favorire un meccanismo di apprendimento collettivo e per
innescare accumulazione (e produzione) di nuove conoscenze e competenze che
rappresentano i fattori competitivi dinamici dei territori dei nostri paesi.
Con riferimento alle strategie di innovazione locale, è possibile pensare ad una sorta di
guida informale per l’azione di sostegno “bottom-up” all’innovazione e che può essere
sintetizzata in questa sequenza di fasi operative:
a) individuazione dei fabbisogni tecnologici delle imprese;
b) mobilitazione di competenze (iniziando dal livello locale ma estendendo le
potenziali collaborazioni ad altri partner esterni all’area) per la loro soluzione;
c) esplicitazione dei fabbisogni impliciti delle imprese (da cui crescita della
consapevolezza del posizionamento strategico delle imprese e del sistema locale).
Gli obiettivi delle politiche di sostegno dell’innovazione potrebbero, dunque, essere le
seguenti:
a) obiettivo delle politiche di sostegno dell’innovazione è l’accumulazione di
competenze e “capabilities” del territorio;
b) vanno incentivate le relazioni tra attori e le economie esterne dei sistemi produttivi
locali.
Il target delle politiche di sostegno dell’innovazione deve essere, dunque, il territorio e non
devono essere, invece, le imprese (cfr. i numerosi insuccessi delle politiche per
l’innovazione a sostegno delle imprese nei vari paesi europei).
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Riferimenti bibliografici (da completare)
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