NIKITA, LA GRANDE ILLUSIONE
Transcript
NIKITA, LA GRANDE ILLUSIONE
di Marco Roncalli N el 1956 al XX congresso del Pcus, denunciò i crimini staliniani ma va anche detto che con lui la repressione non finì, né nell’impero dei soviet, né nei Paesi satelliti. Lo si ricorda anche perché, consolidate le alleanze del Patto di Varsavia, immaginò la distensione con l’Occidente, rallentata col muro di Berlino tirato su nell’agosto 1961 e l’anno dopo dalla crisi di Cuba. Lui è anche quello che all’Onu si tolse una scarpa picchiandola sul banco e che autorizzò la pubblicazione di Una giornata di Ivan Denisovic di Solgenitsyn. Parliamo di Nikita Krusciov (18941971): osannato quando fu al potere, rimosso quando cadde in disgrazia. Lo facciamo con sua figlia Rada, dopo che, pur con genti- di notte, abituò i membri della nomenklatura a tirare l’alba in ufficio, pronti a dare risposte immediate alle sue telefonate. Alla mia nascita, nel 1929, mio padre era sposato in seconde nozze: la prima moglie era morta di tifo durante la guerra, lasciandogli due bimbi: Julia e Leonid. Loro vivevano con noi e Julia, tredicenne, mi faceva da bambinaia. Mia mamma, Nina Petrovna, lasciò il lavoro solo sei anni più tardi, alla nascita di mio fratello Sergei, seguito poco dopo dalla terza femmina, Elena, otto anni più giovane di me. Negli anni Quaranta, in piena guerra, adottammo un’altra bambina con lo stesso nome di mia sorella, Julia, rimasta orfana dopo la morte di suo padre – mio fratello Leonid –, pilota militare il cui aereo fu abbattuto dai tede- [QUESTIONI DI FAMIGLIA] era sempre Nikita. Aggiungo un dettaglio. Prima di sposarsi, mia madre fumava molto, ma il primo giorno di vita comune lui le disse: “Basta con questo vizio” e così fu». Suo padre nel 1953 diventa segretario del Pcus e nel 1958 primo ministro. In quegli anni, le sue denunce contro Stalin, dopo la divulgazione del “rapporto segreto” non si fermano. Fu un impulso morale, come disse Solgenitsyn, o gettando tutte le colpe sul dittatore nascose le sue? «Sono d’accordo con Solgenitsyn ma c’è un’altra ragione: la destalinizzazione fu motivata anche dalla sua ferma volontà di escludere il ricorso a metodi staliniani. E gli è riuscito: chi lo rovesciò non lo uccise, come avrebbe potuto fare dichiarandolo “agente “ ” Non volle mai ricorrere a metodi staliniani ma non riuscì a cambiare i burocrati di partito, che si liberarono di lui NIKITA, LA GRANDE ILLUSIONE A colloquio con Rada Krusciova, la figlia del leader del Cremlino che avviò la destalinizzazione e immaginò il disgelo con l’Occidente e il Vaticano lezza, ha declinato l’invito del Comune di Sotto il Monte Giovanni XXIII, a parlare lì della sua memorabile udienza con il Papa bergamasco eletto 50 anni fa. Occhi azzurri e capelli a caschetto, sguardo vispo e memoria di ferro, Rada (che cammina con qualche difficoltà), commenta con ironia: «Mi sarebbe piaciuto andare nel Paese natale del Papa, ma se ai tempi dell’Urss c’era la categoria delle persone “non uscibili” che non potevano ottenere il visto per l’estero, oggi io sono della categoria dei “non trasportabili”». L’abbiamo intervistata nella casa dove vive dal 1956, a un chilometro dal Cremlino, fra arredi sobri e tanti ricordi. Rada Krusciova: che tipo di padre è stato il suo? Com’era in famiglia? «Semplice e affettuoso. Contadino d’origine, operaio in seguito, soldato dell’Armata rossa, divenne poi aparatcik, funzionario del partito e assumendo responsabilità sempre più grandi finì per dedicare a noi poco tempo. Per di più, Stalin, che preferiva lavorare 146 OTTOBRE 2008 CLUB3 schi. La madre della piccina fu arrestata e mandata in un gulag. I servizi speciali di Stalin diffusero le voci che Leonid era passato al nemico. Un falso smentito dai documenti d’archivio. Così, fino all’ingresso all’università, la mia nipotina considerò i nonni come i suoi veri genitori». E il rapporto con sua madre com’era? «Buono, come in una famiglia tradizionale. Anche mia madre era d’origine contadina ma ebbe una formazione più ampia di quella di papà, grazie all’interessamento dell’ecclesiastico ortodosso Evloghi, futuro metropolita dei russi emigrati a Parigi. Quando ci riunivamo, il padrone di casa indiscusso dell’estero”, se la macchina criminale di Stalin non fosse stata smascherata». Non vorrà dire che suo padre fu completamente estraneo alla politica di Stalin? «No, anche dopo aver capito la mostruosità di questa politica ebbe la possibilità di distanziarsene. Lo fece appena fu possibile». Suo padre fu protagonista di molti viaggi, compreso uno negli Usa dove lei l’accompagnò... «Sì. Era stato un membro influente del Politburo, Mikojan, a consigliarlo di portarsi dietro moglie e figli. Ricordo che al passaggio del corteo di auto dall’aeroporto militare di Washington, i curiosi ci salutavano con ban씮 Rada Krusciova vive a Mosca, a poca distanza dal Cremlino da più di 50 anni, in un appartamento dove non manca un ritratto ufficiale del padre CLUB3 147 OTTOBRE 2008 [QUESTIONI DI FAMIGLIA] Due storici incontri che hanno caratterizzato gli anni del potere di Krusciov in Urss: con il presidente degli Usa John Kennedy e col leader cubano Fidel Castro “ ” In Usa ci accolsero come fossimo extraterrestri ma in pochi giorni capirono che eravamo uguali a loro e ci vollero bene 148 OTTOBRE 2008 CLUB3 씮 dierine americane e sovietiche, cordialmente ma in completo silenzio. Per loro eravamo extraterrestri. Alla fine del soggiorno tutto fu diverso. Capirono che eravamo come loro, gente normale. In pochi giorni abbiamo fatto moltissime amicizie personali. Alcune resistono anche oggi. Parte rilevante del successo fu dovuta alla presenza di mia madre. Era la prima volta nella storia sovietica che una moglie partecipava a uscite pubbliche e lei risultò una donna semplice e aperta come tante americane. Visitai gli Usa un’altra volta, con mio marito Aleksej Adzhubei, allora direttore del giornale governativo Izvestia, su invito dei Kennedy. Ricordo una sera, dopo cena, con la coppia presidenziale John e Jacqueline che ci mostrava la loro piccola figlia Carolina. Dormiva in un lettino al quale era appeso un rosario donatole da Giovanni XXIII uguale a quello regalatoci dal Pontefice, per i nostri figli, nel marzo 1963». La famosa udienza in Vaticano che creò tante polemiche... «Sì. Fu una visita preparata da tempo nei dettagli, il primo contatto importante tra Urss e Vaticano. Il corrispondente dell’Izvestia, Leonid Kolosov, che poi scoprimmo agente del Kgb, e l’ambasciatore in Italia Kozyrev ci relazionarono sulla situazione. Sapevamo che in Vaticano c’erano due fazioni: una favorevole e l’altra contraria al nostro incontro. A Mosca erano stati preparati i documenti necessari, compresa una missiva per il Santo Padre. L’udienza era programmata in occasione della consegna a Giovanni XXIII del Premio Balzan per la pace. Io e mio marito eravamo fra i 40 giornalisti invitati. Fino all’ultimo non fummo sicuri dell’incontro col Papa. Le diplomazie ebbero contatti frenetici. Si definirono anche alcune condizioni: tra queste, nessun articolo sul giornale. In Vaticano, dopo la cerimonia, si invitarono gli ospiti a uscire: a noi invece fu detto di attendere. Pochi minuti e arrivò un responsabile del protocollo, poi una seconda persona. Il primo voleva che mio marito baciasse l’anello papale ma lui rispose che non era cat- tolico. Fummo accompagnati fino a una porta pesante. Giovanni XXIII era lì, in piedi ad aspettarci. Ci fece segno con le mani di accomodarci. Eravamo presenti solo mio marito, io e il gesuita Koulik, come traduttore. Ci sedemmo sulle poltrone. Aleksej porse al Papa la missiva di mio padre. C’era un messaggio in russo in cui si elogiavano gli sforzi del Papa per la pace. In risposta, Giovanni XXIII ci diede una lettera in cui, in modo generico, era scritto che se un giorno Krusciov fosse stato in Italia si augurava di trovare tutti il tempo per incontrarlo ed enunciava la speranza di futuri passi per un avvicinamento. Poi il Papa ci ha rivolto alcune domande. Ha osservato che lui e mio padre avevano comuni origini contadine e avevano visto due conflitti mondiali. Mi ha chiesto di ripetergli i nomi dei miei figli, cui inviò una benedizione. A me regalò dei rosari, a mio marito monete. Alla fine ci accompagnò alla porta. Quello che successe dopo è noto. In realtà Giovanni XIII espresse bene il problema della pace nella Pacem in terris». Proprio l’enciclica nata durante la crisi di Cuba, quando suo padre decise il ritiro dei missili al largo dell’Avana, forse anche in seguito agli appelli alla pace di Giovanni XXIII. Ha memoria di quel periodo? «Parrà strano ma eravamo all’oscuro del pericolo che si stava profilando. A casa non se ne parlò mai. Mentre il mondo temeva la fine, da noi nessuno si rendeva conto della realtà. I mezzi d’informazione ignoravano ciò che succedeva e in piena crisi, su invito di Krusciov, i dirigenti politici andavano insieme a teatro. Io stessa ho capito la gravità di quel momento solo pochi anni fa, a un incontro con esperti russi e americani». Per quale vero motivo suo padre fu forzato a dimettersi? «È più esatto dire che era già in età abbastanza avanzata e non godeva di buona salute. Soffriva anche perché le riforme da lui ideate zoppicavano, per le resistenze dei burocrati dell’apparato statale e del partito. In famiglia accennava a possibili passaggi di consegne a persone più giovani. Fece anche qualche nome. Pensava a una Costituzione per sostituire quella staliniana del 1936 e a introdurre il principio dei cambi al vertice del potere dopo un certo numero di anni, con le conseguenti dimissioni di alcuni pezzi grossi. Ma i suoi rivali agirono prima di lui. Congedandosi da loro, poté dire: “Il fatto stesso che potete mandarmi in pensione è una delle mie più grandi conquiste”». Poi, gli ultimi anni, vissuti in una dacia fuori Mosca... «Solo poche persone poterono incontrarlo. Dettò al registratore le sue memorie. Il Kgb cercò più volte d’impadronirsi dei nastri originali: nuovi dirigenti politici temevano informazioni negative su di loro. Lui invece evitò giudizi di carattere personale. Quando si ammalò, rimasi con lui e fui l’ultima a vederlo pochi minuti prima della morte». Quali i punti di forza e le debolezze di Nikita e che direbbe della Russia odierna? «Era un convinto riformatore, voleva costruire una società basata sulla pace. Allontanò il pericolo della guerra termonucleare, liberò i sovietici dalla paura del gulag, costruì case per i senzatetto. Nello stesso tempo ebbe le stesse debolezze del popolo. Per fortuna, la morte gli risparmiò il dolore di veder naufragare l’Urss. Sì, fece errori e li pagò cari. Li avrebbe pagati ancor di più se non avesse denunciato lo stalinismo che, purtroppo, ora ritorna di moda in certi strati dell’attuale 왎 società russa». Nikita Krusciov a spasso nei pressi del Cremlino con i due nipotini, Ivan e Nikita, e la nuora Galina, moglie di Sergei, figlio del leader sovietico “ ” Giovanni XXIII ci diede un messaggio da portare a mio padre: si augurava che in futuro avrebbero potuto incontrarsi CLUB3 149 OTTOBRE 2008