La continuità assistenziale per l`anziano fragile ed il

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La continuità assistenziale
per l’anziano fragile ed il “percorso
di cura” nella rete dei servizi
Multiprofessionalità interdisciplinare ed umanizzazione: obiettivi o chimere?
F. Torres1, I. Pavese2, M. Chirico2, F. Badagliacca2, G. Stama2
L
a storia della medicina è contrassegnata dalla
continua comparsa di nuove entità cliniche, alle
quali viene attribuita una denominazione che
solitamente precede la conoscenza della loro
esatta natura. Le modificazioni demografiche intervenute a partire dalla seconda metà del XX
secolo nei Paesi Occidentali, consistenti fondamentalmente
nell’invecchiamento della popolazione a causa dell’aumento
dell’aspettativa di vita media, hanno determinato il fatto che
a proporsi maggiormente all’attenzione di chi lavora nei servizi e nelle strutture sanitarie è l’anziano con fragilità, entità clinica individuata e descritta dalla medicina geriatrica
negli ultimi 15-20 anni.
Essa si identifica con una condizione di particolare vulnerabilità del paziente anziano, risultato della riduzione età-correlata delle riserve omeostatiche e della capacità dell’organismo di
contrastare gli eventi stressanti, che pone il soggetto stesso a
rischio permanente di deterioramento improvviso dello stato di
salute e di compromissione dell’autonomia funzionale, con conseguente necessità di ripetute ospedalizzazioni o di istituzionalizzazione, fino alle conseguenze più estreme (exitus).
La “sindrome da fragilità”, espressione clinica che assume
connotati diversi a seconda del livello funzionale del soggetto e
del setting assistenziale in cui avviene la valutazione, colpisce
una percentuale significativa della popolazione anziana, con
forte impatto sul nostro “welfare” per la grande necessità di
risposte ai bisogni assistenziali e quindi di utilizzo di risorse.
L’anziano fragile è il ‘vero’ paziente geriatrico: è caratterizzato dalla presenza di malattie croniche, il più delle volte
coesistenti (comorbilità), che si embricano spesso con problemi psico-cognitivi; è pertanto in una condizione ad alto
rischio di sviluppare disabilità, se non ne è già portatore, con
conseguente compromissione della propria autonomia funzionale; inoltre si trova spesso in condizioni di disagio socioambientale (complessità): per definizione è un paziente
inguaribile, almeno secondo i canoni della medicina tradizionale.
L’obiettivo diventa allora il “prendersi cura”, attraverso
un approccio globale, per migliorare la qualità di vita del
paziente e ridurre il rischio di disabilità o di progressione della
stessa verso i gradi più avanzati. È evidente che questo obiettivo difficilmente possa essere raggiunto utilizzando un singolo ‘setting’ assistenziale, sia esso ospedaliero che territoriale: in tal caso il rischio è che l’anziano fragile, oltre ad essere inguaribile, possa talvolta diventare anche incurabile.
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Invecchiare è un privilegio e una meta della società. È anche una sfida, che ha
un impatto su tutti gli aspetti della società del XXI secolo.
(Organizzazione Mondiale della Sanità)
L’organizzazione socio-sanitaria attuale è espressione di
una società che presentava bisogni assistenziali diversi,
determinati primariamente dalle malattie acute infettive, che
falcidiavano la popolazione infantile e giovane adulta, laddove, quando presente, la cronicità era solamente di breve
durata e la disabilità sostanzialmente si identificava negli
invalidi civili o di guerra.
La popolazione anziana e molto anziana era numericamente
irrilevante e, quando si ammalava, aveva breve aspettativa di
vita. Si comprende come tale organizzazione risulti inadeguata
alla gestione del malato anziano cronico, fragile e disabile.
L’ospedale, che rappresenta tuttora la principale struttura sanitaria di riferimento, oltre a non essere stato concepito
e realizzato, dal punto di vista architettonico, organizzativo e
funzionale, per accogliere questa tipologia di pazienti, si trova
in una fase di progressiva modificazione del proprio ruolo,
sempre più orientato verso la cura dell’acuzie (sistema DRG)
e verso gli interventi diagnostico-terapeutici ad alta tecnologia, mentre è scarsamente o per nulla proteso verso pazienti con necessità di cura a lungo termine e/o ad elevata complessità clinico-gestionale.
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In realtà la possibilità di contenere la durata della degenza media e di garantire l’efficacia degli interventi risiede in
una capacità clinica che sappia coniugare l’intensività e la
ricerca di outcome clinici rilevanti con la continua attenzione
ai rischi dell’ospedalizzazione. Tuttavia, la carenza di un sistema di monitoraggio di indicatori di efficacia (mortalità, disabilità residua, tasso di istituzionalizzazione) ha reso di fatto
impossibile in Italia l’apprezzamento del valore delle Unità
Operative di Geriatria per Acuti (UGA), dimostrato invece da studi clinici controllati.
La “mission” dell’UGA ospedaliera è infatti realizzare un
intervento diagnostico, terapeutico e riabilitativo su anziani con
patologia acuta e caratteristiche di complessità, fragilità e/o disabilità, diretto, per quanto possibile e quanto più rapidamente,
al ripristino della stabilità clinica e, nel contempo, al recupero
funzionale ed alla prevenzione della non autosufficienza.
Tale intervento deve essere guidato da un processo di
valutazione multidimensionale (VMD), dal quale scaturisce un
piano di assistenza individualizzato (PAI).
L’UGA è inoltre coinvolta nella programmazione e gestione della rete integrata dei servizi e partecipa alle attività della
Unità di Valutazione territoriale nel monitoraggio del piano di
assistenza attraverso i vari nodi della rete (RSA; ADI; ecc.).
In egual misura pesa sulla gestione ospedaliera del
paziente anziano fragile la costante difficoltà nell’attivazione
e nel funzionamento di Unità Operative ospedaliere dedicate
all’assistenza del paziente post-acuto (lungodegenze o
unità post-acuzie), previste dai vari Piani Sanitari Nazionali
e Regionali degli ultimi decenni ed in grado di fornire un’assistenza qualificata sul piano delle procedure, anche se a bassa
tecnologia strumentale.
Le unità di lungodegenza post-acuzie sono riservate a quei
pazienti che, conclusa la fase acuta del ricovero con inquadramento diagnostico e trattamento terapeutico ben definiti,
necessitano di un prolungamento dell’intervento assistenziale e riabilitativo ospedaliero, sempre al fine di ottenere la stabilizzazione clinica ed il recupero dell’autonomia funzionale.
Sulla base di positive esperienze compiute in altri Paesi è
possibile affermare che la risposta più appropriata alle problematiche assistenziali legate alla cronicità, disabilità e fragilità sia rappresentata dalla realizzazione di un “sistema” in
grado di garantire risposte tempestive ed efficaci a bisogni
complessi, che sono nel contempo sanitari e sociali, nonché
molteplici e mutevoli nel tempo.
La necessità di identificare nuove priorità e di ripensare
l’offerta in modo che sia più efficace e meno dispendiosa
comprende non solo gli interventi che hanno come obiettivo
la cura delle malattie, ma anche tutti quelli di carattere socioassistenziale, rivolti ai soggetti la cui condizione di fragilità sia
caratterizzata da una lunga durata e da una progressiva comparsa di maggiore disabilità.
Ne è scaturita una nuova concettualizzazione del sistema di
garanzia della salute come “rete dei servizi”, dove le componenti sociali e sanitarie della cura sono strettamente collegate.
Questa è la filosofia che sostiene il Progetto Obiettivo
“Tutela della Salute degli Anziani” (POSA), promosso dal
Ministero della Sanità nel 1992 ed inserito nei Piani Sanitari
Nazionali 1994-1996, 1996-1998, 1998-2000 e nella “Legge
quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” (Ministero della Sanità 1992; 1998; 1999;
2000). Esso delinea in maniera organica l’assistenza agli
anziani non autosufficienti, parzialmente autosufficienti e a
quelli con pluripatologie ad alto rischio di invalidità, con particolare riguardo agli ultrasettantacinquenni.
Il POSA individua nel “modello a rete” dei servizi sociosanitari - ovvero in un circuito assistenziale che accompagna
l’evolversi dei bisogni dell’anziano e della sua famiglia, fornendo di volta in volta interventi diversificati, ma in continuità tra di loro - il presupposto fondamentale per garantire
un’assistenza continua, globale e flessibile, unitamente all’integrazione sociale e sanitaria.
Fra le strutture preposte all’assistenza all’anziano e individuate dal POSA alcune erano realtà consolidate in tutte le
Regioni del nostro Paese, altre, con particolare riferimento ai
servizi territoriali ed extraospedalieri (ADI, Assistenza Domiciliare Integrata e RSA, Residenze Sanitarie Assistenziali) rappresentavano una novità e a tutt’oggi non sono ancora uniformemente presenti su tutto il territorio nazionale.
Qualcuno ritiene che il POSA sia un “libro dei sogni”; pur
tuttavia esso costituisce un punto di riferimento generale che
non dovrebbe essere dimenticato per garantire un’appropriata
articolazione dell’offerta, anche al fine di razionalizzare ed ottimizzare l’utilizzo delle risorse e di evitarne l’utilizzo improprio.
Figura 1. Modello “minimo” di rete dei servizi (Progetto Obiettivo
“Tutela della Salute degli Anziani”, Ministero della Sanità, 1992). I numeri indicano i possibili percorsi da un nodo all’altro della rete dei servizi.
UVIG: Unità di Valutazione ed Intervento Geriatrico; RSA: Residenza
Sanitaria Assistenziale; ADI: Assistenza Domiciliare Integrata. I passaggi tra i vari setting sono definiti come “transizioni”.
Per tale ragione, oltre alla necessità di riorganizzare la
rete ed i servizi ospedalieri, è indispensabile dare più dignità
e forza alla medicina del territorio (o medicina extraospedaliera, come alcuni preferiscono definirla), che comincia a
darsi regole ben precise per uscire dalla confusione del “fai da
te” regionale, anche alla luce delle ultime novità: ci riferiamo
alla definizione dei nuovi Livelli Essenziali di Assistenza per
l’assistenza socio-sanitaria domiciliare, residenziale e semiresidenziale ed all’arrivo degli strumenti idonei per la definizione degli indici di case-mix assistenziale (Progetto del
Ministero della Salute “Mattoni del SSN”). (nota: il DPCM del
23.04.08 che definiva i nuovi LEA 2008 è stato revocato il
24.07.08 per assenza di copertura finanziaria!).
Per quanto riguarda la realtà della Regione Puglia, il
Piano Sanitario Regionale 2002-2004 ed il Piano Regionale
della Salute 2006-2008, di recente approvazione,individuano
quale area prioritaria di intervento quella delle fragilità, eviNotiziario dicembre 2008
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denziando, tra gli obiettivi, quello della tutela dei soggetti
deboli e quindi anche degli anziani fragili.
A tal fine è stata promossa un’ampia articolazione del
sistema delle cure continuative (meglio definite “cure
intermedie”), che comprendono :
- le cure domiciliari, erogate attraverso l’assistenza domiciliare programmata, sanitaria, integrata (ADP, ADS, ADI) e
l’ospedalizzazione domiciliare (nota: i LEA 2008 prevedono
una nuova classificazione in cure domiciliari prestazionali e
cure domiciliari integrate di I, II e III livello);
- l’assistenza residenziale, che prevede la distinzione in
Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA), Residenze Protette
(successivamente ridenominate RSSA, Residenze SocioSanitarie Assistenziali), Hospice (per l’assistenza e le cure
palliative ai malati terminali) ed Ospedali di Comunità;
- le strutture riabilitative extraospedaliere (ex art. 26 della
L. 833/78).
È stata prevista inoltre l’attivazione di Nuclei Alzheimer,
quali moduli all’interno delle RSA, specializzati nell’assistenza
ai soggetti affetti da demenza e di Centri Diurni, dedicati
all’assistenza semiresidenziale dei pazienti con compromissione parziale dello stato funzionale, prevalentemente di
quelli con demenza (Centri Diurni Alzheimer).
Infine, nel quadro della continuità e della gradualità delle
cure nei Presidi Ospedalieri, sono state previste specifiche unità
operative di Lungodegenza post-acuzie e di Riabilitazione.
Pertanto anche in Puglia i cosiddetti “nodi della rete” stanno
negli ultimi anni pian piano prendendo ciascuno il proprio posto.
Permangono tuttavia degli elementi di criticità: nella pratica operativa, se non programmatoria, dei diversi servizi
socio-sanitari, il confine tra le attività di Lungodegenza e
Riabilitazione ospedaliere, destinate alla post-acuzie, e le prestazioni residenziali, destinate alla cronicità, viene costantemente disconosciuto; così come non viene ancora chiarita, a
livello normativo, la differenza tra le funzioni prestazionali
delle diverse tipologie di strutture residenziali (RSA, RSSA,
centri di riabilitazione ex art. 26 L. 833/78).
Ne consegue che tali servizi vengono spesso utilizzati in
maniera del tutto casuale, a dispetto dell’obiettivo di differenziare l’offerta in base al diverso bisogno espresso dai
pazienti e quindi di garantire l’appropriatezza clinica ed organizzativa delle suddette prestazioni socio-sanitarie.
Ma oltre al loro perfettibile utilizzo, questi Servizi presentano un altro enorme punto critico: l’integrazione intesa
come “comunicazione”.
La razionalizzazione delle risorse ed il rafforzamento di
questo o quel ‘setting’ assistenziale non possono prescindere
dalle sinergie derivanti dalla “messa in rete” degli stessi e
dalla loro comunicazione reciproca.
In poche parole è l’intero sistema che deve essere rafforzato e ciò non può che avvenire attraverso lo sviluppo di strategie efficaci di integrazione tra ospedale e territorio e tra servizi sociali e sanitari, servizi che in molti casi viaggiano ancora su binari paralleli.
Questo perché per gli anziani fragili, piuttosto che interventi
specifici e settoriali, è indispensabile che siano previsti dei “percorsi di cura” che garantiscano l’effettiva “presa in carico globale”; ed è evidente che ciò sia realizzabile attraverso l’attivazione ed il reale funzionamento di tutta la rete dei servizi sociosanitari, con particolare attenzione all’efficienza non solo di ciascun Servizio, ma anche delle “cerniere” di collegamento.
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Il Piano Regionale delle Politiche Sociali ha provveduto ad
individuare gli obblighi reciproci di Comuni e ASL, suggerendo alcuni degli strumenti operativi più idonei, se non necessari, per dare corpo e sostanza al percorso di integrazione
socio-sanitaria.
Tali strumenti, definiti nella L.R. 19/2006 e nel successivo
Regolamento Attuativo n. 4/2007, comprendono la Porta
Unica di Accesso (PUA) e l’Unità di Valutazione Multidimensionale (UVM).
Alla PUA viene affidato il compito di fornire informazioni e
di orientare i cittadini sui diritti e le opportunità sociali e sui
servizi e gli interventi del sistema locale; di accogliere le
richieste inoltrate; di decodificare il bisogno; di attivare l’UVM
in caso di individuazione di bisogni che richiedano l’integrazione socio-sanitaria.
L’UVM è costituita da una èquipe multiprofessionale in
grado di leggere le esigenze di pazienti con bisogni sanitari e
sociali complessi, attraverso strumenti di valutazione multidimensionale (nello specifico la SVAMA, Scheda di Valutazione
Multidimensionale dell’Adulto e dell’Anziano) e con funzione
di filtro per l’accesso al sistema dei servizi socio-sanitari di
natura domiciliare, semiresidenziale e residenziale a gestione
integrata e compartecipata.
L’UVM sostituisce di fatto l’Unità di Valutazione Geriatrica
(UVG o UVIG) prevista dal POA del 1992, dovendo farsi carico non solo di anziani, ma di tutti i soggetti con bisogni che
richiedono l’integrazione socio-sanitaria.
Restano tuttavia da definire i ruoli e le funzioni delle varie
figure professionali coinvolte nella UVM, soprattutto quando,
come nella stragrande maggioranza dei casi, si valuta l’anziano cronico-fragile-disabile (va ricordato che nella Letteratura
internazionale la valutazione multidimensionale viene proposta originariamente come metodologia specialistica geriatrica: CGA, Comprehensive Geriatric Assessment) .
A tal proposito è utile sottolineare che la programmazione
e la realizzazione dei percorsi di cura (cioè dell’insieme coordinato degli interventi terapeutici, riabilitativi e socio-assistenziali) richiedono un approccio di tipo multiprofessionale ed interdisciplinare, ma sempre nell’ottica della valorizzazione delle competenze specialistiche. Competenze
che devono essere in grado di non disgiungere la fase della
valutazione dalla fase della cura: la scelta del ‘setting’ assistenziale è di per sé una scelta terapeutica, per cui individuare il ‘setting’ più appropriato per quel paziente, in quel
determinato momento, equivale ad un successo terapeutico,
con enormi vantaggi anche in termini di rapporto costo/beneficio (“economia etica”).
Infine, ma non per questo meno importante, proprio perché si parla di persone “fragili”, non possiamo dimenticare il
grande sogno professionale ed esistenziale della umanizzazione dei servizi, cioè di dare proporzioni di umanità alla
nostra pratica clinica ed all’organizzazione sanitaria. Citando
le parole di Gian Antonio Dei Tos, medico ospedaliero, responsabile della segreteria scientifica del Comitato per la Bioetica
della Regione Veneto, “L’umanizzazione è un processo che
coinvolge tutti, pazienti ed operatori, nella prospettiva di riconoscere ad ognuno il diritto alla propria dignità e di promuovere i valori della persona” …e della vita.
1 U.O. di Geriatria, Ospedale di Conversano
2 Consiglio Direttivo Regionale AGE (Associazione Geriatri Extraospedalieri)