PONTIFICIA FACOLTÀ TEOLOGICA DELL`ITALIA MERIDIONALE SEZ

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PONTIFICIA FACOLTÀ TEOLOGICA DELL`ITALIA MERIDIONALE SEZ
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 1
PONTIFICIA FACOLTÀ TEOLOGICA DELL‟ITALIA MERIDIONALE
SEZ. SAN TOMMASO D‟AQUINO
Q 233 Esegesi del NT/3: Opera Giovannea e Lettere cattoliche.
Prof. Gaetano Castello
Anno Acc. 2009-2010 I Semestre: Mercoledì e Giovedì ore 11,05-12,45
Programma: Il corso ha lo scopo di introdurre lo studente alla conoscenza delle principali questioni storico
letterarie per una lettura criticamente fondata dell’opera giovannea e delle lettere cattoliche. Alle introduzioni
letteraria e teologica al IV Vangelo e alle lettere di Giovanni seguir{ perciò l’esegesi di passi scelti che saranno
affrontati a partire dal testo greco. Lo studio esegetico si avvarrà principalmente del metodo storico-critico e
dell’analisi narrativa segnalando altri approcci praticati attualmente dagli studiosi; si intende così offrire un
quadro dei principali approcci metodologici al testo neotestamentario. Lo studente verrà inoltre avviato alla
consultazione delle principali opere esegetiche della tradizione cristiana antica e recente fornendo la
strumentazione di base per lo studio della teologia.
Argomenti
Il Corpus Johanneum e le altre lettere “cattoliche”
Introduzione generale al IV Vangelo
Introduzione storica al IV Vangelo: l’ipotesi di R.E.Brown e ipotesi attuali
Formazione e struttura del IV Vangelo
Gv 1,1-18 Il Prologo struttura esegesesi e teologia
La sezione Gv 2-4 Da Cana a Cana
Gv 2,1-11 Cana di Galilea esegesesi e teologia
Gv 4: La Samaritana esegesesi e teologia
Introduzione ai cpp. 5-12: la tensione con “i giudei”. Antigiudaismo giovanneo?
Gv 6: il grande discorso a Cafarnao sul pane di vita
Introduzione a Gv 13-17
Gv 10,1-21: esercitazione in aula per l’analisi esegetica del brano del Buon Pastore
Gv 13 lettura esegetico-teologica
Gv 14 lettura esegetico-teologica
Gv 15-16 lettura esegetico-teologica
Gv 18-20 Passione morte e risurrezione secondo Giovanni
Gv 18, 33-37 Davanti a Pilato; Introd. ai racconti di risurrezione
Intoduzione all’Apocalisse di Giovanni
Approfondimenti
Legge/Torah nel IV Vangelo
“dialogo nel IV Vangelo”
linguaggio della salvezza nel IV Vangelo
“Vita” nel IV Vangelo
Bibliografia essenziale: CASALEGNO A., “Perché contemplino la mia gloria” (Gv 17,24). Introduzione alla
teologia del Vangelo di Giovanni, ed. San Paolo, Alba (Cuneo) 2006; GHIBERTI G. e coll., Opera Giovannea,
ElleDiCi, Leumann (To) 2003; TUÑÌ J.O. –ALEGRE X., Scritti giovannei e lettere cattoliche, Paideia,
Brescia1997; SANT’AGOSTINO, Commento al Vangelo e alla prima epistola di San Giovanni, traduzione e
note di Gandolfo E. (Nuova Biblioteca Agostiniana), Città Nuova, Roma 1968; MANNUCCI V., Giovanni il
Vangelo narrante. Introduzione all’arte narrativa del quarto vangelo, Dehoniane, Bologna 1993,
ristampa 1997; SCHNACKENBURG R., Il Vangelo di Giovanni, 4 voli., Paideia, Brescia 1973-1987; G.
BIGUZZI, Apocalisse, Nuova versione introduzione e commento, Paoline, Milano 2005.
Per l’esame, oltre alle lezioni svolte in aula e ai relativi approfondimenti personali (con
indicazioni bibliografiche), sarà richiesto lo studio di una introduzione generale all’opera
giovannea e alle lettere cattoliche (dalla Bibliografia generale)
N.B.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 2
Bibliografia più citata durante le lezioni
indicazioni bibliografiche essenziali di preferenza in traduzione italiana
1. INTRODUZIONI GENERALI (oltre a quelle incluse nei commentari)
COTHENET E., «Il quarto Vangelo», in A. GEORGE - P. GRELOT, Introduzione al nuovo Testamento V: La tradizione
Giovannea, Borla, Roma 1978, 85-272 e 276-301 (Bibliografia).
COTHENET E., «Il Vangelo secondo San Giovanni», in Gli scritti di San Giovanni e la Lettera agli Ebrei, (Piccola
enciclopedia biblica 10), Borla, Roma 1985, 11-162.
MAZZEO M., Vangelo e lettere di Giovanni. Introduzione, esegesi e teologia, Paoline, Milano 2007.
PANIMOLLE 5., L 'evangelista Giovanni. Pensiero e opera letteraria del quarto Vangelo, Borla, Roma 1985.
SEGALLA G., «Giovanni (Vangelo di)», in Nuovo dizionario di teologia Biblica, Paoline, Milano 1988, 666-673.
2. COMMENTARI ANTICHI
CIRILLO DI ALESSANDRIA, Commento al Vangelo di Giovanni, trad., intr. E note a cura di Luigi Leone, 3 voll., (collana
di Testi patristici diretta da Antonio Quacquarelli) città nuova editrice, Roma 1994 (coll. Capodimonte
A.24.111/112/113).
ORIGENE, Commento al Vangelo di Giovanni, UTET, Torino 1968.
SAN BONAVENTURA, Commento al vangelo di San Giovanni, (collana Opere di San Bonaventura), 2 voll.,Città Nuova,
Roma 1990. 1991; ( coll. Capodimonte A.20.3. 7/1-2).
TEODORO DI MOPSUESTIA, Commentario al Vangelo di Giovanni, Borla, Roma 1991.
S. TOMMASO D’AQUINO, Commento al Vangelo di San Giovanni, I-IV, Città Nuova, Roma 1990.
3. COMMENTARI MODERNI
BARRET C.K., The Gospel according to St. John, SPCK, London 1985 (I ed. 1955).
BEASLEY-MURRAY G.R., John, (Word biblical commentary 36), Word, Dallas 1987.
BLANCK J., Das Evangelium nach Johannes, 4 voli. Patmos, Dùsseldorf 1977-1981; versione inglese, The Gospel
according to John, 3 voli., Crossroad, New York 1981; versione spagnola, EI Evangelio segun San Juan, 4
voli., Herder, Barcelona 1979-1984.
BOISMARD M.E. - LAMOUILLE A., L Èvangile de Jean. Commentaire: Synopse des quatres évangiles en franais III, Du
Cerf, Paris 1977.
BROWN R.E., Giovanni. Commento al Vangelo spirituale, Cittadella, Assisi 1979.
BULTMANN R., Das Evangelium des Johannes, Göttingen, 1941; + supplemento del 1966: The Gospel of John,
Oxford 1971.
FABRIS R., Giovanni (traduzione e commento), Borla, Roma 1992.
GNILKA J., Johannesevangelium, (Neue Echter Bible), Echter, Wùrzburg 1983.
HÄNCHEN E., Das Johannesevangelium. Ein Kommentar, Mohr, Tübingen 1980; versione inglese, A Commentary of
the Gospel of John, 2 voli., Fortress, Philadelphia 1984.
LACONI M., Il racconto di Giovanni, Cittadella, Assisi 1989.
LÉON-DUFOUR X., Lecture de lÈvangile selon Jean I: Chapitres 1-411: Chapitres 5-12, Du Seuil, Paris 1988-1990; tr.
it. Lettura del Vangelo secondo Giovanni, I, (cc. 1-4); Il (cc. 5-12), Paoline, Roma 1990-1992.
MAGGIONI B., «Il Vangelo di Giovanni», in I Vangeli, a cura di G. BARBAGLIO - li. FABRI5 - M. MAGGIONI,
Cittadella, Assisi 1975.
MATEOS J. - BARRETO J., Il Vangelo di Giovanni. Analisi linguistica e commento esegetico, Cittadella, Assisi 1982.
PANIMOLLE S., Lettura pastorale del Vangelo di Giovanni, 3 voli., Dehoniane, Bologna 1978-1984.
STRATHMANN H., Il Vangelo secondo Giovanni, Paideia, Brescia 1973.
VAN DEN BUSSCHE H., Giovanni. Commento al Vangelo spirituale, Cittadella, Assisi 1970.
ZEVINI G., Vangelo secondo Giovanni, 2 voli., Città Nuova, Roma 1984-1987.
4. ALTRE OPERE
BARRET C.K., Il Vangelo di Giovanni fra simbolismo e storia, Claudiana, Torino 1983.
BONNARD P., “Contemplation johannique et mystique hellénistique”, in La notion biblique de Dieu. Le Dieu de la
Bible et le Dieu des Philosophes, a cura di J. Coppens, (Bibliotheca Ephem. Theol. Lov. 41), Peeters, Leuven
1976, 351-360.
BRAUN F.M., Jean le théologien III/1: Le mystère de Jesus Christ, Gabalda, Paris 1966; III/2: Le Christ, notre
Seigneur hier, aujourd'hui, toujours, Gabalda, Paris 1972.
BROWN R.E., La comunità del discepolo prediletto, Cittadella, Assisi 1982.
BULTMANN R., Teologia del Nuovo testamento, Queriniana, Brescia 1985.
CULPEPPER R.A., Anatomy of the Fourth Gospel. A Study in Literary Design, Foortress, Philadelphia (1981) 31989.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 3
DE LA POTTERIE I., “Cristologia di Pneumatologia in San Giovanni”, in Bibbia e Cristologia a cura della
PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, Paoline, Milano 1987, 275-291.
DE LA POTTERIE I., La verité dans Saint Jean I-Il, (Analecta Biblica 73-74), PIB, Roma 1977
DE LA POTTERIE I., Studi di cristologia giovannea, Marietti, Genova 21986.
DODD C.H., L'interpretazione del quarto Vangelo, Paideia, Brescia 1974.
FABRIS R., «Messaggio teologico e spirituale del quarto Vangelo», in Giovanni, Borla, Roma 1992, 87-105.
GHIBERTI G., Spirito e vita cristiana in Giovanni, (Studi Biblici 84), Paidela, Brescia 1989.
GHIBERTI G., Vecchio e nuovo in Giovanni, per una rilettura di Giovanni (Vangelo e Lettere), Riv.Bibl. XLIII(1995)
225-251.
GRECH P., La comunità giovanea nei cc. 7 e 8 del Vangelo di Giovanni, in Ricerche Storico Bibliche 2(1991) 59-68.
KÄSEMANN E., L'enigma del quarto Vangelo (Giovanni: una comunità in conflitto con il cattolicesimo nascente?),
Claudiana, Torino 1977 (orig. Tùbingen 1971).
LEVIEILS X., Juifs et Grecs dans la communauté johannique, Biblica 82 (1, 2001) 51-78.
LOADER W., The Christology of the Fourth Gospel: Structure and Issues, Lang, Frankfurt am Main 1989.
MARTYN J.L., History and Theology in the Fourth Gospel (revised and enlarged edition), Abingdon, Nashville
21979.
MOLLAT D., Giovanni maestro spirituale, Borla, Roma 1980.
MONDATI F., “Struttura letteraria di Gv 1,1-2,12”, Riv.Bibl. XLIX(2001) 43-81.
MOODY SMITH D., Johannine Christianity, Clark, Edinburgh 1987.
MOODY SMITH D., La teologia del Vangelo di Giovanni, Paideia, Brescia 1998.
MUSSNER F., Il Vangelo di Giovanni e il problema del Gesù storico, Morcelliana, Brescia 1968.
PANIMOLLE S., L 'evangelista Giovanni (Pensiero e opera letteraria del quarto Vangelo), Borla, Roma 1985.
PANIMOLLE S.,Gesù di Nazaret nell'ultimo evangelo e nei primi scritti dei Padri, Paoline, Roma 1990.
Parole. De l'Ancien au Nouveau Testament, (Hommage a P. Grelot), Desclée, Paris 1987, 367-380.
PASQUETTO V., Da Gesù al Padre. Introduzione alla lettura esegetico-spirituale del vangelo di Giovanni,
Teresianum, Roma 1983.
PASQUETTO V., Da Gesù al Padre. Introduzione alla lettura esegetico-spirituale di Giovanni, Teresianum, Roma
1983, Parte prima (“Caratteristiche d'insieme del Vangelo di Giovanni”), 19-109.
POPPI A., «Vangelo secondo Giovanni», in Sinossi dei quattro Vangeli Il: Commento, Messaggero, Padova 1987,
364-503.
RIGATO M.L., «L’apostolo ed evangelista Giovanni», «sacerdote» levitico in Riv.Bibl. XXXVIII(1990) 207-215.
RIGATO M.L., Giovanni: l’enigma, il Presbitero, il culto, il tempio, la cristologia, Dehoniane, Bologna 2007.
SCHNACKENBURG R., Il messaggio morale del Nuovo Testamento, II: I primi predicatori cristiani, Paideia, Brescia
1990.
SEGALLA G., «Il discepolo che Gesù amava» e la tradizione giovannea, in Ricerche Storico Bibliche 2(1991)11-36.
SPEIR A. VON, San Giovanni. Esposizione contemplativa del suo Vangelo, 2 voli., Jaca Book, Milano 1985-1989.
TALBERT C.H., Reading John. A Literary and Theological Commentary of the Fourth Gospel and the Johannine
Epistles, Cross-Road, New York 1992.
Gli appunti che seguono sono destinati al solo uso interno. Si tratta degli appunti a partire dai
quali il docente ha sviluppato le lezioni in aula, non riportano perciò l‟intero contenuto di quanto
proposto.
Il titolo e il contenuto del corso NT/3
Prima di entrare nell‟argomento del singolo scritto per passare poi all‟esegesi di testi scelti,
offriamo un panorama generale dei testi del Nuovo Testamento a cui fa riferimento il titolo del
nostro corso. Si tenga conto che molto è stato già detto sia nel corso di introduzione generale alla
Sacra Scrittura (si pensi alle questioni di critica testuale, canone ecc.), sia nel corso sui sinottici e
sulle lettere paoline.
Secondo quanto previsto dal titolo, il nostro corso si occuperà di introdurre ben nove scritti del NT:
il Vangelo di Giovanni, le tre lettere che portano lo stesso nome e l‟Apocalisse, opere note nel loro
insieme come corpus johanneum, e le altre lettere cattoliche cioè le due lettere di Pietro, la lettera di
Giacomo e quella di Giuda, che insieme alle tre lettere di Giovanni formano il gruppo delle
cosiddette “lettere cattoliche”.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 4
La stessa lunghezza degli scritti è molto diversa, come risulta da un confronto dei caratteri greci che
compongono ciascuno scritto (considerati in maniera approssimativa).
Vangelo di Giovanni
Apocalisse
1Giovanni
2Giovanni
3Giovanni
1Pietro
2Pietro
Giacomo
Giuda
76288
48118
10000
1190
1173
9550
6356
9335
2710
Giuda
Gc
2Pt
1Pt
3Gv
Serie1
2Gv
1Gv
Ap
Gv
0
10000
20000
30000
40000
50000
60000
70000
80000
90000
numero caratteri
Ci occuperemo dunque innanzitutto del Vangelo di Giovanni, il IV Vangelo, per il posto che
occupa tradizionalmente nella lista dei Vangeli canonici. Il Vangelo che manifesta subito la sua
peculiarità nell‟insieme degli scritti neotestamentari e in particolare in relazione ai sinottici. Qui
Gesù è presentato come il logos, la Parola incarnata ed eterna, senza origine perché è sin dal
principio. La figura di Gesù è presentata innanzitutto in stretta relazione con il Padre di cui Egli è il
Rivelatore, l‟Inviato al mondo. Si presenta con l‟espressione IO SONO che richiama il nome divino
del Sinai. I segni che Egli compie sono non dynameis, rivelatori della potenza divina, ma piuttosto
segni rivelativi della rivelazione tra Gesù e il mondo che carattterizzano l‟intera prima parte del IV
Vangelo con la scansione dei 7 segni, spesso accompagnati da “discorsi” che riprendono il
significato profondo dei segni e lo esplicitano al di là degli equivoci dell‟interpretazione. La
rivelazione di Gesù Cristo, in segni e parole, non rimane però qualcosa che riguarda solo l‟intelletto,
chiede la decisione da parte degli uomini, l‟adesione a Gesù Cristo. È proprio la relazione con Gesù
che determina già ora il giudizio spostato nel presente e non relativo alla fine dei tempi.
L‟escatologia per Giovanni è relativa già al tempo presente per compiersi completamente nel futuro.
La prima lettera di Giovanni può essere letta, come ci insegna l‟antica tradizione, in continuità
con il IV Vangelo, con la sua presentazione di Dio come luce (1,5) e come amore (4,16).
L‟appartenneza a Dio, che è luce, chiede di abbandonare la via delle tenbre. L‟attenzione della
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lettera, come poi anche delle successive, sposta gradualmente l‟attenzione al percorso dei discepoli
impegnati a vivere dell‟amore per il prossimo, momento preciso di verifica rispetto all‟amore di Dio
e per Dio. La prima lettera riprende e prolunga anche la riflessione sullo Spirito Santo, dono che
Gesù ha fatto ai suoi dalla croce (Gv 19,30): il sangue e l‟acqua effusi sulla croce sono la
testimonianza più vera della morte di Cristo in croce contro ogni pericolo di spiritualizzazione che
dimentichi o ponga tra parentesi l‟umanità di Gesù.
Il tema della divisione all‟interno delle comunità, già visto nelle lettere paoline, è presente nella
seconda lettera di Giovanni in cui si insiste sulla necessità della testimonianza dell‟amore
vicendevole. Qui la comunità è chiamata “Signora”, invitata a vivere il comandamento dell‟amore
vicendevole insegnato fin dal principio da intendere non sololo come fatto temporale, ma
soprattutto qualificativo.
1 Io, il presbitero, alla Signora eletta e ai suoi figli che amo nella verità, e non io soltanto, ma tutti
quelli che hanno conosciuto la verità, 2 a causa della verità che dimora in noi e dimorerà con noi
in eterno: 3 grazia, misericordia e pace siano con noi da parte di Dio Padre e da parte di Gesù
Cristo, Figlio del Padre, nella verità e nell'amore.
L‟ultima, la terza lettera di Giovanni è indirizzata a Gaio, un testimone della verità che lo rende
noto nella comunità di Giovanni e di cui viene lodata la condotta.
Anche l’Apocalisse, l‟ultimo scritto del corpo giovanneo, viene tradizionalmente attribuito a
Giovanni, non senza problemi da parte della critica non solo moderna. Un testo di notevole
successo in diverse epoche della storia, come vedremo, per il suo linguaggio “apocalittico” appunto,
che si presta di per se a diverse interpretazioni. La più comune, almeno nel linguaggio abituale, è
quella che meno rende giustizia a questo testo, volendo individuare in esso soprattutto profezie che
si realizzano misteriosamente nella storia. Si tratta invece di un annuncio profondamente
cristologico ed ecclesiologico che presenta il conflitto degli ultimi tempi in atto tra i cristiani e la
forza del male che con i suoi rigurgiti sembra minacciare irrimediabilmente la vita cristiana nel
mondo. Non sono le previsioni nefaste delle manifestazioni demoniache al centro del nostro testo
ma il mistero pasquale del Cristo morto e risorto, il “Vivente” (Ap 1,17-18). È Gesù Cristo Risorto
che continua a interpellare le chiese (attraverso le sette lettere) incoraggiandole a vivere in pienezza
la testimonianza senza nascondere i tradimenti e le infedeltà che vengono compiute. Egli è
l‟Agnello ritto in mezzo al trono e immolato che continua ad offrire la sua vita agli uomini
dimostrandosi il solo degno di “prendere il libro e aprirne i sigilli. È il Cristo Risorto che incoraggia
i suoi, coloro che portano i segni della passione e lo seguono ovunque fino alle nozze nelle quali
l‟Agnello sarà definitivamente unito alla sua sposa, la chiesa, lavata da ogni colpa e pronta per il
suo sposo (Ap 19,7-8). L‟intero libro dell‟Apocalisse si presenta come descrizione di una grande
liturgia celeste scandita da Inni in cui la comunità manifesta la sua fede e canta la signoria
dell‟Agnello che si estende non solo sul gruppo dei cristiani ma ha invece una portata cosmica
diffondendosi sul mondo intero (universalismo). Come nel Vangelo, e ancora più decisamente, il
giudizio è presentato come già in atto contro il mondo e la bestia che lo rappresenta. La Chiesa
dovrà continuare ad annunciare il Cristo morto e Risorto attendendolo come sposo e invocandone il
ritorno “maranatha” vieni Signore Gesù.
Le altre quattro lettere (1-2 Pt; Gc; Giuda) insieme alle tre giovannee sono note come le sette
lettere cattoliche indirizzate cioè all‟intero mondo cristiano. Sono accomunate dalla
preoccupazione della testimonianza cristiana di fronte al mondo e alle difficoltà che esso
rappresenta per il discepolo di Gesù. L‟attenzione è rivolta così, come si può immaginare anche per
gli inevitabili problemi e nuovi interrogativi che nascono dalla vita cristiana, all‟etica ma intesa
come quotidiana, coerente incarnazione del Vangelo.
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Alla prima lettera di Pietro è stata dedicata ultimamente molta attenzioni (molte pubblicazioni in
italiano) in occasione del Convegno nazionale sulla Testimonianza. La logica che deve guidare la
vita cristiana deriva direttamente dall‟offerta che Cristo ha fatto della sua vita chiamando le chiese
alla testimonianza del Vangelo nella perseveranza e nella vigilanza. In 1Pt troviamo l‟immagine
della Chiesa come edificio, i cristiani come pietre vive impiegati per la costruzione dell‟edificio
spirtuale (1 Pt 2,4-10), secondo il modello anticotestamentario del “popolo eletto'', per cui tutta la
comunità svolge un servizio sacerdotale di perfetta comunione con Dio (1 Pt 2,9). Nella stessa
sofferenza per le persecuzioni la comunità è invitata a consolidarsi attraverso l'esempio che riceve
dalle altre comunità sparse nel mondo (1 Pt 5,9). L'attesa del Signore diventa annuncio di sicura
speranza per quanti continuano a soffrire, seguendo il modello di Cristo, per il vangelo.
La 2 Pietro, in continuità con la prima lettera, prosegue nelle esortazioni morali, quali incarnazione
del vangelo. Tuttavia, in questa lettera si scorgono due preoccupazioni ecclesiali che stanno
particolarmente a cuore al suo autore: l'autorevolezza del vangelo, presentato come “parola
profetica”, e il calare della tensione escatologica che serpeggia nella comunità. É lo Spirito che ha
ispirato la parola e la comunità invitata a farsi interprete garante della stessa parola (cfr. 2 Pt 1,1621) uno dei due riferimenti neotestamentari espliciti alla ispirazione della Sacra Scrittura. La radice
pneumatica del vangelo, presente nella 2Pietro, verrà ripresa soprattutto dalla costituzione
conciliare Dei Verbum (DV 3,12). L'esperienza quotidiana delle persecuzioni per il vangelo
inducono diversi credenti a dubitare della venuta del Signore: a questo decadimento escatologico è
strettamente relazionata la diminuzione nella perseveranza della testimonianza per il vangelo.
L'autore della 2 Pt, riprendendo il codice proprio dell'apocalittica giudaico-cristiana, esorta a una
vigilanza operosa.
Giacomo. In questa tensione tra vangelo e morale si spiega anche la lettera di Giacomo, spesso
considerata, erroneamente, come secondaria rispetto al messaggio teologico del Nuovo Testamento,
soprattutto quando viene presentata in antitesi con il “vangelo paolino”. È entrata tardi nel Canone
del NT, è perciò tra le lettere Deuterocanoniche; utilizzata da Origene (+254) accolta però in
Palestina solo all‟inizio del IV secolo (Eusebio la colloca tra gli “antilegomena”). Ai dubbi antichi
ha fatto riscontro l‟atteggiamento della Riforma: Lutero la escluse dal Canone, reintrodotta dalle
Chiese riformate nel corso del XVII secolo. Giacomo si pone in una prospettiva diversa da quella di
Paolo: non si preoccupa più di stabilire le condizioni per entrare e rimanere nell'alleanza realizzata
in Cristo, che per Paolo erano rappresentate dalla fede in Cristo, ma delle modalità con cui la stessa
fede deve tradursi e prodursi nella vita cristiana.
Codice ermeneutico che pervade questa lettera è quello “sapienziale” (cf. Sl 1): chi sono il saggio e
lo stolto? Quali sono i criteri che li caratterizzano? Tali questioni, che si trovano alla base della
lettera, vengono risolte richiamando, in primo luogo, l'origine divina della sapienza: viene
“dall'alto'' (Gc 3,17), in quanto causata dalla parola di verità (Gc 1,18).
Tuttavia non può esservi sapienza che non scelga di prodursi nell'operosità dell'amore: è
significativo che la sapienza elogiata da Giacomo segua il canovaccio paolino della carità, delineato
in 1 Cor 13,1-13 (cfr. Gc 3,13-18). Per questo la stessa fede se non si traduce in opere di amore
vicendevole è destinata a restare vuota, anzi “morta”. La prospettiva escatologica, non rigettata da
Giacomo, viene riletta in prospettiva storica contro ogni forma di attesa inoperosa di chi non
produce frutti nella propria vita cristiana (Gc 5,7-11).
Giuda. Il messaggio apocalittico del Nuovo Testamento giunge al suo stadio conclusivo con la
lettera di Giuda: ricalcando il filone apocalittico della condanna per coloro che si oppongono al
disegno divino, propria della tradizioni “Enochica” (cfr. Gd 14-15), l'autore invita la comunità a non
porsi in loro ascolto, dietro la loro sequela. Al contrario, mediante il codice dell'amore vicendevole,
che si verifica soprattutto nell'aiuto per i deboli e per i vacillanti (cfr. Gd 20-23), la comunità viene
consolidata nella sua unità e nell'attesa del Signore che viene.
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Introduzione al IV Vangelo (e corpo giovanneo)
«Un metodo complessivo, perfetto, soddisfacente sotto ogni punto
di vista, per dominare i problemi complessi dell‟interpretazione del
testo, della storia letteraria della sua formazione, delle questioni
storiche implicite e della comprensione odierna, non è ancora stato
trovato e resta anzi un obiettivo irraggiungibile dell‟esegesi
neotestamentaria» (SCHNACKENBURG R., Il Vangelo di Giovanni,
IV, Paideia, Brescia 1987, 11)
Il titolo del corso ed il suo programma, prevede lo studio della cosiddetta “opera giovannea”
comprendente sia il IV evangelo, che le tre lettere di Giovanni che l‟Apocalisse di Giovanni. Testi
accomunati, nella tradizione, dallo stesso “autore”, Giovanni appunto, cosa tuttavia messa in dubbio
sin dai tempi antichi, almeno per quanto riguarda l‟Apocalisse, dubbio esteso poi alle tre lettere
giovannee.
Il rapporto IV Vangelo (e lettere) – Apocalisse:
affinità osservata dalla tradizione
genere letterario molto diverso; anche nelle espressioni e nelle immagini in comune…
stile diverso: Vang. e lettere greco semplice ma corretto… Apocalisse: errori?
differenze nell‟uso dell‟AT
diverso rilievo della “storia”
Rapporto IV Vangelo lettere molto diverso da quello con l‟Apocalisse
anche qui differenze di genere letterario
lessico, stile teologia mostrano affinità
ordine cronologico nello sviluppo delle situazioni contestuali
senza il Vangelo le lettere sarebbero di difficile comprensione
Un posto a parte occupa la secolare questione dell‟autore del IV Vangelo con riferimento
particolare alle sue diverse identificazioni. Oltre a ciò che si può leggere in tutte le introduzioni
al IV Vangelo, in un recente studio Maria Luisa Rigato prima di esporre le sue posizioni,
tratteggia brevemente la storia della questione. Per l‟autrice, Giovanni è “laltro discepolo”, il
“discepolo che Gesù amava”, non è da identificare con il figlio di Zebedeo, non è dunque uno
dei dodici; autore testimone oculare narrante del IV Vangelo, incluso il cap. 21, levita di stirpe
sacerdotale (come dimostra dall‟interesse del suo vangelo per la situazione e le istituzioni di
Gerusalemme…1. Una tesi originale che mostra tuttavia, anche sulla base di osservazioni
critiche spesso condivisibili, che la discussione rimane aperta.
È evidente che per un corso che non voglia essere solo di generica introduzione ma che si presenta
come corso esegetico, bisognerà operare delle scelte relativamente al materiale da trattare, troppo
per le ore a disposizione. Per il senso del corso nel quadro di questi nostri studi teologici, sarà dato
particolare risalto e proporzionato numero di ore al vangelo di Giovanni.
1
Cf. RIGATO M.L., «L’apostolo ed evangelista Giovanni», «sacerdote» levitico in Riv.Bibl. XXXVIII(1990) 207215. RIGATO M.L., Giovanni: l’enigma, il Presbitero, il culto, il tempio, la cristologia, Dehoniane, Bologna
2007.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 8
La prima domanda è relativa al “come”: come affronteremo lo studio del Vangelo? Una domanda
tutt‟altro che secondaria.
Due sono le possibilità che fondamentalmente intravedo, tralasciando altre possibilità che esulano
però dal nostro tipo di corso (per esempio letture patristiche, ermeneutica medievale, storia delle
conseguenze, dell‟uso nella teologia….) e saranno invece oggetto di altri corsi specifici.
- Prima prospettiva: Il Vangelo di Giovanni come opera essenzialmente letteraria. Modello di
studio a specchio (cf. Murray Krieger: il significato del testo è tutto da questa parte, tra specchio e
osservatore, testo e lettore. Il testo, con i suoi richiami, il progressivo coinvolgimento del lettore…
il suo mondo narrativo, rivela qualcosa di più profondo al lettore circa il mondo reale in cui egli
stesso, il lettore, vive).
Beneficio di questa lettura è l‟immediato incontro con il testo, l‟acquisizione di familiarità con esso,
a cominciare dalla questione sul suo significato di insieme nel quale collocare le singole parti…
Domande guida sarebbero in tal caso: qual è la trama del testo? Qual è lo sviluppo della narrazione,
i suoi personaggi principali, la loro relazione reciproca (oggetto di analisi narratologica) la sua
struttura retorica… In questo senso saremmo più vicini alla maniera patristica di leggere il testo e
confrontarsi con esso. Sparisce qui ogni altra preoccupazione di tipo stratigrafico, storico
ambientale, di storia della formazione… di contesto socio religioso… tutti contesti e relative
questioni poste invece dai sostenitori dello studio storico-critico con tutte le sue varianti…
- Seconda prospettiva: modello di studio a finestra (cf. Murray Krieger: Approccio al testo come
a una “finestra” attraverso cui poter osservare la comunità primitiva in cui fu composto, spingendo
lo sguardo fino a Gesù).
Beneficio di questo secondo tipo di lettura è soprattutto la verifica della relazione del testo con gli
avvenimenti che riguardarono effettivamente Gesù e la sua storia, da una parte, e Giovanni e la sua
comunità dall‟altra… Qui il testo è effettivamente considerato come un tell e lo studioso come un
archeologo: si cerca di stabilire gli strati redazionali, quelli tradizionali, il loro ambiente di
formazione, gli influssi dei problemi e dei linguaggi contemporanei all‟autore e la loro traccia nel
testo… sussidi verranno allora dalla geografia, dalla storia del mondo giudaico di fine I sec.d.C.,
dalla sociologia… ecc. ecc.
Mi pare un peccato dover scegliere se seguire solo l‟una o l‟altra di queste vie che presentano in
verità aspetti interessanti e non eludibili.
Per esempio nello studio dei classici commentari di tipo storico-critico (Schnackenburg, Gnilka…)
pur potendo ottenere continue informazioni e suggestive “ipotesi” sull‟ambiente di composizione, la
storia della formazione del vangelo, il suo riferimento alle condizioni storiche della vita di Gesù…
si sente immediatamente la mancanza di un riferimento ordinato e significativo al Vangelo in
quanto tale. Ma lo stesso si può dire circa l‟insoddisfazione conclusiva a cui si giunge con l‟altro
tipo di approccio, quello a specchio: insomma alla fine quelle cose dette, raccontate dal narratore al
lettore e che producono effetti così intensi da cambiare la vita, sono radicati storicamente nella
vicenda di Gesù? Quanto di tali elementi derivano dall‟apporto della comunità cristiana, quanto
dalla tradizione “autentica” su ciò che Gesù ha fatto e ha detto?…
Intanto… osservazioni generali:
Greco semplice (Koinè popolare, parlata, più che letteraria cfr. Luca). Linguaggio semplice
e sostanzialmente corretto, povero sul piano letterario (circa 1000 parole diverse)
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 9
Stile diretto e sintassi elementare. Presente storico, uso frequente del Kai. Eppure lo stile è
intenso, meditativo.
Universo concettuale e linguistico uniforme (non vi sono differenze sostanziali tra il modo
di parlare del narratore e quello di Gesù…)
Già una statistica del vocabolario teologico più frequente mostra la distanza tra Gv e i
sinottici.
Osservando con attenzione la struttura del Vangelo di Giovanni, attraverso fattori di tipo
geografico e cronologico, si coglie la sua originalità rispetto ai sinottici, anche se per molti aspetti si
avvicina ad essi (l‟attività galilaica, il viaggio/viaggi a Gerusalemme, l‟ultima cena, la passione
morte, la risurrezione). È tuttavia evidente che tali indicazioni, ancorché diversamente raggruppate
e interpretate dagli studiosi, hanno un ruolo funzionale alla cristologia dell‟evangelista, o se si vuole
dal punto di vista narrativo, alla presentazione del personaggio principale della narrazione.
In Giovanni i miracoli diventano “segni”, con la funzione di indicare simbolicamente
qualcosa della persona di Gesù e della Vita che è venuta a portare «Molti altri segni fece Gesù in
presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché
crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome»
(20,30-31).
Qui, a differenza dei sinottici è decisiva non solo la fiducia nell‟azione salvifica di Dio
attraverso Gesù, ma la fede in Gesù, via al Padre.
Bisogna naturalmente partire dalla contestualizzazione: chi è Giovanni? per chi scrive? in
quali condizioni? Domande che nel tempo non hanno ottenuto risposte univoche, anche se un certo
accordo tra gli studiosi è possibile riscontrarlo, almeno su questioni ampie:
- Possiamo innanzitutto raccogliere l‟indicazione pressoché unanime tra gli studiosi, che il IV
Vangelo si è costituito, così come oggi si presenta a noi, solo alla fine del I secolo.
- Molto più frastagliata è la gamma di posizioni circa il processo di formazione più o meno
lungo. Ma anche a tale proposito, domina comunque l‟idea di una formazione avvenuta in diverse
fasi.
- Anche rispetto alla cristologia, evidentemente, le fasi di formazione hanno determinato un
accrescimento che solo gradualmente ha raggiunto la forma finale che a noi si presenta nell‟opera
così come la possediamo.
- Pure discusso è il luogo di origine del IV Vangelo2, di cui si dirà qualcosa più avanti, che
varia nelle opinioni degli studiosi tra la Siria (Antiochia), l‟Asia Minore (Efeso), l‟Egitto
(Alessandria), o il territorio del re Agrippa II (vedi sotto).
- Altra idea alquanto diffusa, ferme restando notevoli differenze, è il collegamento ai fatti
della vita di Gesù attraverso un testimone oculare, da molti identificato con il “discepolo che Gesù
amava”, il garante che avrebbe scritto il vangelo e conservato il ricordo delle vicende di Gesù: “Si
diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva
detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che rimanga finché io venga, che importa a
te?».Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che
la sua testimonianza è vera” (21,23-24).
- Il linguaggio usato da Giovanni, proprio la sua approfondita riflessione su Gesù, fa pensare
che il IV Vangelo sia destinato a cristiani che, non è difficile desumerlo dal vangelo stesso, sono sia
giudei che gentili: si pensi a 4,42, l‟importante episodio dell‟incontro di Gesù con la Samaritana,
che si conclude con la confessione di fede dei samaritani: «Non è più per la tua parola che noi
crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del
2
Sulle diverse ipotesi circa il luogo di composizione cf. M. RODRIGUES-RUIZ, El lugar de composiciòn del cuarto
evangelio. Exposiciòn y valoraciòn de las diversas opiniones, in EstB 57(1999)613-641.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 10
mondo». Qui è utilizzato un “titolo” cristologico, che oltrepassa la religiosità e l‟espressione
giudaica dell‟attesa messianica. Ma non mancano altre testimonianze, come l‟accenno alla fortunata
evangelizzazione del mondo greco in 12,20 ss.: «Tra quelli che erano saliti per il culto durante la
festa, c‟erano anche alcuni Greci....».
- Benché ampiamente ridimensionata, non va dimenticata la tesi resa famosa da Bultmann
circa l‟influenza fondamentale che il mito gnostico del redentore avrebbe esercitato nel pensiero
giovanneo e nella composizione del Vangelo. Una questione certamente ridimensionata, almeno per
l‟importanza riconosciutale dai suoi sostenitori, ma che non può essere del tutto dimenticata.
Qual‟è l‟immagine di Cristo che viene fuori dalla lettura del suo Vangelo?
Innanzitutto è il Rivelatore del Padre (già Bultmann). E su questo non c‟è dubbio. La sua
missione è permetterci di conoscere il Padre. Contemporaneamente, altro messaggio fondamentale,
di sperimentare-avere la vita aderendo a Gesù Cristo (credendo non solo a lui, ma in lui...).
Qui emerge una prima linea di approfondimento in una lettura attenta del Vangelo: la
relazione tra Gesù e il Padre. Di che tipo è, come la presenta Gesù stesso?
Ma sorgono subito altre questioni che chiamano nuovamente in causa il contesto storico e gli
influssi letterari (o anche tradizionali) che Giovanni ha ricevuto: perché inizia con l‟idea di Logos,
da dove viene tale concetto?
Alla fine Gesù è soprattutto un personaggio “alto”, presentato teologicamente, presupposto
del docetismo? Che già dall‟inizio Giovanni parli del Cristo risorto, ripensato e descritto alla luce
della risurrezione non è una novità, del resto anche per i sinottici si può dire la stessa cosa. Ma certo
in Giovanni appare immediatamente e totalmente vero a partire dai primi versetti, dalla concezione
dell‟incarnazione del Verbo eterno del Padre...
Le stesse parole che Gesù pronuncia, secondo Giovanni, appaiono le parole di colui che è non
solo disceso dal cielo, ma che già vi è nuovamente asceso... E tutta la sua opera terrena si presenta
come manifestazione del suo “essere presso Dio”, della sua scandalosa pretesa di un rapporto unico,
appunto da Unigenito del Padre... Ci spingiamo fino alla divinità di Gesù.
Eppure il IV Vangelo conserva la sua dimensione scandalosamente storica... (Cfr. tra gli altri
Dodd, La tradizione storica del IV Vangelo) è un Vangelo, storia di Gesù Cristo... è difficile, certo,
risalire al singolo episodio nella sua dimensione storica, stando a quanto ha descritto la critica
storica degli ultimi decenni, tuttavia lo sfondo storico può essere colto dietro alle descrizioni
giovannee della vita di Gesù e in certi particolari (si pensi al processo) sembra effettivamente di
poterlo cogliere con chiarezza.
Che tali questioni non siano peregrine lo si può desumere anche da quella che definiamo la storia
degli effetti della cristologia Giovannea (Wirkungsgeschichte)3.
L’orizzonte storico
Un presupposto importante per comprendere l‟opera giovannea, è l’orizzonte storico in cui
collocarla. Evidentemente per il nostro scopo diventa necessario, almeno come ipotesi per poi
operare con lo studio più approfondito del Vangelo, una verifica (per quanto limitata) del
presupposto.
Questo punto è di estrema importanza dal punto di vista ermeneutico. La domanda iniziale:
perché la cristologia giovannea nel suo insieme è così particolare, perché presenta un‟immagine di
3
Cfr SCHNACKENBURG R., Das Johannesevangelium I, Freiburg-Basel-Wien 31972, 171-196: «Il Vangelo di Giovanni
nella storia», in Il Vangelo di Giovanni, vol I, Paideia, Brescia 1973, 239-272. BRAUN F.M., Jean le Théologien et son
évangile dans l‟église ancienne, Paris 1959; WILES M.-F., The Spiritual Gospel: The Interpretation of the Fourth
Gospel in the Early Church, Cambridge 1960; POLLARD T.E., Johannine Christology and the Early Church (MSSNTS
13), Cambridge 1970; Per singoli autori cristiani antichi e interpreti recenti cfr. l‟elenco in BELLE G. VAN, Johannine
Bibliography 1966-1985, Louvain 1988, 413-430.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 11
Gesù Cristo così vicina eppure tanto differente dai sinottici... non può trovare realisticamente
risposta, se non a partire dallo studio del contesto storico nel quale il Vangelo nacque, anzi la stessa
riflessione intorno a Gesù che poi entrerà a far parte del Vangelo... e, non meno importante, il
contesto al quale esso era indirizzato nella mente del suo autore/autori. Quello che spesso
attribuiamo genericamente ad uno stile particolare, la maniera particolare di Giovanni di presentare
Gesù, in realtà deriva dalla formazione dell‟autore, dalla sua cultura, dal contesto storico, filosofico,
culturale in cui l‟autore si è formato, in cui scrive, e dal contesto al quale lo scritto è destinato. Tutto
ciò non esclude il genio creativo dell‟autore, anzi è solo grazie ad esso che alcuni autori hanno
potuto parlare della sua opera come della “tunica senza cuciture”, opera unitaria.
È necessario, inoltre, postulare sin dall‟inizio che Giovanni scrivesse per essere compreso da
qualcuno... una affermazione così ovvia in realtà lo è meno di quanto si immagini. Se infatti
decidiamo di partire dal contesto storico al quale il Vangelo è destinato, stiamo operando una scelta
importante per la stessa comprensione dello sviluppo dell‟opera giovannea: è il contesto di vita che
ha stimolato un certo modo di descrivere Gesù, la sua opera, la sua novità. Quello scritto, poi, è
diventato esso stesso stimolo per i cristiani a cui giunse (e poi per tutti i cristiani fino a noi oggi).
Se insomma è vero che la domanda ermeneutica nel nostro presente ci spinge dalla vita al
testo e da questo alla vita, dobbiamo pensare che tale dinamica fu già all‟origine, determinante per
lo sviluppo della stessa cristologia successiva, se non si parte dall‟idea di un autore ispirato fuori dal
tempo, dalla storia, o da un assorto teologo, genio creativo, che costituisce in se stesso un mondo a
parte... Lo studio dei vangeli, fedelmente agli insegnamenti magisteriali, ci ha invece abituati a
pensare gli scritti in un contesto preciso da conoscere al meglio per poterne comprendere il senso
(cfr Dei Verbum.... Documento della Pontificia Commissione Biblica, L‟interpretazione della
Bibbia nella Chiesa, 1993).
È proprio nel lavoro dei primi testimoni e degli evangelisti che comincia l‟inculturazione della
Buona Novella, nel processo che determina il ripensamento della vicenda di Gesù nella mente e nel
cuore dell‟autore del IV Vangelo. Giovanni non stava pensando, molto probabilmente, a scrivere in
astratto un‟opera teologica valida per tutti i tempi e per tutti i luoghi. Egli stava ripensando la
vicenda di Cristo e della fede in lui, a partire dalle categorie del suo tempo, dalle immagini, dai
titoli, dai predicati, che di più avrebbero reso il senso di quell‟esperienza unica della fede agli occhi
( o meglio alle orecchie), di coloro che avrebbero udito il “suo” Vangelo.
J.L.Martyn4 parte dal cap. 9 di Giovanni:
tau/ta ei=pan oi` gonei/j auvtou/ o[ti evfobou/nto tou.j VIoudai,ouj\ h;dh ga.r sunete,qeinto oi` VIoudai/oi
i[na eva,n tij auvto.n o`mologh,sh| Cristo,n( avposuna,gwgoj ge,nhtaiÅ
Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che se uno avesse
riconosciuto Gesù come il Cristo, sarebbe stato espulso dalla sinagoga.
Lo studioso sostiene che si tratta di un evento reale ma della vita della comunità o chiesa giovannea,
tale che può essere raccontato come la ricostruzione di un episodio accaduto nel ministero di Gesù.
Il IV Vangelo non è un opuscolo missionario inviato a giudei o gentili, né un‟opera teologica intesa
come “patrimonio per sempre”; venne invece scritto per l‟incoraggiamento di un gruppo di cristiani
“giudei” che avevano bisogno di affermare la loro identità contro la sinagoga del luogo, che fu
l‟ambito da cui il gruppo cristiano aveva preso le sue origini. Così il Martyn ha mostrato come il
quarto evangelo non solo riporti gli eventi relativi alla vita di Gesù, ma descriva in realtà le
situazioni della chiesa al tempo dell‟evangelista: la storia della comunità giovannea verrebbe in tal
modo proiettata all‟indietro nella vita stessa di Gesù. Il quarto Vangelo chiede dunque di essere
letto e interpretato ad un duplice livello, quello del Cristo storico e quello della chiesa giovannea in
cui il Vangelo stesso si è formato5.
4
5
MARTYN J.L.,The Gospel of John in Christian History, New York 1979
Cfr. MARTYN J.L., History and Theology in the Fourth Gospel, New York 1968, 3ss.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 12
Prosper Grech, proprio riconoscendo la centralità dei capitoli 7 e 8 di Giovanni per l‟alta
cristologia che essi presentano, prolunga il metodo di Martyn (che si era occupato in particolare dei
capitoli 3 e 9) applicandolo a tali capitoli seguendo lo stesso metodo dello studioso americano,
distinguendo tuttavia tra il livello del Gesù storico e quello del Cristo Risorto, prima ancora del
terzo livello, quello della chiesa giovannea. Sostiene, in particolare, che è difficile distinguere nella
polemica giovannea tra le posizioni e le perplessità o il rifiuto de “i giudei” o dei “giudeo-cristiani:
la linea di demarcazione non è sempre chiara.6
Alle intuizioni di Martyn (e altri), si riferisce anche J. Ashton
Nel suo lavoro Comprendere il Quarto Vangelo, John Ashton affronta tale questione (come
del resto tutti coloro che si occupano della questione giovannea cfr. Hengel). Riferendosi allo
stimato lavoro di Bultmann, Ashton si chiede se noi cerchiamo di individuare le fonti, le influenze o
semplicemente l‟ambiente del Vangelo di Giovanni. Sulle FONTI, a cui tanto si è dedicato
Bultmann, al di là del prologo e dei racconti della passione (possiamo includere forse la cosiddetta
fonte dei segni), le conclusioni di Bultmann non hanno trovato un consenso largo. Ma cosa dire dei
discorsi di rivelazione? Nessuna risposta convincente sulle eventuali “fonti”.
Per quanto riguarda le “influenze” dobbiamo includere naturalmente la predicazione,
l‟ambiente di Gesù, la sua opera, la sua sorte... le stesse influenze che modellarono i sinottici in
maniera così diversa dal IV Vangelo. Si può spingere lo sguardo a periodi più ampi della storia
israelitica (sia civile che religiosa...) includendo il periodo del II tempio, trovando le tracce di
pensieri che hanno influito sui pensatori cristiani del I secolo. L‟influenza più ovvia a tale proposito
è quella della Bibbia Ebraica (LXX). Se bastassero fonti e influenze penseremmo, sbagliando, che il
compito per spiegare la genesi del IV Vangelo sia quello di spiegare l‟assemblaggio delle fonti e
delle influenze... (il contesto religioso e culturaale di cui abbiamo in parte già parlato).
Bisogna aggiungere, sostiene Ashton, un terzo elemento, meno universalmente riconosciuto
che consiste precisamente nell‟ambiente di formazione del Vangelo di Gv che egli indica
nell‟ambiente delle sette giudaiche, in quell‟ambiente giudaico, cioè, così estremamente variegato
che non può essere affatto ricondotto al giudaismo successivo, il cosiddetto giudaismo rabbinico, il
quale ha fornito il modello per parlare di un “giudaismo normale” rispetto al quale considerare tutti
gli altri tipi di giudaismo. Si pensi che nella discussione attuale (cfr. Boccaccini), si evita persino di
parlare di “giudaismo”, alcuni preferiscono parlare di “giudaismi” al plurale. In questo caso la
formazione dell‟evangelo di Giovanni sarebbe da vedere esattamente come formazione di uno dei
rivoli giudaici, eterodossi... Non è una tesi condivisa da tutti. Anzi, in generale si tiene presente un
altro punto di osservazione che è quello di fine di I secolo, quando ormai la separazione chiesasinagoga poteva consentire di parlare di un cristianesimo e di un giudaismo, in conflitto ormai tra
loro...
Assumiamo dunque un punto di partenza che poi potrà essere esso stesso sottoposto a verifica
critica nel corso dello studio.
Bisogna essere chiari in tale proposito.
Innanzitutto il Vangelo di Giovanni, opera che giunge alla sua fase conclusiva passando
attraverso più mani, nasce in un contesto di polemica con i giudei. Se i sinottici rappresentano molto
meglio la situazione storica creata dalla nuova realtà del gideo-cristianesimo (da una parte nel
rapporto con gli altri giudei, dall‟altra con l‟apertura ai gentili), e se i conflitti possono essere con
relativa semplicità ricondotti a tale contesto, l‟impostazione di Giovanni appare già alquanto
differente: si distingue qui nettamente tra i cristiani (giudeo-cristiani ed etnico-cristiani) e “i
giudei”.
Un problema storico si presenta allorché si tenta un approfondimento del peso della presenza
dei giudeo-cristiani e della problematica del loro rapporto con gli etnico-cristiani, il grande
6
GRECH P., La comunità giovanea nei cc. 7 e 8 del Vangelo di Giovanni, in Ricerche Storico Bibliche 2(1991) 59-68.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 13
problema della chiesa delle origini, come testimoniato dal libro degli Atti e come è peraltro facile
immaginare (anche dalle lettere paoline, come dalla lettera di Giacomo ecc.).
Partiamo dal dato piuttosto comune secondo cui il Vangelo di Giovanni, nella sua forma
attuale si è formato intorno alla fine del I secolo7. Questo, peraltro, non esclude che siano esistiti
stadi precedenti e fonti di data anteriore8. In accordo con Schnackenburg diciamo pure chiaramente
che la cristologia principale e dominante del Vangelo è da considerarsi come forma finale di una
riflessione che è ormai storicamente lontana dai fatti storici della vita-morte(-risurrezione) di Gesù.
Le origini del Vangelo di Gv vanno ricercate nell’ambito del cosiddetto giudaismo
eterodosso. In questo contesto (peraltro problematico per la definizione di ortodosso-eterosso),
l’espressione giovannea oi „Ioudaioi è il nome dato al potente partito che trasse vantaggio dal
disordine successivo alla caduta di Gerusalemme nel 70 d.C. e che gradualmente assunse il potere
sulla popolazione ebraica. Questo partito, che non può essere assolutamente identificato con i
farisei, pose le fondamenta di ciò che noi conosciamo come giudaismo. Se i Farisei ebbero un ruolo
in ciò, come sicuramente accadde, saranno stati preoccupati di liberarsi dalle posizioni isolazioniste
e certamente settarie del loro nome: quale migliore opportunità avrebbero mai avuto per avanzare la
loro pretesa di essere i veri discendenti di Abramo? Si sarebbe verificata, dopo la distruzione del
tempio del 70, un’alleanza tra farisei e sommi sacerdoti per stabilire la loro autorità sul popolo e
trarre il maggior vantaggio possibile dalla frammentazione della popolazione che deve aver seguito
il trionfo romano. Nel tentativo di reprimere opinioni che ritenevano sovversive sarebbero entrati in
conflitto con il gruppo giovanneo: insomma, né tutti né alcuni dei molti dissidenti giudei, ma coloro
che ancora una volta, dopo il 70 riunivano le fila del potere nelle loro mani. Bornhauser li descrisse
nel 1929, come “i fanatici della Torah”. L’unico chiaro sinonimo di oi „Ioudaioi nel IV Vangelo è “i
sommi sacerdoti e i farisei”, non solamente “i farisei”. Le loro tradizioni, nel tardo I sec. d.C.
saranno alla base di un nuovo giudaismo.
Alle stesse ragioni conflittuali, si riferisce Smith Dwight Moody9, (debitore anch’egli di
Bultmann, Martyn, R.Brown, ...): nel vangelo di Gv assistiamo ad una fase critica nei rapporti tra
giudaismo e cristianesimo. Effettivamente possiamo individuare qui un punto in cui quelle che ora
consideriamo come due religioni distinte cominciarono a costituirsi, proprio a proposito del
problema del ruolo assegnato o negato a Gesù e delle conseguenze implicate da diverse
dichiarazioni di fedeltà a Gesù per la vecchia comunità e per quella nuova che proprio ora si va
formando (p. 25)... Questa scissione che si trova alla radice del cristianesimo per sé, o molto vicino
ad essa, ha avuto importanti conseguenze per la teologia cristiana, rappresentata dal IV Vangelo in
modo più chiaro di qualsiasi altro scritto neotestamentario.
Uno degli studiosi che hanno contribuito significativamente agli studi giovannei negli ultimi
anni è Martin Hengel. Si ricorderà il suo studio su “Figlio di Dio” che ha contestato in maniera
chiara ed efficace la derivazione del titolo da un contesto ellenistico, all’interno di quelle concezioni
sincretistiche del cristianesimo delle origini, riconducendo invece il titolo al contesto giudaico.
Un’altra fondamentale opera di quest’autore, oggi disponibile anche in italiano, è “Giudaismo ed
ellenismo”.
Lo sfondo del quarto vangelo è molto più variegato di quanto si pensasse. In generale gli
studiosi concordano nel vedere la comunità giovannea impegnata in un’aspra controversia con “i
giudei”, i veri nemici della comunità (Thyen; Martyn; Von Walde; Triling; Ashton). Per questo
motivo Klaus Wengst poneva la comunità giovannea e il quarto vangelo, nella comunità della
Traconitide e della Batanea, territorio governato dal re Agrippa II qualche anno prima del 90,
7
Cfr. HENGEL, La questione giovannea.......
Cfr. SCHANCKENBURG, La persona di Gesù Cristo... p.316.
9
MOODY SMITH D., La teologia del Vangelo di Giovanni, Paideia, Brescia 1998.
8
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 14
poiché in quella regione, negli anni dopo il 70, il giudaismo, ripresosi e rafforzatosi sotto la spinta
dei farisei, avrebbe avuto la possibilità di giustiziare dei cristiani (si basa su Gv 16, 2:
aposynagogos, + 9,22 +12,41, e in connessione con la maledizione degli “eretici” nella preghiera
delle “diciotto benedizioni” Shemoneh Esreh)10
Ma l’espulsione iniziò già prima di Paolo, con il martirio di S.Stefano (At 6-8), come un
lungo processo; gli ellenisti di At 6-8 sono stati espulsi da Gerusalemme (aposynagogoi) dai
membri delle sinagoghe locali di lingua greca
At 8,[1]Saulo era fra coloro che approvarono la sua uccisione. In quel giorno scoppiò una violenta
persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme e tutti, ad eccezione degli apostoli, furono dispersi
nelle regioni della Giudea e della Samarìa. [2]Persone pie seppellirono Stefano e fecero un grande
lutto per lui. [3]Saulo intanto infuriava contro la Chiesa ed entrando nelle case prendeva uomini e
donne e li faceva mettere in prigione. [4]Quelli però che erano stati dispersi andavano per il paese
e diffondevano la parola di Dio.
Cfr. la fondazione delle comunità missionarie di Paolo; la flagellazione inferta a Pietro 5
volte; le violente controversie 2Cor 11,24; inoltre già Erode aveva provocato lesioni fisiche a molti
cristiani intorno al 43 d.C. At 12,1. E 1Tess 2,14 parla di persecuzioni ricorrenti.
Forse la situazione migliorò tra il 43 e il 48 quando la leadership fu assunta da Giacomo,
fratello del Signore. Tuttavia egli stesso fu lapidato nel 62 d.C. insieme ad altri capi giudei con
l’accusa di avere infranto la legge...cfr Gv 16,2. Il fatto fu poi seguito dalla fuga della comunità a
Pella.
La Birkat hamminim, di cui non conosciamo la data esatta, è stato dunque solo l’ultimo atto di
questo lungo processo. Si rivolgeva non solo contro i giudeo-cristiani, ma contro tutte le eresie
giudaiche. Secondo il testo ritrovato nella geniza del Cairo, la dodicesima preghiera direbbe: «... e i
nazareni (= i cristiani) e gli eretici (minim) periscano in un attimo e siano cancellati dal libro della
vita, e non siano iscritti con i giusti...»11.
L’aggiunta dei nosrim tuttavia sembra essere tardiva. Per i Cristiani provenienti dal
paganesimo, naturalmente la maledizione non aveva alcun significato.
Conclude dunque M.Hengel (p.279):
«Che il Quarto Vangelo abbia avuto origine nell’ambito territoriale di Agrippa II e che la
scuola giovannea abbia svolto lì la sua attività è del tutto improbabile. Non vi è traccia di tale
contesto nel IV Vangelo. Invece i giudei dell’Asia minore rimasero relativamente immuni dalle
conseguenze negative della guerra giudaica ed esercitarono una grande influenza in particolari
città. Si tratta di una Diaspora risalente al periodo persiano, che conservò particolari privilegi
concessi dai romani. Per esempio Sardi: una grande sinagoga al centro della città e i suoi membri
partecipavano al consiglio cittadino... In questo contesto si capisce molto bene come ci fossero
lamentele da parte giudaica contro i cristiani che dovevano costituire un gruppo missionario molto
attivo; i giudei dovettero vedere nel loro spirito missionario entusiastico e nella loro dottrina
escatologica, un pericoloso concorrente che avrebbe potuto, tra l’altro, screditarli agli occhi degli
organi statali».
Cfr. Il Martirio di Policarpo: persecuzione contro i Cristiani in Asia minore alla quale
parteciparono, secondo un comportamento abituale, anche i giudei: essi sono i più attivi nell’aizzare
la popolazione di Smirne contro i cristiani; Tertulliano definisce le sinagoghe come “fonti di
persecuzione” (Scorp. 10,10); il Martirio di Pionio testimonia un grande odio, insulti e attacchi;
tra la fine del I e l’inizio del II secolo i giudei appaiono in condizioni più favorevoli rispetto ai
cristiani, fino al IV secolo.
10
WENGST K., Bedrängte Gemeinde und verherrlichter Christus. Der historiche Ort des Johannesevangeliums als
Schlüssel zu seiner Interpretation, Neukirchen 1981, nuova edizione 1990.
11
Cfr SCHAGE, GLNT XIII, 141 s.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 15
JOSSA12 sostiene che «È difficile tuttavia valutare il peso che hanno avuto i giudei nelle
persecuzioni contro i cristiani». Jossa parla piuttosto, senza arrivare alle posizioni più radicali di
Harnak, di un odio teologico che alimenta, più della realtà storica, le contrapposizioni e le
persecuzioni di cui ci danno testimonianza Giustino, Melitone e altri scrittori cristiani antichi...).
Questi giudei dell’Asia minore, secondo Hengel, a differenza di quelli di Siria, Palestina,
Egitto, non avevano subìto limitazioni dalla catastrofe della prima guerra giudaica del 66-70. Così
Gv 16,2 «Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, verrà l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di
rendere culto a Dio» non necessariamente si riferisce a una violenta e sanguinaria persecuzione da
parte dell’autorità giudaica dell’epoca dell’evangelista, ma intende descrivere la situazione della
comunità post-pasquale in generale: nell’ottica dell’evangelista le persecuzioni da parte dei giudei
furono “fin dall’inizio” in Giudea e nella provincia dell’Asia.
Al tempo stesso, tuttavia, non è da dimenticare che l’aspra controversia fra Gesù e i Giudei
nel IV Vangelo non può essere ridotta ad un semplice riflesso degli attacchi degli oppositori giudei
del tempo ai cristiani delle comunità giovannee.
La comunità giovannea e lo sviluppo del IV Vangelo (e dell’opera giovannea)
Un pioniere nel lavoro di descrizione della comunità giovannea e delle sue diverse fasi di
sviluppo, è lo studioso americano J.Louis Martyn, già citato. Accennando sinteticamente alla sua
ricostruzione, si può distinguere:
primo periodo, prima del fatidico anno 70, in cui i cristiani della comunità giovannea sono
in effetti giudeocristiani, giudei che hanno accolto Gesù come l‟atteso Messia (1,35-49; 2,11; 4,53);
secondo periodo: anni 80-90 caratterizzato dall‟allontanamento dalle sinagoghe e dalle
persecuzioni proprio da parte dei giudei (9; 5,18; 10,28s.; 15,18);
terzo periodo: dopo il 90, in seguito al Sinodo di Jamnia, in cui la comunità giovannea
assume la sua peculiare identità non solo nei confronti del giudaismo farisaico, ma anche nei
confronti degli altri gruppi cristiani e nei confronti della loro cristologia più bassa.
A questo punto sembra opportuno dedicare la giusta attenzione alla ricostruzione della
comunità giovannea fatta dal noto esegeta cattolico R.E.BROWN13, autore, tra l‟altro, di un notevole
commentario al IV Vangelo. Non tutto ciò che dice è da condividere, ma certo fornisce un quadro
interessante, diciamo pure un‟ipotesi affascinante su come si sia sviluppato il Vangelo di Giovanni
e le lettere, in connessione con le fasi storiche della comunità giovannea dalle sue origini alle sue
divisioni fino alla sua “normalizzazione”.
Egli divide il tempo di formazione degli scritti giovannei in quattro fasi. Qui ci limiteremo a
parlare un po‟ più diffusamente della prima fase, che l‟autore definisce “delle origini”, affidando la
parte restante alla Tavola descrittiva che Brown stesso fornisce a p. 196s. del testo citato.
Per la prima fase si distingue in un primo e secondo periodo. La comunità giovannea nasce
come comunità di giudei la cui fede comporta una cristologia relativamente bassa. Per cristologia
relativamente bassa si intende qui la cristologia che nasce dall‟applicazione a Gesù dei titoli derivati
dall‟AT o da quelli che derivano dalle attese intertestamentarie 14, titoli che non implicano di per sé
la nozione cristiana di figliolanza divina (= divinità di Gesù). Così quando troveremo alcune
espressioni che si riferiscono a una cristologia “alta”, della preesistenza, della divinità ecc. potremo
presumere che essi fanno già parte di una riflessione più avanzata in cui Gv interpreta alcune
espressioni precedenti in un senso più alto. Così accade per la testimonianza del Battista:
[1.15] Giovanni gli rende testimonianza
e grida: «Ecco l‟uomo di cui io dissi:
12
JOSSA G., Il cristianesimo Antico. Dalle origini al Concilio di Nicea, Carocci, Roma 21998, 143.
BROWN R.E., La comunità del discepolo prediletto, Cittadella, Assisi 1982 (orig. New York 1979).
14
Cfr. BROWN, La comunità... p. 24.
13
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 16
Colui che viene dopo di me
mi è passato avanti,
perché era prima di me».
[1.30] Ecco colui del quale io dissi: Dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era
prima di me.
testimonianza non “inventata” da Gv, ma riportata già con l‟ interpretazione giovannea di
quanto Giovanni Bt aveva detto di Gesù, alla luce di una più alta cristologia (II fase).
Nella prima parte del Vangelo, i miracoli non sono così diversi dalle descrizioni sinottiche di
miracoli. È chiaro che già nei racconti apostolici all‟indomani della risurrezione, dunque già nei
vangeli sinottici, le testimonianze e i ricordi sulle azioni e le parole di Gesù vengono riletti alla luce
dell‟evento della risurrezione e della fede dei testimoni. Tale interpretazione continua nella vita
cristiana e Giovanni ne testimonia lo sviluppo originale già a partire da quella che Brown chiama la
prima fase. Ciò che veramente rende diversi gli stessi racconti di miracolo, in Giovanni, sono le
interpretazioni, le parti teologico - interpretative che conferiscono al vangelo quella sua peculiare
cristologia alta. Insomma per l‟evangelista, la cristologia più alta che si è sviluppata in seno alla
sua comunità è nient‟altro che l‟interpretazione corretta di quanto già dicevano le originarie
confessioni su Gesù come Messia... «L‟autore della prima lettera sottolineerà che quello che egli sta
proclamando al tempo suo è ciò che era “fin dal principio” (1Gv 1, 1-2)»15.
Tra l‟altro proprio a Giovanni Battista e ai suoi discepoli, che risulta frequentassero la zona
dove sorgeva la comunità di Qumran, Brown attribuisce l‟introduzione di idee tipiche della
comunità essena che si trovano anche in Giovanni (il dualismo luce/tenebra, verità/falsità; ...), e non
invece a un contatto diretto tra l‟evangelista e Qumran.
La figura del Discepolo prediletto, certamente idealizzata, ma non inventata, è quella che
servirà da autenticazione alle idee giovannee (in particolare cristologia ed ecclesiologia) di fronte
alle altre comunità cristiane (per questo si sottolinea che il Discepolo prediletto arrivò per primo
alla tomba vuota). Il Discepolo prediletto, che fonda autoritativamente la testimonianza del IV
Vangelo come testimonianza di tipo apostolico, è l‟innominato discepolo di 1,35-40: «[35] Il giorno
dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli ...[40] Uno dei due che avevano udito le
parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro» il secondo, sarebbe
appunto il discepolo prediletto, con Gesù fin dal principio, ma non ancora definito come “il
discepolo che Gesù amava” (13,23-27; 19,25-27; 20,2-10; 21,1-14.20-24) poiché non è ancora
giunto a comprendere pienamente Gesù (13,1). Concordano, grosso modo, Culpepper16 e
Schnackenburg17. Sulla domanda se sia storicamente plausibile che il discepolo che Gesù amava sia
il “garante” della tradizione giovannea,18 mi limito ad osservare, sinteticamente, che la risposta
dell‟autore è positiva. Dunque un discepolo di Gesù sin dal principio, benché non appartenesse al
gruppo dei dodici. La tradizione cristiana successiva tende a identificarlo con Giovanni figlio di
Zebedeo, proprio per assegnare al discepolo prediletto il ruolo di testimone e semplificare la
concezione delle origini riportandolo nel numero dei dodici. Per Brown, diversamente da Cullmann,
non si identifica, tuttavia, con l‟evangelista (cfr. p. 36, nota 49).19
Il secondo periodo della comunità giovannea è caratterizzato, dal punto di vista storico,
dall‟ingresso di un gruppo di samaritani che determina l‟acutizzarsi delle difficoltà con “i giudei”,
15
Cfr. BROWN, La comunità... p. 29 nota 38.
CULPEPPER , Johannine School, 265, nota 9
17
SCHNACKENBURG R., Il Vangelo di Giovanni, III, 449ss.
18
Cfr. SEGALLA G., «Il discepolo che Gesù amava» e la tradizione giovannea, in Ricerche Storico Bibliche 2(1991)1136.
19
È diffusa oggi l‟opinione che l‟identificazione dell‟autore del IV Vangelo con Giovanni figlio di Zebedeo, derivi
dallo scambio di persone con il “presbitero Giovanni” di cui parla Papia (Eusebio, Hist. eccl. 3,39,3 s. ovvero si tratti di
un offuscamento della tradizione che rimandava al presbitero Giovanni. Sulla questione cfr. SCHNACKENBURG, Il
Vangelo di Giovanni, I, 72-92.
16
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 17
fino alla vera e propria rottura. È in questa fase che le affermazioni cristologiche vanno decisamente
oltre quanto si poteva attendere un giudeo che giungesse a riconoscere Gesù come il messia atteso.
È pure a questa fase che dobbiamo attribuire l‟accentuazione della distanza di Gesù dalle istituzioni
giudaiche, fino a giungere a una vera e propria “sostituzione” del nuovo rispetto a ciò che viene ora
giudicato come “vecchio”.
Tutto ciò tocca diverse prospettive, non ultima quella della cosiddetta teologia della
sostituzione che si svilupperà poi nella teologia cristiana rispetto alla sua origine ebraica. In
Giovanni la prospettiva più antica, vicina a quella sinottica, di un compimento delle attese in Gesù
in linea con una fondamentale continuità tra giudaismo e cristianesimo, coesiste talvolta con la
prospettiva nuova, frutto dei cambiamenti originati dalla condizione storica della comunità.
Provando ad andare con ordine, e rinviando al volume di Brown più volte citato, bisogna
considerare innanzitutto il fatto storico, contestuale, che fu all‟origine di uno sviluppo originale
della cristologia “alta” del IV Vangelo. Dall‟ipotesi storica si potrà passare, come verifica, alle
questioni rappresentate dai testi giovannei.
Il Brown osserva che i capitoli 2-3, benché portatori già della “reinterpretazione” giovannea
dei fatti (basti pensare, tra l‟altro, al fatto che l‟episodio della purificazione del tempio viene
anticipato da Gv nel capitolo 2 rispetto alla più verosimile collocazione sinottica) benché già
manifestino una interpretazione a partire dalla cristologia giovannea “alta”, non si discostano
tuttavia da un tipo di narrazione sinottica. Brown riconduce, in particolare, gli episodi narrati da
Giovanni a “paralleli” sinottici, benché non corrispondenti nel dettaglio. Ma ciò che veramente
interessa e pone una quantità di questioni è il capitolo IV, l‟incontro con la donna samaritana e la
conversione di samaritani. E l‟osservazione che subito dopo questo capitolo IV ci si trovi davanti
all‟esplosione della più alta cristologia giovannea in aperto e pieno conflitto con “i giudei” che gli
rivolgono l‟accusa di farsi uguale a Dio (5,16-18). Il Brown vede qui il chiaro riflesso dell‟ingresso,
in seno alla comunità giovannea, di un secondo gruppo di cristiani. Il primo, il nucleo più antico dei
discepoli di Gesù è rimasto, fino al cap. IV, quello di cui si parla in 1,35-51, i discepoli di Giovanni
Battista: [1.35] Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli [1.36] e, fissando
lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l‟agnello di Dio!». [1.37] E i due discepoli,
sentendolo parlare così, seguirono Gesù.....
Il secondo gruppo, invece, è composto giudei con una posizione particolare contro il tempio i
quali, «dopo aver convertito dei samaritani, fecero propri alcuni elementi del pensiero samaritano,
compresa una cristologia che non era imperniata sul Messia davidico» 20. È questo secondo gruppo
che farà da catalizzatore nello sviluppo della teologia ed in particolare della cristologia giovannea.
Non entra in conflitto con il primo gruppo ma si aggiunge ad esso e genera l‟ostilità accesa dei capi
della Sinagoga. Il riflesso della situazione che riguarda la comunità giovannea, si ha nella
narrazione dell‟incontro con la Samaritana. In particolare Brown osserva che
- dopo tale narrazione il Vangelo concentra la sua attenzione sul rifiuto di Gesù da parte dei
“Giudei”;
- Gesù afferma sì la sua identità giudaica (4,42), ma predice che Dio sarà adorato né sul
Garizim né sul Sion (4,21) contrariamente a quanto ci dicono gli Atti 2,46 e 3,1;
- prova ne è che Atti 8,1 parla dell‟ostilità contro gli “ellenisti” mentre si è ancora tolleranti
verso gli apostoli;
- Il Messia a cui si riferisce la donna samaritana sarebbe da identificare con il Taheb
dell‟attesa samaritana (un Messia - profeta, in quanto i samaritani sono esattamente contro l‟attesa
di un Messia davidico secondo l‟attesa giudaica)
- i samaritani dichiareranno alla fine che [4.42] .... «Non è più per la tua parola che noi
crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del
mondo».
20
cf. BROWN, La comunità... p. 40.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 18
- il titolo “salvatore del mondo” rimane un riflesso di questa fede non più espressa con le
categorie giudaiche.
I cristiani della comunità giovannea, espulsi dalle loro sinagoghe, non vollero più considerarsi
“giudei”; è per questo che se ne parla spesso nel IV Vangelo, già sulla bocca di Gesù, come di
avversari, come di un‟altra religione, anticipando ciò che in realtà accadrà più tardi. Un segnale
importante di questa separazione che lascia una forte impronta nel IV Vangelo, mi pare sia l‟uso di
“legge” nelle dispute giovannee tra Gesù e i giudei. Nelle parole di Gesù troviamo l‟espressione “la
vostra Legge”, un fatto che segnala, senza dubbio, visto che si è ampiamento riconosciuta l‟origine
giudaica di Gesù, una contrapposizione che vede ormai nei “giudei” gli altri, e nella Legge mosaica
“la loro o vostra Legge”.
Ancora alla fase pre-evangelica, prima fase, secondo la ricostruzione proposta da R.E.Brown,
viene ricondotto l‟ingresso di Gentili nella comunità. Ciò si evince dal fatto che Giovanni si
soffermi a spiegare termini come “Messia” e “Rabbi”, che non avrebbe dovuto certamente spiegare
ad ascoltatori ebrei. L‟apertura ai gentili va ricondotta al tempo in cui i cristiani giovannei, di
provenienza giudaica, furono estromessi dalle sinagoghe, non furono ritenuti né si ritennero più
giudei. Avendo già compiuto un passo decisivo fuori dal giudaismo, con l‟accoglienza dei
samaritani, l‟entrata di Gentili non comportò il “conflitto” che alcuni ipotizzano nell‟eventualità che
tale ingresso si fosse realmente verificato. Brown sostiene, dunque, che durante tutta la storia
preevangelica, si sono combinate diverse “anime”, quella giudaica, quella samaritana e quella
pagana, senza suscitare realmente conflitti all‟interno della comunità giovannea, cosa che invece si
verificherà dopo, come registrano le lettere. Il “Noi” del IV Vangelo, rappresenta invece l‟unità che
caratterizzò la comunità giovannea della prima fase.
Per completezza riporto lo schema complessivo sulla storia della comunità giovannea secondo
Brown (in realtà ci interessano particolarmente le prime due fasi):
Prima Fase: le origini (dalla metà degli anni 50 agli anni 80 avanzati)
Gruppo d‟origine: In Palestina o vicino alla Palestina, ebrei dalle attese relativamente diffuse,
comprendenti seguaci di GBat., accettarono senza difficoltà Gesù come il Messia davidico, il
realizzatore delle profezie, colui che i miracoli confermavano. In seno a questo gruppo c‟era un
uomo che aveva conosciuto Gesù durante il ministero e che sarebbe divenuto il Disceplolo
prediletto.
Secondo Gruppo: Ebrei con tendenze contrarie al Tempio che credevano in Gesù e fecero
proseliti in Samaria. Essi interpretarono Gesù più su uno sfondo culturale mosaico che davidico.
Egli era stato con Dio, Lo aveva visto, e aveva recato sulla terra se Sue parole al popolo.
L‟accettazione del secondo Gruppo fece da catalizzatore allo sviluppo di una cristologia alta,
della preesistenza, la quale portò a dei dibattiti con gli ebrei che pensavano che la comunità
giovannea stesse abbandonando il monoteismo giudaico facendo di Gesù un secondo Dio. alla fine i
capi di questi ebrei fecero espellere i cristiani giovannei dalle sinagoghe. Questi ultimi, separati dai
loro, videro «i giudei» come i figli del demonio. Essi accentuarono la realizzazione in Gesù delle
promesse escatologiche per controbilanciare quello che avevano perduto nel giudaismo. Il
Discepolo operò questa transizione e aiutò gli altri a compierla, divenendo così il Discepolo
prediletto.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 19
Seconda fase: il vangelo (90 circa)
Convertiti Gentili: Siccome «i giudei» furono resi ciechi, la venuta dei greci costituiva il
piano di realizzazione di Dio. Può darsi che la comunità dalla Palestina sia passata nella diaspora a
insegnare ai greci. Questo contatto sprigionò le possibilità universalistiche insite nel pensiero
giovanneo. Però, il rifiuto di altri e la persecuzione da parte de «i giudei» persuasero i cristiani
giovannei che il mondo era contrario a Gesù, e che essi non dovevano appartenere a questo mondo
che era sotto il potere di satana. Il rifiuto della cristologia alta giovannea da parte dei giudeocristiani
fu visto come una mancanza di fede e portò alla rottura della comunione (Koinonia). Le relazioni
rimasero aperte con i cristiani apostolici con speranze di unità, malgrado le differenze di cristologia
e di struttura ecclesiale.
Il fatto di concentrare tutta l‟attenzione sulla difesa della cristologia di fronte a «i giudei» e ai
giudeocristiani condusse a una divisione in seno alla comunità giovannea.
Terza fase: le lettere (100 circa)
I seguaci dell‟autore delle lettere: per
essere figlio di Dio bisognava confessare
Gesù venuto nella carne e osservare i suoi
comandamenti. I secessionisti sono i figli
del diavolo e gli anticristi. L‟unzione con lo
Spirito rimedia alla necessità dei maestri
umani; esaminare chiunque affermi di avere
lo Spirito.
I secessionisti: Colui che è disceso
dall‟alto è così divino da non essere
pienamente umano; egli non appartiene al
mondo. Né la sua vita sulla terra né quella
del credente hanno un‟importanza salvifica.
Quello che solo importa è conoscere che il
Figlio di Dio è venuto nel mondo, e coloro
che credono in ciò sono già salvi.
Quarta fase: dopo le lettere (2° secolo)
Unione con la grande chiesa: incapaci
di combattere i secessionisti appellandosi
semplicemente alla tradizione, e perdendo
terreno di fronte ai propri avversari, alcuni
tra i seguaci dell‟autore riconobbero la
necessità di maestri ufficialmi rivestiti di
autorità (presbiteri-vescovi). Allo stesso
tempo «la chiesa cattolica» si dimostrò
aperta alla cristologia alta giovannea. Ci fu
un graduale amalgama con la grande chiesa
che, però, andò piano ad accettare il quarto
Vangelo dal momento che gli gnostici
facevano di esso un cattivo uso.
Verso lo gnosticismo: la maggior parte della
comunità giovannea sembra che accettasse
la teologia secessionista la quale, separata a
causa dello scisma dal pensiero moderato,
avanzerà verso un vero e proprio docetismo
(da un Gesù pienamente umano a una pura
apparenza di umanità), verso lo gnosticismo
(da un preesistente Gesù a dei preesistenti
credenti i quali discendono anch‟essi dalle
regioni celesti), e verso il montanismo (dal
possedere il Paraclito all‟incarnare il
Paraclito). Essi portarono con sé il quarto
Vangelo che fu presto accettato dagli
gnostici che lo commentarono.
Non si nasconde che il quadro complessivo che emerge dalla ricostruzione di Brown è
affascinante, convincente, eppure dà molto il senso di una situazione da manuale: nel primo tempo
si crea comunione tra gruppi estremamente eterogenei, nel secondo la frattura, le lettere (terzo
periodo) rispondono ai problemi...
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 20
Aggiungiamo che anche per il noto esegeta tedesco Oscar Cullmann il gruppo giovanneo si
sarebbe ampliato “in seguito all‟ammissione di samaritani convertiti”.21
Sulla questione dei “giudei” nel IV Vangelo e della separazione della comunità cristiana
giovannea dalla sinagoga si è espresso indirettamente G.JOSSA, Giudei o cristiani?, Paideia Brescia
2004. Lo storico del cristianesimo antico, docente presso l‟università federiciana di Napoli, sostiene
non senza qualche punta polemica contro gli esegeti neotestamentari che darebbero troppa
importanza alla birkat ha-minim e al sinodo di Jamnia, che una coscienza della separazione del
cristianesimo del giudaismo, la nascita del cristianesimo come nuova identità religiosa non deve
essere spinta troppo in avanti, e polemizza proprio con posizioni come quella di Martyn e di Brown.
Le sue considerazioni su Giovanni seguono le precisazioni su Paolo e sulla situazione della
Grecia e dell‟Asia minore dove già dagli anni 50 le comunità cristiane dovevano apparire come
distinte dalle comunità giudaiche e il cristianesimo non si presentava più come una setta interna al
giudaismo. A Davies, che si schiera a favore di una tardiva coscienza identitaria cristiana a partire
da Mt, corrisponde Martyn per il vangelo di Gv: Gv 9,22 con la decisione di cacciare i cristiani
dalle sinagoghe testimonia un accordo formale o una decisione raggiunta da un gruppo giudaico
autoritativo in un momento precedente la redazione giovannea e intesa alla separazione. Nei giudei
di 9,22 sono ravvisabili i saggi di Jamnia che avrebbero deciso di espellere i giudeocristiani dalla
sinagoga (verso l‟85) mentre la redazione finale di Gv è della fine del I sec. e presenta una
contrapposizione ormai netta tra giudei e cristiani. Nella presentazione dei tre periodi di Martyn il
cristianesimo si presenta a lungo come “giudeocristianesimo” se non addirittura come giudaismo
cristiano. A tale proposito Jossa precisa l‟uso linguistico per evitare confusioni: i cristiani che
provengono dal giudaismo rappresentano il cristianesimo giudaico, come quelli che provengono dal
paganesimo sono il cristianesimo gentile (è bene per tali gruppi non utilizzare le espressioni
equivoche di giudeocristiani e paganocristiani) cf. p. 153.
Giudeocristiani sono invece coloro che hanno riconosciuto in Gesù il Signore e Messia ma
vogliono conservare la propria identità giudaica e continuano in particolare ad osservare la legge
(Paolo perciò era un giudeo cristiano ma non un giudeocristiano).
Dagli anni 40 è giudeocristiano il gruppo di Giacomo (non necessariamente tutta la chiesa di
Gerusalemme) e a partire dal 50 la parte più significativa della chiesa di Gerusalemme. Dopo il 70 è
giudeocristiano anche il gruppo dei nazorei. I Vangeli di Mt e di Gv testimoniano una rottura con il
giudeocristianesimo avvenuta da poco, cosa che dimostrerebbe che fino alla redazione dei due
Vangeli le loro comunità non sarebbero state altro se non gruppi all‟interno del giudaismo. Per
Jossa è difficile accogliere questa posizione: «… checché ne pensi Martyn la minaccia di esclusione
dalla sinagoga della comunità di Gv, motivata com‟è con il riconoscimento di Gesù di Nazareth
come Messia, risale più probabilmente ad un momento precedente la guerra del 70, quando il
problema era ceramente acuto, che non all‟introduzione della birkat ha-minim verso l‟85, quando i
problemi principali erano problemi di disciplina» p. 163.
Qui Jossa condivide Senberger: certo Jamnia c‟entra, ma non è il problema principale né si
può ricondurre alla birkat ha-minim il momento della rottura fra giudei e cristiani. Gli eventi
importanti a cui Jossa riconduce l‟attenzione sono la condanna del fratello di Gesù, Giacomo, nel 62
e lo scoppio della guerra giudaica nel 66. Al primo episodio è Giuseppe Flavio ad attribuirvi molta
importanza ed è comprensibile: i giudeocristiani osservano la legge, sono per l‟elezione di Israele,
non possono fare a meno della propria identità giudaica. La condanna di Giacomo rappresenta
perciò un fatto di grande rilievo: in un mondo minacciato da una guerra contro i romani per
l‟esistenza di fermenti di tipo messianico si cerca di eliminare qualunque fermento dalla nazione,
perciò sin da ora, e non con il 135, la comunità cristiana verrà isolata. Naturalmente si ipotizza
l‟origine palestinese di Mt e Gv. È probabile che entrambe le comunità, dopo aver costituito per un
certo tempo un orientamento nuovo all‟interno del giudaismo palestinese, dopo la condanna di
21
CULLMANN O., Origine e ambiente dell‟evangelo secondo Giovanni, Marietti, Torino 1976, 77.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 21
Giacomo e lo scoppio della rivolta si siano staccate dalla comunità palestinese e abbandonato la
terra di Israele. Quindi la coscienza di formare un gruppo distinto, anzi una entità religiosa a se
stante rispetto al giudaismo è più antica di quanto facciano pensare le scansioni di Martyn, Brown e,
soprattutto, Pesce.
Formazione e struttura del IV Vangelo
Le introduzioni ambientali sulla storia, la geografia, condizionamenti culturali dell‟ambiente
giovanneo, insieme alle ipotesi sul tipo di comunità che sottostà al IV Vangelo, servono ovviamente
come ipotesi di lavoro. Una visione di insieme, sistematica e completa sarebbe possibile solo
assumendo una di quelle ipotesi precedentemente illustrate come vera. Nel nostro corso le
consideriamo, appunto, ipotesi di lavoro che dovranno essere verificate nel corso dello studio
esegetico del Vangelo. Si crea una sorta di circolo poiché se è vero che sull‟ipotesi di un
determinato sfondo storico e comunitario le pericopi giovannee vengono interpretate in un certo
modo, è anche vero che per una loro comprensione iniziale bisogna partire da un quadro di
riferimento…
Prima però di passare allo studio della singola pericope bisogna dare uno sguardo di insieme al
Vangelo in quanto opera che si presenta a noi, al di là della sua origine, come opera completa che
come tale chiede di essere letta e interpretata.
Proprio in relazione al Vangelo di Giovanni è noto come da parte di tanti studiosi, fino ai nostri
giorni, siano state proposte diverse ipotesi di composizione attraverso diverse fasi, per dar ragione
dell‟attuale opera che, evidentemente, appare non geneticamente unitaria, ma frutto di un lavoro di
successivi inserimenti e ritocchi. È possibile allora parlare di una struttura dell‟opera così come
oggi ci perviene? Per molti il problema non si pone poiché è a partire dalla sua redazione finale che
inizia il nostro compito, quello cioè di comprenderla nel suo insieme.
Vengono così avanzate diverse proposte di strutturazione del Vangelo nella sua sistemazione finale,
a seconda che si assuma un criterio (per esempio spazio-temporale) piuttosto che un altro (per
esempio tematico).
A queste proposte se ne affianca recentemente un‟altra che esamina il Vangelo come narrazione e la
analizza con il sistema proprio dell‟analisi narrativa, rispondendo alle domande di quale sia il filo
narrativo, l‟intreccio, lo sviluppo del dramma, attraverso quali parametri stilistici… quali siano i
“personaggi” e la loro funzione nell‟insieme narrativo… insomma né più né meno che quanto si fa
per un romanzo o per un film analizzato con la stessa metodologia narrativa.
Sia l‟osservazione della struttura letteraria del Vangelo, che l‟analisi narrativa, si propongono
comunque come strumenti per una visione d‟insieme del vangelo che aiuti a dare senso alle sue
diverse parti considerate non come giustapposte l‟una all‟altra ma, come sono, parti di un insieme
che si presenta oggi a noi (ma già da diversi secoli!) come un unico racconto.
LA FORMAZIONE LETTERARIA DEL IV VANGELO
Un Vangelo composito
L‟osservazione comune del IV Vangelo porta a pensare ad una composizione complessa:
 20,30-31 epilogo del capitolo 20° originariamente conclusivo; il cap. 21, in cui la prima
persona plurale (comunità?) si alterna alla prima singolare (redattore?) presenta un nuovo
epilogo (21,24-25)
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 22
 14,30-31 sembra la conclusione del discorso di Gesù in occasione dell‟ultima cena ma il
discorso si prolunga per altri tre capitoli; solo in 18,1 si da seguito all‟espressione di Gesù
“andiamo via di qui”… Inoltre in 16,5 Gesù fa notare che non gli hanno chiesto dove sta per
andare, mentre in 13,36 glielo aveva già chiesto Pietro! Nei capitoli 15 e 16 vengono ripresi
alcuni brani sulla diaconia dello Spirito Santo di cui si era già parlato in 14. Qualcuno ha
ipotizzato che i capitoli 15 e 16 (ma anche il 17) siano stati aggiunti in un secondo momento
dal redattore (forse lo stesso del cap. 21)
 nella successione dei capitoli 4-7 vi è qualche incongruenza: 6,1 suppone Gesù in Galilea
mentre in 5 era a Gerusalemme. Allo stesso modo incongruente sembra il riferimento di 7,1
di Gesù che se ne andava per la Galilea, dove in realtà già si trovava secondo il cap. 6. Così
alcuni propongono lo spostamento dei capitoli nella successione 4-6-5-7-8 (cfr.
Wickenhauser, Shnackemburg…..). Scambio di fogli? Inserimento del cap. 6 da parte del
redattore del cap. 21?
 Il problema del prologo: alcuni termini (lògos, chàris, pleroma) compaiono solo qui; appare
già composito al suo stesso interno (Gv Battista vv. 6-8 e 15, anch‟esso inserito dal redattore
finale?
 12, 44-50 un “sommario” redazionale sull‟insegnamento di Gesù? Anche 3,31-36 sembra
essere una raccolta di detti inseriti da un redattore.
 L‟episodio della donna adultera 7,53-8,11: assente nei manoscritti più antichi! In alcuni
manoscritti si trova in Luca…
 Parentesi che appaiono come aggiunte: per eseòpio 4,2 in riferimento a 3,22
 Alcune disarmonie teologiche: l‟escatologia presente di Giovanni convive con brani di
natura escatologica 5,28-29; 6,39-40.54… i “segni” da una parte sottolineati (2,11; 20,3031) dall‟altra relativizzati (2,23; 4,48)
Per questo motivo di solito gli studiosi che seguono la metodologia storico-critica parlano di più
fonti e diverse fasi redazionali (cfr. Brown, Schnackenburg…)
Fonti
Bultmann parla di di tre fonti
1. Fonte dei segni o miracoli, parallela alla tradizione sinottica (dalle nozze di Cana
all‟epilogo di 20,30s.); greco semplice e molti semitismi
2. Racconto della passione: analogo ma non identico con quello sinottico, con aggiunte
proprie di Giovanni
3. Fonte dei discorsi: di stampo gnostico precristiano, proveniente dalla Siria, riletta e
adattata da Giovanni
Il redattore, secondo Bultmann avrebbe armonizzato e intrecciato le tre fonti assumendo la fonte dei
segni come intelaiatura del Vangelo. Un redattore ecclesiastico avrebbe invece aggiunto il cap. 21, i
racconti escatologici (5,24-25; 6,39-40) e i sacramenti ( 3,5; 6,51c-58) per assimilare il IV vangelo
alla fede ecclesiastica comune.
Molte critiche a Bultmann; in particolare C.H. DODD (La tradizione storica del IV Vangelo):
nonostante le differenze di superficie bisogna osservare la forte unità letteraria e tematica; il IV
Vangelo come testimone di un‟antica tradizione presinottica di origine palestinese. Gv non è
semplicemente il grande teologo ma testimone storico.
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Molti studiosi più recenti riprendono parete delle osservazioni degli studiosi precedenti con alcune
risistemazioni personali. Interessanti LINDARS secondo il quale Gv avrebbe lavorato su omelie
fatte da Gv stesso alla sua comunità in diverse situazioni (litugiche, catechetiche)…
Fasi redazionali
Sempre per spiegare l‟aspetto composito del IV Vangelo alcuni studiosi si sono impegnati nel
descriverne le fasi redazionali:
R. Schnackenburg: tre stadi
4. «tradizione giovannea» risalente allo stesso apostolo Giovanni, autonoma e indipendente
dalla tradizione sinottica (ha sostenuto successivamente la paternità non di Giovanni figlio
di Zebedeo ma del “discepolo prediletto”, di Gerusalemme, non facente parte della cerchia
dei dodici
5. Vangelo scritto opera di un discepolo appartenente alla comunità giovannea che dà alla
tradizione precedente la forma di unità letteraria
6. Redazione finale: inserimento di altro materiale giovanneo (cap. 21; 3,13-21; 3,31-36;
capitoli 15-17 e altre aggiunte minori)
R.E.Brown: cinque stadi
7. tradizione orale di ambiente palestinese prima del 70 d.C., simile alla sinottica ma
indipendente.
8. sviluppo della tradizione in senso giovanneo, sotto la direzione dell‟apostolo Giovanni e
altri discepoli (come Schnackenburg ritratterà questa identificazione). Nascono le strutture
drammatiche dei racconti e alcuni discorsi
9. Primo Vangelo scritto: per un pubblico di lingua greca, con conclusione al cap. 20; autore ne
fu Giovanni stesso o un suo discepolo.
10. Seconda edizione greca del Vangelo: inserimento di aggiunte e ritocchi come risposte a
sette battiste e giudeo cristiane
11. Edizione definitiva da parte di un autore forse discepolo del primo. Aggiunta del cap. 21;
dei capp. 15-17 e di 3,31-36; 6,51-58; 12,44-50
M.E. Boismard: quattro stadi; ricostruzione letteraria insieme alla ricostruzione del contesto
storico della comunità giovannea
12. Giovanni I (Documento C): prima redazione completa del vangelo dal Battista alla
Risurrezione. Conteneva 5 “segni”. Scritto in Aramaico palestinese (anni ‟50) dal “discepolo
prediletto” (Giovanni di Zebedeo o Lazzaro). Cristologia bassa (Gesù “profeta”, o come
Mosè o, ancora, come il “Figlio dell‟uomo” danielico)
13. Giovanni II/A: Giovanni il Presbitero (probabilmente) cura una edizione nel 60-65 in
Palestina aggiungendo nuovo materiale e parlando del “mondo” in maniera negativa. Al
cambiamento di condizione nella comunità giovannea corrisponde una certa opposizione nei
confronti de “i giudei”.
14. Giovanni II/B: lo stesso editore di IIA si trasferisce ad Efeso e cura una nuova edizione, in
greco, intorno agli anni 90. Si acuisce l‟ostilità giudaica sottolineata nel vangelo attraverso
la posizione avversa de “i giudei”. Gesù è presentato come figura preesistente, superiore a
Mosè (cristologia alta). In risalto i sacramenti.
15. Giovanni III: riedizione a cura di un giudeocristiano sconosciuto della scuola giovannea di
Efeso; inizio del II secolo d.C.
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G. Segalla: tre stadi di sviluppo conseguenti alla migrazione della comunità giovannea da un
ambiente giudeo-cristiano (Palestina prima del 66) ad un ambiente ellenistico (Antiochia e poi
Efeso)
16. tradizione orale di tipo sinottico, messa per iscritto come promemoria; all‟origine di essa è
Giovanni figlio di Zebedeo, il discepolo prediletto.
17. Probabilmente lo stesso apostolo rivede la tradizione e l‟approfondisce in senso cristologico
e soteriologico (cristologia alta): prima edizione del Vangelo.
18. Un discepolo del “prediletto” stende una seconda edizione fino a 20,31.
Molte altre proposte sono state formulate (cfr. bibliografia), tuttavia si rilevano alcuni elementi
comuni di non secondaria importanza:
- non si segue una teoria delle fonti di tipo sinottico
- viene sempre identificata una personalità particolare (Giovanni figlio di Zebedeo o altri…)
alla base della tradizione giovannea
- vengono sempre descritte diverse fasi di redazione che spiegano le fratture interne
- si afferma nel contempo la sostanziale unità del IV Vangelo
- connessione stretta con la comunità giovannea e con gli sviluppi della sua storia
Le questioni di tipo storico si moltiplicano nella misura in cui si osserva con maggiore attenzione il
testo (dall‟autore, al significato del “noi”, alla predicazione in Samaria…); potranno essere
affrontate ricorrendo ai commentari citati; in parte saranno discusse durante lo studio esegetico.
STRUTTURA LETTERARIA e NARRATIVA
Dall‟excursus precedente risultano interessanti ipotesi circa le fasi redazionali dell‟opera, che a
parere di tutti ha subito una elaborazione più o meno lunga e più o meno complessa. Tuttavia il IV
Vangelo nella sua redazione canonica, così come in realtà lo possediamo, chiede di essere letto
come opera unitaria e, si è già detto, i motivi per parlare di opera unitaria non mancano secondo il
parere di quegli stessi autori che propongono la distinzione in fasi di composizioni.
Qual è il suo messaggio? Come possiamo accostarlo in quanto opera letteraria? Qual è il rapporto
tra le parti? C‟è un disegno unitario?…
Come per la formazione, così per la struttura sono molte e diversificate le proposte.
Ne propongo una recente che, tuttavia, con qualche variazione, è possibile riscontrare in diversi altri
autori moderni e contemporanei: R. FABRIS, Giovanni, Borla 1992.
L‟autore passa in rassegna diversi punti di vista precedenti:
- Wellhausen (1908): un caos senza forme. È possibile tuttavia riconoscere il Grundschrift
(scritto base)
- Bauer (1912) condivide lo scetticismo sull‟unità letteraria del Vangelo di Giovanni
- Bernard (1928) allo stesso modo ipotizza lo spostamento casuale di capitoli e sezioni
- Bultmann (1941), Schulz (1974), Becker (1979), Haenchen (1980) ricorrono alla teoria delle
diverse fonti di origine…
- Loisy (1903), Lagrange (1925), Hoskyns (1940)… si limitano a suddividere il testo in
sezioni semplicemente accostate le une alle altre
Le diverse strutturazioni proposte dagli autori contemporanei possono essere raggruppate a
seconda del modello che guida le osservazioni:
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1. Narrativo-cherigmatico; sviluppo drammatico (Sanders; Kemper) o stilizzazione
kerygmatica (Strathmann) o catechistica che corrisponde alla forma letteraria del vangelo
predicato (Lindars)
2. Simbolico-tipologico: si fa leva sull‟interpretazione simbolica del tempo: giorni e settimane
(Boismard); istituzioni e feste (Mollat); oppure alle prefigurazioni veterotestamentarie di
creazione, esodo (Girard M., Mateos – Barreto); o ai segni in rapporto alla sapienza (Clark).
Alcune osservazioni comuni ai diversi studiosi anche di diversa tendenza:
Distinzione tra libro dei segni e libro dell’ora o della gloria (a sua volta suddiviso in discorsi,
passione, risurrezione)
L‟osservazione sulla numerazione dei segni: il settenario poi diversamente commentato (per
esempio la risurrezione è l‟ottavo e più grande dei segni per introdurre il giorno della nuova
creazione…; oppure l‟ottavo è la nuova creazione…
Fabris si chiede se esista un criterio unico e decisivo per la strutturazione o se, almeno, è possibile
riscontrare qualche indicazione esplicita da parte dell‟autore.
La più importante è in 20,30-31, insieme a quella posta a conclusione del libro dei segni en 12,37.
Insomma il ruolo dei segni in rapporto alla fede; il tema ricorre anche in 2,11 (Cana) e ripreso in
2,23.
Tra le altre osservazioni, Fabris aggiunge l‟unità tra la narrazione dei discorsi e quella della
risurrezione di Gesù, in cui domina il tema del compimento telèin e teleiousthai dell‟ora; nella
seconda parte del Vamgelo, insieme all‟insistenza sul tema della gloria, presente tuttavia anche
nella prima, si rileva il vocabolario dell‟amore: agape e agapan. L‟ultimo capitolo riprende, come
conclusione, ambedue le parti: Gesù compie un segno, la pesca miracolosa e trasmette l‟icarico
pastorale a Pietro dopo averlo ristabilito nell‟amore.
Così Fabris propone la seguente struttura:
Introduzione
- poetica generale (1,1-18)
- testimonianza di Gv Battista e presentazione dei discepoli (1,19-51)
I
Libro dei segni di Gesù, il Cristo e Figlio di Dio (Gv 2,1-12,36)
Prima unità:
Da Cana a Cana: inclusione 2,11//4,54. Le tre regioni della Palestina (Galilea, Giudea e Samaria);
incontro con figure rappresentative dell‟ambiente etnico e socioculturale…
3. Le nozze di Cana 2,1-11.12
4. Gesù a Gerusalemme 2,13-25
5. Incontro e dialogo con Nicodemo 3,1-21
6. Gesù e Giovanni: confronto e ultima testimonianza 3,22-36
7. Incontro con la Samaritana 4,1-42
8. Guarigione della figlia di un funzionario regale 4,43-54
Seconda unità:
sei sezioni caratterizzate dalla combinazione tra momento narrativo e momento discorsivo. La
rivelazione di Gesù e importanza dell‟IO SONO
9. Guarigione dell‟infermo a Gerusalemme e dibattito sulle opere e la test. di Gesù 5,1-47
10. Segno del pane e dibattito con la folla, i giudei, i discepoli 6,1-71
11. Dibattito sull‟identità di Gesù nella festa delle capanne 7,1-8,59
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12.
13.
14.
-
Guarigione del cieco nato e dibattito sull‟identità di Gesù 9,1-41; 10,1-42
Risurrezione di Lazzaro e condanna a morte di Gesù 11,11-54
Gesù a Gerusalemme per l‟ultima Pasqua 11,55-12,50
attese e minacce a Gerusalemme 11,55-57
unzione di Gesù a Betania 12,1-11
accoglienza di Gesù a Gerusalemme 12,12-19
ricerca dei greci e “l‟ora” di Gesù 12,20-36
bilancio teologico e appello finale 12,37-43.44-50
II Il «compimento» e l’ora della glorificazione di Gesù, il Cristo e Figlio di Dio (13,1-20,29)
1. Cena e lavanda dei piedi 13,1-20.21-30
2. Discorso di addio 13,31-17,26
- Partenza di Gesù e promessa del Consolatore 13,31-14,31
- Partenza di Gesù e comunità dei discepoli nel mondo 15,1-16,33
- Preghiera finale di Gesù 17,1-26
3. Passione, morte e risurrezione 18,1- 21,25
- Arresto e condanna di Gesù 18,1-19,16a
- Morte e sepoltura 19,16b-42
- Risurrezione 20,1-29.30-31
- Manifestazione di Gesù risorto, incarico a Pietro e discepolo testimone 21,1-23.24-25
*****
Per quanto riguarda l‟indirizzo sincronico, alcuni studiosi privilegiano la dimensione narratologica.
Panimolle S., nel suo Commento pastorale in tre volumi offre una struttura che è utile anche per un
approccio narrativo. Un commento sincronico – narrativo è quello di C.H. TALBERT, Reading John.
A Literary and Theological Commentary of the Fourth Gospel and the Johannine Epistels, CrossRoad, New York 1992. Ma per l‟impostazione generale è utile il testo di Culpepper citato in
bibliografia di cui riportiamo la proposta di lettura unitaria di Giovanni:
R.ALAN CULPEPPER, Cfr. Sopra, Schede bibliografiche
Ogni episodio ripresenta il messaggio dell’insieme. Il Prologo conferisce a ciascuno di questi
episodi uno sfondo ironico in quanto il lettore è già stato ammesso alla confidenza del narratore e sa
chi è Gesù. Perciò il lettore ha una conoscenza superiore al singolo personaggio dei racconti che si
confrontano con Gesù perché in contrasto con loro riconosciamo che Gesù è il logos incarnato,
rivelatore del Padre. Questa dinamica letteraria spinge il lettore ad abbracciare il punto di vista
ideologico dell‟autore, cioè la confessione di fede di Gesù come il Cristo, il Figlio di Dio (20,30).
L‟ignoranza del cieco, dei giudei… dà alla storia una forza drammatica continua, così come l‟uso
delle metafore innalza la lettura tenendo sempre sveglio l‟interesse del lettore.
LO SVILUPPO DEL PLOT IN GV
Il prologo introduce Gesù come il logos attivo già alla creazione.
La sua missione è rivelare il Padre
La prima sez. del Vangelo in 2,22 introduce drammaticamente Gesù e il suo lavoro
Acclamato da Gv Battista e da alcuni suoi discepoli, rivela la sua gloria a Cana.
Il primo capitolo è ottimistico… molti lo riconoscono
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Con il secondo la narrazione si complica. L‟opposizione di Gesù all‟abuso nel tempio. 2,22
«Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e
credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù» è la prima indicazione per il lettore non
iniziato del destino di morte e risurrezione di Gesù. Ma si pone anche un‟altra grossa questione: la
differenza tra coloro che credono e i discepoli: 2,11: «Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in
Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui»… il capitolo 2 si
conclude dunque meno ottimisticamente del primo: il destino di sofferenza… e alcuni che pur
credendo nel suo nome non avranno parte con lui.
Cap. 3: non c‟è ancora vera opposizione con Gesù; ma vengono chiariti alcuni aspetti
dell‟opposizione: non tra Gesù e Giudei ma tra Gesù e quelli che rifiutano di accogliere la sua
rivelazione. Il non credere è la reale opposizione L‟influsso di Gesù cresce come pure il suo seguito.
Gv 4 ancora piccola opposizione a Gesù: allusione ai farisei ( 4,1.3) Riferimento prolettico al rifiuto
4,44: « Ma Gesù stesso aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella sua patria.» ma il
resto del capitolo è positivo… Dunque c‟è poca opposizione in Gv 1-4… hanno l‟effetto di dare al
lettore una prima impressione dell‟identità e della missione di Gesù.
Gv 5 prende un nuovo sviluppo. Si intensifica il conflitto sull‟identità di Gesù. I “Giudei” diventano
per la prima volta importanti e viene spiegata la base del conflitto. Il problema è il locus della
rivelazione: la Legge o Gesù? Gesù ha violato il sabato commettendo blasfemia e l‟evangelista lo
sottolinea in 5,18: « Per questo i Giudei cominciarono a perseguitare Gesù, perché faceva tali cose
di sabato…. [18]Proprio per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo: perché non soltanto
violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio». Gesù stesso parlerà di se
come del Figlio dell‟uomo (5,25-47).
Il potere drammatico del vangelo si costruisce intorno a questo conflitto!
Il conflitto con l‟incredulità cresce nel capitolo 6: notare che non ci sono altri conflitti significativi:
né con la natura né con i demoni, né con se stesso… lo stesso camminare sulle acque ha a che fare
piuttosto con la simbologia dell‟esodo e ha il carattere di una epifania. Anche il conflitto con i
discepoli dipende piuttosto dal fatto che la loro conoscenza resterà incompleta fino all‟ora della
morte-risurrezione. Il rifiuto dei giudei di credere in Gesù dipende dalla non comprensione della
Torah, di Mosè e dell‟esodo.22
In Gv 7 l‟opposizione a Gesù si mobilita: decidono di ucciderlo, e tentano di arrestarlo. Gesù
dichiara che andrà da colui che lo ha mandato: elemento di “dramma” per chi non conosce la
soluzione, o di ironia per il lettore informato.
Gv 8 il conflitto con i Giudei diventa più stridente. Punto centrale è la paternità che acuisce il
conflitto. Gesù è più vecchio dello stesso Abramo. Gesù viene definito spregiativamente come
Samaritano e demoniaco…
Il capitolo 9 e parte del 10 costituiscono un “interludio”. La guarigione del cieco è occasione per
sottolineare l‟ostilità dei giudei e la loro cecità. Il capitolo 10 rappresenta le posizioni popolo
“giudei” Gesù nelle parole sul buon pastore… La crescente opposizione degli ultimi cinque capitoli
si conclude con le parole di Gesù sulla sua capacità di lasciare la vita e riprenderla di nuovo, cosa
che accresce l‟intrigo. Il rapporto vita-morte viene focalizzato particolarmente nel capitolo 11.
Il capitolo 12 è di transizione in diversi sensi. Crea un legame tra 11 e 13. Già si prefigura lo
scenario della morte (l‟unzione). Si manifesta il senso della sua morte. Si interpreta anche il motivo
dell‟incredulità.
Con il cap. 13 si sottolinea che Gesù conosce l‟ora della sua morte. Il suo valore purificatore viene
indicato con la lavanda dei piedi. Il traditore è inviato alle tenebre e alla loro forza che,
paradossalmente, porteranno alla sua glorificazione. I discepoli, che non saranno in grado di
seguirlo, sono invitati ad amarsi reciprocamente. Si delinea il destino dei discepoli… per i quali
Gesù prega… capitoli 16-17.
22
CASTELLO G., La Legge nel IV Vangelo, in G.CASTELLO (a cura di), Le Sacre Scritture di Israele per ebrei, cristiani e
musulmani, ECS, Napoli 2008, 141-167;
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 28
Con il capitolo 18 inizia la sequenza rapida degli ultimi eventi. La posizione di Pilato tra Gesù e i
suoi accusatori è drammatizzata poiché questi restano fuori. In realtà il giudicato, una volta che
Pilato esce fuori, è proprio lui, più che Gesù. Nel dialogo Gesù-Pilato viene chiarita la natura
dell‟autorità di Gesù e la sua regalità. Pilato lo dichiara tre volte innocente, e con la scritta sulla
croce ne riconosce, in realtà, la vera identità. Mentre i giudei dichiarano la loro bestemmia “non
abbiamo altro re se non Cesare” Pilato si decide a consegnarlo a loro. Gesù viene ucciso alla vigilia
di Pasqua, quando si immolava l‟agnello nel tempio. Gesù è sepolto in una sepoltura regale.
Nel primo giorno della settimana Maria Maddalena scopre la tomba vuota… Tommaso, con la sua
esigenza di constatare fisicamente la risurrezione, fa la confessione di fede più alta e completa verso
Gesù. Al termine del capitolo 20 l‟intera narrazione viene conclusa con la motivazione della
scrittura evangelica: per condurre i lettori, o ascoltatori, a credere.
Il cap. 21 è un epilogo apparentemente aggiunto al vangelo una volta che esso era già concluso.
Risolve alcuni dei conflitti minori (Il discepolo prediletto e Pietro; Pietro e Gesù). Il vangelo di Gv
si conclude senza riferimento all‟ascensione, compresa nella “esaltazione” di Gesù. Alla fine Gesù è
con i discepoli; il Paraclito rimarrà con essi. Alludendo al futuro dei discepoli e alla scrittura del
vangelo, si crea un gancio tra la storia ed il lettore. La storia può dipingere il passato ideale ma il
presente è in relazione al passato in maniera tale che la storia diventa determinante per il lettore
presente.
L‟intreccio, il PLOT, è alimentato dal conflitto tra credere e non credere come risposta a Gesù. Ciò
è confermato dal fatto che circa metà delle ricorrenze di “credere” nel NT si trovano in Gv (98 su
239). Il suo intreccio è episodico e perciò difettivo. Ma l‟autore usa i vari episodi per arricchire la
tessitura del tutto. L‟integrazione tematica pervasiva tra i diversi episodi, fa si che il lettore possa
scorgere la sua fine e i suoi significati, in ciascuno degli episodi familiari.
Il vangelo è la testimonianza di uno che parla per tutti quelli che riconoscono la Parola in Gesù. Il
“Noi” può perciò essere compreso come atto ad includere tutti i caratteri nel vangelo che alla fine
hanno creduto e sono diventati testimoni: Gv Batt., i discepoli, la Samaritana, il cieco… gli altri.
Gli effetti di questa struttura narrativa con il suo prologo seguito dall‟episodica ripetizione del
conflitto tra fede e non-fede, serve ad includere il lettore nella compagnia della fede. L‟intreccio
evangelico è controllato da uno sviluppo tematico e una strategia che tende al corteggiamento del
lettore perché accetti la sua interpretazione di Gesù.
Un breve presentazione dell‟intreccio (the plot) narrativo nel Vangelo di Giovanni la troviamo
anche nel volumetto di V.Mannucci, Giovanni. Il Vangelo per ogni uomo, LoB 2.4, Queriniana,
Brescia 1995, 29-39. Tra le tante possibilità, Mannucci, a partire dal saggio di Segovia, predilige la
scelta del “viaggio della Parola” come motivo conduttore dell‟intera narrazione giovannea.
Propone perciò il seguente schema:
1. PRIMA PARTE: 1,1-18
Il viaggio cosmico mitico della Parola nel mondo degli uomini
2. SECONDA PARTE: 1,19-17,26
Il ministero di Gesù e i suoi viaggi ministeriali
3. TERZA PARTE: 18,1-21,25
La morte in croce, Risurrezione e significato permanente della sua missione
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 29
Bibliografia più citata durante le lezioni
indicazioni bibliografiche essenziali di preferenza in traduzione italiana
1. INTRODUZIONI GENERALI (oltre a quelle incluse nei commentari)
COTHENET E., «Il quarto Vangelo», in A. GEORGE - P. GRELOT, Introduzione al nuovo Testamento V: La tradizione
Giovannea, Borla, Roma 1978, 85-272 e 276-301 (Bibliografia).
COTHENET E., «Il Vangelo secondo San Giovanni», in Gli scritti di San Giovanni e la Lettera agli Ebrei, (Piccola
enciclopedia biblica 10), Borla, Roma 1985, 11-162.
G. GHIBERTI e coll., Opera Giovannea (Logos 7), ElleDiCi, Leumann (To) 2003.
MAZZEO M., Vangelo e lettere di Giovanni. Introduzione, esegesi e teologia, Paoline, Milano 2007.
PANIMOLLE 5., L 'evangelista Giovanni. Pensiero e opera letteraria del quarto Vangelo, Borla, Roma 1985.
SEGALLA G., «Giovanni (Vangelo di)», in Nuovo dizionario di teologia Biblica, Paoline, Milano 1988, 666-673.
TUÑÌ J.O. – ALEGRE X., Scritti giovannei e lettere cattoliche, (Introduzione allo studio della Bibbia 8), Paideia,
Brescia1997 (orig. Spagnolo Verbo Divino, Estella 1995).
2. COMMENTARI ANTICHI
CIRILLO DI ALESSANDRIA, Commento al Vangelo di Giovanni, trad., intr. E note a cura di Luigi Leone, 3 voll., (collana di
Testi patristici diretta da Antonio Quacquarelli) città nuova editrice, Roma 1994 (coll. Capodimonte
A.24.111/112/113).
ORIGENE, Commento al Vangelo di Giovanni, UTET, Torino 1968.
SAN BONAVENTURA, Commento al vangelo di San Giovanni, (collana Opere di San Bonaventura), 2 voll.,Città Nuova,
Roma 1990. 1991; ( coll. Capodimonte A.20.3. 7/1-2).
S. AGOSTINO, Commento al Vangelo e alla prima epistola di San Giovanni, traduzione e note di Emilio Gandolfo (collana
Nuova Biblioteca Agostiniana) Città Nuova Editrice, Roma 1968.
TEODORO DI MOPSUESTIA, Commentario al Vangelo di Giovanni, Borla, Roma 1991.
S. TOMMASO D’AQUINO, Commento al Vangelo di San Giovanni, I-IV, Città Nuova, Roma 1990.
3. COMMENTARI MODERNI
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BEASLEY-MURRAY G.R., John, (Word biblical commentary 36), Word, Dallas 1987.
BLANCK J., Das Evangelium nach Johannes, 4 voli. Patmos, Dùsseldorf 1977-1981; versione inglese, The Gospel
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BOISMARD M.E. - LAMOUILLE A., L Èvangile de Jean. Commentaire: Synopse des quatres évangiles en franais III, Du
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BROWN R.E., Giovanni. Commento al Vangelo spirituale, Cittadella, Assisi 1979.
BULTMANN R., Das Evangelium des Johannes, Göttingen, 1941; + supplemento del 1966: The Gospel of John, Oxford
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CASALEGNO A., “Perché contemplino la mia gloria” (Gv 17,24). Introduzione alla teologia del Vangelo di Giovanni, ed.
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FABRIS R., Giovanni (traduzione e commento), Borla, Roma 1992.
GNILKA J., Johannesevangelium, (Neue Echter Bible), Echter, Wùrzburg 1983.
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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 30
SCHNACKENBURG R., Il Vangelo di Giovanni, (Commentario Teologico del Nuovo Testamento 1V/i -4), 4 voli., Paideia,
Brescia 1973-1987: senza dubbio, il più ricco commentario al Vangelo di Giovanni oggi esistente.
STRATHMANN H., Il Vangelo secondo Giovanni, Paideia, Brescia 1973.
VAN DEN BUSSCHE H., Giovanni. Commento al Vangelo spirituale, Cittadella, Assisi 1970.
ZEVINI G., Vangelo secondo Giovanni, 2 voli., Città Nuova, Roma 1984-1987.
4. ALTRE OPERE
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BRAUN F.M., Jean le théologien III/1: Le mystère de Jesus Christ, Gabalda, Paris 1966; III/2: Le Christ, notre Seigneur
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BROWN R.E., La comunità del discepolo prediletto, Cittadella, Assisi 1982.
BULTMANN R., Teologia del Nuovo testamento, Queriniana, Brescia 1985.
CULPEPPER R.A., Anatomy of the Fourth Gospel. A Study in Literary Design, Foortress, Philadelphia (1981) 31989.
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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 31
«Videte ergo, fratres, ne forte de ipsis montibus est
Iohannes, de quibus paulo ante cantavimus: Levavi
oculos meos in montes, unde venit auxilim mihi (Ps
120,1). Ergo, fratres mei, si vultis intellegere, levate
oculos vestros in montem istum; id est, erigite vos ad
evangelistam, erigite vos ad eius sensum»
S.Agostino, In Iohannis Evangelium Tractatus 1,6
Il PROLOGO Gv. 1,1-18
1
kai.
kai.
2
VEn avrch/| h=n o` lo,goj(
o` lo,goj h=n pro.j to.n qeo,n(
qeo.j h=n o` lo,gojÅ
ou-toj h=n evn avrch/| pro.j to.n qeo,nÅ
3 pa,nta diV auvtou/ evge,neto(
kai. cwri.j auvtou/ evge,neto ouvde. e[nÅ o] ge,gonen
4 evn auvtw/| zwh. h=n(
kai. h` zwh. h=n to. fw/j tw/n avnqrw,pwn\
5 kai. to. fw/j evn th/| skoti,a| fai,nei(
kai. h` skoti,a auvto. ouv kate,labenÅ
6 VEge,neto a;nqrwpoj(
avpestalme,noj para. qeou/(
o;noma auvtw/| VIwa,nnhj\
7 ou-toj h=lqen eivj marturi,an
i[na marturh,sh| peri. tou/ fwto,j(
i[na pa,ntej pisteu,swsin diV auvtou/Å
8 ouvk h=n evkei/noj to. fw/j(
avllV i[na marturh,sh| peri. tou/ fwto,jÅ
9 +Hn to. fw/j to. avlhqino,n(
o] fwti,zei pa,nta a;nqrwpon(
evrco,menon eivj to.n ko,smonÅ
10 evn tw/| ko,smw| h=n(
kai. o` ko,smoj diV auvtou/ evge,neto(
kai. o` ko,smoj auvto.n ouvk e;gnwÅ
11 eivj ta. i;dia h=lqen(
kai. oi` i;dioi auvto.n ouv pare,labonÅ
12 o[soi de. e;labon auvto,n(
e;dwken auvtoi/j evxousi,an te,kna qeou/ gene,sqai(
toi/j pisteu,ousin eivj to. o;noma auvtou/(
13 oi] ouvk evx ai`ma,twn
ouvde. evk qelh,matoj sarko.j
ouvde. evk qelh,matoj avndro.j
avllV evk qeou/ evgennh,qhsanÅ
14 Kai. o` lo,goj sa.rx evge,neto
kai. evskh,nwsen evn h`mi/n(
kai. evqeasa,meqa th.n do,xan auvtou/(
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 32
do,xan w`j monogenou/j para. patro,j(
plh,rhj ca,ritoj kai. avlhqei,ajÅ
15 VIwa,nnhj marturei/ peri. auvtou/
kai. ke,kragen le,gwn(
Ou-toj h=n o]n ei=pon(
~O ovpi,sw mou evrco,menoj e;mprosqe,n mou ge,gonen(
o[ti prw/to,j mou h=nÅ
16 o[ti evk tou/ plhrw,matoj auvtou/
h`mei/j pa,ntej evla,bomen kai. ca,rin avnti. ca,ritoj\
17 o[ti o` no,moj dia. Mwu?se,wj evdo,qh(
h` ca,rij kai. h` avlh,qeia dia. VIhsou/ Cristou/ evge,netoÅ
18 qeo.n ouvdei.j e`wr, aken pw,pote\
monogenh.j qeo.j
o` w'n eivj to.n ko,lpon tou/ patro.j
evkei/noj evxhgh,satoÅ
OSSERVAZIONI
Problemi :
Come va interpretato il pros del v. 1? Stato in luogo o moto a luogo?
Come leggere il theos a conclusione del v. 1? Dio oppure “un Dio” o “divino”?
Ho gegonen va a fine del v. 3 oppure a inizio del v. 4 come indicano anche molti padri?
Tre possibili divisioni del testo 1,3-4 nella tradizione antica (nei papiri e nei codici non vi
sono segni di interpunzione):
A.
Versioni e antichi scrittori
Scrittori ortodossi ed eretici
prima del concilio di Nicea
(325)
(3) pa,nta diV auvtou/ evge,neto(
kai. cwri.j auvtou/ evge,neto
ouvde. e[n
B.
Presente in versioni e scrittori
latini
C.
Forma rara.
(3) pa,nta diV auvtou/ evge,neto(
kai. cwri.j auvtou/ evge,neto
ouvde. e[n o] ge,gonen
(3) pa,nta diV auvtou/ evge,neto(
kai. cwri.j auvtou/ evge,neto
ouvde. e[n o] ge,gonen evn auvtw/|
(4) o] ge,gonen evn auvtw/| zwh. h=n(
kai. h` zwh. h=n to. fw/j tw/n
avnqrw,pwn\
(4) evn auvtw/| zwh. h=n(
kai. h` zwh. h=n to. fw/j tw/n
avnqrw,pwn\
(4) zwh. h=n(
kai. h` zwh. h=n to. fw/j tw/n
avnqrw,pwn\
3….e senza di lui non avvenne
nulla
3….e senza di lui non avvenne
nulla di ciò che avvenne
3….e senza di lui non avvenne
nulla di ciò che avvenne in lui.
4. Ciò che avvenne in lui, era
vita
oppure
Ciò che avvenne, in lui era vita
4. In lui, era vita…
4 Era vita
A favore:
struttura, parallelismo antitetico
nel v. 3:
«tutto per mezzo di lui…
nulla senza di lui».
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 33
Al v. 5 si passa dal passato al presente: si tratta di una digressione dell‟evangelista (che si
vede anche nella preferenza di Gv per skotia anzicchè skotos)
Katalambanein: discusso fin dall‟antichità: Padri+ alcuni esegeti moderni= sopraffare; per
Schnackemburg è da cogliere analogamente a paralambanein: accogliere qualcosa che arriva;
perciò = afferrare qualcosa che è presente.
Erchomenon al v. 9 va riferito al en iniziale in funzione perifrastica oppure all‟anthropon che
precede (Vg)? Una terza posizione è quella di considerare l‟intera ultima proposizione, da
erchomenon in avanti come un‟aggiunta a to phos nel senso di di una relativa abbreviata ma ci si
attenderebbe un articolo davanti a erchomenon.
Schnackemburg sembra condividere l‟idea secondo cui l‟inno originario fino al v. 14, usando
il passato en, si riferisce al mondo della creazione e prima della venuta di Cristo. L‟idea che fa
parlare Giustino del Logos spermatikos. Solo con il 14 si inizia a parlarne a partire
dall‟incarnazione. Ma, osserva l‟autore, l‟evangelelista sembra insinuare già alla fine del 9
l‟esperienza storica del Verbo.
v.11: eis ta idia: nella sua patria? Tra i suoi? Nella sua proprietà? Meglio “sua proprietà”. Sua
patria infatti sarebbe il mondo intero. Idioi tuttavia non va inteso come gli israeliti, ma potrebbe
intendere in generale gli uomini che si opposero e continuano ad opporsi all‟accoglienza del Logos.
v.13 La grande maggioranza dei manoscritti, versioni e scrittori, a partire dal IV secolo riporta
il testo nella forma plurale «i quali furono generati». Ireneo e Tertulliano in testi antignostici riporta
il singolare conformemente ad altri scrittori più antichi. Si tratta di un appoggio alla concezione
verginale?
v.18 Alcuni manoscritti riportano non l‟Unigenito Figlio di Dio ma l‟Unigenito Dio (papiri
Bodamer IIIsec. Cod. Sinaitico, Vaticano, versioni e scrittori antichi.
INTRODUZIONE
1.
Guardando complessivamente i 4 evangeli nella loro forma attuale, si percepisce il
crescente interesse, nel cristianesimo primitivo, per l‟origine di Gesù. Non tanto dal
punto di vista storico bensì come risposta a questioni di tipo cristologico che a mano a
mano dovettero emergere in relazione alla determinazione stessa della natura
messianica e soprattutto in relazione alla figliolanza divina di Gesù.
Marco, il più antico dei Vangeli, inizia fa iniziare il suo racconto con la figura
di Giovanni il Battista e con il racconto fondamentale del battesimo di Gesù. È
tuttavia interessante notare già la preoccupazione di presentare Gesù come il
Figlio di Dio (l‟evangelista o la tradizione immediatamente successiva?) 1:1
VArch. tou/ euvaggeli,ou VIhsou/ Cristou/ Îui`ou/ qeou/ÐÅ
Matteo e Luca iniziano invece con un inquadramento certamente più ampio
riscontrabile in particolare nelle genealogie (Mt a partire da Abramo, Luca a
partire da Adamo) con uno sguardo retrospettivo che si concretizza nei racconti
dell‟infanzia e con le descrizioni altamente teologizzate degli eventi della
nascita, come compimento delle attese e soprattutto con la manifestazione della
natura di Gesù Cristo già al momento della nascita.
Giovanni spinge questa riflessione ancora più ardita, giungendo sino al
“principio” collegandosi in tal modo con lo stesso progetto creativo e parlando
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 34
esplicitamente non tanto del Gesù Messia ma del Logos che dall‟inizio era già
presso il Padre….
(per la descrizione grafica della situazione cfr. pagina finale).
Giovanni dunque ha voluto premettere al suo Vangelo una introduzione in forma poetica in cui
presentare già la sua sintesi teologica su Gesù? E come: attingendo dalla tradizione precedente ed
utilizzando già un inno preesistente, o componendolo del tutto di sua mano? Come si spiegherebbe
in questa ipotesi il fatto che esista tra il prologo e il resto del vangelo un legame “tenue” per
linguaggio e stile? Sembrerebbe trattarsi di qualcosa di più di una semplice sintesi poetica composta
dall‟autore e premessa alla sua opera.
Probabilmente utilizzò in parte un inno preesistente e lo agganciò al vangelo con alcuni incisi.
L‟attenzione va, naturalmente ai due passi che trattano di Giovanni il Battista (6-8 e 15) e che
vengono ripresi a partire dal v. 19. Sono state compiute analisi ritmiche, stilistiche ed anche
esegetiche al fine di determinare quale dovesse essere l‟inno originario e quale l‟elaborazione
dell‟evangelista.
Tra le varie e diverse interpretazioni, rifiutando il criterio di riunire le varie conclusioni in un
risultato frutto di molteplici approcci, Schnackenburg propone il seguente testo:
1.
(1) VEn avrch/| h=n o` lo,goj(
kai. o` lo,goj h=n pro.j to.n qeo,n(
kai. qeo.j h=n o` lo,gojÅ
(3) pa,nta diV auvtou/ evge,neto(
kai. cwri.j auvtou/ evge,neto
ouvde. e[n o] ge,gonen
2.
(4) evn auvtw/| zwh. h=n(
kai. h` zwh. h=n to. fw/j tw/n avnqrw,pwn\
(9) +Hn to. fw/j to. avlhqino,n(
o] fwti,zei pa,nta a;nqrwpon(
3.
(10) evn tw/| ko,smw| h=n(
kai. o` ko,smoj auvto.n ouvk e;gnwÅ
(11) eivj ta. i;dia h=lqen(
kai. oi` i;dioi auvto.n ouv pare,labonÅ
4.
(14) Kai. o` lo,goj sa.rx evge,neto
kai. evskh,nwsen evn h`mi/n(
plh,rhj ca,ritoj kai. avlhqei,ajÅ
(16) o[ti evk tou/ plhrw,matoj auvtou/
h`mei/j pa,ntej evla,bomen kai. ca,rin avnti. ca,ritoj\
Si ipotizza dunque la successione di quattro strofe : 1. primordiale e divino essere del Logos e la
sua funzione nella creazione; 2. importanza per il mondo degli uomini (vita e luce); 3. rifiuto
della sua opera da parte dell‟umanità prima dell‟incarnazione; 4. l‟evento dell‟incarnazione fonte
di letizia e apportatore di salvezza.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 35
Un inno tradizionale dunque, in cui si accentuava il periodo precedente all‟incarnazione;
qualche minima traccia del genere c‟è solo in 1Cor 10,4. Diverso dunque dagli altri inni tramandati
(1Tim 3,16; Fil 2,6-11; Col 1,15-20; Eb 1,2s.) anche perché nell‟inno giovanneo non si fa
riferimento all‟esaltazione di Cristo. In nessun altro inno si fa riferimento al rifiuto del Redentore.
Concepito in relazione alla speculazione sapienziale?
Quanto alla provenienza?
1923 Bultmann: inno gnostico sorto nell‟ambiente del Battista;
Schaeder: inno gnostico su modello aramaico costituito da un inno a Enosh (il Dio uomo);
posizione elaborata sulla base della retroversione dell‟inno in aramaico dove il v.6° suona: «Enosh
fu mandato da Dio…» e diventa chiave di comprensione. Con Bultmann e accogliendo
l‟identificazione gnostica dell‟ambiente di origine si sono schierati diversi studiosi.
Ma, osserva Schnackenburg: come spiegare l‟idea dell‟incarnazione in 1,14, autentica professione
di fede cristiana?
Dunque proviene da circoli cristiani, certamente ellenistici (per l‟uso di Logos)… giudeo
ellenisti convertiti (presenza di riminiscenze dell‟AT soprattutto sapienza e torah).
Struttura Letteraria del Prologo nella sua forma attuale
1. tre parti corrispondenti alla storia della salvezza:
1-5
creazione
6-13 storia universale e Israele
14-18 incarnazione e comunità cristiana
2. Schema tematico chiasmatico o parabolico (un po’ rigido)
A.
B.
C.
D.
E.
F.
1-2
3
4-5
6-8
9
10-11
A1. 18
B1. 17
C1. 16
D1. 15
E1. 14
F1. 12-13
OSSERVAZIONI ESEGETICHE
VEn avrch/| nel IV vangelo solo qui. Ap‟arches 8 volte in 1Gv ma con il valore di inizio storico…
Richiama Gn 1,1 e Pr 8,23 in un contesto creazionale, specficata in Pr: prima di fare il la terra
Riferimento al ruolo della Sapienza, figura personalizzata e attiva accanto al creatore cfr. Sir 24,9.
In Gv risalta l‟espressione assoluta, l‟indicazione di una relazione permanente e dinamica del logos
con Dio: era… pros “con” o piuttosto “rivolta verso”? Cfr. De La Potterie.
Le prime frasi si concentrano sul Logos che a pieno titolo è nell‟ambito di Dio.
Con l‟egeneto del v.3 si passa a considerare il rapporto con il creato (cfr. Gn 1,3 con il verbo
ebraico hayàh a cui corrisponde nei LXX egèneto.
Al panta iniziale corrisponde l‟ oudè hen secondo lo stile biblico e giudaico.
Si riprende l‟idea giudaica della creazione attraverso la Parola (cfr. Sl 33; Sir 43,26)
Ho gegonen, ciò che avvenne, sembra andare meglio all‟inizio del v. 4: ciò che avvenne in lui era la
vita… anche se crea qualche difficoltà interpretativa: ciò che era in lui era “vita”
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 36
v.4 “Vita” ben 36 volte nel vangelo (su 133 nel NT) è associato a luce termine che definisce il
rapporto di Cristo con gli uomini: Io sono la luce del mondo (8,12) si veda il Sl 36,10: Dio come
sorgente perenne di vita piena e sicura. Del resto il motivo della vita, che ha la priorità su quello
della luce ricorre alla fine stesso del Vangelo come motivazione dell‟annuncio della buona notizia:
31 Questi sono stati scritti affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e, credendo,
abbiate la vita nel suo nome.
È da notare che la tradizione sapienziale prima, e il giudaismo successivamente, porrà in risalto la
corrispondenza Legge-Vita; Legge-Luce cfr. Baruch 4,1.
La riflessione sapienziale opera già l‟unione profonda tra ciò che la luce ha significato nel mondo
cosmico a ciò che essa significa nel mondo antropologico.
Le tenebre, skotia non vanno semplicemente identificate con il mondo umano. Il prologo è
attraversato comunque da un senso positivo nel confronto, in cui le tenebre non riescono a
sopraffare la luce. Qui viene in mente il dualismo di Qumran che tuttavia è ben più radicale e separa
nettamente le due realtà…
Ma a quale contrapposizione specifica si riferisce Giovanni: l‟ambito della creazione? Quello del
popolo di Dio? Al contrasto di Gesù Cristo con il mondo del peccato? In realtà il testo non lo indica,
resta da determinare… Il tema della luce continua nei versetti seguenti in cui si introduce la figura
di Giovanni Battista che non era la luce.
L‟introduzione “Vi fu un uomo inviato da Dio” riecheggia il linguaggio biblico cfr. 1Sam 1,1
LXX… ma anche, nei libri profetici “giunse la parola di Dio a… (nome del profeta)”. Giovanni
viene introdotto con il suo ruolo funzionale di “Inviato” rispetto alla Parola – Vita – Luce di cui si
sta parlando. Si accentua il ruolo testimoniale che continuerà a caratterizzare in Gv la figura del
Battista. Procedendo col v. 7 si insiste in positivo e in negativo sulla differenza tra il suo ruolo e
quello del Verbo-Luce. (cfr. 1,20-31; 3,28.30). Mi pare difficile pensare, come Fabris, che non vi
sia dietro alla ripetuta puntualizzazione, il problema storico del discepolato di Giovanni che
interpreta il proprio maestro come la Luce e come il Cristo…
In questo senso di puntualizzazione mi pare vada intesa anche la specificazione seguente “veniva
nel mondo la luce, quella vera…”. Va segnalata l‟originale tesi che vuole riferire il primo inciso del
prologo, solitamente inteso come primo riferimento ala missione del Battista, come un riferimento
all‟evangelista Giovanni: l‟unica dichiarazione esplicita del Vangelo circa la missione
dell‟evangelista come testimone della luce perché tutti credessero per mezzo di lui.23
Dal termine del v.9 e nel v.10 si ripete quattro volte il vocabolo kosmos. Lo scenario resta ampio,
cosmico e antropologico.
v. 11 “I suoi” non va interpretato in senso restrittivo (i giudei), piuttosto “i suoi” sembra riprendere
quanto si diceva del mondo che fu fatto per mezzo di lui.
v.12 “Quelli che lo accolsero” verranno specificati alla fine del 12 e nel 13: i credenti nel suo nome,
i quali…. Credere nel suo nome appare 2 volte in Gv su 96 ricorrenze del verbo credere.
Exousia “diritto-potere” ma anche “dare la facoltà… rendere capaci” dice il compito che il Figlio ha
avuto dal Padre che gli ha dato potere su ogni uomo (5,27; 17,3).
v.13 L‟accento cade sull‟ultima dichiarazione che esplicita quanto affermato nel 12: la capacità di
diventare figli di Dio. Essa rimane dono di Dio da accogliere nella fede. Alla generazione dalla
carne si oppone la generazione dallo Spirito (cfr Gv 3,3-8 Nicodemo).
Ireneo e Tertulliano pongono il pronome al singolare: il quale è stato generato…è nell‟ambito,
probabilmente, della controversia antignostica… La scelta del singolare accentua la concentrazione
cristologica e lega strettamente il v.13 al 14a in cui “E il verbo divenne carne” metterebbe l‟accento
non tanto sulla modalità quanto piuttosto sull‟origine divina. Possibilità da considerare con
attenzione non facendosi semplicemente distrarre dalla prospettiva della concezione verginale che
associerebbe questo testo a quelli di Lc e Mt.
23
RIGATO M.L., Giovanni: l’enigma, il Presbitero, il culto, il tempio, la cristologia, Dehoniane, Bologna 2007, 23s.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 37
14. versetto centrale. Riappare il LOGOS che ora è soggetto del verbo divenire, associato alla sarx.
Polemica antidocetista? Reminiscenza di una formula tradizionale di fede? L‟affermazione “e abitò
fra noi” dà al versetto un‟ambientazione biblica. Il verbo utilizzato richiama al simbolo della tenda
skene, dimora di Dio prolungata nel tempio (Es 40,34-35; 2Sm 7,6; 1Re 8,10-11) Qui prende
dimora la Sapienza per ordine di Dio (Sir 24,8-12) così come i profeti promettono che Dio dimorerà
in mezzo al suo popolo (Ez 43,7; Gl 4,17.21; Zc 2,14; 8,3).
E abbiamo contemplato (il verbo si ritrova in 1Gv1,1) alla prima plurale. Gruppo di cui
l‟evangelista si fa portavoce.
Elemento chiave della contemplazione è la doxa, associata nella Bibbia alla presenza di Dio in
mezzo al popolo e al contesto dell‟alleanza. Per “vedere la gloria” cfr. Es 33,18; Is 6,3.5.
L‟esperienza di Isaia è attualizzata da Gv a proposito dell‟incapacità dei Giudei a credere in Gesù
nonostante i segni (Gv 12,37-41).
È quella “gloria” che i discepoli credenti sono chiamati a “vedere” per dono di Dio (17,24). Nella
parola divenuta carne, nei segni e nella morte di Gesù si rende presente l‟azione benefica e salvifica
di Dio attesa per il tempo finale.
v. 14… plh,rhj ca,ritoj kai. avlhqei,ajÅ
cfr. Es 34.6: ḥ esed we‟emet, nei LXX polyèleos kai alethinos (cfr. Es 33,18-23)
Per Fabris Giovanni rinvia alla nota coppia di termini Ḥ esed we‟emet dell‟AT. Mi pare che proprio
accettando questa indicazione esegetica, la traduzione che renderebbe maggiormente la sottostante
espressione semitica sia “grazia (amore) fedele”: ciò che il Verbo comunica è quell‟amore
misericordioso di Dio che è “vero” (radice ‟mn), cioè stabile per sempre. Si tratta dunque della
presenza salvifica del Logos diventato carne. I temi della rivelazione biblica vengono riletti e
rimeditati da Giovanni in prospettiva cristologica.
v.16 dalla sua pienezza evk tou/ plhrw,matoj auvtou/ si riprende l‟espressione pleres di 1,14 apax
legomenon nel IV evangelo mentre è presente 12 volte nei LXX e 17 volte nel NT. Indica la totalità
e l‟ampiezza dell‟azione divina (cfr. Sl 24,1 e 1Cor 10,26… Ef 1,10,23; 3,19…)
Nel logos incarnato si incontrano, o è possibile incontrare i beni salvifici, la loro “pienezza”.
kai. ca,rin avnti. ca,ritoj si indica l‟ininterrotto flusso di grazia. Come va tradotta la preposizione?
Grazia “su” grazia?
v. 17: Mosè e Gesù Cristo. Si osservi la struttura simmetrica della frase:
Dio – per mezzo di Mosè – ha donato la Legge
Dio – per mezzo di Gesù Cristo rende presente il suo amore fedele.
Vanno lette in un crescendo positivo o come opposizione …. Invece…. ?
Ambedue le letture sembrano consentite dal testo, anche guardando agli usi antecedenti dei termini.
La Legge è rivelazione storica di Dio e rende testimonianza a Gesù (Gv 1,45; 5,39; 10,34; 15,25)
Ma è vero anche che “i giudei” si appellano alla Legge contro Gesù (Gv 18,31; 19,7);
analogamente per Mosè: cfr 1,45;7,39; 7,45.47 e, per contro, 9,28s.
La lettura dunque può essere fatta in progressione, non come semplice parallelismo né come
opposizione di negativo a positivo, bensì come sviluppo.
v. 18 riprende e conclude quanto già affermato: il versetto si ricongiunge al v.1, osservazione
particolarmente importante per chi rappresenta la struttura del prologo come parabola che discende
dal v.1 (Verbo presso Dio) al 14 (diventa carne) per riapparire presso il Padre come unigenito
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 38
(v.18). Tutto ciò attraverso una indubitabile progressione: adesso infatti si tratta del Logos
incarnato.
Osservare l‟interessante uso del verbo exegeo: evkei/noj evxhgh,satoÅ che troviamo 6 volte in Luca con
il significato di narrare, raccontare; derivante dall‟uso dell‟AT soprattutto nei testi sapienziali: Gb
28,27; Sir 43,31.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 39
Il libro dei segni: i segni giovanei:
Segno/i nel IV Vangelo
2:11 Tau,thn evpoi,hsen avrch.n tw/n shmei,wn o` VIhsou/j evn Kana. th/j Galilai,aj
kai. evfane,rwsen th.n do,xan auvtou/(
kai. evpi,steusan eivj auvto.n oi` maqhtai. auvtou/Å
2:18 avpekri,qhsan ou=n oi` VIoudai/oi kai. ei=pan auvtw/|(
Ti, shmei/on deiknu,eij h`mi/n o[ti tau/ta poiei/jÈ
2:23 ~Wj de. h=n evn toi/j ~Ierosolu,moij evn tw/| pa,sca evn th/| e`orth/|(
polloi. evpi,steusan eivj to. o;noma auvtou/ qewrou/ntej auvtou/ ta. shmei/a a] evpoi,ei\
3:2 ou-toj h=lqen pro.j auvto.n nukto.j kai. ei=pen auvtw/|(
~Rabbi,( oi;damen o[ti avpo. qeou/ evlh,luqaj dida,skaloj\
ouvdei.j ga.r du,natai tau/ta ta. shmei/a poiei/n a] su. poiei/j(
eva.n mh. h=| o` qeo.j metV auvtou/Å
4:48 ei=pen ou=n o` VIhsou/j pro.j auvto,n(
VEa.n mh. shmei/a kai. te,rata i;dhte( ouv mh. pisteu,shteÅ
4:54 Tou/to Îde.Ð pa,lin deu,teron shmei/on evpoi,hsen o` VIhsou/j
evlqw.n evk th/j VIoudai,aj eivj th.n Galilai,anÅ
6:2 hvkolou,qei de. auvtw/| o;cloj polu,j(
o[ti evqew,roun ta. shmei/a a] evpoi,ei evpi. tw/n avsqenou,ntwnÅ
6:14 Oi` ou=n a;nqrwpoi ivdo,ntej o] evpoi,hsen shmei/on e;legon o[ti
Ou-to,j evstin avlhqw/j o` profh,thj o` evrco,menoj eivj to.n ko,smonÅ
6:26 avpekri,qh auvtoi/j o` VIhsou/j kai. ei=pen(
VAmh.n avmh.n le,gw u`mi/n( zhtei/te, me ouvc o[ti ei;dete shmei/a(
avllV o[ti evfa,gete evk tw/n a;rtwn kai. evcorta,sqhteÅ
6:30 ei=pon ou=n auvtw/|(
Ti, ou=n poiei/j su. shmei/on( i[na i;dwmen kai. pisteu,swme,n soiÈ ti, evrga,zh|È
7:31 VEk tou/ o;clou de. polloi. evpi,steusan eivj auvto.n kai. e;legon(
~O Cristo.j o[tan e;lqh| mh. plei,ona shmei/a poih,sei w-n ou-toj evpoi,hsenÈ
9:16 e;legon ou=n evk tw/n Farisai,wn tine,j(
Ouvk e;stin ou-toj para. qeou/ o` a;nqrwpoj( o[ti to. sa,bbaton ouv threi/Å
a;lloi Îde.Ð e;legon( Pw/j du,natai a;nqrwpoj a`martwlo.j toiau/ta shmei/a poiei/nÈ
kai. sci,sma h=n evn auvtoi/jÅ
10:41 kai. polloi. h=lqon pro.j auvto.n kai. e;legon o[ti VIwa,nnhj me.n shmei/on evpoi,hsen ouvde,n( pa,nta de. o[sa ei=pen
VIwa,nnhj peri. tou,tou avlhqh/ h=nÅ
11:47 sunh,gagon ou=n oi` avrcierei/j kai. oi` Farisai/oi sune,drion kai. e;legon( Ti, poiou/men o[ti ou-toj o` a;nqrwpoj
polla. poiei/ shmei/aÈ
12:18 dia. tou/to Îkai.Ð u`ph,nthsen auvtw/| o` o;cloj( o[ti h;kousan tou/to auvto.n pepoihke,nai to. shmei/onÅ
12:37 Tosau/ta de. auvtou/ shmei/a pepoihko,toj e;mprosqen auvtw/n ouvk evpi,steuon eivj auvto,n(
20:30 Polla. me.n ou=n kai. a;lla shmei/a evpoi,hsen o` VIhsou/j evnw,pion tw/n maqhtw/n Îauvtou/Ð(
a] ouvk e;stin gegramme,na evn tw/| bibli,w| tou,tw|\
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 40
Ai “segni” giovannei Schnackenburg dedica un ampio excursus nel I Volume del suo commentario,
già citato in bibliografia, pp. 476-493; negli appunti che seguono non si segue esclusivamente
Schnackenburg.
La scelta del termine
Naturalmente la prima osservazione va alla preferenza giovannea di “segno” invece che di
“miracolo” dynamis abituale negli altri evangeli. Il vocabolo non è esclusivo di Giovanni (17 volte
nel IV Vangelo), ma l‟uso costante per indicare le opere prodigiose di Gesù fa intendere che
l‟evangelista privilegia non tanto l‟aspetto “prodigioso” di lotta contro potenze caotiche, che si
oppongono a Dio e alla vita (le forze della natura, il caos espresso dal mare in tempesta…) quanto
piuttosto il loro valore di indicatori di un altro significato, più profondo che essi possono svelare a
chi li guarda con la disposizione ad accogliere la rivelazione di cui essi sono portatori. I segni
giovannei restano infatti ambivalenti: loro scopo è condurre alla fede, come viene dichiarato
dall‟evangelista stesso eppure possono anche non ottenere questo effetto, persino da parte di chi ne
è direttamente testimone (12,37).
Distribuzione e numero delle ricorrenze
Osservando poi la distribuzione delle ricorrenze nel testo ci rendiamo subito conto di come esse
interessino la prima parte del Vangelo.
La prima ricorrenza del termine si riferisce al segno di Cana di Galilea, il “primo” o il “principio”
dei segni. Le due ultime ricorrenze sembrano particolarmente significative.
1. In 12,37 vi è come una conclusione sui tanti segni compiuti da Gesù, rispetto ai quali i
giudei comunque non cedettero in lui. Ma il termine lo incontriamo ancora in 20,30 una vera
e propria conclusione all‟intero evangelo che da questa conclusione sembrerebbe essere
esattamente una raccolta dei segni che Gesù fece. Dunque anche la seconda parte del
Vangelo va intesa come segno? In particolare la morte-risurrezione sembra essere il segno
principale dal quale scaturisce il significato più profondo di tutti gli altri segni. Non la pensa
così Schnackenburg che esclude che la citazione di 20,30 si riferisca a precedenti narrazioni
di Gesù risorto, perché queste non sono mai chiamate “segni”.
2. Una seconda questione è relativa al numero dei segni riportati da Giovanni:
1. l‟acqua trasformata in vino a Cana (2,1-12)
2. la guarigione della figlia del funzionario del re (4,46-54)
3. la guarigione del paralitico di Betzatà (5,1-9) indicato come ergon (non semeion)
importante.
4. la moltiplicazione dei pani (6,16-21)
5. la guarigione del cieco nato (9,1-41)
6. la risurrezione di Lazzaro (11,1-45)
7. la pesca miracolosa (21,1-13)
Il numero dei segni giovannei, nel loro totale 7, stupisce rispetto al numero dei miracoli narrati dai
sinottici (29!). Se si guarda alla prima conclusione del Vangelo, il settimo segno è la morte
resurrezione. Se non ci si ferma qui, ma si considera anche il capitolo 21, questo segno rappresenta
l‟ottavo segno, con Gesù già risorto. È un caso questo numero? Sette è il numero della compiutezza
e della perfezione: si tratta dei segni che nel loro insieme (nell‟insieme del racconto evangelico
inteso come la raccolta dei segni di Gesù) sono in grado di comunicare la pienezza di grazia e di
verità portata dal Figlio di Dio.
Le osservazioni appena fatte sulle ricorrenze, il numero ecc. di “segno” in Giovanni ha fatto pensare
a molti esegeti ad una vera e propria “fonte dei segni”. Così, per esempio, Bultmann che attribuisce
a tale fonte (a cui bisognerà poi aggiungere la Offenbarungsreden, la fonte dei discorsi di
rivelazione) non solo i sette miracoli di cui sopra con le due conclusioni, ma anche altri piccoli tratti
dei primi dodici capitoli.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 41
Ciò che comunque si evince dall‟uso giovanneo dei segni è certamente il loro profondo significato
teologico; i segni giovannei provengono da Gesù e sono profondamente legati alla sua opera di
rivelatore del Padre… possono essere compresi e accolti solo nella fede.
Talvolta Giovanni utilizza anche il termine “opera” accanto a “segno”: non sembra sia necessario
ipotizzare la provenienza da diverse fonti, nemmeno però “varianti” di uno stesso pensiero (non
sono mai l‟uno accanto all‟altro) Dice Schnackenburg: «L‟evangelista deve aver collegato ai
termini “segni” ed “opere” aspetti e contenuti ben determinati…».
Il rimando simbolico
Pur accogliendo l‟invito di molti esegeti alla prudenza nel parlare di simbolismo (vedi per es.
Ashton), mi pare indubbio che la stessa scelta di parlare di segni, piuttosto che di miracoli o altro,
chiami in causa, se ve ne fosse bisogno, un uso simbolico di determinate immagini del racconto
giovanneo
Da Cana a Cana
Prima unità:
Da Cana a Cana: inclusione 2,11//4,54. Le tre regioni della Palestina (Galilea, Giudea e Samaria);
incontro con figure rappresentative dell‟ambiente etnico e socioculturale…
1. Le nozze di Cana 2,1-11.12
2. Gesù a Gerusalemme 2,13-25
3. Incontro e dialogo con Nicodemo 3,1-21
4. Gesù e Giovanni: confronto e ultima testimonianza 3,22-36
5. Incontro con la Samaritana 4,1-42
6. Guarigione della figlia di un funzionario regale 4,43-54
Fabris, insieme ad altri autori24, identifica in questi tre capitoli una unità osservando l‟inclusione
creata da 2,11 e 4,45. Il capitolo 1 costituisce una introduzione che prepara il campo a quanto verrà
narrato in seguito. È noto come il prologo costituisca un inquadramento complessivo del Vangelo e
della sua presentazione di Gesù, incluso già il rifiuto dai suoi, nel tipico linguaggio giovanneo che
tuttavia nel prologo assume una forma ed un lessico del tutto particolare. Sarà perciò esaminato a
parte. 1,19-34 presenta la testimonianza di Giovanni Battista che riprende e approfondisce quanto
annunciato dal prologo, nelle parti narrative relative esattamente alla testimonianza del Battista su
Gesù. I vv. 35-51 dello stesso capitolo 1 introducono la chiamata dei discepoli per la quale troviamo
l‟interessante notizia (storica) del passaggio da Giovanni Battista a Gesù (si ricordi quanto già detto
nell‟introduzione a proposito dell‟importanza degli elementi battisti nel gruppo di Giovanni!).
Queste due parti, testimonianza di Giovanni il Battista e chiamata dei primi discepoli sembrano
costituire una introduzione all‟intera narrazione che segue. Altri invece li considerano come facenti
parte della prima unità 1,19-4,54.
Schnackenburg raccoglie la sezione 1,19-4,54 sotto il titolo “gli inizi della rivelazione di Gesù” vol
I p. 375 sulla base delle indicazioni cronologiche, osservando che questa prima parte si differenzia
da ciò che segue anche per la mancanza di grandi discorsi di Gesù mantenendo uno stile piuttosto
narrativo e informativo.
La Bibbia di Gerusalemme privilegia la successione dei giorni che scandiscono la “settimana
inaugurale” che culmina nel segno di Cana, la prima settimana dell‟operato di Gesù attraverso la
successione di giorni:
24
Così, tra gli altri, Tillmann, Bultmann, Wikenhauser, Dodd (che fa incominciare da qui il libro dei segni)
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 42
1,29 Il giorno dopo, Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui disse: «Ecco l'agnello di Dio, ecco
colui che toglie il peccato del mondo!
1,35 Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli
1,43 Il giorno dopo Gesù aveva stabilito di partire per la Galilea; incontrò Filippo e gli disse:
«Seguimi».
2,1 Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù.
L‟enumerazione dei giorni riprende in 4,43
4,43 Trascorsi due giorni, partì di là per andare in Galilea.
mentre divide poi, sempre seguendo il criterio temporale,2,13 per la prima citazione di una delle tre
feste di Pasqua citate dall‟evangelista.
Vi sono tuttavia altri elementi, oltre la citazione dei due segni a Cana, che depongono a favore di
una presentazione unitaria del materiale raccolto in questa prima unità che si presenta quasi come
un prologo al dramma che si svilupperà successivamente (2-4):
1. un ciclo geografico completo che rappresenta l‟attività di Gesù nelle tre regioni della
Palestina del tempo:
2:1 Tre giorni dopo ci fu una festa di nozze in Cana di Galilea e c' era là la madre di Gesù.
2,11 Questo inizio dei segni fece Gesù in Cana di Galilea e rivelò la sua gloria e i suoi discepoli
credettero in lui.
3:22 In seguito Gesù e i suoi discepoli vennero nel territorio della Giudea e lì si trattenne con loro e
battezzava.
4:3 lasciò la Giudea e ritornò verso la Galilea.
4:4 Egli doveva passare per la Samaria.
4:5 Ora, arriva ad una città della Samaria chiamata Sichar, vicino al podere che Giacobbe aveva
dato al figlio suo Giuseppe.
4:7 Viene una donna della Samaria ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere».
4:43 Dopo questi due giorni ripartì di là per la Galilea.
4:45 Ora, quando Gesù arrivò in Galilea, i Galilei lo accolsero bene, avendo visto tutte le cose che
aveva fatto a Gerusalemme durante la festa, poiché anch' essi erano andati alla festa.
4:46 Gesù tornò dunque a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l' acqua in vino. C' era un
funzionario regio, il cui figlio era ammalato, a Cafarnao.
4:47 Avendo egli saputo che Gesù era venuto dalla Giudea alla Galilea, si recò da lui e lo pregava
di scendere e guarire il figlio suo, perché stava per morire.
4:54 Gesù compì questo secondo segno ritornando dalla Giudea alla Galilea.
2. Dal punto di vista narrativo si osserva l‟accoglienza positiva, non ostile anche da parte
giudaica, riservata a Gesù e ai segni che compie:
2[11]Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi
discepoli credettero in lui.
2 [22]Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e
credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
2[23]Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa molti, vedendo i segni che faceva,
credettero nel suo nome.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 43
3[1]C'era tra i farisei un uomo chiamato Nicodèmo, un capo dei Giudei. [2]Egli andò da Gesù, di
notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i
segni che tu fai, se Dio non è con lui».
4[39]Molti Samaritani di quella città credettero in lui per le parole della donna che dichiarava: «Mi
ha detto tutto quello che ho fatto». [40]E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregarono di
fermarsi con loro ed egli vi rimase due giorni. [41]Molti di più credettero per la sua parola [42]e
dicevano alla donna: «Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo
udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».
4[43]Trascorsi due giorni, partì di là per andare in Galilea. [44]Ma Gesù stesso aveva dichiarato che
un profeta non riceve onore nella sua patria. [45]Quando però giunse in Galilea, i Galilei lo
accolsero con gioia, poiché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme durante la
festa; anch'essi infatti erano andati alla festa.
4 [53]Il padre [funzionario regio] riconobbe che proprio in quell'ora Gesù gli aveva detto: «Tuo
figlio vive» e credette lui con tutta la sua famiglia.
3. Sempre dal punto di vista narrativo si osserva la presentazione di diversi contesti e
personaggi che rappresentano le differenze della Palestina del suo tempo:
Nozze di Cana (matrimonio giudaico): Sposi galilei, Maria la medre di Gesù, fratelli e
discepoli di Gesù 2,12
Purificazione del tempio: Pasqua dei Giudei; Nicodemo, capo dei giudei;
Battesimo: Giovanni Battista; discepoli del battista
Samaritana: Samaritani;
Galilei: accolgono con piacere Gesù
Funzionario del re: familiari del funzionario regio
4. È in questa prima unità che Gesù vive la sua prima Pasqua a Gerusalemme, con
accoglienza positiva da parte di molti giudei (2,23)
5. È da osservare inoltre, dal punto di vista narrativo, che “i Giudei” saranno presentati
esplicitamente in maniera aggressiva contro Gesù solo a partire dal capitolo 5, dopo la
guarigione dell‟infermo a Betzaetà, quando i Giudei lo accusano di violare il sabato e
soprattutto di farsi uguale a Dio (5,18)
Arricchiamo adesso il quadro della prima unità:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Primo segno: Le nozze di Cana 2,1-11.12
Gesù a Gerusalemme 2,13-25
Incontro e dialogo con Nicodemo 3,1-21
Gesù e Giovanni (amico dello sposo): confronto e ultima testimonianza 3,22-36
Incontro e dialogo con la Samaritana 4,1-42
Secondo segno: Guarigione della figlia di un funzionario regale a Cana 4,43-54
Un primo sommario sguardo allo sviluppo narrativo: da Cana a Cana, in titolo che abbiamo dato
alla sezione, sottolinea la cornice narrativa di questa unità che raccoglie i primi incontri di Gesù tra
due “segni” introducendo così l‟intera prima parte di Giovanni, il cosiddetto libro dei segni.
Sull’Alleanza: A Cana di Galilea tutto si svolge nel contesto matrimoniale, simbolismo
dell‟alleanza (matrimonio, acqua trasformata, vino… stupore e sottolineatura del Maestro di tavola:
il meglio dato alla fine!) Il contesto tradizionale è giudaico e giudaica la risposta all‟attesa
dell‟Alleanza nuova…
Sul Tempio: La prima salita di Gesù a Gerusalemme corrisponde alla cacciata dei venditori dal
tempio… in polemica »profetica) con la situazione attuale in cui il tempio versa… Accenno alla
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 44
risurrezione (che si comprenderà solo dopo Pasqua). Messa in questione del ruolo attuale del
tempio.
Cresce la fama di Gesù per i suoi “segni”
Sulla necessità di rinascere dall’alto nella fede nel Figlio: Chiarimento con Nicodemo, capo dei
Giudei, sulla necessità di rinascere dall‟alto… motivo della missione del Figlio. Necessità della fede
nel Figlio di Dio inviato dal Padre.
Sul rapporto Gesù / Giovanni Battista (amico dello sposo) e ancora sulla provenienza del Figlio
dall‟alto… e sulla necessità della fede in lui
Sul rapporto con i Samaritani e la loro disposizione a credere in Gesù come Taheb e salvatore del
mondo
Sul rapporto con i pagani: il funzionario del re arriva alla fede in Gesù con tutta la sua famiglia
Quindi dal chiarimento di Gesù circa il giudaismo, le sue attese, le sue istituzioni, la necessità di
accogliere Gesù come Figlio inviato del Padre, all‟accoglienza di Gesù, nella fede, da parte dei nongiudei.
Il segno dell’acqua trasformata in vino: Gv 2:1-12
1 Kai. th/| h`me,ra| th/| tri,th|
ga,moj evge,neto evn Kana. th/j Galilai,aj(
kai. h=n h` mh,thr tou/ VIhsou/ evkei/\
2 evklh,qh de. kai. o` VIhsou/j
kai. oi` maqhtai. auvtou/ eivj to.n ga,monÅ
3 kai. u`sterh,santoj oi;nou
le,gei h` mh,thr tou/ VIhsou/ pro.j auvto,n( Oi=non ouvk e;cousinÅ
4 Îkai.Ð le,gei auvth/| o` VIhsou/j( Ti, evmoi. kai. soi,( gu,naiÈ ou;pw h[kei h` w[ra mouÅ
5 le,gei h` mh,thr auvtou/ toi/j diako,noij( {O ti a'n le,gh| u`mi/n poih,sateÅ
6 h=san de. evkei/ li,qinai u`dri,ai
e]x kata. to.n kaqarismo.n tw/n VIoudai,wn kei,menai(
cwrou/sai avna. metrhta.j du,o h' trei/jÅ
7 le,gei auvtoi/j o` VIhsou/j( Gemi,sate ta.j u`dri,aj u[datojÅ
kai. evge,misan auvta.j e[wj a;nwÅ
8 kai. le,gei auvtoi/j( VAntlh,sate nu/n kai. fe,rete tw/| avrcitrikli,nw|\
oi` de. h;negkanÅ
9 w`j de. evgeu,sato o` avrcitri,klinoj to. u[dwr oi=non gegenhme,non
kai. ouvk h;|dei po,qen evsti,n(
oi` de. dia,konoi h;|deisan oi` hvntlhko,tej to. u[dwr(
fwnei/ to.n numfi,on o` avrcitri,klinoj
10 kai. le,gei auvtw/|( Pa/j a;nqrwpoj prw/ton to.n kalo.n oi=non ti,qhsin
kai. o[tan mequsqw/sin to.n evla,ssw\
su. teth,rhkaj to.n kalo.n oi=non e[wj a;rtiÅ
11 Tau,thn evpoi,hsen avrch.n tw/n shmei,wn o` VIhsou/j evn Kana. th/j Galilai,aj
kai. evfane,rwsen th.n do,xan auvtou/(
kai. evpi,steusan eivj auvto.n oi` maqhtai. auvtou/Å
Meta. tou/to kate,bh eivj Kafarnaou.m
auvto.j kai. h` mh,thr auvtou/ kai. oi` avdelfoi. Îauvtou/Ð kai. oi` maqhtai. auvtou/
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 45
kai. evkei/ e;meinan ouv polla.j h`me,rajÅ
12 Kai. evggu.j h=n to. pa,sca tw/n VIoudai,wn( kai. avne,bh eivj ~Ieroso,luma o` VIhsou/j
Come sempre è opportuno che si facciano quelle operazioni che potrebbero essere considerate
ovvie: l‟osservazione della pericope per delimitarla, giustificare perché e dove inizia e finisce,
organizzarla in una quadro strutturale più chiaro (distinguendo cornice narrativa, parti descrittive,
parti dialogate…) per avere inizialmente un quadro più chiaro benchè non determinante, tuttavia
utile per l‟interpretazione. A queste osservazioni vanno aggiunte le normali osservazioni di critica
testuale (se sono di una qualche pur minima importanza).
La delimitazione appare nel nostro caso piuttosto chiara: al v. 1 si dice che si celebrarono delle
nozze a Cana di Galilea, al versetto 11 si dice che «così Gesù diede inizio ai suoi segni in Cana di
Galilea». Nel v. 12, inoltre, l‟ambientazione cambia attraverso lo spostamento geografico.
Se si osserva l‟organizzazione della narrazione non è difficle considerare il v. 1 e il v. 12 come
cornice narrativa che inquadra il racconto geograficamente con, alla fine, una sottolineatura
sull‟importanza di quanto è accaduto ad opera di Gesù a Cana.
Dentro alla cornice distinguiamo
Il breve e in parte misterioso colloquio madre-Gesù che parte dall‟intervento di questa, alla
misteriosa risposta di Gesù (negativa?) e alle disposizioni che essa impartisce ai sevi vv 3-5.
Il miracolo della trasformazione dell‟acqua in vino (con descrizione delle giare, ordine di Gesù e
constatazione del cambiamento prodigioso) vv. 6-9.
Lunga (rispetto agli altri interventi) osservazione del Maestro di tavola v.10
Sempre in modo ancora superficiale, si può facilmente osservare come lo spazio dedicato al
racconto del “miracolo” sia molto ridotto (v.9), e soprattutto come non vi siano reazioni immediate
al fatto in sé, cioè al prodigio di una trasformazione del genere: l‟acqua in vino. C‟è invece, come
osservazione su quanto accade quanto dice il maestro di tavola sul tempo in cui di solito si serve il
vino buono rispetto a quello in cui si serve il vino meno buono. È l‟intervento più ampio che venga
riportato….
Già queste piccole e semplici osservazioni di superficie orientano, come si diceva, l‟interpretazione
in quanto è immediatamente percepibile che il senso di questo “segno” non risiede nel prodigio in
sé, quanto piuttosto nel significato che da esso trae il maestro di tavola.
Il fatto inoltre che venga segnalato che si tratta dell‟inizio dei segni, primo di altri segni, connette
direttamente il nostro brano con una successione che si conclude in 12:
[37]Sebbene avesse compiuto tanti segni davanti a loro, non credevano in lui;
[41]Questo disse Isaia quando vide la sua gloria e parlò di lui….
Dal punto di vista della critica testuale possiamo osservare:
v. 2 … kai. oi` maqhtai. auvtou…. E sostituito in una antica tradizione Epistula apostolorum dalla
lectio «e i suoi fratelli» che secondo Boismard potrebbe essere quella originale.
v.3: diverse versioni antiche presentano un testo più lungo con la spiegazione dell‟esaurimento del
vino…
v.12 “vi rimasero” nei codici e papiri più importanti; tuttavia nell‟Alessandrino e in altri cod.
minuscoli si ha il singolare.
Altre osservazioni sono relative alla critica stilistica: il passo molto stringato dà più la sensazione
di un racconto sinottico, che giovanneo; non vi sono passaggi (anche se vi sono parole) che
appartengano allo stile giovanneo… forse un racconto già esistente?
Forse si tratta di tradizioni proprie raccolte a Cana, insieme al segno del figlio del funzionario reale
(c. 4)? Ma l‟accenno all‟ora presenta l‟indubbia impronta giovannea, segno di rielaborazione di una
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 46
eventuale tradizione scritta a lui precedente. Del resto lo “stile” di un racconto che dedica così poco
spazio al miracolo in se stesso e invece dà rilievo alle annotazioni teologiche, indicando la lettura
più profonda del segno, ricorre spesso anche nelle altre narrazioni giovannee.
Osservazioni di dettaglio:
1 Kai. th/| h`me,ra| th/| tri,th| ga,moj evge,neto evn Kana. th/j Galilai,aj( kai. h=n h` mh,thr tou/ VIhsou/ evkei/\
Abbiamo già osservato l‟indicazione temporale th/| h`me,ra| th/| tri,th a partire da 1,19 intercorre
dunque una settimana. Boismard ne parla come della settimana della rigenerazione da contrapporre
a quella della nuova creazione (passione morte risurrezione). Il riferimento al terzo giorno può
riferirsi ai tre giorni della risurrezione (il riferimento alla gloria)? Ciò va nel senso del miracolo di
Cana come anticipazione di quello che avverrà. Per Schnackenburg ed altri esegeti si tratta più
semplicemente dell‟indicazione di un tempo breve.
Cana viene identificata con Kafr Kenna (6 km nord ovest di Nazareth), ma è il trasferimento
tradizionale dell‟originaria località di Khirbet Qana, 13 Km a nord di Nazaret. Comunque vicina a
Nazaret, il che giustifica la conoscenza degli sposi da parte dei familiari di Gesù.
2 evklh,qh de. kai. o` VIhsou/j kai. oi` maqhtai. auvtou/ eivj to.n ga,monÅ
Gesù viene qui associato ai suoi discepoli, piuttosto che alla madre che viene citata nella scena
precedente, nella descrizione delle nozze! (Maria – Israele?). I discepoli erano stati citati poco
prima, coloro che lo avevano seguito e che diventano qui i testimoni privilegiati del segno.
3 kai. u`sterh,santoj oi;nou le,gei h` mh,thr tou/ VIhsou/ pro.j auvto,n( Oi=non ouvk e;cousinÅ
Il verbo hysteréô, usato qui nel participio aoristo attivo (gen. masch. sing.) indica la mancanza, il
bisogno di… È da ricordare che il matrimonio prevedeva una settimana di festa. Il vino era
fondamentale e la sua mancanza è comprensibile che crei imbarazzo. Molti Padri hanno ritenuto
che Maria volesse chiedere un miracolo a Gesù, ma ciò non risulta chiaramente dal testo.
4 Îkai.Ð le,gei auvth/| o` VIhsou/j( Ti, evmoi. kai. soi,( gu,naiÈ ou;pw h[kei h` w[ra mouÅ
Ecco un versetto dal significato misterioso, o quasi offensivo. Gesù dice alla madre che non deve
intromettersi nella sua missione messianica? E perché l‟uso di una forma che almeno in apparenza è
tanto reattiva: Ti, evmoi. kai. soi,( gu,naiÈ
Cosa vuol dire?
Le dice Gesù: «Che vuoi da me, o donna? Non è ancora venuta la mia ora».
Oppure «Che c‟è tra me e te, donna?….»
L‟espressione è documentata sia nel mondo veterotestamentario (mah-li walak, cfr. Gdc 11,12;
2Sam 16,10….) come in quello ellenistico. Si ricordi inoltre l‟uso che se ne fa, per es. in Mc 1,24: tì
hêmin kai soi = che c‟entri con noi… è quanto dice a Gesù l‟uomo posseduto dallo spirito
immondo. La stessa espressione giovannea anche in Mc 5,6, anche qui pronunciata da un
posseduto…
È interessante al proposito leggere diverse posizioni, comprese quelle ereticali ricordate da S.
Tommaso d‟Aquino nel suo commento a Giovanni (cfr. II, 348-353). L‟interpretazione che viene
ripresa allora, come oggi da molti commentatori spirituali, è la funzione “mediatrice” di Maria
nell‟opera del Figlio…
Mateos traduce: che ci importa a me e a te, donna?. Qui l‟interpretazione è simbolica: Maria
=Israele. Le parole di Gesù sono indirizzate a Israele che ha perso fiducia, invitandolo a rompere
con il passato. Gesù rileva che quella realtà è decaduta e non deve essere rivitalizzata; la sua opera
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 47
non poggerà sulle antiche istituzioni ma porterà una novità radicale, rappresentata appunto dalla
sostituzione del vino all‟acqua….
Certo l‟appellativo “donna” non è consueto (lo ritroveremo però nel secondo passo in cuii Gv cita la
madre di Gesù nelle parole di lui 19,26) Proprio la seconda ricorrenza non fa pensare a un
atteggiamento irriguardoso, quanto piuttosto collegato alla seconda parte: “non è ancora giunta la
mia ora”. Molti esegeti, antichi e moderni, propendono per interpretare la prima parte come un
interrogativo retorico: “Che vuoi da me, donna? la mia ora è venuta.” Ma più semplicemente qui
sembra che si voglia indicare non l‟opposizione di Gesù alla richiesta di interessamento della
madre, quanto piuttosto la sottolineatura che esiste una distanza tra la madre stessa e l‟ora di Gesù
che dipende invece dal Padre. Rispetto al volere e al progetto del Padre anche la volontà, la richiesta
della madre è subordinata. Si noti come questa interpretazione sia concorde con l‟insieme
evangelico, per esempio nella risposta di Gesù alla ricerca di lui bambino nel tempio, ricordata dai
sinottici.
Dunque è il Padre che dispone di Gesù e della sua opera, dato che, come dirà più avanti
l‟evangelista, il Padre opera nel Figlio. A questo primo significato si unisce anche il riferimento
all‟ora della glorificazione del Figlio, quella della morte: in questo senso il segno di Cana non può
essere che una parziale, forse simbolica anticipazione (il vino/sangue offerto da Gesù).
Schnackenburg osserva tuttavia che tale interpretazione ridurrebbe la portata dell‟azione di Gesù
nella quale già risplende la doxa, quella che è presente nel Verbo Incarnato (1,14). Il segno non ha
solo il compito di indicare ma anche di manifestare la gloria presente nella persona di Gesù,
dispensatore dei doni escatologici del Padre.
Schnackenburg osserva che comunque si interpreti la risposta di Gesù alla madre, rimane il fatto
che ella concorre alla preparazione del miracolo:
5 le,gei h` mh,thr auvtou/ toi/j diako,noij( {O ti a'n le,gh| u`mi/n poih,sateÅ
dunque Maria non può aver compreso la risposta di Gesù come un rifiuto totale a darsi da fare. Si
fida del Figlio.
6 h=san de. evkei/ li,qinai u`dri,ai e]x kata. to.n kaqarismo.n tw/n VIoudai,wn kei,menai( cwrou/sai avna.
metrhta.j du,o h' trei/jÅ
L‟attenzione si sposta ora alle idrie di pietra, ciascuna delle quali contiene circa 100 litri d‟acqua (23 metrete: 1 metreta = litri 39,39). Recipienti piantati nel suolo, generalmente di argilla, considerati
migliori quelli di pietra perché non soggetti alle impurità di cui parla il Levitico (11,33).
Mateos interpreta simbolicamente il riferimento al numero e al materiale delle idrie. Anzi sottolinea
anche il riferimento alla loro grande capacità di contenuto, indirettamente legato all‟immobilità….
Le idrie presidiano così, come segno dell‟Alleanza Antica, le nozze/Alleanza.
“di pietra” fa riferimento alle tavole della Legge (es 31,18 ecc) Dunque il riferimento è alla Legge
mosaica; al cuore di pietra fa riferimento Ezechiele (36,26) che parla della sostituzione con un cuore
di carne. Il tutto rappresenta la necessità di purificazione derivante dall‟idea di impurità e di
indegnità. L‟uomo di conseguenza è legato a Dio dal timore più che dall‟amore. Il tutto
costituituiva un formidabile strumento di potere nelle mani del sacerdozio di Gerusalemme che
poteva tenere così assoggettati gli israeliti. Si osservi che il testo dice esplicitamente “dei Giudei”, i
dirigenti del regime. Ma non basta. Si dirà di riempire le idrie, segno che esse erano vuote
dell‟acqua che doveva servire per la purificazione, segno di un potere iniquo ed inefficace, vuoro. Il
numero sei, numero dell‟incompleto, si contrappone al sette, quello della completezza. Sei è il
numero delle feste giudaiche che verranno registrate da Gv. L‟attività di Gesù si svolge in sei
giorni: l‟opera creatrice non è ancora conclusa.
Alla legge antica manca il vino dell‟amore. Il primo segno che Gesù realizza, come nuovo sposo,
annuncia il cambio dalla vecchia alla nuova alleanza, offrendo un assaggio del suo vino.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 48
È una interpretazione simbolica molto interessante che tuttavia forza alcuni elementi…
Nei vv 7 e 8 si susseguono le azioni senza alcuna obiezione da parte di coloro che eseguono le
disposizioni di Gesù. Il riempire le idrie fino all‟orlo rappresenta la grandezza del gesto che Gesù
sta per compiere.
9 w`j de. evgeu,sato o` avrcitri,klinoj to. u[dwr oi=non gegenhme,non
kai. ouvk h;|dei po,qen evsti,n(
oi` de. dia,konoi h;|deisan oi` hvntlhko,tej to. u[dwr(
fwnei/ to.n numfi,on o` avrcitri,klinoj
Il miracolo in se stesso non viene descritto, si descrivono invece le conseguenze (come per la
moltiplicazione dei pani).
Si sottolinea il po,qen per il significato particolare che assume nel IV Vangelo.
Per la brevità del racconto del miracolo, stupisce ancor di più l‟ampio intervento dell‟architriclino,
che può essere considerato spiritoso (Schnackenburg). Non sembra riferirsi ad una “norma” quanto
piuttosto ad una considerazione di ordine pratico, forse un po‟ furbesca.
10 kai. le,gei auvtw/|( Pa/j a;nqrwpoj prw/ton to.n kalo.n oi=non ti,qhsin kai. o[tan mequsqw/sin to.n
evla,ssw\ su. teth,rhkaj to.n kalo.n oi=non e[wj a;rtiÅ
Osservazione spiritosa? (Schnackenburg) Il vino buono è quello offerto da Gesù, evidente
significato simbolico…
11 Tau,thn evpoi,hsen avrch.n tw/n shmei,wn o` VIhsou/j evn Kana. th/j Galilai,aj
kai. evfane,rwsen th.n do,xan auvtou/(
kai. evpi,steusan eivj auvto.n oi` maqhtai. auvtou/Å
Meta. tou/to kate,bh eivj Kafarnaou.m
auvto.j kai. h` mh,thr auvtou/ kai. oi` avdelfoi. Îauvtou/Ð kai. oi` maqhtai. auvtou/
kai. evkei/ e;meinan ouv polla.j h`me,rajÅ
Segue il commento dell‟evangelista:
innanzitutto con la sottolineatura del “principio dei segni” in Cana di Galilea,
poi con una osservazioni più approfondita: manifestò la sua gloria, coordinata con la conseguenza
della fede dei suoi discepoli (cosa vuol dire, che i discepoli prima non credevano in Gesù?…)
Segue un‟indicazione spazio-temporale nella quale si indica lo spostamento di Gesù a Cafarnao
insieme alla madre, ai fratelli e ai discepoli, dove, si aggiunge, si fermarono molti giorni.
Quello di Cana è dunque il segno della prima “manifestazione” della gloria di Gesù. Contestualizza
precisamente (anche se per noi è inverificabile) l‟accadimento; è importante per il carattere stesso
del vangelo di Gv che radica nella memoria dei fatti e non invece in una “conoscenza” superiore.
Nello stesso tempo viene indicato uno dei caratteri fondamentali del “segno” giovanneo: radica
nella fede quelli che lo seguono… come dire che di per sé non può determinare la fede, solo chi
guarda a Gesù con occhio interessato può percepire il significato profondo dei segni che opera e
giungere ad una fede più matura.
In questo primo segno manca un discorso esplicativo di Gesù, come avverrà invece in seguito, che
sveli il significato profondo del segno stesso. Tuttavia le sottolineature dell‟evangelista nel v.11
dicono in maniera “esemplare” ciò che caratterizza il segno, o i segni, operati da Gesù:
manifestazione della gloria, del Logos che si è fatto carne, che ha come fine la fede di coloro che
attraverso il segno credono in Gesù, Messia e Figlio di Dio (20,31). Si comprende così nel suo
pieno significato l‟esemplarità di questo segno che è “inizio” non solo in senso cronologico ma,
appunto, esemplare.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 49
Ma cosa vuol dire, esegeticamente l‟espressione kai. evfane,rwsen th.n do,xan auvtou
Bisogna ammettere, dalla dinamica stessa della narrazione, che si tratta innanzitutto della potenza
divina; in sé un concetto che ritroviamo nei sinottici e in Paolo mentre non lo si trova esplicitamente
in Gv: lo stesso segno è soprattutto rimando al significato piuttosto che manifestazione di potenza
contro forze ostili…. La connotazione di potenza è del resto presente nel concetto ebraico di Kābôd,
alla base del concetto giovanneo. Non sembra trattarsi, secondo Schnakenburg, del momentaneo
trasparire della gloria celeste, quasi mettendo da parte la sarx, o trasfigurandola. Anzi, è proprio
quella sarx che il Verbo ha assunto che manifesta quella gloria visibile agli occhi della fede. La
visione celeste del suo splendore è riservata al futuro, presso il Padre (17,24). È invece
manifestazione della doxa che aveva presso il Padre prima di venire nel mondo. Gloria luminosa,
dunque, insieme a potere divino, sono ambedue contenuti nel concetto giovanneo di doxa. La
manifestazione (phaneroo), è percepibile solo in una visione spirituale. La fede dei discepoli viene
così accresciuta dal segno di Cana: “essi cedettero in lui” pisteuein eis si incontra 36 volte nel IV
Vangelo.
L‟interpretazione fondamentale della pericope dipende esattamente da queste ultime annotazioni
giovannee, ed è dunque principalmente cristologica: la rivelazione è autorivelazione di Gesù. In tal
senso va interpretata anche la domanda che pone indirettamente l‟evangelista: da dove? Essi non
sapevano da dove venisse quel vino… è una domanda piena di significato nel vangelo giovanneo
perché pur conoscendo la provenienza terrena di Gesù, i suoi contemporanei non sanno, non
arrivano a vedere la sua provenienza celeste. Egli viene dal Padre.
L‟elemento particolare, il vino, non è senza significato: è offerto “all‟ultimo” ed è “abbondante”: è
il dono escatologico del Messia (Am 9,13; Os 2,24; Gl 4,18; Is 29,17; Ger 31,5) e nel tardo
giudaismo.
Si veda in particolare Gn 49,11s.:
`ÎAtWsÐ ¿htoWsÀ ~ybin"[]-~d;b.W Avbul. !yIY:B; sBeKi Antoa] ynIB. hq'reFol;w> ÎAry[iÐ ¿hroy[iÀ !p,Gl< ; yrIs.ao
Egli che lega alla vite il suo asinello e a scelta vite il figlio dell' asina sua; egli che lava nel vino la sua veste
e nel sangue dell' uva il suo manto
C‟è un riferimento al vino eucaristico? Un parallelo con Gv 6, il miracolo del pane? Dunque una
spiegazione sacramentale? Non è necessario restringere immediatamente il campo a questo tipo di
messaggio specifico, dice Schnackenburg.
Sia lo Schnackenburg che diversi altri autori fanno riferimento a letture simboliche, circa la
trasformazione dell‟acqua in vino, che, a partire dall‟antichità patristica, hanno spesso assunto la
trasformazione di Cana come segno del superamento del Nuovo con l‟Antico, nel senso appunto di
una trasformazione – sostituzione che influiva e confermava l‟idea della rottura di Gesù con le
istituzioni israelitiche, il suo culto e le sue leggi, in particolare i rituali di abluzione. Cfr. in
proposito anche il commentario moderno di Mateos. Ciò sarebbe peraltro in linea con il racconto
successivo della purificazione del Tempio. Faccio però notare l‟equilibrata spiegazione di San
Tommaso, la terza proposta che elenca il dottore angelico sul motivo per il quale Gesù avrebbe
preferito creare vino dall‟acqua anziché dal nulla: «Cristo non volle produrre il vino dal nulla ma
dall‟acqua, per mostrare che egli non insegnava una dottrina del tutto nuova, condannando l‟antica;
ma voleva perfezionare l‟antica; come si legge in Mt 5,17: “Non sono venuto per abolire la Legge,
ma per portarla a compimento». Cosicché quanto l‟antica Legge prefigurava e prometteva, Cristo lo
rese presente e lo espose con chiarezza. Di qui le parole evangeliche (Lc 24,45): “Allora aprì loro la
mente all‟intelligenza delle Scritture”». Ancor prima, V sec., scrive Eusebio il Gallicano nel
Sermone 5°, De Epiphania (II): «In Galilea, per opera di Cristo, l‟acqua diventa vino; scompare la
Legge, succede la grazia; fugge l‟ombra, subentra la realtà; le cose materiali sono messe a confronto
con quelle spirituali; la vecchia osservanza cede il posto al Nuovo Testamento... Come l‟acqua
contenuta nelle giare non perde nulla di quello che era e comincia ad essere quello che non era, così
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 50
la Legge non è stata sminuita dalla venuta di Cristo, ma avvantaggiata, perché da essa ha ricevuto il
suo completamento... Mancando il vino, viene sostituito un altro vino; il vino dell‟Antico
Testamento è buono; ma quello del Nuovo è migliore» (PLS 3,561s.).
Come si vede qui siamo nella linea non della sostituzione ma della continuità e dell‟adempimento
delle promesse…
Questa linea è preferibile poiché in realtà Gesù non si dimostra ostile ai riti purificatori giudaici di
cui spesso parla senza disprezzo.
Come non si può accettare semplicemente in ambito esegetico l‟allegoresi spinta dei Padri, così
sembra eccessivo ricorrere al motivo della leggenda di Dioniso (scuola della storia delle religioni:
Bousset, Bultmann) in cui si racconta di trasformazioni simili in feste dedicate alla divinità.
Una diversa ipotesi interpretativa mi pare però più convincente:
suscita qualche perplessità la risposta di Gesù ala madre “donna”. Il tono, al di là di quanto si cerca
di insinuare per attenuarne la durezza, sembra proprio voler sottolineare la dura contestazione di
Gesù circa la sua chiamata in causa, nel matrimonio giudaico che si sta celebrando, da parte della
madre che risulta invadente nel senso letterario del termine: che c‟è fra me e te? Del resto non è un
fatto nuovo nei vangeli: anche la ricerca di Gesù nel tempio da parte dei genitori di Gesù presenta
qualcosa di analogo: non sapete che sono venuto per fare la volontà del Padre mio?...
Insomma Gesù precisa anche a Cana che ciò che è venuto a fare riguarda il suo rapporto con
DioPadre e non con la volontà della madre e con la sua preghiera di intervenire. È esattamente il
contrario cioè di quanto si dice nella esegesi piuttosto mariologica del brano.
Di fatto però, per la tradizionale interpretazione dell‟acqua trasformata in vino alla fine,
l‟affermazione di Gesù, soprattutto la sua precisazione “non è ancora giunta la mia ora” sembrano
in contraddizione. Questo sarebbe da spiegare, stando all‟interpretazione tradizionale, proprio per
l‟intervento in qualche modo anticipatore di Maria. In tal senso anche l‟esegesi del termine “donna”
qui impiegato viene attirato in na interpretazione teologica per così dire positiva: donna nel senso
genesiaco, come Eva, anzi, nuova Eva, madre dei credenti. Non che questo non funzioni, in
generale. Ma rimane l‟aspetto piuttosto curioso dell‟affermazione di Gesù circa la sua ora non
ancora venuta. Gesù dunque fa un‟eccezione? Anticipa qualcosa perché spinto dalla madre? Proprio
per evitare la contraddizione è stato proposto da diversi esegeti di intendere in senso interrogativo la
risposta di Gesù: “non è forse giunta la mia ora?” a cui più ragionevolmente seguirebbe l‟azione
della trasformazione dell‟acqua in vino.
Mi pare però che tutto fila meglio, senza sforzi interpretativi particolari, se si intende che il
miracolo compiuto da Gesù non consiste nell‟aver trasformato le sei giare d‟acqua in vino, ma di
aver semplicemente fatto assaggiare all‟architriclinio un vino eccezionalmente buono che provoca
l‟elogio dell‟ignaro maestro di tavola. Infatti ciò che è stato trasformato in vino è l‟acqua “attinta” e
portata al maestro. L‟indicazione del resto viene dal testo stesso: Dopo aver dato l‟ordine di
riempire le giare, ordine eseguito dai servi, Gesù ordina di “attingere” avntlh,sate e portarne al
maestro di tavola. Nella spiegazione che segue, circa il fatto che il maestro non sapeva di dove
venisse quel vino, si aggiunge che lo sapevano i servi che avevano attinto l‟acqua oi` hvntlhko,tej to.
u[dwr. Ciò che essi hanno attinto per portare al maestro è acqua, non vino. Alcune varianti testuali
aggiungono a questo punto di nuovo la specificazione “diventata vino, segno di un chiarimento che
il testo sembrava richiedere per far capire che essi attingono non acqua bensì acqua già trasformata
in vino. Ciò permette meglio di comprendere la negazione di Gesù e la sua affermazione sul fatto
che non è venuta la sua ora, non può dare adesso il vino che manca. L‟ora di Gesù, verrà detto in
diversi momenti, verrà più avanti, è quella della passione. L‟assaggio è veramente tale, riguarda
solo l‟acqua che i servi hanno portato all‟architriclino. La lode fatta sul vino servito alla fine allude
così con chiarezza a ciò che Gesù compirà, appunto, alla fine. Dal punto di vista del piano della
narrazione, la parola del maestro di tavola, trattata dagli esegeti con qualche imbarazzo, parlano
infatti di una sorta di norma che tuttavia non è chiaramente parte dell‟uso abituale, non costituisce
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 51
una vera regola di comportamento, in realtà ha il solo scopo di accennare metaforicamente a quanto
si compirà solo alla fine: Gesù offrirà il vino buono, quello dell‟alleanza eterna, quello in cui ci sarà
l‟abbondanza escatologica del cibo e del vino secondo la promessa profetica (cf. sopra). Così pure
l‟accenno al terzo giorno che viene fatto all‟inizio, correttamente compreso di solito come allusione
ai tre giorni della passione, diventa più chiaro ed esplicito: rinvia anch‟esso ad un tempo
allusivamente, e solo allusivamente richiamato dall‟evento che sta per compiersi. A Cana Gesù non
dà da bere il vino buono, egli ne permette l‟assaggio al maestro di tavola e solo a lui, confermando
la sua intenzione a non intervenire per il momento perché non è ancora giunta la sua ora. L‟aspetto
miracoloso non cambia un gran che. Cambiare un bicchiere o sei anfore di acqua in vino è la stessa
cosa, ma cambia il senso: Gesù sta dando un assaggio, l‟assaggio del maestro di tavola conferma da
una parte la risposta negativa altrimenti non chiaramente comprensibile, dall‟altra rinvia a qualcosa
che certamente verrà compiuto e che diventa profezia nelle parole dell‟ignaro Maestro, cioè il fatto
che il vino buono verrà distribuito alla fine.
Gesù, sollecitato dalla madre, risponde che non interverrà, poiché non è giunta la sua ora, non può
dare il vino che è venuto a portare, quello dell‟attesa escatologica. Lo darà a suo tempo. Ne farà
gustare il valore di qualità superiore solo al maestro di tavola che nella lode conferma in realtà che
esso viene conservato per la fine. Inconsapevolmente, come accadrà del resto con Caifa, sta dicendo
qualcosa che si dimostrerà vero con la passione morte risurrezione.
Incontro con la samaritana
4,1-42
N= narratore; G= Gesù; S= Samaritana; D= Discepoli; S= Samaritani
N ~Wj ou=n e;gnw o` VIhsou/j o[ti h;kousan oi` Farisai/oi
o[ti VIhsou/j plei,onaj maqhta.j poiei/ kai. bapti,zei h' VIwa,nnhj
& kai,toige VIhsou/j auvto.j ouvk evba,ptizen avllV oi` maqhtai. auvtou/ &
avfh/ken th.n VIoudai,an kai. avph/lqen pa,lin eivj th.n Galilai,anÅ
e;dei de. auvto.n die,rcesqai dia. th/j Samarei,ajÅ
e;rcetai ou=n eivj po,lin th/j Samarei,aj legome,nhn Suca.r
plhsi,on tou/ cwri,ou o] e;dwken VIakw.b Îtw/Ð| VIwsh.f tw/| ui`w|/ auvtou/\ h=n de. evkei/ phgh. tou/ VIakw,bÅ
o` ou=n VIhsou/j kekopiakw.j evk th/j o`doipori,aj evkaqe,zeto ou[twj evpi. th/| phgh/|\ w[ra h=n w`j e[kthÅ
G
N
S
N
:Ercetai gunh. evk th/j Samarei,aj avntlh/sai u[dwrÅ
le,gei auvth/| o` VIhsou/j(
Do,j moi pei/n\
oi` ga.r maqhtai. auvtou/ avpelhlu,qeisan eivj th.n po,lin i[na trofa.j avgora,swsinÅ
le,gei ou=n auvtw/| h` gunh. h` Samari/tij(
Pw/j su. VIoudai/oj w'n parV evmou/ pei/n aivtei/j gunaiko.j Samari,tidoj ou;shjÈ
ouv ga.r sugcrw/ntai VIoudai/oi Samari,taijÅ
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 52
G avpekri,qh VIhsou/j kai. ei=pen auvth/|(
Eiv h;|deij th.n dwrea.n tou/ qeou/ kai. ti,j evstin o` le,gwn soi( Do,j moi pei/n( su. a'n h;|thsaj auvto.n
kai. e;dwken a;n soi u[dwr zw/nÅ
S le,gei auvtw/| Îh` gunh,Ð(
Ku,rie( ou;te a;ntlhma e;ceij kai. to. fre,ar evsti.n baqu,\ po,qen ou=n e;ceij to. u[dwr to. zw/né
mh. su. mei,zwn ei= tou/ patro.j h`mw/n VIakw,b( o]j e;dwken h`mi/n to. fre,ar kai. auvto.j evx auvtou/ e;pien
kai. oi` ui`oi. auvtou/ kai. ta. qre,mmata auvtou/È
G avpekri,qh VIhsou/j kai. ei=pen auvth/|(
Pa/j o` pi,nwn evk tou/ u[datoj tou,tou diyh,sei pa,lin\
o]j dV a'n pi,h| evk tou/ u[datoj ou- evgw. dw,sw auvtw/(| ouv mh. diyh,sei eivj to.n aivwn/ a( avlla. to. u[dwr
o] dw,sw auvtw/| genh,setai evn auvtw/| phgh. u[datoj a`llome,nou eivj zwh.n aivwn, ionÅ
S le,gei pro.j auvto.n h` gunh,(
Ku,rie( do,j moi tou/to to. u[dwr( i[na mh. diyw/ mhde. die,rcwmai evnqa,de avntlei/nÅ
G Le,gei auvth/|(
{Upage fw,nhson to.n a;ndra sou kai. evlqe. evnqa,deÅ
S avpekri,qh h` gunh. kai. ei=pen auvtw/(|
Ouvk e;cw a;ndraÅ
G le,gei auvth/| o` VIhsou/j(
Kalw/j ei=paj o[ti :Andra ouvk e;cw\
pe,nte ga.r a;ndraj e;scej kai. nu/n o]n e;ceij ouvk e;stin sou avnh,r\ tou/to avlhqe.j ei;rhkajÅ
S le,gei auvtw/| h` gunh,( Ku,rie(
qewrw/ o[ti profh,thj ei= su,Å
oi` pate,rej h`mw/n evn tw/| o;rei tou,tw| proseku,nhsan\ kai. u`mei/j le,gete o[ti evn ~Ierosolu,moij
evsti.n o` to,poj o[pou proskunei/n dei/Å
G le,gei auvth/| o` VIhsou/j(
Pi,steue, moi( gu,nai( o[ti e;rcetai w[ra o[te ou;te evn tw/| o;rei tou,tw| ou;te evn ~Ierosolu,moij
proskunh,sete tw/| patri,Å
u`mei/j proskunei/te o] ouvk oi;date\
h`mei/j proskunou/men o] oi;damen( o[ti h` swthri,a evk tw/n VIoudai,wn evsti,nÅ
avlla. e;rcetai w[ra kai. nu/n evstin( o[te oi` avlhqinoi. proskunhtai. proskunh,sousin tw/| patri. evn
pneu,mati kai. avlhqei,a|\ kai. ga.r o` path.r toiou,touj zhtei/ tou.j proskunou/ntaj auvto,nÅ
pneu/ma o` qeo,j( kai. tou.j proskunou/ntaj auvto.n evn pneu,mati kai. avlhqei,a| dei/ proskunei/nÅ
S le,gei auvtw/| h` gunh,(
Oi=da o[ti Messi,aj e;rcetai o` lego,menoj Cristo,j\ o[tan e;lqh| evkei/noj( avnaggelei/ h`mi/n a[pantaÅ
G le,gei auvth/| o` VIhsou/j(
VEgw, eivmi( o` lalw/n soiÅ
N Kai. evpi. tou,tw| h=lqan oi` maqhtai. auvtou/ kai. evqau,mazon o[ti meta. gunaiko.j evla,lei\
ouvdei.j me,ntoi ei=pen( Ti, zhtei/j h; Ti, lalei/j metV auvth/jÈ
avfh/ken ou=n th.n u`dri,an auvth/j h` gunh. kai. avph/lqen eivj th.n po,lin
S kai. le,gei toi/j avnqrw,poij(
Deu/te i;dete a;nqrwpon o]j ei=pe,n moi pa,nta o[sa evpoi,hsa( mh,ti ou-to,j evstin o` Cristo,jÈ
N evxh/lqon evk th/j po,lewj kai. h;rconto pro.j auvto,nÅ
VEn tw/| metaxu. hvrw,twn auvto.n oi` maqhtai. le,gontej(
D ~Rabbi,( fa,geÅ
G o` de. ei=pen auvtoi/j(
VEgw. brw/sin e;cw fagei/n h]n u`mei/j ouvk oi;dateÅ
D e;legon ou=n oi` maqhtai. pro.j avllh,louj( Mh, tij h;negken auvtw/| fagei/né
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 53
G le,gei auvtoi/j o` VIhsou/j(
VEmo.n brw/ma, evstin i[na poih,sw to. qe,lhma tou/ pe,myanto,j me kai. teleiw,sw auvtou/ to. e;rgonÅ
ouvc u`mei/j le,gete o[ti :Eti tetra,mhno,j evstin kai. o` qerismo.j e;rcetaiÈ
ivdou. le,gw u`mi/n(
evpa,rate tou.j ovfqalmou.j u`mw/n kai. qea,sasqe ta.j cw,raj o[ti leukai, eivsin pro.j qerismo,nÅ h;dh
o` qeri,zwn misqo.n lamba,nei kai. suna,gei karpo.n eivj zwh.n aivwn, ion( i[na o` spei,rwn o`mou/
cai,rh| kai. o` qeri,zwnÅ
evn ga.r tou,tw| o` lo,goj evsti.n avlhqino.j o[ti :Alloj evsti.n o` spei,rwn kai. a;lloj o` qeri,zwnÅ
evgw. avpe,steila u`ma/j qeri,zein o] ouvc u`mei/j kekopia,kate\
a;lloi kekopia,kasin kai. u`mei/j eivj to.n ko,pon auvtw/n eivselhlu,qateÅ
N VEk de. th/j po,lewj evkei,nhj polloi. evpi,steusan eivj auvto.n tw/n Samaritw/n dia. to.n lo,gon th/j
gunaiko.j marturou,shj o[ti Ei=pe,n moi pa,nta a] evpoi,hsaÅ
w`j ou=n h=lqon pro.j auvto.n oi` Samari/tai(
hvrw,twn auvto.n mei/nai parV auvtoi/j\ kai. e;meinen evkei/ du,o h`me,rajÅ
kai. pollw/| plei,ouj evpi,steusan dia. to.n lo,gon auvtou/(
S th/| te gunaiki. e;legon o[ti
Ouvke,ti dia. th.n sh.n lalia.n pisteu,omen\ auvtoi.
ga.r avkhko,amen kai. oi;damen o[ti ou-to,j evstin avlhqw/j o` swth.r tou/ ko,smouÅ
Meta. de. ta.j du,o h`me,raj evxh/lqen evkei/qen eivj th.n Galilai,an\
Ancora a proposito della prima sezione del Vangelo di Giovanni, da noi intitolata da Cana a Cana,
si inquadra il racconto dell‟incontro di Gesù con la donna samaritana (4,1-42).
L‟evangelista inserisce questo passo in un contesto più vasto cioè quello dei capp. 2-41 del “Libro
dei segni”. La sezione si apre con il racconto del primo segno a Cana di Galilea a cui fa seguito quel
particolare “segno” di rivelazione messianica che abbiamo brevemente considerato in elazione alle
narrazioni sinottiche, il “segno” del Tempio a Gerusalemme (2,13-22). Nei dialoghi successivi i tre
personaggi che si intrattengono con Gesù rappresentano tre tipi di accesso alla fede: Nicodemo (3,121); la donna che Gesù incontra al pozzo di Giacobbe (4,1-42); il funzionario regio di Cana di
Galilea (4,43-54). Tutti e tre, si direbbe, hanno valore rappresentativo della fede: sono protagonisti
individuali dell‟incontro con Gesù, ciascuno però collocato in rapporto ai loro tre rispettivi gruppi
di appartenenza.
Infatti Nicodemo, giudeo di Gerusalemme e “maestro di Israele” (3,10) rappresenta il tipo dei
giudei “ortodossi” favorevoli a Gesù, che credono sulla base dei soli segni (2,23-3,2), in alternativa
ai giudei che invece ne contestano l‟autorità mostrata nel segno del tempio (2,13-22); nella persona
della donna di Sicar (4,5), la cui testimonianza dà luogo alla fede dei Samaritani del suo villaggio,
egli vede avvicinarsi, per così dire, a Gesù il giudaismo scismatico; il funzionario di Cana,
probabilmente un pagano, alla cui fede si associa quella di tutta la sua casa (4,43-54) rappresenta
per l‟evangelista il mondo non giudaico.
Queste tre tipologie della fede sono disposte in una sorta di crescendo, che evidenzia sempre
più accentuatamente la fondazione della fede autentica sulla parola di Gesù, e che fa emergere la
dialettica tra il singolo e il gruppo, molto più vivace e rilevante nella pericope sui Samaritani.
L‟incontro di Gesù con la Samaritana e i Samaritani è anch‟esso composto con la massima cura.
Il narratore inquadra il racconto attraverso una introduzione (1-7a) e una conclusione (39-42) che è
bene considerare specificamente.
La maggioranza degli studiosi sostiene che la pericope Gv 4,1-42 è ben strutturata e si rivela di alto
livello letterario25. Dice R.Fabris: «questa pagina giovannea nella sua forma attuale si presenta
1
Non tutti gli esegeti sono d‟accordo nel considerare 2,1-4,54 come un‟unità letteraria, ci riferiamo a R.E.Brown e agli
studi di I.de LA POTTERIE, Gesù e i Samaritani in Studi di cristologia giovannea, ed. Marietti, Genova 1992, p. 69;
C.H.DODD, op. cit., p. 390; R.VIGNOLO, Personaggi del Quarto Vangelo, ed. Glossa, Milano 1994, pp. 100-101.
25
S.A.PANIMOLLE, Lettura pastorale del Vangelo di Giovanni, v.i, ed.Dehoniane, Bologna 1999, p. 370.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 54
come un‟unità letteraria, incentrata sull‟incontro-dialogo di Gesù in Samaria con una donna di
quella regione, vicino alla fonte o pozzo di Giacobbe. Infatti il successivo breve dialogo-istruzione
di Gesù con i discepoli prepara il suo incontro-accoglienza di fede da parte dei Samaritani. Quindi
la scena è dominata sempre dalla figura di Gesù attorno alla quale si muovono gli altri personaggi
individuali - la donna Samaritana e collettivi, i discepoli e i Samaritani»26.
INTRODUZIONE
L‟introduzione si articola in tre parti:
1. vv. 1-4 in cui viene inquadrato l‟attraversamento necessario della Samaria per spostarsi dalla
Giudea verso la Galilea, dopo aver accennato alla notizia circa il battesimo (suo e di
Giovanni). Questa prima parte dell‟introduzione inquadra insomma l‟episodio della
samaritana negli spostamenti di Gesù che dalla Giudea lo riporteranno in Galilea (da Cana a
Cana).
2. Con i vv. 5-6 si specifica che il luogo samaritano in cui Gesù sosterà è la città di Sicar, con il
riferimento ai fatti patriarcali relativi a Giacobbe e Giuseppe e al pozzo di Giacobbe. Viene
altresì puntualizzata l‟ora della sosta di Gesù. Il richiamo alla tradizione patriarcale è un
elemento da non trascurare nella narrazione.
3. con il v.7a è introdotta, infine, l‟interlocutrice di Gesù definita come “una donna di
Samaria” per attingere acqua.
L‟introduzione ha quindi preparato la scena del dialogo. Da questo momento, infatti, ai verbi di
movimento che hanno dominato nell‟introduzione, seguono i varba dicendi che introducono gli
interventi alternati tra Gesù e la donna Samaritana.
PRIMA SCENA
Il dialogo tra Gesù e la donna samaritana (vv. 7b – 26):
È il dialogo più lungo di tutto il vangelo di Giovanni e da sempre ha fatto pensare ad un
particolare interesse dell‟evangelista per la missione in questa regione27
È Gesù che si rivolge alla donna samaritana ed apre il dialogo, come pure è con l‟affermazione
finale di Gesù VEgw, eivmi( o` lalw/n soi che termina il dialogo. Unica eccezione sono due
piccoli interventi del narratore: nel v. 8 spiega che i discepoli erano andati a comprare da
mangiare e in 9b spiega il senso dello stupore della samaritana per il fatto che un giudeo rivolga
la parola ad una samaritana.
Gesù si rivela come datore dell‟acqua viva (7-15).
Gesù si rivela come profeta (la figura del marito) (16-19).
Gesù si rivela come Messia (il vero culto a Dio Padre)(20-26).
SECONDA SCENA
Entra di nuovo in campo la voce del narratore che introduce in scena i discepoli di ritorno dalla
città (27) e lo spostamento della donna in città dove entrano in scena gli abitanti di Sicar (28). In
pratica alla coppia Gesù samaritana seguono le due coppie Gesù-discepoli; samaritanasamaritani.
Con il v. 31, e fino al 38 si riprende il dialogo tra Gesù e i discepoli
- Il cibo di Gesù (31-34);
- la mietitura messianica (35-38), con un lungo intervento di Gesù circa il tempo della mietitura
in cui non si trova esplicito riferimento al precedente dialogo con la samaritana.
CONCLUSIONE
26
27
R.FABRIS, Giovanni, traduzione e commento, ed. Borla, Roma 1992, p. 286.
Cfr.SCHNACKENBURG, op. cit., p. 656.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 55
Nei vv. 39-42 si registra l‟incontro tra Gesù e i samaritani e la presa di distanza degli abitanti
dalla donna samaritana (42) fino alla confessione di fede dei samaritani in Gesù come “il
salvatore del mondo”
Osservazioni sul testo:
1. inclusioni tematiche
Se tu sapessi...CHI E‟ che ti dice (parla)...! (Gv 4,10)
Noi sappiamo che QUESTI E‟ veramente il Salvatore del mondo (Gv,4,42)
Alla Samaritana incredula Gesù prospetta il mistero meraviglioso della sua persona (v.10) e alla
fine della scena drammatica i Samaritani scoprono la vera identità di Gesù: egli è il Salvatore
dell‟umanità (v. 42).
Questa inclusione indica il tema fondamentale di tutta la narrazione drammatica di Gv 4, 7-42, essa
infatti vuole svelarci il mistero della persona di Gesù, che nella prima sezione ci è presentato come
il rivelatore (vv. 10ss) e nel brano finale appare come il Salvatore del mondo, ossia di tutti gli
uomini e non solo dei Giudei (vv. 39ss).
- Tra i vv. 7 e 15 notiamo un‟altra inclusione, in forma parzialmente chiastica, fra le espressioni:
viene una donna... a d a t t i n g e r e ACQUA (v.7),
dammi QUEST‟ACQUA, affinché non venga qui a d a t t i n g e r e (v.15)
Anche la presente inclusione indica il tema centrale di questa prima sezione del dialogo con la
Samaritana, che tratta precisamente l‟argomento dell‟acqua viva, donata da Gesù, in
contrapposizione all‟acqua del pozzo di Giacobbe.
- Tra il brano iniziale del colloquio con la samaritana (v.10) e la sentenza finale di questa pericope
(v.26).
Le rispose Gesù dicendo: “CHI E‟ che ti dice: Dammi da bere” (v.10)
Le dice Gesù: “IO SONO, colui che ti parlo!” (v.26)
Il mistero della persona di Gesù, che è il dono di Dio per eccellenza, in quanto rivela e comunica la
vita divina (Gv 4,10), è finalmente chiarito in Giovanni 4,26: Gesù è il Messia escatologico, atteso
anche dai samaritani, che rivela tutte le cose.
- Tra i vv. 29 e 42 scorgiamo un‟altra corrispondenza tra l‟intuizione della Samaritana la quale
pensa che Gesù possa essere il Messia e la professione di fede dei concittadini di questa donna i
quali affermano che Gesù è veramente il Salvatore del mondo. Si confrontino infatti le frasi:
SIA EGLI forse il CRISTO? (ou-to,j evstin o` Cristo,jÈ) (v.29),
QUESTI E‟... il SALVATORE (ou-to,j evstin avlhqw/j o` swth.r tou/ ko,smouÅ) (v.42).
Quindi le due ultime sezione di Gv 4,1-42, ossia i vv. 27-42, sono racchiusi da questa inclusione tra
il passo iniziale e l‟ultima frase di questa estesa pericope.
- Nel brano finale di Gv 4,27-42 rileviamo altre due inclusioni tra vv. 27.38 e 39.42. Il brano
formato dai vv.27-38 sembra racchiuso dalle due notizie riguardanti i discepoli: essi giungono da
Gesù, dopo aver fatto gli acquisti in città (v.27) e Gesù parla di essi alla fine del brano, ricordando
loro che sono entrati nel lavoro di altre persone (v.38).
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 56
- Più manifesta è l‟inclusione tematica della pericope finale (Gv 4,39-42), formata dal verbo
“credere”. Essa, infatti, si apre con l‟osservazione che molti Samaritani “credettero” in Gesù (v.39)
e si chiude riportando la professione di fede in Gesù Salvatore del mondo espressa da questi primi
discepoli non Giudei:
«Non crediamo più a motivo della tua parola, noi stessi infatti abbiamo ascoltato e sappiamo che
questi è veramente il Salvatore del mondo» (vv.41s). In realtà il tema trattato in Gv 4, 39-42 è la
fede dei samaritani: la loro fede iniziale fondata sulla parola della loro concittadina è superata e
approfondita, fino all‟adesione esistenziale a Gesù, Salvatore del mondo.
2. PARALLELISMI
Un parallelismo sinonimico tra i vv. 9 e 20ss si trova nella contrapposizione tra i giudei e i
samaritani.
Tra i vv. 22 e 42 si rivela il seguente parallelismo sinonimico, parzialmente antitetico, perché nel
primo passo la salvezza è posta in rapporto con i Giudei e nel secondo Gesù è proclamato Salvatore
di tutta l‟umanità. Si osservino in sinossi le due frasi:
la salvezza è d a i g i u d e i (v.22),
questi è veramente il Salvatore d e l m o n d o (v.42).
Altro parallelismo sinonimico lo rileviamo tra i vv. 25 e 29 ed è formato dalle locuzioni:
So che v i e n e il Messia, chiamato Cristo (v.25).
Che s i a e g l i f o r s e il Cristo ? (v. 29).
3. PAROLE TEMATICHE
- Nella prima parte del dialogo tra Gesù e la Samaritana, il verbo dare ricorre ben sette volte
e in Gv 4 s‟incontra solo nei vv. 5-15.
- A questo termine si aggiunga il sostantivo dono (
), che nel quarto vangelo ricorre
solo in Gv 4,10.
- In modo analogo il vocabolo bere in Gv 4 si trova solo nei vv.7-16 e per sei volte.
- Parimenti il sostantivo acqua s‟incontra solo nei vv. 7-15 e per ben otto volte.
- Anche il verbo aver sete in Gv 4 ricorre tre volte e solo nei vv. 13-15.
Dunque le parole tematiche di questa sezione sono rappresentate dall‟acqua, il bere, l‟aver
sete, il donare. Questa constatazione indica l‟argomento principale di Gv 4,7-15: è il dono
dell‟acqua, che bisogna bere per dissertarsi.
In Gv 4, 16-19 i termini più frequenti sono:
- il sostantivo marito che in Gv 4 ricorre solo in questo brano per cinque volte, e il verbo avere, che
in Gv 4,1-42 s‟incontra unicamente nei vv. 17-18 per quattro volte e poi solo nel v.11.
La pericope di Gv 4,20-26 ha altre parole tematiche molto caratteristiche ed esclusive di
questo brano. Il verbo adorare nei primi otto capitoli del quarto vangelo s‟incontra solo in Gv 4,2024 e per ben nove volte. In modo analogo la tematica del luogo di culto nel quarto vangelo è trattata
solo in questo brano finale del dialogo con la samaritana: questa donna ritiene che sia sul monte
Garizim, i giudei nel tempio di Gerusalemme e Gesù promulga il nuovo luogo del culto
escatologico: lo Spirito e la Verità.
Nel passo iniziale di Gv 4, 27-38 sono esplicitamente nominati per tre volte i discepoli (vv.
27.31.33). Il gruppo di vocaboli mangiare -cibo è uno dei più importanti nei vv. 31-34: il verbo
mangiare ricorre tre volte (vv.31,32.33) e il sostantivo cibo s‟incontra due volte (vv. 32.34).
Nel brano finale di questa pericope (vv.35-38) le parole tematiche sono costituite dai termini
mietitura-mietere, che ricorrono sei volte in questi versetti e poi non s‟incontrano mai più nel quarto
vangelo, dal verbo seminare che si trova due volte in questo brano (vv.36s), e dal gruppo di voci
faticare-fatica, che compare tre volte nel v.38. Si osservi infine che anche i vocaboli fatica e
seminare nel quarto vangelo ricorrono solo in questa pericope della permanenza di Gesù in
Samaria.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 57
Gv 4,39-42 ha come parola tematica il verbo credere che ricorre tre volte (vv.39.41-42),
mentre nei restanti brani del racconto sul soggiorno di Gesù in terra samaritana s‟incontra solo al
v.21 nell‟espressione «credimi, donna»
E‟ difficile dunque, contestare l‟unità globale di questa pagina evangelica sia sotto il profilo
narrativo drammatico, sia sotto quello tematico. E‟ innegabile la progressiva rivelazione-scoperta
dell‟identità di Gesù. Si passa dal “giudeo” che chiede da bere ad una donna samaritana, Gv 4,9, ma
che con la sua promessa dell‟acqua viva pretende di essere “più grande di Giacobbe”, padre dei
Samaritani, Gv 4,12, al riconoscimento del “profeta”, Gv 4, 19, che forse può essere il “messiaCristo”, Gv,4,29, e che alla fine viene proclamato “il Salvatore del mondo”, Gv 4, 4228.
Tuttavia per avere un‟idea complessiva sul tipo di struttura di tutta la pericope che descrive
il soggiorno di Gesù in Samaria, bisogna riconoscere che l‟evangelista qui compone con grande
varietà, nonostante il carattere unitario di Gv 4,1-4229.
Principali osservazioni esegetiche
6 h=n de. evkei/ phgh. tou/ VIakw,bÅ o` ou=n VIhsou/j
Il pozzo di Giacobbe è citato come “sorgente” negli scritti rabbinici (non nell‟AT). Metri 2,30 di
diametro, mt 32 di profondità! I recipienti toccano l‟acqua a notevole profondità.
La Samaritana si reca a quell‟ora calda perché riconosciuta come pubblica peccatrice?
9 le,gei ou=n auvtw/| h` gunh. h` Samari/tij( Pw/j su. VIoudai/oj w'n parV evmou/ pei/n aivtei/j gunaiko.j
Samari,tidoj ou;shjÈ ouv ga.r sugcrw/ntai VIoudai/oi Samari,taijÅ
La spiegazione di Gv rispecchia la storia delle relazioni tra samaritani e giudei…. Cfr. 2 Re
17,24-41.
L‟annotazione giovannea in alcuni manoscritti è omessa. Glossa?
10 avpekri,qh VIhsou/j kai. ei=pen auvth/|( Eiv h;|deij th.n dwrea.n tou/ qeou/ kai. ti,j evstin o` le,gwn soi(
Do,j moi pei/n( su. a'n h;|thsaj auvto.n kai. e;dwken a;n soi u[dwr zw/nÅ
Si innalza il livello del dialogo. Dall‟incontro esteriore all‟incontro interiore (ricordarsi anche dello
sviluppo del tema dell‟umanità di Gesù nelle lettere giuovannee, oltre che nel prologo). Costruzione
chiastica.
dwrea.n ciò che Dio dona per la salvezza dell‟uomo. Per il rabbinismo la torah. Per la com
primitiva lo Spirito Santo. Per Paolo la giustizia di Dio (Rom 5,17) o la salvezza, la grazia.
Importante il simbolismo dell‟acqua (soprattuttto nel contesto del VOA): capacità purificatrice,
dissetante, donatrice di vita, produttrice di frutti, risanatrice… così anche in molti culti in Egitto
e Mesopotamia. Vasto movimento battesimale. Collegamento con il linguaggio figurato
dell‟AT: Dio è fonte di acqua viva (Ger 2,13; 17,13)… dà refrigerio (Sl 36,9)… L‟mmagine
passa poi da Dio alla sapienza (Bar 3,12; Ecclus 15,3; Sap 7,25…) e nel rabbinismo alla Torah,
in Filone al Logos= fonte della sapienza.
28
29
FABRIS, op. cit., p. 291.
PANIMOLLE, op. cit., p. 380.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 58
Molto vicino a Gv il riferimento all‟acqua donata dall‟Altissimo nel testo dello scritto gnostico
Odi di Salomone 6,11ss…. La gnosi placa ogni sete.
Altre immagini accanto a quella dell‟acqua viva: pane, vite, porta, via…
v.11 Segue il fraintendimento, l‟equivoco della samaritana, come precedentemente abbiamo
visto il fraintendimento di Nicodemo (3,4). Chiama Gesù “Signore” e si chiede “da dove?”
po,qen ou=n e;ceij to. u[dwr to. zw/né come già in 2,9 e in 3,8, cosa che verrà poi spiegata più
avanti (7,27; 8,14…) Da dove viene il Rivelatore e i suoi doni? Bisogna arrivare a riconoscere
l‟origine celeste di Gesù (19,9). Il lettore conosce la provenienza.
13-14 Gesù spiega di che acqua si tratta collegandosi a Is 55,1-3, al linguaggio figurato dei
profeti (anche della letteratura sapienziale). Per gli scritti gnostici, già si è detto delle Odi di
Salomone, la sete è placata dalla conoscenza.
L‟acqua zampillante ricorda quanto Filone dice del Logos, paragonato al fiume del Paradiso, e
quanto dice il Midrash circa la Torah divina.
L‟acqua diventa sorgente stabile e duratura. Rimane, come nei sinottici, un cenno escatologico,
anche se il dono è attuale!
Per molti esegeti antichi e moderni si tratta per Giovanni del dono dello Spirito Santo. Ma
anche la “vita divina”. Le due interpretazioni non si escludono necessariamente.
Di fronte all‟insistenza nel fraintendimento (v.15) Gesù imprime una nuova svolta (16): egli
conosce la situazione della donna; è il sapere profondo del Rivelatore che rivelando Dio
all‟uomo, rivela l‟uomo a se stesso rendendolo capace di accogliere la rivelazione (i Padri
insistono maggiormente sul fatto morale: invito alla conversione).
Vv 17-18: secondo il giudaismo la donna poteva risposarsi due o tre volte… la donna figura
simbolica del popolo samaritano? Infedeltà coniugale=infedeltà religiosa: Schnackenburg la
considera errata.
v.19 innalzamento nell‟uso di titoli: profeta, anche per i sinottici uno dei modi per indicare
Gesù. Notare che per l‟attesa samaritana del Taheb (Messia) ha grande importanza Dt 18,15-18:
un profeta come Mosè…
In 4,20-24 si affronta la questione dell‟adorazione in Spirito e verità. Gli Israeliti, dopo
l‟ingresso nella terra dovevano costruire un tempio sul monte Ebal (Dt 27,4-8) ma per i
Samaritani si tratta del Garizim, nominato nel Pent. Samaritano al posto dell‟Ebal. Giovanni
Ircano fece distruggere il tempio del Garizim nel 128 a.C.
L‟ora in cui i due luoghi di culto perderanno entrambi di importanza è giunta con la persona di
Gesù.
v.27: importante chiarimento da parte di Gesù che illumina grandemente la relazione GesùGiudei per il quarto evangelo.
L‟autentica adorazione è in Spirito e Verità: non si tratta dell‟adorazione interiore (nello spirito
dell‟uomo) ma di realtà divina: Spirito Santo e Verità si identificano con Dio stesso: la realtà
divina portata da Gesù e con la quale i credenti in Gesù sono chiamati a identificarsi. È ciò che
avviene adesso, con Gesù e il dono dello Spirito, secondo Gv… ricevono il potere di diventare
figli di Dio. La vera adorazione nello Spirito è possibile solo nella comunione con Cristo. Lo en
pneumati giovanneo corrisponde allo en Christo paolino. In Gesù la vera adorazione di Dio è
possibile ed è rivolta al Padre.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 59
24 Dio è spirito bisogna perciò essere elevati ad un tipo nuovo di esistenza per la forza stessa di
Dio (lo Spirito) altrimenti si rimane legati alla carne. L‟uomo deve diventare uomo pneumatico.
25-26 la donna guarda al futuro messianico mentre Gesù gli parla del dono presente: “equivoco
giovanneo”. Gesù indica in se stesso l‟esaudimento della speranza della donna. Il Ta‟eb
samaritano (= colui che ritorna, visto anche come capo politico ma discendente da Levi e non da
Giuda-Davide, a motivo del suo collegamento a Mosè; essendo egli stesso sacerdote doveva, tra
l‟altro, ristabilire il culto) è il profeta della fine che verrà dopo Mosè: il testo di Dt 18,18 è
aggiunto nel Pent. Samaritano al decimo comandamento del decalogo.
Gesù comunica la sua identità messianica con l‟espressione ego-eimi, carica di significato per il
contesto biblico.
vv. 31-38: chiaro scopo missionario. Interesse per la missione dei discepoli e in particolare per la
missione in Samaria.
Osservare il nuovo equivoco che si crea nel v.33 circa il “mangiare”
vv.39-42: la fede dei samaritani
Si riprende il filo del racconto (v.30) e si conclude. Qui Giovanni sviluppa una teologia della
fede: la vera fede si ha solo quando si incontra personalmente Gesù e la sua parola
L‟invcontro con la donna, e l‟annuncio di questa, poteva essere solo lo spunto. Come con Gv Btt,
la donna può essere solo intermediaria.
SI superano le divisioni e le diffidenze (il giudeo Gesù è invitato dai sicariti: la vera fede porta a
superare le divisioni di popoli, razze…
Le parle di Gesù contengono esse stesse una forza divina e rendono partecipi del dono di Dio e
della sua salvezza.
La salvezza di Gesù è portata al mondo intero.
Qui è fede esemplare (testimoniata proprio dai Samaritani!) che non ha bisogno di “segni”.
v. 42 La lalia della donna impallidisce davanti al Logos di Gesù.
Salvatore del mondo: si giunge al massimo degli attributi rivolti a Gesù nel cap. 4.
Anche la speranza dei Samaritani è soddisfatta in maniera inaspettata e più ampia della loro
attesa (il Ta‟eb).
È un titolo non ricorrente nel giudaismo, si trova anche in 1Gv 4,14, con una certa importanza
nell‟ambiente ellenistico, qui però applicato in maniera esclusiva a Gesù. Titolo kerygmatico,
atterstato anche nel culto all‟imperatore: polemica giovannea a partire da quest‟uso
contemporaneo?
Gv 4,1-42 le immagini, i simboli e le interpretazioni: l‟interpretazione sponsale,
l‟interpretazione missionaria, il tema del culto e del discepolato. Ci fermeremo in particolare
sull‟interpretazione sponsale della pericope.
L’interpretazione sponsale30 nasce dall‟osservazione sulle costanti discpntinuità narrative del
racconto Gv 4, 1-42. Si osservano in particolare i passaggi bruschi nella conversazione: dal tema
30
In genere i sostenitori di questa interpretazione sono: MATEOS - BARRETO, op. cit., pp. 200-222; GRELOT, la Donna,
op. cit., p. 16; INFANTE, art. cit., pp. 44-50.58-59; con un po‟ di riserva SCHNACKENBURG, op. cit., pp. 643s.;
SCHNEIDERS, art. cit., pp. 244.246.249; SKA, Jèsus et la Samaritaine, cit., pp. 641-652; Id., Dal nuovo all‟Antico
Testamento, art. cit., pp. 15-19.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 60
dell‟acqua viva (4,7-15) alla domanda sul marito (4,16), poi al problema sul vero luogo di culto (4,
20); infine, Gesù parla di semine e di messi.
- È l‟AT che detiene la chiave di tale trama, precisamente il costante riferimento alle scene-tipo di
fidanzamento presso il pozzo ed alla vicenda nuziale del profeta Osea (2,4-25) che sicuramente
facevano parte della “memoria collettiva” dei lettori del vangelo giovanneo31. Il racconto di Gv 4,142 inizia con un viaggio. Gesù passa per la Samaria, un paese straniero… siede presso un pozzo.
Vengono alla memoria alcune scene veterotestamentarie:
1. la missione del servo d‟Abramo incaricato di andare a trovare una sposa per Isacco
(Gen 24);
2. l‟incontro di Giacobbe e di Rachele (Gentile 29,1-14);
3. la fuga di Mosè nel paese di Madian e il suo incontro con le sette figlie di Reuel
vicino a un pozzo (Es 2,15-22).
I tre racconti iniziano tutti descrivendo il viaggio d‟un uomo verso un paese straniero, e la sosta
presso un pozzo… una o più donne vengono al pozzo… conversazione: l‟uomo chiede l‟acqua
oppure dà l‟acqua o abbevera il gregge affidato alla ragazza o alle ragazze5; la donna torna a casa
correndo, racconta che ha incontrato un uomo al pozzo, l‟uomo è invitato dai genitori della ragazza,
che in genere, gli offrono da mangiare; la storia finisce con un matrimonio: Isacco e Rebecca,
Giacobbe e Rachele (e Lea), Mosè e Zippora. In realtà, la donna che viene al pozzo è la futura
sposa. Secondo diversi commentatori lo schema di questa “scena tipica” si trova pure in Gv 4,
almeno sostanzialmente. Nel racconto giovanneo la scena non termina con il matrimonio… a ciò
contribuisce non solo l‟ora particolare dell‟incontro, che indica un problema sottostante, ma anche
l‟esplicitazione di esso quando chiede di andare a chiamare il marito… Nei racconti dell‟AT chi dà
l‟acqua (4,10.14-15) è in effetti il futuro marito (cfr. Gen 29, 10; Es 2,17.19). La stessa idea si
ritrova in Os 2,4-25: al v. 7, il marito indignato cita una delle parole della propria sposa come prova
della sua infedeltà: “Essa ha detto: “Seguirò i miei amanti, che mi danno il mio pane, e la mia
acqua, la mia lana e il mio lino, il mio olio e le mie bevande”. Per il testo di Osea è chiaro che
l‟acqua non viene data dagli amanti, ma da JHWH, il Signore di Israele, e quindi la sposa infedele,
sbaglia nel credere che riceve questi doni dai suoi amanti. Di qui il dialogo passa al problema del
tempio: “Dove si deve adorare?” (4,20). Questa volta è indubbiamente Osea che fornisce al lettore
l‟anello mancante. Anzitutto perché la Samaritana con i mariti numerosi ha qualcosa in comune con
la sposa infedele del secondo capitolo di Osea, poi l‟oracolo di Os 2 mostra bene l‟equivalenza tra
“falsi mariti”, i baal, da una parte, e, dall‟altra, i “falsi dei”. Dunque la Samaritana, che sempre più
rappresenta il suo popolo, la Samaria9, vuole sapere dove può trovare il suo vero Dio, cioè il suo
vero marito. A questo punto si può dire tranquillamente che il tema di questi versetti, il culto “in
spirito e verità” (Gv 23.24), si ricollega facilmente al tema “coniugale” attraverso Os 2.
-
31
Con l‟arrivo dei discepoli (4,27), il colloquio cambia ancora una volta: si parla di cibo (4,3134), poi di semine e di messi (4,35-38). Ancora una volta il riferimento semba essere a Os
2., dove il tema del cibo e della fertilità del suolo è onnipresente10. La conclusione
dell‟oracolo è particolarmente significativa: quando annuncia la futura conversione della
sposa, JHWH descrive il tempo nuovo come una nuova era di prosperità: “ E avverrà in quel
giorno oracolo del Signore io risponderò al cielo ed esso risponderà alla terra; la terra
risponderà con il grano, il vino nuovo e l‟olio...” (Os 2,23-24). Ora nel nostro racconto, i
SKA, Jésus et Samaritaine, cit., p. 651.
Chiedere l‟acqua significa cercare di conoscere le disposizioni della persona alla quale ci si rivolge. Dare l‟acqua a chi
la domanda significa mostrarsi accogliente. SKA, Jèsus et Samaritaine, cit., p. 644.
9
La Samaritana è uno dei principali personaggi anonimi del vangelo di Giovanni. A livello narrativo, l‟anonimato,
favorisce l‟identificazione del lettore con un dato personaggio, ma consente anche una maggiore rappresentatività e
tipizzazione del personaggio in questione. Cfr. GRELOT, La donna, p. 16, n. 7; SCHNEIDERS, art. cit., p. 246;
VIGNOLO, op. cit., p. 162.
10
Cfr. Os 2,5.7.10.11.14.17.23-24.
5
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 61
Samaritani scendono dalla città verso il pozzo mentre Gesù conversa con i,discepoli. La
“mietitura” di cui parla Gesù è dunque il popolo samaritano che viene verso di lui per
vederlo e ascoltarlo. Gesù vede la Samaria ritrovare il suo vero marito e la sua fertilità. Il
ritorno al marito vero è simboleggiato dall‟immagine di una terra che porta una messe
abbondante.
- La conclusione del racconto, con la professione di fede dei samaritani: “sappiamo che questi è
veramente il Salvatore del mondo” (4,42) indica la risposta all‟uso del simbolo sponsale e della
incongruenza osservata (mancanza del matrimonio): Giovanni da una parte, riprende la struttura
dell‟incontro al pozzo di futuri sposi, dall‟altra sviluppa il simbolismo sponsale nel senso di Osea 2,
la storia di Israele-sposa infedele. Per la donna di Samaria non si tratta di trovare marito ma di
mettere ordine nella sua vita: ritrovare il suo vero marito, come la Samaria deve trovare o ritrovare
il suo vero Dio. L‟ atto di fede dei samaritani è in tal senso una conclusione logica del racconto. Per
Gesù si è trattato di “parlare al cuore” della sposa infedele per ricondurla al suo unico vero marito
(cfr. Os 2,16). Il matrimonio è già avvenuto molto tempo fa, tra Dio e il suo popolo di IsraeleSamaria. Gesù viene a restaurare quel matrimonio oppure quell‟alleanza spezzata e i Samaritani
sono i primi a rivelare le profondità insospettabili di quella salvezza che si estende d‟ora in poi a
tutto l‟universo (4,42; cfr. 4,21-26). A favore di questa interpretazione sponsale depongono anche le
allusioni sponsali dei capitoli precedenti (1,27.30; 2,1-12; 3,29-30); lo schema delle “scene-tipiche”
presso un pozzo ed il riferimento continuo alla storia di Osea inducono a pensare che la narrazione
di Gv 4,1-12 ha anch‟essa un esito nuziale anche se solo simbolico11. Proprio lei: l‟adultera,
l‟infedele, la prostituta, l‟idolatra (cfr. Os 1,2; 3,1), ridiventa, per la misericordia di Dio, la sposa
che il Messia, lo sposo preannunciato già presente dal Battista, è venuto a cercare e sposare nella
gioia (Gv 3,29).
Appendice patristica
Come è facile immaginare, vi sono splendide pagine dei padri e della tradizione in generale che
commentano questi brani giovannei in maniera ineguagliabile. Non sempre vengono ripresi nel
nostro studio esegetico, ma è bene che la loro consultazione non venga ritenuta inutile o superata.
Benché siano da rispettare le esigenze che l‟esegesi moderna ha posto in particolare rilievo, tali testi
presentano infatti una ricchezza difficilmente eguagliata nei nostri commentari moderni, intuizioni
di tipo ermeneutica e spirituale che è bene ricordare.
A mo‟ di esempio si consideri per esempio quanto Sant‟Agostino diceva a commento della
nostra pericope, in particolare del v. 6: «… Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il
pozzo. Era verso mezzogiorno». Intuizioni spirituali profonde in cui prevale l‟aspetto cristologico,
insieme a voli interpretativi che non sono accettabili nell‟ambito di una esegesi di tipo storicocritico… Si veda per esempio come viene spiegato il riferimento di Giovanni alla “stanchezza di
Gesù”:
Iesus fatigatus ex itinere, sedebat super fontem (Jo 4,1-41; Tractatus 15; PL 1511; cfr.
S.Agostino, Commento a S.Giovanni, Città Nuova, p.346):
Iam incipuint mysteria.
Non enim frustra fatigatur Iesus,
non enim frustra fatigatur virtus Dei.
Invenimus fortem Iesum,
et invenimus infirmum Iesum.
Fortitudo Christi te creavit
Infirmitas Christi te recreavit.
Condidit nos fortitudine sua,
11
MATEOS – BARRETO,
SCHNEIDERS, art. cit., p.
op. cit., pp. 227-249.234s.; INFANTE , art. cit., p. 58; SCHNACKENBURG, op. cit., pp. 643s.;
224; SKA, Jèsus et Samaritaine, cit., p. 649.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 62
Quaesivit nos infirmitate sua.
“Cominciano i misteri” ; la stanchezza di Gesù è vista da S: Agostino come preludio alla passione e ci invita ad entrare più profondamente nel
mistero di Cristo.
È con la sua debolezza che egli nutre i deboli, come la gallina nutre i suoi pulcini.
Ma perché nell‟ora sesta? Perché era la sesta età del mondo…
I.
Adamo - Noè
II.
Noè – Abramo
III.
Abramo – Davide
IV.
Davide – esilio
V.
Esilio – battesimo di Giovanni
VI.
Battesimo di Giovanni….
Prosegue S. Agostino: «Perché ti meravigli? Gesù venne in terra e, umiliandosi, giunse fino al
pozzo. Arrivò stanco, perché portava il peso della carne debole. Era l‟ora sesta perché era la sesta
età del mondo. E giunse al pozzo, perché egli è disceso fino al fondo di questa nostra dimora…»
Et venit mulier. Forma Ecclesiae, non iam iustificatae, sed iam iustificandae, nam hoc agit sermo…
E arriva una donna. È figura della Chiesa, non ancora giustificata, ma già in via di essere
giustificata: questo il tema della conversazione…
…Si scires, inquit, donum Dei. Donum Dei est Spiritus Sanctus….
…. Gesù vedendo che la donna non capiva, e volendo che capisse, «chiama – le dice – tuo marito».
Ecco perché tu non capisci ciò che ti dico, perché il tuo intelletto non è presente… chiama tuo
marito, rendi presente il tuo intelletto.
Venne l‟ora, ed è adesso, in cui i genuini adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità. Noialtri
adoriamo ciò che conosciamo… Lo dice riferendosi ai Giudei come popolo; non lo dice riferendosi
a tutti i Giudei, ai Giudei reprobi; lo dice riferendosi al popolo dei giudei di cui facevano parte gli
Apostoli, i Profeti e tutti quei santi che vendettero i loro beni e ne deposero il ricavato ai piedi degli
Apostoli…
Si osservi come lo stesso testo venga letto soprattutto in chiave morale da Giovanni Crisostomo,
Commento al Vangelo di Giovanni, Città Nuova, vol. II: Discorso XXXI:
…stanco del viaggio = Gesù noncurante del proprio sostentamento… Noi invece ce ne
preoccupiamo (del cibo) appena alzati dal letto…
Rimase solo: abituava i discepoli a rifuggire dalla ricerca delle comodità (i discepoli come suoi
servi).
… Il Cristo diceva una cosa ed ella ne immaginava un‟altra, non udendo altro che il suono delle
parole e non essendo ancora in grado di capire il significato sublime….
… chi beve quest‟acqua non avrà sete in eterno… La scrittura chiama la grazia dello Spirito ora
fuoco, ora acqua, mostrando che questi nomi sono adatti ad indicare non la sostanza, ma l‟effetto
dell‟opera.
Perché la salvezza viene dai giudei…Puoi qui constatare come egli predica il Vecchio Testamento e
dichiara che esso è la radice di ogni bene e afferma che lui non è in alcuna cosa contrario alla
Legge, affermando anzi, di derivare dai Giudei l‟origine di ogni bene.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 63
Breve puntualizzazione sul “dialogo” come strategia narrativa di Giovanni32
In 20,30-31 è l‟autore che dialoga con il lettore chiamandolo ad entrare nel gioco pro o contro
Gesù. La conclusione estende quanto Gv fa già nella sua narrazione descrivendo diversi dialoghi
di Gesù.
Rivelazione come dialogo interpersonale ed amicale di Dio con gli uomini (DV2). Dialogo tra il
Rivelatore Inviato del Padre e tutti gli uomini, di ogni tipo, in vista della salvezza.
Anche nei sinottici troviamo diversi dialoghi ma in Gv sono molto più elaborati e caratterizzano
il IV Vangelo dall‟inizio alla fine.
Caratteristiche del dialogo in Gv:
- frequenti dettagli di tempo e di luogo
- marcata caratterizzazione del personaggio (anche sotto il profilo psicologico)
- forma letteraria (affermazione profetica di Gesù; risposta che rivela incomprensione o
fraintendimento; risposta o rimprovero di Gesù con una spiegazione che corregge il
fraintendimento)
Nel mondo ellenistico esisteva una lunga tradizione sull‟uso del dialogo sia religioso che filosofico
(cfr. Platone; gli ermetici) Dodd dopo aver portato diversi esempi dal corpus hermeticum giunge ad
affermare: «È chiaro quindi che lo stesso principio formativo è operante sia nel quarto evangelo sia
nei dialoghi ermetici, per quanto diverso possa essere il contenuto…L‟evangelista sembra aver
calato il proprio contenuto nelle forme basate sui correnti modelli ellenistici dell‟insegnamento
filosofico e religioso, invece di seguire le forme, di origine giudaica, presenti nei vangeli
sinottici»33. Osserva giustamente Mannucci che il modo di Gesù nel portare avanti il dialogo è
molto diverso da quello conosciuto nei dialoghi filosofico-religiosi di cui si parla. Si crea, attraverso
i fraintendimenti, una dinamica che tende alla ricerca del chiarimento… vi è spesso il passaggio dal
dialogo al monologi di Gesù in cui l‟interlocutore quasi sparisce (cfr. Nicodemo). Sempre
Mannucci fa riflettere sul dialogo come caratteristica forma della rivelazione divina appoggiandosi
a pensatori ebrei come Buber e Rosenzweig.
Nello stesso filone di riflessione sul dialogo cita GROSJEAN J., «Le style johannique», in Variations
Johanniques, Cerf, Paris 1989, 132-136:
« Guardando più da vicino si constata che, se i sinottici ci riferiscono quello che Gesù ha detto, è in
Giovanni che sentiamo parlare Gesù. È in lui che si scopre la vita del linguaggio di Gesù, questa
limpidezza provocante, questa trasparenza che da le vertigini, questa luminosità che sembra
dissolvere gli oggetti per lasciarci in preda alle persone… Egli mira al centro, polverizza i nostri
postulati: “se non rinasce dall‟alto… Sei tu che dovresti chiedere a me da bere” (Gv 3,5; 4,10). Egli
non retrocede per attenuare lo choc. Ci si stupisce, e lui rincara la dose. Suscita soprassalti, che
mettono in luce i malintesi. Si percepisce che il linguaggio è dialogo, vale a dire né il monologo
cattedratico né il chiacchiericcio democratico. Allora succede che Nicodemo risponde con gravità
(3,4.9), la samaritana con insolenza (4,9.11.15), Filippo con candore (6,7 e 14,8), Marta con
melanconia (11,24), Tommaso con ostinazione (11,16, 14,5; 20,25), la gente di Cafarnao con
malevolenza (6,30.42.52), la gente del tempio con odio esasperato (8,48) ecc. Ma Gesù sa anche
fare, per noi, la parte di colui che “fraintende”: e l‟ufficiale del re se ne accorge (4,46-54) (…).
Giovanni ha saputo trasmetterrci le intonazioni singolari di un Messia che parla a ciascuno
nell‟intimo, senza mai far dimenticare che egli è il Signore. La sua profonda amicizia, che è insieme
discreta e gioiosa, mantiene sempre qualcosa di urtante, come se non volesse lasciare a noi
l‟appannaggio dell‟inettitudine».
32
Cfr. DODD, La tradizione storica del quarto Vangelo, 382-389 e V. MANNUCCI, Giovanni il Vangelo narrante, op.
cit., pp. 45 ss.
33
DODD, La tradizione storica del quarto Vangelo, op. cit., 388
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 64
Introduzione a Gv 5-12
Abbiamo considerato l‟attività e la rivelazione di Gesù nei capitoli 2-4 (da Cana a Cana). Sempre
restando nella prima parte del Vangelo (2-12) consideriamo adesso la seconda parte di essa 5-12,
con i noti problemi rilevai sin dall‟antichità circa la redazione (discontinuità)
La successione dei capitoli è discussa. Nella loro sistemazione finale abbiamo:
cap. 5 l‟introduzione dell‟autorivelazione di Gesù a Gerusalemme, durante la festa
cap. 6 il culmine dell‟attività publica di Gesù a Gerusalemme
cap. 7 autorivelazione a Gerusalemme
cap. 8 lotta contro l‟incredulità
cap. 9 Gesù luce del mondo
cap. 10 vero pastore
cap. 11 la risurresione e la vita
cap. 12 ultima attività pubblica a Gerusalemme. Prospettiva della morte di croce
Proprio da questa presentazione si vede come si sia posto il problema della successione dei capitoli
5 e 6. (cfr. Schnackenburg con tutti i motivi pro e contro. Egli è favorevole allo spostamento dei
capitoli come la maggiior parte dell‟esegesi classica). Il problema, come accennato all‟inizio, è
quale filo si segue per la strutturazione del vangelo. Mannucci, nel suo piccolo commento a Gv,
dopo aver esposto i diversi raggruppamenti di posizioni tra gli studiosi, si chiede (l‟autore affronta
Gv dal punto di vista narrativo!) se si debba riconoscere nel ripetuto riferimento di Gv agli
spostamenti di Gesù un motivo strutturale e dominante dell‟intera composizione, una trama
diacronica e sincronica nello stesso tempo.
Seguendo la categoria del viaggio, Mannucci vede la seguente struttura generale (con Segovia):
1. Origini 1,1-18
Viaggio cosmico mitico della Parola di Dio nel mondo umano
2. Ministero 1,19-17,26 Viaggi spazio temporali della Parola che si accompagnano a successive
rivelazioni di Gesù
3. Ultimo viaggio 18,1 –21,25 passione morte risurrezione ultimo viaggio storico e cosmico della
Parola diventata carne che ritorna al Padre dopo aver portato a termine la sua missione
I dialoghi che hanno contraddistinto i capp. 2-4 rappresentavano la rivelazione ai diversi tipi di
interlocutori… adesso prevarranno i discorsi davanti ai giudei increduli. È più manifestamente
presente l‟opposizione dei giudei nei confronti di Gesù.
In generale i segni (4 o 5 con il cammino sulle acque) vengono accompagnati da discorsi che ne
spiegano il significato più profondo, o da proclamazioni introdotte dall‟ego eimi.
Si intrecciano strettamente interesse cristologico e descrizione della vicenda di Gesù.
Si osserva in particolare:
- l‟ordine seguito nel calendario delle feste: in 5,1 una festa che non ha nome; in 6,4 si
avvicina un festa di pasqua; segue poi la successione: tabernacoli (7,2); consacrazione del
tempio (10,22); pasqua (11,54). Il che ripropone ancora una volta il problema dell‟ordine dei
capitoli 5 e 6.
- Alcuni momenti di fervore popolare intorno a Gesù: dopo la moltiplicazione dei pani
vengono per farlo re; entusiasmo che segue la risurrezione di Lazzaro e la conseguente
sentenza di morte del sinedrio.
- Cresce l‟asprezza della disputa con i Giudei che diventa vera e propria condanna da parte
giudaica a partire dal cap. 7(7,32; 8,59; 9,22; 10,31; 10,39; 11,53; 11,57) e accusa da parte
di Gesù contro i giudei (5,39-47 non credono alla scrittura; 8,42-44 sono figli del diavolo;
operano come mercenari 10,1-10)
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 65
-
-
I veri avversari di Gesù vengono presentati a Gerusalemme (i capi e i farisei…)
Fede e incredulità davanti alla rivelazione di Gesù… più chiaro ancora se si unisce alla
situazione storica di Gesù, qualla della comunità giovannea, come indicato già
nell‟introduzione generale.
Nell‟insieme di 5-12 spicca, come centrale, la rivelazione di Gesù come luce del mondo, dal
capitolo 7 al 12.
Gv 6
Gesù pane di vita
1. Il più lungo capitolo del IV Vangelo
2. si osservi il difficile aggancio con quanto precede: Gesù risultava essere a Gerusalemme,
non in Galilea… abbiamo già considerato le diverse spiegazioni redazionali.
3. si presenta come una vera e propria composizione, ben concepita, rappresentando il culmine
dell‟attività pubblica di Gesù in Galilea.
Inanzitutto i “due segni”
1-15 La moltiplicazione dei pani
16-21 Gesù cammina sulle acque
22-24 sezione di passaggio, trasferimento della folla dalla riva orientale del lago di Tiberiade
25-59 discorso sul pane di vita (commento ai segni)
60-66 l‟incredulità di “molti discepoli” che abbandonano Gesù
67-69 opposta alla fede dei dodici di cui si fa portavoce Pietro
70-71 Gesù risponde che anche tra i dodici si nasconde un “diavolo”
Shnackenburg difende, come Mannucci ed altri, l‟unità del capitolo descrivendolo come segue:
«il segno della grande moltiplicazione dei pani al culmine dell‟attività di Gesù in Galilea, sostenuto
dall‟apparizione di Gesù ai discepoli sul lago, è spiegato nel suo significato teologico da un discorso
di rivelazione; ma costringe anche ad una decisione di fede, mette allo scoperto l‟incredulità
giudaica, provoca una crisi nella cerchia dei discepoli e termina con la confessione di fede di Simon
Pietro in nome dei dodici» p. 28 vol. 2.
Il racconto va studiato sinossi alla mano.
v.1 Meta. tau/ta avph/lqen o` VIhsou/j pe,ran th/j qala,sshj th/j Galilai,aj th/j Tiberia,dojÅ
i due genitivi presentano qualche problema. Si tratta della riva occidentale, non lontano da
Tiberiade? L‟apparato critico propone alcune indicazioni adottate dai trascrittori… La tradizione
marciana fa riferimento alla riva orientale.
v.2: da dove vengono le folle? Gv non è interessato a motivarlo. Si vede bene che domina il motivo
teologico su quello descrittivo che presenta delle semplificazioni.
v. 3 avnh/lqen de. eivj to. o;roj VIhsou/j kai. evkei/ evka,qhto meta. tw/n maqhtw/n auvtou/
Gesù sale sul monte ma non come il legislatore (Mt 5,1) né come il guaritore (Mt 15,29) bensì come
la guida di Israele, come Mosè nel deserto.
v. 4 la prossimità della Pasqua inquadra il racconto nel contesto liturgico che offre senso teologico a
quanto Gesù sta per fare.
v. 5 l‟evangelista non si preoccupa di motivare la necessità di dare da mangiare a tanta gente, come
invece appare nei sinottici con l‟indicazione del fatto che si è fatto ormai tardi…
v. 6 Le parole di Gesù servono a mettere alla prova Filippo, come in 11,11-15
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 66
v.7 avpekri,qh auvtw/| Îo`Ð Fi,lippoj( Diakosi,wn dhnari,wn a;rtoi ouvk avrkou/sin auvtoi/j i[na e[kastoj
bracu, ÎtiÐ la,bh|Å
La risposta di Filippo è molto simile a quella di Mc 6,37 con l‟accentuazione, in Gv, della
difficoltà.
8,s. :Estin paida,rion w-de o]j e;cei pe,nte a;rtouj kriqi,nouj kai. du,o ovya,ria\ avlla. tau/ta ti, evstin
eivj tosou,toujÈ
Il riferimento al pane d‟orzo è un particolare giovanneo interessante. Qui veniamo messi in
relazione con un racconto veterotestamentario molto vicino a quello giovanneo della
moltiplicazione dei pani e, sembrerebbe, richiamato da questo ed altri particolari:
2 Kings 4:42 kai. avnh.r dih/lqen evk Baiqsarisa kai. h;negken pro.j to.n a;nqrwpon tou/ qeou/
prwtogenhma,twn ei;kosi a;rtouj kriqi,nouj kai. pala,qaj kai. ei=pen do,te tw/| law/| kai. evsqie,twsan
~yrIWKBi ~x,l, ~yhil{a/h' vyail. abeY"w: hv'liv' l[;B;mi aB' vyaiw> 2 Re 4:42
`WlkeayOw> ~['l' !Te rm,aYOw: Anl{q.cBi . lm,r>k;w> ~yrI[fo . ~x,l,-~yrIf.[,
2 Re 4:42 Giunse poi un uomo da Baal-Shalisha, che portò all' uomo di DIO del pane delle
primizie: venti pani d' orzo e alcune spighe di frumento nel loro guscio. Eliseo disse: "Dàllo
alla gente perché ne mangi".
Gv 6 v.10 ei=pen o` VIhsou/j( Poih,sate tou.j avnqrw,pouj avnapesei/nÅ h=n de. co,rtoj polu.j evn tw/|
to,pw|Å avne,pesan ou=n oi` a;ndrej to.n avriqmo.n w`j pentakisci,lioiÅ
C‟era molta erba… manca l‟annotazione sinottica del raggruppamento della folla in cinquantine…
segno del richiamo all‟organizzazione del popolo nel deserto. Qui sembra dominare la sola
preoccupazione di ambientazione pasquale dell‟evento… Ovvero l‟ambientazione di un banchetto
messianico…
11 e;laben ou=n tou.j a;rtouj o` VIhsou/j kai. euvcaristh,saj die,dwken toi/j avnakeime,noij o`moi,wj kai.
evk tw/n ovyari,wn o[son h;qelonÅ
Con il riferimento all‟azione di grazie sembra essere chiaro un riferimento eucaristico in senso
cristiano, contro la qual cosa vi è chi osserva la mancanza della “frazione” che invece si trova negli
altri racconti. Dello spezzare il pane parlano i testi classici dell‟istituzione !Cor 10,16; Lc 24,25; At
2,42.46; 20, 7.11.
Tuttavia bisogna osservare che già dall‟epoca di S.Giustino l‟eucharistein diventa espressione fissa
per l‟eucaristia; Qui, inoltre, è Gesù stesso che distribuisce e non i discepoli: è Gesù che distribuisce
il dono che viene dal cielo. Vi è una accentuazione cristologica che va più specificamente dei
sinottici verso l‟interpretazione eucaristica.
12 l‟invito a raccogliere i pezzi avanzati è diverso dai sinottici: in Giovanni si offre la motivazione
“perché nulla vada perduto”, per il rispetto verso il pane nel mondo giudaico e mediterraneo? Per il
valore salvifico che ha assunto il pane eucaristico nella visione cristiana? Si osservi che lo stesso
verbo synagogein è utilizzato nella LXX per la raccolta della manna Es 16,16. E che ricorre ancora
per definire il senso della morte di Gesù nel IV Vangelo: kai. ouvc u`pe.r tou/ e;qnouj mo,non avllV i[na
kai. ta. te,kna tou/ qeou/ ta. dieskorpisme,na sunaga,gh| eivj e[nÅ per raccogliere cioè in unità i figli di
Dio che erano dispersi.
Nel v. 13 si parla delle dodici ceste anche se finora Gv non ha parlato dei dodici apostoli.
Riferimento alle tribù di Israele o dato stabile nella tradizione ricevuta da Gv a proposito della
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 67
moltiplicazione? Prepara l‟ultimo riferimento del discorso sul pane della vita che è, appunto, ai
Dodidci.
vv. 14 e 15 si intuisce la mano dell‟evangelista:
14 Oi` ou=n a;nqrwpoi ivdo,ntej o] evpoi,hsen shmei/on e;legon o[ti Ou-to,j evstin avlhqw/j o` profh,thj o`
evrco,menoj eivj to.n ko,smonÅ
15 VIhsou/j ou=n gnou.j o[ti me,llousin e;rcesqai kai. a`rpa,zein auvto.n i[na poih,swsin basile,a(
avnecw,rhsen pa,lin eivj to. o;roj auvto.j mo,nojÅ
cfr. Dt 18,15.18. L‟interpretazione di questi versetti va decisamente nella linea teologica: i segni…
“veramente”… il profeta… Il v. 14 rappresenta probabilmete non la reale reazione della folla ma
quella che si sarebbe verosimimilmente potuta avere, come il 15 rappresenta l‟incomprensione del
gesto di Gesù. In ogni caso i due versetti introducono già la diversa valenza che il gesto della
moltiplicazione può assumere nell‟interpretazione di coloro che hanno assistito al “segno”:
interpretarlo nel suo significato più superficiale o addirittura equivoco o nel suo senso più profondo,
come emergerà nel successivo dialogo.
Tra le altre differenze da notare nel confronto sinottico, è che il Gesù giovanneo non agisce per
“compassione” della folla, come sottolineano i sionottici, né per misericordia messianica del popolo
senza guida (cfr. Mc 6,34). Egli si rivela sotto un aspetto particolare.
Circa il quadro descrittivo pasquale: sinteticamente esso esprime la comprensione del miracolo
della moltiplicazione dei pani come “segno” da parte di Giovanni (a cui corrisponde il discorso di
rivelazione) in relazione all‟eucaristia.
Segue (vv. 16-21) la narrazione del cammino sulle acque:
16 ~Wj de. ovyi,a evge,neto kate,bhsan oi` maqhtai. auvtou/ evpi. th.n qa,lassan
17 kai. evmba,ntej eivj ploi/on h;rconto pe,ran th/j qala,sshj eivj Kafarnaou,mÅ kai. skoti,a h;dh
evgego,nei kai. ou;pw evlhlu,qei pro.j auvtou.j o` VIhsou/j(
18 h[ te qa,lassa avne,mou mega,lou pne,ontoj diegei,retoÅ
19 evlhlako,tej ou=n w`j stadi,ouj ei;kosi pe,nte h' tria,konta qewrou/sin to.n VIhsou/n peripatou/nta
evpi. th/j qala,sshj kai. evggu.j tou/ ploi,ou gino,menon( kai. evfobh,qhsanÅ
20 o` de. le,gei auvtoi/j( VEgw, eivmi( mh. fobei/sqeÅ
21 h;qelon ou=n labei/n auvto.n eivj to. ploi/on( kai. euvqe,wj evge,neto to. ploi/on evpi. th/j gh/j eivj h]n
u`ph/gonÅ
Cosa possiamo dire di questi versetti? Si tratta di una interruzione o cosa?
Maggiore autonomia della moltiplicazione rispetto alla tradizione sinottica (Mc 6,45-52; Mt 14,2233). Cade il motivo della tempesta sedata ma si accenna al fatto che i discepoli subito giunsero alla
meta. Per Shnakcenburg per il collegamento con la moltiplicazione dei pani bisogna indagare sulla
tradizione di base e sulla personale elaborazione teologica dell‟evangelista.
Le indicazioni della situazione (16-18) sembrano avere un significato teologico: i discepoli, senza
Gesù, lasciati esposti alle forze avverse. Con la presenza di Gesù si evidenzia il contrasto…
In generale il racconto è meno elaborato che nei sinottici, dove è più evidente il significato cristiano
della presenza protettrice di Gesù nella situazione difficile… In Gv prende il sopravvento la parola
di riconoscimento di Gesù: v. 20 VEgw, eivmi( mh. fobei/sqeÅ
È un‟autoqualificazione di Gesù che diventa automanifestazione divina. Infatti è sull‟ ego eimi che
insisterà il discorso sul pane di vita disceso dal cielo (vv. 35.41.48.51).
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 68
Per Schnackenburg l‟evangelista si è servito di un racconto originario più semplice che riportava il
fatto straordinario del cammino sulle acque e del raggiungimento straordinario della meta. Egli
ritiene che facesse parte della cosiddetta fonte dei segni. L‟elaborazione Giovannea della fonta ha
messo in rilievo soprattutto la parola di riconoscimento ego eimi come base per l‟autorivelazione di
Gesù come pane di vita disceso dal cielo; in Gesù è presente il potere di Dio che dissipa le tenebre
che trionfa sul potere della morte (v.19). In Lui Dio si manifesta come soccorritore. Si tratta cioè
dell‟applicazione cristologica dei motivi del racconto originario.
Allusione all‟attraversamento del Mar delle Canne?
Cfr
Sl 77,17Ti videro le acque, o Dio, ti videro le acque e tremarono, sussultarono gli abissi;
20 S' aprì nel mare la tua via, i tuoi sentieri nella massa d' acqua; ma rimasero invisibili le tue orme.
Sl 78: 13 Divise il mare e li fece passare, e le acque ristettero come trattenute da un argine.
14 Li guidò con una nube di giorno e tutta la notte con bagliore di fuoco.
15 Percosse rupi nel deserto e diede loro da bere come dal grande abisso.
16 Fece scaturire ruscelli dalla roccia, fece scorrere acqua a torrenti.
17 Eppure quelli peccarono di nuovo contro di lui ribellandosi contro l' Altissimo nel deserto.
18 Tentarono Dio nel loro cuore chiedendo cibo per le loro brame.
19 Mormorarono contro Dio dicendo: «Potrà forse Dio imbandire una mensa nel deserto?».
20 Ecco: percosse una rupe, ne scaturì acqua e strariparono torrenti. «Potrà forse dare anche del pane o procurare carne
per il suo popolo?».
21 Li udì il Signore e ne fu irritato e un fuoco divampò contro Giacobbe e l' ira esplose contro Israele,
22 poiché non ebbero fede in Dio e non ebbero speranza nella sua salvezza.
23 Tuttavia comandò alle nubi dall' alto e aprì le porte del cielo
24 e fece piovere su di loro manna da mangiare, un frumento celeste diede loro.
25 Un pane di forti mangiò ciascuno, una provvigione abbondante inviò per loro.
26 Scatenò dal cielo il vento d' oriente, fece soffiare con veemenza il vento del sud;
27 fece piovere su di essi carne come polvere e come sabbia del mare volatili;
28 li fece cadere in mezzo al loro accampamento, tutt' intorno alle loro tende.
29 Essi ne mangiarono e rimasero ben sazi, furono soddisfatti nel loro desiderio.
Eppure l‟antica esegesi allegorica non ha mai fatto riferimento a questi testi proprio per il
collegamento generico con essi…. Diversi studiosi (per es. Gartner) hanno fatto recentemente
notare come in un antico pezzo dell‟haggada pasquale l‟attraversamento del Mar Rosso e la manna
del deserto venivano collegati. Nella aggadah pasquale si insiste, inoltre, sul fatto che Dio stesso
“Io, il Signore, sono io e nessun altro” (ego eimi) eseguì il giudizio sugli egiziani, non il suo
angelo… insomma il sitz im Leben sarebbe quello della celebrazione cristiana della Pasqua che si
fondava su quella giudaica fondata in senso cristiano; per Guilding fu Gesù stesso, non
l‟evangelista, a ispirarsi alle idee giudaiche sulla pasqua (le letture del secondo ciclo dell‟anno
ponevano insieme attraversamento del mare e dono della manna). Schnackenburg è scettico.
Per lui ciò che è presente all‟evangelista è solo lo sfondo veterotestamentario, non l‟utilizzazione
cristiana dei testi in occasione della Pasqua.
Fabris: «La menzione della festa di pasqua dunque evoca la cornice spirituale in cui si deve
collocare il gesto di Gesù che sfama generosamente la folla accorsa a lui» p. 391.
Dopo la breve sezione di transizione dei vv. 22-24 relativo agli spostamenti della folla in cui
emerge un certo contrasto con il movimento precedente rappresentato dall‟andare incontro di Gesù
ai discepoli, si apre la lunga sezione del discorso sul pane di vita, 22-71. Seguendo Fabris possiamo
raggruppare i tentativi di strutturazione in due gruppi a seconda del modello utilizzato:
Modello tematico teologico: due unità: cristologico sapienziale (26-50) e eucaristico sacramentale
(51-58) Alcuni, poi, articolano ulteriormente la prima unità in due parti 26-34 e 35-51 in modo da
ottenere in tutto tre parti (cfr. Dodd, Barrett ecc.)
Tra gli altri è da notare il modello delle “omelie sinagogali” (Borgen) della diaspora giudaica in cui
si prevede lo sviluppo dell‟omelia in cinque parti intercalando la citazione biblica alla spiegazione.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 69
Altri scompongono invece il testo nelle sue parti originarie attribuendo le parti al cammino della
stria della tradizione e della redazione. In particolare osservano che il brano eucaristico
sacramentale di 51c-58 sembra dal punto di vista letterario e tematico un corpo estraneo…
MA quali sono gli elementi di unità?
Ripetizioni
4 volte EGO EIMI ( 35.41.48.51)
4 volte IN VERITA IN VERITA VI DICO (26.32.47.53)
4 volte gli interlocutori si rivolgono a Gesù (25.28.30.34)
3 volte reazioni ostili (41.52.60)
Corrispondenze
Cfr. vv. 35↔41-48
Ricorrenze di termini
PANE
si trova 21x su 25x dell‟intero evangelo
VITA
11x
MANGIARE (esthiein o phagein) 11x
PADRE 11x
DARE il pane o la vita 9x
Per la sezione 25-59, discorso sul pane di vita, seguiamo la successione:
26-40 dialogo Gesù folla
41-59 confronto Gesù-giudei
1. 26-40 dialogo Gesù folla
24o[te ou=n ei=den o` o;cloj o[ti VIhsou/j ouvk e;stin evkei/ ouvde. oi` maqhtai. auvtou/(
evne,bhsan auvtoi. eivj ta. ploia,ria kai. h=lqon eivj Kafarnaou.m zhtou/ntej to.n VIhsou/nÅ
25kai. eu`ro,ntej auvto.n pe,ran th/j qala,sshj
ei=pon auvtw/|( ~Rabbi,( po,te w-de ge,gonajÈ
26 avpekri,qh auvtoi/j o` VIhsou/j kai. ei=pen(
VAmh.n avmh.n le,gw u`mi/n(
zhtei/te, me ouvc o[ti ei;dete shmei/a(
avllV o[ti evfa,gete evk tw/n a;rtwn kai. evcorta,sqhteÅ
27 evrga,zesqe mh. th.n brw/sin th.n avpollume,nhn
avlla. th.n brw/sin th.n me,nousan eivj zwh.n aivwn, ion(
h]n o` ui`o.j tou/ avnqrw,pou u`mi/n dw,sei\ tou/ton ga.r o` path.r evsfra,gisen o` qeo,jÅ
28 ei=pon ou=n pro.j auvto,n(
Ti, poiw/men i[na evrgazw,meqa ta. e;rga tou/ qeou/È
29 avpekri,qh Îo`Ð VIhsou/j kai. ei=pen auvtoi/j(
Tou/to, evstin to. e;rgon tou/ qeou/( i[na pisteu,hte eivj o]n avpe,steilen evkei/nojÅ
30 ei=pon ou=n auvtw/(|
Ti, ou=n poiei/j su. shmei/on( i[na i;dwmen kai. pisteu,swme,n soiÈ ti, evrga,zh|È
31 oi` pate,rej h`mw/n to. ma,nna e;fagon evn th/| evrh,mw|( kaqw,j evstin gegramme,non(
:Arton evk tou/ ouvranou/ e;dwken auvtoi/j fagei/nÅ
32 ei=pen ou=n auvtoi/j o` VIhsou/j(
VAmh.n avmh.n le,gw u`mi/n(
ouv Mwu?sh/j de,dwken u`mi/n to.n a;rton evk tou/ ouvranou/(
avllV o` path,r mou di,dwsin u`mi/n to.n a;rton evk tou/ ouvranou/ to.n avlhqino,n\
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 70
33 o` ga.r a;rtoj tou/ qeou/ evstin o` katabai,nwn evk tou/ ouvranou/ kai. zwh.n didou.j tw/| ko,smw|Å
34 Ei=pon ou=n pro.j auvto,n(
Ku,rie( pa,ntote do.j h`mi/n to.n a;rton tou/tonÅ
35 ei=pen auvtoi/j o` VIhsou/j(
VEgw, eivmi o` a;rtoj th/j zwh/j\
o` evrco,menoj pro.j evme. ouv mh. peina,sh|(
kai. o` pisteu,wn eivj evme. ouv mh. diyh,sei pw,poteÅ
36 avllV ei=pon u`mi/n o[ti kai. e`wra,kate, ÎmeÐ kai. ouv pisteu,eteÅ
37 Pa/n o] di,dwsi,n moi o` path.r pro.j evme. h[xei(
kai. to.n evrco,menon pro.j evme. ouv mh. evkba,lw e;xw(
38 o[ti katabe,bhka avpo. tou/ ouvranou/
ouvc i[na poiw/ to. qe,lhma to. evmo.n avlla. to. qe,lhma tou/ pe,myanto,j meÅ
39 tou/to de, evstin to. qe,lhma tou/ pe,myanto,j me(
i[na pa/n o] de,dwke,n moi mh. avpole,sw evx auvtou/(
avlla. avnasth,sw auvto. ÎevnÐ th/| evsca,th| h`me,ra|Å
40 tou/to ga,r evstin to. qe,lhma tou/ patro,j mou(
i[na pa/j o` qewrw/n to.n ui`o.n kai. pisteu,wn eivj auvto.n e;ch| zwh.n aivwn, ion(
kai. avnasth,sw auvto.n evgw. ÎevnÐ th/| evsca,th| h`me,ra|Å
26-27 Gesù viene interpellato dalla folla come Rabbi: viene riconosciuto dalla folla il ruolo di
maestro autorecvole come in 3,2. Folla disorientata: quando sei venuto qui?
La risposta fi Gesù si presenta come articolata: innanzitutto l‟ambivalenza e l‟equivoco nella
mmotivazione della ricerca di Gesù. La critica di Gesù è relativa all‟atteggiamento generale della
folla dinanzi ai “segni” non cogliendo il significato più profondo, significato messianico e, anzi, piu
che messianico. È una denuncia nota già nell‟AT quella della strumentalizzazione e
incomprenssione (o comprensione superficiale) delle opere di Dio (Sl 78,17.19.23-29).
Il cibo che Gesù propone è quello che rimane th.n brw/sin th.n me,nousan eivj zwh.n aivwn, ion( perché
in relazione con la vita eterna. È il cibo che darà per il futuro il Figlio dell‟uomo h]n o` ui`o.j tou/
avnqrw,pou u`mi/n dw,sei che il Padre “ha accreditato” tou/ton ga.r o` path.r evsfra,gisen o` qeo,jÅ
Dunque il vero e unico sostentamento per la vita eterna che solo Dio, tramite il suo inviato, può
donare. Il cibo ha una relazione profonda da una parte con Dio che lo dona, dall‟altra con l‟inviato
stesso. Si tratta di una sentenza di apertura che orienta già lo sviluppo successivo del discorso sul
pane di vita. Lo sphragìs è il segno di autenticazione, simbolo che nell‟Apocalisse designerà gli
eletti (Ap 7,3-8). Il Figlio, Gesù, è l‟unico autenticato da Padre nella sua missione di datore dei beni
celesti.
28-29 La folla rilancia con la domanda su cosa fare “per operare le opere di Dio” Ti, poiw/men i[na
evrgazw,meqa ta. e;rga tou/ qeou/È Espressione ripresa nella risposta di Gesù Tou/to, evstin to. e;rgon tou/
qeou Si tratta delle opere che Dio compie o che chied di compiere? Nei testi biblici l‟espressione
copre i due significati. Naturalmente nel caso presente si tratta piuttosto delle opere che Dio vuole
che si compiano: … fare la volontà di Dio…come in 9,4: 4 h`ma/j dei/ evrga,zesqai ta. e;rga tou/
pe,myanto,j me e[wj h`me,ra evsti,n\ e;rcetai nu.x o[te ouvdei.j du,natai evrga,zesqaiÅ
Fare le opere di Dio dunque, in questo caso significherà compiere la sua volontà credendo in Gesù
come suo inviato.
vv. 30-33: È strana la domanda del segno a questo punto… Ma Gesù stesso ne indica il senso: essi
si sono saziati di pane ma non hanno “visto” il segno. Ma vi sarebbe ancora da valutare la
conclusione a cui pure la folla giunse, e cioè proclamarlo profeta, cosa comunque da non
sottovalutare, così pure il tentativo di farlo re… rappresentavano comunque dei tentativi di
interpretare quel gesto nel suo significato! Ma qui l‟autore non si preoccupa di questo tipo di
coerenza narrativa. Vuole invece sottolineare il contrasto tra la prospettiva di Gesù che denuncia la
radicale incapacità a vedere i segni per approdare alla fede autentica e la prospettiva della folla che
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 71
chiede segni come soluzione al problema… Nonostante le apparenze (profeta… Re…) non ha
portato alla vera comprensione di Gesù, alla fede in lui.
Viene richiamato il segno operato da Mosè nel deserto (veniamo ancora una volta riportati allo
schema dell‟omelia sinagogale che alterna citazioni scritturisctiche con le spiegazioni…) il testo a
cui viene da pensare, tra i tanti dell‟AT che si riferiscono all‟esodo è Sl 78,24, la rimeditazione della
storia di Israele a partire dai Padri. Fabris: «Le risonanze spirituali e le connotazioni simboliche
della manna sono riprese e sviluppate nella tradizione giudaica sulla base dei testi biblici. Essa è
associata al dono della Legge, alla sapienza ed identificata con la rivelazione o parola di Dio»
Interessanti in particolare le riflessioni di Filone a commento di Es 16,4, con l‟identificazione del
dono della manna con il Logos.
La risposta di Gesù è riportata nella struttura del parallelismo antitetico: si oppongono Mosè-Padre
mio; l‟azione diede-dà, e il dono: pane del cielo-pane del cielo vero to.n a;rton evk tou/ ouvranou/ to.n
avlhqino,n. A specificare il vero dono del Padre, viene utilizzata l‟espressione o` ga.r a;rtoj tou/ qeou/
evstin o` katabai,nwn evk tou/ ouvranou/ kai. zwh.n didou.j tw/| ko,smw|Å dove l‟ambivalenza del soggetto
o` katabai,nwn predispone all‟interpretazione cristologica del “pane”. Nel Targum sia Neofiti che
Onkelos di Es 16,4 si dice «Ecco che io vi farò discendere pane dal cielo (che è stato conservato per
voi fin dalle origini)», segno di una concezione giudaica della manna come realtà preesistente e
presupposto per la concezione giudaica che la manna sarebbe stata oggetto di una nuova donazione
nei tempi finali. Cfr. anche Ap di Baruch 29,8: «in quei giorni la manna, conservata nei suoi
depositi, cadrà di nuovo ed essi ne mangeranno durante quegli anni, perché essi sono arrivati alla
fine dei tempi». Qui il donatore non è più il Mosè dell‟Esodo, il donatore in Gv è identificato con il
dono e la vita eterna che offre è per il mondo intero: tw/| ko,smw
34-35 La richiesta della folla Ku,rie( pa,ntote do.j h`mi/n to.n a;rton tou/tonÅ ricorda l‟analoga
richiesta della donna di Samaria: le,gei pro.j auvto.n h` gunh,( Ku,rie( do,j moi tou/to to. u[dwr( come
pure il testo della preghiera del Padre Nostro di Mt 6,11 e Lc 11,3 3 to.n a;rton h`mw/n to.n
evpiou,sion di,dou h`mi/n to. kaqV h`me,ran\ L‟accento del nostro testo cade sul sempre pa,ntote che
rende ambivalente la richiesta: un dono di qualcosa che dura in eterno non ha bisogno, infatti, di
essere dato sempre! In realtà, come nel caso della Samaritana, l‟equivoco continua. Il
fraintendimento, anche in questo caso, assolve alla funzione di richiamare un ulteriore chiarimento
da parte di Gesù VEgw, eivmi o` a;rtoj th/j zwh/j\ o` evrco,menoj pro.j evme. ouv mh. peina,sh|( kai. o`
pisteu,wn eivj evme. ouv mh. diyh,sei pw,poteÅ È il primo caso in cui ricorre la formula di
autopresentazione di Gesù in cui compare l‟ “io sono” seguito da un predicato nominale (cfr.
6,41.48.51; 8,12; 10,7.9.11.14; 11,25; 14,6; 15,1.5).
In questa formula vi è l‟eco delle formule veterotestamentarie di presentazione divina (Es 15,26; Sl
35,3), mentre è originale l‟accostamento a immagini simboliche: pane, luce, porta, pastore, vite). Vi
è anche il richiamo ad alcuni testi sapienziali in cui la sapienza personalizzata presenta il suo ruolo
in rapporto a Dio (Pr 9,5-6). Cfr. in particolare Sir 24,20: «Quanti si nutrono di me avranno ancora
fame e quanti bevono di me avranno ancora sete»
Gesù stesso è qui il pane della vita che soddisfa le esigenze vitali dell‟uomo. L‟immagine biblica
dell‟albero della vita, ampiamente rielaborata fino all‟Apocalisse e in molta parte della tradizione
giudaica è identificato con la Legge o con la Sapienza, che a sua volta viene fatta coincidere con la
Legge. Ma si ricorderano anche il noto testo di Dt (8,3) “non di solo pane vive l‟uomo” e quello di
Am 8,11 che annuncia fame non di pane ma della parola di Dio… insomma una utilizzazione molto
ampia del pane come simbolo che va certamente al di là dello specifico riferimento alla bibbia
rappresentando il pane, come alimento base nel Mediterraneo, un simbolo archetipico. Sullo sfondo
delle citazioni bibliche, tuttavia, le parole di Gesù assumono il significato di compimento.
36-40 Condizione per ricevere questo dono è “credere” e i versetti che concludono il dialogo con la
folla ne chiariscono lo statuto: hanno visto ma non hanno creduto e hanno manifestato, chiedendo
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 72
un segno dal cielo, di non saper vedere in quello che Gesù ha fatto. Il “vedere” autentico è orientato
al “credere” Le frasi che seguono sono concatenate a incastro indicando successivamente:
1. l‟iniziativa del Padre 37 Pa/n o] di,dwsi,n moi o` path.r
2. la relazione di fede con Gesù pro.j evme. h[xei
3. la promessa escatologica kai. to.n evrco,menon pro.j evme. ouv mh. evkba,lw e;xw(
4. connessione tra il Padre il Figlio e il credente 38 o[ti katabe,bhka avpo. tou/ ouvranou/ ouvc i[na
poiw/ to. qe,lhma….
L‟iniziativa è quella del Padre che dà al Figlio ogni cosa… compresi quelli che il Figlio dovrà
salvare perché il Padre vuole salvare… (accento sulla globalità, non sulla predestinazione o
selettività divina…)
La mediazione salvifica è unicamente quella del Figlio, colui che è disceso dal cielo.
L‟adesione a Gesù è definitiva, non verrà interrotta neanche dalla morte: la prospettiva escatologica
di questo testo non toglie validità agli effetti già preenti dell‟adesione a Gesù e della condizione
nuova che si viene a instaurare nella vita del credente, ma la dilata fino all‟ultimo giorno…. Fin
dopo la morte.
2. 41-59 confronto Gesù-giudei
41 VEgo,gguzon ou=n oi` VIoudai/oi peri. auvtou/ o[ti ei=pen(
VEgw, eivmi o` a;rtoj o` kataba.j evk tou/ ouvranou/(
42 kai. e;legon( Ouvc ou-to,j evstin VIhsou/j o` ui`o.j VIwsh,f(
ou- h`mei/j oi;damen to.n pate,ra kai. th.n mhte,raÈ
pw/j nu/n le,gei o[ti VEk tou/ ouvranou/ katabe,bhkaÈ
43 avpekri,qh VIhsou/j kai. ei=pen auvtoi/j(
Mh. goggu,zete metV avllh,lwnÅ
44 ouvdei.j du,natai evlqei/n pro,j me
eva.n mh. o` path.r o` pe,myaj me e`lku,sh| auvto,n(
kavgw. avnasth,sw auvto.n evn th/| evsca,th| h`me,ra|Å
45 e;stin gegramme,non evn toi/j profh,taij(
Kai. e;sontai pa,ntej didaktoi. qeou/\
pa/j o` avkou,saj para. tou/ patro.j kai. maqw.n e;rcetai pro.j evme,Å
46 ouvc o[ti to.n pate,ra e`wr, ake,n tij eiv mh. o` w'n para. tou/ qeou/(
ou-toj e`wr, aken to.n pate,raÅ
47 avmh.n avmh.n le,gw u`mi/n( o` pisteu,wn e;cei zwh.n aivwn, ionÅ
48 evgw, eivmi o` a;rtoj th/j zwh/jÅ
49 oi` pate,rej u`mw/n e;fagon evn th/| evrh,mw| to. ma,nna kai. avpe,qanon\
50 ou-to,j evstin o` a;rtoj o` evk tou/ ouvranou/ katabai,nwn(
i[na tij evx auvtou/ fa,gh| kai. mh. avpoqa,nh|Å
51 evgw, eivmi o` a;rtoj o` zw/n o` evk tou/ ouvranou/ kataba,j\
eva,n tij fa,gh| evk tou,tou tou/ a;rtou zh,sei eivj to.n aivwn/ a(
kai. o` a;rtoj de. o]n evgw. dw,sw h` sa,rx mou, evstin u`pe.r th/j tou/ ko,smou zwh/jÅ
52 VEma,conto ou=n pro.j avllh,louj oi` VIoudai/oi le,gontej(
Pw/j du,natai ou-toj h`mi/n dou/nai th.n sa,rka Îauvtou/Ð fagei/nÈ
53 ei=pen ou=n auvtoi/j o` VIhsou/j(
VAmh.n avmh.n le,gw u`mi/n(
eva.n mh. fa,ghte th.n sa,rka tou/ ui`ou/ tou/ avnqrw,pou kai. pi,hte auvtou/ to. ai-ma(
ouvk e;cete zwh.n evn e`autoi/jÅ
54 o` trw,gwn mou th.n sa,rka kai. pi,nwn mou to. ai-ma
e;cei zwh.n aivwn, ion( kavgw. avnasth,sw auvto.n th/| evsca,th| h`me,ra|Å
55 h` ga.r sa,rx mou avlhqh,j evstin brw/sij( kai. to. ai-ma, mou avlhqh,j evstin po,sijÅ
56 o` trw,gwn mou th.n sa,rka kai. pi,nwn mou to. ai-ma evn evmoi. me,nei kavgw. evn auvtw/Å|
57 kaqw.j avpe,steile,n me o` zw/n path.r kavgw. zw/ dia. to.n pate,ra(
kai. o` trw,gwn me kavkei/noj zh,sei diV evme,Å
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 73
58 ou-to,j evstin o` a;rtoj o` evx ouvranou/ kataba,j(
ouv kaqw.j e;fagon oi` pate,rej kai. avpe,qanon\
o` trw,gwn tou/ton to.n a;rton zh,sei eivj to.n aivwn/ aÅ
59 Tau/ta ei=pen evn sunagwgh/| dida,skwn evn Kafarnaou,mÅ
Gli interlocutori diventano a partire dal v. v. 41 “i giudei” che non si rivolgono direttamente a Gesù
ma invece “mormorano” tra loro. Si mette a fuoco la frase centrale del precedente dialogo «Io sono
il pane disceso dal cielo» attraverso una riflessione di ordine pratico-materiale. Circa la sua
appartenenza carnale e alla difficoltà che essa crea rispetto alle dichiarazioni di Gesù ve ne è ricordo
anche nella tradizione sinottica (Mc 6,1-6; Mt 13,53-58; Lc 4,16-24). Gesù non nega la sua origine
umana e prprio qui c‟è il problema. Qui non si attutisce il problema, ma si fa appello alla fede.
Forse anche qui vi è dell‟ironia ? sanno veramente i giudei chi è il Padre di Gesù-figlio-diGiuseppe? In realtà i giudei stanno rifacendo l‟errore del deserto a cui richiama il mormorare che
Gesù rimprovera loro: Mh. goggu,zete metV avllh,lwnÅ utilizzando lo stesso verbo della LXX per le
mormorazioni di Israele nel deserto (Es 16,7….)
v. 45 Oppone invece quanto è scritto nei profeti “E saranno istruiti da Dio” Gr 38/31,3 LXX ma
anche Os 2,16; 11,4). Dio stabilisce con la comunità sposa un‟alleanza di pace (Is 54,7.10). La
legge di Dio sarà scritta nei cuori (Gr 31,34) Iniziativa efficace di Dio e prospettiva universalistica
vengono da Gv fuse insieme. Il credente è visto come colui che ha ascoltato il Padre e ha imparato.
Col v. 46 si chiarisce con accento tipicamente giovanneo il fatto che Gesù è l‟unico che ha visto il
Padre (1,18; 5,37; 8,38: 14,9) Gesù si distingue da tutti gli altri mediatori per la sua relazione
fontale con Dio che è per lui il Padre,e di cui egli è l‟Unigenito (1,14)
v.48ss. Gesù si autoproclama nuovamente pane della vita approfondendo il senso di tale
affermazione sulla differenza con il pane del deserto. Ora l‟accento cade sul “mangiare” e sul
“credere” Mangiare come condivisione profonda del destino di Gesù Pane di vita di cui si è
chiamati a nutrirsi.
Con il v.51 si aggiunge pane “vivente” con una qualifica attribuita solitamente a Dio e che dice che
Gesù stesso, nella sua realtà storica è il pane vivo disceso dal cielo avendo dunque l‟autorità di
annunciare che chi mangia di questo pane vivrà in eterno. Siamo al culmine delle affermazioni
cristologiche di Gesù che introducono poi il discorso eucaristico o sacramentale.
Il pane vivo, con cui Gesù identifica se stesso, viene ora identificato più
precisamente con la sua carne. E non a caso ciò scatena nuovamente la mormorazione dei giudei
Pw/j du,natai ou-toj h`mi/n dou/nai th.n sa,rka Îauvtou/Ð fagei/nÈ
SARX è termine che richiama al realismo delle parole di Gesù… autodonazione di se stesso, della
sua sarx, che è contemporaneamente il pane vivo disceso dal cielo per la vita del mondo.
Sono coniugati insieme l‟aspetto dell‟incarnazione storica del Verbo in Gesù e l‟autodonazione
salvifica universale di se stesso come pane di vita… attraverso la morte… qui si va al fondo del
mistero eucaristico nella prospettiva giovannea.
Qui compare improvvisamente anche l‟espressione, non preparata dai dialogi precedenti: “bere il
suo sangue” nella forma di risposta che aggrava la perplessità di chi già si poneva la domanda sul
mangiaare la carne. Mangiare la carne e bere il sangue risultano in ogni caso aberrazioni dal punto
di vista religioso giudaico. Sangue e carne di Gesù sono associati nell‟interpretazione eucaristica,
ma ancor prima nella concezione cristologica di Gv cfr 19,34: Il sangue è lo spirito vitale di cui
l‟uomo non può impossessarsi (Lv 17,11) Ma sangue e carne di Gesù diventano in Gv il dono di
Dio, dono completo per l‟uomo.
Nelle espressioni conclusive si riprendono gli elementi del dialogo. Gesù è il pane di vita in quanto
comunica la vita piena e definitiva a chi lo assimila interiormente nella fede che a sua volta si attua
nel mangiare e bere sacramentale.
Il luogo, la sinogaga è, insieme al tempio, ambito tradizionale dell‟insegnamento di Gesù.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 74
60-66 Compaiono poi sulla scena i discepoli di Gesù di cui non si era parlato più dopo la traversata
del lago.
60 Polloi. ou=n avkou,santej evk tw/n maqhtw/n auvtou/ ei=pan(
Sklhro,j evstin o` lo,goj ou-toj\ ti,j du,natai auvtou/ avkou,einÈ
Il discorso o` lo,goj di Gesù è duro Sklhro,j con un interrogativo che è simile a quello dei giudei.
61 eivdw.j de. o` VIhsou/j evn e`autw/| o[ti goggu,zousin peri. tou,tou oi` maqhtai. auvtou/ ei=pen auvtoi/j(
Tou/to u`ma/j skandali,zeiÈ
62 eva.n ou=n qewrh/te to.n ui`o.n tou/ avnqrw,pou avnabai,nonta o[pou h=n to. pro,teronÈ
Alla domanda dei discepoli segue la risposta di Gesù sotto forma di domanda che va al centro della
questione di fede in Gesù Cristo come Figlio dell‟Uomo disceso dal cielo. Lo scandalo è connesso
con un punto nevralgico della fede: umanità reale a cui corrisponde la reale appartenenza al mondo
di Dio. Segue la frase sullo spirito e vita che è costruita con un parallelismo concentrico
63 to. pneu/ma, evstin to. zw|opoiou/n( h` sa.rx ouvk wvfelei/ ouvde,n\
ta. r`hm, ata a] evgw. lela,lhka u`mi/n pneu/ma, evstin kai. zwh, evstinÅ
64 avllV eivsi.n evx u`mw/n tinej oi] ouv pisteu,ousinÅ
La stessa contrapposizione spirito – carne che si trova nel dialogo con Nicodemo (Gv 3,6.8) Le
parole sono spirito e vita vanno intese nel contesto pasquale esplicitamente evocato in precedenza.
Si pone l‟accento sul ruolo dello Spirito e questo a sua volta è identificato con le parole di Gesù.
Partecipare al dinamismo vitale dello Spirito, delle parole stesse di Gesù.
In contrasto con l‟incredulità di alcuni discepoli, sta la successiva testimonianza dei DODICI
h;|dei ga.r evx avrch/j o` VIhsou/j ti,nej eivsi.n oi` mh. pisteu,ontej kai. ti,j evstin o` paradw,swn auvto,nÅ
65 kai. e;legen(
Dia. tou/to ei;rhka u`mi/n o[ti ouvdei.j du,natai evlqei/n pro,j me
eva.n mh. h=| dedome,non auvtw/| evk tou/ patro,jÅ
66 VEk tou,tou polloi. ÎevkÐ tw/n maqhtw/n auvtou/ avph/lqon eivj ta. ovpi,sw kai. ouvke,ti metV auvtou/
periepa,tounÅ
67 ei=pen ou=n o` VIhsou/j toi/j dw,deka(
Mh. kai. u`mei/j qe,lete u`pa,geinÈ
68 avpekri,qh auvtw/| Si,mwn Pe,troj(
Ku,rie( pro.j ti,na avpeleuso,meqaÈ r`h,mata zwh/j aivwni,ou e;ceij(
69 kai. h`mei/j pepisteu,kamen kai. evgnw,kamen o[ti su. ei= o` a[gioj tou/ qeou/Å
70 avpekri,qh auvtoi/j o` VIhsou/j(
Ouvk evgw. u`ma/j tou.j dw,deka evxelexa,mhnÈ kai. evx u`mw/n ei-j dia,bolo,j evstinÅ
71 e;legen de. to.n VIou,dan Si,mwnoj VIskariw,tou\ ou-toj ga.r e;mellen paradido,nai auvto,n( ei-j evk tw/n
dw,dekaÅ
Pietro risponde a nome dei Dodici prima con un interrogativo retorico, poi fornendo la motivazione
della sua risposta.
Noi abbiamo creduto e conosciuto: Si mette in rilievo il valore fondante della fede appostolica, il
suo ruolo di testimonianza permanente, ma anche l‟adesione totale dei dodici a Gesù e al suo
discorso sul pane di vita.
Tu sei il Santo di Dio: l‟attributo hagios in Gv è dato una volta a Dio, il Padre, tre volte allo Spirito
Santo. Gesù può essere proclamato il Santo di Dio in quanto Figlio inviato e partecipe della realtà
divina del Padre. Ma anche perché ha parole che sono Spirito e vita, è ricolmo cioè dello Spirito e lo
comunica ai discepoli per permettere loro la piena comunione con il Padre.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 75
Il testo si chiude con l‟accenno a Giuda che prepara il tradimento; Giuda rappresenta il fronte degli
increduli partecipando al disegno dell‟oppositore, facendo sì che già si profili la conclusione tragica
di Gesù.
NOTE SUL LINGUAGGIO DELLA SALVEZZA NEL IV VANGELO
1. IL VOCABOLARIO DELLA SALVEZZA NEL IV VANGELO
Il vocabolario specifico della “salvezza”, a partire da una ricerca sui termine soteria/soter/sozo
nel IV Vangelo appare, ad una prima esplorazione, relativamente scarso. L‟insieme dei termini
formati con la stessa radice è utilizzato in non molte occasioni, tutte comprese nella prima parte del
Vangelo, il cosiddetto “Libro dei segni”:
3:17 Dio infatti non mandò il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di
lui.
4:22 Voi adorate ciò che non conoscete; noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei.
4:42 Alla donna dicevano: «Non crediamo più per il tuo discorso. Noi stessi infatti abbiamo udito e sappiamo che è
veramente lui il salvatore del mondo».
5:34 Io però non accetto la testimonianza di un uomo, ma dico questo perché voi siate salvati.
10:9 Io sono la porta. Chi entrerà attraverso di me sarà salvo; entrerà ed uscirà e troverà pascolo.
11:12 Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se è addormentato, si salverà».
12:27 Ora la mia anima è turbata, e che devo dire?... Padre, sàlvami da quest' ora? Ma proprio per questo sono venuto a
quest' ora.
12:47 Se uno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno. Non sono venuto infatti per condannare il
mondo, ma per salvare il mondo.
Lasciamo il testo di 12,27 in cui la salvezza è in riferimento alla pasione di Gesù e alla liberazione
dall‟ora........... Il primo riferimento è in 3,17
Non per condannare ma per salvare (3,17)
Nel dialogo con Nicodemo (3,1-21), in relazione con l‟annuncio dell‟innalzamento del Figlio
dell‟uomo viene esplicitata da parte di Gesù stesso la finalità dell‟invio del Figlio da parte del
Padre ouv ga.r avpe,steilen o` Qeo.j to.n ui`o.n eivj to.n ko,smon avllV i[na kri,na to.n ko,smoj avll i[na
_ swth o` ko,smoj diV auvtou/.. Qui il verbo sw,z| w è usato nel congiuntivo aoristo passivo (Passivo
divino) e finalizzato al o` ko,smoj nell‟accezione ampia (il mondo intero come destinatario della
salvezza) tanto più significativo per il fatto che interlocutore di Gesù è Nicodemo, un capo dei
Giudei (3,1). La spiegazione sulla finalità salvifica universale dell‟invio del Figlio da parte del
Padre è posta in relazione immediata con la “condanna del mondo” attraverso una costruzione
parallela dei membri:
avllV i[na kri,na to.n ko,smoj
avll i[na _ swth o` ko,smoj
Ciò chiarisce immediatamente la particolare funzione salvifica del Figlio dell‟uomo, diversa
da quanto risulta dalla letteratura apocalittica coeva (vedi per es. il libro delle parabole di Enoch in
cui il Figlio dell‟uomo è giudice escatologico), funzione rimandata, nei testi neotestamentari, al
ritorno del figlio dell‟uomo nella gloria (Cf. Mc 14,62//Mt 26,64) che riprende la nota immagine di
Daniele 7:13 evqew,roun evn o`ra,mati th/j nukto.j kai. ivdou. evpi. tw/n nefelw/n tou/ ouvranou/ w`j ui`o.j
avnqrw,pou h;rceto kai. w`j palaio.j h`merw/n parh/n kai. oi` paresthko,tej parh/san auvtw/|
13
Io guardavo nelle visioni notturne: ecco sulle nubi del cielo venire uno simile a un Figlio d'
uomo; arrivò fino all' Antico di giorni e fu fatto avvicinare davanti a lui. 14 A lui fu concesso
potere, forza e dominio e tutti i popoli, le nazioni e le lingue lo servirono. Il suo potere è un potere
eterno che non finirà e il suo dominio è un dominio eterno che non sarà distrutto.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 76
La stessa chive del chiarimento circa la missione di Gesù - Figlio dell‟uomo, la troviamo in un
punto molto significativo del IV Vangelo, a conclusione del libro dei segni:
12:47 Se uno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno. Non sono venuto infatti
per condannare il mondo, ma per salvare il mondo.
Qui il verbo sw,|zw è usato alla prima persona del congiuntivo aoristo e la costruzione, come
nel caso precedente (3,17) presenta un parallelismo antiteico
12:47 ouv ga.r h=lqon i[na kri,nw to.n ko,smon
avll i[na sw,sw to.n ko,smon
Circa questa finalità di salvezza universale abbiamo qualcosa di analogo in Lc 19:10 Infatti il Figlio
dell' uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto». E Mt 18:11 «Infatti, il Figlio dell'
uomo è venuto a trarre in salvo ciò che era perito.
Ma l‟accentuazione del testo giovanneo è in questo senso molto più forte.
È inoltre da notare che la funzione di giudizio, a cui è collegata tradizionalmente la figura del
Figlio dell‟Uomo e che viene rinviata al ritorno del Cristo Risorto nei Vangeli sinottici, viene
richiamata da Giovanni come qualcosa di attualmente presente: il giudizio si ha già qui
nell‟atteggiamento che l‟uomo assume nei confronti del Figlio dell‟uomo
Gv 3:19 19 Ora il giudizio è questo: la luce venne nel mondo, ma gli uomini hanno amato più
le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie.
Gv 12:48 48 Colui che mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo giudica. La parola
che ho pronunciato, quella lo giudicherà nell' ultimo giorno;
in ambedue i casi, dunque, la specificazione della finalità della venuta del figlio dell‟uomo è
contrapposta alla finalità del giudicare il mondo, quale attività positiva del FdU, ma nello stesso il
giudizio del mondo avviene già nel momento in cui il mondo, l‟uomo, prende posizione in
relazione alla persona dell‟inviato del Padre.
La proposta di salvezza è strettamente legata alla persona dell‟inviato del Padre e diventa
motivo di giudizio (di condanna) nell‟opposizione al Figlio. L‟aspetto soteriologico e quello
cristologico risultano strettamente collegati.
1.2. Connessione di “salvezza con vita/luce”
Vogliamo ancora fare qualche osservazione sui due testi citati: in ambedue i testi il tema della
salvezza proposta dal Padre nella persona del Figlio sono connessi con i termini “vita” e “luce”.
Nel capitolo 3, il v. 17 in cui si cita il verbo salvare, appare come parte della spiegazione che
Gesù dà, in occasione del dialogo con Nicodemo, circa la missione del Figlio. Gesù, come l‟inviato
del Padre disceso dal cielo parla per l‟esperienza di FdU, il solo che è salito al cielo
13
Nessuno è salito al cielo se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell' uomo, che è in
cielo.
Qui la prospettiva è post-pasquale: Giovanni parla a partire dall‟esperienza dell‟innalzamento
del FdU che “attualmente” è nel seno del Padre (1,18). Tale posizione attuale passa attraverso
l‟innalzamento del FdU sulla croce
14
E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così deve essere innalzato il Figlio dell' uomo,
15
affinché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Qui la finalità salvifica universale che
verrà espressa più avanti (v.17) viene espressa in termini di ottenimento della zwh.n aivwn, ion
concetto ribadito subito dopo con il v. 16
16
Dio infatti ha tanto amato il mondo, che ha dato il Figlio suo Unigenito affinché chiunque
crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna
E ripreso, dopo il v. 17 con l‟altra importante immagine giovannea, quella della luce:
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 77
19
Ora il giudizio è questo: la luce venne nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le
tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. 20 Poiché: chiunque fa il male odia la luce
e non viene alla luce, perché le sue opere non siano smascherate. 21 Colui invece che fa la verità
viene alla luce, perché si riveli che le sue opere sono operate in Dio».
Viene ripreso il tema del prologo e il rifiuto del FdU è espresso nei termini di rifiuto della luce
che è venuta nel mondo.
Il riferimento ai due termini “vita eterna” e “luce” appare anche, in altro ordine nel cap. 12 già
preso in esame a proposito della finalità salvifica dell‟invio del FdU:
Gv 12:44-50 44 Gesù proclamò ad alta voce: «Chi crede in me, non crede in me, ma in Colui
che mi ha mandato, 45 e colui che vede me, vede Colui che mi ha mandato. 46 Io, luce, sono venuto
nel mondo affinché chi crede in me non rimanga nelle tenebre. 47 Se uno ascolta le mie parole e
non le osserva, io non lo condanno. Non sono venuto infatti per condannare il mondo, ma per
salvare il mondo. 48 Colui che mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo giudica. La parola
che ho pronunciato, quella lo giudicherà nell' ultimo giorno; 49 perché io non ho parlato da me
stesso, ma il Padre stesso che mi ha mandato mi ha comandato ciò che dovevo dire e pronunciare.
50
E so che il suo comandamento è vita eterna. Ciò che dico, lo dico come il Padre me l' ha detto».
Qui Gesù stesso si identifica con “luce” 12:46 evgw. fw/j eivj to.n ko,smon evlh,luqa e ancora una
volta aspetto determinante rimane l‟atteggiamento che si assume davanti a lui e all‟ascolto delle sue
parole (46-48) con l‟inusuale riferimento giovanneo del giudizio all‟ultimo giorno. Ma anche qui è
la parola di Gesù, la sua missione, voluta dal Padre, ciò che dà la vita eterna.
1.3. La salvezza viene dai giudei (4,22)
Seguendo la disposizione dei capitoli del IV Vangelo, la seconda e terza ricorrenza del
vocabolario specifico della salvezza si trova nel cap. 4. I cap. 3 e 4 che stiamo considerando, sono
accomunati dall‟appartenenza alla cosidetta sezione di Cana (da Cana a Cana 2-4) che diversi
studiosi trovano significativa per il fatto che presenta, in una sorta di primo itinerario nella Terra
Santa che va dalla Galilea alla Giudea e poi nuovamente alla Galilea passando (fatto peculiare al
quarto vangelo) per la Samaria. È anche l‟occasione per l‟incontro con diversi “tipi” di personaggi
che riassumono la tipologia del mondo nel quale Gesù si muoveva (dal simbolico contesto nuziale
della Galilea ai giudei che credettero in lui (2,23), al rappresentante del giudaismo Nicodemo,
all‟incontro con la Samaritana e con il funzionario reale.
È un contesto che si presenta come fondamentalmente aperto all‟annuncio di Gesù, anche da
parte dei giudei che vi sono rappresentati, contrariamente a quanto accadrà a partire dal cap. 5.
In questo contesto il passaggio per la Samaria costituisce un‟occasione particolare di annuncio
per Gesù (e per l‟evangelista) spesso affrontato a partire dalla storia della comunità giovannea (che
comprendeva dei samaritani) piuttosto che come registrazione precisa degli avvenimenti accaduti a
Gesù...
È proprio in Samaria che si registra una delle confessioni di fede più alte del IV Vangelo, da
parte degli abitanti di Sicar:
42
Alla donna dicevano: «Non crediamo più per il tuo discorso. Noi stessi infatti abbiamo
udito e sappiamo che è veramente lui il salvatore del mondo o` swth.r tou/ ko,smou ».
Il titolo non è tipicamente giudaico e sembra derivare proprio dalla lievitazione della cristologia
giovannea che si apre a formulazioni cristologiche non più derivabili direttamente dall‟AT (bassa
cristologia). Proprio questo fatto crea ancora più contrasto con la precedente affermazione di Gesù
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 78
4:22 Voi adorate ciò che non conoscete; noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene
dai Giudei. – analizzata con interesse soprattutto in tempi recenti per il significato che assume nella
rilettura dei rapporti della chiesa con Israele. L‟orientamento dei commenti antichi è infatti limitato
a registrare la parola di Gesù h` swthri,a evk tw/n VIoudai,wn evsti,n come semplice constatazione
della provenienza di Gesù dal popolo giudaico; tale lettura verrebbe confermata dall‟espansione del
significato salvifico di Gesù nel v. 42. dove Gesù è presentato come salvatore del mondo, al di là e,
nella migliore delle ipotesi, come sviluppo della funzione salvifica di Israele.
Le letture attuali del testo che sottraggono la vicenda narrata dal tipo di interpretazione allegoricomorale (la Samaritana come donna da salvare da una condotta di vita sbagliata... i cinque mariti...)
per leggerla invece come allegoria della posizione samaritana rispetto all‟autentica religiiosità,
quella giudaica, e al bisogno della donna-Samaria di una conversione verso l‟unico vero Signore
così come adorato e celebrato nel giudaismo, danno invece maggiore forza all‟affermazione di Gesù
proprio come puntualizzazione che è la fede giudaica che conserva e trasmette la fede autentica e ne
garantisce la portata salvifica.
Qui si apre un capitolo molto interessante per la nostra riflessione circa la relazione teologica tra
chiesa e Israele nel mutato contesto attuale e il significato di una via autentica di salvezza presente
nell‟Alleanza così come vissuta nel giudaismo.... oltre che ad una più ampia considerazione circa il
rapporto della salvezza in Cristo con la proposta di salvezza nelle altre religioni....
1.4. La testimonianza che salva /dà la vita (5,34)
Al capitolo 5, dopo la guarigione dell‟infermo alla piscina di Betzaetà segue un discorso di
Gesù sull‟opera del Figlio, discorso in cui possiamo distinguere due parti (vv. 19-30: il rapporto del
Figlio con il Padre; 31-47: la testimonianza di Gv Batt. e delle Scritture. Il versetto che ci interessa
direttamente è compreso nella seconda parte del discorso laddove il motivo della testimonianza di
Gesù ai giudei è motivato dalla proposta di salvezza.
34
Io però non accetto la testimonianza di un uomo, ma dico questo perché voi siate salvati.
34
evgw. de. ouv para. avnqrw,pou th.n marturi,an lamba,nw avlla. tau/ta le,gw i[na u`mei/j swqh/te
swqh/te è un congiuntivo aoristo passivo (già trovato in precedenza) che si riferisce all‟azione
salvifica di Dio-Padre come si esplicita nel contesto. Il “riceverre la testimonianza da un uomo”
sembra essere contrapposto alla finalità del donare la salvezza come una possibile motivazione
alternativa dell‟azione di Gesù, cosa che egli contesta e che motiva la riflessione successiva, e
l‟accusa del ricercare la gloria gli uni dagli altri (v. 44) rivolta ai giudei presenti.
Si osserva che anche in questo capitolo, ciò che precede e segue l‟affermazione di Gesù al
v.34 viene connesso in positivo al dono della vita. È questa capacità divina che viene condivisa dal
Figlio
21
Come infatti il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a coloro che
vuole.
Subito dopo il dono della vita, precedentemente connotato come la capacità del Padre di far
risuscitare I morti, viene specificato come dono attuale, sottratto alla pura prospettiva della vita
come risurrezione dai morti:
24
In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a Colui che mi ha mandato, ha la
vita eterna e non incorre nel giudizio, ma è passato dalla morte alla vita.
La salvezza come vita è dunque dono del Padre messo a disposizione nella attività del Figlio
che non si attua solo nella prospettiva di una vita dopo la morte come salvezza (Vita
eterna/risurrezione) ma come dono attuale che sottrae al giudizio
Gv 5:24 24 VAmh.n avmh.n le,gw u`mi/n o[ti o` to.n lo,gon mou avkou,wn kai. pisteu,wn tw/| pe,myanti, me
e;cei zwh.n aivwn, ion kai. eivj kri,sin ouvk e;rcetai avlla. metabe,bhken evk tou/ qana,tou eivj th.n zwh,n
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 79
I verbi sono al presente, tranne metabai,nw che è all‟indicativo perfetto attivo, indicando cioè
una azione compiuta e di cui si vivono le conseguenze attualmente.
In tal senso (della attualità della salvezza/vita) va anche il versetto successivo
25
In verità, in verità vi dico: viene un' ora, ed è adesso, in cui i morti udranno la voce del
Figlio di Dio e coloro che l' avranno ascoltata vivranno. 26 Come infatti il Padre ha la vita in se
stesso, così ha dato anche al Figlio di avere la vita in se stesso; 27 e gli ha dato il potere di fare il
giudizio, perché è Figlio dell' uomo.
Sul concetto di vita si ritorna dopo il v. 34, in relazione alla parte del discorso connessa alla
testimonianza di Giovanni e delle scritture:
. 39 Voi scrutate le Scritture, perché per mezzo di esse pensate di avere la vita eterna: sono
proprio esse che mi rendono testimonianza. 40 Ma voi non volete venire a me per avere la vita.
Qui la possibilità di avere la vita eterna è nuovamente connessa alla persona stessa di Gesù e
alla relazione che si sceglie di vivere con lui. La conclusione amara di Gesù, che dice “questo
perché voi siate salvati”, è che essi non vogliono esserlo 40 Ma voi non volete venire a me per
avere la vita.
1.5. Io sono la porta. Chi entrerà attraverso di me sarà salvo; (10,9)
Un‟altra nota immagine giovannea, introdotta dalla solenne affermazione peculiare al IV
evangelo “IO SONO” evgw, eivmi h` qu,ra\ è quella della porta attraverso cui passare per essere salvi
swqh,setai (indicativo futuro passivo). Ashton (184) fa notare che tutti i detti con l‟Io Sono
contengono una promessa di vita (la metafora centrale per il IV Vangelo per indicare i benefici
connessi alla fede). Di conseguenza ognuno di essi rappresenta un vangelo in miniatura (cf. 20,31).
Anche qui il contenuto dell‟essere salvi (essere salvati da Dio – Padre) consiste nel dono della
vita come esplicita Gesù stesso nelle parole che seguono, attraverso l‟immagine di morte collegata
alle intenzioni del mercenario contrapposta all‟intenzione di Gesù:
10
Il ladro non entra che per rubare, sgozzare e distruggere.
Io sono venuto perché abbiano la vita e l' abbiano in sovrabbondanza.
il dono della vita è reso più evidente dall‟avverbio: kai. perisso.n e;cwsin
All‟immagine della porta dell‟ovile segue quella più nota del buon pastore 11 “Io sono il buon
pastore. Il buon pastore dà la sua vita per le pecore.” Contrapposta a quella del mercenario. Qui è
interessante osservare che il dono della vita come bene per l‟uomo avviene attraverso la consegna
della vita di Gesù stesso, vita che Egli ha il potere di riprendere:
17
Per questo il Padre mi ama, perché io do la mia vita per riprenderla di nuovo. 18 Nessuno
me la toglie, ma io la do da me stesso. Ho il potere di darla e ho il potere di riprenderla. Questo è il
comando che ho ricevuto dal Padre mio».
1.6. Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se è addormentato, si salverà» (11,12)
L‟ultimo riferimento al termine salvezza/salvare, lo abbiamo nel capitolo 11, a proposito della
risurrezione di Lazzaro, laddove l‟equivoco dell‟interpretazione dei discepoli circa la situazione di
Lazzaro li porta a concludere che poiché dorme “si salverà” Gv 11:12 12 ei=pan ou=n oi` maqhtai.
auvtw/| Ku,rie eiv kekoi,mhtai swqh,setai, dove troviamo ancora un indicativo futuro passivo con il
possibile significato riflessivo, che spesso si preferisce tradurre con “guarirà”. La differente
traduzione indica la possibile duplice lettura a partire dal contesto immediato (Se è solo
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 80
addormentato si riprenderà...) o dal significato sotteso ma ben evidenziato dalle precedenti parole di
Gesù circa l‟essere addormentato di Lazzaro da cui verrà risvegliato e quanto poi segue...
È in particolare nel dialogo con Marta, secondo la tecnica giovannea del dialogo che segue il
segno, ma in questo caso rovesciato nell‟ordine, che appare il senso dell‟azione che Gesù sta
compiendo:
11:25 Le disse Gesù: «Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se morisse, vivrà;
Qui abbiamo la proclamazione più solenne di Gesù che connette la sua opera salvifica con il
dono della vita al di là della morte, nel suo significato letterale ma anche nel significato sotteso
circa la vita che l‟uomo può ottenere nell‟incontro con Gesù. Il fatto è reso ancora più evidente dalla
contrapposizione operata con il continuo riferimento alla “morte” che appare vittoriosa.
La Risurrezione non occorre cercarela oltre, verso un al di là, essa è già presente “Io sono”. Qui
coincide il senso di “salvezza” come liberazione da morte e attualità della salvezza presente in Gesù
Cristo. E la vita non è il bene dato come oggetto della salvezza, è invece la salvezza stessa come
radicale liberazione dal male in tutte le sue espressioni (la vita in abbondanza).
A Gesù è stata attribuita la potenza del Padre, quella di vivificare (5,21) e di farla intimamante sua
(5,26) una potenza già mostrata mediante gli altri grandi segni compiuti sugli infermi (4,50-53 con
il triplice ze).
La vita fisica, che è tornata in una salma in putrefazione, non è che un pallido riflesso di quella vera
vita che Gesù risveglia nel credente. (cf. Schnackenburg)
A proposito ancora di 11,25 Schnack. dice che l‟associazione di “risurrezione” e “vita” non è un
pleonasmo. Doveva essere nominato prima “risurrezione”, ma “vita”, che alcuni manoscritti
omettono, costituisce l‟aggancio necessario alla affermazione che segue, che è rivolta a tutti i
credenti e schiude loro il significato del grande segno. Per contenuto, la “vita” spiega soltanto ciò
che è detto con “risurrezione”, ne mette in evidenza ciò che questa contiene, come avviene per altre
parole simboliche.
Segue il parallelismo sinonimico chi crede in me, anche se muore vivrà....... l‟enunciato sulla vita è
tutte e due le volte alla fine della frase.
2. VITA COME SALVEZZA NEL IV VANGELO
Da quanto osservato sopra, la restrizione del tema della salvezza al vocabolario specifico
esaminato soteria/soter/sozo appare limitato. Abbiamo osservato come il concetto stesso di salvezza
sia correlato a quello di vita/vita eterna/luce e opposto a quello di morte (giudizio)/tenebra secondo
lo stile proprio di Giovanni. Osserviamo altresì come lo stesso termine vita ricorra in maniera
assolutamente più ampia in Gv rispetto ai sinottici:
Vita nei 4 vangeli
Total Number of Verses in Version: 35366
Number of Hits in Version: 93
Number of Verses with Hits in Version: 79
"Book/Chapter", "Hits", "Number of Verses in Book/Chapter"
"Joh ", 46, 879
"Luk ", 19, 1151
"Mat ", 18, 1071
"Mar ", 10, 678
2.1. A partire dalla conclusione: kai. i[na pisteu,ontej zwh.n e;chte evn tw/| ovno,mati auvtou/
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 81
In realtà il lettore del IV Vangelo non può fare a meno di osservare come proprio la sintesi
conclusiva offerta da Giovanni in 20,30-31 abbia a che fare con il concetto di vita/salvezza. Al
contrario di Luca, Giovanni offrre a conclusione (la cosiddetta “prima conclusione”) il motivo della
sua testimonianza evangelica
Gv 20 30 Gesù in presenza dei discepoli fece ancora molti altri segni, che non sono scritti in
questo libro. 31 Questi sono stati scritti affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e,
credendo, abbiate la vita nel suo nome.
Alla necessità di offrire una memoria ordinata dei fatti, a cui si richiama Luca, Giovanni
esplicita il motivo della sua testimonianza con l‟avere la vita nel suo nome.
Anche Schnackenburg come la maggior parte degli esegeti, ritiene che il “perché crediate” al
di là delle varianti testuali che presentano un aoristo ingressivo al posto del presente, ritiene che i
destinatari sono coloro che già credono a cui il vangelo è indirizzato come memoria autentica e
annuncio della fede. Non si tratterebbe dunque di uno scritto missionario ma di una testimonianza
che intende rafforzare la fede nei seguaci di Gesù. Altri preferiscono mantenere insieme i due
aspetti, quello dell‟approndimento della fede e qeuello missionario (cf. Mannucci).
«L‟aggiunta di questa breve frase prova ancora una volta che per Gv non si dà cristologia
staccata dalla soteriologia. Il IV Vangelo vuole essere soprattutto messaggio di salvezza. Il
Rivelatore incarnato, il Figlio di Dio, è il portatore di vita agli uomini caduti preda della morte, e in
questo senso è il Messia. L‟unica cosa richiesta agli uomini per ottenere questa vita divina, è la
fede, come mette in rilievo il pisteu,ontej posto al centro della frase e indicante il mezzo necessario
per conseguire il fine» (vol. II p. 226s.). L‟orientamento di diversi esegeti è a ricondurre la frase
finale del Vangelo alla frase conclusiva delle fonte dei segni.
La finalità della testimonanza giovannea è dunque la fede dei suoi destinatari e, in ultima
istanza, ottenere la vita nel suo nome. La vita di cui qui si parla, intesa evidentemente come bene
supremo a cui possa aspirare l‟ascoltatore, è colegata strettamente al “nome” di Gesù il Cristo, il
Figlio di Dio. Nel suo nome è espressione nota nel contesto biblico per esprimere la persona che il
nome rappresenta.
La Vita come Luce
L‟interesse alla tematica cresce non solo con l‟osservazione dei tanti passi precedenti in cui in
maniera diversa si fa riferimento allo stesso concetto, ma anche per la corrispondenza di quanto
detto alla fine con l‟inizio del Vangelo a proposito del LOGOS:
1:4 evn auvtw/| zwh. evsti,n kai. h` zwh. h=n( to. fw/j tw/n avnqrw,pwn(
In lui è la vita e la vita era la luce degli uomini.
Si osservi come i due concetti, di vita e luce che al di là dei riferimenti ad ambienti ellenistici
e gnostici hanno il loro forte radicamento nell‟AT ebraico, traducano simbolicamente l‟esigenza
antropologica di vita in due termini fondamentali dell‟esperienza del vivere, della possibilità della
vita. Non a caso la prima opera che Dio compì fu la creazione della luce, esigenza fondamentale del
vivere che a sua volta si trasformerà in simbolo del dono di Dio all‟uomo: la Torah nel pensiero
giudaico, Gesù luce del mondo nel pensiero cristiano.
Le parole di apertura del prologo collegano immediatamente sia per il riferimento alla Davar
di Dio che al tema della creazione, della luce... all‟apertura della Torah con la narrazione
dell‟origine della vita secondo la Bibbia. Un tema che verrà sviluppato in particolare con
l‟immagine dell‟albero della vita disponibile al centro dell‟Eden e reso indisponibile con
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 82
l‟allontanamento da Eden causato dal peccato d‟origine. La tematica, fondamentale nel secondo
racconto di creazione (molto più sviluppata è la riflessione intorno all‟albero della conoscenza del
bene e del male, anche perché mentre questa immagine è esclusiva della Bibbia, quella dell‟albero
della vita è molto più conosciuta già nell‟antichità preisraelitica cf. epopea di Gilgamesh), la
tematica riapparirà a conclusione della Bibbia cristiana, con il libro dell‟Apocalisse dove si ritorna
sulla stessa immagine:
Ap 22: 12 Ecco: vengo presto; con me ho la mercede che darò a ciascuno secondo le sue
opere. 13 Io sono l' Alfa e l' Omega, il Primo e l' Ultimo, il Principio e la Fine. 14 Beati coloro che
lavano le loro vesti, così da poter mangiare dall' albero della vita ed entrare attraverso le porte nella
città.
22:14 maka,rioi oi` plu,nontej ta.j stola.j auvtw/n i[na e;stai h` evxousi,a auvtw/n evpi. to. xu,lon th/j
zwh/j( kai. toi/j pulw/sin eivse,lqwsin eivj th.n po,lin\
L‟ingresso alla città santa, alla Gerusalemme del cielo, è promesso a coloro che avranno
lavato le proprie vesti ( i martiri) e che saranno ammessi a mangiare dall‟albero della vita.
Non si vuole insistere qui sulla corrispondenza, si direbbe una inclusione tematica tra l‟inizio
e la fine di Giovanni e l‟inizio e la fine della Bibbia sul tema della vita, ma indicare come esso è
collegato nella telogia biblica sia alla protologia che all‟escatologia tanto da esprimere, appunto
nell‟immagine particolare dell‟albero della vita, quella disponibilità di vita totale che è
nell‟aspirazione più profonda dell‟uomo rappresentando nella linea temporale della narrazione
biblica il suo principio e la sua destinazione rispetto alle quali la realtà storica risulta inadeguata. Si
definisce così non tanto il limite iniziale e finale della narrazione biblica quanto piuttosto il contesto
generale di senso nel quale si inseriscono anche le azioni storiche del Dio della salvezza che si
manifesta nella storia di Israele come il liberatore e nella persona di Gesù Cristo come il definitivo
liberatore dai vincoli del male. È questa chiave storica, di storia di salvezza, appunto, che fa
emergere il concetto di salvezza come fondamentale nella teologia giudaica e cristiana: liberazione
dal male nella sua contingenza storica, per l‟aspirazione più profonda che è la liberazione da ogni
male come positivamente viene espresso nell‟esigenza di vita.
Vita eterna
Una problematica connessa direttamente con il testo giovanneo è legata all‟espressione “vita
eterna” e al valore che nella riflessione cristiana è stato dato a questa specificazione della vita in un
senso solitamente percepito nel suo valore temporale e collegato con l‟al di là.
l‟espressione “vita eterna” nel IV Vangelo, si osservi bene, non è presente nella frase
conclusiva del cap. 20.
A favore di questa interpretazione sembra testimoniare il dialogo con Nicodemo 3.15.16
[15]perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna».
[16]Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede
in lui non muoia, ma abbia la vita eterna.
Lo stesso concetto è rafforzato sempre nel cap. 3 nell‟ultima testimonianza di Giovanni
Battista:
[36]Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma
l'ira di Dio incombe su di lui».
Qui il contrario del crederte in Gesù è espresso con la disobbedienza: in questo caso rimane su
di lui l‟ira di Dio.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 83
Diversi altri testi presentano la vita come vita eterna. Ma ve ne sono alcuni che non fanno
pensare al senso unico della vita ultraterrena come 5, [24]In verità, in verità vi dico: chi ascolta la
mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è
passato dalla morte alla vita.
Così pure 6 [47]In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna.
6, [54]Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo
giorno.
10[28]Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano.
12[25]Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita
eterna.
Ma soprattutto il testo di 17[3]Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e
colui che hai mandato, Gesù Cristo.
L‟esame di Bultmann: confronto con il concetto gnostico di vita/morte: Gv in antitesi con essa.
aivwn, ioj (aggettivo usato in questo modo solo in connessione con
“vita” e “morte”)
Sempre in relazione ai sintottici, è interessante notare che l‟unico parallelo sul tema della salvezza
si può trovare in Gv 12,25 (//Mc 16,25//Mt 8,35// Lc 9,24) e in questo caso il termine salvezza dei
sinottici è sostituito con “vitas eterna”:
In Gv 17 volte su 46 si tratta di “vita eterna”
16:25 o]j ga.r eva.n qe,lh|
th.n yuch.n auvtou/
sw/sai( avpole,sei
auvth,n\ o]j dV a'n
avpole,sh| th.n yuch.n
auvtou/ e[neken evmou/
eu`rh,sei auvth,n
8:35 o]j ga.r eva.n qe,lh|
th.n yuch.n auvtou/
sw/sai( avpole,sei
auvth,n\ o]j dV a'n
avpole,sei th.n e`autou/
yuch.n e[neken evmou/ kai.
tou/ euvaggeli,ou( sw,sei
auvth,nÅ
9:24 o]j ga.r eva,n qe,lh|
th.n yuch.n auvtou/
sw/sai( avpole,sei
auvth,n\ o]j dV a'n
avpole,sh| th.n yuch.n
auvtou/ e[neken evmou/( outoj sw,sei auvth,nÅ
12:25 o` filw/n th.n
yuch.n auvtou/ avpollu,ei
auvth,n\ kai. o` misw/n
th.n yuch.n auvtou/ evn
tw/| ko,smw| tou,tw| eivj
zwh.n aivw,nion fula,xei
auvth,nÅ
Zoe aionios dove aion corrisponde alla traduzione greca dell‟ebr. „olam, un periodo senza inizio o
fine visibile. Ma anche senza l‟aggettivo aion, in Gv ZOE non si riferisce alla vita naturale
La peculiarità del concetto di vita rispetto ai sinottici: dal riferimento chiaro al futuro escatologico
(vita eterna) al tempo presente (3,15.16.36 ecc. 5,24). La vita eterna in Mc è il dono escatologico
della salvezza Così in Mt e prevalentemente in Lc anche se questi c‟è qualche riferimento anche alla
vita terrena.
Per Gv il confronto tra vita terrena (che si può perdere) e vita eterna (imperitura) non va inteso in
senso temporale ma in senso qualitativo. “Questo mondo” si contrappone non al “mondo futuro” ma
al mondo “superiore” (8,23) alla sfera divina.
Per dire la vita corporea Gv usa psyche (13,37; 15,13, che nei sinottici indica l‟esistenza vera,
imperitura) mentre per indicare la vita vera, divina, usa Zoe (aionios). Evita, quasi come tutto il NT
l‟uso di Bios.
Eppure è la vita naturale che ha suggerito l‟uso ampliato del termine, come simbolo di un dono
speciale di Dio, coerentemente all‟insegnamento biblico. La vita naturale è il bene più prezioso
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 84
dell‟uomo, simbolo del dono di Dio fuori della portata dell‟uomo. Il più grande atto di amicizia di
Dio nei confronti dell‟uomo è descritto analogicamentenei termini di partecipazione alla vita divina.
Dodd Interpretation 144-150 presenta paralleli veterotestamentari e rabbinici di Gv ma cita anche
testi ermetici e gnostici come esempi del mondo di pensiero filosofico greco in cui Gv ha introdotto
il concetto semitico di vita eterna.
L‟espressione ebraica alla base di ZOE AIONION è HAYYE „OLAM. Il riferimento esplicito si
trova solo in Dn 12,2 dove si dice che i giusti si risveglieranno alla vita eterna (epoca tarda del
pensiero dell‟AT)
Paolo usa ancora spesso zen per la vita terrena, non è ancora così specificamente termine religioso
come in Gv.
--Buona sintesi sui tratti distintivi del concetto giovanneo di vita in Shnackenburg p. 579 (anche sulla
relazione vita-salvezza) Per l‟autore “anche per la scelta del concetto di “vita” e per la sua
elevazione a espressione principale del conseguimento della salvezza “Gv dipende dall‟ambiente.”
P. 585.
Influenze ellenistiche e gnostiche.
Interessante: “Donde veniamo, dove andiamo e quale sia il significato dell‟umana esistenza sono
interrogativi che venivano spontanei agli uomini di allora, ed erano tante le offerte di vie di
salvezza. ... Anche per il concetto di vita Gv è debitore più di quanto si sia pensato, al mondo
giudaico. Ciò emerge anche dalla concezione antropologica unitaria dove non si contrappone
corpo/anima, una parte più elevata dell‟uomo o a qualcosa che abbia a che fare con l‟immortalità
dell‟anima».
Molto importante sulla ricerca di salvezza da parte dell‟uomo p. 586s., in particolare il fatto che
l‟idea di vita eterna è collegata piuttosto alla salvezza personale. Sembra non avere risvolti di tipo
sociale-comunitario anche se, dice Schn, bisogna comunque pensare che per l‟ottenimento di quella
vita è previsto il vivere rapporti fraterni con gli altri e dunque l‟ottenimento di quella vita/salvezza è
comunque collegato con l‟idea di amore del prossimo... cfr. loc.
Molto chiaro e importante il testo di Bultmann, Teologia del Nuovo Testamento, p. 367s.:
“ La missione del Figlio è l‟atto di amore di Dio” (1Gv 4,9 e Gv 3,16)
Che l‟invio e la missione del Figlio sia l‟apparizione dell‟amore di Dio viene detto non solo
attraverso il contenuto della frase ma anche attraverso la sua formiulazione.....
Si realizza così, per coloro che credono in Gesù come al Figlio inviato di Dio, il senso di questa
missione: essi ricevono l‟amore di Dio (1Gv 4,16; cf. Gv 17,26; 1Gv 2,5; 3,17; 4,7-12) mentre colui
che ama il mondo non viene avvolto dall‟amore di Dio (1Gv 2,15).
Il fatto che l‟amore di Dio è il fondamento della missione del Figlio trova espressione nel modo in
cui si parla del fine di questo suo essere inviato, di questo suo venire. Egli è venuto nel mondo
unicamente per testimoniare la verità (18,37) in qualità di luce perché chi crede in lui non rimanga
nelle tenbre (12,46), perché abbiano la vita e l‟abbiano in abbondanza (10,10; Dio lo ha dato perché
chiunque crede in lui abbia la vita eterna (3,16) o che Dio lo ha inviato nel mondo (1Gv 4,9) oppure
perché avessimo la vita per lui (1Gv 4,10)
In senso più generale Dio lo ha inviato perché il mondo si salvi per mezzo di lui (3,17) Perciò può
essere chiamato il salvatore del mondo (4,42; 1Gv 4,14) Il titolo è la designazione specificamente
ellenistica del salvatore , ma il senso della miossione viene espresso più frequentemente con titoli
provenienti dalla tradizione del giudaismo e del cristianesimo primitivo....
Gesù è il salvatore escatologico, la sua venuta è l‟evento escatologico.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 85
Gv 13-16 + 17
Il grande discorso di Addio e la Preghiera al Padre
Per questa parte, oltre ai commentari già citati, cfr. U.NERI, L‟addio di Gesù ai discepoli: Il
discorso della grande consolazione (Gv 13-16), Ed. San Lorenzo «Sussidi Biblici» N.75, Reggio
Emilia 2001.
Di tutto il Vangelo di Giovanni, di cui abbiamo finora apprezzato alcune peculiarità rispetto ai
sinottici, questa parte è senza dubbio la più originale. Insieme ai grandi temi cristologici e trinitari,
vi sono questioni importantissime anche per lo sviluppo della teologia e per il conseguente
atteggiamento pastorale nei nostri giorni: il rapporto tra l‟unicità di Gesù Cristo e della sua
rivelazione e il pluralismo religioso; l‟atteggiamento verso il mondo…
Per quanto riguarda la forma letteraria del discorso di Addio, vengono richiamati i diversi
“testamenti” della lettaratura testamentaria ebraica (cf. Moloney. J., Il Vangelo di Giovanni, 329s.)
a partire dal II a.C. (test. 12 Patriarchi) al III d.C. (Test. Salomone) o anche più tardi, come
testimoniano parti del Test. Di Adamo. Charlesworth, Pseudoepigrapha 1,773 ritiene che si possa
ritrovare in essi un formato comune, benchè non del tutto uniforme. Anche nel discorso di Addio di
Gesù troviamo alcuni elementi che possono rientrare in questo tipo di comunanza non rigida.
Il grande discorso di Addio si discosta per molti particolari dai “testamenti” a cui si fa riferimento
ma nondimeno presenta alcune analogie.
- La predizione della morte e l’annuncio della partenza, l‟addio ambientato talvolta in un
pasto comune (T.Neft. 1,2-5; 9,2) L‟accenno alla morte si trova in tutti i testamenti
- Predizione delle persecuzioni dopo la morte del capo (Test. Sim 3,1-2; Test. Gad 4,1-7) si
prevedono talvolta anche defezioni da parte dei discepoli.
- Esortazione a una condotta ideale è una caratteristica comune
- Ingiunzione finale: la raccomandazione ad essere un gruppo unito anche dopo la morte
della guida
- Conferma delle promesse di Dio, in tutti i testamenti, cf in particolare il Test. Di Mosè
- Dossologia conclusiva di solito con la preghiera di lode a Dio
- Tutti i testamenti si riferiscono alle parole di un patriarca in punto di morte richiamando le
storie bibliche e popolari intorno al personaggio in questione, così come Giovanni
richiama la tradizioni relative alla vita e alla morte di Gesù di Nazaret.
Gv 13,1-31
Con il capitolo 13 si apre quel “libro della gloria”, o “dell‟ora” come lo chiamano i diversi
esegeti e che condurrà il lettore fino alla narrazione della passione – morte - risurrezione (18-20)
che pur presentando diversi aspetti originali, riprende la narrazione tipica dei sinottici.
Qui, invece, nel nostro contesto, le cose sono veramente originali:
Siamo davanti alla più lunga unità discorsiva dei Vangeli (prima del famoso discorso della
montagna di Mt 5-7).
Pro. de. th/j e`orth/j tou/ pa,sca
eivdw.j o` VIhsou/j o[ti h=lqen auvtou/ h` w[ra i[na metabh/| evk tou/ ko,smou tou,tou pro.j to.n pate,ra
avgaph,saj tou.j ivdi,ouj tou.j evn tw/| ko,smw| eivj te,loj hvga,phsen auvtou,j
2
kai. dei,pnou ginome,nou tou/ diabo,lou h;dh beblhko,toj eivj th.n kardi,an i[na paradoi/ auvto.n VIou,daj Si,mwnoj
VIskariw,thj
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 86
3
eivdw.j o[ti pa,nta e;dwken auvtw/| o` path.r eivj ta.j cei/raj kai. o[ti avpo. qeou/ evxh/lqen kai. pro.j to.n qeo.n u`pa,gei
4
evgei,retai evk tou/ dei,pnou kai. ti,qhsin ta. i`ma,tia kai. labw.n le,ntion die,zwsen e`auto,n \
5
ei=ta ba,llei u[dwr eivj to.n nipth/ra
kai. h;rxato ni,ptein tou.j po,daj tw/n maqhtw/n
kai. evkma,ssein tw/| lenti,w| w-| h=n diezwsme,noj
6
e;rcetai ou=n pro.j Si,mwna Pe,tron\
le,gei auvtw/| Ku,rie su, mou ni,pteij tou.j po,daj
7
avpekri,qh VIhsou/j kai. ei=pen auvtw/|
}O evgw. poiw/ su. ouvk oi=daj a;rti gnw,sh| de. meta. tau/ta
8
le,gei auvtw/| Pe,troj
Ouv mh. ni,yh|j mou tou.j po,daj eivj to.n aivw/na
avpekri,qh VIhsou/j auvtw/|
VEa.n mh. ni,yw se ouvk e;ceij me,roj met evmou/
9
le,gei auvtw/| Si,mwn Pe,troj
Ku,rie mh. tou.j po,daj mou mo,non avlla. kai. ta.j cei/raj kai. th.n kefalh,n
10
le,gei auvtw/| VIhsou/j
o` leloume,noj ouvk e;cei crei,an Îeiv mh. tou.j po,dajÐ ni,yasqai avll e;stin kaqaro.j o[loj\
kai. u`mei/j kaqaroi, evste avll ouvci. pa,ntej
11
h;|dei ga.r to.n paradido,nta auvto,n\ dia. tou/to ei=pen o[ti Ouvci. pa,ntej kaqaroi, evste
12
{Ote ou=n e;niyen tou.j po,daj auvtw/n
kai. e;laben ta. i`ma,tia auvtou/
kai. avne,pesen pa,lin
ei=pen auvtoi/j Ginw,skete ti, pepoi,hka u`mi/n
13
u`mei/j fwnei/te, me ~O dida,skaloj kai. ~O ku,rioj kai. kalw/j le,gete eivmi. ga,r
14
eiv ou=n evgw. e;niya u`mw/n tou.j po,daj
o` ku,rioj kai. o` dida,skaloj
kai. u`mei/j ovfei,lete avllh,lwn ni,ptein tou.j po,daj\
15
u`po,deigma ga.r e;dwka u`mi/n i[na kaqw.j evgw. evpoi,hsa u`mi/n kai. u`mei/j poih/te
16
avmh.n avmh.n le,gw u`mi/n
ouvk e;stin dou/loj mei,zwn tou/ kuri,ou auvtou/
ouvde. avpo,stoloj mei,zwn tou/ pe,myantoj auvto,n
17
eiv tau/ta oi;date maka,rioi, evste eva.n poih/te auvta,
18
ouv peri. pa,ntwn u`mw/n le,gw\ evgw. oi=da ti,naj evxelexa,mhn\ avll i[na h` grafh. plhrwqh/| ~O trw,gwn mou to.n a;rton
evph/ren evp evme. th.n pte,rnan auvtou/
19
avp a;rti le,gw u`mi/n pro. tou/ gene,sqai i[na pisteu,hte o[tan ge,nhtai o[ti evgw, eivmi
20
avmh.n avmh.n le,gw u`mi/n
o` lamba,nwn a;n tina pe,myw evme. lamba,nei o` de. evme. lamba,nwn lamba,nei to.n pe,myanta, me
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 87
21
Tau/ta eivpw.n VIhsou/j evtara,cqh tw/| pneu,mati kai. evmartu,rhsen kai. ei=pen
VAmh.n avmh.n le,gw u`mi/n o[ti ei-j evx u`mw/n paradw,sei me
22
e;blepon eivj avllh,louj oi` maqhtai. avporou,menoi peri. ti,noj le,gei
23
h=n avnakei,menoj ei-j evk tw/n maqhtw/n auvtou/ evn tw/| ko,lpw| tou/ VIhsou/ o]n hvga,pa Îo`Ð VIhsou/j \
24
25
neu,ei ou=n tou,tw| Si,mwn Pe,troj kai, le,gei auvtw/| eivpe, ti,j evsti,n peri. ou- le,geiÅ
avnapesw.n evkei/noj ou[twj evpi. to. sth/qoj tou/ VIhsou/ le,gei auvtw/| Ku,rie ti,j evstin
26
avpokri,netai ou=n Îo`Ð VIhsou/j VEkei/no,j evstin w-| evgw. ba,yw to. ywmi,on kai. dw,sw auvtw/| ba,yaj ou=n Îto.Ð ywmi,on
lamba,nei kai. di,dwsin VIou,da| Si,mwnoj VIskariw,tou
27
kai. meta. to. ywmi,on to,te eivsh/lqen eivj evkei/non o` Satana/j
le,gei ou=n auvtw/| VIhsou/j o` poiei/j poi,hson ta,cion
28
tou/to Îde.Ð ouvdei.j e;gnw tw/n avnakeime,nwn pro.j ti, ei=pen auvtw/|\
29
tine.j ga.r evdo,koun evpei. to. glwsso,komon ei=cen VIou,daj o[ti le,gei auvtw/| VIhsou/j VAgo,rason w-n crei,an e;comen eivj
th.n e`orth,n h' toi/j ptwcoi/j i[na ti dw/|
30
labw.n ou=n to. ywmi,on evkei/noj evxh/lqen euvqu,j h=n de. nu,x
31
{Ote ou=n evxh/lqen le,gei VIhsou/j
Nu/n evdoxa,sqh o` ui`o.j tou/ avnqrw,pou kai. o` qeo.j evdoxa,sqh evn auvtw/| \
Il capitolo 13 inizia con l‟accenno alla “Pasqua di Gesù”, diversamente dalla “Pasqua dei
Giudei”, come ci eravamo abituati a sentirla chiamare. 13,1 sembra voler introdurre l‟intera parte
che precede il racconto della passione, accennando all‟ “ora di passare da questo mondo al Padre” e
all‟amore di Gesù per “i suoi” «li amò sino alla fine». L‟ora non era ancora venuta in passaggi
precedenti: 2,4; 7,30; 8,20) mentre viene annunciata al termnine del libro dei segni (11,55-57;
12,20-24. 27-33).
Si osservi l‟uso di kosmos in una delle tre accezioni giovannee (qui quella neutra).
eivdw.j o` VIhsou/j o[ti h=lqen auvtou/ h` w[ra ... avgaph,saj tou.j ivdi,ouj ... hvga,phsen auvtou,j
una serie di aoristi “gnomici” con valore universale (non collegati ad un tempo specifico).
Il diavolo aveva già messo nel cuore a Giuda: beblhko,toj eivj th.n kardi,an l‟espressione in se
significa “aver messo in testa qualcosa” o anche “aver deciso che”.
Togliere – riprendere le vesti richiama espressioni usate nel cap. 10 a proposito del buon pastore
(togliere-riprendere la vita): 10,17 dia. tou/to, me o` path.r avgapa/| o[ti evgw. ti,qhmi th.n yuch,n mou i[na
pa,lin la,bw auvth,n ; 10,18 ecc.
Vv 6-11 Lavare i piedi ai discepoli fa parte del disegno di Dio (vv. 1-5) e il rifiuto di Pietro si
presenta come ostacolo dovuto all‟incomprensione di ciò che Gesù sta per compiere, segnala una
mancanza di apertura verso il piano divino. Ci sarà tuttavia un momento nel quale la comprensione
avverrà e alla quale Gesù rinvia (o anche l‟evangelista) come in casi precedenti (2,13-22; 12,12-16).
v. 8b. “Essere messo a parte” sembra essere un velato richiamo alla pratica battesimale: il lavaggio
indica la partecipazione all‟autodonazione di Gesù; così l‟essere già purificati indicherebbe
l‟esistenza cristiana già salvata in Cristo.
Al v. 15: u`po,deigma ga.r e;dwka u`mi/n
Hypodeigma, nell‟esempio di Gesù, si cela il tema della morte. Nel NT ricorre solo in questo passo
ma in altri testi dell‟AT fa riferimento alla morte esemplare: cf LXX 2Mac 6,28; 4Mac 17,22-23;
Sir 44,16). Non si tratta solo di un invito che riguarda la condotta morale ma invito ad imitare
l‟autodonazione di Gesù, il Maestro. (Cf Culpepper, hypodeigma p. 144). La partecipazione alla
comunità giovannea include tale prospettiva.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 88
Della cena, che occupa senza dubbio un posto di grande rilievo nella memoria sinottica e dell‟intero
NT, qui si parla in maniera del tutto differente: non si ricorda infatti l‟istituzione dell‟Eucarestia ma
il segno che Gesù compie in quell‟occasione: la lavanda dei piedi (13,1-11) spiegato poi da Gesù
stesso nei versetti successivi (13,12-20) con il riferimento, parallelamente al racconto sinottico della
cena, al tradimento di Giuda (13,21-30):
È a questo punto, al v. 31 che inizia il discorso di Gesù, proprio a partire dal boccone di pane preso
da Giuda, segno di comunione, segno messianico (cap. 6) che adesso diventa, paradossalmente, il
segno del tradimento.
Il v. 31 inizia con l‟annotazione spazio-temporale “Quand‟egli fu uscito” richiamando il v. 30,
l‟uscita di Giuda (osservare il movimento entrare-uscire, che assume toni particolari nella
narrazione giovannea), “Ed era notte”. In questa prima parte Gesù introduce un tema molto
importante nel IV Vangelo, il tema della “ricerca di Gesù” per la sua prossima “assenza”. Si sta
anticipando quando accadrà con la passione – morte. Gesù non sarà più avvicinabile come uomo. È
un tema che si collega a quello dell‟incarnazione e della visibilità di Dio stesso in Gesù Cristo (cfr.
Prologo). La trattazione dell‟argomento consente a Gesù di introdurre una prima clausola del suo
testamento “amatevi gli uni gli altri”… Entra poi in scena Simon Pietro con la domanda sulla
destinazione di Gesù: Dove vado io per ora tu non puoi seguirmi… È un tema, questo della sequela
che riappare continuamente, ma che in particolare ci rinvia al capitolo 21 dove verrà riformulato in
termini veramente nuovi. La sequela sarà possibile allora nel suo significato più autentico di
consegna alla volontà di Dio, come Gesù per primo farà indicando la strada. Il piccolo dialogo con
Pietro si conclude con la predizione del rinnegamento, quale conferma della radicale incapacità del
discepolo di seguire il Maestro in virtù della propria decisione. Egli, Pietro, sarà condotto dove “tu
non vorrai”… predizione non tanto del martirio di Pietro, quanto piuttosto dell‟autentica consegna
del discepolo che in tanto è tale in quanto avviene in modi e per destini che non si sarebbero mai
scelti…
Un aspetto di rilievo in questa parte, ma anche in altre parti, del discorso, è l‟andata via di Gesù, la
sua separazione, che inaugura un frattempo… Si vede bene come in Gv non vi è solo la prospettiva
del “già” ma anche del “non ancora”… Una escatologia cioè che rimane discorso aperto al futuro. È
qui che si innesta il discorso stesso di Gesù, come insegnamento ecclesiologico oltre che
cristologico.
Ma vi è pure la contraddizione evidente con il messianismo giudaico che ha impedito a molti ebrei
di vedere in Gesù il Messia davidico: nella concezione giudaica, non vi è più nessun frattempo dopo
la venuta del Messia, Egli viene ad inaugurare il tempo nuovo e definitivo. Cosa diversa dalla
visione cristiana ribadita anche qui da Giovanni circa un tempo di attesa, l‟attesa dell‟incontro
definitivo con lo sposo, dell‟abbraccio con lui che avverrà subito dopo la morte, quando verrà a
prenderci, e prima del definitivo generale riconoscimento della sua gloria sul mondo intero (la
risurrezione generale). È il tema sviluppato subito dopo, quello del posto che Gesù va a preparare
(cfr Es 20,23).
Qualche accenno ai cc. 14-17
Circa l‟ordine dei capitoli, in particolare 14-17, e le diverse proposte per eliminare le incongruenze
dell‟attuale disposizione redazionale, cfr. Schnackenburg vol III, p. 147 ss.
Il cap. 14 inizia con il tema del “posto da preparare” che immette direttamente nella prospettiva
della vita futura con Cristo. Anche qui vi è una parola di Gesù connessa alla sua destinazione e alla
via da percorrere per raggiungerla che suscita la domanda di Tommaso (v. 5) (come prima vi era
stata quella di Pietro). La risposta di Gesù è di grande intensità teologica “io sono la via la verità e
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 89
la vita” (v.6). Gesù è l‟unica via per raggiungere il Padre. Questa affermazione, di evidente
importanza cristologica, sembra anche rappresentare una delle maggiori difficoltà per una teologia
del pluralismo religioso in cui da parte cristiana la figura di Gesù, si dice, dovrebbe indietreggiare
rispetto alla figura del Padre che egli, in fin dei conti, è venuto a rivelare. Gesù sembra affermare di
essere non una via, ma l‟unica via per raggiungere il Padre. Gesù aveva anche affermato di essere
l‟unica porta (10,9). “Se non attraverso di me” indica indubbiamente l‟esclusione di altre
possibilità: si tratta del Gesù individuato nella Palestina di 2000 anni fa… Gesù è la via in quanto è
la verità e la vita. In questo senso non si tratta di una affermazione con tre termini paralleli. Verità e
vita sono collocati accanto a via piuttosto per spiegarne il contenuto (cfr. Barret, Mateos).
Il piccolo dialogo che qui si innesca tra Gesù e Filippo sul mostrare il Padre, è di grande significato
per il messaggio complessivo del IV Vangelo (cfr. 1,18: il tema del “vedere” Dio). Gesù è
mediatore della conoscenza del Padre. La conoscenza del Padre è il vertice stesso della vita cristiana
(1,10: …il mondo non lo conobbe).
14,12-20 presenta quanto accadrà al mondo con la risurrezione di Gesù: compiranno opere più
grandi di Gesù… invierà un altro Consolatore… L‟Unigenito è il primogenito… i suoi
parteciperanno della sua gloria. Del resto il Cristo è venuto a rivelare il Padre perché attraverso di
lui si partecipasse della vita del Padre. Vertice dell‟economia salvifica, lo dice Giovanni lungo il
suo Vangelo ma anche già nel Prologo (1,12), non è semplicemente ottenere il perdono dei peccati,
ma essere divinizzati, entrare a far parte della famiglia divina attraverso l‟insostituibile mediazione
di Cristo (3,35ss; 5,24; 6,57) 14,20!. Mandati nel mondo per santificarsi come il Figlio (17,17-19):
offrendo la vita.
«E ne farà di più grandi»? La messianità di Cristo è inaugurata con la sua missione terrena ma si
compie nella sua glorificazione, con la morte – risurrezione. È la sua presenza alla destra del Padre,
nella gloria, a giustificare la sua affermazione: nella pienezza del suo essere accolto alla destra del
Padre egli continua ad operare come Figlio nell‟opera di coloro che aderiscono a lui (cfr. 1Cor
15,25: finchè non abbia posto sotto i suoi piedi tutti i suoi nemici… anche Paolo parla della potenza
che si manifesterà alla risurrezione dai morti, con il Cristo glorificato).
La potenza messianica di Cristo si scatena nel mondo attraverso la preghiera: «qualunque cosa
chiederete nel mio nome io la farò…»: il valore della preghiera è legato imprescindibilmente al suo
nome, alla professione di fede in Cristo Signore. «Io, io stesso, lo farò» perché il Padre e il Figlio
sono una cosa sola. Cristo va via, fa il suo discorso di addio, ma rimane, più di prima attraverso la
forza della preghiera e della fede in lui.
15-17: l‟osservanza dei comandamenti come conseguenza dell‟amore. I “comandamenti” sono di
Cristo perché sono del Padre. Così è di tutto quello che ha detto il Padre.
Io pregherò il Padre ed egli vi manderà un altro Paraclito - a;llon para,klhton -, un altro
consolatore. Un altro, posto in relazione con Cristo, una persona non una vaga consolazione. Ci
darà l‟esperienza della prossimità di Dio. Dà “gioia”, frutto dello Spirito (Rm 14,17; Gal 5,22; 1Ts
1,6).
Questo “altro Consolatore” ci è dato dal Padre. È la seconda persona mandata in missione, ma in
relazione con la prima. È la preghiera del Figlio che attua questo invio. È la forza del Figlio che
ottiene questo invio (pregherò) cfr. v.26.
Insomma per ottenere lo Spirito è essenziale la mediazione del Cristo glorificato. In questo senso è
Gesù Cristo stesso che viene descritto come il datore dello Spirito in 19,30 (emise) e in 20,22 (alitò
su di loro). Così, seguendo questa unità di intenti e di azione, S.Paolo potrà dire “Spirito di Gesù
Cristo” in Fil 1,19 (cfr. Gal 4,6: spirito del Figlio).
Rispetto all‟economia della presenza del Verbo nella carne, quella dello Spirito è definitiva:
«perché rimanga sempre con voi», durerà fino alla fine.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 90
to. pneu/ma th/j avlhqei,aj Spirito della verità: (cfr. 15,26 e 16,13) cioè il suo compito è
anzitutto manifestarci la verità, Cristo stesso, facendocene conoscere il mistero.
o] o` ko,smoj ouv du,natai labei/n Il “mondo” nella duplice o triplice accezione giovannea… La
connotazione positiva (6,51: il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo cfr. 14,31:
perché il mondo sappia): il mondo è il destinatario della rivelazione divina. Ma qui o` ko,smoj “il
mondo” è il sistema ostile all‟economia salvifica di Dio… con la sua coerenza… la sua “economia”
(cfr. Gv 1,10; 7,7; 12,31 “il principe di questo mondo” Satana; cfr. 1Gv 2,15s… Non amate il
mondo… che pure è stato creato da Dio!). Serve, insomma, chiarezza nell‟individuare la struttura
mondana che si contrappone al progetto divino, senza fughe e chiusure preconcette. È lo Spirito, e
la vita che da esso nasce, donato al discepolo dalla mediazione di Gesù Cristo, che rende capaci di
tale discernimento. Lo ricevono solo coloro che conoscono Cristo nella fede. Se lo si conosce solo
nella carne non basta. Lo Spirito è presente nel Cristo. Lo spirito “dimora” presso i discepoli. È la
nozione di in abitazione dello Spirito, sviluppata soprattutto da S.Paolo (Rm 5,5; 8,9; 1Cor 3,16;
6,19; 2Cor 1,22; Gal 4,6).
v. 18: Ouvk avfh,sw u`ma/j ovrfanou,j non vi lascerò “orfani” = non vi abbandono.
Nel v.19 compare qull‟ “ancora un poco” che caratterizza il messaggio relativo alla partenza e
al ritorno di Cristo (cfr. 16,16): si tratta del tempo fra la morte e la risurrezione dopo la quale lo
“vedranno” solo coloro che credono in lui. (At 11,41: Gesù apparve non a tutto il popolo ma a
testimoni preordinati da Dio). Allora “Il mondo non mi vedrà più” perché la particolare economia
della presenza del Verbo nella carne, è chiusa. VOI invece mi vedrete! Perché IO VIVO, al
presente. Egli non perde in realtà la vita, ma la conserva. Gesù è il vivente (un titolo che lo associa a
Dio stesso) è il messaggio che ritorna da parte di Giovanni in tutto il suo vangelo: Io sono la
risurrezione e la vita (11,25). La novità è che “anche voi vivrete” perché avrete la vita eterna che
deriva dal conoscere Dio in Gesù Cristo (cfr. 17,3).
v.20 il nuovo rapporto che i discepoli vivranno con Dio mediante Cristo. La conoscenza di cui
qui si parla è l‟esperienza di Dio resa possibile da Gesù Cristo. C‟è in abitazione dello Spirito, si
diceva; l‟inabitazione dello Spirito è in abitazione del Cristo stesso e del Padre: inabitazione
trinitaria. La stessa idea è presente diverse volte in S.Paolo (Gal 4,6; Rom 8,15s.; Ef 3,17)
vv.21-26: ancora una parola di Gesù che viene sollecitata da un suo discepolo (Giuda, non
l‟Iscariota). Quanto promesso ai suoi discepoli viene esteso ai credenti di ogni tempo. Nei vv. 21-24
emerge il tema dei comandamenti e della loro osservanza. Qui si parla di quanto accadrà ai credenti
nel tempo. L‟evento Gesù non è un lampo di cui poi la chiesa conserva il ricordo. È l‟inizio di un
rapporto nuovo che si prolungherà per chiunque accoglierà Gesù Cristo. Il Padre ama colui che ama
Cristo.
E anch‟io lo amerò e mi manifesterò a lui: Cristo si appropria di tutto ciò che è del Padre.
Gesù si rivelerà a coloro che lo amano, con una esperienza che viene poi descritta, nel Vangelo, dai
fatti della risurrezione, dal “vederlo” nel suo manifestarsi a chi lo cerca con fede. Questo accadrà
sempre e a chiunque vivrà nella stessa ricerca. E la “conoscenza” di cui qui si parla, passa attraverso
l‟adeguamento della volontà. Potrò dire “lo conosco” solo quando l‟avrò visto, ne avrò fatto
esperienza diretta. Questa “conoscenza” è già frutto di fede, della fede accogliente di chi riceve la
testimonianza e la accoglie, accogliendo con essa i comandamenti… l‟obbedienza… morire per
amore.
Al v.22 è la domanda di Giuda a sollevare una grossa questione «Signore, che è mai successo
che tu stai per manifestare te stesso a noi e non al mondo?»: Gesù è venuto a sottrarre dal mondo un
gruppo particolare, un piccolo gruppo di eletti? una setta? La risposta di Gesù (23-24) fa
comprendere bene che le cose sono distinte: la proposta della fede riguarda il mondo intero.
L‟esperienza di Dio nella fede, è riservata a coloro che accoglieranno questo dono. Gesù andrà a
morte e risorgerà il terzo giorno esattamente perché “il mondo sappia”. Rifiutando la fede nella
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 91
risurrezione, rifiutando i comandamenti, una parte del mondo si chiude al dono divino. Chi respinge
me, respinge colui che mi ha mandato.
vv. 25-26 L‟essere “presso di voi”, certamente una esperienza unica, irripetibile nella storia, è
tuttavia subordinato, anche se necessaria premessa, all‟essere “in voi”, quando tutto potrà essere
compreso alla luce della Risurrezione e con la forza dello Spirito. Egli insegnerà e ricorderà pa,nta
a] ei=pon u`mi/n evgw, quello che io vi ho detto! Le parole del Cristo vengono ricordate, ravvivate…
cfr. per es. 2,22 “dopo i discepoli compresero che parlava del suo corpo”. Egli insegnerà “ogni
(tutte) cosa”, anche le cose non contenute in questo libro (cfr. 21,25). Possiamo capire molto di più
e molto meglio di quello che un qualunque giudeo conterraneo di Gesù avrebbe capito
incontrandolo… È l‟importanza dell‟interpretazione dei fatti e delle parole nella fede che non
sottrae valore alle testimonianze evangeliche ma che anzi ne fa specificamente testimonianze “vere”
di Gesù Cristo, portatrici cioè del senso profondo, per la fede, di quegli eventi e di quelle parole.
vv. 27-28 sotto il termine greco, Eivrh,nh, vi è quello ebraico, shalom con tutta la sua
pregnanza…. (cfr. Sl 72,7). Qui è la “mia” pace. Quella che Egli possiede. La sua beatitudine e
comunione con il Padre. Fonda la nostra comunione con Dio e fra noi. Pace di natura
sovramondana, che il mondo non può dare. “Vado e tornerò a voi” richiama 14,1-3: vado a
prepararvi un posto (uno dei motivi di unità del discorso di questa sezione). Il “venire” di Gesù può
essere inteso come il ritorno dopo la morte, con la Risurrezione, ma anche come l‟ultimo e
definitivo ritorno, o come incontro con colui che passerà da questa vita alla vita definitiva…
Dovrebbero essere contenti i discepoli per la gloria che Cristo riceverà dal Padre con la sua morte in
croce, così come per gli effetti che questo passaggio avrà sui discepoli. La spiritualità del NT è
cristocentrica; il problema vero è rimandato a noi: Se mi amaste...
La conclusione del v. 28 o[ti o` path.r mei,zwn mou, evstin è all‟origine di molte dispute a cominciare
da quella ariana. Ma la sua interpretazione va nel senso dell‟intero discorso e dell‟intero Vangelo:
con l‟incarnazione il Verbo di Dio si è abbassato, si è umiliato fino alla morte. In 17,5 Cristo chiede
la gloria che aveva presso il Padre “prima che il mondo fosse…” La sua risurrezione e ascensione al
cielo dicono la assunzione della stessa vita fisica nel Padre, rendendo possibile all‟umanità di
partecipare della vita divina. È con la risurrezione e l‟ascensione che Gesù Cristo ottiene questa
divinizzazione totale.
vv.29-31 il problema sarà infatti vedere nella croce di Cristo il trono della sua gloria. Gesù sta per
essere consegnato in balìa del Satana principe che non potrà trionfare (cfr. Lc 4,13…22,53). Ma non
ha nessun potere su di me kai. evn evmoi. ouvk e;cei ouvde,n (letteralmente: E in me non ha nulla) = niente
che gli appartenga o che risulti vulnerabile. Nessuna soggezione di Cristo al Satana. Niente a che
fare (ricorda l‟espressione opposta degli indemoniati sinottici che incontrano Gesù) MA bisogna
che il mondo sappia… che egli si sottomette come figlio, fino in fondo, alla volontà del Padre. Si
tratta di uno strumento del disegno salvifico.
Alla fine del capitolo 14 vi è l‟invito che riprende il linguaggio dell‟entrare-uscire: VEgei,resqe
a;gwmen evnteu/qen “Alzatevi, andiamo via di qua!” espressione analoga a quella sinottica a cui Gv
sembra riferirsi intenzionalmente (Mc 14,42; Mt 26,46). È lo slancio che rende Gesù padrone del
suo destino, ma che significa anche l‟uscita dal mondo. Anche i discepoli sono chiamati a questa
“uscita”: a partecipare cioè all‟itinerario di glorificazione del Figlio e non ad accogliere,
semplicemente, i fatti della passione con rassegnazione. È il modo spirituale di interpretare l‟invito
“usciamo di qui” cioè dal mondo, che appiana la contraddizione del discorso che continua nel
capitolo 15 come tutti i commentaristi osservano.
Egheiresthe (cfr 18,4) alzatevi, sorgete, Risorgete!
Cap. 15:
15,1-11 Il discorso della vite e dei tralci: invito a rimanere in Cristo vera vite.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 92
Il discorso è coerente con quanto detto prima: si tratta di quella presenza nuova di Cristo che
non sarà più presso di loro con il suo corpo, ma sarà presente in loro come linfa vitale nello Spirito.
VEgw, eivmi h` a;mpeloj h` avlhqinh, il testo inizia con un'altra dichiarazione che utilizza la
solenne espressione “IO SONO” insieme ad un predicato (6,41; 10,7.11; 11,25; 14,6) .
La vigna è Israele (AT) prediletta da Dio, che Dio stesso ha piantato (Is 5,1; Ger 2,21).
L‟agricoltore è Dio stesso. Qui Gesù è la vera vite, la vigna amata, prediletta dal Padre. È
richiamato qui tutto il tema della predilezione di Israele, la sua elezione. È però, Israele, una vigna
che ha deluso… Collocare il discorso di Gesù nel contesto veterotestamentario attraverso il
simbolismo della vite, vuol dire riallacciare la sua predicazione a quella profetica, cf. Ger 2,21; Os
10,1; al salmo messianico 80, 9ss. Il collegamento permette di non considerare le parole di Gesù
come una sorta di nuova, assoluta iniziativa divina, ma in continuità con tutto quanto ha preceduto
la sua venuta.
Gesù si identifica con la vigna-Israele... è per lui che si ebbe la predilezione, la scelta, la cura,
la costruzione della torre-tempio… (Così come è la pietra scartata dai costruttori…). È la vite
“vera”: la vigna realizzata nella sua pienezza, totalmente realizzata nella verità. Qui trovo qualche
difficoltà con la presentazione dell‟argomento fatta da U.Neri (L‟addio di Gesù ai discepoli: Il
discorso della grande consolazione (Gv 13-16), Ed. San Lorenzo «Sussidi Biblici» N.75, Reggio
Emilia 2001) che parla di Israele come “figura” (cfr. p.115), correndo così il rischio di svuotare la
rivelazione veterotestamentaria del suo concreto significato storico-salvifico; l‟autore corregge
tuttavia il modo di intendere il rapporto AT/Gesù a p. 116.
Dio, il vignaiolo, il Padre di Gesù Cristo, si aspetta che la vigna dia frutti (di giustizia, santità,
obbedienza, fedeltà) cfr. Mt 21,19s. a proposito del fico sterile.
Anche rami di Israele sono stati tagliati. Quelli che portano frutti sono coloro che hanno dato
il frutto atteso, la fede in Gesù Cristo, essi sono potati (in greco kathairei = purificare, termine
importante nell‟AT in riferimento alla grande purificazione del tempo messianico: vi purificherò…
(cfr. Ez 36,25s. 33.). Non è più la purificazione del sacerdozio del tempio con i suoi sacrifici. È la
purificazione definitiva, quella del tempo messianico.
v.3 Voi siete già puri… richiama quanto detto a proposito della lavanda dei piedi (13,10): una
purificazione radicale in virtù della parola annunciata ed accolta.
Vv 4-5 mei,nate evn evmoi, ... Ciò che resta da fare è rimanere in lui = preservare la fedeltà a
Cristo, custodendo la fede, attuandone le esigenze attraverso l‟osservanza dei comandamenti, in
particolare dell‟amore di Dio e del prossimo. Essendo in Cristo si porta allora moltissimo frutto
(Cfr. Rom 8,5-11).
o` me,nwn evn evmoi. kavgw. evn auvtw/| ou-toj fe,rei karpo.n polu,n
o[ti cwri.j evmou/ ouv du,nasqe poiei/n ouvde,n
Si osservi come l‟opposizione è estrema: molto frutto - nulla: non vi sono posizioni
intermedie. Se si rinnega il Signore si resta “fuori”: è quanto viene detto con diverse parole in altri
testi del NT (Gd 4; 2Pt 2,1s.) e soprattutto nella 1Gv (cfr. 1Gv 2,19ss.): il peccato che conduce alla
morte (1Gv 5,16s.). L‟apostasia, il rifiuto di Gesù Cristo è già il giudizio. La fede non è garantita: si
può perdere Cristo, la sua inabitazione e l‟inabitazione dello Spirito non è cosa scontata (cfr. 2Pt
2,3). La sanzione è espressa con i toni conosciuti già nella profezia e poi nell‟apocalittica: bruciare
nel fuoco.
vv. 7s. Il motivo per cui il Padre esaudisce la nostra preghiera è il “frutto di giustizia” che si compie
seguendo i suoi insegnamenti. La glorificazione del Padre avviene quando il creato, le sue opere,
ritornano a lui riconoscendolo come Creatore e offrendosi a lui. Ciò accade diventando discepoli di
Gesù: non gli dà gloria chi non riconosce il suo Figlio, al contrario onora Di chi diventa discepolo
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 93
di Cristo (12,26). Non si tratta semplicemente di “essere” ma di “diventare” discepoli kai. ge,nhsqe
evmoi. maqhtai, : è sottolineato cioè l‟aspetto dinamico del diventare discepoli… fino a consegnarsi
completamente nelle mani di Dio, nell‟imitazione di Cristo.
Vv 9-11: Rimanere in Cristo vuol dire rimanere nel suo amore mei,nate evn th/| avga,ph| th/| evmh/|: non nel
nostro amore verso Cristo, ma nel suo verso di noi, nell‟essere amati dal Padre (cfr. Gv 17,23; 1Gv
2,10ss). Al v. 10 risulta chiaro che rimanere nella fede vuol dire rimanere nell‟amore, la carità non è
mai disgiunta dalla fede. I comandamenti di cui si parla sono quelli di Cristo: sottomissione alla
Parola, al Verbo fattosi carne. L‟osservanza da parte del Cristo verso il Padre è consistita
nell‟obbedienza al Padre fino a consegnarsi sulla croce.
Il v.11 sembra concludere questa parte del discorso e lo fa con il riferimento alla gioia:
suprema possibilità di vita per l‟uomo. Gioia come pienezza di vita in Cristo (cf sopra, l‟excursus su
“vita”).
vv. 12-17 al v. 12: au[th evsti.n h` evntolh. h` evmh, i[na avgapa/te avllh,louj kaqw.j hvga,phsa u`ma/j Il
comandamento sommo: l‟amore reciproco. Nuove precisazioni. Superamento totale della
precettistica, come in S.Paolo. L‟ubbidienza del figlio è l‟amore. L‟amore include tutti gli altri
precetti. La fede in Dio non giustifica qualunque comportamento: in virtù della fede il discepolo
vivrà nell‟obbedienza a lui. Fede e amore come vertice della volontà divina. Come lui ci ha amato
= amore superiore spiegato al v. 13: con l‟offerta totale di sé (cfr. 1Gv 3,16). Gli amici sono “gli
amati”. Il tutto è confermato dal v. 14. Restiamo nell‟atto gratuito, assolutamente gratuito
dell‟amore di Cristo, solo amando, soltanto in virtù dell‟obbedienza.
Con il v. 15 si riprende il linguaggio dell‟AT: servi, chiamati al “servizio di Dio” (cf la storia
dell‟esodo con il termine chiave „abodah). Ma qui adesso si usa philos (= amico) distinguendo da
ogni altro termine. Il rapporto è di amicizia. Questo è in fondo l‟annuncio che sin dall‟inizio fa
Giovanni indicandoci in Cristo il rivelatore del Padre, colui che ce ne svela il volto… (1,18). È
inaugurato il tempo di cui parlavano i profeti (Ger 31,34), in cui non ci sarà più bisogno di istruirci
l‟un l‟altro perché la conoscenza di Dio è diretta (Is 11,9). Cristo ci ha fatto conoscere tutto del
Padre. È lo Spirito Santo che ci conduce dentro questa verità (16,13).
v. 16: per la gratuità della “scelta” non c‟è motivo: riprende la logica dell‟alleanza, logica di
amore e gratuità di cui è testimone l‟intera Sacra Scrittura (cfr. Dt 7, 7 Non perché siete più numerosi
di tutti gli altri popoli il Signore si è unito a voi e vi ha scelto; ché anzi voi siete il più piccolo di tutti i popoli. ...
insufficiente tentativo di risposta). È tuttavia una scelta che si apre a un coinvolgimento infinito: “io
vi ho scelto perché andiate”.
Il frutto per la vita eterna non si riferisce a coloro che vengono inviati, ma a coloro che sono
raggiunti dal loro annuncio e dalla loro testimonianza e che attraverso di essa avranno l‟accesso ai
beni eterni, beni duraturi.
15,18-16,4
19
15:18-19 «Se il mondo vi odia, sappiate che ha odiato me prima di voi.
Se foste del mondo, il
2
mondo amerebbe ciò che gli appartiene. ... 16:1-2 Questo vi ho detto, perché non rimaniate scandalizzati.
Vi cacceranno fuori dalle sinagoghe; viene anzi l'ora in cui chi vi ucciderà penserà di rendere un culto a
Dio.... I versetti in questione sono raccolti insieme perché trattano del rapporto tra i discepoli e il
mondo. È la conseguenza della scelta di alcuni, proprio il motivo che poco prima proponeva, o
riproponeva, la questione del perché… (questi e non altri?). L‟elezione già per Israele e poi per i
discepoli, comporta una missione che consiste nella testimonianza. La testimonianza creerà
naturalmente il confronto con quel “mondo” di cui si è detto, confronto che Gesù per primo è
chiamato a vivere e a pagare di persona. L‟odio del mondo è l‟opposizione del sistema mondano al
progetto di Dio (cfr. prologo). È una prova che costituisce, nel medesimo tempo, una sorta di
verifica: la comunità dei discepoli costituirà, se rimane fedele alla sua natura, un ostacolo alla logica
del mondo e alle sue strutture. Al rovescio si potrebbe pensare che la mancanza di opposizione
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 94
dovrebbe far pensare: è il mondo che non costituisce più problema per il progetto divino, o sono i
discepoli che hanno annacquato la propria appartenenza al Cristo? Sembra essere questo il
problema toccato in 15,19 ma è opportuno richiamare anche 7,7 allorché Gesù rivolto ai giudei
diceva: «Il mondo non può odiare voi, odia invece me, perché io testimonio riguardo ad esso che le
sue opere sono cattive» cfr. anche 1Gv 4,6. Sulla base di queste testimonianze giovannee risulta
chiara l‟idea di un “mondo” che è animato da principi derivanti dalla carne i quali si oppongono
necessariamente ai principi dello Spirito: una concezione che mette in guardia il discepolato di ogni
tempo dall‟insinuarsi di compromessi con il mondo che non per questo va considerato come
qualcosa da cui “fuggire” ma certamente come qualcosa rispetto a cui esercitare una sorta di
vigilanza evangelica. Si pensi a quanto, per esempio, l‟azione pastorale anche a partire da
presupposti di retta coscienza, venga valutata a partire dal gradimento o almeno dalla condivisione
pubblica delle scelte, coerentemente al più generale atteggiamento di considerare buone e giuste le
azioni che trovano pubblici apprezzamenti e riconoscimenti. Qui si gioca anche il problema della
“visibilità” e quindi della ricerca di approvazione nella vita pastorale che è per alcuni quasi una
necessità. Queste raccomandazioni giovannee, senza spostare in un senso settario e fondamentalista,
sembrano costituire un avvertimento, un antidoto particolarmente necessario nell‟epoca del “prete”
menager di successo… Ma ancor di più: tendono a dare valore a quella inevitabile sofferenza che si
prova davanti al rifiuto e alla non comprensione (ferma restando la retta coscienza!), valore che può
e deve sostenere la testimonianza cristiana in momenti difficili e senza il quale si può essere tentati
dall‟idea del fallimento e quindi della rinuncia. Sì, vi è una sofferenza, prodotta dall‟avversione del
“mondo” alla testimonianza cristiana, che assume in se stessa valore di partecipazione al mistero di
Cristo.
Torna il tema della conoscenza di Dio v.21 «… perché non conoscono colui che mi ha
mandato ouvk oi;dasin to.n pe,myanta, meÅ ». È un non conoscere frutto di una scelta, non aver
accettato il Cristo e colui che lo ha inviato, come spiega nei versetti successivi 22-25: si tratta di un
atto voluto e perciò colpevole.
È da osservare che a differenza di Paolo, Giovanni non usa mai il sostantivo gnôsis: una scelta
per l‟equivoco che avrebbe creato in ambienti gnostici? Usa invece il verbo ginôskô insieme al
verbo oida. Sinonimi (come molti commentatori moderni), o portatori di una certa distinzione del
conoscere? Per i Greci il primo, ginôskô indica piuttosto il processo della conoscenza,
l‟acquisizione della conoscenza (cfr. Aristotele Anal. Post. I,9, 76 a) traducibile quindi piuttosto con
espressioni del tipo: percepire, afferrare, riconoscere, comprendere che indichino cioè il
completamento di un processo. Questo è il motivo dell‟impiego maggiore di ginôskô nel
vocabolario filosofico greco. Oida nella sua radice è connesso invece al vedere. Si usa come
perfetto di ginôskô. Conoscenza dunque di ordine piuttosto percettivo, intuitivo.
Secondo De La Potterie le due accezioni sono mantenute in Giovanni: quando usa ginôskô
indica un percorso esperienziale che giunge al suo termine, mentre quando usa oida designa una
conoscenza semplicemente raggiunta, come dato di fatto. La conoscenza di Cristo è indicata in
Giovanni da ambedue i verbi, ma con una netta preferenza per oida (22x) rispetto a ginôskô (12x).
Anche per la conoscenza dei discepoli si usano ambedue i verbi, per cui bisognerebbe tradurre
ginôskô con il significato di “riconoscere”, “comprendere”.
Così, occupandoci particolarmente della nostra sezione 13-15 lo troviamo impiegato in
diverse occasioni (13,7.12.28; 14,9.20; 17,8.25). Il mezzo della conoscenza acquisita dai discepoli è
l‟insegnamento dato da Gesù (cfr. 15,18) a cui si chiede la fede (6,69) come premessa della
conoscenza vera (non come conoscenza in se stessa). La fede iniziale è occasione per trasmettere la
conoscenza della verità (8,32; 15,7.8). Trova qui conferma quanto abbiamo già osservato in
precedenza circa il cammino per diventare veri discepoli di Gesù, un ideale che si realizza
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 95
gradualmente (cfr. 16,13: compito affidato allo Spirito di verità). Sullo sforzo di una conoscenza
come processo in atto e mai completamente acquisito, quello della conoscenza di Dio, si veda 17,3.
vv. 22-25 Gesù ha dichiarato con chiarezza che lui e il Padre sono una cosa sola. Secondo
questa testimonianza evangelica, assunta così come sta, non si può dire che Gesù non si sia mai
detto Figlio di Dio (cfr. 10,33 Non ti lapidiamo perché… ma perché tu che sei uomo, ti fai Dio). La
parola e l‟opera (in particolare i segni) di Gesù sono andati in questo senso. Così come l‟odio del
Cristo rimanda all‟odio del Padre (v.24). Ci sono alcune opere che, ci testimoniano gli evangelisti,
hanno provocato esattamente la perplessità dei presenti perché avevano a che fare con una
attribuzione di divinità (Mt 8,27)
Il riferimento alla Legge nel v. 25 si riferisce al Sl 35,19: «mi hanno odiato senza ragione»: il
rifiuto di Cristo, che si è presentato con Parole e Opere, è considerato infondato.
vv. 26-27
paraklêtos consolatore, ma anche “avvocato” (traslitterato dal greco in ebraico con lo stesso
significato di avvocato, comune nel Mediterraneo). È lo Spirito che agisce in un processo, in un
giudizio. Che viene dal Padre non ha a che fare con la descrizione delle “processioni” in senso
tecnico. È nel quadro del progetto storico-salvifico, è la missione dello Spirito, inviato da Gesù,
proveniente dal Padre che qui si sottolinea. Se il compito del Paraclito era prima quella di consolare,
adesso è quella di difendere, di testimoniare a favore. Lo Spirito testimonia nel grande “processo”
istruito dal mondo contro Gesù Cristo e i suoi discepoli. Lo Spirito assolve a questa funzione
secondo At 4,8; 8,55 ecc.: pone la parola della testimonianza sulla bocca dei discepoli. Il discorso
degli apostoli, dei discepoli di Gesù, testimoniato dal NT, è il discorso che lo Spirito Santo stesso
mette in bocca ai discepoli. Così come i prodigi che essi compiono. «Avrete forza dallo Spirito
Santo» (At 1,8…). Lo Spirito Santo è testimone di Cristo, formalmente mandato per questo: la sua
opera non inaugura una diversa economia (come in alcune eresie, ma fa parte della medesima
economia salvifica. Il testo conclude (v. 27) con la testimonianza che renderanno i discepoli, un
elemento fondamentale: testimoni storici di un evento storico: «perché siete con me dal principio»
(cfr. At 1,22: si deve scegliere il dodicesimo… che fosse testimonio delle cose viste…).
16,1-4: la passione-morte di Gesù, il grande processo a lui intentato dal mondo, possono
essere, come di fatto dovettero essere, morivo di scandalo… il Dio crocifisso! Nel v.2 si parla della
“scomunica” dalla sinagoga, scandalo per ogni vero ebreo. I persecutori sono animati dallo zelo per
Dio, credono di rendergli giustizia. Ritorna al v. 3 il motivo della mancanza di “conoscenza” non
come semplice constatazione oggettiva, si diceva, ma piuttosto come rifiuto. La persecuzione non
deve essere vista, dunque, come un evitabile incidente di percorso. Fa parte della natura stessa della
rivelazione portata da Cristo e in nome di Cristo (cfr. 1Pt 4,12).
16,5-15: il discorso di Addio di Gesù ritorna sulla figura e la funzione dello Spirito la cui
considerazione deve impedire che i suoi si rattristino. Benché la domanda su dove Gesù vada sia
stata posta esplicitamente da Tommaso, Gesù pone l‟accento, adesso, su questa mancanza dei
discepoli di allora e di sempre: il problema è infatti sapere dove Gesù vada; solo questa domanda e
la risposta di Gesù potranno vincere la desolazione che rischia di impossessarsi del discepolo
provato dal confronto con il mondo. Gesù sottolinea la “verità” di quanto dice: la missione dello
Spirito Santo è nuovamente messa in relazione con la missione salvifica del Figlio: Egli (lo Spirito)
non verrà se Gesù non tornerà al Padre. Il compimento è nella Morte - Resurrezione di Gesù; solo
dopo questo fatto fondamentale potranno ricevere lo Spirito Santo (7,39).
16, 8-11
8
9
E quando egli verrà, confuterà il mondo in fatto di peccato, di giustizia e di giudizio. In
10
fatto di peccato: perché non credono in me;
in fatto di giustizia: perché me ne vado al Padre e voi non mi
11
vedrete più;
in fatto di giudizio: perché il principe di questo mondo è già giudicato.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 96
Lo Spirito Paraclito (avvocato) porterà le prove, dimostrerà inconfutabilmente che il Cristo è
il Signore. Lo dimostrerà accusando il mondo di ciò che gli impedisce di riconoscere la verità. Si
tratta di una causa giudiziaria nei confronti del mondo incredulo.
peri. a`marti,aj L‟accusa di “peccato” è quella rivolta a Gesù, ma il Paraclito convincerà il mondo
che esso consiste esattamente nel non credere in lui peri. a`marti,aj me,n o[ti ouv pisteu,ousin eivj evme,\
Anche se non è detto qui, dopo quanto si diceva prima risulta implicito che questa attività di
“convincimento” del Paraclito sarà portata avanti attraverso l‟opera, la testimonianza dei discepoli.
Schnackenburg, riportando in particolare quanto sostenuto da O. Betz circa la vicinanza della
funzione accusatoria del Paraclito con quanto troviamo nel libro dei Giubilei a proposito di Enoc,
sottolinea che questa tematica è già testimoniata nel giudaismo dell‟epoca di Gesù, anche a
Qumran. Si tratterebbe di immagini che hanno a che fare con il giudizio finale di Dio, mentre per la
comunità giovannea tali immagini sono spostate al presente.
Insomma lo Spirito convincerà che il “peccato” per antonomasia è proprio il non credere in
Gesù. La comunità credente ne è la dimostrazione: essa vive esattamente di quella fede.
kai. peri. dikaiosu,nhj Gesù è giustificato da Dio. peri. dikaiosu,nhj de, o[ti pro.j to.n pate,ra u`pa,gw
kai. ouvke,ti qewrei/te, me\ La “giustizia” di cui si parla è il fatto che Egli, il Figlio, crocifisso, è
risorto ed è asceso accanto al Padre: è giustificato davanti ai suoi nemici.
kai. peri. kri,sewj L‟atto di giustizia reso dal Padre a Gesù sposta il mondo nella posizione di
accusato. Contro i nemici di Gesù si presentano gli stessi Mosè (5,54) La Sacra Scrittura intera
(5,39) … il giudizio del mondo verrà messo in crisi, condannato, dal giudizio di Dio peri. de.
kri,sewj o[ti o` a;rcwn tou/ ko,smou tou,tou ke,kritai. Cristo è stato giustificato nello Spirito. Lo
stesso Spirito, dopo la glorificazione, permetterà di comprendere tutte le cose che per adesso i
discepoli non possono “portare” (cfr. Lc 24,45). Essi non sono stati ancora trasformati dallo Spirito
in esseri spirituali.
16, 13: C‟è un‟unica sorgente di verità, che è Dio stesso, ecco perché lo Spirito non parlerà da
sé. Inoltre lo Spirito parlerà delle cose future, rivelerà i misteri ultimi (cfr. al proposito Ef 1,17). È
in ogni modo il Cristo che continua a parlare attraverso lo Spirito, che consentirà di ascoltarlo
ancora, per sempre.
Il cap. 16 continua con l‟annunzio del ritorno (16-28), la rivelazione di quanto accadrà a
partire dalla Risurrezione di Gesù. Gesù allude alle sue apparizioni di Risorto e del conseguente
capovolgimento di situazione vv. 20-21. Sarà come un sol giorno di gioia, così come viene
rappresentato dai Vangeli il “giorno” della Risurrezione (23b).
Si apre una nuova epoca, con la possibilità nuova, non prevista dallo stesso AT di chiedere nel
nome di Gesù (24). Chiedete e otterrete cfr. Mt 7,7 e Lc 11,9. I discepoli faranno l‟esperienza della
gioia piena, comunione profonda con Dio. (cfr. 1Gv 1,4).
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 97
Il racconto della passione-morte-risurrezione: (18,1- 20,31 + 21,1-25)
Sheda riassuntiva
-
vicinanza strutturale ai racconti sinottici, molto più che nel resto del vangelo
la prima parte del Vangelo che acquistò forma stabile nella tradizione
proprio per questo risaltano i tratti più caratteristici della teologia giovannea
I fatti giovannei della passione si sviluppano secondo cinque scene fondamentali:
1. Introduzione: 18,1-11 la scena dell‟orto
2. Davanti ad Anna: 18,12-27
3. davanti a Pilato: 18,28-19,16a
4. al Calvario: 19,16b-37
5. epilogo: 19,38-42 la sepoltura nell‟orto
Differenze riscontrabili già dal confronto con i racconti sinottici:
mancano: agonia del Getsemani, bacio di Giuda e fuga dei discepoli, l‟interrogatorio sinedriale,
scene di oltraggi (casa del sommo sacerdote e corte di Erode), scherni dei passanti ai piedi della
croce, il grido di sconforto di Gesù, le tenebre che accompagnarono la sua morte, ladroni, morte di
Giuda.
Sottolinea o aggiunge: maestà su coloro che vengono ad arrestarlo, dialogo con Anna.
Amplifica: l‟interrogatorio di Pilato (18,28-19,16) con scene esclusive: Ecce Homo e Ecce rex
vester senza paralleli.
Differenzia: nella scena del calvario registra la discussione sul cartello da affiggere; interpretazione
della divisione delle vesti (Sl 21), Maria e discepolo prediletto ai piedi della croce; il colpo di lancia
nel costato.
Osservazioni di insieme: Gv elimina aspetti tragici umilianti e dolorosi: già Loisy (Le quatrieme
evangile, Paris 1903, 820) «Nel quarto evangelo la passione viene raccontata nella prospettiva della
gloria di Cristo: è Gesù glorificato nella morte»
Alcuni aspetti particolari del IV evangelo:
1. L’ora di Gesù
Apocalittica giudaica: Daniele (8,17 8:19; 11:35) Quell‟ora indicata da Daniele, è “ora del
compimento”. Il tempo della fine come “ora” finale è del resto presente nell‟apocalisse sinottica Mt
24,36// Mc 13,32 e in 1Gv 2,18. In quest‟utlimo testo l‟ora è già arrivata, vi sono già molti
anticristi. Già nei sinottici, tuttavia, l‟ora finale, pur designando il tempo finale, indica l‟ora della
passione. Così troviamo in Mc 14,35, al Getsemani: Così pure al momento dell‟arresto: 14:41.
Giovanni dunque riprende un tema già noto nella letteratura biblica ma ne approfondisce il senso
teologicamente. Si tratta dell‟ora di Gesù, fin dall‟inizio del Vangelo: 2,4; questo orientamento
verso la “sua” ora è ancora più chiaro in 7,30; 8,20, durante la festa dei tabernacoli:
All‟approssimarsi della passione Gesù proclama solennemente che l‟ora è giunta: 12,23. Come dirà
anche in 13,1 e 17,1. I capp. 12-17 fanno progredire, con il richiamo dell‟ora, la comprensione della
passione di Gesù. È il raggiungimento del vertice dell‟amore (13,1): la prova suprema sarà il dono
della vita, simboleggiato dalla lavanda dei piedi, con il deporre le vesti e il riprenderle (13,4.12).
Secondo 17,1-2 Gesù sarà glorificato per estendere il suo dominio ad ogni carne: si manifesterà
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 98
allora la fecondità del suo sacrificio, resa possibile dall‟entrata nella gloria. È l‟ora indicata dai
profeti, che diventa l‟ora di Gesù, della sua morte-risurrezione.
2. L’esaltazione del Figlio dell’uomo
Nei sinottici 3 predizione della passione (Mt 16,21; 17,22; 20,18). A questi passi in Gv sembrano
corrispondere i tre riferimenti alla propria esaltazione futura:
3,14 E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così deve essere innalzato il Figlio dell' uomo,
8,28 Disse dunque Gesù: «Quando innalzerete il Figlio dell' uomo, allora conoscerete che io sono e
che non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, queste cose dico.
12, 32 «E quando io sarò innalzato da terra, attrarrò tutti a me». 33 Questo lo diceva per indicare di
quale morte stava per morire. 34 Gli rispose la gente: «Noi abbiamo sentito dalla legge che il Cristo
rimane per sempre: e come dici tu che il Figlio dell' uomo deve essere innalzato? Chi è questo
Figlio dell' uomo?».
Anche per il tema dell‟esaltazione, lo sfondo va ricercato nella letteratura profetica. In particolare Is
52,13, il quarto canto del servo: “Ecco, il mio servo avrà successo, sarà innalzato, elevato ed
esaltato grandemente”.
La prima applicazione della chiesa primitiva è all‟Ascensione di Gesù: At 2,33; 5,31; Così come in
Paolo: Fil 2,9-10
Giovanni ha indicato che il luogo dell‟esaltazione di Gesù è sulla croce: 12,30-34.
L‟esaltazione, anticipata da Giovanni alla crocifissione, è considerata nella sua prospettiva regale e
soteriologica: dalla croce attira tutti a se esercitando così la sua vera regalità. Tutti coloro che
guarderanno a Cristo in croce, avranno la vita eterna. Il dominio di satana viene rimpiazzato dal
potere regale di Gesù che dalla croce-trono attira tutti a se. Si comprende allora la grande
importanza assegnata al tema della regalità di Cristo nel racconto giovanneo della passione.
Anticipa l‟esercizio della regalità di Cristo rispetto all‟idea dell‟intronizzazione alla destra del padre
dopo la risurrezione, perché considera già la crocifissione a partire dai fruti che produrrà per la
salvezza del mondo.
3. Anticipazione degli eventi escatologici
Sulla croce si realizzano anche eventi di solito connessi alla fine dei tempi:
il giudizio: non più alla fine dei tempi, ma nell‟atteggiamento che gli uomini assumono davanti a
Gesù Cristo. Il giudizio si concentra in particolare nel momento dell‟ora, come del resto Gesù stesso
dice in 16,11. La croce, esaltazione del re-messia, costituisce nel contempo la condanna del mondo
peccatore. Anche il tema del raduno del popolo in unità appartiene alle promesse escatologice
tradizionali
A proposito della restaurazione messianica Gr 31,10: «Ascoltate la parola del Signore, nazioni, e
annunziatelo tra le isole lontane. Dite: Chi ha disperso Israele, lo raduna e lo custodisce, come un
pastore il suo gregge.»
La realizzazione di questa promessa è presentata in maniera diversa nel NT:
Atti: Pentecoste (At 2,5-11); Gv vede radunarsi il popolo attorno a Gesù elevato sulla croce. Tale è
il senso della inconsapevole profezia si Caifa: Gv 11,49-52. Come del resto si ritrova nelle parole di
Gesù: 12, 32 E quando io sarò innalzato da terra, attrarrò tutti a me».
Attorno alla croce si radunerà la nuova comunità messianica
Gesù vive la sua passione con libertà e consapevolezza. Compie l‟opera di salvezza non come
vittima inconsapevole ma come sovrano che conosce il senso degli avvenimenti e li accetta
liberamente.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 99
Gv 18,33-37
33 Eivsh/lqen ou=n pa,lin eivj to. praitw,rion o` Pila/toj
kai. evfw,nhsen to.n VIhsou/n kai. ei=pen auvtw/(|
Su. ei= o` basileu.j tw/n VIoudai,wnÈ
34 avpekri,qh VIhsou/j(
VApo. seautou/ su. tou/to le,geij h' a;lloi ei=po,n soi peri. evmou/È
35 avpekri,qh o` Pila/toj(
Mh,ti evgw. VIoudai/o,j eivmiÈ
to. e;qnoj to. so.n kai. oi` avrcierei/j pare,dwka,n se evmoi,\ ti, evpoi,hsajÈ
36 avpekri,qh VIhsou/j(
~H basilei,a h` evmh. ouvk e;stin evk tou/ ko,smou tou,tou\
eiv evk tou/ ko,smou tou,tou h=n h` basilei,a h` evmh,(
oi` u`phre,tai oi` evmoi. hvgwni,zonto Îa'nÐ i[na mh. paradoqw/ toi/j VIoudai,oij\
nu/n de. h` basilei,a h` evmh. ouvk e;stin evnteu/qenÅ
37 ei=pen ou=n auvtw/| o` Pila/toj(
Ouvkou/n basileu.j ei= su,È
avpekri,qh o` VIhsou/j(
Su. le,geij o[ti basileu,j eivmiÅ
evgw. eivj tou/to gege,nnhmai
kai. eivj tou/to evlh,luqa eivj to.n ko,smon(
i[na marturh,sw th/| avlhqei,a|\
pa/j o` w'n evk th/j avlhqei,aj avkou,ei mou th/j fwnh/jÅ
L‟evangelista Giovanni diversamente dai racconti sinottici non presenta il resoconto del
processo sinedriale narrando invece di un interrogatorio previo davanti al Anna, influente capo della
famiglia sacerdotale di cui faceva parte lo stesso Caifa. Sviluppa invece in maniera ricca e articolata
l‟interrogatorio che ebbe luogo davanti all‟auotorità romana, Ponzio Pilato, prefetto della Giudea in
quel tempo (18, 28-19,16). Al processo romano fanno riferimento anche i sinottici in maniera
sintetica rispetto a Giovanni facendo comunque riferimento al capo di accusa principale: essersi
fatto re dei giudei. Il quarto evangelista sviluppa l‟interrogatorio di Pilato in una successione di
scene in cui si alternano il confronto diretto tra il prefetto e Gesù, all‟interno del pretorio, e tra il
prefetto e “i Giudei”, cioè coloro che gli avevano consegnato Gesù accusandolo, all‟esterno del
pretorio. Lo spostamento dall‟interno all‟esterno del pretorio e viceversa, conferisce alla narrazione,
nel suo complesso, un movimento quasi da rappresentazione drammatica inducendo a parlare di una
vera e propria successione di scene.
Il versetto che introduce la scena di cui ci occupiamo, inizia proprio con il riferimento al
rientro di Pilato nel pretorio dopo il primo contatto con coloro che glielo avevano condotto nel
quale aveva tentato di rinviare l‟imputato al giudizio giudaico “secondo la vostra legge” (v. 31)
ottenendone un rifiuto motivato dal fatto che secondo la pratica romana attestata anche altrove il
popolo sotto amministrazione romana non poteva emettere ed eseguire condanne a morte «A noi
non è consentito mettere a morte nessuno». Deve dunque aver luogo un processo romano che,
secondo il diritto romano non prevede, come nel caso del processo sinedriale, l‟escussione dei
testimoni, ma l‟interrogatorio diretto dell‟imputato da parte del giudice. Si trattava di un
interrogatorio piuttosto sommario, diverso da quello, più minuzioso richiesto per i cittadini romani.
Dai versetti precedenti non risulta la formulazione precisa dell‟accusa che ora Pilato rivolge,
come domanda, all‟imputato: «Tu sei il re dei Giudei?». Si tratta della traduzione politica della
pretesa messianica, resa necessaria perché l‟autorità romana la prendesse in considerazione come
chiaro caso di ribellione politica. Qui veniva messa in discussione, infatti, l‟autorità stessa di Roma
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che, come dimostrerà il seguito del processo, non poteva restare indifferente di fronte ad una simile
accusa.
Da questo momento le repliche di Gesù si alternano con le domande di Pilato in una crescente
focalizzazione sul tema della pretesa regalità ma soprattutto sul tipo di regalità che Gesù avrebbe
rivendicato. Un‟occasione per chiarire la regalità di Cristo nel suo vero significato. “Re dei Giudei”
appare una formulazione non giudaica: i giudei avrebbero più facilmente parlato di “Re d‟Israele”
(Mc 15,32 // Mt 27,42), come fa anche Giovanni intendendo tale formulazione in senso onorifico (
1,49; 12,13). Gesù non risponde alla domanda ma ne formula un‟altra con la chiara insinuazione di
un‟accusa formulata non direttamente dal suo giudice. Pilato risponde affermativamente alla
domanda di Gesù ma anche prendendo le distanze dal popolo di Gesù: «Sono forse io Giudeo? La
tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me…». Il generico riferimento alla gente
(ethnos, popolo) va riferito piuttosto a coloro che glielo avevano condotto, i capi del sinedrio,
probabilmente i sadducei. Dopo 18,3 in Giovanni non sono più nominati i farisei. In queste
annotazioni l‟evangelista Giovanni si avvicina con maggiore verosimiglianza allo svolgimento dei
fatti: furono soprattutto i sommi sacerdoti a volere la morte di Gesù per il mantenimento della
situazione economica, politica e religiosa con la quale essi ormai erano abituati a convivere
traendone i propri benefici. Il coinvolgimento dei farisei, e addirittura della folla, a cui accenna
Matteo, è da intendere come un allargamento teologico nella responsabilità del popolo dell‟alleanza
al rifiuto del Messia.
Nella sua risposta Gesù parla non del suo essere re, ma del suo regno, basileia, precisandone il
contenuto in negativo e in positivo. Egli parla tuttavia non del regno di Dio in quanto tale, ma della
propria basileia, cioè della dignità regale che è diversa da quella del mondo. La basileia di Cristo
non è “del mondo” ma neppure è presentata come qualcosa che appartiene alla sfera celeste, essa ha
a che fare con il mondo, la sfera in cui viene esercitata è, cioè, il mondo per il quale il Cristo è
venuto. Si mostra nel mondo laddove la voce del rivelatore è ascoltata. Sono infatti diverse le
connotazioni della parola “mondo” nel IV Vangelo: se ne sottolinea spesso l‟aspetto negativo, come
nel caso dell‟espressione “principe di questo mondo” (Gv 12,31; 16,11), ma può anche
semplicemente distinguere lo spazio umano dalla sfera celeste (12,25; 13,1). Nella risposta a Pilato
Gesù qualifica il senso della sua regalità contrapponendola alla maniera umana: questa si realizza, e
ne è bene a conoscenza il prefetto romano, con il ricorso agli eserciti e alle armi, non così la regalità
di Cristo. Ai “servi” hypêretai inviati per arrestarlo (18,12) egli non oppone i suoi servi che
avrebbero opposto una resistenza in linea con i metodi dei regni di questo mondo. Nella risposta
Gesù fa riferimento alla sua consegna si “Giudei” più che ai romani. Il termine Giudei nel IV
Vangelo è stato diversamente spiegato, ritenuto spesso, soprattutto nei secoli passati, come
l‟indicazione del popolo giudaico nel suo complesso. Altri hanno voluto spiegarlo in riferimento ai
soli sadducei, il partito realmente interessato a contenere il “fenomeno” Gesù, come ogni altro
fattore di disturbo nella situazione di delicato equilibrio con il dominatore romano. Probabilmente
per spiegarne il senso bisogna far riferimento non tanto al tempo in cui si svolsero i fatti, ma al
periodo in cui il Vangelo venne scritto e completato nella sua forma attuale (fine primo secolo): la
comunità giovannea, anche per il suo approfondimento teologico e cristologico sulla missione del
Verbo, avvertiva e registrava, nel contempo, la distanza che la separava dalle altre forme di
giudaismo; percepiva ormai i giudei come estranei e da essi era allo stesso modo percepita.
L‟acquisita coscienza di estraneità assumeva, naturalmente, anche la forma dell‟ostilità. È questo
contesto, contemporaneo alla redazione dei fatti più che al loro svolgimento, che fa semplificare il
discorso e parlare di “Giudei” nel loro complesso, avversari dei cristiani alla fine del primo secolo,
avversari di Gesù Cristo e veri responsabili della sua passione e morte. Ciò spiega anche la tendenza
comune, in misura diversa ai quattro evangelisti, ad insistere piuttosto sulla loro responsabilità che
sulla responsabilità romana (cfr. 19, 12-16) anche se è chiaro, proprio dal nostro racconto, che la
condanna a morte di Gesù per lesa maestà fu emessa ed eseguita dai romani, su denuncia dei capi
giudei dell‟epoca e non certamente per una ostilità diffusa del popolo giudaico contro Gesù, come
del resto gli stessi quattro vangeli attestano.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 101
Nonostante la risposta di Gesù avesse il senso di un distanziamento proprio dall‟accusa
rivoltagli, per Pilato costituì, continua Giovanni al v.37, l‟occasione per ricavarne una ammissione:
«Dunque tu sei re?». È proprio dello stile giovanneo portare avanti il discorso di rivelazione anche
attraverso le inconsapevoli affermazioni degli interlocutori di Gesù che creano spesso un equivoco
che però assume il valore di una confessione di fede per il lettore cristiano, insieme ad una certa
ironia. Sì, Gesù è re: «Tu lo dici, sono re». Tuttavia Gesù aggiunge una nuova spiegazione circa la
sua regalità che dilata i confini ristretti della prospettiva di Pilato alla ricerca di un chiaro capo di
imputazione: «Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere
testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». La diversa regalità che
qualifica Gesù come re, dipende dalla sua stessa origine che, come la sua regalità, non è di questo
mondo. L‟esercizio di tale regalità è il motivo per il quale egli è venuto nel mondo: “Venne nel
mondo… ma i suoi non lo riconobbero” (cfr. Gv 1,9-10). La specificazione di Gesù risulta così
densa di riferimenti alla preesistenza, all‟incarnazione… che la trasformano in un concentrato
kerygmatico chiaro solo per chi ha la possibilità di “vedere” al di là della dimensione terrena.
Davanti al prefetto romano, conscio del suo potere di vita e di morte, è proprio Gesù che esprime in
pieno la regalità, quella deriva da Dio e non dagli uomini, che ha a che fare con la “verità” e non
con l‟esercizio del potere.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 102
Brevi note introduttive all‟Apocalisse di Giovanni
BIBLIOGRAFIA:
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BIGUZZI G., L‟Apocalissee i suoi enigmi, Paideia, Brescia, 2004;
BIGUZZI G., Apocalisse, Nuova versione introduzione e commento, Paoline, Milano 2005;
BOSETTI E. – COLACRAI A. (a cura di), Apokalypsis. Percorsi nell‟Apocalisse di Giovanni, Cittadella, Assisi 2005;
COMBLIN J., Le Christ dans l‟Apocalypse, Tournai 1965 ;
CORSINI E., Apocalisse di Gesù Cristo secondo Giovanni, SEI, Torino 2002;
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MAZZEO M., La sequela di Cristo nel libro dell‟Apocalisse, Paoline, Milano 1997; Lo Spirito parla alla chiesa, nel
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PRIGENT P., L‟Apocalisse di Giovanni, Borla, Città di Castello 1985;
VANNI U., L‟Apocalisse: ermeneutica, esegesi, teologia (Supplementi alla Rivista Biblica 17), Ed. Dehoniane, Bologna
1988;
Lo studio di questo complesso scritto, l‟ultimo del NT, comporterebbe un intero corso, per non
parlare poi del peso che esso ha avuto nella storia della cultura cristiana sin dai primi secoli del
cristianesimo: la sua accoglienza e il suo rifiuto, le sue interpretazioni eterodosse, il suo
simbolismo… fino all‟uso del termine stesso “Apocalisse” e dell‟aggettivo “apocalittico” che
vengono continuamente usati per indicare qualcosa di paurosamente distruttivo…
La Bibliografia su questo libro è naturalmente molto ampia ed è facilmente consultabile anche
nelle bibliografie riportate dai volumi citati.
Per una breve storia dell‟interpretazione si può consultare l‟introduzione al volume di Lupieri
che prolunga le sue osservazioni con un paragrafo proprio sull‟Apocalittica giudaica che legittima
un‟interpretazione di tipo allegorico... Lupieri chiarisce che si può oparlare di “apocalittica” in modi
diversi: Come fenomeno letterario di lunghissima durata, anche non giudaico che esiste tuttora nelle
culture religiose scaturite dal tronco giudaico-cristiano-islamico; come genere letterario
accomunando tra loro quei testi che in qualche modo assomigliano all‟Apocalisse (in particolare a
partire dal fatto che si tratta di “rivelzazioni”); come una particolare tradizione giudica che ha
prodotto testi apocalittici e dietro i quali è possibile distingere una linea comune originaria
all‟interno del giudismo. (cf. Lupieri XXXI nota 2)
Sulla letteratura giudaica “apocalittica”
Lo studio ed il dibattito scientifico intorno alla questione dell'"apocalittica", di come si possa
definirla in modo concettualmente chiaro, tale da corrispondere ai contenuti ed alla forma delle
diverse "apocalissi", ha mostrato, al di là delle singole conclusioni, il suo principale punto debole:
l'idea, più o meno esplicita, che l'"apocalittica" dovesse avere necessariamente una unità di pensiero
chiaramente esponibile in forme concettuali. La ricerca di un denominatore comune tra opere la cui
composizione è collocabile in un arco storico di cinque secoli (V-IV a.C.- I d.C.) è senza dubbio
testimonianza della consapevolezza comune che una relazione specifica esiste tra loro, ma non può
essere soddisfatta, per esigenze di chiarezza concettuale, con l'appiattimento delle differenze.
Proprio quelle differenze hanno determinato negli ultimi tempi la proposta di diverse
criteriologie per la definizione cercata, rivelando spesso il carattere tautologico delle affermazioni
allorché, per definire l'apocalittica e determinare le opere che di essa fanno parte, si è operato una
scelta previa di opere da cui ricavare i criteri comuni, scelta che nasceva già da una pre-definizione,
almeno mentale di apocalittica.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2009-2010 p. 103
Pur con questi limiti, comuni peraltro ad altri campi della ricerca, l'impresa non é
irragionevole dal momento che, nonostante le differenze, si percepisce che alcune opere del
giudaismo degli ultimi secoli dell'evo pre-cristiano e del primo secolo cristiano sono accomunabili e
non solo limitatamente alla forma letteraria.
E' nell'ambito di questo dibattito che si inserisce il lavoro del prof. Paolo Sacchi, ordinario di
Ebraico e aramaico all'università di Torino. E' una raccolta di 12 articoli composti dall'autore
nell'arco di dieci anni, testimonianza di un lungo impegno di ricerca.
L'introduzione (pp.9-26) colloca opportunamente i diversi articoli nell'ampio dibattito di cui
si offrono le coordinate, segnalando le principali opere che furono alla base dell'approfondimento.
A proposito di tali opere, proprio la prima di quelle citate dal professor Sacchi, D.S.Russel, The
Method and Message of Jewish Apocalyptic, Philadelphia 1964, a cui riconosce un ruolo particolare
nell'ambito degli studi sull'apocalittica, è disponibile oggi anche in italiano: L'apocalittica giudaica
(Biblioteca teologica 23) Paideia, Brescia 1991.
Gli articoli sono raggruppati nelle due parti di cui si compone il volume. La prima, "Alla
ricerca di un'apocalittica storica" (pp. 29-169), è centrata sul problema più interessante ed attuale
relativo alla definizione stessa di "apocalittica", la seconda, "Alcuni temi della corrente apocalittica
sullo sfondo del pensiero giudaico" (pp. 171-318), raccoglie studi specifici su libri e temi
dell'apocalittica.
Molto curata ed utile la bibliografia conclusiva, divisa per argomenti e temi (pp. 321-361).
L'autore si inserisce nel dibattito proponendo, in maniera chiara nell'introduzione e nello
stesso titolo della parte I, un superamento dei termini che ne sono stati punto di partenza: non tanto
la ricerca di una definizione concettualmente precisa e perciò astratta di apocalittica, quanto
l'osservazione storica di un fenomeno storico-letterario che riguarda una corrente del pensiero
giudaico, le cui molteplici testimonianze sono oggi più precisamente collocabili all'interno della
storia giudaica. La prospettiva dello studioso è dunque di tipo storico; su questo piano è possibile
rintracciare le origini dell'apocalittica che nasce come "movimento culturale, sviluppatosi sulle
correnti del pensiero meridionale di Israele, quando queste, in seguito all'esilio babilonese,
restarono isolate in patria" (p.128) diversificandosi teologicamente dagli esiliati, e costituendo, per
la politica successiva al ritorno degli esiliati, quella che oggi definiremmo una "minoranza". E'
dunque nella Teologia del Patto, definizione che l'autore preferisce a quella di Teologia meridionale
"troppo compromessa con una ricostruzione della storia" improbabile (p. 319) che va rintracciata
l'origine storico-teologica dell'apocalittica.
Non a caso, perciò, il primo articolo del volume è dedicato al Libro dei Vigilanti, testo
certamente più antico del 200 a.C., primo tomo del pentateuco enochiano (Enoc 6-36), assunto
dall'autore come punto di partenza cronologico per uno studio dell'apocalittica. Il Libro dei Vigilanti
permette così una verifica critica degli otto temi proposti dal Koch come fondamentali per
l'apocalittica in generale. Così se il tema dell'attesa e la dottrina dei cicli rivelano, nel confronto, il
loro carattere tardivo, è possibile riconoscere in temi come l'origine del male, il mondo di mezzo, la
fine già presente, l'intermediario della salvezza ecc., quei temi di partenza che saranno sviluppati
nel tempo, presentando anche nuovi sviluppi. Anzi, a testimoniare quanto vario e complesso sia il
mondo dell'apocalittica, uno sviluppo può essere colto già all'interno stesso del Libri dei Vigilanti,
attraverso i diversi strati in esso identificabili (Parte I, cap.3, pp.99-130). Si delinea così il carattere
fluido dell' apocalittica e l'autore insiste, giustamente, sul carattere storico, evolutivo di un pensiero
che per esigenze moderne di classificazione, viene spesso rinchiuso in definizioni a-storiche.
Di particolare rilievo il problema del male, della sua origine e della salvezza da esso, uno dei
temi di fondo per la comprensione del pensiero apocalittico (in particolare Parte I, cap. 2, pp. 7998), alla radice dell'apocalittica (p.128). Questo tema, insieme a quello della mediazione-mediatore,
e del mondo di mezzo, vengono ripresi e approfonditi particolarmente nella seconda parte del
volume.
E' difficile sintetizzare un'opera come quella di Sacchi, data la sua natura di raccolta. Eppure
in ogni articolo riappare, come ricerca di fondo, l'esigenza di collocare i singoli aspetti del pensiero
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apocalittico, all'interno di un quadro storico-cronologico di sviluppo che dà ragione, più che nei
passati tentativi, della vitalità e della varietà del pensiero apocalittico prossimo all'era cristiana. Va
sottolineata, e l'autore lo fa diverse volte, l'importanza di questi approfondimenti per lo studio
dell'ambiente di formazione del Nuovo Testamento, laddove, però, biblisti e teologi rinuncino a
quell'uso superficiale della letteratura tardo-giudaica e apocalittica in particolare, teso a sostenere e
confermare idee e concezioni teologiche. E ciò non limitatamente al problema generale
dell'apocalittica ma anche in relazione ad aspetti particolari del pensiero apocalittico che gettano
una luce nuova sul mondo del Nuovo Testamento, come sempre più generalmente viene ammesso
(si pensa per es. ad opere come quella di J.H.Charlesworth, Jesus within Judaism, New York 1988).
A tale proposito si vuole sottolineare, in particolare, l'importanza del cap. 7., parte II: "Enoc
Etiopico 91,15 e il problema della mediazione", che offre spunti di forte interesse per gli studiosi di
Nuovo Testamento come indicato dallo stesso Prof. Sacchi a conclusione del capitolo (p. 198).
Altrettanto interessante, per gli stessi motivi, il cap. 8. (parte seconda), "Messianismo e
apocalittica", in cui viene illustrato il particolare rilievo che nell'apocalittica assume la figura di un
mediatore di salvezza. La ripresa del messianismo a partire dal II sec. a.C., e soprattutto il tema del
mediatore di salvezza, risvolto del messianismo (p.216), introduce il lettore ad una riflessione sulla
figura enochiana del "Figlio dell'uomo" che nel Libro delle Parabole presenta, cumulate, le funzioni
di mediatore e di Messia (p.217). A conclusione del capitolo l'autore sottolinea, giustamente,
l'importanza della considerazione di questa figura apocalittica per gli studiosi di Nuovo Testamento:
"...chiave migliore per comprendere il messianismo cristiano" (p. 219). Una suggestione che,
crediamo, può spingere a riflessioni ulteriori, che non fermandosi solo al piano della letteratura e
del pensiero neotestamentario, spingano a riaprire il discorso sulla stessa storia di Gesù e sulle
figure e categorie di cui egli si servì per presentarsi ai contemporanei.
Non manca, tra gli studiosi, chi ha messo in dubbio l‟appartenenza dell‟Apocalisse giovannea al
genere apocalittico strettamente inteso.
L’Apocalisse di Giovanni
Data di composizione
Ireneo di Lione (seconda metà II secolo, riportata da Eusebio di Cesarea nella Hist.): ultimo
anno dell‟imperatore Domiziano, assassinato nel settembre del 96. Il 95 è ritenuto la data verosimile
dalla maggior parte degli studiosi.
Tentativi di anticipazioni: sotto le persecuzioni precedenti: Claudio (41-54), Nerone (54-68),
Traiano (98-117): Giovanni avrebbe scritto per incoraggiare i compagni sotto la persecuzione.
Lupieri data lo scritto tra il 70 e il 100 d.C., cioè dopo la distruzione del tempio di
Gerusalemme ad opera di Tito; al massimo poco prima, 67. Tresmontand, Apocalypse, 269s.,
ritenendo con altri che la grande prostituta sia Gerusalemme, afferma che la sua distruzione venne
annunciata dall‟Apocalisse poco prima che accadesse.
Autore
Ap (cf 1,4.9; 22,8) indica il proprio autore: Giovanni. La tradizione dei primi secoli lo ha
identificato con Giovanni apostolo, autore degli altri scritti del corpus. Eusebio cita diverse
posizioni, già nell‟antichità: quella del presbitero romano Gaio che la attribuisce a Cerinto (inizio
III sec.: rifiutava anche gli altri scritti attribuiti a Giovanni per combattere il montanismo,
movimento a carattere millenaristico nato in Asia Minore) e del vescovo di Alessandria Dionigi
(prima metà III sec.: parla di un altro Giovanni presente ad Efeso).
Incertezze e perplessità anche in Eusebio di Cesarea. Motivi sono certamente il millenarismo;
ma nel caso specifico di Eusebio anche il nuovo corso del cristianesimo nell‟impero romano sotto
Costantino di cui Eusebio era amico e consigliere (l‟Apocalisse descrive invece il rapporto dei
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cristiani con Roma con caratteri conflittuali…). C‟è tuttavia di rilevare che altri autori (per es.
Ireneo e Origene) già precedentemente si orientavano alla collaborazione con Roma, ma non
disdegnando di utilizzare l‟Apocalisse che evidentemente non dovette loro apparire tanto
antiromana (in parte si deve all‟interpretazione di alcune metafore, come la grande prostituta che
anche oggi molti attribuiscono a Roma mentre altri per esempio Corsini, attribuiscono a
Gerusalemme). Le cose cambiarono in seguito alle grandi persecuzioni (III sec.: Settimio Severo,
Decio, Valeriano, Massimino, Diocleziano): l‟impero romano è visto allora come il vero grande
persecutore anticristico (cfr. Ippolito vescovo di Roma martirizzato nel 235) e, in occidente, il
primo commento pervenutoci su Ap: Vittorio di Petovio (martirizzato nel 304).
Con articolate dimostrazioni (anche in contrasto con differenti percorsi che raggiungono la
stessa conclusione) Corsini ritiene che sia ancora possibile ipotizzare l‟apostolicità dello scritto:
proprio a partire dal fatto non secondario della visione teologica dell‟escatologia realizzata che è
caratteristica degli scritti giovannei e dell‟Apocalisse (nell‟interpretazione storicizzata che ne dà
l‟autore per cui le immagini, per esempio della cosiddetta Gerusalemme escatologica si riferiscono
in realtà alla nuova Gerusalemme dei cristiani…).
L‟unità letteraria dell‟opera è stata messa in dubbio, ma la critica recente ricerca piuttosto di
spiegare il testo così come esso si presenta anziché affidarsi a ricostruzioni più o meno credibili.
Struttura. Tra le diverse proposte, alcune delle quali molto articolate, preferiamo la più
semplice che tiene conto dei settenari. L‟uso del sette ricorda senza dubbio il precedente biblico di
Gn 1,1-2,4a ed avrà successo nella divisione religiosa del tempo in sette ere… Inoltre, in tali
tradizioni un ruolo particolarmente importante lo ha il sesto giorno, quello della creazione
dell‟uomo che anche nei settenari dell‟apocalisse risulta essere il momento cruciale dei settenari. La
ripetizione infatti del numero sette e l‟organizzazione in settenari è una delle più frequenti ed ovvie
considerazioni ad una prima lettura del testo.
In generale, e non senza variazioni anche significative, si riconoscono nel testo le seguenti parti::
Prologo 1,1-8
Parte I: 1,9-3,22
Parte II: 4,1-22,5
Epilogo 22,6-21
4,1-5,14
6,1-8,1 sette Sigilli
8,2-6
8,7-11,19 sette trombe
12,1-15,8
16,1-21 sette coppe
17,1-22,5
Messaggi alle sette chiese dell‟Asia
Preparazione della scena dei sette sigilli
Preparazione della scena delle sette trombe
Introduzione alle sette coppe
Sviluppo del messaggio del settenario delle
coppe