5 domande a don ciotti - Azione Cattolica Italiana

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5 domande a don ciotti - Azione Cattolica Italiana
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ne
lla redazio
a cura de
Don Luigi Ciotti
La vocazione è qualcosa che nasce
Le 5 domande di questo mese hanno
dentro di te, ma che scopri solo se
un destinatario molto speciale, che
impari a guardarti intorno: a con-
magari qualche vostro fratello più
frontarti con gli altri e a capire cosa
grande ha già conosciuto al “C’è di
succede nella realtà in cui vivi. Io abi-
più”, la festa dei giovanissimi... Si
tavo a Torino, dove mi ero trasferito
tratta di don Luigi Ciotti: non solo un
da piccolo con la mia famiglia, origi-
sacerdote, ma anche un onesto citta-
naria delle montagne del Cadore, in
dino al servizio della gente, sempre
Veneto. Quella grande città aveva
pronto a portare un segno di spe-
dato a mio padre, come a molte altre
ranza, di amore e di pace a tutti co-
persone arrivate da lontano, un la-
loro che ne hanno bisogno. Ecco l’oc-
voro e la possibilità di farci vivere di-
casione per conoscerlo meglio!
gnitosamente. Ma a una certa età ho
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cominciato ad accorgermi che non
Ciao don Luigi, parlaci un po’
tutti avevano avuto le stesse oppor-
di te, di quando eri ragazzo, di
tunità: forse perché più fragili e soli,
come è nata la tua vocazione,
o soltanto più sfortunati, alcuni re-
del perché ti sei sempre impe-
stavano “esclusi” dal benessere e
gnato a favore degli ultimi...
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dalla felicità. Vedevo intorno a me
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grandi magistrati, Falcone e Borseltante povertà, ingiustizie, e la grande
disuguaglianza fra chi aveva tutto e
chi nulla, o quasi, dalla vita. E sentivo che erano situazioni inaccettabili:
situazioni che potevano cambiare
solo se tutti, me compreso, si fossero
rifiutati di accettarle.
A 17 anni, tornando da scuola, ho notato un uomo anziano sempre seduto
alla stessa panchina, che gli faceva da
casa. È dall’incontro con lui - un medico che aveva rinunciato alla sua
esistenza tranquilla perché sconvolto
dall’aver involontariamente provocato la morte di una paziente - che è
nata la scelta di fondare, insieme ad
alcuni amici, il Gruppo Abele: per
dare una mano alle persone in difficoltà e far capire agli altri, ai “fortunati”, quanto fosse importante per
tutti costruire una società più giusta
e più responsabile. Poi ho sentito che,
per vivere pienamente il mio desiderio di “saldare la terra col cielo”,
l’amore per gli “ultimi” e l’amicizia
con Dio, avrei dovuto farmi sacerdote. È accaduto qualche anno dopo,
e il ricordo più bello della mia ordinazione è quando padre Pellegrino Arcivescovo di Torino e mio grande
maestro - mi ha affidato come parrocchia “la strada”.
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Quando e perché hai fondato
l’Associazione “Libera”?
“Libera” è nata nel 1995. Negli
anni precedenti, un susseguirsi di attentati e stragi mafiose aveva profondamente colpito l’opinione pubblica. Nel 1992, a pochi mesi di
distanza, erano stati ammazzati due
lino, con la moglie del primo Francesca e i poliziotti incaricati di proteggerli: Vito Schifani, Rocco Dicillo,
Antonio Montinaro, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li
Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio
Traina (è importante citarli tutti, perché il primo diritto di ogni persona è
quello di essere chiamata per nome).
Era stato anche pensando al sacrificio di persone come loro che l’anno
successivo Papa Giovanni Paolo II,
da Agrigento, aveva lanciato un
“grido” contro la mafia, definita “civiltà di morte”, incompatibile col
Vangelo. Il suo appello ai mafiosi affinché si convertissero non aveva
però fermato la violenza, che anzi
aveva cominciato a rivolgersi anche
contro coraggiosi uomini di Chiesa,
come don Pino Puglisi e don Peppe
Diana. Mentre alcune bombe piazzate a Roma, Milano e Firenze mandavano il segnale che nessuno, in Italia, poteva sentirsi al sicuro dalla
criminalità organizzata.
Di fronte a tutto questo, molti italiani
avevano sentito il bisogno di mobilitarsi, di fare la propria parte accanto
ai magistrati e alle forze di polizia per
difendere la legalità e rafforzare la
democrazia. Ma mancava un coordinamento, una comunicazione capace
di trasformare le singole iniziative
sparse sui territori in un impegno col-
lettivo, e dotato di continuità.
Come prima cosa, abbiamo pensato
servisse l’informazione: la gente doveva avere gli strumenti per capire
cosa stava succedendo, per reagire nel
modo più efficace. È nata così “Nar-
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comafie”, una rivista che racconta il
legalità e soprusi, devono tornare ad
mondo del malaffare e lo sforzo della
essere “bene comune”, produrre be-
gente onesta per contrastarlo. Poi, in-
nessere e opportunità per tutti. Gra-
sieme ad alcuni amici, abbiamo dato
zie a quella legge, oggi alcuni degli
vita a “Libera”, una rete di gruppi e
edifici confiscati alle mafie diventano
associazioni che unisce oggi più di
scuole, caserme, centri sportivi, asili,
1.600 realtà in tutta Italia. Per non la-
case per anziani. E delle cooperative
sciare solo nessuno di coloro che si
di giovani coltivano le terre un tempo
battono contro l’illegalità e le mafie,
appartenute ai boss, dove con un la-
e dare più forza, incisività e coraggio
voro pulito, generoso e responsabile,
all’impegno di ognuno.
producono cibi doppiamente “buoni”:
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con il “gusto” di ciò che è “giusto”.
L’obiettivo che ti eri prefis-
Sono questo tipo di iniziative che ser-
sato è stato raggiunto? È cam-
vono a “cambiare le persone”: perché
biato qualcosa nelle persone?
dimostrano anche alle più indiffe-
Quali gesti concreti sono nati?
renti, o spaventate, che insieme è pos-
La prima scommessa di “Libera” è
sibile sconfiggere la violenza dell’in-
stata proprio la concretezza. Ab-
ganno e delle armi, e vivere tutti più
biamo voluto dimostrare ai mafiosi
sicuri.
che gli italiani erano in grado di fare
Un’altra cosa importante è l’educa-
qualcosa di molto concreto per op-
zione: per questo, come “Libera”, se-
porsi alle loro prepotenze. Per que-
guiamo molti progetti nelle scuole.
sto, attraverso una grande raccolta di
E cerchiamo di dimostrare ai bambini
firme, abbiamo incoraggiato l’appro-
e ai giovani che la legalità non solo è
vazione della legge 109 del 1996, che
“giusta”, ma “conviene”, perché di-
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fende i diritti di tutti dalla “legge del
lità organizzata devono essere resti-
più forte”. Quando incontro tanti ra-
tuiti ai cittadini attraverso un “uso
gazzi in giro per l’Italia che, grazie a
sociale”. Che significa? Che le ric-
quei progetti, sono diventati cittadini
chezze di pochi criminali, frutto di il-
più consapevoli, pronti a giocare non
da spettatori, ma da protagonisti, la
“partita” della democrazia, posso dire
che sì, l’obiettivo è raggiunto. Viene
raggiunto ogni giorno, ogni volta che
qualcuno prende coscienza che l’ingiustizia, l’illegalità e le mafie sono
anche un suo problema, e insieme
agli altri è chiamato a impegnarsi per
affrontarlo.
Poi certo non bisogna mai illudersi di
avere fatto “abbastanza”: molto di più
si può e si deve ancora costruire.
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ritti, serve il contributo di tutti. Il
fatto di scegliere ogni volta una città
diversa è per coinvolgere il più possibile tutta l’Italia. Non è più vero da
molto tempo che le mafie siano solo
in certe regioni. Oggi i loro affari
sporchi e i loro metodi brutali “inquinano” l’economia e la vita pubblica da
nord a sud, con conseguenza drammatiche sulla vita di tanta gente che
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Qual è lo scopo della
“Giornata della Memoria e
dell’Impegno in ricordo delle
vittime delle mafie” che ogni anno è
organizzata da “Libera”? E perché
ogni anno è in un posto diverso, anche al nord, dove si può pensare che
la mafia non ci sia?
Gli scopi sono due, strettamente intrecciati. Il primo è ricordare le persone innocenti uccise dalle mafie: i
loro nomi, le loro storie, il bisogno di
verità e giustizia delle loro famiglie,
che quel giorno vogliamo stringere in
un ideale, grande abbraccio di solidarietà e gratitudine. Il secondo è richiamare tutti i cittadini a un maggiore impegno contro l’illegalità, la
violenza e le ingiustizie. La “memoria” infatti non è autentica se si ferma
alle “parole di circostanza”, alle celebrazioni di un giorno. È invece un
sentimento che deve vivere nella quotidianità, guidarci nelle nostre scelte,
stimolarci a una maggiore responsabilità. Questo vogliono testimoniare le
migliaia di persone che ogni anno si
danno appuntamento in una data vicina al 21 marzo, primo giorno di primavera: che per cambiare le cose che
non vanno, per far sbocciare una stagione nuova della sicurezza e dei di-
viene minacciata, sfruttata, derubata.
Sono un problema di tutti, e tutti
dobbiamo ribellarci.
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Cosa possiamo fare noi ragazzi nella nostra vita di
tutti i giorni per “combat-
tere” l’illegalità?
Studiare. So che non è la risposta
che molti di voi avrebbero voluto
sentire, eppure è davvero così. Intanto perché studiare è il principale
dovere dei ragazzi della vostra età, e
fare il proprio dovere è il primo
passo per difendere i diritti, nostri e
degli altri. Poi perché solo la conoscenza, la cultura, ci permette di ragionare con la nostra testa, di non lasciarci
“abbindolare”
dalle
false
promesse di chi vuole convincerci
che le scorrettezze e gli imbrogli rendono la vita più facile. “Legalità” non
vuol dire solo rispetto delle leggi, ma
“responsabilità”, attenzione agli altri,
capacità di comportarsi correttamente anche quando non c’è nessuna
legge a imporcelo: è rispettare l’ambiente, evitare gli sprechi, non copiare i compiti dai compagni, non
raccontare frottole ai genitori, non
approfittarsi di chi è più debole ma,
anzi, essergli amico.
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