dell`uso inumano dei diritti umani

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dell`uso inumano dei diritti umani
DICEMBRE 2012
DELL’USO
INUMANO
DEI DIRITTI
UMANI
IL VENEZUELA SI POTRÀ
PERCORRERE
SUI BINARI
IL CAOS CLIMATICO,
ARMA DI DISTRUZIONE
DI MASSA
IL RUOLO POLITICO
DEI MEZZI DI
COMUNICAZIONE SOCIALE
LA SCHIAVITÙ:
IL COLORE MERCANTILISTA
N. 3 Dicembre 2012
Ambasciata della Repubblica Bolivariana
del Venezuela in Italia
Ambasciata della Repubblica Bolivariana
del Venezuela presso la Santa Sede
Consolato Generale della Repubblica Bolivariana
del Venezuela a Milano
Consolato Generale della Repubblica Bolivariana
del Venezuela a Napoli
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4/7
Coordinatore di redazione:
Maylyn López Pérez
Hanno collaborato a questo numero:
Geraldina Colotti, Marinella Correggia, Marnoglia Hernández
Groeneveledt, Maria Elena Riccio, Elio Goka, Martina Tabacchino, Shaindel Novoa, Maria Vittoria Tafuro, Ciro Brescia,
Edith Alfonzo, Carlos Abreu, Dario Buonanno, Roberto Roiz.
Fonti: Correo del Orinoco, Diario Ciudad Caracas, Ministerio del Poder Popular para la Comunicación e Información,
Aporrea, TELAM, AVN, ANDES, ABI, Agencia Brasil.
Foto di copertina: Correo del Orinoco
Contatti:
Via Depretis, 102 - 80128 Napoli
tel. +39 081 551.81.59
e-mail: [email protected]
www.consulvenenap.com
Elaborazione Grafica:
Dario Buonanno
Pino Buonanno
Roberto Roiz
Agenzia di Pubblicità:
Adek - gruppo creativo -
venezuela soberana
• Il Venezuela si potrà percorrere sui binari
• Yanomama, Arawako, Pemón
8/11
latinoamérica desde adentro
• Mst in Brasile, laddove esiste ancora la rivoluzione come
dovrebbe essere
Comitato editoriale:
Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario
Julián Isaías Rodríguez Díaz
Incaricato d’affari a.i. Héctor José Pérez Romero
Console Generale Giancarlo Di Martino
Console Generale Aggiunto Bernardo Borges Arnese
Coordinazione generale:
Bernardo Borges Arnese
editoriale
• Il Venezuela raggiunge volumi internazionali nella produzione del girasole
• Banca Mondiale: La classe media è aumentata dell’America
del Sud
• L’Onu condanna di nuovo l’embargo contro Cuba
12/15
Dell’uso Inumano dei Diritti
Umani
16/19 dossier del mundo
• Il caos climatico, Arma di distruzione di massa
• Una prospettiva europea
20/21 observatorio mediático
• Il ruolo politico dei mezzi di comunicazione sociale
22/26 venezuela desde italia
• Il Venezuela diffonde politiche sociali sulla parità di genere
• Inaugurata associazione Filippo Gagliardi di Maratea
• Inaugurato busto di Bolívar a Manfredonia
• Venezuela presente nel libro italiano: “Suggestioni di viaggio”
• Il Sud Italia solidarizza con il Venezuela
• Giovani italiani: Presidente Chávez abbiamo bisogno della
sua forza e senso di giustizia sociale
27/31 identidad, mito y leyendas
• La schiavitù: Il colore mercantilista
• Approccio di genere
• È inutile spiegarlo con parole
• Así somos
editoriale
UN POPOLO
TRABOCCANTE
D’AMORE
La conquista di venti delle ventitré regioni venezuelane da parte dei candidati bolivariani nelle elezioni regionali del 16 dicembre 2012 è uno stimolo ai processi di
cambiamento in corso in America Latina,
come nel caso dell’Ecuador o, tra gli altri,
della Bolivia, dell’Uruguay, dell’Argentina
o del Nicaragua.
Riconosciamo questa nuova sfida di vitale importanza per il consolidamento
dell’unità dell’America latina con i diversi
strumenti creati negli ultimi anni in funzione dell’integrazione: l’Unione delle
Nazioni Sudamericane (UNASUR), la Comunità di Stati Latinoamericani e dei Caraibi (CELAC), il Mercato Comune del Sud
(MERCOSUR) e l’Alleanza Bolivariana per
i Popoli della Nostra America -Trattato
per il Commercio dei Popoli (ALBA-TCP).
A Caracas si è tenuto di recente l’ottavo
anniversario dell’ALBA, alleanza caratterizzata dallo scambio solidale, valore
molto superiore all’aspetto meramente
economico.
È previsto per il 2013 un maggiore consolidamento degli investimenti industriali e
della Banca dell’ALBA. Quest’ultima nasce
nel 2008 in occasione del quarto vertice
di tale organismo, con un capitale sociale
di 2 miliardi di euro e un miliardo di capitale sottoscritto per finanziare progetti di
rilevanza sociale, che, avendo un ritorno
economico solo a lungo termine, di solito
non invoglia le banche commerciali.
Tre paesi, Venezuela, Bolivia e Nicaragua,
sono stati dichiarati dall’UNESCO liberi
dall’analfabetismo con l’aiuto del programma cubano “Yo Si Puedo”, mentre
si stimola la massiccia partecipazione
popolare all’istruzione di livello primario,
secondario e universitario.
L’ALBA, fondata otto anni fa, è diventata
il secondo blocco d’importanza geo-strategica che guida l’eliminazione delle
ingiustizie, delle disuguaglianze e della
povertà che si era imposta nella regione
da decenni. Come ha avuto modo di dire
una volta il presidente Chávez, “L’ALBA è
l’unione per essere liberi”.
Oggi il popolo venezuelano apprezza le
dimostrazioni di affetto realizzate attraverso la preghiera, lo scritto, le veglie e
i canti al Presidente venezuelano - architetto del processo di Integrazione latinoamericana- sostenendone il rapido
e solido recupero fisico. Chávez è una
nazione. Chávez è un popolo. Chávez è
un progetto politico che oggi, partendo
dal Venezuela, percorre tutta l’America
latina.
Come è stato recentemente affermato
dal professore della Universidad Complutense de Madrid Juan Carlos Monedero:
“Nella lotta contro il neoliberismo, Chávez non ha scelto le armi come ieri, ma
l’amore, la determinazione, il coraggio,
la persuasione, valorizzando l’apparato
giuridico e politico sostenuto dalle stesse
democrazie liberali (Costituzione, i partiti, le leggi, i tribunali, la partecipazione, la
sovranità). Le armi essenziali per affrontare le carenze di questo modello. Mentre
l’Europa annulla le sue costituzioni per
imporre il neoliberismo, il Venezuela utilizza i loro stessi strumenti emancipatori
per porre le basi di un nuovo modello”.
“Manca un’arma segreta per superare le
disuguaglianze del capitalismo in crisi.
Quella che può trasformare l’odio in una
passione costruttiva. Quella che invita
ad abbassare la propria bandiera e a impugnare la bandiera collettiva. L’arma di
Chávez che Machiavelli non conosceva:
l’amore di un popolo. Un amore capace di
affrontare l’impero più potente della storia, di opporre resistenza alle oligarchie,
di sconfiggere i militari ancorati nella
torturatrice Scuola delle Americhe, un
amore che lotta contro la riduzione della
vita a mera merce di scambio, un amore
che combatte tutti i potenti del mondo”.
Inauguriamo questa nuova tappa con un
processo inedito: la consulta popolare e
sovrana per il Piano di
Governo 2013-2019 con il contributo di
tutti i settori della vita nazionale – riconoscendo ed stimolando il ruolo reale ed
effettivo al protagonismo di tutti i venezuelani e venezuelane-.
Il Venezuela è stato recentemente eletto
membro del Consiglio dei Diritti Umani
delle Nazioni Unite per il periodo 20122015. “Noi crediamo nella necessità di
costruire organismi internazionali che
promuovano e garantiscano seriamente
i diritti dell’essere umano e che non utilizzino strumentalmente i diritti umani
per attaccare politicamente e giustificare attacchi politici e, a volte, persino
aggressioni militari contro interi popoli,
ha rilevato il Vice Presidente venezuelano
Nicolás Maduro “.
Siamo un popolo felice. Siamo compiaciuti per il riconoscimento dei “Diavoli
Danzanti del Corpus Christi” dichiarato
Patrimonio Immateriale dell’Umanità
dall’UNESCO, evidenziando una tradizione che si tramanda di generazione in generazione da 400 anni in Venezuela, che
si svolge in varie parti del paese e riunisce le nostre eredità di africani, indios ed
europei.
Affermiamo la necessità di continuare
a costruire questa strada verso l’uguaglianza delle condizioni fondate sulla
solidarietà e sul rispetto. L’amore si paga
con l’amore.
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venezuela soberana
pronto tra due anni e la popolazione
che ne trarrà beneficio supera i tre milioni di abitanti.
Sistema centrale
occidentale
Il progetto include anche il recupero del
Sistema Ferroviario Centro Occidentale,
che comprende il tratto Puerto Cabello,
Morón, Urama, San Felipe, Chivacoa,
Yaritagua, Barquisimeto, Acarigua.
Tinaco-anaco
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IL VENEZUELA SI
POTRÁ
PERCORRERE SUI
BINARI
Il Piano Nazionale di Sviluppo Ferroviario 2006-2030, portato avanti dal governo venezuelano, prevede il recupero
e la costruzione di 13.665 chilometri
di percorso ferroviario, consentendo a
breve di disporre di un innovativo sistema multimodale di merci e passeggeri
lungo tutto il paese. Questo progetto
ferroviario prevede il trasporto di circa
240 milioni di persone.
Nessuno immagina che in pochi anni
i venezuelani parteciperanno a questo processo d’innovazione ferroviaria
che consentirà il trasporto di milioni di
persone e tonnellate di alimenti attraverso questo mezzo, ma tutto ciò sarà
possibile grazie alle linee strategiche
promosse dal presidente della Repubblica, Hugo Chávez Frías, da tredici anni
a questa parte.
Il presidente dell’Instituto de Ferrocarriles del Estado (IFE), Franklin Pérez
Colina, ha rilasciato delle dichiarazioni sull’evoluzione di questi progetti. Il
primo tratto dell’asse centrale è quello di Puerto Cabello – La Encrucijada.
Questa diramazione di 128,8 chilometri
è realizzata per il 67,23% e avrà otto
fermate: Puerto Cabello, Naguanagua,
San Diego, Guacara, San Joaquín, Maracay e Cagua.
“Attualmente stiamo costruendo la linea ferroviaria, abbiamo già montato i
binari, la ghiaia, le traversine e i sistemi
di fissaggio. I treni sono pronti, dobbiamo semplicemente finire la linea e saldarla” ha riferito il presidente dell’IFE, il
quale ha anche annunciato che il tratto
Puerto Cabello – La Encrucijada sarà
Il tratto Tinaco-Anaco, uno dei più lunghi in sviluppo con 468 chilometri, attraverserà le stazioni di Tinaco, El Pao,
Dos Caminos, El Sombrero, Chaguaramas, Valle de la Pascua, Tucupido, Zaraza, Aragua de Barcelona e Anaco.
La realizzazione dell’opera, affidata alla
China Railway Engineering Corporation
(CREC), è ad oggi al 20% di avanzamento. Questa è una della 500 aziende
più importanti del mondo e compare
tra le tre prime imprese di costruzione. “Il Fondo Cinese ha approvato dei
finanziamenti per questo tratto proseguendo lo svolgimento dei lavori”. Il
Presidente di IFE ha commentato che
i progetti ferroviari richiedono grandi
investimenti sociali. Il tratto Tinaco-Anaco ha un costo di circa dieci miliardi
di dollari.
Manutenzione dell’asse
centro sud
Il Consorcio Grupo de Empresas Italinas (GEI) è l’incaricato di sviluppare il
Sistema Ferroviario Centro Oriental
Eje Centro Sur che comprende il tratto
Chaguaramas-Las Mercedes-Cabruta e
la diramazione San Juan de los Morros-San Fernando de Apure.
L’asse Chaguaramas-Las Mercedes-Cabruta attraverserà lo stato Guárico per
202 chilometri. Il progetto oggi ha uno
stato di avanzamento globale pari al
20,83% e prevede sei stazioni: Chaguaramas, Las Mercedes, El Mejo, Santa
Rita, Arrecife e Cabruta. Trarranno benefici 600 mila abitanti.
D’altro lato, la tratta San Juan de Los
Morros-San Fernando de Apure prevede 252 chilomentri di via ferroviaria.
La diramazione che collegherà Guárico
e Apure attraverso sette stazioni: San
Juan de los Morros, Ortiz, El Rastro, Calabozo, Corozopando, Camaguán e San
Fernando de Apure, è ad uno stato di
avanzamento del 17,20%.
ristrettezze economiche del Venezuela
impedirono di portare a termine tale
progetto. I lavori sono rimasti fermi per
diversi anni, ma quando il presidente
Chávez giunse al potere ci fu un’accelerazione dei lavori.
Questa diramazione di 41,4 chilometri
ha quattro stazioni: Caracas, Charallave Norte, Charallave Sur e Cúa. Il tempo
di percorrenza va da 17 a 31 minuti, a
seconda delle stazioni. Attualmente
questo sistema ha 10 treni, nonostante
ciò il presidente Chávez ha annunciato
l’approvazione di 300 milioni di dollari
destinati all’acquisto di nuove locomotive fabbricate in Giappone che inizieranno ad arrivare nel 2013.
Il sogno del presidente Chávez consiste nel creare il grande asse di sviluppo ferroviario che va da Barquisimeto
passando attraverso la zona dello stato
Carabobo, Aragua, Valles del Tuy e che
finisca nella stazione della Rinconada.
Per fare ciò occorrono circa trecento
miliardi di dollari in modo da collegare
questa grande rete di integrazione.
A Santa Teresa del Tuy c’è evidenza
della presenza della ferrovia, come dimostra la stazione Principal, sita nel
settore La Estación, appartenente al
comune di Independencia che nel mese
di dicembre del 1993 fu dichiarata Monumento Storico.
La ferrovia Ezequiel
Zamora compierà sei
anni
Il Piano Nazionale di Sviluppo Ferroviario 2006-2030 consentirà di trasportare 1,68 milioni di tonnellate di alimenti
e altri prodotti all’anno, ha comunicato
il presidente dell’Instituto de Ferrocarriles del Estado (IFE), Franklin Pérez Colina.
Il 15 ottobre il Sistema Ferroviario
Ezequiel Zamora I che comprende il
tratto Caracas-Tuy Medio, è giunto ai
suoi sei anni di attività. Questo progetto
che si è consolidato durante il Governo
Rivoluzionario nel 2006 trasporta 120
mila utenti al giorno.
Il presidente dell’Instituto de Ferrocarriles del Estado (IFE), Franklin Pérez Colina, ha comunicato che questo tratto
porta la data del 1988, ma all’epoca le
Abbassare i costi dei
prodotti
Questo mezzo di comunicazione offrirà
un enorme potenziale d’interscambio
commerciale, industriale e agricolo, abbassando, a sua volta, i costi di trasporto delle merci, materie prime e prodotti
di vario genere.
Con l’ingresso del Venezuela nel Mercado Común del Sur (Mercosur), lo
scambio tecnologico in ambito ferroviario sarà significativo. “Quest’impresa
portata avanti dal Governo Nazionale
vuole unire attraverso le vie ferroviarie
il territorio venezuelano da nord a sud
e da est ad ovest, portando progresso
e sviluppo lungo tutto il suo percorso.
Anche il settore privato può utilizzare
il sistema”
Storia della ferrovia
Il progetto più antico risale al 1834 e
fu presentato dal signor Stevenson ai
signori Herrings Graham e Powels della
Borsa di Londra. Il Venezuela è uno dei
pochi paesi latinoamericani che fino
a poco tempo fa non aveva una rete
ferroviaria che unisse le sue principali zone demografiche, economiche e
strategiche.
“Nel paese non si è sviluppato un sistema ferroviario perchè per gli interessi
esteri era più importante il commercio
di autocarri, il trasporto di merci, che
un sistema di massa a beneficio del popolo”, ha dichiarato Colina.
Joselin Arteaga /Ciudad Ccs
traduzione: Maria Elena Riccio
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venezuela soberana
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Yanomama, Arawako, Pémon…
Il 12 ottobre, a Caracas, una folla festante e colorata ha declinato in molte lingue la propria presenza alla Giornata di
resistenza dei popoli indigeni. Una data
istituita nel 2002 per testimoniare la riscossa dei nativi dopo 500 anni di una
colonizzazione iniziata con l’arrivo di Cristoforo Colombo, il 12 ottobre 1492. La
Costituzione della Repubblica Bolivariana
del Venezuela (una delle più avanzate al
mondo) riconosce “l’eroismo e il sacrificio
degli antenati aborigeni” fin dal suo preambolo, e stabilisce – all’articolo 9 – che,
a fianco della lingua ufficiale, il castigliano, “anche le lingue indigene sono di uso
comune per i popoli indigeni e devono
essere rispettate in tutto il territorio della
Repubblica, poiché costituiscono patri-
monio culturale della nazione e dell’umanità”. Le lingue conosciute sono 25,
i popoli originari esistenti sul territorio
venezuelano, 42. Ai loro diritti è dedicato il capitolo VIII della Magna Carta e, dal
2005, una specifica Ley organica, la Locpi.
Frutto del lavoro delle comunità native,
la legge determina il quadro giuridico dei
loro diritti, continuamente arricchito da
nuove acquisizioni.
L’apporto di indigeni e afrodiscendenti (da cui ha origine circa un terzo della
popolazione) alla rivoluzione bolivariana
è stato determinante fin dai prodromi
del “proceso”: fin dai tempi, cioè, in cui
l’allora tenente colonnello Hugo Chavéz
Frías., a capo del suo movimento rinnovatore, percorreva il paese per costruire il
cambiamento. Allora, promise alle comunità indigene in resistenza il saldo di un
lungo debito, in termini di diritti politici e
condizioni di vita. E mantenne la parola.
Oggi, nel panteon dei grandi ideali che
hanno costruito il Venezuela e a cui fa
riferimento nei suoi discorsi il presidente
Chavéz, gli indigeni occupano un posto
centrale: per parlare del coraggio e della
forza, Chavéz si richiama a Guaicaipuro,
uno dei capi della resistenza indigena. Per
spiegare cosa intende per socialismo, cita
come antesignane le comunità native.
Per mostrare le tappe della liberazione
latinoamericana, è ancora una volta a
loro che fa riferimento. Un riferimento
non solo verbale, come dimostra la forte
presenza indigena a tutti i livelli delle isti-
tuzioni bolivariane.
Quando il movimento bolivariano ha vinto le elezioni, le organizzazioni indigene
disponevano già di un quadro politico
sperimentato nelle lotte di resistenza alle
politiche neoliberiste degli anni ’80-90, e
avevano elaborato proprie bozze di programma. E’ così che una donna di valore
come Noelí Pocaterra, una wayu, è arrivata a essere vicepresidente del Consiglio
mondiale dei popoli indigeni all’Onu, e
che José Luis González è diventato presidente dell’Alleanca per il clima, una organizzazione che comprende oltre 300 sindaci europei che portano il loro sostegno
alle lotte dei popoli indigeni. Inoltre, già
prima del proceso bolivariano, le organizzazioni indigene avevano una struttura
nazionale rappresentativa, il Consiglio
nazionale indigeno del Venezuela (Conive). Quel che mancava loro, però, era
il riconoscimento fattuale, la traduzione
politica effettiva del loro ruolo e del loro
lavoro. La politica delle nazionalizzazioni
e contro il latifondo portata avanti dal
governo Chavéz alla questione, ha riconsegnato terreni e dignità, combattendo
nel concreto razzismi, pregiudizi e prevaricazioni.
Irene Le Maistre ha partecipato alla costruzione di questo cambiamento, vivendo per anni nelle comunità indigene e decidendo con loro i passaggi di un nuovo
protagonismo: nella Misiòn Guaicaipuro;
come prima segretaria esecutiva dell’ex
ministra dell’ambiente Ana Lisa Osorio;
nella Commisssione per restituire agli indigeni i loro diritti. Oggi, Irene lavora nello
staff di Jorge Giordani, Ministro della Pianificazione e Finanze. “Prima del governo
bolivariano – racconta Irene – gli indigeni
erano considerati cittadini di terza categoria, le loro terre erano preda di rapine
da parte di latifondisti e multinazionali, e
la loro vita valeva meno di niente. Venivano cacciati o uccisi come bestie. Privati
dell’accesso alle risorse naturali, alle fonti d’acqua, le loro comunità deperivano,
alla mercé di vecchi e nuovi colonizzatori.
Siamo una popolazione mista, ma allora
non riconoscevamo le nostre origini”.
E oggi? “Oggi le cose sono fondamentalmente cambiate, soprattutto grazie alla
campagna di educazione e al processo di
ridistribuzione delle terre”, dice Irene. Un
processo non facile quando si tratta di ridefinire un diritto ancestrale senza dare
adito a nuove sperequazioni. Tantopiù
che, in certi stati dove governa l’opposizione, le leggi sono spesso disattese e gli
indigeni subiscono ancora le violenze di
latifondisti e paramilitari, specie nei territori confinanti con la Colombia. E i conflitti, come quello che agita la comunità
Yupka, non mancano. Gli Yupka vivono
nella Sierra de Perijá, una riserva forestale
di 300mila ettari nello Stato di Zulia, ricca
tra l’altro di coltan e uranio: un boccone
al centro di appetiti e ingerenze di varia
natura. “Dobbiamo fare i conti con problemi non facili – afferma ancora Irene -,
complicati da molti fattori, come le mire
del narcotraffico finanziato dall’esterno
o l’intervento interessato di alcune Ong,
che provocano falsi allarmi fra le comunità e accusano il governo di favorire una
parte piuttosto che un’altra”. Difficoltà e
problemi su cui s’innerva il grande tema
del rapporto tra difesa della natura e sviluppo, emerso, con vari accenti, in tutti
gli stati progressisti dell’America latina
che hanno scelto di ridare la parola alle
popolazioni native.
Geraldina Colotti
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latinoamérica desde adentro
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MST in Brasile,
laddove esiste ancora
la rivoluzione come
dovrebbe essere
Riconquista della terra
Non esiste creatura che non sia in diritto del suo spazio. Vale per ogni essere
vivente, anche quello in apparenza più
inerte. Pure un piantina cresce e stabilisce il confine immaginario per allungare i suoi rami e le sue foglie, per
prendere aria e farsi vedere dal sole.
Ci sono luoghi in America latina dove
questo diritto è stato sottratto pure
agli uomini. Avrebbero dovuto immaginarlo, quale storpiatura storica avrebbero iniziato, i conquistadores, inner-
vando il Sudamerica di conquiste che
hanno avuto soltanto il sapore amaro
della violazione. E giù, fino ai giorni
nostri, passando per dittature e colpi
di stato, rigidi e sanguinari avvicendamenti politici, protettorati europei e
nordamericani. Cosa pensate che abbia
determinato tutto questo? Ma, adesso,
in America del sud c’è una forte testimonianza che dimostra quanto l’educazione di un continente sia passata,
e stia passando, pure per le sue grandi
reazioni, attraverso i movimenti di lotta politica, le tensioni rivoluzionarie e
alcuni rappresentanti politici più vicini
alle necessità popolari che a quelle delle multinazionali o dei “paesi padroni”.
Movimento di nuova
generazione
In Brasile, ormai da tanti anni, il Movimento Sem Terra è uno dei modelli che
potrebbero essere definiti di “rivoluzione di nuova generazione”. Perché di
nuova generazione? Perché si tratta di
un’organizzazione, sia pur multilaterale
sul piano civile, che anche se ispirata a
linee ideologiche ben precise, ha adottato, negli anni, una serie di azioni di
cambiamento che tengono conto non
soltanto della semplice azione di contestazione, ma soprattutto del valore
della formazione, tecnica e umana, tramite l’adozione di progetti di sviluppo
legati a molte entità, anche estere, con
chiare aperture al mondo politico e religioso.
Processo per la riforma
agraria
cia storica che una parte del Brasile ha
ormai intrapreso da oltre un ventennio.
Il Movimento Sem Terra, nato dalla necessità delle aree rurali di rivendicare
il diritto alla terra, lega la sua origine,
la sua storia e la sua “Luta”, alla storia della riforma agraria in Brasile, che
non ha mai potuto contare su sterzate
significative ad opera delle guide politica. Solo negli ultimi decenni, grazie
al Movimento e a una parte dell’attenzione internazionale, è stato possibile
sollevare una questione di diritto che
condanna la disparità di proprietà privata in un paese dove circa il 2% della popolazione controlla quasi il 45%
della proprietà territoriale, generando
così, uno squilibrio gravissimo per l’agricoltura, l’allevamento e le attività
produttive. In Brasile, se si considerano
le aree urbane e quelle rurali, 40 milioni
di persone vivono sotto la soglia della
povertà. E questo, nei decenni, ha determinato, nelle città, miseria e manovalanza per la criminalità, e forti stati di
indigenza nelle regioni rurali, senza poter garantire maggiore sviluppo agricolo ed economico, privilegiando soltanto
le politiche di feroce capitalismo che
hanno sfruttato il territorio attraverso
monoculture e violazioni all’ecosistema
di alcune aree agricole. il Movimento,
da anni, anche con l’aiuto di associazioni impegnate sul fronte della tutela
ambientale, ha aderito al necessario
processo di recupero della terra, concorrendo alla denuncia di abusi edilizi
da parte delle grandi multinazionali,
opponendosi alla distruzione di foreste
e alle deviazioni forzate dei fiumi. Il fiume San Francesco, in Minas Gerais, per
esempio, è uno dei luoghi simbolo del
sentimento rivoluzionario e della mar-
Una lotta contro le
violazioni
Nonostante i molti risultati ottenuti
nel corso degli anni, il Movimento Sem
Terra ha conosciuto e conosce le grandi
difficoltà del suo cammino. Sono tanti gli episodi di rappresaglia da parte
dei paramilitari della polizia privata
dei latifondisti, i proprietari terrieri per
nulla disposti a cedere la proprietà, anche quando la costituzione e la legge
ne prescriverebbero il contrario. Così
come sono frequenti i casi in cui i
contadini brasiliani sono rimasti vittima delle azioni di ritorsione, dirette ad
autentiche violazioni dei diritti umani.
Ricordo quando, dopo una serie di arresti compiuti dalla polizia ai danni di
un gruppo di contadini che avevano
occupato un’area privata nei pressi di
Araguari, nella regione del “Triangulo
mineiro”, una donna, che era la moglie
di uno degli arrestati, mentre aspettava
che gli avvocati appartenenti a un’associazione di supporto al Movimento
cercavano di tirarli fuori dalla galera,
nell’insediamento provvisorio dove ci
trovavamo mi disse: “Per noi la lotta
continua”. Una volta ho letto da qualche parte una specie di motto. Diceva,
“La vita mi ha fatto un brutto scherzo,
e io ho fatto di quello scherzo la mia
vita”. Ecco, per come li ho conosciuti, è
quanto hanno fatto e ancora fanno i
contadini brasiliani.
Elio Goka
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latinoamérica desde adentro
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il Venezuela raggiunge
volumi internazionali
nella produzione di
girasoli
Il Centro Produttivo Fiorentino, sito nello
stato di Barinas, ha prodotto l’anno scorso fino a 2.500 chili di girasole per ettaro,
volumi che possono essere paragonati ai
raccolti di potenze agricole come l’Argentina “Abbiamo portato semi (di girasole)
che ci hanno permesso di raggiungere
questi risultati dall’Argentina” ha precisato il fondo, in un messaggio informativo
trasmesso da Venezolana de Televisión.
“Abbiamo avviato il progetto con 50 ettari
seminati con macchinari argentini, grazie
agli accordi con questo paese. Il girasole
che si produce nel paese fa parte dell’area
degli oleosi, utilizzati fondamentalmente
per la produzione dell’olio alimentare.
Banca Mondiale:
la classe media è
aumentata nell’america
del sud
Nell’America del Sud la classe media ha
raggiunto livelli record tra il 2003 e il
2009, arrivando a costituire per la prima
volta il 30% della popolazione, secondo
il rapporto della Banca Mondiale (BM). In
questo periodo, la classe media è aumentata del 50%, passando da 103 milioni a
152 milioni di persone, il che ha ribaltato
la realtà dominante per decenni nei maggiori settori poveri della regione.
Il progresso della classe media è stato
incentivato dall’aumento delle entrate (il
PIL pro capite della regione è aumentato
a un tasso annuale del 2,2% negli anni
Duemila, in una fase di crescita economica), anche se ha avuto un ruolo fondamentale una migliore distribuzione di tali
entrate.Nel suo rapporto, la Banca Mondiale considera appartenente alla classe
media una persona che guadagna tra i 10
e i 50 dollari al giorno, o una famiglia di
quattro persone con entrate annuali tra i
14.600 e i 73.000 dollari. Il riscatto economico del Sud America negli ultimi anni
ha dato sfogo ad un notevole progresso
economico, ha sottolineato il BM.
“Almeno il 43% di tutti gli abitanti del
na dell’embargo economico attuata da
cinque decenni da parte degli USA, paese
che durante le votazioni di quest’anno ha
avuto come alleati solo Israele e la piccola
isola di Palau.
Dopo quasi tre ore di dibattito in piena Assemblea Generale, la condanna
dell’embargo verso Cuba è stata approvata per la ventunesima volta, con un
pesante risultato di 188 voti a favore, 3
contrari (USA, Israele e Palau), e due astenuti Micronesia e le Isole Marshall.
L’anno scorso, durante la votazione di una
risoluzione simile, Palau, sito nel Pacifico,
si astenne. “è un gesto di aggressione e
una minaccia permanente contro la stabilità di un paese. È anche una violenza
delle norme di commercio internazionale,
di libera navigazione e dei diritti sovrani degli Stati”, ha denunciato durante il
dibattito il ministro degli esteri cubano,
Bruno Rodríguez.
Sud America ha cambiato classe sociale
tra la metà degli anni novanta e la fine
degli anni 2000, e (…) la maggior parte
di questo movimento è stato verso l’alto”,
riporta la relazione. Uno dei fattori principali che può far cambiare ad una persona
la classe sociale è il livello educativo. “Il
contesto familiare costituisce un fattore
determinante più importante dell’educazione degli alunni in Sud America come
in altre regioni”, segnala il rapporto.
Il ministro cubano durante il suo intervento ha richiesto al presidente statunitense, Barack Obama, di iniziare “una
nuova politica” nei confronti di Cuba nel
suo secondo mandato cancellando l’embargo, oltre a denunciare che nei suoi primi quattro anni di governo si è avuto un
“irrigidimento” delle stesse misure.
L’ONU condanna di
nuovo l’embargo contro
cuba
Il capo della diplomazia cubana ha colto
la palla al balzo per denunciare i danni economici accumulati da un blocco
che, secondo quanto affermato, rimane
“ancorato alla Guerra Fredda”, supera il
miliardo di dollari da quando è stato imposto per la prima volta nel febbraio del
1962, sotto l’amministrazione del presidente John F. Kennedy.
Cuba ha ottenuto nell’Assemblea Generale dell’ONU, che si è tenuta nel mese di
novembre del 2012, una severa condan-
Ronald Godard, rappresentante del governo di Obama, ha assicurato che gli
Stati Uniti sono uno dei principali partner
commerciali di Cuba e ha dichiarato che
nel 2011 sono state effettuate spedizioni
individuali (scatole di alimenti e medicine) pari a 2 miliardi di dollari, e le aziende
hanno venduto prodotti per altri 300 milioni di dollari.
La solitudine in cui si trovano gli USA rispetto alla loro posizione sull’embargo è
rimasta di nuovo impressa nell’Assemblea
Generale, dove i paesi dei caraibi e latinoamericani si sono uniti un altro anno per
richiedere nuovamente la fine di alcune
misure che, hanno detto, generano “ingiustizie enormi sul popolo cubano”.
La Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños (CELAC), il Mercosur,
la Comunidad de Estados del Caribe (Caricom) e alcuni paesi a titolo individuale
come Messico e Venezuela hanno insistito su quanto l’embargo sia contrario ai
principi della Carta delle Nazioni Unite e
le regole del diritto internazionale.
I paesi latinoamericani hanno segnalato
che il mantenimento dell’embargo comporta “la rinuncia alla negoziazione, alla
diplomazia e al dialogo” e hanno sottolineato, con parole del rappresentate venezuelano, che gli USA “non riusciranno”
a raggiungere il loro scopo di ottenere
cambiamenti nell’isola attraverso misure
che, hanno affermato, sono “un residuo
della Guerra Fredda in pieno XXI secolo”
11
DELL’USO
INUMANO DEI
DIRITTI
UMANI
ze, e applicano leggi secondo le quali
le aziende private, che sfruttano i loro
lavoratori, che distruggono la natura
e che vendono prodotti nocivi o letali,
rispondono solo ai loro azionisti, e non
alla collettività.
Allora, chi può essere giudicato per violazione dei Diritti Umani?Secondo i tribunali dell’Impero, lo Stato, ma non lo
Stato Imperialista (che non sottoscrive
nessun trattato che lo sottometta ai
tribunali esterni) bensì lo Stato del Terzo Mondo.
Stati Uniti, Inghilterra, Francia, che non
compaiono dinanzi ai tribunali dei Diritti Umani, finanziano infinità di Organizzazioni non Governative (ONG)
affinché denuncino gli Stati del Terzo
Mondo dinanzi a quei giudici.
12
DIRITTI INUMANI
Diritti Umani sono quelli che appartengono a tutti i membri dell’umanità
in quanto tali, indipendentemente dal
loro sesso, età, nazionalità, cultura o
condizione socioeconomica. Sono stati
raccolti in diversi documenti, dalla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del
Cittadino della Rivoluzione Francese
del 1789, passando per la Dichiarazione
Universale dei Diritti dell’Uomo dell’ONU sino alla Convenzione Interamericana dei Diritti Umani, dell’Organizzazione di Stati Americani.
Diceva Mark Twain che anche il Diavolo
può leggere la Bibbia. Anche l’Imperialismo può leggere i Diritti Umani.
La corte suprema dei
trasgressori
Stati Uniti, Inghilterra, Francia, i principali trasgressori dei Diritti Umani nel
mondo, non si sottomettono a nessun
tribunale internazionale competente in
materia. In ogni caso, questi tribunali
fanno parte di organizzazioni internazionali dominate dalle grandi pote
In questo modo, se un’azienda avvelena migliaia di cittadini questi tribunali esterni dichiarano responsabile lo
Stato per non averlo evitato; ma se lo
evita, allora i tribunali internazionali lo
dichiarano violatore del Diritto Umano
che essi considerano Supremo: quello
della proprietà. Non c’è modo di vincere in questo gioco.
Dittatura mascherata da
Diritti Umani
Dubitate che i nobili Diritti Umani possano essere invocati per gli usi più infami? L’11 aprile 2002 un golpe mediatico
capeggiato da una combriccola militare
e dall’associazione padronale sequestrò
il Presidente eletto del Venezuela, abolì
la Costituzione approvata con il referendum da parte di tutti i venezuelani,
e impose con la forza l’autocrazia.
Con le mani ancora sporche del sangue dei cittadini innocenti, i congiurati
approvarono per acclamazione l’insediamento della dittatura, citando: “che
Hugo Chavéz Frías e il suo Governo
hanno sistematicamente sminuito i diritti umani garantiti dalla Costituzione
del 1999 e dai trattati, patti e convenzioni internazionali sui Diritti Umani
sottoscritti e sanciti dalla Repubblica,
tanto che mai come in questi ultimi tre
anni gli organi interamericani di protezione dei Diritti Umani hanno ricevuto
così tante denunce fondate sulla violenza degli stessi, in particolar modo
quelle sul diritto alla vita, al giusto processo, alla libertà di espressione e informazione e al diritto all’informazione
“ (…) “Che Hugo Chavéz Frías e il suo
Governo, dall’alto delle loro posizioni,
hanno favorito l’istigazione al delinquere, incoraggiato violenze di ogni
indole sulla proprietà privata (…)
Lo stesso giorno il movimento sociale colombiano MINGA sollecitò allacommissione Interamericana di Diritti Umani affinché prendesse misure
cautelative di protezione della vita del
Presidente costituzionale sequestrato,
Hugo Chavéz Frías.
La CIDH (Commissione Interamericana dei Diritti Umani, ndt) rispose con
una semplice lettera di richiesta d’informazione diretta alla dittatura in cui
riconosceva come guardasigilli il golpista José Rodríguez Iturbe e definiva
“Illustre Governo” la dittatura di Pedro
Carmona Estanga.
Successivamente ho assistito da semplice cittadino ad un’udienza dinanzi
alla Commissione Interamericana dei
Diritti Umani a Washington, dove avvocati di una ONG dell’opposizione
accusavano il popolo che aveva ripristinato la Costituzione e il governo legittimo per essersi difeso!
Vittima al tribunali di
giustizieri
Abbiamo detto che gli Stati Uniti, il
principale violatore dei Diritti Umani
nel mondo, non si sottomette a nessun tribunale internazionale. Nei paese
latinoamericani ci sottoponismo come
pecore mansuete a giudici influenzati
dagli Stati Uniti.
Burocrati, giudici e arbitri stranieri, che
non conoscono le nostre leggi ed inoltre si sentono competenti nel dichiararle nulle o di scarsa efficacia, giudicano
e condannano costantemente il Venezuela e qualsiasi paese progressista.
Sordi e muti dinanzi alle colossali ecatombi in Palestina, Irak, Afganistan e Libia, magistrati drastici che non hanno
mai speso una parola di condanna davanti al genocidio di migliaia di vittime
del Caracazo del 27 febbraio del 1989,
nè al golpe dell’11 aprile, nè a quello di
Honduras, nè al campo di concentramento di Guantanamo, si concedono il
lusso d’incriminarci.
Posizioni congiunturali
o strutturali
Così, i legulei della Commissione Interamericana di Diritti Umani della OEA
(CIDH) durante i quattro sanguinosi decenni della Quarta Repubblica a
stento hanno processato quattro denunce sulla violenza dei Diritti Umani
in Venezuela (due presentate dal terrorista Posada Carriles).
Ma nel loro rapporto del 2010 addossano al Venezuela “posizioni congiunturali o strutturali, presenti negli Stati
che per diversi motivi affrontino situazioni che danneggiano seriamente e in
maniera grave il godimento e beneficio dei diritti fondamentali, consacrati
nella Convenzione Americana o nella
Dichiarazione Americana.
E per tale motivo ci collocano nella
stessa categoria assegnata alla Colombia, a Honduras e Haiti, tre paesi occupati da basi o milizie statunitensi, dove
i giudicati dovrebbero essere gli Satti
Uniti e non le loro vittime. Collocare un
paese insieme a quelli invasi è preambolo d’invasione.
Accuse fraudolente
Con quale criterio giudicano e condannano questi organismi? Nel rapporto
per l’Esame Periodico Universale dinanzi all’Organizzazione delle nazioni
Unite, la CIDH accusa il Venezuela in
233 paragrafi.
In 205 casi tratta casi in cui non sono
finiti i ricorsi interni, per cui non possono essere presentati dinnanzi alla
giurisdizione esterna. In 225 casi non
specifica nomi, date, luoghi nè altri
dati indispensabili affinchè un’accusa
sia ammessa. In 182 casi, giudica circa
supposizioni di fatti fututri ed incerti,
che “potrebbero” accadere. Quasi tutti
si basano su dicerie o ritagli di giornali che nessun tribunale degno di tale
13
nome può accogliere come prove. Si
degna perfino di opporsi a progetti di
legge la cui sanzione dipende solo ed
esclusivamente dalla soverana volontà
popolare, e non da un ufficio di Washington.
Con tali criteri ci catalogano, insieme a
Colombia, Honduras e Haiti, tra i paesi che presenterebbero “situazioni che
danneggiano seriamente e in maniera
grave il godimento e beneficio dei diritti fondamentali”. Con tali procedimenti
si potrebbe condannare Gesù Cristo. È
ciò che ha fatto il tribunale dei farisei.
14
In tale categoria non collocano il
Messico, il Brasile nè gli Stati Uniti.
Quest’ultimo, che sa ciò che fa, non ha
sottoscritto trattati che lo sottomettono alla giurisdizione della Commissione
Interamericana dei Diritti Umani nè a
quella della Corte Interamericana dei
Diritti Umani. E nonostante ciò, questi
due organi si permettono di giudicare
Cuba e dirigere verso di lei decisioni e
sentenze, malgrado sia stata espulsa
dalla OEA da quasi quattro decenni.
Paesi in camera ardente
La condanna di questi tribunali di organizzazioni dominate dall’imperialismo
è una sentenza di morte che si esegue
attraverso l’invasione. Il Nicaragua è
stato condannato dalla Corte Interamericana dei Diritti Umani per essersi
difeso da controrivoluzionari che si
dicevano miskitos, e ciò ha scatenato
durante quasi un decenno l’intervento
massivo statunitense attreverso i “contras”.
La Libia fu espulsa dal Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU settimane prima
che scoppiasse contro di lei il genici-
dio dell’OTAN, che causò più di 60.000
morti. Sono stati espulsi anche Siria e
Iran, paesi contro i quali piovono minacce e forse dopo pioveranno bombe.
Legittima difesa
L’Imperialismo usa i Diritti Umani per
negare agli uomini i loro diritti. Come
strumento di legittima difesa, i nostri
paesi devono rinunciare e lasciare senza effetti tutti i trattati o strumenti che
li sottomettano a giudizio, valutazione
e condanna da parte di tribunali o arbitri internazionali di organi dominati da
potenze imperiali.
E in effetti, in base alle ragioni espresse
in precedenza, il Venezuela ha annunciato la sua denuncia della Convenzione Interamericana dei Diritti Umani e
il suo ritiro dalla Commissione e dalla
Corte Interamericana dei Diritti Umani
della OEA.
Unasur e la Celac devono creare i loro
propri organi difensori dei Diritti Umani. Devono, insomma, investigare, smascherare ed esporre i possibili finanziamenti esterni delle potenze imperiali
alle ONG. Organi finanziati da potenze
imperiali devono solo denunciare le
violenze dei Diritti Umani che quelle
potenze compiono.
Veri Diritti Umani
Ebbene per i paesi egemonici i Diritti
Umani sembrano ridursi a due: la proprietà e la libertà d’informazione, che
si riduce alla libertà dei proprietari dei
media di monopolizzare la comunicazione.
Ma gli esseri umani hanno un’infinità
di altri diritti, che non vengono mai di-
scussi dinanzi alle Corti Imperiali. Qualche paese egemonico è stato accusato
di negare ai suoi cittadini il diritto al
lavoro, all’alimentazione, a vivere senza
povertà, all’educazione gratuita, all’assistenza medica, alla sicurezza sociale,
all’informazione veritiera, alla cultura?
Le multinazionali sono state accusate
di essere il fattore principale di negazione di questi diritti?
Il Venezuela ha compiuto in anticipo
quasi tutte le cosidette Mete del Millennio. Qualche organismo riconosce
quest’impresa di realizzazione dei veri
Diritti Umani? É indispensabile ampliare il repertorio dei Diritti Umani riconosciuti dalle leggi, Costituzioni e Trattai
Internazionali e dichiarare come possibili trasgressori le grandi aziende per
poter iniziare a parlare di Diritti Umani,
e non di Diritti del Grande Capitale e
delle Potenze Imperiali.
Luis Britto García
traduzione: Maria Elena Riccio
dossier del mundo
IL CAOS CLIMATICO, ARMA DI
DISTRUZIONE DI MASSA
Aprireste una banca del sangue nel castello di Dracula?
In un certo senso è stato fatto. L’ultima
e diciottesima Cop (conferenza delle
parti) dell’Onu sulla crisi climatica - ormai una questione di vita o di morte
– si è svolta a Doha, capitale del Qatar,
un Creso climalterante. L’Onu avrebbe
piuttosto dovuto riunire i governi in
una delle tante aree che già subiscono
gli effetti della guerra climatica: fra la
sabbia del deserto che avanza in Sahel,
ai piedi dei ghiacciai che si sciolgono
sulle Ande, ai bordi delle pianure inondate in Bangladesh, fra le zolle delle
campagne in carestia, arse da ripetute
siccità, o sott’acqua nell’oceano dove
tante isole-stato si inabisseranno per
via dell’innalzamento del livello dei
mari.
L’emirato qatariota non aveva il physique du role per presiedere la Cop 18.
E’ infatti la massima espressione delle
minoranze privilegiate mondiali, paesi
e ceti sociali del Nord globale, che do-
vremmo chiamare grandi debitori del
clima. Così infatti li definiscono i paesi
“creditori”: dell’Unione africana, dell’Aosis (le piccole isole-stato del Pacifico),
e dell’Alleanza bolivariana Alba, con in
testa la Bolivia; i più attivi nella denuncia di un capitalismo che ha sconvolto
anche il bene comune più globale di
tutti.
Responsabili molto
irresponsabili contro
vittime non responsabili
Belligeranti contro
bombardati
Il Qatar, emirato islamista, è il primo
paese al mondo per emissioni pro capite
di gas serra: 54 tonnellate all’anno. Il
Niger, all’ultimo posto, è a circa 300 kg
annui. Questa è la faccia dell’ingiustizia
climatica, parallela al gap sociale ed
economico. Il peso piombo dell’emirato
dipende sia dai pletorici consumi interni
sia dalle enormi esportazioni di gas
naturale, la grande pepita dell’emiro
al-Thani (“il gas darà al mondo 300
anni di sicurezza energetica”: e di caos
climatico?). Il Qatar è anche il più ricco
paese del pianeta: i 250mila sudditi si
godono un reddito pro-capite medio
di 400mila dollari l’anno (e son serviti
da un milione e mezzo di lavoratori
stranieri dal Sud globale).
E come usa il Qatar i grassi proventi
del gas? Non certo a scopi sociali
e redistributivi. Ma nel lusso, nella
crescita pletorica e in spese militari.
Sempre più negli ultimi anni la bomba
climatica si affianca a bombe vere.
L’emirato e gli altri membri del CcgConsiglio di cooperazione del golfo
(petromonarchie) è occupato nel
comprare a suon di miliardi di dollari
la politica estera di vari paesi della
regione, dall’Egitto (Fratelli musulmani)
alla Striscia di Gaza (Hamas). E il Ccg
con la Nato è ed è stato in prima linea
sui fronti di guerra in Libia e Siria, con
il sostegno diretto a gruppi armati
impegnati in colpi di stato e coinvolti
in atti di violenza efferati che hanno
portato alla distruzione dei due paesi.
Insomma il mondo è aggredito a colpi
di gradi (di temperatura nell’atmosfera
terrestre) e anche di Grad (missili indi-
15
dossier del mundo
16
scriminati). Del resto il militarismo bellicoso è uno dei responsabili del cambiamento climatico. Costruire e usare
ordigni di morte richiede moltissima
energia. Eppure le emissioni climalteranti del settore militari sono escluse
dal calcolo: non è loro richiesta alcuna
riduzione.
Perché stupirsi dunque se, sotto la presidenza del lussuoso emirato, il documento finale della conferenza Cop 18,
il Doha Climate Gateway, è una scatola
vuota? Là doveva essere disegnata l’architettura della politica climatica per i
prossimi anni visto che è in scadenza
il Protocollo di Kyoto, unico strumento che obbliga i paesi storicamente
responsabili dei cambiamenti climatici a ridurre le emissioni di gas serra,
seppure in modo insufficiente. Ma alla
seconda fase (Kyoto II) ha accettato
di partecipare solo un gruppo di paesi
che insieme raggiunge appena il 15%
delle emissioni globali. Restano fuori
da Kyoto come sempre gli Stati Uniti.
Si sono impegnati a ridurre le proprie
emissioni entro il 2020 del 17%. Ma è
niente: significa un misero 3% in meno
rispetto al 1990, anno di riferimento
normalmente utilizzato.
Di questo passo l’ingiustizia climatica
sorella gemella di un capitalismo alienante ci porta verso l’inferno. Lo dice la
stessa Banca Mondiale che ha commissionato al Potsdam Institute for Climate
Impact Research and Climate Analytics
lo studio Turn Down the Heat dal quale
emerge che di questo passo il pianeta raggiungerà un aumento medio di
temperatura di 4 gradi entro la fine del
secolo. Le particelle di anidride carbonica in atmosfera, da contenere entro
le 350 parti per milione (ppm), sono già
attualmente oltre le 390. Continuando
di questo passo, a fine secolo sarebbero
880 e i gradi in più, appunto, 4.
Sempre che non si sciolga il permafrost
artico liberando metano. Lo scienziato Kevin Anderson ha avvertito: solo
mezzo miliardo di persone potranno
sopravvivere con 4 gradi in più…
I paesi dell’alleanza delle piccole isole
Aosis si sono sgolati invano nel ripetere che le stesse 350 ppm sono per loro
una sentenza di morte. Insieme alla Bolivia hanno chiesto un accordo globale
per ridurre la presenza di CO2 almeno a
300 ppm così da mantenere l’aumento
della temperatura entro 1 grado. Non i
2 che tutti prendono come orizzonte e
che per l’Africa si tradurrebbero in 3,5.
Le parole d’ordine della ricetta di cui
avremmo bisogno sono note: riconversione in chiave ecologica della
produzione e dei consumi (energetici,
agroalimentari, industriali, dei servizi) a
partire da un processo di partecipazione ampio che smantelli il capitalismo
industrialista. I soldi ci sono. Quanto si
spende – e si inquina - nelle armi e nel
far guerre?
(Dedicato a Hugo Chavez, con l’augurio
affettuoso che continui a lavorare per
un uso sociale dei proventi del petrolio, in Venezuela nell’Alba e nel Sud del
mondo, e per rendere i fossili uno strumento solo por ahora, finalizzandoli
anzi alla costruzione dell’ecosocialismo
post-estrattivista, cioè della pace e della giustizia, anche climatica. Un obiettivo necessario che richiederà anche,
riteniamo, una nettissima riduzione del
flusso di combustibili verso il Nord globale: per obbligarlo a ridimensionarsi e
riconvertirsi. O non lo farà mai)
Marinella Correggia
vale a dire, riformare radicalmente leggi del lavoro che sono conquiste della
classe operaia dopo la Seconda Guerra
Mondiale o dopo le esperienze autoritarie del franchismo in Spagna.
È il peggior colpo allo
Stato del benessere
europeo?
si. E direi che, è il colpo definitivo per
tornare in Europa ad una situazione
tipo quella degli anni 20 o 30. non dico
che ci riusciranno, ma è la loro prospettiva.
UNA PROSPETTIVA
EUROPEA
Coloro che
stanno prendendo
provvedimenti in Europa
dicono che servono per
uscire dalla crisi. Lei
dice che non è così?
È totalmente chiaro che per uscire dalla crisi è necessaria una domanda che
sostenga i consumi, e la domanda può
essere pubblica o privata. Se è pubblica
è gestita dallo Stato attraverso l’investimento sociale. Se è privata è rappresentata dai consumi del ceto medio
che acquista beni e servizi. La soluzione
scelta dai governi europei è di comprimere la domanda privata congelando
o riducendo i salari e benefici sociali,
e ridurre in maniera drastica la spesa
pubblica, così che i due fattori possibili
di uscita dalla crisi per tornare alla crescita sono eliminati.
Sarebbe la strada
peggiore?
È la strada peggiore. Ma l’hanno scelta
ed è chiaro che produrrà più recessione
e più depressione economica nei prossimi anni. Non c’è dubbio.
Perché hanno preso
quella decisione allora?
L’hanno fatto perché sono disposti ad
avere una crescita bassa o negativa
per raggiungere il loro scopo fondamentale: completare l’opera iniziata
da Margaret Thatcher e Ronald Regan
negli anni 80 del XX secolo. Vale a dire,
distruggere ciò che resta del Welfare
State. Ad esempio, riuscire a privatizzare il sistema pensionistico in gran
parte. Negli Stati Uniti la parte della
popolazione che riceve la pensione
statale è una minoranza; si è già realizzata una massiccia privatizzazione.
Questa è la prospettiva per l’Europa.
C’è una precarietà radicale del lavoro;
Contro lo Stato sociale.
Perchè lo Stato sociale li
disturba tanto?
Potrebbero realmente mantenere uno
Stato sociale e avere un sistema capitalista con qualche stabilità dando delle concessioni ai lavoratori, come funzionò il capitalismo degli anni 40 e 80.
Ma quella dominante è una classe sociale vittoriosa che è ubriaca delle sue
vittorie. Quando eravamo negli anni di
crescita economica, di patto sociale, le
persone pensavano che la lotta di classe appartenesse al passato. Ora siamo
in una fase di acuta lotta di classe, e
la classe sociale dominante vuole realmente portare la lotta fino in fondo.
Cosa comporta portarla
fino in fondo?
Non credo ci sia un limite, ma se vogliamo fare un paragone, prendiamo
Carl Marx. Marx parlava di plusvalore
relativo e plusvalore assoluto. Quello
relativo significa aumentare la produttività del lavoro, e quando il lavoratore
lavora, la sua produttività aumenta, per
cui si può aumentare lo stipendio, au-
17
dossier del mundo
mentare il plusvalore e diminuire le ore
di lavoro. Adesso il capitalismo vuole
aumentare il plusvalore assoluto.
Qual’è il limite?
Non lo sappiamo, ma sono determinati
ad attaccare il movimento dei lavoratori. Uno dei leader dei sindacati francesi
ha detto che bisogna usare la crisi per
smantellare ciò che resta del Consiglio
Nazionale della Resistenza.
18
Eric Toussaint ricorda che il Consiglio
Nazionale della Resistenza era “l’unità che riuscì a sconfiggere l’esercito
nazista che occupò la Francia (gli anni
40 del XX secolo). Questo Consiglio era
formato dalla sinistra e dai nazionalisti,
e proponeva un patto sociale che sosteneva il capitalismo, ma i capitalisti
erano costretti a fare delle concessioni
ai lavoratori”. In questo momento, osserva Toussaint, la classe dominante
“camuffa i suoi veri obiettivi per passare ad un discorso molto chiaro
Come mai non si finge
più?
sono riusciti a imporre sconfitte parziali alla classe operaia. In Europa abbia
una situazione paragonabile agli anni
30, quando un settore importante del
popolo pendeva verso la sinistra radicale: parlo di Syriza in Grecia, di jean-Luc Melenchon in Francia.
E il rischio del fascismo?
Certo c’è un settore che pende verso
la sinistra radicale, e un settore verso
altre soluzioni che pure sembrano radicali, perché il discorso nazionalso-
cialista nazista era anche un discorso
confuso, dove usavano slogan contro i
banchieri, contro il grande capitale.
Cè qualcosa che possa
fermare la distruzione di
questo Stato sociale?
In altre parole, ci può
essere una propensione
verso la sinistra o verso il
fascismo?
Soltanto la mobilitazione sociale abbinata a battaglie elettorali in cui la sinistra radicale riesca realmente a presentare proposte chiare di rottura. Se
Syriza in Grecia è riuscito a conquistare
un appoggio di massa, è perché ha fatto delle proposte radicali. È l’esperienza
del Venezuela, della Bolivia, dell’ Ecuador, quando i candidati hanno proposto di rompere con il sistema politico e
fare un cambio radicale. Hugo Chávez
ha parlato di rivoluzione cittadina.
Di conseguenza, in Europa “bisogna
dire chiaramente alla gente che devono scegliere tra una strada che porta
ad alta precarietà, ed un’altra di rottura
radicale, di riconquista della sovranità
popolare, di insubordinazione dinanzi
al Fondo Monetario Internazionale, di
provvedimenti contro le banche”.
Si, perciò parlo di di una situazione
simile a quella degli anni 30: ci fu un
momento in cui in Germania avanzava
il partito comunista ed in contemporanea anche il nazismo. Nei prossimi
anni, l acapacità della sinistra di fare
proposte per costruire un fronte unico
sarà vitale.
Le misure attuali
sono neoliberali? Lei
le descriverebbe
diversamente?
Sono neoliberali ma con un livello di
brutalità enorme. È una nuova fase del
neoliberalismo
Cosa intende?
Abbiamo già 30 anni di neoliberalismo.
Hanno precarizzato il lavoro in Germania, in Spagna. Ma attualmente stiamo
in una fase in cui vogliono porre fine
al lavoro con diverse leggi. In Spagna
vogliono distruggere i contratti collettivi nazionali, e nelle aziende vogliono
avere solo contratti individuali quanto
più precari possibile; è la frammentazione dei lavoratori. E che i sistemi di
sicurezza sociale siano minimi. Questa
è la prospettiva. Nonostante ciò, in Europa abbiamo conquiste importanti. Il
neoliberalismo deve ancora distruggere alcune conquiste; non starebbe facendo questa brutale offensiva se non
avessimo conquiste da difendere
Eric Toussaint
traduzione: Maria Elena Riccio
observatorio mediático
IL RUOLO POLITICO
DEI MEZZI DI
COMUNICAZIONE
SOCIALE
In Venezuela, dal 1998 gli atteggiamenti,
i discorsi e le pratiche politiche impiegate
dai principali attori della polarizzazione,
compresi i mezzi di comunicazione sociale, riflettono una forte tendenza alla
conflittualità.
Dunque, si è via via sviluppata in Venezuela una cultura sociale e politica che
legittima, avvalora e stimola l’intolleranza
e, sotto certi aspetti, giustifica ogni strategia di persecuzione, esclusione e perfino eliminazione dell’altro, colpevole della
mia situazione. Oggi, dunque, viviamo in
un panorama politico di confronto, ciò
che io chiamo una falsa morale, che accusa unilateralmente il presidente Chávez, il suo team e le forze politiche che lo
sostengono nell’indispensabile compito
di riconciliazione. Tutti esigono da Chávez la riconciliazione, nessuno si prende le
proprie colpe in un paese che si confronta in modo intollerante e che desidera la
sparizione dell’oppositore.
In Venezuela è innegabile il crescente potere dei mezzi di comunicazione sociale, e
questo crescente potere ha come contropartita il degrado di altre istituzioni pubbliche. Il ruolo dei media sembra essere
cresciuto parallelamente al discredito di
queste istituzioni e alla delegittimazione
delle istituzioni politiche, ad un clima politico di disapprovazione e di perdita di
lealtà.
Mi chiedo sempre: è stato un piano machiavellico? Credo di no. Credo sia stata
una dinamica sociopolitica propria del
Venezuela, dove abbiamo permesso ciò
che definisco una sottile complicità. Noi,
i cittadini, abbiamo permesso che i media
iniziassero a svolgere il ruolo dei partiti
politici e siamo stati complici di ciò che
è successo.
I mezzi di comunicazione oggi, in Venezuela, sono mediatori, aziende commerciali, strumenti di controllo e di
condizionamento sociale e, allo stesso
tempo, sono diffusori dell’informazione. Per tano, i media sono molto più di
semplici mezzi di comunicazione, sono
palcoscenici dove si perde o si guadagna
il potereIn questo senso, l’immagine o
la rappresentazione della realtà politica,
economica, alimentare, educativa, nazionale o internazionale, è quella che possiedono i media, quella che rappresentano
e che vogliono comunicarci. Lì dimostriamo il potere d’influenza inestimabile e
di penetrazione ideologica dei media sui
cittadini. Credo che adesso in Venezuela
la situazione sia molto più grave perchè
i mezzi di comunicazione sociale informano con chiare intenzioni politiche e in
questo modo accettano la gestione e il
significato dell’informazione.
Alcuni studiosi del fenomeno politico dei
media mettono in guardia sulla nascita
di partiti mediatici con conseguenze tragiche sia per il cittadino che per l’esercizio democratico; in Venezuela, dunque,
i mezzi di comunicazione funzionano
come se fossero dei partiti politici.
Credo che siamo in guerra, e in guerra
tutto è concesso. Ma in Venezuela questo
lo intendiamo come una sorta di terreno
simbolico, di guerra, dove gli eserciti sono
i mezzi di comunicazione sociale. Questi
eserciti si scontrano a morte, e utilizzano
come arma di distruzione dell’oppositore
l’informazione; e chi sono le vittime? Le
vittime siamo noi, i destinatari della co-
19
observatorio mediático
municazione, cittadini di cui viene leso e
limitato il diritto all’informazione.
Spesso mi chiedono: in Veneuela c’è la libertà di stampa? Assolutamente. Ciò che
è limitato è il mio diritto all’informazione
poichè i mezzi di comunicazione sociale,
tutto lo spettro mediatico, sono coinvolti
in una guerra mediatica e nel desiderio di
eliminare l’oppositore.
20
Come si tutela dunque l’accesso a un’informazione indipendente, imparziale e
liberale considerato diritto dei cittafini
se i media sono eserciti di battaglia che
si stanno scontrando con un nemico,
un avversario da distruggere? Credo sia
qualcosa da discutere: l’etica giornalistica, la formazione dei nostri comunicatori
sociali e il ruolo dei mezzi di comunicazione in Venezuela e nel mondo. Forse è
un ruolo politico, e allora bisogna riflettere anche su questo.
Pertanto, in un mondo polarizzato, in un
paese polarizzato con mezzi di comunicazione ampiamente compromessi nel
confronto politico, e dove l’informazione
si trova al servizio di una o dell’altra fazione politica, è quasi impossibile conciliare la funzione informativa dei mezzi di
comunicazione sociale con il ruolo politico conflittuale.
Il clima politico si esprime in due versanti
politico comunicazionali: clima negativo,
proprio dei mezzi privati dell’opposizione,
proprio di un paese che si trova nel caos
e nella conflittualità sociale, prodotto
del fallimento di un progetto socialista
a capo del quale si trova Hugo Chávez.
Qui si elaborano percezioni e sentimenti
negativi, scontenti, insoddisfazioni, frustazioni, paure.
Il clima positivo lo espone il Sistema Nazionale dei Mezzi Pubblici e questo clima
deriva dalla jegittimità e credibilità di un
progetto politico in atto, il paese che viene descritto è fatto di risultati, percezioni
e sentimenti positivi. Dunque, nel Sistema Nazionale dei Mezzi Pubblici si parla
soltanto di mete, di risultati, di conquiste
future e di migliorie.
Il consenso o la condanna è l’approvazione e valutazione che diversi enti o governi, organismi e organizzazioni nazionali e
internazionali danno sul paese nell’ambito economico, politico, di diritti umani.
I mezzi privati di opposizione danno risalto a tutti i casi di condanna, la SIP,
Human Rights Wacht, il Dipartimento
di Stato, tutto ciò è sempre presente nei
mezzi privati di opposizione. Al contrario,
il Sistema Nazionale dei Mezzi Pubblici
espone prevalentemente situazioni di attestazione come quelle realizzate dall’Unesco, in ambito educativo, dal Cepal in
ambito di calo della povertà, l’ONU e il
coefficiente di Gini; l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, FAO, in ambito alimentare, etc.
Quando vengono criticate le argomentazioni del Venezuela, in quanto non c’è
alternativa, di solito lo fanno tramite il
vociferare di rappresentai del governo, e
ciò io lo definisco come una sorta di distanziamento spassionato della posizione
venezuelana. Si osserva una gestione informativa spregiudicata delle argomentazioni del Venezuela e compromessi in
una denazionalizzazione del conflitto.
Si osserva una tendenza a far sentire la
voce del paese in quanto giudice e forza esterna coercitiva , sorta di morale o
avallo esterno dinanzi ai problemi che
sono prorpio nostri, interni.
Credo che la grande sfida per la politica
comunicazionale è all’interno di un ambiente di autocritica e allo stesso tempo
di dialogo. Fare della comunicazione uno
spazio politico in cui ci sia scambino di
opinioni contraddittorie di tutti gli attori
sociali, compreso quelli delle minoranze.
Maryclen Stelling Macareño
traduzione: Maria Elena Riccio
venezuela desde italia
IL VENEZUELA
DIFFONDE POLITICHE SOCIALI SULLA
PARITA’ DI GENERE
Il Venezuela ha partecipato il 26 ottobre, presso la sede della “Fondazione
Valerio per la Storia delle Donne”, al
I Convegno organizzato a Napoli sul
ruolo della donna e il suo operato dalla
II Guerra Mondiale fino ai nostri giorni.
La console Marnoglia Hernández Groeneveledt ha fatto un excursus storico
dagli ultimi 200 anni di storia venezuelana fino ad arrivare ai nostri giorni
“... Negli ultimi tredici anni la donna è
uscita dal suo isolamento per reclamare il suo posto e continuare a mantenere accesa la fiamma di Manuela Sáenz”.
In quest’ultimo periodo la donna ha
trovato uno spazio in cui lottare per
costruire un nuovo ordine sociale basato sul rispetto e la non discriminazione
dei sessi. La Rivoluzione Bolivariana lo
prevede e lo dimostra la Costituzione
del 1999 nella quale si fa uso di un lin-
guaggio non sessista, si parla di uguaglianza e si riconoscono i diritti ignorati
dai governi precedenti, come si evince
dagli articoli 21, 76, 88 e 103 della Magna Carta venezuelana.
“Attualmente ciò che conta di più è il
ruolo delle donne nei consigli comunali, nelle misiones (programmi sociali,
ndt) (dove la loro partecipazione supera il 60%) e in tutti i programmi che il
governo incentiva attraverso strumenti
come Misión Madres del Barrio, l’Instituto Nacional de la Mujer, il Banco de
Desarrollo de la Mujer e il Ministerio
del Poder Popular para la Mujer y la
Igualdad de Género”, ha sottolineato la
Hernández.
La Fondazione Valerio per la Donna e
l’associazione Maddalena Cerasuo-
lo – eroina napoletana della II Guerra
Mondiale – cercano di rendere giustizia
a tante donne che hanno lottato contro
il fascismo e dovunque la storia, scritta
dagli uomini, non ha dato loro lo spazio
per poter testimoniare il coraggio di un
ruolo considerato fondamentalmente
degli uomini.
Questa fondazione, una delle più importanti in materia, attraverso la ricerca si dedica attualmente allo studio
dei testi e documenti inediti relativi
a tale periodo storico italiano, grazie
all’attività di un’equipe composta da
esperte, accademiche e ricercatrici che
lavoramo non solo alla riscoperta della
storia contemporanea ma anche alla
creazione di meccanismi che contribuiscano alla formazione delle generazioni
future.
Maylyn López
traduzione: Maria Elena Riccio
21
venezuela desde italia
22
Il 27 ottobre 2012 il Consolato Generale venezuelano di Napoli ha partecipato all’inaugurazione dell’associazione
“Filippo Gagliardi” di Maratea, la prima
in Basilicata, nel sud d’Italia, da dove
un gran numero di italiani emigrarono verso il Venezuela alla ricerca di
condizioni di vita migliori dando così
un grosso contributo allo sviluppo di
diversi comuni italiani grazie al loro lavoro nelle terre creole.
Dal canto suo, il sindaco di Maratea
Mario Di Trani ha sottolineato il suo
pieno appoggio a questa nuova associazione la cui finalità è promuovere il
territorio di Maratea e allo stesso tempo di mantenere viva la cultura e l’identità venezuelana ereditata dal processo
di emigrazione negli anni cinquanta.
“Oggi gioisco insieme a tutta la comunità italo venezuelana che risiede in
questo territorio, avete dunque tutto
il mio appoggio istituzionale, impe-
gnandovi ogni giorno nell’ampliare e ra
forzare i vincoli indissolubili tra i due
paesi.
Il console Bernardo Borges ha evidenziato che il Venezuela è grato dello
sforzo e del lavoro svolto da tanti italiani che nelle nostre terre hanno costruito un futuro e hanno contribuito
allo sviluppo del nostro paese. Combattiamo il flagello dell’insicurezza con
politiche sociali che aiutino il reinserimento di migliaia di giovani e attraverso la creazione e l’addestramento di
poliziotti al servizio della comunità. Il
governo bolivariano mette in rilievo il
rispetto dei diritti umani e la proprietà
privata. Abbiamo miglioriato la qualità
di vita del nostro paese come si evince
dall’aumento del 400% del nostro PIL
negli ultimi 10 anni. Per noi il carattere
umano e sociale delle nostre politiche
prevale su quello economico e sul capitale, ha concluso Borges.
In tale ambito, la Rappresentanza venezuelana a Napoli ha organizzato una
Jornada consegnando documenti ai
cittadini venezuelani residenti a Maratea, avvicinandoci alle comunità e
semplificando la vita alle famiglie ed
anziani che vivono lontano dalla sede
consolare.
Filippo Gagliardi è diventato un simbolo per tutti i residenti di Maratea per
essere stato un emigrante che arrivò
in Venezuela nel 1927 portando con sé
soltanto la buona volontà ma riuscendo
a fondare diverse aziende. Fu un benefattore e durante tutta la sua vita aiutò
i suoi compaesani sostenendo anche lo
sviluppo sia del Venezuela che della sua
terra d’origine” ha evidenziato Simón
Martino, presidente dell’associazione.
L’Associazione “Filippo Gagliardi” nasce
con lo scopo di promuovere la cultura
e l’identità venezuelana, promuovere
il turismo nazionale ed operare come
ponte di cooperazione tra Venezuela
ed Italia offrendo sostegno e dando
informazioni sul nostro paese. Tra le
prossime iniziative si prospetta per il
prossimo anno la realizzazione di un
cineforum in collaborazione con “Maratea Film Festival”
Maylyn López
traduzione: Maria Elena Riccio
INAUGURATO BUSTO DI
BOLIVAR A MANFREDONIA
diventato grido di guerra e ci accompagna adesso nella trepidante costruzione della Patria da noi sognata.
Successivamente, il consolato ha consegnato i riconoscimenti agli enti e
autorità coinvolte nella realizzazione di
questo incontro.
Dinanzi all’assemblea plenaria del Consiglio Comunale della città di Manfredonia, nel sud Italia, il 27 novembre il
Comune di Manfredonia e il Consolato
Generale della Repubblica Bolivariana
del Venezuela a Napoli hanno inaugurato sia il busto del Libertador Simón
Bolívar che l’Associazione Italo Venezuelana “General de División José Antonio Anzoátegui” in onore del padre
della patria nato a Barcellona.
Il Vice sindaco Matteo Palumbo ha
sottolineato l’appoggio di questa comunità italiana al Venezuela “Molti dei
nostri connazionali hanno realizzato i
loro sogni nei territori venezuelani. É
importante rafforzare l’amicizia in un
mondo sempre più egoista. Abbiamo
bisogno di un mondo solidale. I venezuelani sono sempre stati persone generose e solidali”.
Dal suo canto il console Carlos Abreu
ha rimarcato che queste attività del
sud d’Italia non sono fatti casuali bensì
sono da inquadrare nella commemorazione del ventesimo anniversario della
Ribellione Civico Militare del Giorno
dell’aviazione Militare Bolivariana “A
nome di tutti i venezuelani e venezuelane, ringrazio il sindaco Angelo Riccardi,
il vice sindaco Matteo Palumbo e tutti
i membri dell’Associazione Italo Venezuelana G/D José Antonio Anzoátegui
per il loro impegno nella realizzazione
di questo nuovo luogo d’incontro che
sottolinea il nostro essere venezuelani
e l’amore del popolo italiano nei confronti di quello venezuelano”.
Citando il Presidente Hugo Chávez,
Abreu ha sottolineato l’importanza di
questo giorno nella storia contemporanea del paese: “il 27 novembre si è
svolta un’azione infruttuosa dal punto
di vista militare, ma grandiosa nel dimostrare e rinfacciare al mondo intero
che il regime puntofijista era stato realmente ferito a morte. È stato quel gran
rumore del 27 novembre che per noi è
Manfredonia è una città antica fondata sulle rive del mare Adriatico. La sua
ricca storia risale al XIII secolo. È stata
protagonista di svariate invasioni. Si
trova nella provincia di Foggia, nella
Regione Puglia, nel sud d’Italia. Oggi
ospita uno dei porti marittimi più importanti e moderni d’Italia
Maylyn López
traduzione: Maria Elena Riccio
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venezuela desde italia
VENEZUELA PRESENTE NEL
LIBRO ITALIANO:
“SUGGESTIONI DI VIAGGIO”
no, da sempre interessato a conoscere
la nostra cultura, le bellezze naturali ed
i parchi che si trovano in lungo e in largo sul territorio venezuelano.
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Nella sede dell’Istituto Cervantes di Napoli, il giorno 5 Dicembre 2012, il Consolato Generale della Repubblica Bolivariana del Venezuela ha realizzato la
presentazione del libro “Suggestioni di
viaggio” della scrittrice italiana Yvonne
Carbonaro, un compendio che racchiude la visita dell’autrice in alcuni paesi
del mondo, tra i quali spicca il nostro
paese.
Il Console Bernardo Borges, ha fatto riferimento all’importanza che il Governo Bolivariano sta dando al turismo nazionale, pietra miliare di interesse vitale
per lo sviluppo del paese e per il quale
si stanno realizzando importanti investimenti in materia. “Il nostro impegno
è far conoscere il Venezuela come meta
turistica unica che offre di più del calore della sua gente e una gastronomia
riconosciuta in ambito internazionale”.
La console Marnoglia Hernàndez ha
apprezzato il capitolo che la Carbonaro
ha dedicato al Venezuela “attraverso un
racconto dettagliato e meticoloso sulla
Tierra de Gracia. Descrizione che evidenzia la ricca biodiversità e ricchezza
della nostra terra attraverso un percorso tra i punti cardinali della geografia
nazionale. Senza alcun dubbio una
porta d’ingresso per il pubblico italia-
La Carbonaro ha risaltato la sua esperienza nel paese affermando che continuerà a percorrerlo e scriverà sulla
maestosità dei nostri paesaggi. “Il Venezuela mi ha catturata: la Guayana
Venezuelana, nel cuore di una natura
primitiva, una terra come sarebbe dovuta essere agli inizi della vita e che
oggi resta intatta come uno dei pochi
polmoni verdi dell’umanità. Luoghi di
una bellezza assoluta avvolti da un incanto unico, quasi da favola. Ho presente le immagini di una natura ancora
incontaminata.
Giovani italiani:
Presidente Chàvez
abbiamo bisogno della
Sua forza e senso di
giustizia sociale
Il 13 Dicembre si è tenuta una lezione
magistrale all’Università degli studi di
Napoli “L’Orientale” intitolata “Venezuela nell’ambito della globalizzazione:
la Costituzione tra economia e politiche sociali” con la partecipazione del
Consolato Generale di Napoli.
Il professor Alberto Lucarelli, ordinario
di Diritto Pubblico dell’università “Federico II” e del dipartimento “Beni comuni” del Comune di Napoli, ha realizzato
un percorso sul testo costituzionale
venezuelano segnalando l’importanza
degli elementi innovatori del Diritto
Pubblico “Come nessun’altra Carta Magna, lo stato venezuelano introduce il
concetto di “beni comuni”. L’articolo 12
segnala che i giacimenti minerali e di
idrocarburi di qualsiasi natura, esistenti in tutto il territorio nazionale, zone
economiche esclusive e coste marine
appartengono alla Repubblica e costituiscono beni di dominio pubblico, essendo inalienabili e imprescrittibili”.
“Necessariamente bisogna uscire da
questo eurocentrismo che ha mantenuto l’Europa in uno stato di mistificazione, fuori dal resto del mondo, ed
osservare con molta attenzione quello
che sta succedendo in America Latina
e particolarmente in Venezuela”. La singolarità della democrazia protagonista
e partecipativa plasmata nel testo costituzionale di questo paese e praticata
con fervore in questi tredici anni, ha
dato dinamicità e maturità alla pratica
della politica venezuelana. E’ qualcosa
di meraviglioso perchè lì – in Venezuela - si sviluppa la sovranità popolare,
come dire, la partecipazione piena dei
cittadini e delle cittadine alla vita nazionale”.
L’assemblea piena di studenti di diritto,
ha espresso i propri auguri di forza e
pronta guarigione al presidente Hugo
Chávez: “gli studenti dell’università degli Studi di Napoli “L’Orientale” Le augurano lunga vita e un pronto ritorno
in buona salute in Venezuela... Vinceremo!”.
Maylyn López
traduzione: Martina Tabacchini
IL SUD ITALIA
SOLIDARIZZA CON
IL VENEZUELA
Il 12 Dicembre del 2012 al Maschio Angioino, il Consolato Generale della Repubblica Bolivariana del Venezuela di
Napoli ha indetto la IX giornata con le
comunità e le associazioni italo-venezuelane del Sud Italia, evento al quale
hanno partecipato accademici, gruppi
di solidarietà, diplomatici, studenti e
venezuelani, i quali hanno manifestato
il loro appoggio al Venezuela ed al Presidente Hugo Rafael Chávez Frías.
Durante quest’iniziativa il Console Bernardo Borges ha manifestato il suo apprezzamento alle associazioni del Sud
Italia presenti a quest’evento: Alma
Llanera di Marina di Camerota, Marx
XXI di Bari, Casa Venezuela di Napoli,
Alba di Napoli, Araguaney di Moio della
Civitella, Centro Italo Venezuelano di
Corato, It Ve di Sassano, Suramericalba di Cava De’ Tirreni, GD Josè Antonio
Anzoátegui di Manfredonia, Associazione Filippo Gagliardi di Maratea.
Il pubblico ha innalzato una preghiera per la salute e la pronta guarigione
del Primo Mandatario Venezuelano. Il
professore e costituzionalista italiano
Carlo Amirante, ha evidenziato che il
presidente Chàvez ha esteso le frontiere ed oggi con la sua voce, che è la
voce del popolo, reclama giustizia sociale ed indipendenza che si sente nel
mondo intero. Oggi più che mai il Venezuela risalta nel panorama interna-
zionale come un paese solidale e motore dell’integrazione latinoamericana.
“Presidente, Lei è una luce di speranza
e dall’Europa Le auguriamo un pieno ed
assoluto miglioramento”.
A seguito il Console Borges ha realizzato un esauriente racconto sull’importanza e l’efficacia del Manifesto di
Cartagena, primo documento pubblico
scritto dal Libertador in occasione del
suo Bicentenario: “ Avendo perso la
Prima Repubblica, Bolìvar arriva a Cartagena desideroso di recuperare forze
per tornare in Venezuela e stabilire una
nuova Repubblica. Oggi i desideri di
unione che ha messo in risalto Bolivar
in questo documento, ci accompagnano. Il mondo intero deve aver presente che il Presidente è stato e sarà un
artefice dell’unione, la rettitudine e la
prosecuzione di ogni progetto che si
intraprende. Contiamo su di Lei”.
Lo staff consolare ha informato inoltre la comunità italo venezuelana che
i “Diavoli danzanti di Yare” da questo
momento sono un patrimonio non materiale dell’umanità per l’Unesco. “Questa decisione ci riempie di orgoglio e
ci invita a diffondere la nostra cultura
prodotto di questa mescolanza e fusione che riempie i nostri costumi.
Maylyn López
traduzione: Martina Tabacchini
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identidad, mito y leyendas
LA SCHIAVITÙ:
IL COLORE
MERCANTILISTA
La schiavitù è stata presente in quasi
tutte le società, epoche e continenti del
pianeta. In Grecia, nei secoli V e VI a.C., gli
schiavi lavoravano nelle officine producendo merci che in seguito venivano barattate nel commercio. Durante l’Impero
Romano si costruì un sistema di schiavitù dal quale si presume sia stato ispirato
il processo schiavista delle Americhe.
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Già nel Medioevo le tribù germaniche,
molti popoli mussulmani, popoli del mediterraneo e alcuni regni africani si dedicarono al commercio degli schiavi come
principale mezzo di sostegno economico.
Molti storici concordano nel sostenere che la schiavitù moderna ebbe inizio
con la scoperta dell’America, un business
redditizio e che generava guadagni inestimabili, un meccanismo questo portato
avanti soprattutto da inglesi, spagnoli,
portoghesi e olandesi. Fino ad oggi non ci
sono prove concrete che testimonino con
assoluta certezza la quantità di schiavi
catturati, trasportati, venduti, condannati
a lavori forzati e annientati, coinvolti in
questa tratta perversa che paradossalmente permise alle principali colonie
europee di aumentare notevolmente lo
scambio commerciale e il saccheggio di
cui fu vittima il territorio americano.
Herbert Klein, nel suo studio sulla tratta
degli schiavi calcola tra i 15 e i 20 milioni
di schiavi coinvolti in questo commercio
i cui discendenti chiedono giustizia per
poter onorare la memoria dei loro antenati portati con la forza nel continente
americano.
Tra il 1533 e il 1640 sono sbarcati nelle
coste americane schiavi provenienti soprattutto dal Senegal, Guinea, Gambia,
Capo Verde, Sierra Leon, Congo e Angola.
I nostri avi africani apportarono grandi
conoscenze nelle tecniche agricole e nel
settore minerario e affrontarono l’impero
spagnolo in diverse ribellioni.
Questo truce commercio di esseri umani sarebbe durato quattro lunghi secoli
strappandoli dalle loro terre e togliendo loro la libertà per diventare semplice
merce in un sistema economico che si
rafforzò a spese della sofferenza di milioni di uomini e donne assorbiti in maniera
selvaggia dall’ingranaggio economico
delle potenze imperiali che scambiavano
gli schiavi con merce superflua o li compravano in base al tipo di lavoro che dovevano svolgere.
Nei salotti europei del XVIII secolo era
di moda utilizzare lo zucchero di canna
per addolcire il caffè, i cioccolatini aromatizzati, il piacere di fumare il tabacco.
Dall’altro lato dell’Oceano Atlantico gli
schiavi erano semplici macchinari umani al servizio della crescente domanda di
prodotti provenienti dalle Americhe.
Gli schiavi venivano trasportati per lunghi viaggi attraverso l’Atlantico incatenati dal collo ad un lungo asse di legno, nudi
e sprovvisti dei servizi basici. I loro acquirenti europei eseguivano delle ispezioni
che consentivano di scartare le malattie
e di fissare il prezzo di ognuno in base ai
lavori che potevano svolgere grazie alla
loro statura e alla lunghezza dei loro arti.
Un’ulcera, un dente in meno o un qualsiasi difetto fisico che svelasse possibilità
di rendimento inferiore abbassava il loro
prezzo al momento dell’acquisto.
era il carimbeo: segno impresso col ferro
rovente sul gluteo sinistro o nella parte
alta della vita e nell’avambraccio delle
schiave; queste ultime non sono sfuggite
al commercio sessuale e all’esposizione
pubblica dei loro corpi.
Le imbarcazioni chiamate “boschi d’ebano” salpavano quasi sempre con il doppio
della loro capacità. All’arrivo nelle terre
americane si procedeva con la quarantena e il “blanqueo” che consisteva nell’alimentare e curare i pezzi di maggior valore in modo da farli sembrare forti e in
forma prima di essere esposti al pubblico
acquirente. Venivano misurati per palmi
– alludendo al palmo della mano-. L’altezza ideale era di 7 palmi. Se l’individuo
non era della misura esatta si completava
l’acquisto sommando la misura dei “muleuines”, vale a dire bimbi al di sotto dei
sette anni, o dei “muluques” dai sette ai
dodici anni o dei “mulecone” tra i dodici
e diciassette anni. Il più delle volte i bambini e le donne erano destinati ai lavori
domestici.
Gli schiavi arrivati in Venzuela nel XVI secolo si dedicarono soprattutto all’estrazione mineraria e alla pesca delle perle.
Nel secolo XVIII, “secolo del cacao” nel
paese ci fu il proliferare delle piantagioni
nelle zone costiere grazie alla mano d’opera degli schiavi.
Il fenomeno della schiavitù diede vita alle
più singolari forme di compra-vendita:
si vendono bambini e donne incinte, si
svendono intere famiglie, si fanno trasferimenti e baratti e perfino pagamenti
in natura. Nel 1768 un documento reale
stabiliva l’obbligo di emettere il certificato
di libertà a quegli schiavi che avessero effettuato un pagamento pari al loro valore d’acquisto. In questo modo gli schiavi
coltivavano prodotti come il cacao grazie
al cui raccolto pagavano la loro libertà.
L’utilitarismo economico si è imposto
come unica scusante alla crudeltà di certe pratiche. La più diffusa e inevitabile
Dal 1570 alcune ribellioni dei cimarrones
fecero sì che il Re intervenisse mandando
alla forca quegli schiavi che superavano i
sei mesi di ribellione. Nel 1784 fu proibito
il carimbeo più che per umanità, per evitare ulteriori ribellioni.
L’Africa irradiò la sua diversità per l’intero
continente americano con la sua vitalità
e allegria, contagiando tutti con la sua
musica e arte che rievocano ogni giorno
la vita. Oggi siamo il prodotto di questa
perfetta fusione di usi e costumi che fanno di noi un continente variopinto, dove
i bantu, i cimarrones, il malembe, il tamunangue e la nostra pelle denotano l’orgoglio anche della nostra eredità africana.
America più che razza, religione o continente, è una fusione multietnica unica al
mondo che rende giustizia sociale a tutti
i nostri antenati africani, loro sono anche
l’America e noi siamo anche l’Africa.
Maylyn Lòpez
traduzione: Maria Elena Riccio
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identidad, mito y leyendas
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ABOLIZIONE DELLA
SCHIAVITU’ IN
VENEZUELA
Bolívar iniziò col liberare i suoi propri
schiavi a partire dal 30 giugno 1814
per inserirli nelle forze indipendentiste.
Il 6 giugno 1816 afferma: “la natura,
la giustizia e la politica chiedono l’emancipazione degli schiavi: d’ora in poi
in Venezuela ci sarà una sola classe di
uomini, saranno tutti cittadini” (Blanco Fimbona, 20047:199). E in questo
modo Bolívar conclude il suo discorso
al Congresso di Angostura: “io lascio
alla vostra sovrana decisione la riforma
o la revoca di tutti i miei statuti o decreti: ma io imploro la conferma della
libertà assoluta degli schiavi, come implorerei per la mia vita e per la vita della Repubblica” (Pérez Vila, 1979:124).
APPROCCIO DI
GENERE
È indispensabile definire nuovamente,
“con un approccio di genere”, le Costituzioni, le leggi e tutte le politiche dello
Stato legate a quest’odiosa distinzione
basata sul sesso.
Diciamo “approccio di genere” poiché
vuol dire andare ad intaccare il nervo
centrale di una cultura che stabilisce
ruoli maschili e femminili e sulla base
di essi assegna spazi, stabilisce luoghi,
fissa, colloca e determina posizioni assolutamente disuguali.
L’approccio di genere oltrepassa l’aspetto fisiologico per approfondire nei
rapporti che ci sono tra il biologico e
il sociale. Sono proprio quei rapporti a
mettere la donna in condizioni politiche, sociali, culturali ed economiche
svantaggiose nei confronti dell’uomo,
rapporti che la considerano meramente nell’ambito riproduttivo conferitole
dalle religioni, i miti e le antiche leggende. svantaggiose nei confronti
dell’uomo, rapporti che la considerano
meramente nell’ambito riproduttivo
conferitole dalle religioni, i miti e le antiche leggende.
Il concetto di genere forse può esserci
d’aiuto per capire perché la donna non
va soltanto vista dall’ottica della riproduzione, perché “genere” non è lo stesso che “sesso” e vale la pena spiegare le
differenze.
Quando è nato il genere
umano?
Il genere è nato dalle ricerche sui casi
di bambini e bambine a cui è stato assegnato un sesso diverso da quello che
geneticamente, fisiologica ed anatomicamente era il loro vero sesso. Uno
di questi casi è stato seguito dallo psichiatra Robert Stoller, autore di un libro
edito a New York nel 1968, il cui titolo
è “Sesso e Genere”. Si è trattato di gemelli identici, ad uno dei quali è stato
amputato per sbaglio l’organo sessuale. La famiglia scelse di “socializzarlo”
come una bambina anziché mantenerlo come un maschietto senza pene,
per cui è cresciuto con l’identità di una
bambina, mentre suo fratello gemello,
assolutamente identico, si è sviluppato
come un bambino. La conclusione dello
psichiatra è stata immediata: “l’identità sessuale non sempre è il risultato del
sesso al quale si appartiene”, e questa
conclusione ha dato origine al “genere”.
Da allora, quindi, genere è:
“tutte quelle grandi aree della condotta
umana, sentimenti, fantasie, pensieri,
legati ai sessi ma senza una base biologica”.
Stoller concluse, dalle sue ricerche, che
queste persone che sono state ritenute
femmine hanno preso l’identità sessuale assegnata nonostante l’identità
biologica non fosse in corrispondenza
con la sua oppure, in certi casi, quando
essa fosse o meno in corrispondenza
con la sua.
Questo fece pensare allo psichiatra che
il fattore determinante nell’identità
sessuale non è il sesso biologico “ma
la sua socializzazione”, dalla nascita
oppure da prima della nascita. L’assegnazione del ruolo nel processo di formazione dell’identità sessuale –disse
Stoller- è più determinante rispetto al
carico genetico, ormonale o biologico.
Quest’identità socializzata è stata nominata “genere” dal famoso psichiatra,
ed è riuscito a differenziarla dall’altro,
dal “sesso anatomico”, che come definito dalla chiesa, “sono soltanto due”;
gli unici ed esclusivi sessi da essa riconosciuti e non sappiamo se d’accordo o
meno con Dio.
29
identidad, mito y leyendas
Le femministe e il termine
genere
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Le femministe hanno dato al termine genere un uso che alcuni condividono ed altri non affatto. Per loro, “sesso” è soltanto
una voce per denominare ciò che è stato
costruito “socialmente” e con il quale le
donne vengono oppresse. Per le femministe, “genere” non è un gruppo vulnerabile, “genere” fa soltanto riferimento alla
costruzione sociale dicotomica di ciò che
è femminile e maschile.
Per le femministe, il genere è una categoria sociale come la razza, la classe
oppure l’invalidità. Si lamentano –giustamente- per i tanti monumenti in giro
per il mondo al milite ignoto senza che
ce ne sia uno per la “casalinga ignota”. Si
è detto che il discorso femminista si basa
sul fatto che l’oppressione sofferta dagli
uomini è meno importante di quella sofferta dalle donne stesse.
Ma anche gli uomini sono
vittime
Alcuni dicono che l’oppressione sociale
delle donne è stata più adeguatamente
analizzata, più studiata, rispetto a quella
sofferta dagli uomini per quanto riguarda
il sesso. A questa stessa corrente di pen-
siero sembra “semplicista” denunciare in
senso astratto gli uomini come aguzzini
sociali e intanto una buona parte di loro
–così importante come quella delle donne- per motivi di sesso e società sono vittime simili oppure identiche alle donne.
È vero, si chiedono coloro che la pensano
diversamente rispetto alle femministe,
che tutti gli uomini del mondo opprimono tutte le donne del mondo? Non sarebbe un po’ cadere nel discorso infantile di
“Cappuccetto Rosso”, “La Cenerentola” e
tante altre fiabe ove “buoni e cattivi” cercano moralmente di spiegarci in modo
sbagliato la “realtà esistente”. Una grave
conseguenza del discorso “vittimista” –e
bisogna lanciare l’allarme con responsabilità- è che ostacola e mette in pericolo
le alleanze necessarie tra uomini e donne
che oggi lottano per costruire una società
rivoluzionaria ove si possa raggiungere
una vera trasformazione delle relazioni
interpersonali tra gli uni e le altre, ugualitaria, giusta e meno sessista.
Sarebbe più preciso, affermano coloro
che la pensano contrariamente, che sulla base di una struttura di oppressione
si dica che sia uomini che donne sono
discriminati in aspetti che non sono gli
stessi o che, in ogni caso, “sono diversi
e differenziati”. Infatti, il problema non
è unidirezionale e quantitativo, gli svantaggi e i pregiudizi che derivano dal sesso
sono assolutamente bidirezionali e qualitativi. Non dobbiamo perderci nell’irrazionalità di chi manipola il concetto di
genere per continuare a maltrattare le
donne.
Infatti, sebbene sia vero che le donne
devono ancora rivendicare tanti aspetti
legati alla discriminazione per motivi di
sesso, gli uomini hanno altrettanto da
rivendicare per le stesse ragioni, e quindi
la lotta deve essere condivisa. Non è già
tanto la divisione di classe, perché ci si
voglia dividere in uomini e donne?
Conclusione
È in questo modo che ho imparato che
c’è in ognuno di noi un processo di presa
di coscienza per partecipare con equità e
giustizia in un cambiamento sociale e che
non bisogna differenziare a seconda del
genere o della classe.
Julián Isaías Rodríguez
traduzione: Shaindel Novoa
E’ INUTILE
SPIEGARLO CON
PAROLE
“E’ inutile spiegarlo con parole”
Quando ho vissuto in Venezuela nel 2000, il
Presidente era ancora agli inizi, non si parlava di Proceso, né di Rivoluzione. Nel paesino
di El Callao, dove vivevo, non c’era l’acqua,
non c’era la luce elettrica e alle 21 tutti erano chiusi in casa a guardare le novelas. Mi
ritrovo dodici anni dopo in un Paese attivo,
partecipe e cosciente delle proprie forze.
Dove se qualcuno resta in casa è per seguire
Canale 8 (l’emittente televisiva dello Stato)
o ascoltare qualche radio comunitaria, che
trasmette musica creola ed informazione
costante. Questo grazie alla presa di coscienza: l’associazione tra le persone, al fine
di diffondere le idee per una Patria dove
ci siano diritti uguali per tutti, il diritto alla
casa (in Venezuela è un diritto inviolabile),
allo studio – gratuito – per tutti e tutte, la
sanità, diritti UMANI!
Arrivo all’UNEFA (Universidad Nacional
Esperimental de las Fuerzas Armadas) mi
faccio un giro perché ovviamente sbaglio
edificio. Perché in tutta l’area dell’Universi-
tà, spazi aperti o chiusi che siano, è proibito
fumare ed io bellina bellina ho acceso una
sigaretta. “Ok, la spengo! Tranquillo, camarada” gli dico. Mi viene incontro Arnaldo
Rojas, mi abbraccia calorosamente e da
qui, entro nel sogno di tutti e tutte noi. La
Rivoluzione esiste ed è possibile! Conosco
finalmente Rider Lenin Molina Castro, che
mi ha aiutata mentre ero ancora in Italia,
a partecipare all’esperienza con ANROS
(Associazione delle Reti ed Organizzazioni
Sociali del Venezuela). I corsi sono 4: comunicazione, sociopolitica, potere popolare
ed economia sodinamiche di un Paese che
sta vivendo una Rivoluzione, come mi piace
definirla, UMANA.
Ci sarebbero migliaia di cose da dire, ma
lo spazio è poco e non tutte le parole riescono a rendere l’idea. Ma non servono le
parole. Bisogna mettere in atto, attuare,
organizzarsi! Lo diceva Gramsci anni fa, lo
ripeto io e migliaia di persone oggi. Tutti e
tutte insieme, formandoci sotto lo scopo
comune dell’uguaglianza sociale, possiamo
farcela. Ed è per questo ed altri mille motivi,
che è nata ANROS Italia, che prende spunto dall’esperienza venezuelana e la riadatta
alla nostra realtà, ai nostri bisogni quotidiani, al “sistema” in cui viviamo. L’obiettivo è
quello di unire le Reti Sociali e far rinascere
in tutti e tutte la voglia di lottare, di volersi bene, reciprocamente, senza pretendere
nulla in cambio che l’uguaglianza. La lotta
è amore! Una lotta pacifica la cui unica
arma e la sovranità popolare manifestata
attraverso la partecipazione protagonistica
e diretta dei cittadini e cittadine nella vita
politica nazionale.
Campo di formazione Socialista ANROS e
PDVSA, San Tome de Anzoategui.
Martina Tabacchino
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Guarapo: succo dolce estratto dalla palma
canaria. Miscela dolce dal sapore peculiare,
bibita rinfrescante ed energetica. Può anche
trattarsi della bibita fermentata fatta con questo succo e conosciuta come ‘guarapita’.
Santiguar: fare il segno della croce dalla fronte
al petto e dal gomito sinistro al destro. Fare
superstiziosamente croci su qualcuno recitando preghiere.
Broder: Spanglish. Dall’inglese Brother. Amico.
Ñaño: (Bol., Ecu., Per.) modo affettuoso di
chiamare a un amico intimo.
Cobre: denaro, paga.
Macanudo: (Uru., Arg.) buono, eccellente,
stupendo, magnifico. La sua origine potrebbe
risalire alla metà del secolo XIX nell’estremo
sud del continente americano, epoca in cui
aumentò l’immigrazione anglosassone e con
essa il lavoro nei campi. Nella stessa epoca si
utilizzava una marca di fil di ferro dentato per
recintare il raccolto, detto Marcar Nudo, che
era di ottima qualità, per cui diventò sinonimo
di buono accettabile, stupendo. Si dice che la
pronuncia di questi immigrati potrebbe aver
dato origine a ‘macanudo’.
Marnoglia Hernández Groenveledt
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