Animali della Maremma L`allevamento del bestiame costituiva la

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Animali della Maremma L`allevamento del bestiame costituiva la
Animali della Maremma
L’allevamento del bestiame costituiva la parte fondamentale dell’economia nelle grandi aziende della
Maremma, superando di gran lunga, per importanza e redditività, la coltura di cereali.
Nelle grandi estensioni latifondiste erano presenti molteplici situazioni ambientali: immensi pascoli si
alternavano alle immancabili macchie o ai boschi e vi erano spesso zone paludose. In un habitat così
favorevole, prosperavano le specie allevate, specialmente vacche maremmane con le grandi corna, ed il
cavallo maremmano.
Anticamente, in particolare nella campagna romana, l’allevamento ruotava intorno al cavallo, al quale si può
dire che venissero affiancate vacche e pecore. I proprietari di più alto rango preferivano limitarsi ad allevare
vacche e cavalli, cedendo in affitto ai pastori i pascoli in eccedenza.
La forma di allevamento era quella allo stato brado, connotata dai grandi numeri dei capi di bestiame e dalle
grandi estensioni territoriali lasciate incolte a causa dell’insalubrità dell’aria. Ma, tale sistema cominciò a
subire un ridimensionamento quando alcuni latifondisti avviarono le prime opere di bonifica e di
trasformazione, creando appoderamenti; successivamente la bonifica integrale e la riforma fondiaria ne
determinarono il definitivo declino.
Il Cavallo Maremmano
Il cavallo e da sempre il simbolo più rappresentativo della Maremma, l’elemento che ha più nobilitato in
questa civiltà agricola. Accomunato alla figura del buttero, è stato l’artefice della sua fama e del suo mito.
La presenza del cavallo in Maremma fin da epoche remote è testimoniata da affreschi, sculture e decorazioni
etrusche, che lo collocano tra i protagonisti di quella civiltà; il suo ruolo fondamentale nella locomozione, nel
trasporto e nel lavoro è giunto inalterato alle soglie dell’era tecnologica.
Le particolari condizioni ambientali della Maremma e l’intervento dell’uomo hanno concorso a selezionare un
cavallo dalle caratteristiche eccezionali.
Il cavallo maremmano nacque brado e puro. Non era bello, secondo i canoni estetici con i quali si giudica il
dolicomorfo purosangue inglese; la testa un po’ arcuata e montone, indice di tenacia che raramente diventa
caparbietà, le gambe grosse ornate nei pastorali di ciuffi di pelo grossolano, come setole, cosi puro sotto il
barbozzale a sottolinearne la selvatichezza; dava subito l’impressione di solidità non smentita dall’esperienza,
di vigore, di robustezza eccezionali. Eccezionali erano le prestazioni di cui era capace, tenuto ad un regime
frugale; con poca biada e molta strada, questo era l’andante, era resistentissimo”
(dal libro “I Butteri della Maremma” di Antonella Deledda e Lorenzo Mancioppi, edizione Valecchi, 1991)
La storia del cavallo si perde nella notte dei tempi. Per tanti anni, uomo e cavallo insieme, hanno fatto la
storia. Aveva ben ragione perciò il SANSON, illustre studioso francese dell’800, a considerare germaniche le
origini del “cavallino che si trova nelle paludi della maremma toscana”. Non era stata la Maremma, fino al
1200, feudo dei Longobardi?
Questa la storia passata.
L’inizio del 900 è stato anche l’inizio di un lavoro di selezione e miglioramento delle razze italiane, in
particolare della razza maremmana, nota per la sua rusticità, longevità e robustezza.
Con l’aiuto dei Regi Depositi Stalloni (istituiti verso la fine dell’800), ma senza una politica seria e costante
dello Stato, nacquero, affidate alla passione di molti, le varie ”razzette”. L’arabo e l’anglo arabo entrarono in
varie razzette (Alberese, Marsiliana, Ospedaletto). In seguito si sviluppò l’incrocio con il p.s.i. (Rosselini,
Doganella, gli Aquisti). Ecco perché cosi vari sono i modelli dei maremmani che passano da m. 1,70 a m.
1,60 dai morelli ai sauri, dai montanini agli arabeggianti. Il maggior acquirente di questi cavalli era l’esercito.
Si svilupparono in Maremma, per la produzione di soggetti solidi e robusti, allevamenti bradi che sfruttavano
gli ampi spazzi del latifondo.
Con l’introduzione a Pinerolo della scuola “Caprilli”, iniziarono a selezionare quel cavallo lancere
(maremmano migliorato con il p.s.i.) addestrandolo per i neonati concorsi ippici. Crispa, Derna, Nasello,
vincitori di concorsi internazionali, uscirono dagli allevamenti di Maremma.
Il Chiari, ippologo illustre dei primi del 900, diceva che i cavalli maremmani, nulla avevano da invidiare ai
loro fratelli irlandesi.
Nel 1930, alla mostra a Roma del decennale, selezionati dai Regi Depositi Stalloni, furono presentati ben 30
stalloni maremmani “migliorati”. La seconda guerra mondiale, le razzie militari decimarono gli allevamenti di
Maremma.
Nel 1954 la motorizzazione dell’esercito e la riforma agraria diedero il colpo di grazia. Alla fine degli anni
sessanta, grazie alla radicata passione degli allevatori, al boom economico e alla richiesta di cavalli per
Concorsi, iniziò la ricostruzione da quel poco che era rimasto.
Oggi è stata recuperata una razza autoctona, forte, robusta e “gentile”. Ad essa, se vogliamo entrare
competitivi in Europa, dobbiamo dare i migliori stalloni (come hanno fatto Francesi, Tedeschi e Olandesi)
mantenendo però razzetta di maremmani in “purezza” vivaio di fattrici e stalloni da cui estrarre le migliore
fattrici Italiane.
Dal libro “Il cavallo maremmano” di Anna Spada, editore Camera di Commercio, Grosseto
La Monta Maremmana
In Toscana e Lazio questo tipo di monta per tradizione può essere in qualche misura assimilata ad una vera
e propria disciplina equestre. Quando si parla di monta maremmana non si può prescindere dal cavallo
maremmano e dalla figura del buttero. Due soggetti questi la cui originalità, per motivi diversi, tende a
scomparire. Infatti, il cavallo maremmano attraverso incroci e selezioni, non sempre condivisibili, ha perso le
sue caratteristiche originali, mentre il mestiere del buttero, a seguito della meccanizzazione agricola e con la
diminuzione dell'allevamento brado, non è più attuale. Ma quando la tradizione è grande e soprattutto
sentita, anche la monta maremmana e tutto il corollario che la circonda continua a trovare nuovi adepti. Due
sono essenzialmente i tipi di monta maremmana: quella toscana che utilizza la sella scafarda o più
raramente la vecchia sella col pallino e quella laziale dove si usa la bardella. La sella col pallino è ritenuta
la più antica ed è di derivazione spagnola, assomiglia infatti alla sella vaquera, mentre la scafarda è una sella
originariamente usata dalla cavalleria quindi con caratteristiche di uso militare. La bardella invece sembra
che discenda dalle ampie selle rinascimentali imbottite e con l'arcione molto rilevato. La sella maremmana è
usata senza copertina sottosella. Completano la bardatura il pettorale, il sottocoda o groppiera le staffe ed
il sottopancia munito di due anelli che viene fissato con un nodo a cravatta. Anche nel morso si differenziano
le due scuole. Quella laziale usa un morso spezzato con barbozzale e leve di media lunghezza unite
all'estremità da una catenella (detta anche falso barbozzale), mentre la scuola toscana usa di solito un
morso intero con un arco centrale passalingua. Completa la bardatura la camarra che è una martingala
fissa che impedisce al cavallo di alzare eccessivamente la testa. Altro strumento caratteristico della monta
maremmana è il capezzone che viene usato nei primi periodi di addestramento del puledro come pure la
lacciaia che serve per la cattura dei soggetti bradi. Caratteristico è anche l'abbigliamento del buttero che è
costituito da scarponi di tipo militare con gambali allacciati lateralmente con un cordino di cuoio, camicia
bianca senza colletto, corpetto o giacca di fustagno, cosciali in pelle di capra per ripararsi dai rovi. Il buttero
deve essere altresì munito di mazzarella o pungolo, cosi si chiama rispettivamente nel Lazio o in Toscana
il bastone in legno di crognolo che serve per pungolare il bestiame, per incavezzare i puledri bradi, per
togliere la lacciaia o per altri innumerevoli usi. Altro oggetto caratteristico è la catana, tascapane piatto in
cuoio con tracolla che si appende alla parte destra della bardella, mentre con la scafarda di solito si usano
delle bisacce in tela ricoperte di pelle di capra che vengono fissate alla paletta. Un aspetto importante della
vita del buttero è senza dubbio la merca. Si tratta di una operazione che serve per sbrancare i vitelli dalla
mandria e marcarli. Oggigiorno i butteri si cimentano nella merca anche durante varie manifestazioni che
servono a far conoscere al pubblico le tradizioni maremmane.
La vacca maremmana
La razza maremmana è considerata diretta discendente della grande razza grigia della steppa o razza
asiatica del Sanson che dall’Asia, sua culla, si è diffusa nell’Europa occupando un’area geografica assai ampia
che comprende L’Ucraina, la Romania, l’Ungheria, la Bosnia, la Dalmazia ed alcune regione d’Italia,
soprattutto del centro-sud.
Ma il bovino della Maremma nel tempo si è profondamente trasformato: “ Il bovino maremmano è
l’espressione di un integrale adattamento a condizioni dure e primitive di vita le quali hanno provocato un’
autentica selezione naturale del più adatto eliminando inesorabilmente e sistematicamente gli individui più
deboli e incapaci di procacciarsi di che vivere nella macchia, nella palude e nel bosco, sotto la sferza del sole
o nei rigori invernali”. Un autentico curriculum darwiniano unito al prezioso patrimonio genetico hanno
consentito la formazione e la stabilizzazione di questa particolare razza.
Esistevano numerose sottorazze che si distinguevano con i nomi della località di provenienza come la
pomontina, la tolfetana, l’alberesana, e cosi via. Altre prendevano il nome dall’Azienda o dal proprietario,
come la Marsiliana, la Torlonia, ecc.
Nelle grandi aziende, l’allevamento delle vacche di razza maremmana costituiva l’attività più redditizia, quella
per la quale era costantemente impiegato il maggior numero di persone. Questi animali avevano molteplici
destinazioni, oltre a quella ovvia della riproduzione per la vendita come carne. Quest’ultima, del resto, non
era affatto scontata vista la povertà del posteriore che, in un bovino da macello rappresenta la parte più
pregiata.
Fin quando non fu introdotta in Maremma la vacca da latte, la maremmana svolgeva anche questa funzione.
Inoltre il ruolo del bovino era fondamentale nei lavori pesanti dell’azienda, fin quando non è stato sostituito
dalle macchine. In particolare il bovino di razza maremmana era considerato il campione mondiale tra le
razze da lavoro.
Con l’avvento della meccanizzazione agricola, l’uso dei bovini maremmani da lavoro si è man mano ridotto
fino a scomparire quasi del tutto. Sopravvivono sul Monte Amiata ed in Maremma in alcune Aziende come
l’Azienda il Marruchetone vicino Roselle.
L’allevamento in purezza è ormai limitato alle aziende pubbliche e a pochi irriducibili allevatori privati.
Con loro e con la tradizione del Buttero sopravvive la Maremma tradizionale.
Il Buttero
Il buttero è stato fino a non molto tempo fa una figura insostituibile in Maremma. Figura ormai leggendaria,
il buttero fa parte essenziale della cultura e delle tradizione maremmane e contribuisce ad aumentare il suo
fascino antico
Probabilmente di antichissima origine (una delle etimologie più accettate circa il loro nome lo fa risalire al
greco bous terein – spingere i buo. Questi cavalieri erranti delle antiche maremme hanno trovato tardi ed
esaltati epigoni nei cowboys del West americano. Epigoni sbiaditi se è vero che, nel 1890, i butteri del duca
Caetani di Sermoneta sfidarono e vinsero gli espertissimi mandriani della troupe di Buffalo Bill in tournee a
Roma. Ma i Butteri non sono solo Maremmani. Il Buttero stracolma l’iconografia ottocentesca della
Campagna Romana e delle Paludi Pontine. Con il prosciugamento e la successiva messa a coltura
dell’immenso impero selvaggio della Pianura Pontina, molte mandrie e butteri si trasferirono a nord,
ricreando, soprattutto nella Maremma Grossetana, il loro mondo.
Il lavoro quotidiano del Buttero
L’attività quotidiana del buttero, che si svolgeva nel contesto delle grandi estensioni latifondiste, non
conosceva certo la noia della routine. Ogni periodo dell’anno, ogni momento della giornata erano
caratterizzati da particolari avvenimenti, con i conseguenti compiti da svolgere a cui si aggiungevano sempre
numerosi imprevisti.
È impossibile immaginare di controllare oltre 500 capi di vacche e tori maremmani bradi e 120 cavalli senza
l'ausilio di questi mandriani nostrani: infatti, non si possono raggiungere con trattori o mezzi fuoristrada i
luoghi impervi dove si arriva con il cavallo e soprattutto non si avvicinano gli animali.
La giornata di lavoro comincia presto per un Buttero. Nei mandrioli, i grandi recinti nei quali pascolavano i
branchi di bestie comincia il lavoro di controllo. È necessario conoscere ogni capo per poterne verificare
quotidianamente la presenza e lo stato di salute; tale compito è facilitato dalle cifre poste sugli animali con la
marchiatura. Alla fine del giro il buttero sa quanti e quali capi mancano; questi devono essere rintracciati nel
più breve tempo possibile. Per questo compito il buttero deve avere uno spiccato senso del territorio;
occorre conoscere a menadito la zona, i suoi punti pericolosi, le abitudini di ciascun animale.
Conoscono gli animali uno per uno, si accorgono se ci sono problemi, sanno individuare una vacca o una
cavalla prossima al parto, possono spostare mandrie di centinaia di animali per trasferirli da una zona
all'altra. Controllano i pascoli, le recinzioni, i punti di abbeveraggio
Il lavoro aumenta in primavera quando cominciano a nascere puledri e vitelli e iniziano le monte brade di tori
e stalloni. Ogni maschio ha un suo gruppo e bisogna conoscere le genealogie delle fattrici e delle vacche
nutrici per non farle montare da riproduttori della stessa linea di sangue. All’approssimarsi del parto, le
bestie gravide tendono ad appartarsi in posti riparati o nascosti, ma per un bravo buttero le bestie affidategli
non hanno segreti, e spesso il tempestivo ritrovamento significa garantire la vita del nascituro o della madre,
sia dei cavalli o delle vacche. Ogni puledro o vitello nato viene annotato su un registro e nella mente del
buttero cui e affidato: completato il periodo delle nascite ogni buttero si ritrovava un consistente branco di
nuovi nati da sorvegliare e soprattutto da riconoscere. E se per i puledri la cosa poteva essere più semplice,
dato il loro esiguo numero, la diversità dei mantelli ed i segni particolari, per i vitelli, le difficoltà aumentano.
I vitelli maremmani, che nascono fromentini per poi mutarsi in grigio, sembrano infatti tutti uguali, almeno
agli occhi del profano. Solo alcuni butteri riescono già dai primi giorni di vita a riconoscere i vitelli e le
rispettive madri.
Nelle aziende meglio organizzate con le recinzioni, il giro di controllo finiva all’ora di pranzo ed il pomeriggio
poteva essere utilizzato per una nuova uscita alla ricerca dei capi mancanti, oppure per il lavoro nei
mandrioli, animali da curare, incavezzare, castrare, domare. Il tempo a disposizione prima del buio bastava a
malapena a concludere il giro.
Ma fare il buttero è soprattutto una filosofia di vita, dove il lavoro non è semplicemente un fatto economico,
è tradizione, passione e dedizione: si lavora a contatto diretto con gli animali, dotati di un loro
comportamento, di un loro temperamento. È necessario amarli davvero per fare questo mestiere e questa
non è cosa che si possa insegnare.
LE TRE TIPOLOGIE DI SELLE USATE DAI
BUTTERI
La maremmana, o sella alla buttera,
conosciuta anche come sella col pallino, è stata
a lungo utilizzata nella Maremma grossetana e
livornese. Caduta in disuso da tempo, al punto
che neanche i butteri più vecchi hanno memoria
di averla usata o vista usare. Di foggia spagnola
si pensa che sia stata introdotta già con lo Stato
dei Presidi. Era una sella molto robusta, fissata
al cavallo con finimenti realizzati con un doppio
strato di cuoio, imbottita nei punti di massimo
attrito con il cavallo per evitare le "fiaccature"
(piaghe da sfregamento). Le staffe erano in
ferro battuto, molto piccole, da far entrare solo
la punta dello stivale. La decadenza di questa
sella è iniziata intorno agli anni '20, quando è
stata progressivamente sostituita dalla bardella
e dalla più pratica scafarda.
La bardella è la sella del cavalcante per
eccellenza, a lungo usata nell'intero territorio
maremmano. È praticamente priva di arcione, è
molto povera dato che la sua fabbricazione
richiede poco pellame e ha solo un piccolo frontale
di legno a semicerchio. È molto grande, molto
confortevole per il cavaliere, esiste nel modello da
doma, detto bardellone , la toscanella, più
pregiata e la più essenziale tolfetana. I butteri
dell'Azienda Agricola Regionale di Alberese la
usano esclusivamente per la doma, dato che nella
Maremma grossetana ha subito una progressiva
decadenza ed è stata completamente sostituita
dalla scafarda. Continua, invece, ad essere molto
usata nel viterbese e nella provincia di Roma.
La scafarda era la sella regolamentare delle
truppe di cavalleria. Era una sella concepita per
attività belliche, andata in pensione dopo la fine
della Seconda Guerra Mondiale. È a partire dagli
anni '20 che i butteri del Regio Deposito Stalloni
dell'Esercito, oggi Centro Militare Veterinario,
alle porte di Grosseto, hanno cominciato ad
usarla. Da allora ha avuto una inarrestabile
ascesa. Si tratta infatti di una sella meno
professionale, ma più versatile della
maremmana, più confortevole e più robusta
della bardella, realizzata in vacchetta, con
cuscini imbottiti e protetti con rivestimenti in
cuoio. È la sella più usata dai butteri
maremmani, infatti proprio a Grosseto ci sono
alcuni giovani artigiani che la producono,
mentre non si è affermata nel Lazio. La sua
affidabilità e comodità, che la rendono
eccezionale in campagna e nel trekking, le
hanno fatto guadagnare anche un vasto
mercato amatoriale
La Merca
La pratica della marcatura a fuoco ha origini molto antiche e rappresenta l’atto con cui viene sancita la
proprietà e la provenienza di un capo di bestiame. Con il termine “merca” si indica la “cerimonia” durante la
quale venivano marchiati i giovani animali, imprimendo indelebilmente sulla loro pelle i segni della proprietà.
Si svolgeva solitamente nella seconda quindicina di maggio, periodo in cui l’animale aveva già perso il pelo
invernale. Ciò assicurava una migliore marcatura ed una più rapida guarigione.
Territorio dalla vegetazione folta e intricata, terreno impervio e acquitrinoso, dove i butteri tra nugoli di
insetti, abbrancavano bestiame brado nato l'anno precedente, per il rito della merca. Ogni anno, da Aprile a
Giugno, questo lavoro si ripeteva nelle aziende Toscane e Laziali, dove l'allevamento del bestiame avveniva
allo stato libero. Con fatica e incitamenti, aiutandosi con lunghi bastoni, le mandrie venivano guidate ad un
recinto. Maggiore era l'attenzione se si trattava di bovini di razza Maremmana, forti, dalle lunghe corna e di
mole robusta che possono diventare estremamente aggressivi se irritati. Dal recinto ogni animale è separato
dal gruppo (sbrancato) dai butteri a cavallo, e indirizzato verso il tondino (recinto circolare), per la
marchiatura, o allo strettoio se necessita di cure, dove viene immobilizzato e sottoposto ai trattamenti. Nel
tondino se ad essere sottoposto alla merca è un vitello, entrano 3 uomini, nel frattempo sul fuoco sono stati
posti a riscaldare i marchi da apporre, uno per l'anno di nascita o di marchiatura, uno per il numero
progressivo dell'animale, che verranno impressi ai lati della groppa, ed infine quello che rappresenta il
simbolo dell'allevamento, sarà visibile sulla coscia. Il vitello maremmano ad un anno è già sviluppato, agile e
forte per la vita libera che ha condotto, e dentro il tondino è estremamente nervoso per essere stato
separato dal gruppo e dalla vicinanza degli uomini, quindi tutt'altro che arrendevole, atterrarlo e impastoiarlo
sarà operazione poco semplice che si può svolgere in due modi, con la lacciaia, corda lunga 10/12 metri che
ha ad un capo un'anello di ferro dove si fa passare il capo opposto, per formare il cappio , da lanciare sulle
corna del vitello. Chi lo adopera si pone vicino al palo fisso posto nel centro del tondino detto giudice,
mentre un compagno fa girare il vitello, chi tiene la lacciaia catturerà l'animale e quando sarà preso, la corda
verrà velocemente avvolta intorno al giudice e recuperata con cura, per impedire la libertà di movimento al
vitello. Ora uno dei butteri lo può afferrare per la coda mentre gli altri due passano velocemente la corda
intorno alle zampe per impastoiare, simultaneamente verrà infine tirata sia la corda che imprigiona la testa,
che quella che tiene le zampe, in modo da far coricare sul lato sinistro l'animale, immobilizzato si potrà
marchiare. Il secondo metodo, la presa a mano, consiste nella disposizione di due uomini lungo la recinzione
del tondino, ed un terzo munito di bastone che incitano l'animale a fare più giri in senso orario, cercando di
stancarlo e calmarlo.
Con la giusta posizione del vitello due uomini afferrano coda e testa, per rallentarne la corsa, così il terzo
buttero potrà afferrare le corna ed in sincronia con il compagno che tiene la coda atterrare l'animale, mentre
l'uomo che prima teneva la testa velocemente, con una corda, legherà le zampe del vitello immobilizzandolo.
Per i puledri ovviamente il procedimento di cattura è diverso essendo animali di fragilità e nevrilità maggiori.
Fatto entrare nel tondino il puledro, dovrà essere incitato a girare in senso antiorario rispetto al buttero
posizionato al centro del tondino. Questi lancerà la lacciaia sulla testa del cavallo da dietro, catturato
l'animale e passata la corda intorno al giudice, si dovrà rallentare la corsa del puledro e avvicinarlo al centro
del tondino. Ora si potrà iniziare con l'aiuto degli altri butteri ad incapezzarlo e passata la lacciaia dietro le
gambe posteriori atterrarlo. La tradizione vuole che subito dopo il marchio venga effettuata la tosura di
criniera e coda per favorirne la ricrescita più bella e folta. Tutto questo lavoro di animali e uomini anche se
può apparire strano veniva vissuto come una grande festa da parte dei butteri. La merca rappresentava il
risultato finale di un anno di fatiche invernali, dove il risultato si vedeva sulla salute e la bellezza degli
animali marchiati. (vedi anche “la doma”)
La merca è il passaporto per una lunga vita in libertà, infatti vengono solo mercati i soggetti destinati
all’allevamento brado. La sorte dei rimanenti è di finire in bistecche, senza che nessuno spenda una lacrime
per loro.
Nel passato, per i proprietari il giorno della merca rappresentava il momento dell’orgoglio; di fronte ad amici,
ospiti, autorità si faceva sfoggio della quantità e della qualità del bestiame, della bravura dei butteri nei
mandrioli, dell’abbondanza della mensa.
La merca era anche un grande momento di emozioni. La fierezza dei puledri e la selvaticità dei vitelli
rendevano il copione imprevedibile. Il tutto sotto la regia attenta del massaro. La giornata si concludeva
sempre di fronte ad una tavolata. Le donne della fattoria, silenziose protagoniste dietro le quinte, lavoravano
da giorni per preparare pasta fatta in casa in gran quantità, agnelli, insalate, carni da cortile cucinate in mille
modi, tanti dolci e vino.
Ma a parte del folklore, la merca era ed è tutt’ora un momento di grande professionalità. Le tecniche di
lavoro sono molteplici e si differenziano da zona a zona.
L’atterramento dei vitelli “a lotta”, che può sembrare una rude esibizione muscolare, si svolge in realtà nel
rigoroso rispetto di una serie di regole non scritte, dal momento in cui ci si avvicina al vitello fino a quando
gli si rende la libertà.
Le tecniche di uso della lacciaia sono riconducibili a due scuole nettamente distinte: nel Lazio si pratica il
lancio “a giro”, ossia la lacciaia viene fatta roteare sopra la testa, con un gesto piuttosto spettacolare
La doma
“la lotta tra uomini e cavalli è terribile” scrisse in una lettera che precedeva la produzione del quadro “La
marcatura dei puledri” Giovanni Fattori, commentando l’aspro confronto tra il buttero e il puledro
maremmano.
Uno scontro spesso cruento, da cui quasi sempre il buttero usciva vincitore. Il cavallo allevato allo stato
brado comporta bassissimi costi di custodia e di alimentazione, ma la totale libertà di cui gode nei primi anni
di vita rende molto difficoltosi i successivi contatti con l’uomo. Per il puledro brado gli unici contatti avuti con
l’uomo, sono stati in occasione della merca e della lastratura, circostanze entrambe traumatiche, che hanno
ulteriormente segnato il carattere di un animale con un temperamento già diffidente.
Il puledro brado e il buttero nel tondino offrono uno spettacolo che ha il fascino primordiale dello scontro tra
l’uomo e l’animale. La lotta si svolge ad armi pari. La cavezza, poi la sella, infine il peso dell’uomo, sono i
segni per il puledro, di una onorevole sconfitta, per l’uomo di una sofferta vittoria.
“Per il padrone la tua pelle costava meno di quella del puledro e non esistevano puledri che non si potessero
domare” disse un vecchio buttero.