I diritti di tutti negati ai poliziotti

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I diritti di tutti negati ai poliziotti
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COISP · COORDINAMENTO PER L’INDIPENDENZA SINDACALE DELLE FORZE DI POLIZIA
Prot. 726/16 S.N.
Roma, 18 agosto 2016
Al Ministro dell’Interno
Preg.mo On. Angelino Alfano
Al Capo della Polizia
Direttore Generale della Pubblica Sicurezza
Prefetto Franco Gabrielli
e, per conoscenza:
Al Ministero dell'Interno
Dipartimento della Pubblica Sicurezza
Segreteria del Dipartimento
Ufficio per le Relazioni Sindacali
c.a. Signor Direttore, V. Prefetto Tommaso Ricciardi
OGGETTO:
I diritti di tutti negati ai poliziotti …
Preg.mi Signor Ministro e Signor Capo della Polizia,
il 24 gennaio 2010 questa Organizzazione Sindacale trasmise una richiesta di intervento relativa ad alcuni diritti
che venivano negati solamente ai Poliziotti, all’allora Ministro dell’Interno Roberto Maroni, a Lei stesso, On. Alfano,
che a quel tempo era Ministro della Giustizia, all’On. Mara Carfagna che era Ministro per le Pari opportunità,
all’On. Maurizio Sacconi che era Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, all’On. Renato Brunetta
che era Ministro per la Pubblica Amm.ne e l’Innovazione ed all’allora Capo della Polizia Prefetto Antonio Manganelli.
In particolare (v. all. 1), sottolineavamo di non riuscire a capacitarci del fatto che noi Poliziotti
fossimo «sovente oggetto di stupide prese di posizioni, di invettive e gratuite offese da parte di chi pur dovrebbe
stare dalla nostra parte ed adoperarsi affinché possiamo ancor meglio svolgere i nostri compiti e farlo con la necessaria
tranquillità, …. né del perché costantemente i “diritti” di tutti i cittadini non lo sono quasi mai per noi Poliziotti,
così come i “diritti” dei figli di chiunque non lo sono mai per i nostri figli».
Ci riferivamo, ancor più nel dettaglio, all’applicazione, nei confronti dei Poliziotti, dell’art. 40, lett. c)
del D.Lgs. n. 151/2001 - T.U. maternità/paternità, ovvero del diritto del padre ai riposi giornalieri
c.d. per “allattamento” in caso di madre casalinga …. ed alla volontà del Dipartimento della P.S. di negare tale diritto
ai Poliziotti-padri.
Lamentavamo che nonostante il Consiglio di Stato, con sentenza n. 4293 del 9 settembre 2008,
avesse affermato la possibilità per un dipendente di fruire dei riposi orari di cui all’art. 40 del D.Lgs. 151/2001,
pur essendo la consorte del richiedente casalinga, il nostro Dipartimento, che ogni qualvolta detto Consiglio
aveva sentenziato a sfavore di un Poliziotto aveva sempre parlato di “importante orientamento giurisprudenziale”
e di “autorevolezza della fonte che non può che imporre l’obbligo per tutti di rispettarla”, aveva adesso mutato
opinione: la sentenza dell’Alto Consesso non era più autorevole, anzi non valeva nulla se non solo per il ricorrente!!
Ecco quindi la necessità dell’Amministrazione di “risolvere i dubbi interpretativi suscitati, in merito
alla citata disposizione, dalla pronuncia suddetta” e la sottoposizione di un quesito “alla Commissione Speciale
Pubblico Impiego del Consiglio di Stato” che, guarda caso, “nell’adunanza del 23 settembre 2009, alla luce
della ricostruzione storica dell’istituto del riposo giornaliero, è pervenuta a conclusioni diverse rispetto
all’assunto del giudice di appello”: i Poliziotti-padri non possono fruire dei riposi orari c.d. per “allattamento”,
di cui all’art. 40 del D.Lgs. 151/2001, in caso di moglie casalinga!
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Manco a dirlo quanto sopra è valso solo per i Poliziotti, gli unici ai quali - spiegavamo nella nostra lettera
ai menzionati organi di Governo ed all’allora Capo della Polizia - è negato ciò che invece è pienamente riconosciuto
ai normali cittadini ed a tutto il restante pubblico impiego!!
Ovviamente (sic!) nessuno si è interessato della questione, costringendoci quindi ad intervenire nuovamente
nei riguardi delle alte cariche governative e del vertice della Polizia.
Con lettera del 21 febbraio 2012 la questione veniva difatti riproposta (v. all. 2) all’allora Ministro dell’Interno
Annamaria Cancellieri, al Ministro della Giustizia Paola Severino Di Benedetto, al Ministro del Lavoro
e delle Politiche sociali Elsa Fornero ed all’allora Capo della Polizia Prefetto Antonio Manganelli.
Qui, nel ribadire mestamente che «secondo il Dipartimento della P.S., nello specifico la Direzione Centrale
per le Risorse Umane che aveva trattato la vicenda, i Poliziotti-padri non valgono un accidenti ed i loro figli
ancora meno», puntualizzavamo che anche l’INPDAP riteneva valevole il citato “diritto”, tant’è che con
la nota operativa n. 23 del 13/10/2011 (successiva al parere del Consiglio di Stato del 23 settembre 2009
di cui si avvaleva il Dipartimento della P.S. per negare ai poliziotti, per l’ennesima volta, un loro diritto),
aveva puntualizzato “Ai Direttori delle Sedi Provinciali e Territoriali e, per il loro tramite, a tutte le Amministrazioni
iscritte” (tra le quali rientrava pure quella della Pubblica Sicurezza) che
Con sentenza n. 4293 del 9 settembre 2008, il Consiglio di Stato ha, tuttavia, dedotto in via estensiva che la 'ratio'
della norma, "rivolta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità in attuazione delle finalità generali scolpite
dall'articolo 31 della Costituzione", induce a ritenere ammissibile la fruizione dei riposi giornalieri da parte
del padre, oltre che nell'ipotesi di madre lavoratrice autonoma, anche nel caso di madre casalinga.
In buona sostanza, la madre casalinga impegnata in attività che la distolgono dalla cura del neonato deve essere
considerata, secondo l'alto parere, alla stessa stregua della lavoratrice non dipendente cui la norma fa esplicito
richiamo.
Sulla questione, più recentemente, è intervenuto anche il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali,
con lettera circolare n. 8494 del 12 maggio 2009, che, nell'intento di fare definitiva chiarezza, sulla base
del consolidato indirizzo che mira a garantire alla/al lavoratrice/lavoratore la cura del neonato in tutte le ipotesi
in cui l'altro genitore sia impegnato in attività lavorative che lo distolgono dall'assolvimento di tale compito,
si è espresso in senso favorevole al riconoscimento "de quo", richiamando il già citato orientamento giurisdizionale
del Consiglio di Stato nonché la sentenza della Corte di Cassazione n. 20324 del 20 ottobre 2005.
Atteso quanto sopra, a riscontro delle numerose richieste di chiarimento pervenute da parte delle Amministrazioni
ed Enti iscritti e nell'ambito dell'analisi del più ampio istituto della maternità e dei relativi riflessi contributivi,
si fa presente che l'interpretazione estensiva scaturente dagli indirizzi giurisprudenziali citati consente
di riconoscere al lavoratore padre il diritto a fruire dei permessi previsti dall'articolo 40, lettera c), del D.Lgs.
n. 151/2001, anche nell'ipotesi in cui la madre svolga lavoro casalingo.
ed analogamente aveva fatto l’INPS con circolare n. 118 del 25 novembre 2009 ove aveva ribadito il diritto del padre
ai permessi di allattamento nel caso di madre casalinga, così come in precedenza aveva puntualizzato lo stesso
Ministero del Lavoro, con lettera circolare C/2009 del 16 novembre 2009!!
A tutti i lavoratori-padri tranne che ai Poliziotti - concludevamo - veniva (e viene tuttora) riconosciuto
il citato diritto ai permessi mensili (c.d. per “allattamento”) anche nel caso in cui la moglie-madre sia casalinga.
Beh, anche quest’ultima richiesta di intervento, come le innumerevoli vertenze avviate nel tempo da questa
Organizzazione Sindacale nei riguardi del Dipartimento della P.S., ha avuto come riscontro una tacita negazione
e la conferma della volontà di discriminare il personale della Polizia di Stato rispetto a tutti gli altri lavoratori pubblici!
È alle SS.LL., Signor Ministro e Signor Capo della Polizia, che adesso quindi ci rivolgiamo.
La negazione del citato diritto, difatti, prosegue e - come precisato - riguarda solo i Poliziotti.
L’ultimo dei caso riguarda un Assistente del Compartimento Polizia Ferroviaria di Venezia ed in servizio
presso il Reparto di Stazione Venezia S.L., il quale si è visto negare dal proprio Dirigente (dopo aver sentito
il Dipartimento) il diritto di fruire, dallo scorso 16 agosto, dei permessi statuiti dal ridetto art. 40 in quanto
per quest’Amministrazione la condizione di disoccupazione (quindi di casalinga) della moglie del predetto
non sarebbe contemplata (cosa totalmente falsa!!) dalla citata normativa ai fini della concessione dei riposi giornalieri
c.d. per “allattamento” a favore del lavoratore-padre.
Ebbene, che l’orientamento dell’Amministrazione sia inaccettabile e vergognosamente spregiudicato
nei confronti del personale della Polizia di Stato, emerge, peraltro, dalle risultanze dell’Atto di sindacato ispettivo
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n. 3-01954 formulato dai Senatori Bruno Marton, Vincenzo Santangelo e Vito Claudio Crimi del M5S,
la cui “risposta” è stata fornita il 16 settembre 2015 dal Sottosegretario di Stato al Ministero della Difesa Gioacchino
Alfano, che di seguito si riportano integralmente.
Legislatura 17 Atto di Sindacato Ispettivo n° 3-01954
Atto n. 3-01954 (in Commissione)
Pubblicato il 3 giugno 2015, nella seduta n. 458
Svolto nella seduta n. 145 della 4ª Commissione (16/09/2015)
MARTON , SANTANGELO , CRIMI - Al Ministro della difesa. Premesso che:
il decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, recante "Testo unico delle disposizioni legislative in materia
di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000,
n. 53", all'articolo 39 (Riposi giornalieri della madre) ha disposto: "1. Il datore di lavoro deve consentire
alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili
durante la giornata. Il riposo è uno solo quando l'orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore.
2. I periodi di riposo di cui al comma 1 hanno la durata di un'ora ciascuno e sono considerati ore lavorative
agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro. Essi comportano il diritto della donna ad uscire dall'azienda.
3. I periodi di riposo sono di mezz'ora ciascuno quando la lavoratrice fruisca dell'asilo nido o di altra struttura
idonea, istituiti dal datore di lavoro nell'unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa», mentre all'articolo 40
(riposi giornalieri del padre) ha disposto: «I periodi di riposo di cui all'articolo 39 sono riconosciuti al padre
lavoratore: a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre; b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente
che non se ne avvalga; c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente; d) in caso di morte o di grave
infermità della madre";
il Ministero della difesa, Direzione generale per il personale militare, tramite circolare, prot. n. M_D GMIL 0080676
del 12 febbraio 2015, ha trasmesso il "Compendio delle disposizioni in materia di tutela della maternità e paternità
e congedi per eventi e cause particolari" che, al paragrafo 7 (Riposi orari giornalieri dei genitori) dispone:
"mentre il diritto della madre è sempre invocabile dalla stessa, il militare padre può fruire del beneficio in argomento
nei seguenti casi: qualora il bambino sia affidato al solo padre; in alternativa alla madre lavoratrice dipendente
che non si avvalga di tale diritto; qualora la madre non sia lavoratrice dipendente (e, cioè, quando la madre
sia una lavoratrice ma non abbia la qualifica di dipendente, vale a dire sia una lavoratrice autonoma,
libera professionista, ecc..); in caso di morte o di grave infermità della madre";
il Consiglio di Stato, sezione terza, nella sentenza n. 4618/2014 del 19 giugno 2014, ritiene "non equivoca
la formulazione letterale della norma, secondo la quale il beneficio spetta al padre, "nel caso in cui la madre
non sia lavoratrice dipendente". Tale formulazione, secondo il significato proprio delle parole, include tutte
le ipotesi di inesistenza di un rapporto di lavoro dipendente: dunque quella della donna che svolga attività
lavorativa autonoma, ma anche quella di una donna che non svolga alcuna attività lavorativa o comunque
svolga un'attività non retribuita da terzi (se a quest'ultimo caso si vuol ricondurre la figura della casalinga),
si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo ritenga urgente intervenire presso la Direzione generale del personale
militare per rendere effettiva l'applicazione del principio disposto dalla norma citata alla lettera c), nonché affermato
anche dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato
Legislatura 17ª 4ª Commissione permanente Resoconto sommario n. 145 del 16/09/2015
Il sottosegretario ALFANO risponde all'interrogazione n. 301954, a firma del senatore Marton ed altri, e relativa
alle disposizioni in materia di congedi parentali per il personale militare, rilevando che la Direzione generale
per il personale militare, a conclusione di approfondite valutazioni (a seguito di sollecitazioni del vertice politico),
ha impartito, il 22 luglio 2015, le direttive per rendere effettiva anche l'applicazione del principio espresso
dall'articolo 40, comma 1, lettera c) del decreto legislativo n. 151 del 2001.
In tal senso, conformemente all'orientamento consolidato nella giurisprudenza, il diritto ai riposi giornalieri
compete al militare padre anche in tutte le ipotesi di inesistenza di un rapporto di lavoro dipendente
in capo alla madre: quindi non solo nel caso della madre che svolga attività lavorativa autonoma,
ma anche in quello della madre che non svolga alcuna attività lavorativa o che, comunque, svolga un'attività
non retribuita da terzi (come il caso della casalinga).
Ciò premesso, osserva che, per una migliore comprensione della questione, può essere utile richiamare
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quanto prescritto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (recante il Testo unico delle disposizioni legislative
in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità), il quale garantisce le lavoratrici madri durante
il primo anno di vita del bambino (articolo 39), e riconosce diritti in capo al padre lavoratore in quattro casi
(articolo 40): quando i figli sono affidati al solo padre; quando la madre lavoratrice dipendente non si avvale
dei riposi; nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente e nel caso di morte o di grave infermità
della madre.
Nel dettaglio, in relazione alla terza ipotesi richiamata dal citato articolo 40, la circolare oggetto dell'interrogazione
aveva specificato che il militare padre potesse usufruire del riposo giornaliero qualora la madre non fosse lavoratrice
dipendente (cioè quando la madre risultasse lavoratrice ma non avesse la qualifica di dipendente, vale a dire fosse
una lavoratrice autonoma, libera professionista). Il predetto atto, inoltre, aggiungeva esplicitamente che il diritto
non competeva al militare padre nel caso in cui la madre non svolgesse alcuna attività lavorativa.
Sulla materia, nel tempo, sono peraltro intervenute alcune decisioni del Consiglio di Stato, a partire dalla
n. 4293 del 6 giugno 2008, nella quale l'organo di giustizia amministrativa si era espresso favorevolmente
sull'ammissibilità del riposo giornaliero del padre lavoratore nell'ipotesi in cui la madre fosse casalinga.
Inoltre con altra decisione (n. 4618 del 19 giugno 2014), la terza sezione del Consiglio di Stato
aveva confermato quanto enunciato nella sentenza del 2008, precisando, inoltre, che la formulazione letterale
della norma era sufficientemente chiara includendo tutte le ipotesi di inesistenza di un rapporto di lavoro
dipendente.
Sulla base di quanto espresso nelle decisioni citate risulta pertanto possibile affermare che la posizione
assunta dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale circa la fruizione dei permessi del padre nel caso
in cui la madre non sia lavoratrice dipendente sia consolidata stabilendo, quindi, per assimilazione
a tale categoria, anche la lavoratrice casalinga.
Di diverso avviso quanto espresso in sede consultiva dal medesimo Consiglio di Stato nel parere della Sezione I,
n. 2732 del 2009 richiamato, tra l'altro, anche nella sopra citata decisione n. 4618 del 2014. Tale parere
(secondo cui la ratio dell'istituto è quella di attendere a tutti i compiti connessi con l'assistenza del bambino
nel primo anno di vita, con il centro dell'attenzione della tutela legislativa attestata, quindi, sul minore)
aveva infatti suggerito che non potesse essere compresa tra le attività lavorative autonome anche quella
della casalinga, atteso che proprio la casalinga dedica il suo impegno alle cure della vita familiare.
L'oratore rileva infine che sulla materia è di recente intervenuto anche il decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 80
recante misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro (in attuazione dell'articolo 1, commi 8
e 9, della legge 10 dicembre 2014, n. 183).
Tale provvedimento è stato concepito con una logica di tipo espansivo verso il sostegno alla genitorialità
e la conciliazione tra tempi di vita e di lavoro e, pur non incidendo direttamente sull'istituto del riposo giornaliero,
disciplina in senso migliorativo numerosi altri istituti quali, tra gli altri, il congedo obbligatorio (esteso al caso
di parto prematuro) e la corresponsione dell'indennità di maternità (estesa al padre libero professionista,
in alternativa alla madre e alle libere professioniste anche nel caso di adozione o affidamento di minore che abbia
superato i sei anni di età).
Quindi, i permessi orari c.d. per “allattamento” statuiti dall’art. 40 del decreto legislativo 151
del 26 marzo 2001 possono essere fruiti anche dai lavoratori-padri anche nel caso in cui la madre non sia lavoratrice
dipendente …. anche nel caso in cui la madre sia lavoratrice casalinga.
Lo afferma la legge, lo ha confermato il Consiglio di Stato per ben due volte (decisioni n. 4293 del 6 giugno
2008 e n. 4618 del 19 giugno 2014), lo ha precisato il Governo (Sottosegretario di Stato al Ministero della Difesa
Gioacchino Alfano) nell’ambito di una risposta ad interrogazione parlamentare.
Quanto sopra vale per tutti i lavoratori, compresi i militari … tranne che per i Poliziotti!
Le SS.LL. sono pregate di porvi immediato e definitivo rimedio.
Siamo veramente stanchi, difatti, di avere a che fare con un Dipartimento della P.S. che da una parte chiede
sempre maggiore abnegazione ai propri uomini e dall’altra si adopera per negare loro quei diritti che lo Stato
ha preteso e legiferato a favore di tutti i cittadini!
In attesa di cortese urgente riscontro si inviano cordiali saluti.
Il Segretario Generale
Franco Maccari
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Prot. 90/10 S.N.
Roma, 24 gennaio 2010
Preg.mo On. Roberto Maroni
Ministro dell’Interno
Preg.mo On. Angelino Alfano
Ministro della Giustizia
Preg.mo On. Mara Carfagna
Ministro per le Pari opportunità
Preg.mo On. Maurizio Sacconi
Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali
Preg.mo On. Renato Brunetta
Ministro per la Pubblica Amm.ne e l’Innovazione
Preg.mo Signor Capo della Polizia
Direttore Generale della P.S.
Prefetto Antonio Manganelli
e, per conoscenza,
A tutto il personale della Polizia di Stato
OGGETTO: Il Consiglio di Stato … una fonte autorevole; le sentenze del Consiglio di
Stato … un importante orientamento giurisprudenziale.
Quando però vengono statuiti “diritti” dei poliziotti improvvisamente il
Consiglio di Stato e le sue sentenze non hanno più la medesima valenza ed
autorevolezza!
Ma quei diritti negati vengono negati a tutto il pubblico impiego o solamente
ai poliziotti?
Gent.mi Signori Ministri e Signor Capo della Polizia,
nella nostra veste di poliziotti operiamo giornalmente per far rispettare a tutti le leggi dello
Stato.
Non ci viene riconosciuto di certo un adeguato compenso economico, ma è il lavoro che
amiamo, e che “spesso” mettiamo avanti anche alla nostra famiglia … di certo “sempre” ai
nostri interessi personali.
Non riusciremo mai a capacitarci, però, del perché nonostante il nostro costante impegno
a favore degli altri, anche a costo della nostra stessa vita, siamo poi sovente oggetto di stupide
prese di posizioni, di invettive e gratuite offese da parte di chi pur dovrebbe stare dalla nostra
Allegato 1
parte ed adoperarsi affinché possiamo ancor meglio svolgere i nostri compiti e farlo con la
necessaria tranquillità , né riusciamo a capacitarci del perché costantemente i “diritti” di tutti i
cittadini non lo sono quasi mai per noi, così come i “diritti” dei figli di chiunque non lo sono
mai per i nostri figli.
E queste continue “prepotenze”, adesso, incominciano a farci seriamente spazientire.
Vi invitiamo quindi, ognuno per quanto di propria competenza, a valutare le questioni
che appresso specificate e ad intervenire con cortese sollecitudine per porvi rimedio.
Indennità di trasferimento
L’articolo 1 della legge 29 marzo 2001, n. 86 stabilisce che al personale della Polizia di
Stato, delle altre Forze di Polizia e delle Forze Armate, “trasferito d’autorità ad altra sede di
servizio sita in un comune diverso da quello di provenienza, compete una indennità mensile
pari a trenta diarie di missione in misura intera per i primi dodici mesi di permanenza ed in
misura ridotta del 30 per cento per i secondi dodici mesi”.
Precedentemente sulla questione vigeva l’art. 1 della legge 10 marzo 1987, n 100, il
quale affermava che “al personale delle Forze Armate, dell'Arma dei Carabinieri e della
Guardia di Finanza, trasferito d'autorità prima di aver trascorso quattro anni di permanenza
nella sede, spetta il trattamento economico previsto dall'articolo 13 della legge 2 aprile 1979,
n. 97, come sostituito dall'articolo 6 della legge 19 febbraio 1981, n. 27”.
La legge 29 marzo 2001, n. 86, aveva apportato delle migliorie alla materia
dell’indennità di trasferimento, non prevedendo più il minimo di 4 anni di permanenza nella
sede per poter beneficiare della stessa, né riportando più il trattamento economico a quanto
previsto dall’art. 13 legge 97/1979, ma specificando che esso corrisponda all’indennità di
missione, indennità che per il personale in argomento è indicata nei contratti collettivi di
lavoro.
Ebbene, nonostante la chiarezza della “nuova” norma, a molti dipendenti della Polizia di
Stato sono stati negati i suddetti benefici economici, in quanto si è ritenuto erroneamente non
applicarsi la norma de quo con l’asserito rilievo che la distanza intercorrente tra le due sedi
(quella d’origine e quella di destinazione) sarebbe inferiore ai 10 km.
In buona sostanza l’Amministrazione della P.S. ha dedotto che, anche sotto la vigenza
dell’art. 1 legge n. 86/2001, il beneficio dell’indennità per il trasferimento di sede rimane
subordinato alla sussistenza del presupposto della distanza di almeno 10 km tra le sedi, così
come chiarito dalla giurisprudenza nella vigenza dell’art. 1 della l. 10 marzo 1987, n 100.
Secondo l’orientamento giurisprudenziale formatosi sotto la vigenza dell’art. 1 legge 10
marzo 1987, n 100, difatti, l'indennità di trasferimento ex art. 1 legge 10 marzo 1987 n. 100
era subordinata allo stesso regime giuridico dell'indennità di missione, compresa la distanza
chilometrica minima di 10 chilometri tra la nuova e la precedente sede di servizio.
La legge 29 marzo 2001, n. 86 (disposizioni in materia di personale delle Forze armate e
delle Forze di polizia) è però subentrata quale nuova fonte regolatrice dell’istituto ed il
legislatore ha sostituito, quale presupposto della fattispecie legale produttiva del beneficio
economico, il limite del 10 km, il solo dato dello spostamento da un comune ad un altro.
Nell’art. 1 della legge 86/2001, difatti, non esiste più alcun richiamo all’art. 13 della legge 97
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Allegato 1
del 1979 ed il riferimento alla indennità di missione è chiaramente limitato alla funzione di
offrire un parametro per la determinazione del quantum.
Che si tratti di una nuova fonte che sostituisce del tutto la precedente disciplina
dell’istituto e non di una novella che integra i presupposti della legge 100 del 1987 (che
dovrebbero, a questa stregua, ritenersi ancora vigenti), è reso oltremodo evidente dal fatto che
le predette disposizioni si applicano a tutti i trasferimenti effettuati a decorrere dal 1° gennaio
2001 mentre espressamente l’operatività della legge 10 marzo 1987 n. 100 è stata circoscritta
ai soli trasferimenti effettuati entro il 31 dicembre 2000 (cfr. art. 13 legge n.86/2001).
Il personale delle Forze di Polizia e delle Forze Armate avrebbe quindi avuto diritto
all’indennità di trasferimento anche in caso di spostamento di sede a distanza inferiore a 10
chilometri, e di tal parere sono state, tra le tante, le sentenze del T.A.R. Sicilia n. 577/08 e del
T.A.R. Lombardia-Milano, Sez. III, n. 2869/08, sennonché la Direzione Centrale per le
Risorse Umane del Dipartimento della P.S., chiamata in causa a seguito di una vertenza
aperta da questo Sindacato di Polizia COISP, in merito alla richiesta di pagamento della sopra
citata indennità, ha richiamato una sentenza del Consiglio di Stato del 30 luglio 1999,
interpretativa del previgente art. 1 della legge n. 100 del 10 marzo 1987, disponendo che i
poliziotti non avevano diritto all’indennità statuita dalla nuova normativa (art. 1 legge
86/2001).
Ebbene, a parte l’originalità di richiamare un orientamento giurisprudenziale su una
norma non più vigente per stabilire l’interpretazione di una nuova e diversa norma, ciò che qui
interessa ancor più – oltre alla definitiva chiarificazione sulla spettanza o meno della citata
indennità prevista dalla legge 86/01 nel caso di spostamento di sede entro i 10 km – è il fatto
che la citata Direzione Centrale per le Risorse Umane, nel fare riferimento alla sentenza del
Consiglio di Stato, parla espressamente di “importante orientamento giurisprudenziale” e di
“autorevolezza della fonte (che) non può che imporre l’obbligo” per tutti di rispettarla,
mentre a distanza di poco tempo la medesima Direzione Centrale del Dipartimento della
P.S., trovandosi a dover riconoscere ai poliziotti un diritto sentenziato sempre dal Consiglio di
Stato, fornisce un’opinione di tale Alto Consesso totalmente difforme dal precedente.
Improvvisamente le sentenze del Consiglio di Stato non sono più un “importante
orientamento giurisprudenziale” e non si parla più di “autorevolezza della fonte (che) non
può che imporre l’obbligo” per tutti.
Quando il Consiglio di Stato statuisce un diritto per i poliziotti la sentenza di tale
Consesso non vale più nulla!!
Art. 40, lett. c) del DLgs n. 151/2001 – T.u. maternità/paternità: diritto del padre ai
riposi giornalieri in caso di madre casalinga.
Con nota del 17 dicembre 2009 recante prot. n. 333.A/9807.F.6.1/9865-2009 ed oggetto
“Riposi giornalieri del padre di cui all’art. 40 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151”,
il Prefetto CECERE PALAZZO, Direttore della Direzione Centrale per le Risorse Umane
del Dipartimento della P.S., ha rappresentato ai Questori della Repubblica quanto segue:
Sono pervenuti a questa Direzione Centrale numerosi quesiti a seguito della
decisione n. 4293 del 9 settembre 2008, emessa dalla Sezione VI del Consiglio di Stato, con
la quale è stata affermata la possibilità per un dipendente di fruire dei riposi orari, c.d. per
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“allattamento”, di cui all’art. 41 del D.Lgs. 151/2001, pur essendo la consorte del
richiedente casalinga.
Al riguardo, al fine di risolvere i dubbi interpretativi suscitati, in merito alla
citata disposizione, dalla pronuncia suddetta, la questione è stata sottoposta all’esame della
Commissione Speciale Pubblico Impiego del Consiglio di Stato, allo scopo di acquisirne il
parere.
La Sezione Prima di detto Alto Consesso, nell’adunanza del 23 settembre 2009,
alla luce della ricostruzione storica dell’istituto del riposo giornaliero, è pervenuta a
conclusioni diverse rispetto all’assunto del giudice di appello.
In considerazione dell’interesse di tale pronuncia si trasmette, in allegato, copia
del predetto parere, al fine di consentire agli uffici che amministrano il personale la corretta
applicazione dell’istituto in oggetto.
In buona sostanza, la citata Direzione Centrale mentre prima, quando il Consiglio di
Stato sentenziava a sfavore dei poliziotti, anche se per diversa disciplina, determinandone
l’insussistenza della pretesa ad ottenere l’indennità di trasferimento nel caso di
movimentazioni in sede distanti meno di 10 km, parlava di “importante orientamento
giurisprudenziale” e di “autorevolezza della fonte (che) non può che imporre l’obbligo”,
adesso che il Consiglio di Stato ha sentenziato (decisione n. 4293 del 9 settembre 2008) a
favore anche del personale della Polizia di Stato, tale sentenza suscita dubbi interpretativi e
necessita di un “Parere” dello stesso Consiglio di Stato il quale – guarda caso – si esprime
negativamente per i poliziotti e platealmente in maniera opposta a quanto precedentemente
espresso dallo stesso Consiglio di Stato!!!
Beh, ma è possibile che le “sentenze” del Consiglio di Stato siano degne di
attenzione e d’obbligo per tutti solamente se fottono i poliziotti, mentre se sono a loro
favore non valgono un accidenti ed ha anzi più valore un semplice “parere”??
Ed è possibile che la Direzione Centrale per le Risorse Umane del Dipartimento
della P.S. si impegni in maniera così spudorata per negare ai poliziotti, alle loro famiglie
ed ai loro figli quanto invece ai normali cittadini è pienamente riconosciuto??
Noi questo gioco delle tre carte non lo tolleriamo più!
Non ci sta bene essere mal pagati e continuamente offesi, ma le prese in giro ci
fanno letteralmente andare su tutte le furie.
Ci venga detto, una volta per tutte, che non valiamo un accidenti. Sapremo come
ringraziare!
In attesa di cortese urgente riscontro, l’occasione è gradita per inviare i più Cordiali
Saluti.
Il Segretario Generale
Franco Maccari
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Segreteria Nazionale
Allegato 2
Via Farini, 62 - 00186 Roma
Tel. +39 06 48903773 - 48903734
Fax: +39 06 62276535
[email protected]
www.coisp.it
COISP · COORDINAMENTO PER L’INDIPENDENZA SINDACALE DELLE FORZE DI POLIZIA
Prot. 167/12 S.N.
Roma, 21 febbraio 2012
Preg.mo Signor Ministro dell’Interno
Dott.ssa Annamaria Cancellieri
Preg.mo Signor Ministro della Giustizia
Avv. Prof. Paola Severino Di Benedetto
Preg.mo Signor Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali
Prof. Elsa Fornero
Preg.mo Signor Capo della Polizia
Direttore Generale della Pubblica Sicurezza
Prefetto Antonio Manganelli
e, per conoscenza,
A tutto il personale della Polizia di Stato
OGGETTO: Art. 40, lett. c) del D.Lgs. n. 151/2001 - Diritto del padre ai riposi
giornalieri in caso di madre casalinga – Una norma che vale per tutti
tranne che per i padri-poliziotti!
Gent.mi Signori Ministri e Signor Capo della Polizia,
con lettera del 24 gennaio 2010 questa Organizzazione Sindacale chiese un intervento
finalizzato a porre fine alla negazione nei riguardi dei poliziotti di taluni diritti che
invece, in questo Stato, sono riconosciuti valevoli per i restanti lavoratori.
In particolare la nostra attenzione era rivolta all’art. 40, lett. c) del D.Lgs.
n. 151/2001 e specificatamente sul diritto del padre a fruire dei riposi giornalieri
(c.d. allattamento) nel caso in cui la moglie e madre del bambino sia casalinga.
Avevamo rappresentato, a tal riguardo, che il Direttore Centrale per le Risorse
Umane del Dipartimento della P.S., con nota del 17 dicembre 2009 recante prot.
n. 333.A/9807.F.6.1/9865-2009 ed avente ad oggetto “Riposi giornalieri del padre di cui
all’art. 40 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151”, aveva rappresentato ai
Questori della Repubblica quanto segue:
Sono pervenuti a questa Direzione Centrale numerosi quesiti a seguito della
decisione n. 4293 del 9 settembre 2008, emessa dalla Sezione VI del Consiglio di Stato,
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con la quale è stata affermata la possibilità per un dipendente di fruire dei riposi orari,
c.d. per “allattamento”, di cui all’art. 41 del D.Lgs. 151/2001, pur essendo la consorte
del richiedente casalinga.
Al riguardo, al fine di risolvere i dubbi interpretativi suscitati, in merito alla
citata disposizione, dalla pronuncia suddetta, la questione è stata sottoposta all’esame
della Commissione Speciale Pubblico Impiego del Consiglio di Stato, allo scopo di
acquisirne il parere.
La Sezione Prima di detto Alto Consesso, nell’adunanza del 23 settembre
2009, alla luce della ricostruzione storica dell’istituto del riposo giornaliero,
è pervenuta a conclusioni diverse rispetto all’assunto del giudice di appello.
In considerazione dell’interesse di tale pronuncia si trasmette, in allegato,
copia del predetto parere, al fine di consentire agli uffici che amministrano il
personale la corretta applicazione dell’istituto in oggetto.
In buona sostanza, quella Direzione Centrale aveva ritenuto di poter decidere che
avesse maggior valore un “parere” del Consiglio di Stato che era sfavorevole nei
confronti dei poliziotti, piuttosto che una “sentenza” dello stesso Alto Consesso che
aveva deciso di riconoscere anche al padre-poliziotto il diritto ai riposi giornalieri
previsti dall’art. 40, lett. c) del D.Lgs. n. 151/2001 nel caso in cui la moglie fosse
casalinga.
Per essere ancora più diretti, secondo la Direzione Centrale per le Risorse Umane
del Dipartimento della P.S. i padri-poliziotti non valgono un accidenti ed i loro figli
ancora meno.
Non è così però per il restante pubblico impiego ed a ribadirlo è stato l’INPDAP
con la nota operativa n. 23 del 13/10/2011 (successiva al parere del Consiglio di Stato
del 23 settembre 2009 di cui si avvale il Dipartimento della P.S. per negare ai poliziotti,
per l’ennesima volta, un loro diritto), inviata “Ai Direttori delle Sedi Provinciali e
Territoriali e, per il loro tramite, a tutte le Amministrazione iscritte” … tra le quali,
a guardare lo statino paga dei poliziotti, rientra, eppure, anche l’Amministrazione della
Pubblica Sicurezza.
L’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica,
difatti, puntualizza che
Con sentenza n. 4293 del 9 settembre 2008, il Consiglio di Stato ha, tuttavia, dedotto in
via estensiva che la 'ratio' della norma, "rivolta a dare sostegno alla famiglia ed alla
maternità in attuazione delle finalità generali scolpite dall'articolo 31 della
Costituzione", induce a ritenere ammissibile la fruizione dei riposi giornalieri da parte
del padre, oltre che nell'ipotesi di madre lavoratrice autonoma, anche nel caso di
madre casalinga. In buona sostanza, la madre casalinga impegnata in attività che la
distolgono dalla cura del neonato deve essere considerata, secondo l'alto parere, alla
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stessa stregua della lavoratrice non dipendente cui la norma fa esplicito richiamo.
Sulla questione, più recentemente, è intervenuto anche il Ministero del Lavoro, della
Salute e delle Politiche Sociali, con lettera circolare n. 8494 del 12 maggio 2009, che,
nell'intento di fare definitiva chiarezza, sulla base del consolidato indirizzo che mira a
garantire alla/al lavoratrice/lavoratore la cura del neonato in tutte le ipotesi in cui
l'altro genitore sia impegnato in attività lavorative che lo distolgono dall'assolvimento
di tale compito, si è espresso in senso favorevole al riconoscimento "de quo",
richiamando il già citato orientamento giurisdizionale del Consiglio di Stato nonché la
sentenza della Corte di Cassazione n. 20324 del 20 ottobre 2005.
Atteso quanto sopra, a riscontro delle numerose richieste di chiarimento pervenute da
parte delle Amministrazioni ed Enti iscritti e nell'ambito dell'analisi del più ampio
istituto della maternità e dei relativi riflessi contributivi, si fa presente che
l'interpretazione estensiva scaturente dagli indirizzi giurisprudenziali citati consente di
riconoscere al lavoratore padre il diritto a fruire dei permessi previsti dall'articolo 40,
lettera c), del D.Lgs. n. 151/2001, anche nell'ipotesi in cui la madre svolga lavoro
casalingo.
ed analogamente avviene per i restanti lavoratori d’Italia, atteso che anche l’INPS
(Istituto Nazionale Previdenza Sociale), con circolare n. 118 del 25 novembre 2009 ha
ribadito il diritto del padre ai permessi di allattamento nel caso di madre casalinga, così
come in precedenza aveva puntualizzato lo stesso Ministero del Lavoro, con lettera
circolare C/2009 del 16 novembre 2009.
A tutti i lavoratori-padri viene quindi riconosciuto il citato diritto ai permessi
mensili (c.d. allattamento) anche nel caso in cui la moglie-madre sia casalinga, tranne
che ai padri-poliziotti.
Può mai essere tollerata una tale vergognosa ed incomprensibile restrizione?
Ebbene, è di questi giorni, peraltro, una sentenza del Tribunale di Venezia che ha
dichiarato la natura discriminatoria della negazione del diritto a fruire dei citati riposi
giornalieri ad un dipendente del Ministero dell’Interno la cui moglie è casalinga.
In ragione di tale sentenza, adesso, il Ministero dovrà corrispondere la somma di
€ 9.750 a titolo di risarcimento per i giorni di permesso non concessi.
Non è forse più che opportuno, quindi, Preg.mi Signori Ministri e Signor Capo della
Polizia, puntualizzare che i diritti di tutti i lavoratori-padri valgono anche per i poliziottipadri, così come i diritti dei figli di tutti i lavoratori italiani hanno valore anche per i figli
dei poliziotti, piuttosto che costringere questi ultimi, nel tempo, ad imparare ad odiare il
lavoro del proprio padre??
In attesa di cortese riscontro, l’occasione è gradita per inviare i più Cordiali Saluti.
Il Segretario Generale
Franco Maccari
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