VENT`ANNI DI CARTA DELL`AUTONOMIA
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VENT`ANNI DI CARTA DELL`AUTONOMIA
Anno LV - n. 21 nuova serie - dicembre 2008 Rivista dell'Aiccre, Associazione italiana per il Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa VENT'ANNI DI CARTA DELL'AUTONOMIA LOCALE • Intervista al Presidente del Comitato delle Regioni a cura di Fabio Roccuzzo pag. LE RAGIONI DEL FEDERALISMO EUROPEO • Dal quartiere alla Regione per una Comunità europea federale di Gabriele Panizzi • Il federalismo tra Europa e Regioni di Nevio Puntin • Tra federalismo integrale e istituzionale di Giulia Devani pag. 9 pag. 15 pag. 29 SOCIETÀ DELL'INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE • Eisco 2008: 17 paesi europei convergono sull'Agenda digitale locale di Javier Ossandon • Eisco 2008: l'innovazione riparte dal Sud di Lucia Corrias • Manifesto dell'Agenda digitale locale pag. 33 pag. 37 pag. 40 NELL'ANNIVERSARIO DEL '68 • Il decennio che ha cambiato il volto del '900 di Filippo Bettini • Dialogo tra un padre e un figlio di Fabrizio Andreoli pag. 43 pag. 46 CONTRIBUTI E OPINIONI • Azione pubblica territoriale: verso una nuova cultura dell'energia di Mariacristina Spinosa • Verso un'euroregione speciale di Angelo Viscovich • Immigrati e clandestini, allarghiamo lo sguardo di Mario Pavone • Sicurezza e cooperazione alla pace di Simona Patacca pag. pag. pag. pag. DOCUMENTI • Carta europea dell'autonomia locale • La riforma delle autonomie regionali e locali • Il Comitato delle Regioni pag. 78 pag. 84 pag. 90 3 48 52 56 66 Comuni d’Europa Rivista dell’Aiccre, Associazione italiana per il Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa Presidente Mercedes Bresso Vicepresidenti: Fabio Pellegrini (vicario), Giuseppe Castiglione, Candido De Angelis, Gina Fasan, Giovanni Orsenigo, Franco Punzi, Rosa Rinaldi Segretario generale: Roberto Di Giovan Paolo Segretario generale aggiunto: Michele Scandroglio Direzione e redazione a cura della struttura stampa Aiccre: Mario Marsala, Pino D’Andrea, Lucia Corrias, Anna Pennestri Piazza Fontana di Trevi, 86 - 00187 Roma tel. 06.69940461 - fax 06.6793275 - www.aiccre.it - [email protected] Registrato al Tribunale di Roma n. 4696 dell’11-6-1955 Direttore politico: Fabio Roccuzzo Direttore Responsabile: Giuseppe Viola L’Aiccre edita Comuni d’Europa, EuropaRegioni “on line” e dossier “cartaceo”, la newsletter settimanale on line e il suo sito www.aiccre.it. 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Tale diritto è esercitato dai Consigli e dalle Assemblee costituite da membri eletti a suffragio libero, segreto, paritario, diretto ed universale, in grado di disporre di organi esecutivi responsabili nei loro confronti”. Il primo settembre del 1988 entrava in vigore la Carta europea dell’autonomia locale. Sono passati venti anni da allora. Il contributo che i poteri locali hanno dato alla costruzione dell’Europa è stato rilevante e continuerà ad esserlo. L’idea di un’Europa federale, solidale e multiculturale diventa sempre più densa di contenuti. Le autonomie locali sono il luogo fisico all’interno del quale le aspirazioni multiculturali e federaliste trovano un’anima. Il lavoro dell’Aiccre è soprattutto questo. Praticare, diffondere, divulgare la cultura europea. I venti anni che ci lasciamo alle spalle ci consegnano un documento di straordinaria attualità sul quale è utile riflettere e far riflettere. Fabio Roccuzzo Direttore Politico di Comuni d’Europa delle Regioni, quale ruolo ritiene abbiano giocato i poteri locali nella costruzione dell’Europa politica? Credo fermamente che la democrazia locale sia il cuore del processo di integrazione europea. Adesso, poiché celebriamo il 20° anniversario dello Statuto Europeo delle Autonomie Locali, è il momento opportuno per riflettere sul ruolo significativo delle autorità locali. Il primo settembre del 1988 entrava in vigore la Carta Europea dell’autonomia locale. Non si trattò di un mero riconoscimento del ruolo e delle funzioni dei poteri locali, piuttosto si affermava per la prima volta il principio per il quale la democrazia locale diventava elemento costitutivo della idea stessa di democrazia. In venti anni, 43 dei 47 stati membri del Consiglio d’Europa hanno ratificato la Carta. Da un osservatorio privilegiato qual’è la Presidenza del Comitato n. 21 • dicembre 2008 3 EDITORIALE Da 20 anni di attività dello Statuto Europeo, noi riconosciamo il valore sostanziale della democrazia tra la popolazione e il contributo essenziale che producono le autorità locali e regionali, specialmente durante il rapido processo della globalizzazione. La storia d’Europa, il nostro senso di cittadinanza e le nostre radici culturali, tutto questo ci riporta alla immagine delle nostre comunità, ai loro campanili e alle piazze, ai palazzi e alle caratteristiche locali, dove vengono prese le decisioni per il bene della comunità. E in molti casi questi edifici vengono ancora utilizzati per lo stesso scopo. Questo vuol dire che i valori che stiamo celebrando sono fortemente radicati nelle nostre società e continuano a scandire il nostro futuro collettivo. Lei ha menzionato il concetto di potere. Si, io credo che alle nostre spalle ci sia un solido e sostanziale potere, nonostante i valori che noi rappresentiamo siano condivisi e pienamente riconosciuti dal popolo. La Democrazia Europea è costruita su valori, principi e responsabilità condivise, caratterizzati dalla diversità delle nostre regioni e cittadinanze. Poiché il mondo cambia noi siamo costretti a considerare i cambiamenti globali a seguito di un significativo impatto con il livello locale. L’Europa e le sue istituzioni devono essere “un luogo sia di democrazia che di azione” dove possiamo trovare soluzioni comuni. Perché ciò possa accadere, le autorità locali e regionali, in cooperazione con importanti partners quali il Comitato delle Regioni, sono chiamati a dare un forte contributo. L’Europa, quale luogo di democrazia, sostiene una sorta di doppio dialogo tra Bruxelles e le regioni. L’Europa è un luogo di azioni perché molti dei programmi europei e le iniziative messe in campo devono avere un effetto tangibile sul territorio. Personalmente sostengo la valorizzazione del rapporto tra le autorità locali e regionali in Europa. Dobbiamo adesso andare avanti. Realizzare e assicurare un governo Multilevel-governance nel nostro continente è il nostro ultimo obiettivo. Il CDR elaborerà nel 2009 il suo “White Paper” sulla Multi-Level-Governance con lo scopo di contribuire al dibattito generale per migliorare il governo dei nostri cittadini. La Carta Europea dell’autonomia locale, sancisce, per la prima volta nella storia, “il principio di sussidiarietà” e afferma nel suo preambolo che “la difesa e il rafforzamento dell’autonomia locale nei paesi europei rappresenta un importante contributo alla edificazione di un’Europa fondata sui principi della democrazia e del decentramento del potere”. Il Comitato delle Regioni, con i suoi 344 membri espressione di enti municipali, provinciali e regionali di tutti gli Stati europei, rappresenta il luogo ideale nel quale trovare una sintesi in grado di valorizzare ed esaltare il ruolo dei poteri locali. Quale e quanto spazio hanno trovato nella legislazione dell’Unione Europea le istanze rappresentate alla Commissione Europea dal Comitato delle Regioni? Il Comitato delle Regioni è particolarmente attento al principio di sussidiarietà e di proporzionalità. Noi crediamo che il principio di sussidiarietà, concettua4 Comuni d’Europa Luogo di democrazia e di azione lizzato, interpretato e rivisto in diverse occasioni, e riconosciuto come un principio giuridico e costituzionale, deve essere portato a un punto essenziale: il processo decisionale e politico non è più di esclusiva competenza di un solo livello di governo in Europa. Ecco perché sono favorevole a un’”Europa con le Regioni, le Città e le autorità locali”, piuttosto che un’”Europa delle Regioni”. Questo è anche il motivo per cui, in termini concreti, abbiamo istituito una rete di monitoraggio della sussidiarietà che consente al Comitato di consultare circa 100 camere legislative regionali su questioni chiave prima di produrre il nostro parere alla Commissione Europea, al Parlamento e al Consiglio. Siamo fermamente convinti che la MultiLevel Governance e la cooperazione interistituzionale siano indispensabili per portare avanti il progetto europeo. Il Comitato ha molte idee da realizzare per questo progetto e noi continuiamo a fare progressi rafforzando le nostre relazioni con le assemblee nazionali legislative. Se guardiamo i risultati già ottenuti, abbiamo fatto proposte concrete al legislatore europeo, e l’ingresso di un organismo consultivo come il Comitato si è rivelato prezioso per la legislazione finale. Il Comitato ha ispirato approcci alternativi e innovativi. La creazione del Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale (GECT) da parte dell’Unione Europea ne è solo un esempio. Su questo argomento abbiamo chiaramente agito come una vera e propria assemblea politica, prendendo iniziative politiche e chiedendo la creazione di questo essenziale strun. 21 • dicembre 2008 mento giuridico per la cooperazione oltre frontiera tra autorità locali e regionali. La principale “mission” del Comitato delle Regioni è garantire che le rappresentanze locali e regionali abbiano un ruolo nel processo decisionale dell’Unione Europea e che siano rispettate le identità e le prerogative locali e regionali. Dal 1992, anno di costituzione del Cdr, ad oggi, sono trascorsi 16 anni. Quali sono gli obiettivi raggiunti e quali i punti di debolezza? Nel 2009, il Comitato delle Regioni celebra il suo quindicesimo compleanno. La prima sessione plenaria del CdR si è tenuta nel marzo 1994. Siamo molto fortunati ad avere ancora dopo quindici anni entusiasmo e unità. Quando rivedo le richieste politiche che abbiamo formulato nel 1994, posso dire che oggi il Comitato delle Regioni ha raggiunto i suoi obiettivi essenziali. Siamo diventati una istituzione politica degli eletti rappresentanti locali e regionali . Abbiamo ottenuto un notevole ampliamento dei nostri diritti sulla consultazione obbligatoria che riguarda tutti i settori importanti per le autorità locali e regionali. Abbiamo rafforzato il nostro ruolo politico nella prima fase delle procedure decisionali dell’Unione europea, fornendo alla nostra istituzione strumenti per plasmare il futuro della legislazione europea. Abbiamo avuto la possibilità di consigliare il Parlamento Europeo e con il Trattato di Lisbona il Parlamento sarà addirittura obbligato a consultarci ogni volta che la Commissione ha qualcosa da trattare. E il Trattato di Lisbona ci darà il diritto di intervenire anticipatamente davanti alla Corte di Giustizia, quando pensiamo che le altre istituzioni non abbiano rispettato le 5 EDITORIALE nostre prerogative istituzionali. Tale diritto, che purtroppo non è ancora dato direttamente alle Regioni con poteri legislativi, conferisce al Comitato un ruolo speciale, in relazione al controllo e all’applicazione della sussidiarietà nell’Unione europea di atti legislativi e di un rapporto speciale con i parlamenti nazionali e regionali coinvolti nel controllo. Le regioni oltre frontiera, di montagna e periferiche, sono espressamente citate nel Trattato di Lisbona, laddove si conferma che la politica regionale europea e il suo futuro sviluppo hanno bisogno di una forte dimensione territoriale. Il Comitato ha lottato per il concetto della cosiddetta “coesione territoriale”, che sarà sancito nel Trattato accanto alla coesione economica e sociale. Questi sono i principali risultati raggiunti, ma naturalmente siamo riusciti in molti casi ad influenzare il processo legislativo dell’Unione Europea attraverso le nostre opinioni e le nostre relazioni. Il nostro compleanno è sì un momento di celebrazione, ma è anche un momento di riflessione. E’ l’occasione ideale per elaborare la nostra “mission”. Chi siamo? Che cosa vogliamo ottenere? Qual’è la nostra visione di base e come la realizziamo? Stiamo attualmente conducendo un approfondito e ampio dibattito in seno al Comitato, basato sull’analisi dei nostri punti di forza e debolezza, sulle nostre opportunità, sui limiti della nostra azione e sul modo con cui vengono percepiti da tutto il mondo. Ritengo che il nostro sviluppo futuro dipenderà dal modo in cui saremo in grado di sfruttare la nostra unica esperienza locale e regionale all’in- terno del quadro istituzionale dell’UE, al fine di influenzare il processo decisionale. La sfida della “strategia di Lisbona”, ovvero il programma di riforme economiche su cui si innesta la nuova politica europea, deve trovare applicazione anche in sede periferica, allo scopo di rendere più competitive le realtà locali e regionali. Quale ruolo propositivo può svolgere in tal senso il Comitato delle Regioni? Di fatto, la strategia di Lisbona, al momento del suo rinnovo nel 2005, non è stata adeguatamente supportata da risorse di sostegno a livello locale. Abbiamo subito notato questa lacuna e abbiamo lavorato direttamente con la Commissione Europea e il Consiglio Europeo e sin da allora il Comitato delle Regioni è stato profondamente coinvolto nella valutazione sui progressi della strategia di Lisbona. Al Comitato è stato chiesto dal Consiglio Europeo di riferire ad ogni Consiglio di primavera i progressi compiuti nel coinvolgere gli enti locali e regionali per l’attuazione della strategia di Lisbona. Per preparare questa relazione, il Comitato delle Regioni e la Presidenza UE organizzano ogni anno un cosiddetto Dialogo Territoriale per la crescita e il lavoro coinvolgendo la Commissione Europea, gli Stati membri e le associazioni locali e regionali. Abbiamo fortemente sostenuto la partecipazione attiva degli enti locali e regionali in tutte le fasi della strategia di Lisbona, dalle idee alla realizzazione. In realtà, impegnandosi direttamente con i partners locali e regionali, è l’unico modo per procedere. Nell’Unione Europea a 27, oltre il 60% degli investimenti pubblici proviene da 6 Comuni d’Europa Luogo di democrazia e di azione enti locali e regionali. Tali enti svolgono un ruolo essenziale nella realizzazione sul terreno di servizi per l’impiego e l’istruzione, fornendo gli investimenti per affrontare il cambiamento climatico. Le autorità locali e regionali sono gli attori fondamentali nel sostenere l’innovazione di cluster locali di piccole e medie imprese (PMI), e nel promuovere la ricerca e lo sviluppo. Al Comitato delle regioni, noi sosteniamo questa politica per la crescita e l’occupazione. Abbiamo istituito una specifica piattaforma di monitoraggio di Lisbona, composta da circa 120 autorità locali e regionali. La piattaforma di monitoraggio di Lisbona ci permette di sfruttare le politiche territoriali in materia di occupazione, innovazione, energia, istruzione, ecc., per portare avanti questo progetto a livello europeo, facilitando direttamente le collaborazioni con le altre istituzioni dell’UE. Come potete vedere, il CdR svolge un ruolo molto attivo nel rinnovamento del processo di Lisbona. e proprio partner per questa importante iniziativa dell’Unione Europea. Come Sindaci o Presidenti di Regioni, tutti i miei colleghi presso il CdR comprendono pienamente l’importanza di un ricco e rispettoso dialogo tra culture diverse. In Europa abbiamo regioni e città dove persone con differenti lingue e culture hanno vissuto insieme per lungo tempo e hanno trovato un modo per investire nel loro comune futuro. Dobbiamo assicurare che la diversità culturale si trasformi in una risorsa per la nostra società e che le autorità regionali e locali svolgano un ruolo importante in tutto questo. Ecco perché nel corso della prossima sessione plenaria organizzeremo un forum sul dialogo interculturale con la collaborazione della Presidenza francese dell’UE. In diversi gruppi di lavoro verranno affrontati diversi temi, sulle attività di autorità regionali e locali che hanno trovato soluzioni sul dialogo interculturale in tutta Europa. Varie regioni potranno condividere le loro migliori pratiche nel settore. Su richiesta della Presidenza francese dell’Unione europea, i membri del CdR inoltre rivedranno le loro opinioni sulle politiche di integrazione e il dialogo interculturale, con un rapporto preparato dal signor Milan Belica, Presidente della Regione autonoma di Nitra, Slovacchia. La sua presentazione sarà un’occasione per ascoltare le opinioni delle autorità locali e regionali su questa cruciale questione. L’Europa ha dato, in generale, un contributo molto positivo a questa reciproca comprensione. Il rispetto della lingua e della diversità culturale è sancita nei Il Comitato delle Regioni è un luogo multiculturale per eccellenza. Al suo interno si intrecciano culture diverse espressione di tutte le componenti geografiche del continente europeo. Un’Europa che metta al primo punto della propria agenda politica la multiculturalità, attraverso il rispetto reciproco senza sopraffazione alcuna, rappresenta per il resto del mondo un modello virtuoso da emulare. Quanta strada rimane da compiere su questo terreno? Quest’ anno, il 2008, si celebra l’Anno del Dialogo Interculturale. Per la sua natura e per gli obiettivi politici, il Comitato delle Regioni è un vero n. 21 • dicembre 2008 7 EDITORIALE sono essenziali per approfondire la politica dei confinanti e le relazioni esterne, con l’obiettivo di migliorare la cooperazione con i nostri vicini più prossimi e i partners globali. Le nostre città e le regioni stanno diventando sempre più integrate e culturalmente diverse, con persone provenienti da tutto il mondo, lavorando ed imparando insieme. In tutta Europa, le autorità locali e regionali stanno sviluppando progetti di successo per consentire una migliore integrazione e comprensione delle diverse culture. Dobbiamo approfondire lo scambio di esperienze e trovare progetti che sostengono i nostri obiettivi, che a mio avviso sono fondamentali per la qualità della vita delle nostre comunità locali. trattati ed è una pratica comune della vita delle istituzioni. Inoltre, programmi concreti sui mezzi di informazione culturali ed educativi hanno aiutato i cittadini europei a capire meglio il valore aggiunto della nostra diversità. Voglio citare, come esempio, il programma Erasmus, che ha creato una solida base per le nostre giovani generazioni, cosi da essere ben preparati a vivere in un ambiente culturale diverso e per conoscere e condividere i reciproci valori. Chiaramente abbiamo bisogno di ulteriori passi avanti e di ampliare lo scopo delle nostre azioni, al fine di evitare che il dialogo interculturale diventi il privilegio di un numero limitato di cittadini, mentre recinzioni e incomprensioni potrebbero minacciare la nostra diffusa coesione sociale. A tale riguardo, gli sforzi dell’Europa Grazie 8 Comuni d’Europa LE RAGIONI DEL FEDERALISMO EUROPEO Dal quartiere alla Regione per una Comunità europea federale di Gabriele Panizzi Membro della Direzione nazionale dell'Aiccre, Segretario generale della Federazione Lazio dell'Associazione Anche in virtù di recenti avvenimenti, Adriano Olivetti, Umberto Serafini ed Altiero Spinelli, con le loro teorie e le loro battaglie, costituiscono riferimenti importanti per rilanciare la costruzione di una Comunità sopranazionale europea federale fondata sul sistema dei poteri locali e regionali re indietro di venti anni, all’autunno del 1988, alla vigilia, quindi, delle elezioni del Parlamento europeo del 1989, quelle che, in Italia, si svolsero contestualmente al referendum per “il conferimento di un mandato costituente al Parlamento europeo che sarà eletto nel 1989”, indetto con la legge costituzionale 3 aprile 1989, n. 2. Come era sua tradizione, l’AICCRE elaborò tempestivamente (rispetto alle scadenze politiche sia nazionali sia europee) un documento politico per concorrere ad evitare “ripiegamenti puramente nazionali nel dibattito sulle autonomie locali e regionali”, nel convincimento che “i nuovi traguardi (quelli delle elezioni europee costituenti e la scadenza fissata dal Trattato di Maastricht al 1992 per il completamento del grande mercato unico europeo) accentueranno il confronto tra i Paesi (e le rispettive società) della Comunità… e ogni disfunzione nel sistema degli Enti locali e delle Regioni in Italia renderà precario questo confronto: ma ancor più che il confronto, il progresso delle autonomie in Italia richiama il fatto che esso sarà condizionato dal e condizionerà il progresso federativo dell’intera Comunità, e il suo avvio all’autentica Unione politica Il Governo nazionale ha varato, il 3 ottobre 2008, il disegno di legge che dispone l’“attuazione dell’art. 119 della Costituzione: delega al Governo in materia di federalismo fiscale”, apportando al testo sottoposto alla Conferenza delle Regioni il precedente 1° ottobre alcune modifiche concernenti, in particolare, la situazione di Roma Capitale, per quanto attiene sia il suo ruolo istituzionale sia il finanziamento di attività inerenti, appunto, il ruolo di Capitale. L’itinerario parlamentare del disegno di legge governativo dovrebbe essere, nelle dichiarate intenzioni del Governo, rapido: entro i primi mesi del prossimo 2009, che è anche l’anno delle elezioni del Parlamento europeo (forse, in Italia, attraverso una nuova legge elettorale della quale, molto genericamente, si discute). Questa coincidenza ci consente di tornan. 21 • dicembre 2008 9 LE RAGIONI DEL FEDERALISMO EUROPEO sopranazionale, il suo sviluppo, la sua democrazia” (dal documento del Consiglio nazionale AICCRE dell’11 ottobre 1988, pubblicato su “Comuni d’Europa”, dicembre 1988). Nel numero di ottobre 1988 di “Comuni d’Europa” (in apertura un articolo del Segretario dell’AICCRE, Gianfranco Martini, dal titolo “Il fronte europeo delle autonomie per la Costituente europea. Non c’è Europa delle Regioni se non c’è Federazione europea”) erano stati riportati documenti del Parlamento europeo relativi alla “questione regionale” in Europa (il progetto di risoluzione del PE e la “Carta comunitaria della regionalizzazione”) ed interventi sulla regionalizzazione in Europa di Presidenti ed autorevoli rappresentanti di Regioni italiane (Toscana, Lazio, Lombardia, Sicilia) e di altri Paesi (Belgio, Francia, Germania Federale, Gran Bretagna, Portogallo, Spagna). “Dal quartiere alla regione per una Comunità europea federale” era il sottotitolo di “Comuni d’Europa”, a significare, in maniera immediata, gli obiettivi dell’azione politica da sviluppare organicamente a tutti i livelli istituzionali per il conseguimento di una autentica democrazia federale: così come indicato nel citato documento del Consiglio nazionale AICCRE dell’ottobre di venti anni fa, dal titolo “la riforma delle autonomie regionali e locali nel quadro europeo e nella prospettiva del ‘92”. Non è questa la sede per una disamina del disegno di legge del Governo all’inizio ricordato. Tuttavia, con riferimento al carattere di organicità che si può rilevare nel documento del CN AICCRE citato, si deve osservare che, nel disegno di legge, la questione delle risorse finanziarie (il federalismo fiscale), affrontata per attuare l’articolo 119 della Costituzione della Repubblica (vi fu inserito con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 “Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione”), è affrontata senza riferimento alcuno alla questione istituzionale, da trattare contestualmente ai livelli locale/ regionale e nazionale/europeo. Per quanto attiene i livelli istituzionali compresi nell’ambito regionale, il disegno di legge governativo inquadra la complessa problematica del federalismo fiscale nell’assetto stabilito dal nuovo (legge costituzionale 3/2001) articolo 114 della Costituzione medesima (“La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione. Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento.”). Ciò è formalmente corretto, ma restano irrisolti i problemi relativi alla situazione che di fatto caratterizza il complesso dei molteplici soggetti istituzionali ed operativi che compongono il sistema (ma tale non è) dei poteri locali e regionali. Il buon esito della introduzione del federalismo fiscale dipende anche dall’assetto istituzionale dell’insieme dei poteri locali e regionali. Le dinamiche economiche ed i conseguenti processi di trasformazione dell’ambiente e del territorio e la mutata 10 Comuni d’Europa Dal quartiere alla Regione per una Comunità europea federale composizione anagrafica, etnica e sociale della popolazione provocano la esigenza di nuovi servizi pubblici (per l’educazione e la formazione professionale, per la tutela della salute e la cura dei cittadini, per la sicurezza della persona, per l’approvvigionamento idrico, la depurazione e lo smaltimento dei liquami, per la raccolta, il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti solidi, per la produzione, la distribuzione ed il risparmio della energia, per la mobilità delle persone e delle merci, per la salvaguardia e la fruizione dei beni culturali ed ambientali...), alla quale le istituzioni devono dare risposte adeguate per evitare il disordine sul territorio ed il degrado dell’ambiente, comportamenti dei cittadini prevalentemente orientati alla difesa di interessi particolari e peggiorate relazioni sociali caratterizzate anche dalla presenza di forme di ricatto e di condizionamento della libertà personale. Le istituzioni, quindi, devono saper organizzare sul territorio il proprio apparato amministrativo, perseguendo obbiettivi di efficienza, efficacia ed economicità dell’intervento pubblico, da una parte; dall’altra, possono avvalersi, per la gestione dei servizi, dell’apporto di organizzazioni private, avendo stabilito chiare regole di esercizio e significative forme di controllo circa le modalità di erogazione dei servizi medesimi ed il raggiungimento delle finalità stabilite nei protocolli di affidamento della gestione degli stessi. La struttura operativa, viceversa, si è andata complicando a causa delle difficoltà che i soggetti istituzionali territoriali previsti nell’articolo 114 della Costituzione repubblicana (Comuni, Province e n. 21 • dicembre 2008 Regioni) hanno incontrato per rispondere alle dinamiche ed alle relative conseguenze accennate. Detti soggetti, sotto la spinta di esigenze settoriali, hanno dato vita ad un apparato parallelo di organismi amministrativi che avrebbero dovuto assicurare la gestione di servizi fondamentali. La conseguenza è stata la crescita complessiva dell’apparato e dei costi della pubblica amministrazione, non di rado con la complicazione delle procedure e l’accrescimento della fatica e del costo per il cittadino comune di venire a capo dei problemi che insorgono nelle relazioni con i pubblici uffici. La legge 8 giugno 1990, n. 142 cercò di stabilire ordine tra i soggetti istituzionali territoriali, definendone alcune competenze ed indicando forme e modi per l’esercizio delle relative funzioni. La situazione, tuttavia, è peggiorata anche a causa dei ritardi o dell’assenza della necessaria normativa (legislativa ed amministrativa) regionale. Alcuni ulteriori tentativi di mettere ordine nel complesso dei soggetti che, per competenza o per attribuzione di funzioni, dovrebbero assicurare servizi efficienti, efficaci ed economici al cittadini, e di semplificare le relative procedure, attraverso la legge 15 marzo 1997, n. 59 ed il successivo decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, non hanno conseguito risultati positivi. Si continua a discutere, in verità in maniera estemporanea, epissodica e strumentale, sull’abolizione di qualche ente (ora le Province, ora le Comunità Montane, ad esempio), evitando di affrontare la que11 LE RAGIONI DEL FEDERALISMO EUROPEO stione della semplificazione istituzionale ed operativa in maniera complessiva ed organica (con riferimento all’insieme dell’ordinamento amministrativo regionale: dal Quartiere alla Regione). Occorre definire il ruolo dei soggetti istituzionali costituzionali nella consapevolezza delle interdipendenze delle azioni amministrative ai diversi livelli e, quindi, sottolineare la importanza di un ente intermedio unico fra Regione e Comuni, capace di assolvere a quelle funzioni di area vasta che non sono fronteggiabili da parte dei Comuni piccoli e medi (si legga, nel documento CN AICCRE il paragrafo su “Province ed aree metropolitane”). Non è nell’interesse generale delle comunità locali che su uno stesso territorio operino settorialmente diversi soggetti, ciascuno con propri riferimenti e strumenti, peraltro, senza coordinamento alcuno. Questo è vero sia per i soggetti istituzionali sia per quelli operativi. Per questi ultimi, in particolare, occorre evitarne la esplosione a tutti i livelli con confusione, attraverso società miste, fra il pubblico ed il privato: il soggetto istituzionale formuli programmi, detti indirizzi, effettui controlli; il privato, se del caso, faccia l’imprenditore alle condizioni dettate dal soggetto istituzionale. Le Regioni devono assumere coraggiose iniziative per costruire un vero e proprio sistema dei poteri locali e regionali fondato su chiare competenze di ciascuno e relative funzioni, anche al fine di attuare il principio di sussidiarietà chiaramente enunciato nell’articolo 118 della Costituzione (anch’esso inseritovi con la legge costituzionale 3/2001). Il Consiglio delle Autonomie Locali di cui all’ultimo comma dell’articolo 123 (nuovo) della Costituzione, ancorché organo di sola consultazione fra Regione ed Enti locali, deve essere l’organo regionale ove si progetta il sistema dei poteri locali e regionali che consenta una efficace ed equilibrata attuazione del federalismo fiscale su scala regionale. E veniamo al livello nazionale/europeo, per nulla considerato nel disegno di legge governativo sul federalismo fiscale. Anche in tal caso è utile rileggere il documento del 1988 del CN AICCRE al paragrafo “istituzioni e risorse finanziarie: una interdipendenza da non dimenticare”. “Problemi istituzionali e finanziari sono indissolubilmente legati… nel contesto europeo, ove una autonomia impositiva, accanto ad una finanza di trasferimento, caratterizza la stragrande maggioranza delle esperienze. Poiché fa parte degli obiettivi irrinunciabili di uno Stato moderno e democratico che i cittadini godano degli stessi servizi… ne deriva che il sistema della finanza locale non può che essere un sistema misto, composto da trasferimenti e da autonomia impositiva sostenuta da adeguate forme di perequazione (che nella Germania federale è sia verticale - dal Bund e dai Laender sino alle autonomie di base - e sia orizzontale – tra Enti omologhi)... La gestione della finanza pubblica deve essere unitaria… Ma come ottenere questa unità, senza cadere in un nuovo centralismo? La risposta a questo interrogativo non può che essere istituzionale: occorre inserire, nelle procedure di approvazione dei bilanci (e non solo di quelli), un 12 Comuni d’Europa Dal quartiere alla Regione per una Comunità europea federale momento non tanto di confronto quanto di codecisione in un organo politico, rappresentativo delle Regioni e delle autonomie. In tutti gli Stati federali esiste un ramo del Parlamento - il Bundesrat della Repubblica federale di Germania - che rappresenta appunto gli enti sub-federali. Occorre che su questa strada si ponga anche il nostro Paese, modificando la base elettorale del Senato e affidando ad esso, tra l’altro, compiti specifici nella ‘contrattazione’ relativa alla distribuzione delle risorse tra centro e periferia e tra i diversi livelli istituzionali, fermo restando l’attribuzione al governo della definizione dello ‘spendibile’ globale”. Il disegno di legge governativo ipotizza, per affrontare le questioni di cui alla lunga citazione sopra riportata, una Commissione paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale ed una Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica: la strada maestra del Senato delle Regioni e dei poteri locali non viene presa in considerazione, in attesa che venga formulata una proposta ad hoc (e speriamo sia diversa da quella centralistica già bocciata dai cittadini nell’ultimo referendum costituzionale). Problema analogo si pone a livello europeo, con riferimento alla trasformazione del Consiglio europeo (i rappresentanti dei Governi) in un Senato degli Stati, sull’esempio della esperienza federale degli Stati Uniti d’America. Se fosse stato già istituito a seguito di una Costituzione europea che non c’è (il Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, nella speranza che possa entrare in vigore prima delle elezioni del Parlamento euron. 21 • dicembre 2008 peo del prossimo anno, non risponde a tal fine), forse non assisteremmo alle riunioni estemporanee di direttori europei autoreferenti che nulla possono decidere in nome e per conto dei Paesi della Unione europea esclusi, forse dando luogo, viceversa, al rafforzamento delle esistenti tendenze nazionalistiche. Un assetto istituzionale federale della Unione europea potrebbe consentire di affrontare con maggiore attenzione allo ”sviluppo economico equilibrato di tutto il territorio della Comunità” sia il problema della finanza locale sia quello “dell’accesso diretto o indiretto al mercato comunitario dei capitali” da parte di Regioni ed Enti locali. In attesa di tale assetto, il Comitato delle Regioni, istituito dal Trattato di Maastricht (17 febbraio 1992) potrebbe conquistare un ruolo anche per detti aspetti. Il documento del Consiglio Nazionale AICCRE riportato in questo numero di “Comuni d’Europa” costituisce un importante punto di riferimento dell’azione che, in questa fase, deve essere condotta da Regioni, Province e Comuni per concorrere alla formulazione di provvedimenti normativi che affrontino con la necessaria organicità le complesse problematiche istituzionali, finanziarie, economiche e gestionali di fronte alle quali le comunità locali si trovano. E’ necessario un unico quadro di riferimento nel quale collocare i provvedimenti di competenza dello Stato e delle Regioni (quelli legislativi e di indirizzo) che dovranno seguire percorsi impegnativi, presumibilmente non brevi, rispettosi delle prerogative degli organi costituzio13 LE RAGIONI DEL FEDERALISMO EUROPEO sistema dei poteri locali e regionali deve porre crescente attenzione a che cosa avviene nella Unione europea (che potrebbe avere la dimensione per esercitare un ruolo planetario importante). Le elaborazioni sul federalismo di tre grandi del passato stimolano ad approfondire quanto sopra siamo andati dicendo (dal quartiere alla regione per una Comunità europea federale). Il Movimento Comunità di Adriano Olivetti (1901-1960), le battaglie per la costruzione di una Comunità sopranazionale europea federale di Altiero Spinelli (1907-1986) e quelle di Umberto Serafini (1916-2005) per una federazione europea fondata sul sistema dei poteri locali e regionali, costituiscono riferimenti interdipendenti per riprendere con vigore una battaglia democratica che abbia la necessaria dimensione (quella europea, come presupposto di quella planetaria) per poter fronteggiare e governare i processi locali che caratterizzano ineluttabilmente l’epoca che stiamo vivendo. Ne vale la pena! nali, e che quindi non potranno essere definiti contemporaneamente. Regioni, Province e Comuni possono concorrere a facilitare l’arduo compito attraverso l’assunzione di precise responsabilità nella riconsiderazione dell’assetto dell’attuale ordinamento amministrativo, mirando, da una parte, alla costruzione di un autentico sistema dei poteri locali e regionali basato sui principi costituzionali di autonomia di ciascun soggetto e di sussidiarietà (lo possono fare, con la legislazione vigente!); dall’altra, proprio in quanto avrebbero adempiuto ad un loro dovere, potrebbero essere più ascoltati dal Parlamento al fine di dar luogo, finalmente, ad un Senato che non sia la fotocopia della Camera dei Deputati (per quanto attiene le competenze), ma un organo di uno Stato federale ove Regioni e poteri locali possano partecipare alla formulazione di quei provvedimenti che interessano immediatamente la vita delle comunità locali: il Senato federale. Inoltre, poiché, come è stato accennato, in un pianeta ove la interdipendenza dei processi richiede unitarietà di governo, il 14 Comuni d’Europa LE RAGIONI DEL FEDERALISMO EUROPEO Il federalismo tra Europa e Regioni di Lodovico Nevio Puntin Segretario generale della Federazione AICCRE Friuli Venezia Giulia Questa relazione si propone di favorire un contributo al dibattito politico in atto sulle grandi questioni che investono le prospettive dell’Europa, del paese e di questa regione - tenendo conto che soci istituzionali dell’AICCRE sono gran parte dei Comuni e delle Province del FVG, una Comunità montana e la Regione stessa. Si tratta di: mantenere l’autonomia e la conseguente specialità per la regione Friuli VG, in base al dettato costituzionale. Le ragioni della nostra autonomia e specialità oggi sono più che mai da valorizzare e non solo difendere, considerato il valore culturale del riconoscimento di regione plurilingue in base alle leggi del Parlamento nazionale; • sull’Euroregione: sostenere il lavoro che il presidente Tondo è intenzionato a realizzare in campo europeo e nazionale (in quest’ultimo caso per favorire il varo del previsto provvedimento che aiuti in Italia l’attuazione del Regolamento comunitario istitutivo del GECT); • rilanciare gli obiettivi del movimento federalista europeo in relazione alla politica di integrazione UE, nell’ambito dei Trattati di Lisbona - Trattati Il Consiglio Direttivo della Federazione regionale del Friuli Venezia Giulia dell’AICCRE (Associazione italiana per il Consiglio dei Comuni, Province e Regioni d’Europa) ha deciso di indire un Convegno pubblico a carattere regionale, in accordo con i vertici nazionali dell’Associazione. L’iniziativa si colloca in una fase politico-amministrativa di notevole movimento: • perché ci sono le elezioni europee della prossima primavera; • per la dinamicità delle proposte e del confronto in atto a livello nazionale, per le scelte da compiersi sul federalismo fiscale e sulle riforme istituzionali; • per le questioni presenti sulla scena regionale del Friuli Venezia Giulia, in quanto si configurano con caratteristiche di peso nazionale ed internazionale, partendo dal presupposto che il nostro orizzonte non può prescindere dalle novità che dovranno scaturire da Roma in relazione al GECT (Gruppo europeo di cooperazione territoriale), strumento politico-giuridico necessario per far decollare l’Euroregione. n. 21 • dicembre 2008 15 LE RAGIONI DEL FEDERALISMO EUROPEO quei paesi l’uso dei fondi comunitari europei sia stato decisivo per il recupero del loro svantaggio, mentre in Italia questa partita non abbia sortito i risultati che pur sarebbero stati possibili. Il 15 aprile 2008 il Consiglio dell’Unione Europea ha diffuso su internet i testi della versione consolidata dei due trattati firmati a Lisbona il 13 dicembre 2007: • il trattato sull’Unione europea (costituito da 55 articoli); • il trattato sul funzionamento dell’Unione europea (costituito da 358 articoli). Seguono poi altre 210 pagine tra protocolli, dichiarazioni e tavole sinottiche di raccordo tra i vari trattati. L’azione politica e di sensibilizzazione della Federazione regionale AICCRE del Friuli Venezia Giulia sui due trattati di Lisbona si è tradotta in diverse iniziative, consapevoli dell’importanza fortissima che i 27 paesi dell’UE provvedessero alla ratifica, dopo l’esito del trattato che adottava la costituzione europea, firmato a Roma nel 2005, ma liquidato dai referendum negativi di Francia e Olanda. Mentre il referendum dell’Irlanda bocciava i trattati di Lisbona, l’AICCRE – in collaborazione con la Direzione Centrale per le Relazioni Internazionali della Regione Friuli VG – realizzava iniziative con i propri associati e convegni e seminari, soprattutto nell’ambito delle scuole superiori impegnate in programmi formativi europei, e provvedeva a pubblicare e divulgare centinaia di copie dei due trattati di Lisbona (volme di 478 pagine). per noi insufficienti ma dai quali non si può prescindere per il governo dell’UE a 27 paesi – che considerano importante il rilancio della politica di cooperazione nelle regioni transfrontaliere e transnazionali, pre condizione per consolidare il processo di pace nei Balcani e scongiurare il rischio di esplosione del conflitto nel Caucaso; • ribadire che i contenuti del federalismo fiscale e delle riforme istituzionali vanno intesi come processo di riconoscimento e trasferimento di funzioni e relative risorse finanziarie dall’alto verso il basso in aderenza al principio di sussidiarietà, con nuovi ruoli alle regioni ed al sistema delle autonomie locali in materia fiscale in attuazione dell’art. 119 del Titolo V^ della Costituzione, novellato nell’anno 2001, nel contesto della più generale riforma istituzionale federale che preveda l’istituzione a livello europeo del Senato delle Regioni e delle città ed in Italia il superamento del bicameralismo perfetto con l’istituzione del Senato delle Regioni e delle autonomie locali (come ripropone il nostro Segretario generale Sen. Roberto Di Giovan Paolo). Trattati di Lisbona Riforma bicameralismo Il Ministro Calderoli, nella relazione che precede l’articolato sulla Legge delega relativa al federalismo fiscale in attuazione all’art. 119 della Costituzione, datata 3.9.08 e presentata informalmente il giorno dopo all’ANCI e all’UPI, lancia uno sguardo alle esperienze irlandese, spagnola e tedesca e lamenta come in 16 Comuni d’Europa Il federalismo tra Europa e Regioni dall’impasse che si è venuto a determinare. In effetti è possibile, anche se non sicuro, che si trovi il modo per giungere a un nuovo pronunciamento popolare in Irlanda, tale da salvare il completamento del processo di ratifica del Trattato di Lisbona. Non possiamo tuttavia negare il danno di immagine già provocato dal no – sia pure di un piccolo paese – col quale si è bloccato e posta in forse l’attuazione di importanti, innovative scelte istituzionali da tempo considerate necessarie e pazientemente concordate. Il danno reale è certamente il ritardo che ne è derivato: insieme col rischio di una perdita di credibilità dell’Unione, della sua capacità di decidere, di cambiare se stessa, di consolidare e sviluppare nel futuro il suo ruolo. Credo che abbiano ragione quanti contestano ogni facile pessimismo ed esprimono fiducia nella forza di cui dispone l’Unione per andare oltre momenti di crisi anche grave. E’ vero, il processo di integrazione – a quasi 60 anni dagli inizi – ha messo radici così profonde da apparire o poter essere giudicato irreversibile. E tuttavia non possiamo sottovalutare i punti deboli, le fragilità, i nodi che restano da sciogliere. Può avere futuro l’Unione Europea se il dissenso che si registra anche in uno solo dei suoi Stati membri determina una pesante battuta di arresto, suscita il timore di una paralisi?Si può invece mettere in discussione la regola dell’unanimità anche nei campi in cui è rimasta un tabù: a cominciare da quello della definizione e ratifica di nuovi Trattati? Si può prospettare una integrazione differenziata, innanzittutto sperimentando cooperazioni rafforzate tra i paesi che vogliono e possono procedere più speditamente? Interrogativi, lo sappiamo, tutt’altro che nuovi, e sempre elusi, ma che la forza testarda dei fatti risolleva acutamente. Il grande allargamento dell’Unione a Avevo preparato, in termini problematici, la parte di questa relazione, quando ho ascoltato l’intervento del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, reso in video-conferenza con il Workshop Ambrosetti di Villa d’Este il 6.9.08, che in modo asciutto ed efficace meglio di chiunque altro ci richiama a come “dare forza all’Europa”. Ritengo perciò utile e di grande attualità riproporre ampi stralci di questo intervento, rinviando al documento approvato dal Consiglio direttivo dell’AICCRE regionale del 4 luglio 2008 a Pasian di Prato, che trovate stampato nella cartella dei lavori di questo convegno, le considerazioni dell’AICCRE e la proposta di istituire il Senato federale in Italia e, specularmente, il Senato europeo delle regioni e delle comunità locali. Mentre desidero ricordare che l’agenda politica nazionale non potrà ritardare oltre la revisione dei regolamenti parlamentari e la connessa riforma elettorale per il parlamento nazionale, non potendosi limitare solo all’attualità della legge elettorale europea, affrontando quindi il nodo della riforma del bicameralismo. Dare forza all’Europa (G.Napolitano). “(…). Innanzittutto la situazione dell’Unione Europea alla luce del referendum irlandese sul Trattato di Lisbona. Direi che al clamore e all’allarme suscitati dal risultato di quel referendum è seguita una fase di attesa più distaccata. Uno sforzo, quasi, per sdrammatizzare quell’imprevisto e brusco incidente di percorso. E chiaramente si confida – innanzittutto da parte della Presidenza francese – che venga proposta dalle stesse autorità irlandesi, a partire dal prossimo ottobre, una via d’uscita n. 21 • dicembre 2008 17 LE RAGIONI DEL FEDERALISMO EUROPEO atto di scelte quindi meglio ponderate e concertate.(…).” 27 Stati membri ha rappresentato una scelta e un evento di grande significato storico: ma esso davvero richiede che, per preservarne le potenzialità, si escluda ogni differenziazione?(…). Ci si chiede, nel proporre l’Agenda per l’Europa 2009, se l’Unione Europea sia in grado di assolvere efficacemente il suo ruolo rispetto alla competizione globale. Penso che la questione sia riferibile non solo alla performance cui è chiamata l’economia europea ma ad un processo di globalizzazione che esige un balzo in avanti della capacità d’azione politica dell’Unione sul terreno complessivo delle relazioni internazionali. Si discute oggi soprattutto dei temi della competitività, della crescita, della governance finanziaria. Ma sono temi non separabili da quello del livello di coesione e iniziativa politica dell’Unione.(…). Un segnale positivo, dinanzi alla crisi georgiana, è venuto nei giorni scorsi dal Consiglio Europeo: si è riusciti – non dirò miracolosamente, ma al di là di meno rosee realistiche previsioni – ad esprimere una posizione unanime. Ma le tensioni non sono mancate e restano abbastanza visibili, in particolare sul tema di un costruttivo equilibrio tra critica e pressione per il rispetto da parte della Federazione russa di principi e impegni irrinunciabili, e conferma, arricchimento, rilancio della cooperazione tra UE e Russia, così come tra Nato e Russia, a fini di sicurezza comune su scala paneuropea e euroatlantica. E allora non ci si può affidare a un’accorta mediazione in sede di Consiglio Europeo quando scoppi una crisi acuta, ma si deve costruire – questo è il termine appropriato: costruire – una politica estera e di sicurezza davvero comune, sotto la guida – come prevede il Trattato di Lisbona – di un solo responsabile in seno all’Unione e grazie all’apporto di strutture di sostegno per l’analisi, per l’elaborazione e per la messa in Federalismo fiscale specialità regionale Oramai è dal 2001, da quando il Parlamento ha modificato il Titolo V della Costituzione, che si attende l’attuazione del federalismo fiscale. Ovviamente l’attuazione dell’art. 119 della Costituzione non può prescindere da nuove leggi dello Stato e da quelle successive regionali. Una forte accelerazione viene ora: • dalla decisione del Governo Prodi con la finanziaria per il 2008 di ridimensionare del 40% l’incidenza dell’ICI. L’ICI fu introdotta nel 1993 (dopo la sperimentazione dell’ISI nel 1992), a due anni dalla Legge di riforma delle autonomie locali – la legge Gava n. 142 del 1990 – che abolì il Testo unico della legge comunale e provinciale del 1934, riconoscendo autonomia statutaria e organizzativa agli enti locali (ma, purtroppo, non autonomia finanziaria). Nel 1993 gli enti locali sostanzialmente operavano in regime di finanza derivata (con quasi l’80% di trasferimenti da parte dello Stato), disponendo come entrate finanziarie proprie il restante 20%; • dalla decisione del Governo Berlusconi, assunta dopo le elezioni politiche della primavera 2008, che ha modificato la finanziaria predisposta dal Governo Prodi abolendo totalmente l’ICI per la prima casa e prevedendo, per il solo esercizio finanziario 2008, la compensazione del mancato gettito ICI con trasferimenti statali (anche se, 18 Comuni d’Europa Il federalismo tra Europa e Regioni pare, in misura parziale). In questo contesto, prenderemo oggi in considerazione lo schema del Disegno di Legge che il Ministro Roberto Calderoli, versione 3 settembre 2008, sta utilizzando nella fase di consultazione con l’ANCI, l’UPI e la conferenza dei Presidenti delle Regioni, fermo restando che è stato annunciato un calendario che prevede entro settembre 2008: • conclusione della fase di consultazione con i rappresentanti di Regioni e autonomie locali sulla bozza informale “Calderoli”; • esame e approvazione del testo da parte del Consiglio dei Ministri (che può, ovviamente, discostarsi dallo schema Calderoli, oggetto di consultazione con le autonomie locali e già modificato rispetto al testo luglio 2008); • invio del testo alle Camere su iniziativa di Berlusconi assieme ai Ministri Tremonti, Bossi, Calderoli, Maroni e Fitto. Questo cronoprogramma ha avuto una ulteriore brusca “accelerazione politica” e nella seduta del Consiglio dei Ministri n. 16 dell’11.09.2008 il testo proposto dal Ministro Calderoli d’intesa con Fitto, del 03.09.2008, è stato preliminarmente approvato, con ulteriori modifiche (è stata espunta la previsione di “tasse comunali” e delle “accise” sui carburanti per le Province). Ci sarà infine una seduta del Consiglio dei Ministri, dopo la conclusione dell’esame congiunto del testo in sede di Conferenza Stato-Regioni-Autonomie locali. n. 21 • dicembre 2008 Prima però si desidera sollevare i seguenti aspetti: • da tempo, sia i governi nazionali di centro destra, quanto quelli di centro sinistra, soprattutto nei rapporti con le Regioni a Statuto speciale, stanno assumendo un progressivo orientamento di rallentamento del riconoscimento di maggiori spazi di operatività finanziaria o di altre forme di riconoscimento di autonomia su versanti con risvolti patrimoniale. Per la Regione Friuli VG si ricordano: la partita dei trasferimenti sulle pensioni INPS, su cui il Consiglio regionale a luglio ha approvato un ordine del giorno trasversale per sollecitare il governo a completare quanto necessario per dare attuazione agli accordi assunti dal Governo Prodi con il presidente Illy; il congelamento delle trattative sui tetti dei decimi, rispetto a competenze trasferite e a quanto conseguito da altre Regioni a statuto speciale, compreso lo stop sulla materia dei beni culturali e possibili problemi sul fondo della sanità; il blocco dei trasferimenti delle caserme alla Regione e agli enti locali; la concessione di poteri in materia di aree demaniali-golenali interessante sedimi particolarmente estesi lungo le aste dei fiumi regionali. Come spesso ci ricorda il presidente dell’AICCRE Antonio Martini, anche sulla base di una sua diretta esperienza da presidente del Consiglio regionale – coinvolto in più circostanze nei lavori della Commissione paritetica Stato-Regione che lavora sulle Norme di attuazione - e da Presidente della 19 LE RAGIONI DEL FEDERALISMO EUROPEO quinta Commissione permanente del Consiglio regionale, ultimamente si è diffusa la sensazione, negli ambienti romani, che le Regioni a Statuto speciale debbano accontentarsi di quanto già avuto!; • non solo nell’incontro pubblico di Pordenone dello scorso mese di luglio, ma anche con la recente intervista a Repubblica del 6.9.08, il Ministro Brunetta, nell’ambito di una dichiarazione tesa ad escludere la riproposizione dell’ICI (quella tassa non tornerà mai o ci rincorreranno con i forconi n.d.r.) alla domanda: “Conferma che il federalismo metterà in soffitta anche le Regioni a Statuto speciale?”, così risponde: “Oh, yes. Nei modi e nelle forme già indicate dall’amico Calderoli”… e lo stesso Presidente Berlusconi, a Porta a Porta, incalzato da Vespa circa la soppressione di province e regioni a Statuto speciale ha tergiversato dicendo che “… si prenderà in esame la decisione quando l’argomento arriverà sul tavolo di lavoro”. Ma la notizia che proprio oggi giunge da Cortina d’Ampezzo tramite l’On. Isidoro Gottardo circa il ripensamento di Brunetta che, assieme a Frattini, farà quadrato sulla difesa della “specialità” delle Regioni autonome – reimpostando le contrattazioni nel tavolo del federalismo fiscale sulla nuova teoria del “fiscalismo di vantaggio per le imprese delle aree di confine” – non può che essere da noi salutata positivamente! • il Ministro Calderoli, invece, ha affermato che le Regioni a Statuto speciale non si toccano e, in occasione dell’incontro con il Presidente Lombardo della Regione del sud d’Italia, la Sicilia, si è preoccupato di definire, semmai, un percorso di lunga gradualità per l’entrata in vigore del federalismo fiscale, per evitare penalizzazioni a quella Regione Autonoma a Statuto speciale; • il capogruppo in Consiglio Regionale della Lega Nord del Friuli VG, Narduzzi, ha invece rilasciato una dichiarazione in cui manifesta l’opinione che, semmai, anzicchè togliere alle Regioni a Statuto speciale siano le Regioni a statuto ordinario ad avere riconosciuto progressivamente competenze e relative risorse finanziarie come quelle a Statuto speciale. Posizione assolutamente condivisibile e seria; • l’ex Presidente del Consiglio Massimo D’Alema, in una recente dichiarazione pronunciata in Toscana, afferma che il federalismo fiscale proposto da Calderoli tende a premiare le regioni del Nord a discapito delle Regioni meridionali del paese. Occorrerà capire meglio il senso di tale affermazione, sganciandola ovviamente dalla vis polemica in atto prima ancora che il Consiglio dei Ministri abbia formalmente licenziato il Disegno di Legge delega sull’attuazione dell’art. 119 della Costituzione. In questo contesto pare necessario ricordare che la condizione di “specialità”, riconosciuta dalla Costituzione alla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, non deriva solo da ragioni 20 Comuni d’Europa Il federalismo tra Europa e Regioni dall’ambito di intervento, si chiude con le abrogazioni collegate. Si presenta così, racchiusa in 28 pagine, la bozza sul federalismo fiscale che il ministro per la Semplificazione legislativa Roberto Calderoli ha consegnato alle autonomie locali.” I Comuni e le Città metropolitane avranno «un’adeguata autonomia impositiva» sugli immobili «compresa quella sui trasferimenti della proprietà e di altri diritti reali». Viene anche riconosciuta un’adeguata autonomia impositiva alle Province su autoveicoli e accise sulla benzina e sul gasolio. Soddisfatto Calderoli. «Tutti hanno partecipato portando dei contributi, così si costruiscono le cose, soprattutto le riforme». E lo schema di disegno di legge potrebbe andare in Consiglio dei ministri già la prossima settimana. Intanto giovedì prossimo è previsto un incontro tra il ministro Calderoli e il presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani.” L’ANCI e l’UPI considerano l’impianto dello SCHEMA DI DISEGNO DI LEGGE “ATTUAZIONE DELL’ART. 119 DELLA COSTITUZIONE. DELEGA AL GOVERNO IN MATERIA DI FEDERALISMO FISCALE”, illustrato dal Ministro Calderoli, in linea con le precedenti posizioni espresse dal sistema delle autonomie locali, con qualche sottolineatura enfatica da parte dell’UPI in relazione alla possibile previsione di accise sui carburanti a favore delle province. Mentre l’ANCI, sulla nuova tassa sui servizi, visto la dichiarazione del Premier Berlusconi del 7.9.08 che esclude la reintroduzione di una tassa sugli immobili, perché la casa è un bene fondamentale per gli italiani, ancora non è in grado di esprimere una opinione più netta per conto dei Comuni, che imma- di svantaggio strutturale permanenti o quelle nuove derivanti dal 20% di Tasse pagate dalle imprese in Slovenia e 25% in Corinzia, ma anche dalla collocazione geopolitica di questa area nel cuore dell’Europa e dalla presenza culturale di lingue, tra cui quella del friulano. Al Ministro Brunetta, ed a coloro che pensano come lui, bisogna ricordare che le popolazioni del portogruarese o di Sappada ricorrentemente pongono la questione di uscire dal Veneto per far parte del Friuli VG non credo solo per una ragione di “soldi” ma in particolare per una questione di identità culturale e linguistica. Un valore questo che non può essere liquidato e fatto fuori, strumentalizzando l’importante circostanza dell’attuazione costituzionale del più complesso processo di federalismo fiscale previsto dall’art. 119, ma semmai valorizzando in questa occasione l’art. 6 della Costituzione che recita: “La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”. Si potrà dire che questa norma è datata, e quindi chi di dovere potrà adoperarsi per aggiornare quanto c’è ragionevolmente da aggiornare, ma intanto teniamoci la “Costituzione” che è il frutto dell’indimenticabile lavoro svolto dai costituenti, grazie allo spirito unitario uscito dalla Resistenza, 2° risorgimento nazionale! L’AICCRE rileva con favore le prime impressioni positive manifestate dai rappresentanti delle autonomie locali espresse in sede di incontro con il Ministro Calderoli. Da www.sole24ore.com del 5.9.08: “Ventidue articoli divisi in sette capi: si parte n. 21 • dicembre 2008 21 LE RAGIONI DEL FEDERALISMO EUROPEO appena iniziato un lungo “campionato” che si concluderà con l’elaborazione delle singole Leggi delegate (e saranno numerose). Nelle temperie della polemica politica di queste settimane, attorno al nodo ICI no, ma riordino delle tasse esistenti e gravanti direttamente o indirettamente sugli immobili, riducendole per quantità ed impatto, come dice Calderoli (altrimenti è pronto a bruciarsi davanti al Quirinale, se torna l’ICI), su quale tassa discutere (TASSA SUI SERVIZI?) occorrerà necessariamente attendere le proposte ufficiali che il Governo formalizzerà, forse anticipando qualcuna già in sede di collegato alla finanziaria 2009 – posto che il Ministro Tremonti ha anticipato in Giappone che il Disegno di legge sul federalismo fiscale sarà un collegato alla finanziaria di settembre e considerato che la compensazione per l’ICI ad oggi è prevista solo per l’anno 2008. Da considerare con estrema attenzione l’informazione data da Tremonti, sempre in Giappone, circa la necessità che il Paese si doti di una Banca dati, a disposizione di tutti, che consenta di leggere la provenienza del reddito (dove si fa?, dove si produce il reddito, rispetto alla sede legale?). Sull’IVA, IRPEF, IRES, IRAP, accise sui carburanti, addizionali, compartecipazioni, sovrimposte ecc., salvo le elencate gradualità,flessibilità, territorialità, tutto è rinviato ai Decreti legislativi, ed a qualche anticipazione che senz’altro dovrà essere prevista già con la Finanziaria 2009, mancando almeno 2 miliardi di € per chiudere i bilanci 2009 del sistema gino espliciterà nei prossimi giorni. Queste caute posizioni ottimistiche di 8 giorni prima, si sono però subito gelate il giorno 12.09.2008 ed il portale delle autonomie locali non nasconde delusione e preoccupazione circa l’assenza – nel Disegno di legge varato preliminarmente dal CdM n. 16 – sia di una norma che preveda autonome entrate fiscali per i Comuni quanto del passo indietro rispetto alle “accise” per le Province. Insomma la Legge delega svicola sulle nuove entrate e sono assolutamente assenti le cifre. Si deve subito precisare che l’impianto complessivo dello SCHEMA Calderoli è articolato su PRINCIPI E CRITERI DIRETTIVI GENERALI, trattandosi di una Legge delega alla quale dovranno poi seguire numerosi Decreti delegati. Quindi oggi si può ragionare solo su principi e criteri direttivi generali e non su soppressione di tasse, riordino di vecchi tributi e introduzione di nuove imposte. Si dovranno attendere i Decreti legislativi, di attuazione della Legge delega, entro i prossimi 24 mesi (e forse più in là!). Lo stesso impianto era seguito dal Disegno di Legge n. 3100 avente ad oggetto “Delega al Governo in materia di federalismo fiscale”, presentato alla Camera dei Deputati il 29 settembre 2007 da Prodi, assieme a Padoa Schioppa, Lanzilotta, Chiti e Amato, il cui iter è stato interrotto dalle dimissioni del Governo Prodi presentate nel mese di Febbraio 2008. E’ evidente quindi che, con l’avvio della Legge delega sul federalismo fiscale, è 22 Comuni d’Europa Il federalismo tra Europa e Regioni e Pandolfi – si è dovuta prevedere una norma perentoria che impediva il trasferimento della 4^ rata trimestrale dal Ministero dell’Interno ai Comuni meridionali se prima gli stessi inadempienti Comuni non avviavano il recupero della Tarsu. Il Governo Prodi prevedeva una Cabina di regia; Il Ministro Calderoli prevede l’istituzione di una Commissione paritetica, con tutti i rappresentanti istituzionali presenti, e la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica (nell’ambito della Conferenza unificata). Qui ci si ispira alla Spagna ed alla Germania. Lodevoli gli obiettivi prefissati, relativamente al coordinamento e monitoraggio dei risultati in corso d’opera. Forse merita mettere a confronto tre diverse versioni sull’articolo riguardante il Coodinamento della finanza delle regioni a statuto speciale e delle province autonome: • testo Governo Prodi. “Le Regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano concorrono al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà e all’esercizio dei diritti e dei doveri da essi derivanti...”; • testo Ministro Calderoli, luglio 2008. “Le Regioni a statuto speciale prendono parte al sistema di perequazione e di solidarietà...”; • testo Ministro Calderoli in vista della consultazione di ANCI e UPI del 4 settembre 2008: “Le Regioni a statuto speciale dovranno partecipare al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà...”. delle autonomie locali. Su gran parte dei contenuti della Relazione Calderoli, e conseguente articolato, stesura 3.9.2008, non si registrano grosse differenze con l’impianto della Relazione e articolato del Governo Prodi (n. 3100 del 29.9.2007). Emergono con particolare sottolineatura i concetti di responsabilità e di solidarietà. Al concetto che i cittadini vogliono sapere: “che fine fanno i soldi pagati con le tasse”. La risposta responsabile la si trova prevedendo ai livelli più bassi (attuando quindi il principio di sussidiarietà) i centri decisori di spesa. I contribuenti quindi dovrebbero essere favoriti nella possibilità di verificare gli obiettivi raggiunti o meno con i loro soldi, e giudicare con il voto i responsabili di Comuni, Province, Regione o Stato. Interessante anche la novità, prevista nello SCHEMA Calderoli, di poter concorrere alle imposte di imprese con sede legale fuori dalla Regione in cui si è prodotto il reddito. Altra novità è il superamento al riferimento alla spesa storica e l’individuazione dei livelli essenziali (costi standard) per i servizi pubblici. A mio avviso lodevoli obiettivi. Ma non ci si può nascondere che questa sfida è una scommessa per tutti i cui risultati non potranno che essere perseguiti in un tempo lungo, attraverso una accentuata fase transitoria e di gradualità. Basti pensare che la Tarsu (tassa dei rifiuti solidi urbani) è prevista da una legge emanata durante il fascismo dopo il 1940; eppure per farla applicare nei Comuni del sud - ai tempi dei Ministri del Tesoro Goria, Stammati n. 21 • dicembre 2008 23 LE RAGIONI DEL FEDERALISMO EUROPEO attuative e di adeguamento delle Norme di attuazione, scatta il prelievo dagli idrocarburi a favore della Sicilia, così come da percorso già definito nella Legge delega sul federalismo fiscale. Da qui il via libero di Lombardo alla Legge delega. A Udine il Ministro degli Esteri Frattini, in un intervento svolto il 15 scorso, dialoga assieme al presidente Tondo prospettando una “fiscalità vantaggiosa”, mentre ribadisce la riconferma della “specialità” della Regione Friuli VG e la grande opportunità per questa area nella prospettiva dell’Euroregione. Vedremo nei Decreti attuativi e nella trattativa tra Regione FVG e Stato come si tradurrà in concreto questa ipotesi, visto che più di 15 anni di discussioni sull’hoff-shore di Trieste sono fallite e la creazione di zone franche nel Tarvisiano, isontino o altre aree saranno appunto tutte da contrattare ex novo secondo il neologismo “fiscalismo di vantaggio”, teoria mi pare che ricompare in questa fase finale d’estate e rilanciata, sembrerebbe, da una novella della Corte europea di giustizia degli inizi di settembre (cioè un paio di settimane fa!). E’ evidente che la partita politica delle Regioni a Statuto speciale è tutta aperta e senz’altro le 5 Regioni “autonome” previste dalla Costituzione sarà bene che dialoghino, anche all’interno della Conferenza dei presidenti delle Regioni, per conseguire posizioni avanzate e di non smantellamento/arretramento delle ragioni delle proprie identità e specialità. Ho forti dubbi che le 5 regioni a statuto speciale possano reggere l’urto di chi grida alla loro soppressione, se ognuna cerca di costruirsi il proprio “fortino”, marciando in ordine sparso. L’altra mattina, intervistato da Corradino Minneo, Non sembra un banale esercizio di stile, di tecnica legislativa, oppure semplicemente linguistico (qui si tratta di togliere alle Regioni a Statuto speciale, o non riconoscere nuove risorse, per dare alle Regioni a statuto ordinario che dovranno accedere al fondo di perequazione e di solidarietà!): L’espressione “concorrono”, usata dal Governo Prodi, sembra meno vincolistica, una affermazione classica di carattere programmatico e non perentoria. L’espressione “prendono parte al sistema”, usata dal Ministro Calderoli a Luglio 2008, sembra molto cogente, impegnativa, vincolante, perentoria. L’espressione “dovranno partecipare al conseguimento”, su cui sembra ripiegare il Ministro Calderoli nella versione 3 settembre 2008, appare certamente meno vincolante, più rinviata al futuro e forse coerente con la promessa fatta a Lombardo, presidente della Sicilia, circa una lunga fase di transizione e quindi gradualità Il testo approvato preliminarmente lo scorso 11 settembre dal CdM torna all’espressione “concorrono”, originariamente elaborato da Padoa Schioppa e Prodi un anno fa. Meglio così! Peraltro al Governatore della Sicilia il Governo ha prospettato la concessione di imponenti risorse finanziarie con le “accise” sugli olii lavorati dalle 5 – su 6 – raffinerie ivi insediate, a fronte – afferma Lombardo – di nuove competenze: ad esempio, se si prevede di trasferire in capo alla Sicilia la gestione delle Università è chiaro che i professori e tutto il resto verrà pagato dalla regione Sicilia – ha detto Lombardo – e quindi, in sede di Leggi 24 Comuni d’Europa Il federalismo tra Europa e Regioni Lombardo si fermava a citare la Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige, dimenticando il Friuli VG. Spero che il Sen. Saro, artefice anche il nostro Segretario nazionale aggiunto AICCRE On. Michele Scandroglio, già coordinatore di FI in Liguria, sia buon ambasciatore nei confronti di Lombardo visto i suoi trascorsi. nemmeno con le dichiarazioni di buon vicinato e reiterati protocolli tra i leader di Regioni, Lander, Contee e Stati confinanti al Friuli Venezia Giulia. I Programmi di Iniziativa Comunitaria (le varie generazioni Interreg), e tutti gli altri programmi e Obiettivi comunitari approvati con i Regolamenti UE ancora nel luglio 2006 previsti per il periodo 2007-2013, complessivamente gravemente in ritardo nell’emissione dei Bandi, tranne l’Italia-Austria già decollato, mettono a disposizione risorse finanziarie comunitarie e nazionali importanti e, come scrive Calderoli nella Relazione all’articolato sul federalismo fiscale, è necessario rendere strategica la capacità di spesa del sistema enti locali e territorio del Friuli Venezia Giulia. Nel novembre di 30 anni fa una classe politica illuminata, guidata nel Friuli VG da Antonio Comelli, 10 anni dopo la primavera di Praga e 10 anni prima dello smantellamento del Muro di Berlino, ha intuito l’importanza di avviare – attraverso la comunità di lavoro Alpe Adria – dei confronti politici e tavoli di lavoro tecnici tra numerose comunità regionali dell’Italia, dell’Austria, della Baviera in Germania, della Yugoslavia (Slovenia e Croazia) e dell’Ungheria. Ritengo che tutta la classe politica del Friuli Venezia Giulia succeduta ad Antonio Comelli si sia mossa politicamente in termini corretti, rinnovando la cooperazione con i rispettivi partner di Alpe Adria e concorrendo a costruire il processo di allargamento e di coesione politica dell’UE (su cui ancora molto c’è da fare). Nel frattempo l’originaria CE è passata GECT e EUROREGIONE a 30 anni dalla costituzione della comunità di lavoro Alpe Adria Il Regolamento CE n. 1082 del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 luglio 2006, istituisce il GECT (Gruppo europeo di cooperazione territoriale). La Federazione regionale dell’AICCRE del Friuli VG, su GECT e prima ancora su Euroregione, assieme alla Direzione Centrale per le Relazioni Internazionali, da molto tempo dedica il proprio impegno e iniziativa a favore dei propri associati, nel rispetto delle diverse sensibilità politiche e dei diversi livelli istituzionali, per accrescere conoscenza e consapevolezza sulle rilevanti potenzialità offerte dall’adozione di un nuovo strumento giuridico comune di diritto comunitario, quale sarà il GECT. Tale condizione supera l’oramai datato strumento di Madrid che, di fatto, centralizzava a Roma ogni decisione inerente le cooperazioni transfrontaliere e transnazionali. Ciò deriva anche dalla collocazione geopolitica e dalla consapevolezza che la costruzione di validi e concreti rapporti di cooperazione transfrontaliera e transnazionale non si esauriscono con gli oltre 100 gemellaggi, pur importanti, ma n. 21 • dicembre 2008 25 LE RAGIONI DEL FEDERALISMO EUROPEO dall’Atto unico di Lussemburgo a Maastricht, dalla Carta dei diritti di Nizza all’istituzione dell’Euro, da Laeken – che istituì la Convenzione Giscard d’Estaing - ai Trattati di Lisbona e, con l’accordo di Sheengen, ha smantellato centinaia di frontiere fisiche che dividevano le comunità. Il Friuli VG e l’Austria è senza frontiere dall’inizio degli anni ’90. Con il 21 dicembre 2007 sono stati demoliti ben 13 valichi confinari tra Italia e Slovenia, nel frattempo resasi indipendente dalla Yugoslavia nel 1991. Oggi è improponibile un GECT (o Euroregione) che coincida con i perimetri dei partecipanti alla Comunità di lavoro Alpe Adria. Tuttavia il Ministro degli esteri italiano Frattini, con una intervista al Piccolo del 7.9.08, prefigura invece che ciò sia possibile in una seconda fase, mentre vede realizzabile a breve un’Euroregione, con capitale a Trieste, tra Friuli VG, Veneto, Carinzia, Slovenia e contee istriane croate. L’AICCRE sostiene il presidente Tondo, che ha chiesto al Governo italiano l’emanazione dei provvedimenti occorrenti per dispiegare l’attuazione del regolamento comunitario sul GECT. Era quanto aveva sollecitato dal luglio 2007 anche il presidente Illy, senza però riuscirci. Dalla visita del Ministro degli Esteri Frattini in Friuli VG, di metà settembre, si apprende che il governo inserirà nella Legge comunitaria 2008 le norme sul GECT. Su punto si soffermerà con la sua relazione, diffusamente e con competenza, il prof. Coen, informandoci anche sulle difficoltà incontrate dalla proposta di DPR del Governo Prodi. Vedremo come verranno formulate e, anche l’AICCRE, confida che vengano previste competenze e funzioni spinte e innovative in capo al sistema Regioni e autonomie locali, con particolare attenzione al Friuli VG. Nel frattempo l’AICCRE ha promosso una serie di iniziative: • collaborando con la Regione nell’ambito del Progetto Matrioska (capofila la Stjria); • seguendo le attività propedeutiche alla nascita dell’Euroregione Adriatica (capofila la contea dell’Istria croata); • pubblicando lo studio del prof. Angelo Viscovich (Verso un’Euroregione speciale – giugno 2008); • organizzando convegni di studio e approfondimento con gli amministratori locali e gli studenti delle Scuole superiori; • organizzando negli anni 2006 e 2007, d’intesa e con la collaborazione della Regione, con l’AICCRE nazionale e con il CCRE, due viaggi di studio di circa 130 tra amministratori locali (Sindaci, Assessori comunali e provinciali, consiglieri comunali e provinciali) e funzionari di enti locali e Regione, presso le istituzioni comunitarie di Bruxelles e visitando le esperienze più consolidate di Euroregione esistenti in Europa: la Basiliensis (Basilea – Svizzera, Germania e Francia), la Pamina (Lautembourg – Francia e Germania), l’Euregio (Gronau – Olanda e Germania). Gli ambiti di intervento possibili con l’EUROREGIONE, giuridicamente disciplinata con la nascita di uno o più 26 Comuni d’Europa Il federalismo tra Europa e Regioni GECT, rientrano in tutte le funzioni e competenze in capo agli enti locali: dalla gestione del territorio all’ambiente, dalle attività produttive alla protezione civile, dalla viabilità e infrastrutture di trasporto alle reti di comunicazioni informatiche, dai servizi (sanità, assistenza, protezione sociale, integrazione) al turismo, dalla cultura alla valorizzazione delle lingue ecc. In questo senso appare utile ricordare il progetto EUREGO, promosso dalla Provincia di Gorizia, con un PIC Interreg Italia-Slovenia 2000-2006. Dallo studio emergono ipotesi, dati, simulazioni interessanti. Così come appaiono di interesse gli studi dell’ISIG di Gorizia. Forse è giunta l’ora si passare dalla politica dell’annuncio, dall’effetto simbolico dell’Euroregione/GECT alla attuazione concreta. A questo approdo sono attese nuove sfide internazionali in primo luogo della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, con la propria specialità, e del sistema delle autonomie locali, con le articolazioni sociali, accademiche e della ricerca presenti nel territorio. Al riguardo ascolteremo, dopo questa introduzione, contributi specifici nell’ambito degli interventi programmati e di quelli preannunciati nell’ambito del dibattito, come quello dell’On. Ivano Strizzolo, anche nella sua vece di Vice Presidente della Commissione bicamerale che si occupa di Schengen. Ripercorrendo così la trama ben evidente nella Tabula Peuntingeriana, custodita a Vienna, che colloca la bimillenaria Aquileia e, oggi, la Regione Autonon. 21 • dicembre 2008 ma Friuli Venezia Giulia, nel cuore dell’Europa con la via dell’Ambra che alimentava le attività del centro romano collegando il Mare Baltico con il Mare Adriatico. Una trama ancora più nitida e comprensibile che collegava e collega Aquileia, tramite la via Giulia Augusta, a nord verso il Norico, con la via Gemina a est verso la Pannonia (Emona/Lubiana, Budapest) e con la Via Flavia verso l’Istria; mentre a ovest la via Annia collega Aquileia a Venezia ed Adria, cuore antico del Veneto. Per decenni quest’area è stata relegata ai margini dei “confini orientali” dell’Italia, ed ha pagato le conseguenze della guerra fredda. Oggi può tornare a svolgere un ruolo di protagonista – assieme agli altri attori istituzionali che ci circondano – dentro il processo di consolidamento dell’Europa allargata. L’AICCRE è convinta che ciò corrisponda all’interesse delle popolazioni ricompresse in Alpe Adria e che gran parte delle forze politiche da tempo hanno a loro volta maturato tali convinzioni. Si tratta ora di agire politicamente, forse anche recuperando lo spirito unitario del presidente Comelli della ricostruzione post terremoto 1976, allora sostenuto da Aldo Moro e da tutti i Partiti. Perché? • perché la specialità del Friuli VG..., • perché il rilancio economico-socialeculturale della nostra area dentro il consolidamento del processo di allargamento dell’Unione Europea..., - perché il federalismo fiscale – all’interno di un’idea di federalismo euro27 LE RAGIONI DEL FEDERALISMO EUROPEO e territorio, dentro la disponibilità al confronto con le speculari realtà contermini anche loro in continuo movimento, visto che proprio ieri la giovane democrazia slovena ha rinnovato il parlamento determinando un cambio nel governo e tra un pò anche l’Austria potrebbe riservare sorprese. Relazione al convegno di Udine presso la Fondazione CRUP, del 22 settembre 2008 peo – e la creazione del Senato delle Regioni e delle autonomie locali..., - perché l’Euroregione ed il Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale – GECT... … non si rilanciano e non si costruiscono con “spot”, con “improvvisazioni”, e tanto meno con colpi di forza ma hanno bisogno di un lungo impegno, che coinvolga tutta la politica, istituzioni, forze sociali e comunità, ricerca, associazioni 28 Comuni d’Europa LE RAGIONI DEL FEDERALISMO EUROPEO Tra federalismo integrale e istituzionale di Giulia Devani Dottoranda di ricerca in Storia del federalismo e dell’unità europea -Università di Pavia Il pensiero di Umberto Serafini sintesi tra i federalismi di Olivetti e di Spinelli Percorrendo una strada diversa rispetto a Olivetti e Spinelli, nel 1940, Serafini era partito come ufficiale per il fronte africano e, dopo essere stato fatto prigioniero nel dicembre 1941, fu mandato in India, dove, come testimoniato dal suo Diario di guerra – conservato nel fondo Umberto Serafini presso l’Archivio del Centro Interdipartimentale di Ricerca e Documentazione sulla Storia del Novecento dell’Università di Pavia –, ebbe modo di approfondire la sua conoscenza del federalismo, iniziata durante il periodo di studi alla Normale di Pisa. Alla fine della guerra, le strade di questi tre grandi uomini s’incrociarono definitivamente. Serafini, grazie soprattutto all’amicizia con l’architetto Ludovico Quaroni, nata durante la prigionia indiana, aveva iniziato a collaborare con il Movimento Comunità, fondato dall’Ingegnere nel 1949, diventando, nel 1950, segretario dell’Istituto Italiano per i Centri Comunitari (I.I.C.C.) di Roma. Anche Spinelli aveva partecipato alla fondazione del Movimento Comunità e, infatti, risulta tra i presenti alla prima riunione del Comitato Centrale, a Milano, il 10 luglio 1949, insieme a molti altri, tra Adriano Olivetti e Altiero Spinelli, seppur attestati su posizioni diverse, vissero nello stesso momento storico e condivisero numerose esperienze, prima fra tutte quella dell’antifascismo, per la quale furono entrambi costretti a rifugiarsi in Svizzera. Sono testimoniati numerosi incontri tra i due in territorio elvetico, anche se bisogna ricordare che Olivetti, ancora in Italia, aveva già aderito al Manifesto di Ventotene, non appena questo era stato diffuso. Spinelli racconta così il suo incontro con Olivetti: “Il federalismo infranazionale di Olivetti trovava una resistenza passiva della cultura politica corrente assai simile a quella che incontrava il mio federalismo sovranazionale, e ciò contribuì a farci simpatizzare l’uno per l’altro e diventare amici”1. La Svizzera di quegli anni aveva dato ospitalità a molti fuoriusciti italiani ed era stata la cornice ideale per lo sviluppo e il consolidamento di un federalismo europeo tipicamente italiano. n. 21 • dicembre 2008 29 LE RAGIONI DEL FEDERALISMO EUROPEO cui, per citarne alcuni, Nicola Abbagnano, Eugenio Montale, Enzo Enriques Agnoletti, Gino Giugni e Serafini stesso. Un ulteriore punto d’incontro, seppur indiretto, tra Spinelli e Serafini fu un’altra esperienza molto importante nei primi anni del dopoguerra italiano, vale a dire il quotidiano «L’Italia socialista», diretto da Aldo Garosci tra il 1947 e il 1949. Garosci è un altro personaggio fondamentale di quegli anni e, non a caso, anch’egli ruotò intorno alla galassia comunitaria. Nella storia italiana, il Movimento Comunità rappresenta un’esperienza unica, anche se di durata relativamente breve. A tutt’oggi, la sua storia non è stata approfondita, anche perché si preferisce dare spazio al pensiero olivettiano che, a mio parere, non può essere però disgiunto dall’azione concreta di Olivetti, non solo nel campo industriale. Il Movimento Comunità era nato con intenti politici, nel senso etimologico del termine e, infatti, nelle intenzioni dell’Ingegnere, doveva essere al servizio del “bene comune”, diffondendo le idee comunitarie attraverso la propagazione della conoscenza e della cultura. Non a caso, il nucleo del Movimento era rappresentato dai Centri Comunitari, nati con l’ambizione di diventare una moderna agorà, in cui i cittadini potessero confrontarsi. I Centri furono insediati soprattutto nel Canavese, ma vi furono anche esperienze al di fuori del Piemonte, a Roma, a Terracina, a Latina, a Matera e in altre città italiane. L’I.I.C.C. era stato fondato proprio allo scopo di coordinare la nascita e lo sviluppo di questi Centri. Ognuno di essi era dotato di una biblioteca e di una emeroteca, entrambe basate su un criterio “eclettico”, che metteva insieme opere letterarie con altre di divulgazione scientifica. Per incentivare la partecipazione dei cittadini venivano promossi concorsi che premiavano la migliore relazione sull’attività del Centro di appartenenza. In ogni Centro, era previsto un servizio di assistenza con il compito di individuare i casi di persone bisognose di soccorso, sia sotto forma di aiuti economici, sia fornendo a titolo gratuito consulenze tecniche, legali e amministrative. Nei Centri operavano persone fortemente motivate e questo fece sì che, fino a quando rimasero aperti, riuscirono a svolgere efficacemente il proprio compito. Nei primi anni Cinquanta, Serafini, grazie alla preesistente collaborazione con Olivetti e Spinelli, fu coinvolto in un altro progetto, che divenne poi la sua attività principale. Mi riferisco naturalmente alla fondazione del CCE e, in seguito, della sua sezione italiana. In Italia, Olivetti aveva interessato Spinelli nella formazione della delegazione italiana da inviare all’Assemblea istitutiva del CCE, a Ginevra, nel gennaio 1951, e, tra i delegati prescelti, oltre a Umberto Serafini, assistito da Magda Da Passano, anch’essa collaboratrice importantissima dell’I.I.C.C., compariva il più stretto collaboratore di Spinelli in quel momento, nonché segretario nazionale del MFE, Alberto Cabella. Il CCE era stato fondato da persone di diversa estrazione politica 30 Comuni d’Europa Tra federalismo integrale e istituzionale e, a tal proposito, Serafini dichiarò di sentirsi distante tanto dal “federalismo di destra”, rappresentato da personaggi come Voisin e Bareth, quanto dall’“anarco-comunalismo” di Alida de Jager, anche perché aveva già “incontrato” il pensiero di Olivetti e aveva quindi compreso l’importanza di una pianificazione pubblica dell’economia europea, in cui fossero difesi i principi del socialismo. L’Associazione Italiana del Consiglio dei Comuni d’Europa (AICCE) fu fondata nel 1952 e la sua sede fu naturalmente stabilita in quella dell’I.I.C.C., in Via Porta Pinciana 6, a Roma, dove erano presenti molti altri movimenti, oltre a quello comunitario. Nell’esperienza del CCE, Serafini riuscì a coniugare il federalismo di Olivetti con quello di Spinelli; se da una parte, infatti, il CCE si basava sul pensiero comunalista che aveva il proprio punto di riferimento nel federalismo integrale, articolato nei diversi livelli della società, dall’altra, aveva come obiettivo la federazione europea, seguendo in questo l’insegnamento del federalismo istituzionale. Serafini aveva ben presente i vantaggi di entrambi questi approcci ed era convinto che fosse una condizione imprescindibile per la costruzione della federazione europea una società nuova, in cui l’economia fosse al servizio dei cittadini e delle comunità locali e in cui le autonomie fungessero da tramite tra la democrazia diretta e quella rappresentativa, per favorire la partecipazione popolare. Serafini perseguì questo obiettivo combinato attraverso la campagna per il fronte democratico europeo, n. 21 • dicembre 2008 avviata ufficialmente agli Stati generali di Roma, nel 1964. L’idea del fronte affondava le sue radici nel “nuovo corso”, lanciato da Spinelli nel 1955, dopo la sconfitta della CED (Comunità europea di difesa, ndr), con l’obiettivo di coinvolgere quella che oggi definiremmo la società civile, in particolare, il mondo produttivo – tanto i lavoratori quanto gli imprenditori – e il mondo della scuola e dell’università. Serafini diede subito il proprio appoggio al “nuovo corso” perché, secondo lui, uno dei limiti maggiori del movimento federalista, così com’era stato organizzato da Spinelli, era quello di essere troppo elitario e distante dalla gente comune. Serafini collegò la battaglia per il fronte a un’altra campagna fondamentale nella strategia federalista, vale a dire quella per le elezioni dirette del Parlamento europeo. Proprio in questo campo le sinergie tra Serafini e gli altri federalisti giocarono un ruolo importante, così come in occasione del Congresso del Popolo Europeo, negli anni Cinquanta. Il suo tentativo di unire il federalismo di Olivetti con quello di Spinelli si basava sulla teorizzazione del “blocco storico delle autonomie infranazionali con i democratici sovranazionalisti” contro gli Stati nazionali. Serafini lottò sempre, sin dagli anni Cinquanta, per un “sinergismo” tra la lotta per le autonomie locali e quella per la federazione europea, nell’ambito del fronte democratico europeo, distinguendo tra autonomia democratica e autonomia corporativa. Serafini sopravvisse molti anni sia a Olivetti, mancato nel 1960, sia a Spinelli, 31 LE RAGIONI DEL FEDERALISMO EUROPEO morto nel 1986, e continuò a lottare per la Federazione europea e per una nuova società sino agli ultimi momenti della sua vita, spentasi nel settembre 2005. Con la sua azione, Serafini ha dimostrato che è possibile fondere insieme due approcci differenti al federalismo, da molti ancora considerati antitetici. NOTE 1 Cfr. Altiero Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio, Bologna, il Mulino, 1988, p. 394. 32 Comuni d’Europa SOCIETÀ DELL'INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE Eisco 2008: 17 paesi europei convergono sull'Agenda Digitale Locale di Javier Ossandon Direttore Area Innovazione Ancitel, Honorary Chair di Elanet (Cemr) l’organizzazione e le procedure amministrative per erogare attraverso Internet nuovi e migliori servizi ai cittadini ed alle imprese. Questo sforzo di pianificazione dal basso dell’eGovernment e dei servizi a supporto dello sviluppo locale, ha anche il grande merito di mappare i reali bisogni degli enti locali in risorse tecnologiche ed umane, formazione del personale preposto e i servizi prioritari. Ciò permette alle Regioni di coordinare meglio lo sviluppo della società dell’informazione e programmare le risorse da investire in innovazione nel proprio territorio. Ma anche, di distinguere con precisione all’interno dell’ente locale quali attività di ammodernamento ICT possono essere fatte con risorse proprie e quali richiedono progetti co-finanziati dalle Regione oppure a livello nazionale ed europeo. b) La promozione da parte dell’amministrazione pubblica locale in ogni territorio di un Patto Locale per la Società dell’Informazione. Rispecchiando le metodologie dell’Agenda 21 per lo sviluppo sostenibile nelle città, l’idea è di promuovere un accordo tra tutti gli operatori, pubblici e privati, che erogano servizi a Seduti nelle aule e cortili di un monumento storico noto in tutto il mondo, come Castel dell’Ovo sulla limpida baia di Napoli, e con i riflessi argentati dell’acqua di mare negli occhi, le delegazioni dei 17 paesi europei presenti alla conferenza di Regioni e Città EISCO 2008 (25-27 di Settembre) hanno discusso e concordato un percorso comune per implementare l’Agenda Digitale Locale e rilanciare i processi di modernizzazione dell’amministrazione pubblica locali utilizzando Internet e i servizi digitali. La Dichiarazione di Napoli verrà adesso diffusa in tutta Europa per promuovere i tre obiettivi fondamentali dell’Agenda: a) L’elaborazione in ogni Comune e Provincia delle regioni europee, meglio se raggruppati in rete, del cosiddetto PIANO ADL (Agenda Digitale Locale), che deve essere approvato come parte della programmazione triennale dell’ente pubblico. E’ stata presentata la metodologia del Piano che punta a chiarire all’interno di ciascun Comune quali attività vanno telematizzate nei diversi uffici, come si condividino i dati dei diversi settori attraverso un ‘back-office’ automatizzato e come devono cambiare n. 21 • dicembre 2008 33 SOCIETÀ DELL'INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE livello locale, cioè dei singoli territori. Lo sbocco naturale di questo Patto è la costituzione di reti locali di servizi elettronici finalizzate a: • la creazione di un unico portale internet di accesso e consultazione dei servizi locali; • l’attivazione congiunta di iniziative per far conoscere e promuovere l’utilizzo di questi servizi (sviluppare la domanda); • lo scambio di esperienze tra operatori tecnologici e di contenuti e, soprattutto, la creazione di un vero gruppo di pressione sul territorio per assicurare l’istallazione della banda larga con sufficiente ampiezza per servizi ormai di natura multimediale, così come per far nascere “centri servizi” altamente qualificati in grado di erogare servizi infrastrutturali nelle aree locali che facilitino la realizzazione dei servizi digitali da parte degli operatori pubblici e privati (la sicurezza nella circolazione dei dati, la creazione di archivi su piattaforme condivise, l’autenticazione, i servizi di pagamento, i ‘call-center’ sempre aperti per assistere il cittadino, etc.). c) il Forum con i cittadini che punta ad aprire nel tempo un dialogo con i cittadini improntato su due aspetti che oggi sarebbero un’assoluta novità nell’amministrazione pubblica locale: • la partecipazione dei cittadini e delle imprese nelle decisioni locali sulle priorità ed attività che deve contenere l’Agenda Digitale Locale del loro luogo di residenza; • la possibilità di valutare la convenienza o meno e la qualità dei servizi elettronici che vengono erogati sul portale. Un merito indiscutibile di EISCO 2008 è stato quello di far vedere per mano come gli enti locali e le Regioni si stanno movendo, in modo più concertato che in passato, in questo campo. Sono state presentate 36 buone pratiche, una più interessante dall’altra, con soddisfazione generale. Varie di esse applicano già politiche di ADL anche se non necessariamente si chiamano così. Ma nel caso di alcuni paesi come la Spagna, il Presidente di EUDEL (l’associazione basca di enti locali) ha presentato invece il ‘Plan Rector para la Sociedad de la Informacion’ (programma quadro) concordato con l’amministrazione regionale, tutto improntato sull’esistenza di un Piano di Agenda Digitale Locale in ciascun Comune nei prossimi due anni (Bilbao organizzerà EISCO 2010 nel mese di Marzo, dove s’intende presentare i risultati). In Norvegia, il Piano eMunicipality 2012 pone al centro una politica di sviluppo della società dell’Informazione per i piccoli Comuni basato sull’Agenda Digitale Locale, mentre la Polonia ha iniziato un processo di miglioramento delle competenze in questo campo, propedeutico per l’ADL, che coinvolge direttamente ai Sindaci ed i dirigenti comunali, nella Regione di Masovia (con capoluogo Varsavia). La partecipazione italiana, anche se è mancata una presenza più massiccia dei piccoli Comuni come in passate edizioni, ha presentato delle iniziative di eccellenza che puntano alla trasformazione dell’eGovernment in sistema territoriale, come propugnato dall’ADL. Le presentazioni delle iniziative della Regione 34 Comuni d’Europa Eisco 2008: 17 paesi europei convergono sull'Agenda Digitale Locale materiale dell’evento) e Presidente del Comitato Organizzatore ha concluso l’evento ringraziando in particolare le associazioni delle autonomie locali partecipanti e la presenza delle sei reti europee più importanti che hanno sottoscritto la Dichiarazione di Napoli (ELANET, CEMR/CCRE, eris@, EUROCITIES, e-FORUM e IT4ALL). Del tutto significativa è stata la presenza della Commissione Europea attraverso il Capo Gabinetto del Commissario per la Società dell’Informazione e Media, Rudolph Strohmeier, che ha inaugurato l’evento sottolineando l’importanza della Agenda Digitale Locale per l’Unione Europea, oltre a presentare le prospettive per il prossimo futuro di una società europea che basa il suo sviluppo nella gestione della conoscenza sfruttando le tecnologie dell’informazione. Con lui, hanno partecipato membri delle diverse unità della Commissione che s’occupano dei programmi di ricerca e sviluppo tecnologico, del programma sull’innovazione per la competitività e dei fondi strutturali. La ciliegina della conferenza è stata la giornata di ‘brainstroming’ sul modello europeo per l’ADL ed il percorso da attuare. Suddivisi in 8 tavoli di discussione, i partecipanti hanno dato luogo ad un animatissimo dibattito, coordinato dall’associazione UNARETE, per l’implementazione dell’Agenda Digitale Locale in tutta Europa. Il modello proposto con i suoi obiettivi è stato condiviso e migliorato attraverso diversi suggerimenti. Tutti i risultati della conferenza, insieme alla Dichiarazione di Napoli, sono riscon- Emilia-Romagna e della rete RTRT della Toscana, così come del centro di servizi territoriali della Provincia di PesaroUrbino, hanno destato grande consenso. Il Comune di Barletta ha parlato quale unico rappresentante del sud, che rimane ancora orfano di buone iniziative nonostante ci siano state delle risorse economiche (il problema è legato piuttosto al cambiamento organizzativo e ad un miglioramento delle competenze nell’acquisizione e gestione dei contenuti e delle soluzioni tecnologiche), colpendo tutti con la sua esperienza riuscita di Anagrafe Immobiliare Urbana. La città di Torino ha fatto vedere, con grandi applausi della platea, come utilizzare in termini concreti i servizi del cosiddetto web 2.0 nei portali dell’amministrazione pubblica. Ci sono stati anche altre esperienze italiane come il nuovo portale della Regione Lazio, la comunità di pratiche a livello europeo per l’utilizzo del Fondo Sociale del Formez, e il notevole caso di una comunità rurale che con l’aiuto delle strutture pubbliche ha creato una propria stazione televisiva sul web che trasmette quotidianamente notizie e fa discussioni inter-attive tra i diversi settori della comunità, sparsi in piccoli villaggi delle vallate piemontesi. Sul piano politico è stato importante rilevare la presenza di sindaci ed assessori locali e regionali. Feliciano Polli, membro della Presidenza dell’ANCI, ha illustrato alle delegazioni straniere politiche e problemi dell’eGovernment nel nostro paese, mentre il senatore Roberto Di Giovan Paolo, Segretario generale dell’AICCRE (che era l’organizzatore n. 21 • dicembre 2008 35 SOCIETÀ DELL'INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE trabili nel sito web: www.eisco2008.eu. La qualità degli stessi fa ben augurare per il rilancio dei processi di eGovernment in molti paesi, inclusi l’Italia, rallentati in virtù dei budget ristretti e della mancanza di sufficiente competenze, soprattutto nei piccoli Comuni e nell’aree rurali o periferiche. Rallentamento, è stato detto, dovuto anche agli errori commessi nelle strategie implementate che hanno in particolare sottovalutato l’impatto sul piano organizzativo che provoca l’introduzione delle nuove tecnologie e le difficoltà di natura culturale per cambiare i rapporti tra gli amministratore della cosa pubblica ed i cittadini quando vengo utilizzate queste tecnologie. Il tempo disponibile è poco. L’Agenda Digitale Locale, per produrre risultati apprezzabili, ha bisogno di essere spinta e di produrre processi utili alla strategia di Lisbona ed alla sua regionalizzazione, entro il 2010. La conferenza di Bilbao sarà la sua prova di fuoco. 36 Comuni d’Europa SOCIETÀ DELL'INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE Eisco 2008: l'innovazione riparte dal Sud di Lucia Corrias nel 2005 a Bilbao - in occasione del II Summit Mondiale delle Città e Governi locali sulla Società dell’Informazione come strumento strategico per favorire l’e-inclusion e combattere il divario digitale esistente in particolare tra le grandi aree urbane e le piccole aree urbane e rurali. Ad aprire i lavori della Conferenza il sindaco di Napoli Rosa Russo Jervolino, che ha sottolineato l’importanza dell’evento come occasione di prezioso scambio di esperienze tra amministrazioni locali e per l’avvio di percorsi di cooperazione, per fare delle tecnologie dell’informazione uno strumento di efficienza, trasparenza ed innovazione in risposta ai bisogni dei cittadini. Rudholf Strohmeier, Capo di Gabinetto della commissaria europea per la società dell’informazione Viviane Reding, ha dichiarato che “la libertà di conoscenza è da iscriversi come la quinta libertà europea”. E proprio per realizzare quello che si configura oggi come il nuovo diritto universale di ogni cittadino, la possibilità di avere accesso alle reti e ai servizi digitali, la Conferenza ha sollecitato l’impegno di tutti i livelli di governo a mettere insie- Le tecnologie dell’informazione rappresentano nel mondo odierno un importante strumento per lo sviluppo economico e sociale per la possibilità che offrono di favorire partecipazione, scambio di informazioni, creazione di reti e spazi per dibattiti tra le persone, veicolare conoscenze ed esperienze. “Digital divide”, ovvero divario digitale è l’espressione usata per indicare le disuguaglianze nell’accesso ed utilizzo delle tecnologie della società dell’informazione, che sempre più segnano la linea di separazione tra Nord e Sud del mondo, e che rischia di avere come conseguenza l’esclusione dall’informazione, anche all’interno delle aree più sviluppate, di alcune fasce della popolazione svantaggiate per motivi legati alla geografia o alla mancanza di risorse e competenze. La Conferenza EISCO 2008, organizzata dalla rete ELANET con il supporto del Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa ed ospitata dal 25 al 27 settembre scorsi dalla città di Napoli, con il sostegno della Regione Campania e della Provincia di Napoli, ha inteso fare il punto sull’implementazione del processo di Agenda digitale locale (ADL), adottata n. 21 • dicembre 2008 37 SOCIETÀ DELL'INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE di ricerca e sviluppo, progetto applicativo di un Ecosistema Digitale di Business (DBE). Quest’ultimo consiste in un modello organizzativo virtuale basato sulla creazione di un network tra organizzazioni, i cui tratti caratterizzanti ed innovativi sono rappresentati da una cooperazione dinamica e da un processo collettivo di creazione e diffusione della conoscenza tramite l’ICT. Il progetto propone sistemi per supportare le regioni nell’implementazione di un DBE a livello locale ai fini di valutarne la capacità di intervento in determinati settori delle politiche pubbliche attraverso i network virtuali. Francesco Nachira, della DG INFSO della Commissione europea, ha sottolineato come il modello di “ecosistema digitale” se adottato dalle pubbliche amministrazioni consenta di fornire servizi ICT su misura per cittadini ed imprese, condividere ed integrare agevolmente servizi creati da altre amministrazioni adattandoli ai processi amministrativi locali, ed inoltre costruire capacità digitali e creare sviluppo per il territorio. Un modello dunque, quello dell’ecosistema digitale che promuove lo sviluppo e rafforza la competitività delle imprese europee, in linea con gli obiettivi della Strategia di Lisbona in base alla quale la tecnologia digitale rappresenta un elemento portante della società attuale. Presentando la bozza della dichiarazione finale della Conferenza Javier Ossandon, direttore dell’area innovazione di Ancitel e presidente onorario di Elanet, ha invitato tutti gli attori a livello locale e regionale ad impegnarsi ai fini di progredire me le risorse disponibili per garantire un servizio che non escluda nessuno dai benefici della Società dell’Informazione. “Oggi siamo a Napoli, nel 2010 sarà Bilbao ad ospitare la prossima Conferenza EISCO: dal Sud riparte l’innovazione e si leva una spinta propulsiva alla democrazia digitale” ha dichiarato Roberto Di Giovan Paolo, segretario generale dell’AICCRE, aggiungendo che le potenzialità dell’ICT (Tecnologia dell’informazione e della comunicazione) non riguardano solo un ambito tecnico, ma vanno pensate soprattutto in termini politici per la possibilità che offrono ai cittadini di maggiore partecipazione alla res publica. Per avviare il motore dell’innovazione e perché si realizzi una società dell’informazione per tutti occorre però liberare il potenziale delle nuove tecnologie con il supporto di politiche adeguate ed il coinvolgimento di tutti i livelli della pubblica amministrazione: per favorire investimenti, creare infrastrutture e servizi, organizzare risorse umane, materiali e tecnologiche, creare competenze adeguate di amministrazioni e cittadini in modo che possano gestire ed usare efficacemente l’ICT, favorire scambi di esperienze e buone prassi in un quadro di cooperazione tra tutti i livelli istituzionali e tra gli ambiti pubblico e privato. Nel corso della Conferenza sono stati discussi pratiche e modelli implementati nell’Unione europea al fine di affrontare al meglio la sfida dell’innovazione. E’ stato presentato ad esempio il progetto Peardrop, finanziato nell’ambito del VI Programma quadro dell’Unione europea 38 Comuni d’Europa Eisco 2008: l'innovazione riparte dal Sud concertazione e cooperazione tra tutti i livelli della pubblica amministrazione ed ai governi locali a discutere a tutti i livelli possibili iniziative e strumenti ai fini di sostenere e rafforzare la politica dell’Agenda digitale locale. il più rapidamente possibile nell’implementazione dell’Agenda digitale locale, sviluppando piani d’azione, dando vita a patti locali per la società dell’informazione che coinvolgano tutti i soggetti interessati, creando forum con i cittadini e gli attori locali per la realizzazione di una vera società dell’informazione. EISCO 2008 ha riaffermato il Manifesto dell’Agenda digitale locale, approvato ad Hameenlinna in Finlandia nel 2007, con le sue priorità ed obiettivi da realizzare entro il 2010 (pubblicato nelle pagine seguenti, ndr). La Conferenza ha infine elaborato una roadmap dell’ADL, i cui obiettivi dovranno essere gradualmente realizzati in base alle condizioni locali ed alle risorse disponibili ed espresso in conclusione l’invito ad una maggiore n. 21 • dicembre 2008 Links utili • Portale della Commissione europea per lo scambio di buone prassi di e-government: www.epractice.eu • Portale della Commissione europea per lo scambio di buone pratiche sulla banda larga: www.broadband-europe. eu • Progetto Peardrop: www.peardropeu • Rete di enti locali per una società dell’informazione inclusiva: www.IT4allregions.org 39 SOCIETÀ DELL'INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE Manifesto dell'Agenda digitale locale Aree prioritarie di intervento ed obiettivi eParticipation 1. Sviluppare strumenti di monitoraggio e bench-marking, volti a valutare il coinvolgimento dei cittadini e a confrontare l’efficacia dei diversi strumenti utilizzati, compresa la capacità di identificare le differenze tra nazioni per definire il giusto approccio ; 2. Diffondere delle linee guida tra chi è coinvolto in iniziative di eParticipation,facendo attenzione che ci sia chiarezza sullo scopo della partecipazione da avviare, sia che si tratti di informazione, consult azione, partecipazione attiva nel processo oppure o di un intervento diretto sulle decisioni da prendere; 3. Favorire la multicanalità nella diffusione dei contenuti e delle politiche di eParticipation; 4. Rendere possibile nei dibattiti on-line l’uso di dati eterogenei provenienti da molte diverse fonti rappresentative; 5. Incrementare la trasparenza e l’accessibilità, così da aumentare la fiducia nelle istituzioni con l’utilizzo su vasta scala degli strumenti di eParticipation; Pre-Condizione: impegni politici e strategie chiare per introdurre degli strumenti di eParticipation 6. Migliorare la qualità delle informazioni integrando e rendendo interoperabili il tutto quando vengono collegati i sistemi di legacy e le applicazioni attuali con le nuove tecnologie . eInclusion 7. Lavorare per un dialogo più intenso tra i diversi livelli di governo, allo scopo di capire e di rispondere meglio ai bisogni di tutti i nostri cittadini; 8. Accrescere l’e-capacity, soprattutto nelle comunità locali più piccole o socialmente divise, mediante lo sviluppo e la condivisione multi-lingue di: metodologie, materiali, conoscenza, formazione,networking e affiancamento consulenziali sul campo 9. Incrementare le competenze di gruppi locali che sono parte della società civile, al fine di agevolare la loro partecipazione attiva nel processo di definizione della strategia locale (ADL); 10. Implementare reti di comunicazione, tecnologie e applicazioni che agevolano i programmi di “eCapacity building”, come: software per la collaborazione, management di progetto, management di casi, gestione dei registri, creazione di modelli di processi, gestione della conoscenza, sfruttamento dei benefici; 40 Comuni d’Europa Manifesto dell'Agenda digitale locale 11. Organizzare delle buone partnership di collaborazione e reti sociali, per accrescere e mantenere nel tempo la loro capacità di sviluppare applicazioni e servizi di eGovernment. Le partnership includeranno esperti e professionisti provenienti da: governi locali, governi regionali, governo nazionale, imprese, università, organizzazioni della comunità e gruppi di volontariato, cittadini. 17. Elaborare una concisa e coerente “roadmap” di utilizzo delle tecnologie wireless, che dovrà comprendere la liberalizzazione di più frequenze di banda, nonché la realizzazione di iniziative o la replica di buone pratiche da parte del settore pubblico, con la finalità di correggere situazioni dove il mercato ha fallito. Reti digitali locali e sicure 18. Dare vita ad un ambiente di lavoro e di apprendimento in comune per implementare una strategia della Società dell’Informazione che sia sostenibile e per creare delle network locali innovative, in grado di erogare servizi su supporto digitale ai cittadini e alle imprese in forma sicura e integrata; 19. Organizzare dei centri di servizi regionali allo scopo di sostenere i governi locali in pericolo di esclusione digitale, in modo da assicurare il loro accesso alle infrastrutture di comunicazione e ai servizi di base che permettono di erogare i servizi digitali più avanzati; 20. Contribuire allo sviluppo degli standard che fanno possibile l’erogazione di servizi pubblici oltre le frontiere geografiche ed i limiti di tipo organizzativo; 21. Rendere possibile l’interoperabilità assicurando la sicurezza, la qualità e l’integrità dei dati; 22. Esortare la Commissione Europea sull’opportunità di riconsiderare l’agenda di lavoro europea sull’interoperabilità, in modo che essa sia applicabile a livello regionale e locale e, più specificamente, per dare un supporto all’implementazione dei “punti unici d’accesso” stabiliti dalla direttiva europea sui servizi. Accessibilità piena alla banda larga 12. Promuovere per tutti in Europa delle infrastrutture regionali e locali di banda larga ad alta prestazione, aperte ed a costi accessibili, in grado di soddisfare le necessità attuali e di anticipare i futuri bisogni delle nuove tecnologie emergenti in questo settore; 13. Cercare l’intervento ed il supporto pubblico, laddove le forze operanti sul mercato non bastano a garantire la disponibilità di infrastrutture adeguate; 14. Identificare e diffondere le strategie di successo per lo sviluppo delle economie e delle infrastrutture locali; 15. Investire in strategie che si dimostrano valide e che possono essere replicate, anche perché rispondono in forma complessiva ai bisogni degli utenti se non si soffermano esclusivamente sulle esigenze della pubblica amministrazione; 16. Influire nel Libro verde 2008 sull’Obbligo di Servizio Universale, formulando una precisa dichiarazione – concordata con le autorità che regolano la concorrenza ed altre simili – sul ruolo del investimento pubblico per colmare il divario digitale; n. 21 • dicembre 2008 41 SOCIETÀ DELL'INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE Servizi municipali e locali avanzati 23. Assicurare a tutti i cittadini la possibilità di interagire in forma elettronica con la pubblica amministrazione oppure di recarsi di persona ad un punto unico d’accesso; 24. Asserire l’allineamento delle politiche nazionali e dell’Unione Europea sui servizi multi-canali con le politiche adottate dal governo locale o regionale; 25. Trovare la giusta via e assicurare le competenze necessarie per l’inserimento di contenuti generati esternamente dagli utenti nei canali municipali; 26. Sviluppare modelli “seamless” di erogazione di servizi centrati/orientati/ costruiti su misura del cittadino; 27. Promuovere un ottimale utilizzo delle tecnologie appropriate (canali d’accesso più adeguati) per ciascun utente/ stakeholder; 28. Avvicinare le esperienze pilota ed i progetti di eGov al mercato (in linea con il Programma sulla Competitività e l’Innovazione dell’Unione Europea), basandosi su architetture e sistemi di interoperabilità aperti. 42 Comuni d’Europa NELL'ANNIVERSARIO DEL '68 Il decennio che ha cambiato il volto del '900 di Filippo Bettini Università La Sapienza di Roma, Presidente dell'Associazione Allegorein, Direttore artistico di "Mediterranea Festival intercontinentale della letteratura e delle arti" letteratura, di Fausto Razzi per la musica di ricerca e di Giovanna Marini per quella folk e di protesta sociale; • la rivisitazione di autori e artisti e correnti di quel periodo per opera di esponenti artistici delle generazioni successive che pure ne sono stati ispirati e permeati: la Beat Generation secondo Cosimo Cinieri e Irma Palazzo o le opere e le figure di Dalida e di Gaber nelle interpretazioni e voci rispettivamente di Maria Letizia Gorga e Piji; • la partecipazione, infine, di autori e artisti e tendenze e gruppi che, pur non avendo intrattenuto rapporti diretti con la cultura degli anni ’50-’60 e non trattandone apertamente, si sono però venuti misurando con il suo lascito, ne hanno raccolto e rielaborato stimoli e indicazioni, si sono interrogati, anche nel cuore del proprio lavoro, sulle conseguenze vitali dei mutamenti trasmessi: da Francesco Muzzioli e Marcello Carlino con gli studenti della “Sapienza” in Poesia a comizio alla rassegna pluridisciplinare di Ombretta Moschella all’Agave Bookbar, ai tanti readings poetici all’Isola Tiberina, fino alla novità assoluta di Kareem Salama La Provincia di Roma e l’Associazione culturale Allegorein, in collaborazione con gli Assessorati alla cultura e all’ambiente della Regione Lazio, con il Comune di Roma, con il Ministero per i beni e le attività culturali, con la Link Campus University of Malta, l’Università La Sapienza di Roma e il Centro Teatro Ateneo, in questa estate del 2008 hanno organizzato, a Roma e nella regione Lazio, la V edizione di “Mediterranea, Festival intercontinentale della letteratura e delle arti” . Quest’anno il Festival era dedicato a Gli anni ’60: il decennio che ha cambiato il volto al ‘900, ed ha esplorato, di quel periodo (per l’esattezza meglio collocabile tra la metà del decennio precedente ed il punto culminante del fatidico ’68), alcuni dei momenti più significativi (interpretati e rivisitati attraverso la letteratura, il cinema, il teatro, la musica) articolandosi in tre livelli di approccio complementari: • l’intervento di autori e artisti che ne sono stati protagonisti e che tuttavia continuano ad operare nel presente in maniera viva ed efficace: basta fare i nomi di Edoardo Sanguineti (cui è stata dedicata un’intera sezione) per la n. 21 • dicembre 2008 43 NELL''ANNIVERSARIO DEL '68 (giovane cantante arabo-statunitense neoerede del filone country-western) in concerto con il trio Historias nella rassegna jazz di Villa Celimontana. Naturalmente dal punto di vista della “geografia culturale” è stato rivolto uno sguardo privilegiato a quelle due aree che, insieme all’Europa Occidentale, sono state protagoniste, in modi e per ragioni diverse, del decennio in questione: il mondo arabo e mediorientale da un lato e gli Stati Uniti dall’altro. È ai loro rappresentanti che sono stati dedicati alcuni degli appuntamenti più importanti di Mediterranea, realizzati in collaborazione con la Fondazione Casa delle Regioni del Mediterraneo, l’Ambasciata degli Stati Uniti, la John Cabot University e il Centro Studi Americani: l’incontro poetico Prove di Dialogo, con la partecipazione di Altaras (Israele), Al-Juburi (Iraq), Lakhous (Algeria), Laor (Israele), Bar Kokhav (Israele), Magiar (Libia), Inal (Turchia), Ghazvinizadeh (Iran), e il ciclo dei meeting internazionali di Salam America e i Poeti del Mediterraneo insieme a Callaghan (Canada), Vangelisti (Stati Uniti), Ali (India), Shousha (Egitto), Risset (Francia), Théophilo (Brasile), Hajdari (Albania), Zingone (Nicaragua), Haddad (Libano), Sanguineti (Italia), Vasio (Italia), Binga (Italia), Spataro (Italia), Cavalli (Italia). È inoltre un dato di fatto che un omaggio del tutto particolare al “decennio che ha cambiato il volto al Novecento” è venuto dall’interno stesso dell’impostazione del festival. Più precisamente dal modo in cui la lezione teorica e operativa delle avanguardie ha continuato a prolungarsi e ad agire, almeno in parte, sulla definizione dei presupposti, dei criteri e delle modalità procedurali da cui sono scaturite di volta in volta le scelte attuate. L’apertura costante alla pluralità delle culture, delle discipline e dei linguaggi, sotto il segno di una strategia dell’intersemiosi – che è il nutrimento ideale di ogni rassegna di Mediterranea e, vorremmo dire, la precondizione della sua stessa nascita –; la finalizzazione criticotematica di ogni sua edizione ad un problema o ad una situazione di ordine storico-attuale e di respiro internazionale (denotato addirittura dal titolo e inventivamente trattato e declinato dai Siparietti teatrali di Renato Nicolini e Marilù Prati); la ricerca e la sperimentazione di nuove forme di comunicazione sociale della poesia, incentrate sul territorio e visivamente esposte alla fruizione di tutti, in una posizione di competizione e di sfida frontale al dominio pervasivo della pubblicità commerciale (secondo un percorso a tappe che prosegue con l’Inaugurazione dei pannelli lungo le rive del Tevere); la consistenza del ruolo assegnato alla produzione di un’editoria di “qualità” e di “tendenza” (ormai parte organica del cartellone), tesa a far conoscere e a valorizzare scrittori importanti italiani e soprattutto stranieri, trascurati o ignorati dal mercato nazionale – fra tutti, al momento, l’iracheno Yousef, il palestinese Darwish, il kosovaro Podrimja, l’indiano Narain, il cinese Gao –; l’assimilazione e il pieno funzionamento dell’antipremio “Feronia”, che da diciassette anni ormai rilancia la prassi della sperimentazione letteraria e della critica 44 Comuni d’Europa Il decennio che ha cambiato il volto del '900 quest’anno orientato la scelta sugli anni Sessanta e riconoscono e pagano volentieri il loro debito alle tracce permanenti della svolta epocale di quello strepitoso decennio. militante (da altrettanto e più tempo in disuso). Tutti questi momenti appartengono a quel medesimo ordine di motivazioni forti e di direttrici portanti che hanno n. 21 • dicembre 2008 45 NELL'ANNIVERSARIO DEL '68 Dialogo tra un padre e un figlio di Fabrizio Andreoli Andrè e Raphael Glucksmann, Sessantotto, Edizioni Piemme 2008, pp.231 punto da cui partire. E’ bene ricordare, che Glucksmann padre ha sostenuto l’attuale Presidente della Repubblica Francese 2. Per il filosofo francese, Sarkozy dimostra di essere più di sinistra della gauche ufficiale francese per il suo impegno di porre in politica estera l’attenzione in merito ai diritti umani, per il suo linguaggio franco quando si parla di disoccupazione. Tuttavia, Glucksmann sostiene che non bisogna attribuire al Sessantotto tutti i mali: “Il movimento è stato portatore di energia e slancio, quanto di meschinità e immobilismo. Le fate che si affannavano sulla culla del neonato non erano tutte benevole”3. Glucksmann figlio, dal Ruanda, per mezzo di una lettera si rivolge ai protagonisti del Maggio francese. Egli chiede loro: “Perché è stato proprio un presidente di sinistra (ndr, Mitterrand), il primo e unico dopo il Maggio Sessantotto, ad aver imbarcato il nostro paese in questo pantano morale e politico? Prima di lui il Ruanda compariva a malapena sul mappamondo mentale dei nostri diplomatici. Con lui diventa l’epicentro di uno scontro planetario celato tra influenze anglosassoni e interessi francesi. Chi ha gridato ‘Siamo tutti tutsi del Ruanda’, ventisei A quarant’anni di distanza è ancora difficile trovare la giusta chiave di lettura per interpretare il movimento politicoculturale del Sessantotto. Oggi, si cerca di stabilire se sia presente o meno nella società attuale qualcosa del Sessantotto. Senza una retorica celebrativa e un facile revisionismo ma con lucida provocazione Andrè Glucksmann – filosofo, protagonista del Maggio ‘68 – e suo figlio Raphael – regista di documentari politici e giornalista – cercano di elaborare un percorso critico di quel movimento. I due autori affermano che il libro (Andrè e Raphael Glucksmann, Sessantotto, Edizioni Piemme 2008, pp.231) nasce in occasione della campagna per le presidenziali in Francia del 2007: “Durante il primo meeting elettorale di Nicolas Sarkozy, dal passato emerge uno spettro che si credeva definitivamente scomparso… quarant’anni dopo, il caso Sessantotto viene clamorosamente riaperto e si impone come l’ultimo terreno di scontro delle elezioni.”1 Quindi, la rupture di Sarkozy sul ‘68 è il 46 Comuni d’Europa Il decennio che ha cambiato il volto del '900 fervore nel riconoscere in quella stagione alcuni elementi utili (innovazioni politiche, sociali e culturali) al miglioramento della vita collettiva. L’intento degli autori è quello di restituire il ’68 alla sua misura – nel bene e nel male –. Il ’68 ha aperto la porta alla mondializzazione, si è trattato di una svolta planetaria. Per Andrè Glucksmann sono stati i sessantottini parigini i primi a credere nei grandi dissidenti sovietici come Solzenicyn, Sacharov, ispirando persino il movimento operaio polacco Solidarnosc. Da Sarkozy si parte, con Sarkozy si arriva al termine del libro. Glucksmann figlio interpella direttamente il presidente francese. “…invece di celebrare le esequie del Maggio – scrive Glucksmann –, per la prima volta lei ha offerto un ministero cruciale a un ex sessantottino (ndr, Bernard Kouchner), illustre rappresentante di quella generazione messa alla gogna nel suo discorso di Bercy. Il più grande pensatore che abbia mai calpestato il suolo di Francia, Montaigne, questo sangue misto, come lei, come me e come la quasi totalità del nostro paese, fornisce la chiave di una rupture riuscita. Corri in fretta, compagno presidente, il vecchio mondo è dietro di te”5. anni dopo ‘Siamo tutti ebrei tedeschi’?”. Afferma il giovane Glucksmann: “Prima del Sessantotto la politica soffocava sotto il peso dei miti e del verticismo. Nel Sessantotto, si è messa in posizione orizzontale (perfetto) per poi offrirsi una lunga siesta (pericoloso). Oggi è arrivato il momento che si svegli e ritrovi, o meglio trovi, un ruolo in un mondo in rivoluzione permanente”4. Raphael Glucksmann chiude la lettera invitando le personalità della sinistra a continuare la lotta. Entrambi gli autori - a volte con graffiante ironia - criticano aspramente persone e atteggiamenti del ceto politico francese e internazionale. E come in una galleria ricca di ritratti, i due Glucksmann si soffermano su alcune figure, per metterne in luce vanità e ambiguità. Si rimprovera loro indifferenza, ipocrisia e cecità politica rispetto ad alcuni avvenimenti del secolo scorso. Altre figure invece vengono evocate con ammirazione e rispetto. Un nome su tutti: Aleksandr Solzenicyn, il narratore sovietico recentemente scomparso, l’autore di Una giornata di Ivan Denissovic, il libro che ha fatto conoscere i campi di concentramento siberiani del regime di Stalin. Apprezzamenti riceve l’attuale ministro degli esteri francese Bernard Kouchner. E poi, tutto il pensiero classico. Tucidide, Socrate, Platone, Montaigne, Machiavelli e De la Boètie, Kant. Essi vengono citati per chiarire l’origine filosofica del Maggio francese e per allontanare un certo conformismo presente nella gauche, nel mondo politico e intellettuale. Il libro dei Glucksmann risponde ad un sentimento misto: critica sulle personalità protagoniste del ‘68 e post ‘68, ma anche n. 21 • dicembre 2008 NOTE 1 Andrè e Raphael Glucksmann, Sessantotto, Edizioni Piemme, 2008, p.7 2 Sul quotidiano Le Monde, Glucksmann ha pubblicato un articolo intitolato”Scelgo Nicolas Sarkozy”. 3 Andrè e Raphael Glucksmann, Sessantotto, Edizioni Piemme, 2008. p.40. 4 Ivi, p. 77. 5 Andrè e Raphael Glucksmann, Sessantotto, Edizioni Piemme, 2008, pp. 235-237. 47 CONTRIBUTI E OPINIONI Azione pubblica territoriale: verso una nuova cultura dell'energia di Mariacristina Spinosa Consigliere regionale del Piemonte Il Congresso dei poteri locali e regionali del Consiglio d’Europa guarda al futuro energetico. Una risoluzione e una raccomandazione per una gestione più efficiente ed efficace dei processi di sviluppo energetici esercitano sull’ambiente: inquinamento, emissioni di gas serra, con le loro influenze nefaste sul clima del nostro pianeta, rifiuti radioattivi, rischio di incidenti gravi. E sappiamo, inoltre, che i combustibili fossili si stanno esaurendo. L’energia è un bene indispensabile e che condiziona la nostra vita ma che, rispetto ad altri, ha un fortissimo impatto sull’ambiente nella fase della sua trasformazione e in quella del suo utilizzo. Parlare di energia, perciò, significa anche parlare di ambiente, di sicurezza, di competitività. I tre pilastri dell’Unione Europea, in altre parole. Ma non basta. C’è un quarto obiettivo che occorre perseguire in modo parallelo alla tutela ambientale: è l’equità sociale che si può raggiungere soltanto attraverso la realizzazione di una rete di collaborazione che consenta lo scambio e lo sviluppo delle conoscenze e delle tecnologie per un effettivo risparmio e una reale accessibilità a tutti dell’energia a disposizione. In questo “tutti” non possono essere contemplati soltanto i Paesi europei, ma anche e soprattutto i Paesi del Sud del mondo, dove sono maggiori Il momento storico che stiamo vivendo è caratterizzato da una sempre più evidente emergenza ambientale. Soltanto fino a qualche anno fa l’effetto serra, lo scioglimento dei ghiacci al polo Nord, e le energie alternative sembravano essere tematiche di appannaggio esclusivo di qualche sparuto gruppo di ecologisti. Oggi, invece, l’urgenza di affrontare questi argomenti è percepita con maggiore consapevolezza da tutti i cittadini. In gioco c’è il futuro del pianeta, e quindi il nostro, e quello delle generazioni future. L’argomento chiave per i processi di sviluppo, e quindi per il nostro futuro, è l’energia. E la cultura dell’energia, che è cosa assai più articolata. Dobbiamo garantirci approvvigionamenti energetici sicuri ed economicamente accessibili, ma siamo consapevoli dell’impatto significativo che gli attuali modelli 48 Comuni d’Europa Azione pubblica territoriale: verso una nuova cultura dell'energia le disuguaglianze sociali e dove – anche e soprattutto per questa ragione – sono maggiori i rischi di conflitti. Fino alla fine del XX secolo, infatti, tre quarti dell’energia mondiale erano consumati da un quarto della popolazione. Gli impatti e le conseguenze di questo consumo, però, sono ricaduti su tutta la popolazione mondiale. Questo sistema si rivela sempre meno sostenibile e sempre più inadeguato oggi, con l’affacciarsi dei nuovi Paesi emergenti sulla scena internazionale. L’Unione europea ci chiede di raggiungere, entro il 2020, almeno tre obiettivi: la diminuzione del 20% delle emissioni di anidride carbonica, la diminuzione del 20% dei consumi energetici e il raggiungimento di energie rinnovabili nella percentuale del 20% dei consumi energetici. Si tratta di obiettivi ambiziosi che richiedono un grande impegno da parte di tutti e che non intervengono soltanto sul cambiamento climatico, ma anche sulle dinamiche sociali, sullo sviluppo economico e su quello dei territori. Alla luce di quanto detto sinora, sono due gli ambiti d’azione su cui è necessario lavorare: le produzioni di energia da fonti alternative e un programma di risparmio energetico. Significa incentivare le cosiddette “filiere corte” e l’adozione di sistemi di gestione, monitoraggio e valutazione della prestazione energetica territoriale, a cominciare dal risparmio energetico e dall’efficienza degli impianti. Nei territori dei nostri Paesi il 40% dell’energia è impiegato per gli edifici e il 30% per i trasporti. Ridurre il n. 21 • dicembre 2008 livello dei nostri consumi nell’edilizia abitativa, nei trasporti, nell’urbanistica, e investire sulle risorse del territorio significa anche puntare sul risparmio dell’energia, sullo sfruttamento di fonti energetiche rinnovabili – solare ed eolico in primis – e poi sulla biomassa, il biogas, e la geotermia. Questo orientamento della politica energetica sottintende un migliore sfruttamento dell’utilizzo dei propri potenziali. Ridurre le spese energetiche, inoltre, favorisce le imprese locali e costituisce un risparmio per il consumatore che non deve sostenere l’investimento in una produzione supplementare. Se vengono impiegate risorse rinnovabili, i fondi destinati all’energia rimangono sul territorio, alimentando i circuiti economici locali e incentivando l’occupazione. E’ esattamente il contrario di quanto avviene quando si fa ricorso alle energie esogene: in tal caso, infatti, si sfrutta l’economia locale, ma i ricavi economici sono spesso sfruttati lontano dai luoghi di consumo. Per comprendere questo concetto è sufficiente osservare che i livelli di vita più alti in Europa sono situati nei Paesi con performance energetiche elevate e, quindi, maggiormente sostenibili anche dal punto di vista della qualità della vita dei cittadini. Proprio la qualità della vita è un elemento che sarà sempre più determinante nello stabilire la forza di attrazione di un dato territorio. E i criteri dei cittadini per definire l’attrattiva di un luogo comprendono elementi quali l’uso di risorse rinnovabili, politiche 49 CONTRIBUTI E OPINIONI della mobilità che diano la priorità ai trasporti pubblici e ai mezzi di trasporto a basso impatto ambientale e una programmazione e un assetto territoriale che incoraggino la creazione di negozi, servizi e produzione alimentare locale. Si può consumare energia utilizzandola in modo più intelligente. Alcuni paesi o regioni lo stanno già facendo. La Danimarca, ad esempio, ha deciso che, a partire dal 2015, nessun edificio di nuova costruzione dovrà consumare energia per il riscaldamento. La Germania sta costruendo edifici che riducono al minimo le dispersioni energetiche, con un consumo energetico da 6 a 7 volte inferiore a quanto suggerito dai regolamenti, e con costi di investimento che vanno solo dal 5 al 10%. Sono scelte che vanno nella direzione di risultati di lungo periodo. E’ questo fa la differenza. Guardare soltanto al ricavo nell’immediato sarebbe una scelta miope. Queste considerazioni sono state l’oggetto della mio intervento durante la sessione primaverile del Congresso dei poteri locali e regionali del Consiglio d’Europa - che ha riunito circa 300 delegati in rappresentanza di 200mila autorità locali dei 47 Paesi membri – in riferimento alla risoluzione e alla raccomandazione “Azione pubblica territoriale: per una nuova cultura dell’efficienza energetica” che ho presentato con il collega ucraino Valeriy Baronov. La risoluzione e la raccomandazione sono poi state approvate nel corso della quindicesima seduta plenaria del Congresso dei poteri locali e regionali del Consiglio d’Europa, che si è tenuta a Strasburgo dal 26 al 29 maggio scorso. Per capovolgere l’attuale schema mentale - e anche produttivo - secondo cui l’energia è la via per aumentare gli incassi dei produttori, è necessario un radicale cambiamento di mentalità. Non sono sufficienti le nuove tecnologie per risolvere i problemi legati all’energia. Servono investimenti su quella che potremmo definire l’“alfabetizzazione ambientale” dei cittadini perché le persone devono conoscere quali sono le conseguenze sull’ambiente dei loro comportamenti quotidiani. Il processo di responsabilizzazione e di acquisizione di una maggiore consapevolezza deve coinvolgere necessariamente anche le amministrazioni locali. Il ruolo di questi attori fortemente legati al territorio è fondamentale, proprio perché questi sono più vicini ai cittadini che, in qualità di consumatori, stanno diventando protagonisti in campo energetico, al contrario delle grandi compagnie petrolifere, di carbone, di gas o di elettricità, che sono vicine ai centri di potere ma distanti dai territori. E’ una piccola rivoluzione, che sancisce la centralità delle amministrazioni locali in quanto consumatori e fornitori di servizi, in quanto pianificatori dello spazio urbano e responsabili per le politiche dei trasporti, in quanto produttori ed erogatori di energie e in quanto promotori e modelli per l’insieme della popolazione. Devono essere gli attori locali ad attivare politiche esemplari per ridurre il livello dei consumi energetici e concentrarsi 50 Comuni d’Europa Azione pubblica territoriale: verso una nuova cultura dell'energia Consegnare alle generazioni future un ambiente vivibile è un dovere morale collettivo, così come è di tutti il desiderio di vivere in un ambiente più a misura d’uomo, e meno disumanizzato. sulle loro capacità di sfruttare risorse rinnovabili. Per raggiungere questi obiettivi è indispensabile lavorare in rete, unendo gli sforzi e le idee. n. 21 • dicembre 2008 51 CONTRIBUTI E OPINIONI Verso un'euroregione speciale di Angelo Viscovich Federazione Regionale Aiccre del Friuli Venezia Giulia Alle tesi che sostengono essere la crisi del processo di integrazione dovuta essenzialmente agli eventi di rottura storica e accentuata dal fatto che i ventinove paesi dell’allargamento, con percorsi diversi, avvertono oggi differenti problemi economici e politici si contrappongono le tesi dell’antico europeismo di una “terza forza”. Quel che è certo è che tutti sentiamo il bisogno di ridare slancio e motivazione al progetto europeo. Al confine orientale italiano, ed europeo (l’area Schengen lo ha spostato di qualche decina di chilometri), sta muovendo i primi passi il progetto di Euroregione. Lo strumento giuridico comunitario, il Regolamento GECT, rappresenta un’opportunità unica per l’area territoriale presa in considerazione. Non sarà sufficiente in ogni caso il solo strumento giuridico a risolvere i molteplici problemi e le criticità di quest’area. Il processo di integrazione non è all’anno zero, ma il percorso è ancora molto lungo e ci vorrà creatività e spirito d’innovazione. Soprattutto sarà necessario che quest’angolo d’Europa ritrovi la voglia di cominciare una nuova era aprendosi agli altri pur rimanendo se stessi. L’Euroregione rappresenta lo spa- zio ideale per la realizzazione di una cooperazione-competizione in un territorio caratterizzato dalla presenza di popoli, etnie, lingue e culture che per secoli si sono mescolati, dove le minoranze sono chiamate a svolgere una funzione importante proprio sul terreno dell’integrazione. La specialità della Regione Friuli Venezia Giulia assume un significato completamente nuovo nel momento in cui spende il proprio patrimonio culturale e il proprio livello di coesione sociale ed economica nella direzione dell’integrazione euroregionale, un processo che darà vantaggi a tutti sul terreno della qualità del vivere quotidiano. Un processo, inoltre, che permetterà a molti cittadini dell’area, d’Europa e del mondo, di sentirsi sempre meno “divisi”: penso agli esuli, anche se i ricordi pesano. In una realtà come la nostra, quindi, il tessuto dell’Euroregione potrà avere un impatto positivo su molteplici dimensioni della vita. Per l’Associazione Italiana del Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’ Europa, particolarmente attiva nella nostra Regione nel proporre e nel promuovere iniziative mirate alla valorizzazione del sistema e delle autonomie 52 Comuni d’Europa Verso un'euroregione speciale locali nel processo di formazione delle politiche europee, la tematica della cooperazione transfrontaliera, in particolare, ha rappresentato in passato e rappresenta tuttora il “leit – motiv” dell’azione svolta ai vari livelli istituzionali. Una sorta di “mission” che la sezione regionale dell’AICCRE si è data e che oggi riprende il vigore e la forza dei tempi in cui la “Comunità di lavoro Alpe – Adria” vedeva la Regione Friuli – Venezia Giulia protagonista di una esperienza, unica nell’Europa degli anni ’80, di cooperazione interregionale e transnazionale. Le notevoli difficoltà incontrate allora nella gestione di azioni di cooperazione transnazionale e interregionale in un contesto di norme e procedure nazionali differenti hanno creato l’esigenza di adottare misure e assumere atti giuridici a livello istituzionale europeo tali da stimolare forme di cooperazione tramite organismi di diritto comunitario. Finalmente, nell’ambito del pacchetto legislativo riguardante la riformata politica di coesione 2007/ 2013, viene adottato un Regolamento che va nella direzione attesa: il Regolamento 1082/2006 (CE). Il coinvolgimento degli attori locali della nostra regione, fin dall’inizio della sperimentazione di un nuovo organismo di diritto comunitario, a lungo atteso, è d’obbligo. Per il contesto geopolitico in cui si colloca la nostra Regione, per la storia del confine orientale e per le sfide poste dall’allargamento e dalla globalizzazione, il progetto Euroregione assume un significato particolare per chi elaborerà e poi attuerà le politiche comunitarie. L’Euroregione ha l’obiettivo di coordin. 21 • dicembre 2008 nare ed estendere le forme di collaborazione con Veneto, Carinzia, Slovenia, Contea litoraneo montana (Croazia) e Contea istriana (Croazia), rafforzando così la coesione e la competitività territoriale. Ciò al fine di dare attuazione ad una strategia comune di sviluppo, attivando le sinergie e le iniziative progettuali presenti, anche con riferimento all’utilizzo coordinato degli strumenti comunitari della politica di coesione per il futuro periodo 2007-2013. La Regione Friuli Venezia Giulia, per la sua collocazione geo-politica al confine con Austria, Slovenia e Croazia, si è contraddistinta quale attore della cooperazione con i territori limitrofi. Tuttavia, l’attività di cooperazione posta in essere da cittadini, istituzioni ed imprese europee, si trova oggi di fronte a due sfide molto impegnative, quali la globalizzazione e la transizione dall’era industriale all’era della conoscenza. Il progressivo affermarsi della libera circolazione di lavoratori, merci, servizi e capitali comporta l’attivazione e l’integrazione delle strategie economiche, sociali e politiche anche a livello sub-nazionale. L’Euroregione, intesa come forma di cooperazione stabile e rafforzata tra territori appartenenti a Stati nazionali diversi, fornisce una soluzione concreta all’esigenza di coordinare l’azione di governo e legislativa, di promuovere uno sviluppo economico e sociale congiunto tra aree contigue, di sviluppare e realizzare progetti comuni a favore delle comunità locali nei campi della sanità, dell’ambiente, dei servizi sociali e di pubblica utilità. L’adozione, nell’ambito del pacchetto 53 CONTRIBUTI E OPINIONI della politica comunitaria di coesione 2007-2013, del regolamento CE n. 1082 del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 luglio 2006, relativo al “Gruppo europeo di cooperazione territoriale” rappresenta la più rilevante novità a favore della cooperazione tra enti territoriali. Gli Stati, le autorità regionali e locali, gli organismi di diritto pubblico (ai sensi della dell’art. 1, paragrafo 9 della direttiva 2004/18/CE) situati in almeno due Stati dell’Unione europea, possono istituire un organismo dotato della più ampia capacità giuridica, allo scopo principale di dare attuazione a progetti di cooperazione territoriale cofinanziati dalla Comunità a titolo di FESR, FSE e/o Fondo coesione. Possono, comunque, essere realizzate anche altre iniziative, non cofinanziate dai fondi strutturali, finalizzate al rafforzamento della coesione economica e sociale. I contenuti concreti della collaborazione, sono rimessi all’accordo dei membri fondatori del GECT, da formalizzarsi in una apposita Convenzione di cooperazione. Il regolamento prevede, inoltre, che Stati terzi possano partecipare al GECT, a condizione però che la legislazione del Paese interessato o gli accordi tra Stati membri e il Paese medesimo lo consentano esplicitamente. È stato concesso un periodo preparatorio fino al 1° agosto 2007 agli Stati membri affinché adottino le necessarie misure di attuazione del Regolamento 1082/2006. Il cambiamento di status della cooperazione territoriale, che da iniziativa comunitaria INTERREG diventerà uno dei tre nuovi obiettivi della politica di coesione dell’unione europea, richiederà un salto di qualità nelle modalità di cooperazione e la concentrazione degli interventi, che dovranno essere chiaramente mirati all’obiettivo primario dello sviluppo territoriale integrato delle regioni di confine. La cooperazione internazionale tra le regioni implica considerazioni anche di tipo politico. Essa rappresenta lo strumento più efficace per risolvere il problema delle minoranze etniche. Approcci nazionali nelle relazioni internazionali possono portare a tendenze centrifughe che rallentano i processi di cooperazione e di integrazione come è accaduto alla CEE con Francia e Gran Bretagna. L’approccio regionale invece contribuisce ad un maggiore coordinamento tra le politiche dei diversi Paesi valorizzando le omogeneità tra regioni di Stati confinanti; ciò favorisce la creazione di progetti comuni dei Governi nazionali e quindi una integrazione dei Paesi. Questo è un ulteriore importante contributo di un progetto di Euroregione . Il nazionalismo è un concetto anacronistico, mentre il regionalismo è un approccio moderno per gestire le complesse relazioni internazionali attuali. Può rivelarsi un elemento strategico per l’integrazione europea. Se vediamo nel Governo nazionale il mediatore delle esigenze delle varie regioni, dobbiamo riconoscere che non può al contempo rappresentare gli specifici bisogni regionali. In un mercato globale, alla caduta delle barriere di circolazione delle informazioni avviene una diffusione di queste tra regioni adiacenti che si ritrovano unite da esse e favorite in azioni congiunte che si contrappongono alle logiche centralistiche. 54 Comuni d’Europa Verso un'euroregione speciale riore forza il progetto di un’Euroregione, intesa come organismo di cooperazione transfrontaliera nel contesto delle regioni Friuli-Venezia Giulia,Veneto, il land austriaco della Carinzia, le Contee d’Istria, di Fiume (Rijeka), la Slovenia. L’Euroregione è concepita come un soggetto dotato di personalità giuridica avente lo scopo di coordinare le azioni di governo e le politiche pubbliche per promuovere lo sviluppo economico e favorire la collaborazione degli Enti Locali dato che a concorrere non sono chiamate solo le imprese ma soprattutto i sistemi territoriali. Nelle Regioni coinvolte sono presenti, non dimentichiamolo, significative minoranze etniche e linguistiche che nell’ambito di un processo di integrazione e di cooperazione potranno esprimere compiutamente la propria funzione di elementi catalizzatori della condivisione di valori e di convivenza civile nel rispetto delle diversità e delle appartenenze. La “specialità” della Regione Friuli Venezia Giulia può essere spesa sul terreno della cooperazione territoriale al fine di stabilire un equilibrio antico in un territorio che dalla seconda metà del novecento ha conosciuto divisioni e contrapposizioni. Le azioni dei governi regionali possono essere diverse, sia in base al tipo di interlocutori, come operatori economici, governi locali e regionali di altri Paesi, istituzioni nazionali e comunitarie, sia secondo l’oggetto delle stesse: scambi di informazioni tra Governi locali e regionali riguardo a politiche settoriali e tecnologia, attraverso cooperazione tra le università, formazione, scambi culturali. Inoltre, gli attori regionali devono sviluppare relazioni di cooperazione con altre regioni nella misura in cui il processo dell’unione politica e monetaria favorirà la ristrutturazione dello spazio europeo a cominciare dalle macroregioni dinamiche e competitive: “è necessario contrastare l’isolamento derivante dalle frontiere stabilendo strette relazioni con altre regioni per costruire spazi geografici più ampi, suscettibili di essere più competitivi ed attraenti, anche grazie ad una amministrazione efficiente e snella”. Le Euroregioni non nascono con l’intento di rappresentare un nuovo livello amministrativo, ma piuttosto come motori d’integrazione e di sinergie e laboratori della sussidiarietà e catalizzatori di solidarietà. Con il recente allargamento acquista ulte- n. 21 • dicembre 2008 55 CONTRIBUTI E OPINIONI Immigrati e clandestini, allarghiamo lo sguardo di Mario Pavone Presidente A.N.IM.I. Associazione Nazionale per l’Immigrazione in Italia, Onlus L’A.N.IM.I. è composta da 540 Avvocati italiani, presenti in tutte le Province d’Italia e riuniti in associazione per l’assistenza giuridica agli immigrati stranieri, per lo studio dei problemi giuridici e socio economici derivanti dalla integrazione sociale e culturale degli immigrati, per la cooperazione con i loro Paesi d’origine. L’Associazione persegue esclusivamente finalità di solidarietà sociale. anche i nostri valori, e perché avvenga questo è necessario che noi sappiamo qual è la nostra identità”. Il problema dei clandestini in Europa Nonostante le lodevoli affermazioni di principio pronunciate dall’illustre parlamentare, la Legislazione varata dal Parlamento in tema di sicurezza non ha registrato alcun contributo alla soluzione del problema che, invero, riguarda non solo il nostro Paese ma tutta l’Europa. Anzi. La stessa UE è giunta a contraddire sé stessa poiché, dopo avere varato in data 15 Giugno 2006 una fondamentale risoluzione sull’intensificarsi della violenza razzista ed omofoba in Europa (2) in cui afferma con grande chiarezza che “il razzismo, la xenofobia, l’antisemitismo, l’omofobia e l’avversione ai Rom, sono fenomeni dalle motivazioni irrazionali, a volte legati all’emarginazione, all’esclusione sociale e alla disoccupazione, nonché derivanti dal rifiuto di concepire la diversità presente nelle nostre società come una fonte di ricchezza” ha accelerato il rimpatrio dei clandestini con una Direttiva del 5/6/2008 (3). La direttiva in questione punta ad armo- Come ha sostenuto, di recente, l’On.le Gianfranco Fini, presidente della Camera dei Deputati (1), “L’Italia non può essere l’anello debole in Europa altrimenti viene invasa: è allora, come già avvenuto in altri Paesi, che razzismo e xenofobia aumentano”. “Non siamo razzisti - ha proseguito - ma convinti che gli immigrati che vengono in Italia, come i tanti che sono emigrati in passato all’estero, debbano essere integrati nella nostra società”. Secondo Fini, “chi non riesce ad essere integrato poi rischia di diventare delinquente. Insomma solidarietà e legalità sono facce della stessa medaglia”. Fondamentale, per il presidente della Camera dei deputati è che “chi viene in Italia accetti oltre che le nostre leggi 56 Comuni d’Europa Immigrati e clandestini, allarghiamo lo sguardo con la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo del 1948, nella quale, all’articolo 14, si trova scritto: “Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni”. Le nuove linee guida richiamano i diritti tutelati dalla Convenzione europea per la protezione dei diritti umani e le libertà fondamentali e contengono cinque capitoli (Voluntary return, The removal order, Detention pending removal, Readmission, Forced removals) riguardanti i vari aspetti del rinvio forzato. In particolare un capitolo è dedicato alla detenzione in attesa dell’allontanamento in cui sono indicate, tra l’altro, le circostanze in cui la detenzione può essere ordinata e le condizioni minime di detenzione (7). Lo stato ospite dovrebbe prendere misure di promozione del ritorno volontario più che coattivo; l’ordine di allontanamento dovrebbe essere perseguito solo in accordo con le leggi nazionali e non dovrebbe essere applicato se presente il rischio di violenze, torture o trattamenti inumani e degradanti nel paese di ritorno sia da parte del governo sia da parte di “non-state actors”. Al fine di verificare l’assoluta assenza di pericolo nel paese di ritorno, dovrebbero essere valutate e prese in considerazione le informazioni provenienti da tutte le fonti, governative e non, e dall’UNHCR, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Non dovrebbe inoltre essere portata a termine un’ordinanza di rimpatrio se lo Stato in cui il migrante deve far ritorno rifiuterà il rientro del migrante stesso. nizzare la normativa europea per quanto riguarda i rimpatri e prevede, tra l’altro, la possibilità di detenere un immigrato clandestino fino a 18 mesi in appositi centri in tre casi: rischio di fuga, mancata collaborazione nel rimpatrio e non disponibilità dei documenti. La direttiva prevede, inoltre, la possibilità di detenere ed espellere anche i minori, a certe condizioni, il divieto di reingresso nell’Ue per un massimo di cinque anni per chi è stato colpito da un provvedimento di rimpatrio, ma anche il patrocinio pubblico per sostenere le spese di quanti vorranno fare ricorso contro il decreto di espulsione di recente estese anche all’interprete di parte grazie ad un’importante sentenza della Corte Costituzionale (4) che premia gli sforzi sin qui compiuti dall’ANIMI-Associazione Nazionale per l’Immigrazione ed all’impegno personale dell’Avv. Luciano Faraon (5). La questione dei migranti è andata sempre più affermandosi negli ultimi anni, nel contesto europeo, e ciò ha reso imminente la necessità di strutturazione di una normativa comunitaria e internazionale che possa dare direttive riguardanti la gestione e, soprattutto, la tutela dei diritti del migrante e dell’apolide (6). In quest’ottica, il 9 maggio 2005 sono state adottate dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa venti linee guida su tutti gli stadi del procedimento di rimpatrio forzato adottate dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 9 maggio 2005. L’iter per arrivare a delinearle è iniziato n. 21 • dicembre 2008 57 CONTRIBUTI E OPINIONI E’ proibita l’espulsione collettiva e la mancata adempienza dell’analisi individuale dei diversi casi. La quarta linea guida stabilisce norme specifiche riguardo all’ordine di espulsione: dovrebbe essere indirizzato direttamente al destinatario che deve essere messo a conoscenza delle sue effettive possibilità di rimedio affinché possa essere revocato l’ordine di espulsione. Il terzo capitolo riguarda le modalità di detenzione dopo che è stato dato l’ordine di rimpatrio. La persona detenuta dovrebbe, innanzitutto, essere informata in una lingua che conosce e dovrebbe avere la possibilità di contattare giudici e avvocati. La detenzione dovrebbe essere più breve possibile e rispettosa dei diritti umani; il personale presente all’interno dei luoghi di detenzione dovrebbe essere altamente qualificato e in grado di affrontare la situazione specifica. I luoghi stessi, inoltre, dovrebbero essere organizzati e gestiti secondo determinate norme. Le persone trattenute dovrebbero ricevere degna assistenza medica e ascolto psicologico e non dovrebbero essere detenute insieme a ordinary prisoners; dovrebbero avere libero accesso ad avvocati, ONG e familiari. I centri di detenzione dovrebbero essere costantemente monitorati da enti esterni e l’accesso dovrebbe essere liberamente consentito a membri dell’UNHCR, del parlamento europeo e altri soggetti qualificati. Lo Stato ospite dovrebbe assicurarsi che, nel caso di richiesta d’asilo rifiutata, il paese d’origine non venga a conoscen- za della richiesta fatta dal richiedente. Non dovrebbe essere previsto l’uso della forza durante il rimpatrio e la scorta dovrebbe essere costituita da personale qualificato e adeguatamente formato. Il pacchetto sicurezza Le nuove linee guida da poco adottate potrebbero portare a una maggiore tutela dei diritti dei migranti, rifugiati o richiedenti asilo detenuti in CPTA o Centri di Identificazione, ma queste in realtà non hanno funzione coattiva, dovrebbero unicamente orientare le scelte del legislatore nazionale che può però, in sostanza, disattenderle senza incorrere in particolari sanzioni. Le suddette linee guida finora sono state ampiamente disattese dall’Italia anche in occasione dell’approvazione del c.d. “pacchetto sicurezza” che destina alcune norme al problema dei clandestini (8). In particolare, viene introdotta dalla nuova normativa, tra l’altro, l’aggravante della clandestinità nel senso che se chi delinque è un clandestino le pene sono aumentate di un terzo. La nuova aggravante vale non solo per gli extracomunitari ma anche per i cittadini europei entrati irregolarmente. Inoltre è prevista una condanna da sei mesi a tre anni per chi ceda “a titolo oneroso un immobile di cui abbia la disponibilità ad un cittadino straniero irregolarmente soggiornante nel territorio dello Stato” e confisca dell’immobile stesso tranne nel caso che appartenga a persona estranea al reato mentre viene introdotta nuova denominazione del cosiddetto cpt che diventa “centro di identificazione ed espul58 Comuni d’Europa Immigrati e clandestini, allarghiamo lo sguardo sione”, senza alcuna modifica sostanziale rispetto all’incresciosa situazione precedente alla riforma. La circostante aggravante comune dello stato di irregolarità dello straniero, introdotta dall’art. 1, del d.l. 92/2008, come coordinato dalla legge di conversione 24 luglio 2008 n.125, all’art. 61, comma 1, c.p. il nuovo n. 11 bis, e che prevede un aggravamento di pena “se il fatto è commesso da un soggetto che si trova illegalmente sul territorio italiano” si presta a diverse critiche, come sottolineato da più parti (9). In primo luogo del tutto discutibile è il collegamento operato dal Legislatore in base al quale l’aggravamento di pena è dovuto al solo fatto che il reo è uno straniero illegalmente presente in Italia. In base alla nuova aggravante, l’aggravamento risulta collegato al solo status amministrativo (straniero regolare o irregolare) e prescinde dal nesso esistente tra lo status amministrativo e la condotta penale. Questo spostamento di attenzione e di rilevanza giuridica dal delitto al delinquente, dal fatto al soggetto arretra il nostro sistema penale all’Ottocento, ed è inoltre contrastante con l’attuale impostazione costituzionale del diritto penale quale diritto penale del fatto (cfr. art. 25 Cost.). Inoltre, la nuova aggravante risulta lesiva del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. Infatti, una uguale condotta materiale sol perché commessa da uno straniero irregolare sarà punita più gravemente rispetto all’identica condotta commessa da un cittadino italiano o da uno straniero regolare con una evidente n. 21 • dicembre 2008 lesione del principio di uguaglianza. Va ancora sottolineato come l’aggravante in questione contenga un elemento normativo giuridico. Infatti, l’avverbio “illegalmente” rinvia, al fine di stabilire se lo straniero sia regolare o meno, alla normativa di settore (in primis, il Dlgs 286/1998, TU immigrazione), con diverse conseguenti difficoltà (si pensi a straniero privo sì di permesso di soggiorno ma inespellibile in quanto rientrante in una delle condizioni di cui all’art. 19 TU immigrazione). Si badi, infine, che ai sensi dell’art. 59, comma 2 c.p. “le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell’agente soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa”. Ora, posto che l’aggravante in esame rinvia, tramite l’elemento normativo, alla normativa di settore (TU immigrazione), nel caso in cui il reo sia uno straniero non in regola con il permesso di soggiorno, ma che erroneamente ritiene di essere regolarmente soggiornante (per ignoranza o erronea conoscenza della normativa di settore, cui l’aggravante in commento rinvia, e qui gli esempi che si potrebbero fare sono molteplici), ebbene in tal caso non opera l’aggravante di cui al nuovo n. 11 bis dell’art. 61, comma 1 c.p. E’ fuor di dubbio come la norma verrà sottoposta al Giudizio di costituzionalità della Corte delle Leggi quanto prima in base alle eccezioni sollevate da numerosi difensori. Va aggiunto che sul problema fortemente critiche sono state le Chiese cristiane europee, soprattutto dopo una lettera 59 CONTRIBUTI E OPINIONI congiunta, e la Caritas. I vescovi cattolici riuniti nella Conferenza degli episcopati della Comunità Ue (Comece) si dicono «molto preoccupati» e chiedono al Parlamento europeo che «sia limitato l’uso della detenzione amministrativa e il divieto di riammissione in circostanze eccezionali». Suggeriscono inoltre di garantire «un periodo minimo di trenta giorni per il rimpatrio volontario». Il compromesso attuale, sottolineano i vescovi, «non tiene conto della situazione di molti immigrati» e le Chiese, pur capendo le preoccupazioni dei governi e della società di preservare lo stato di diritto, chiedono che «sia rispettata la dignità di ogni essere umano». Le preoccupazioni manifestate in varie sedi istituzionali hanno trovato conforto nei gravi episodi di xenofobia manifestatisi dopo l’approvazione della normativa ed ancor prima con l’erezione del cd. Muro di Padova che ne è stato fattore scatenante specie nelle Regioni ad alta densità di presenza straniera. t.u. immigrazione, al “cittadino straniero irregolarmente soggiornante (10). Si tratta di nuove figure destinate ad alimentare dubbi ed incomprensioni in mancanza di un’adeguata interpretazione dottrinale e giurisprudenziale. Per ridefinire l’ambito di applicazione dell’art. 12, 5° co. bis, t.u., che punisce chi cede a titolo oneroso un immobile ad uno “straniero irregolarmente soggiornante”, occorre prendere le mosse dai principi generali che regolano la materia dell’immigrazione, ossia dal titolo primo del testo unico (Dlgs 286/98). L’art. 1 t.u. fornisce una chiara definizione dell’aggettivo sostantivato “straniero”, indicando con tale termine sia il cittadino di Stato non appartenente all’Unione Europea (extra-comunitario), sia la persona priva di cittadinanza (apolide). Neppure il significato del participio “soggiornante” presenta grosse difficoltà, intendendosi per tale lo straniero che trascorre od intende trascorrere nel territorio nazionale un apprezzabile periodo di tempo. Le vere difficoltà sorgono invece nello stabilire quando il soggiorno dello straniero possa definirsi “irregolare” dacché il testo unico è sul punto impreciso ed addirittura fuorviante. Stando all’art. 5, 1° co., t.u. imm., infatti, è “regolare” il soggiorno dello straniero che risponde congiuntamente ai seguenti requisiti: a) sia entrato in Italia attraverso un valico di frontiera esterna; b)sia in possesso di carta di soggiorno o permesso di soggiorno in corso di L’individuazione dei clandestini Le Chiese cattoliche pongono quindi alle Autorità di Governo dell’UE un problema fondamentale per arrivare alla soluzione del problema: Il rispetto dei diritti fondamentali e l’individuazione dei clandestini da espellere. Le nuove norme, sul punto, fanno riferimento, quanto alla circostanza aggravante di cui all’art. 61, 1° co., n. 11 bis, c.p., al “soggetto che si trova illegalmente sul territorio italiano” e, quanto alla fattispecie di reato di cui all’art. 12, 5° co. bis, 60 Comuni d’Europa Immigrati e clandestini, allarghiamo lo sguardo validità, ovvero di titolo equipollente rilasciato da altro Paese dell’Unione Europea Conseguentemente, tutti gli stranieri entrati clandestinamente, ossia sottraendosi ai controlli di frontiera, e quelli non in possesso di uno dei detti titoli di soggiorno non scaduti (carta e permesso di soggiorno) sarebbero irregolarmente soggiornanti. Se la norma fosse interpretabile in tal senso nella classificazione degli “irregolari” rientrerebbe una moltitudine di stranieri della cui permanenza legittima nel territorio nazionale nessuno dubita. In base ad una tale interpretazione sarebbero, infatti, “stranieri irregolarmente soggiornanti”: 1.- i titolari di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (artt. 9 e 9 bis t.u.); 2.- coloro che, all’interno del termine di tolleranza di cui all’art. 5, 2° co., t.u. imm., non hanno ancora presentato la prima richiesta di permesso di soggiorno; 3.- coloro che, all’interno del termine di tolleranza di cui all’art. 13, 2° co., lett. b) t.u. imm., non hanno ancora presentato la richiesta di rinnovo permesso di soggiorno; 4.- coloro che hanno tempestivamente richiesto il rilascio od in rinnovo del permesso di soggiorno senza averlo ancora ottenuto dalla competente questura; 5.- coloro che hanno presentato la dichiarazione di presenza ai sensi dell’art. 1 l.28.5.2007, n. 68; 6.- gli stranieri minorenni privi di permesso di soggiorno; n. 21 • dicembre 2008 7.- gli stranieri che hanno ottenuto l’autorizzazione ministeriale al reingresso di cui all’art. 13, 13° co., t.u. imm. 8.- i clandestini attinti da decreto di espulsione nei cui confronti l’autorità giudiziaria non ha ancora rilasciato il nulla osta all’esecuzione dell’espulsione (art. 13, 3° co., t.u.); 9.- i clandestini di cui si è accertata una situazione di violenza o grave sfruttamento in loro danno (art. 18 t.u.); 10.- gli altri soggetti inespellibili ai sensi dell’art. 19 t.u. imm. 11.- gli stranieri che, pur entrati clandestinamente hanno visto riconoscersi lo status di rifugiato; 12.- gli stranieri che, pur entrati clandestinamente, hanno un permesso di soggiorno per motivi di richiesta asilo politico o di protezione internazionale, sussidiaria od umanitaria; 13.- coloro che, pur entrati clandestinamente, hanno ottenuto ovvero possono ancora ottenere un permesso di soggiorno a seguito di sanatoria o procedure straordinarie di regolarizzazione (l. 189/2002). Su quest’ultimo punto va sottolineato che tali cittadini stranieri, pur in presenza di una richiesta di regolarizzazione regolarmente avanzata dalle Imprese, non hanno potuto ottenere il rilascio del permesso di soggiorno pur continuando a prestare attività lavorativa senza regolari documenti. Il trattamento giudiziario per i clandestini La nuova normativa, pur prevedendo una sorta di accelerazione delle espul61 CONTRIBUTI E OPINIONI discriminazione si può disobbedire all’ordine di allontanamento del Questore. Lo ha stabilito la Suprema Corte annullando l’assoluzione pronunciata dal Tribunale di Bergamo nei confronti di un immigrato clandestino che, dopo essere stato raggiunto da un ordine di allontanamento del Questore di Rimini, mentre risultava in attesa dei documenti necessari per il matrimonio, poi effettivamente avvenuto il 5 febbraio 2007. Il Tribunale, nonostante l’immigrato non avesse ottemperato all’ordine di allontanamento, lo aveva assolto sulla base del fatto che, quasi a distanza di sei mesi, si era effettivamente sposato. A tale decisione si era opposto il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Brescia, evidenziando che la causa di giustificazione speciale non poteva essere applicata nel caso in questione, considerato anche il lasso di tempo intercorso tra la notifica dell’ordine di allontanamento e la celebrazione del matrimonio. La Corte, accogliendo il ricorso del Procuratore Generale, dopo aver ricordato che l’istituto dell’espulsione si colloca in un quadro sistematico che, pur nella tendenziale indivisibilità dei diritti fondamentali, vede regolati in modo diverso, anche a livello costituzionale, l’ingresso e la permanenza degli stranieri nel Paese, a seconda che si tratti di richiedenti il diritto di asilo o rifugiati, ovvero di c.d. “migranti economici”, ha affermato che, “mentre il pericolo di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche o di condizioni sioni, nulla ha previsto con riferimento all’osservanza dei diritti fondamentali stabilita dal Consiglio di Europa, nel 2005, come innanzi ricordato. In particolare, pur in presenza di gravi carenze nel sistema giudiziario, carcerario e nei nuovi ex-CPT, alcuna norma sancisce il rispetto del diritto inalienabile ad avvalersi di un interprete e traduttore a carico dello Stato al fine di poter articolare le proprie ragioni che ostano all’espulsione e proporre opposizione. Tanto meno, per quanto innanzi esposto, le varie situazioni dei clandestini risultano ben distinte dalla nuova normativa lasciando aperte a qualunque valutazione le decisioni a cui sono chiamati i Giudici di Pace, investiti, ancora una volta della necessità di giudizi, da una parte sommari e comunque meritevoli di approfondimento anche grazie alla mancanza di una norma di salvaguardia che preveda la sospensione del procedimento (11). In questo quadro accidentato merita di essere menzionata la recente sentenza della Cassazione che abilita all’espulsione del clandestino che contrae o deve contrarre matrimonio con una cittadina italiana e/o straniera regolarmente soggiornante in Italia. La Corte di Cassazione, con sentenza n. 6605/2008 (12) ha, infatti, di recente, precisato che neppure le nozze contratte con un cittadino italiano salvano l’immigrato clandestino dall’espulsione intimata dal Questore in quanto il matrimonio non rientra tra i motivi di discriminazione razziale che giustificano l’inosservanza dell’ordine di espulsione. Solo in casi di 62 Comuni d’Europa Immigrati e clandestini, allarghiamo lo sguardo personali o sociali preclude l’espulsione o il respingimento dello straniero, analoga efficacia “paralizzante” è negata, in linea di principio, alle esigenze che caratterizzano la seconda categoria”. Se non sussistono motivi discriminatori, quindi, non è lecito disobbedire all’ordine del Questore, neanche in caso di matrimonio. Si tratta di una decisione veramente singolare che è destinata a suscitare tutta una serie di ricorsi, stante la diffusione della casistica e che, invero, non appare in linea con la normativa in materia di ricongiungimenti familiari e di diritto alla famiglia (15). Il T.U. sull’immigrazione prevede che è possibile chiedere il ricongiungimento per il solo coniuge, i figli minori, anche del coniuge o nati fuori dal matrimonio, non coniugati (abolita dunque la condizione di figlio “a carico”), figli maggiorenni a carico, qualora permanentemente impossibilitati a provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita per motivi di salute (non è più richiesta l’invalidità totale), nonché genitori a carico che non dispongano di un adeguato sostegno familiare nel paese di origine o di provenienza (eliminata la necessità dell’accertamento dell’esistenza di altri figli nel paese d’origine). I requisiti richiesti al soggiornante per ottenere il ricongiungimento, oltre al possesso della carta di soggiorno o del permesso di soggiorno con le caratteristiche sopra indicate, sono la disponibilità di un alloggio idoneo e una capacità reddituale tale da consentire il mantenimento di sé e dei ricongiunti, utilizn. 21 • dicembre 2008 zando come parametro di riferimento l’importo annuo dell’assegno sociale. Inoltre, l’art.19 del T.U. prevede espressamente il divieto d’espulsione nei confronti dei cittadini stranieri che siano conviventi con coniuge di nazionalità italiana. L’articolo precisa inoltre che a seguito del matrimonio e perdurando la convivenza tra i coniugi vi è l’obbligo di rilasciare un permesso di soggiorno per motivi di famiglia valido anche per motivi di lavoro. Inoltre dal combinato disposto dell’art. 16 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (13) e dell’art. 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (14) si evince chiaramente una tutela della famiglia con la conseguenza che, anche in base a tali principi, appare discutibile la decisione assunta dalla Suprema Corte. Per fare chiarezza basterebbe integrare la norma dell’art.19 del T.U. inserendo il divieto di espulsione anche per il coniuge straniero in attesa di matrimonio. In occasione dell’emanazione della nuova normativa in materia di ricongiungimenti familiari. Di recente la CGUE (16) ha emesso una importante decisione sancendo il diritto di soggiorno del coniuge extracomunitario del cittadino europeo, anche se clandestino. Pertanto, se il cittadino europeo contrae matrimonio nello Stato ospitante, al coniuge extracomunitario deve essere riconosciuto il diritto di soggiorno ai sensi della direttiva 2004/38 ed il dirit63 CONTRIBUTI E OPINIONI to al ricongiungimento vale sempre e non può essere revocato in alcun caso. Però, se il coniuge straniero soggiorna irregolarmente, nulla vieta allo Stato di applicare nei suoi confronti una sanzione, come un’ammenda proporzionata, senza però disporne l’allontanamento, salvi i casi di pericolosità accertata. A seguito di questa sentenza, si determina di fatto una regolarizzazione permanente in favore dei cittadini extracomunitari che hanno contratto matrimonio con i cittadini europei nello Stato dove costoro si sono trasferiti; regolarizzazione che si estende necessariamente anche agli altri familiari che godono del diritto di soggiorno ai sensi della direttiva 2004/38, quali sono i figli e gli ascendenti del coniuge extracomunitario. Una ulteriore conseguenza riguarda direttamente l’Italia che, come è noto, ha esteso la disciplina della direttiva ai familiari extracomunitari del cittadino italiano: per effetto di tale equiparazione, d’ora in avanti il cittadino extracomunitario irregolare che contrae matrimonio con il cittadino italiano dovrà ricevere il documento di soggiorno previsto dalla direttiva e cioè la carta di soggiorno quinquennale e non più, come ad oggi, un permesso di soggiorno della durata di un anno rilasciato ai sensi dell’articolo 19 del testo unico immigrazione. trio dei clandestini extracomunitari 4. V. sentenza Corte Costituzionale n.254/2007 in Altalex.it 5. V. L.Faraon, diritto di difesa dello straniero dopo la sentenza della Corte Cost. 254/2007 in Altalex.it 6. V. Volterra, Le direttive europee in materia di immigrazione, in osservatorioantigone.it 7. V. dello stesso Autore, Le misure alternative sono applicabili anche ai clandestini, in Altalex.it 8. V. Legge 4/7/2008 n.125 in Altalex.it con nota di A. Ceccobelli 9. V. Di Pietro, Prime considerazioni sulle norme del pacchetto sicurezza, in Personaedanno.it 10. V. S.Centonze, Le nuove figure introdotte dal pacchetto sicurezza, in Personaedanno. it 11. V. Dello stesso Autore, v. La sospensione dell’espulsione del cittadino straniero in Altalex.it 12. V. Cassazione, Sez. I, sentenza n.6605 del 12/2/2008 in Cittadinolex.it e Cass. Sez. I 6/12/2004 n.22805 in venetoimmigrazione. it 13. L’art. 16 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo recita: « 1. Uomini e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione. Essi hanno eguali diritti riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all’atto del suo scioglimento. 2. Il matrimonio potrà essere concluso soltanto con il libero e pieno consenso dei futuri coniugi. 3. La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato». NOTE 1. V. Fini intervista AP 12/2/2007 2. V. UE, Risoluzione del Parlamento Europeo sull’intensificarsi della violenza razzista ed omofoba in Europa 3. V. UE Direttiva del 5/6/2008 per il rimpa64 Comuni d’Europa Immigrati e clandestini, allarghiamo lo sguardo dell’ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui». 15. vedi sul punto il D.Lgs. 2007/5 il Governo italiano ha dato finalmente attuazione alla direttiva 2003/86/CE del 22 settembre 2003 relativa al diritto di ricongiungimento familiare 16. v Miele,Diritto di soggiorno del coniuge extracomunitario in Immigrazione.it 14. L’art. 8 della CEDU dispone: « 1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per il benessere economico del paese, per la difesa n. 21 • dicembre 2008 65 CONTRIBUTI E OPINIONI Sicurezza e cooperazione alla pace di Simona Patacca Tirocinante presso l’Aiccre, tesi presentata per l’Associazione europea di studi internazionali all’Istituto diplomatico del Ministero degli Affari esteri Introduzione ni fra i nuovi confini dell’UE: entrambi Questo lavoro tratta lo spinoso problema inseriti nella PEV ma con prospettive e della cooperazione che l’Unione europea aspettative totalmente diverse tra loro. ha tentato e tenta tutt’ora di avviare con A questa fase di stallo sembra voler dare i paesi mediterranei e medio-orientali. Le una scossa la nuova proposta di Sarkozy prime forme di cooperazione comincia- dell’Unione per il Mediterraneo, ma no ancor prima del famoso Partenariato anche questa destinata ad avere vita diffieuro-mediterraneo da parte dell’allora cile, soprattutto per l’idea del presidente Comunità economica europea, ma è stato francese di volerla inserire in un quadro solo con questo processo avviato nel più intergovernativo che europeo. 1995 che l’Europa ha tentato di dare più Questo lavoro non si limita ad elencare incisività a queste politiche, multilaterali una sorta di “cronologia documentata”, prima e bilaterali poi. bensì tenta di capire, seppur in via geneI buoni propositi certo non mancano, rale, perché le varie politiche europee per ma molti ora concordano nel giudicare il mediterraneo sembrano essere,almeno il PEM un vero e proprio fallimento. per il momento, destinate al fallimento, Il clima politico è cambiato in Europa quali sono le lacune dell’UE nel condursoprattutto dopo l’allargamento avvenu- re tali negoziati e le mancanze dei paesi to nel 2004, con l’ingresso di paesi che che di queste politiche dovrebbero trarne hanno modificato i confini dell’Europa beneficio. stessa, tanto ad est quanto a sud. E’ all’interno di questa cornice che nasce la Il Partenariato Euro-mediterraneo Politica Europea di Vicinato, politica che In occasione della IX riunione euro-mediingloba al suo interno paesi tanto diversi terranea dei ministri degli Affari Esteri quanto distanti tra loro. Le problematiche tenutasi a Lisbona lo scorso 5 e 6 novemsi acuiscono, il problema della sicurezza bre, i ministri hanno constatato con sodsembra destinato a rimanere irrisolto disfazione che “dodici anni dopo la sua almeno fino a quando lo sarà il conflitto creazione, il processo di Barcellona è israelo-palestinese, in più nascono tensio- sfociato in un dialogo e in una coopera66 Comuni d’Europa Sicurezza e cooperazione alla pace zione rafforzati in tutta una serie di campi di interesse comune per i partner euromediterranei. Tuttavia, tutti i protagonisti concordano nel riconoscere l’esistenza di lacune e della necessità di rilanciare un processo che, nel 1995, aveva suscitato un eccezionale slancio politico e i cui principi restano comunque di attualità. Il panorama storico che portò all’elaborazione della Dichiarazione di tredici anni fa, era piuttosto differente dall’attuale e ciò spiega anche perché alcuni suoi riferimenti risultino oggi inadatti o anacronistici: l’Europa usciva da anni di frustranti tentativi nell’avviare relazioni globali (sotto forma di provvedimenti o aiuti legati all’economia come la Politica Globale Mediterranea o la Politica Mediterranea Rinnovata) con i Paesi del Mediterraneo ma dopo l’esito positivo degli Accordi di Oslo, nuovi spiragli sembravano aprirsi, mentre sul piano internazionale la fine della Guerra Fredda sembrava lasciare spazio per costruire o modellare nuovi scenari con nuovi protagonisti. I presupposti che portarono ideologicamente alla Dichiarazione di Barcellona, riflettevano quelle che allora erano le esigenze più incalzanti dei due schieramenti che tentavano di avvicinarsi ed integrarsi. Da parte dell’Europa, le situazioni più problematiche che richiedevano un intervento mirato erano essenzialmente tre: • la creazione di una zona comune di sicurezza che potesse arginare o evitare conflitti tra paesi confinanti (principio che ricorda fortemente le basi su cui nacque il Mercato Comune Europeo nel 1957), mantenendo nella regione una situazione stabile e quindi favoren. 21 • dicembre 2008 vole a nuovi sviluppi economici; • il contenimento dei flussi migratori; • la possibilità di controllare gruppi islamici estremisti, percepiti allora come una minaccia alla stabilità ricercata e desiderata. Naturalmente anche i Paesi Arabi erano spinti all’azione da considerazioni di natura strategica: diffusa era la necessità di una modernizzazione economica dopo la crisi degli anni ‘80 che portasse gradualmente verso riforme per la liberalizzazione del mercato. Da tutto questo scaturirono svariati Consigli europei, come quello di Lisbona (giugno 1992), Corfù (giugno 1994) e Essen (dicembre 1994) e proposte della Commissione. L’Unione europea decise quindi di istituire un nuovo contesto per le sue relazioni con i paesi del bacino mediterraneo in vista di un progetto di partenariato. Questo progetto si è concretizzato in occasione della conferenza di Barcellona che ha riunito, il 27 e 28 novembre 1995, gli allora quindici ministri degli Esteri degli stati membri dell’UE e quelli dei seguenti dodici paesi terzi mediterranei (PTM): Algeria, Cipro, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Malta, Marocco, Siria, Tunisia, Turchia e Autorità palestinese. La conferenza gettò le basi di un processo che avrebbe dovuto portare all’istituzione di un quadro multilaterale di dialogo e di cooperazione tra l’UE e i paesi terzi mediterranei. In occasione di quell’incontro, i 27 paesi partecipanti adottarono all’unanimità una dichiarazione e un programma di lavoro. La dichiarazione si articolava su tre assi principali: 67 CONTRIBUTI E OPINIONI 1 Il partenariato politico e di sicurezza: i partecipanti alla conferenza di Barcellona decisero di istituire un dialogo politico globale e regolare, di agire in conformità della Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, di introdurre lo Stato di diritto e la democrazia nei loro sistemi politici, riconoscendo in questo quadro il diritto di ciascun partecipante di scegliere e sviluppare liberamente il suo sistema politico, socioculturale, economico e giudiziario. Le parti si sono inoltre impegnate a promuovere la sicurezza regionale adoperandosi a favore della non proliferazione chimica, biologica e nucleare mediante l’adesione e l’ottemperanza ai regimi di non proliferazione sia internazionali che regionali, nonché agli accordi sul disarmo e sul controllo degli armamenti. 2 Il partenariato economico e finanziario: la creazione di una zona di prosperità condivisa nel Mediterraneo presupponeva necessariamente uno sviluppo socio-economico sostenibile ed equilibrato, nonchè il miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni, l’aumento del livello di occupazione e la promozione della cooperazione e dell’integrazione regionale. La zona di libero scambio (ZLS) sarebbe stata instaurata grazie ai nuovi accordi euromediterranei e agli accordi di libero scambio stipulati tra gli stessi paesi terzi mediterranei. Le parti fissarono la data del 2010 come meta per la graduale realizzazione di questa zona che coprirà la maggior parte degli scambi, nel rispetto degli obblighi risultanti dall’Organizzazione mondiale per il commercio (OMC). Il programma di lavoro prevedeva alcune misure concrete destinate a promuovere il libero scambio, come l’armonizzazione delle norme e delle procedure doganali. La realizzazione di una zona di libero scambio e il successo globale del partenariato euro-mediterraneo poggiavano su un rafforzamento della cooperazione finanziaria e su un potenziamento sostanziale dell’assistenza finanziaria fornita dall’UE. Il Consiglio europeo di Cannes prevedeva per tale assistenza finanziaria stanziamenti per un importo pari a 4.685 miliardi di euro per il periodo 1995-1999 sotto forma di fondi del bilancio comunitario. A ciò si aggiungono l’intervento della Banca europea per gli investimenti (BEI), sotto forma di prestiti di importo simile e gli aiuti bilaterali degli stati membri. 3 Il partenariato sociale, culturale e umano: ai sensi della Dichiarazione di Barcellona le parti decisero di instaurare un partenariato in ambito sociale, culturale ed umano finalizzato al ravvicinamento e alla comprensione tra i popoli e ad una migliore percezione reciproca. Il partenariato si fondava da un lato sul delicato compromesso tra l’esistenza, il riconoscimento e il rispetto reciproco di tradizioni, di culture e di civiltà diverse su entrambe le sponde del Mediterraneo e dall’altro, sulla valorizzazione delle radici comuni. Il processo di Barcellona è stato per un verso molto importante, perché è stato il primo tentativo dopo la fine del secondo 68 Comuni d’Europa Sicurezza e cooperazione alla pace conflitto mondiale, da parte dell’Europa, di stabilire un rapporto non direttamente coloniale con l’altra sponda del Mediterraneo e in particolare con il mondo maghrebino. Quindi, come progetto, è sicuramente un’evento di grande rilievo che però tutti oggi concordano nel considerarlo in larga parte, privo di successo, se non proprio fallito del tutto, per varie ragioni. Il contesto geopolitico nel quale si iscriveva la Conferenza euro-mediterranea di Barcellona è decisamente cambiato rispetto ad oggi: cinque anni dopo la fine dell’Unione sovietica tutto lasciava pensare allora che il mediterraneo avrebbe tratto beneficio da un mondo riappacificato e, invece, dal 1995 ad oggi la realtà geopolitica regionale non ha fatto altro che peggiorare. La persistenza del conflitto israelo-palestinese ha bloccato sul nascere il processo politico previsto negli accordi di partenariato, l’11 settembre e la guerra contro l’Iraq hanno poi alimentato la sfiducia reciproca facendo dubitare della pertinenza di proseguire il partenariato avviato. Dal punto di vista economico, l’entrata degli stati dell’Europa orientale nell’UE porterà sicuramente i loro prodotti ad aumentare di valore in concordanza con le varie specifiche qualitative, tecniche, di sicurezza e sanitarie imposte da Bruxelles. Il conseguente allargamento del mercato ai prodotti agricoli provenienti dai nuovi stati membri porterà l’UE a essere sempre più autosufficiente per quanto riguarda l’approvvigionamento di beni primari. Tali prodotti, inoltre, dovranno necessariamente godere di trattamenti preferenziali n. 21 • dicembre 2008 a danno di quelli provenienti dai paesi della sponda sud del mediterraneo. Paesi questi ultimi che sono grandi esportatori di frutta e verdura, ora posti in diretta competizione con i neo membri dell’UE. Con un approccio del genere, mentre l’UE vede nel processo di Barcellona un’opportunità di ulteriore sviluppo economico da raggiungere tramite la ristrutturazione in termini di liberalizzazione dei mercati interni e delle strutture economiche dei paesi della sponda sud, gli stati arabi vedono l’applicazione della Dichiarazione di Barcellona portare molti svantaggi economici alla luce della propria rigida struttura economica. Inoltre il rapporto di partenariato è visto in realtà come una relazione eurocentrica e non paritaria come il nome suggerirebbe. Il capitolo sul Security and Defence Dialogue aveva come scopo quello di creare un’area comune di pace e stabilità, attraverso varie misure di collaborazione e dialogo. Proprio il dialogo avrebbe dovuto portare gli stati a trovare una definizione comune di sicurezza. E’ innegabile che il processo di “dialogo” sia stato portato avanti (il numero di riunioni di Ministri ed esperti durante questi anni lo dimostra), ma non si può certo affermare che sia stato capace di avviare ampie collaborazioni, o di raggiungere definizioni condivise, o semplicemente di definire chiaramente gli obiettivi. Nel 1997 si avviarono i lavori per stabilire una Carta Euro-Mediterranea per la Pace e la Stabilità, ma naufragherà tre anni dopo con l’acuirsi della crisi palestinese, dimostrando ancora una volta che ogni 69 CONTRIBUTI E OPINIONI accordo, associazione, collaborazione tra le due sponde del Mediterraneo non sarà mai fattibile se prima non si cura la ferita più sanguinante e antica della zona. I presupposti per la creazione di una comunità di sicurezza sono presenti nei documenti ufficiali e nelle dichiarazioni politiche, ma il suo sviluppo è impedito da eventi che, piuttosto che favorire la formazione della fiducia e dell’identità comune, fanno prevalere la sfiducia e le diversità identitarie. I parteners hanno sottoscritto un accordo per avviare processi di cooperazione, consapevoli che il significato di alcuni di questi concetti e valori (come democrazia e diritti umani) è controverso e necessita ulteriore elaborazione. Molti si chiedono se sia possibile esportare il regime europeo cooperativo di sicurezza, il modello di sviluppo economico liberal-democratico, un sistema politico basato sui principi democratici, sul rispetto dei diritti umani, delle libertà fondamentali e dello stato di diritto, più in generale dei valori comuni all’interno di quest’area. Le relazioni dell’UE con i paesi del Mediterraneo strutturate dal PEM sono improntate su questi principi, ma le specificità socio-economiche e culturali dei partners nonché la persistenza di contrasti politici nell’area impediscono il raggiungimento dell’obiettivo di una maggiore integrazione economica e politica e non permettono un’estensione tout court del sistema di sicurezza europeo. Gli stessi principi di cui l’UE si fa portatrice sono talvolta oggetto di critica da parte dei partners che temono rapporti di “neo-colonialismo” o “neo-imperia- lismo”. Esiste un progetto di democratizzazione forzata del mondo islamico e molti non condividono questo punto di vista. Che quasi tutti i paesi arabi siano gestiti da élite fortemente autoritarie nessuno lo mette in dubbio ma, il compito dell’Europa non dovrebbe essere quello di imporre la democrazia secondo le categorie occidentali. Imporre significa farlo con le armi, o comunque con strumenti coercitivi di carattere giudiziario, o con ricatti economici. Difficile poter ottenere risultati significativi in questo senso, sarebbe invece auspicabile un dialogo tra le due parti che, per un verso consenta all’Europa di proporre le sue vie verso la democrazia e la partecipazione politica popolare, mentre dall’altra manifesti una forte “pazienza” nei confronti del mondo islamico. Quest’ultimo, attraverso movimenti importanti sta cercando di recuperare alcuni valori molto vicini a quelli dell’Europa democratica senza però rifiutare la propria tradizione, non negando la propria grande civiltà e cultura, ma cercando invece di recuperare, all’interno della loro cultura coranica le premesse per una maggiore uguaglianza fra i soggetti, i cittadini, e sopratutto una maggiore dignità di alcune parti della società, come ad esempio le donne. Verso la European Neighbourhood Policy Il Partenariato euro-mediterraneo ha rappresentato un importante passo in avanti nella politica dell’UE verso quest’area geografica e ha avuto l’ambizione di costruire una regione in una zona dove la conflittualità o quanto meno la 70 Comuni d’Europa Sicurezza e cooperazione alla pace separazione ha spesso prevalso sui fattori di integrazione. Processo ambizioso dunque quello del PEM, ma che come abbiamo potuto vedere si è dimostrato fin’ora non all’altezza delle aspettative. A questo proposito, recenti studi hanno sottolineato che per ottenere significativi miglioramenti in termine di benessere serve andare oltre il libero scambio per un maggiore approfondimento dell’integrazione. Questa integrazione approfondita è, in effetti, al centro della Politica di Vicinato, elaborata dall’Unione europea per gestire i propri rapporti di “vicinato” proponendo una integrazione progressiva al Mercato interno europeo. Il recente allargamento a est ha esteso i confini dell’Unione europea fino alla Russia, a sud l’adesione di Malta e Cipro ha ulteriormente accresciuto l’importanza strategica che riveste l’intero arco di paesi che si affacciano da sud e da sud-est sulle coste del Mediterraneo. Nuovi confini significano innanzitutto nuovi vicini: la prossimità geografica impone all’UE l’elaborazione di una strategia coerente, in base alla quale impostare i rapporti con i paesi vicini. Nata sopratutto su impulso della Gran Bretagna e della Svezia, e lanciata dalla Commissione nella primavera del 2003, la Politica Europea di Vicinato è stata un tentativo di rapportarsi a quella diversificata area, offrendo un’alternativa all’adesione consistente in una maggiore integrazione con l’Unione, nel dialogo politico rafforzato e nell’incremento dell’assistenza finanziaria. “All but institution” recitava il ben noto slogan dell’allora presidente della Commissione ai paesi n. 21 • dicembre 2008 che si sarebbero trovati ai confini dell’UE allargata. Il commissario europeo per le Relazioni esterne Benita Ferrero Waldner ha più volte sottolineato questo aspetto “La PEV non è una politica di allargamento. Non pregiudica eventuali prospettive di paesi europei che in futuro potrebbero presentare una candidatura di adesione, ma neppure offre una prospettiva di questo genere”. Con questa politica si intende garantire la stabilità dell’area a ridosso delle nuove frontiere offrendo ai paesi confinanti la prospettiva di una partecipazione al Mercato unico europeo e a un’ulteriore promozione della libera circolazione di persone, beni, servizi e capitali a condizione che in tali paesi vengano avviati processi di riforme politiche, sociali ed economiche. I paesi inseriti nell’area di vicinato sono l’Algeria, l’Autorità Nazionale Palestinese, l’Egitto, la Giordania, Israele, il Libano, il Marocco, la Siria, la Tunisia, la Moldavia, la Russia, la Bielorussia, l’Ucraina, l’Armenia, l’Azerbaigian e la Georgia. La PEV, dunque, punta ad aggiornare e rafforzare rapporti che erano, nella maggior parte dei casi, in una situazione di stallo e lo fa instaurando relazioni privilegiate bilaterali, e non multilaterali come nel PEM (che in qualche misura viene assorbito dalla PEV) fondate su un impegno reciproco ispirato a valori condivisi: democrazia, diritti umani, economia di mercato e sviluppo sostenibile. In concreto questo nuovo modello di relazioni bilaterali si basa su Piani d’Azione definiti dall’UE e da ciascuno dei paesi interessati; dei piani “confezionati su misura” sulla scorta degli interessi, dei 71 CONTRIBUTI E OPINIONI bisogni e delle capacità del singolo partner, nonché ovviamente dei principi che per l’Europa sono irrinunciabili. I Piani d’Azione e i finanziamenti più abbondanti e funzionali sono le due principali novità della PEV, i primi sono il principale strumento politico di gestione della differenziazione: non costituiscono un innovazione in termini giuridici nei rapporti tra l’UE e i paesi partner ma sono piuttosto documenti di indirizzo politico che dovrebbero indicare le aree prioritarie di intervento e gli obiettivi di riforma. Questi documenti vengono negoziati congiuntamente dalla Commissione sulla base di un Country Strategy Paper e dal governo partner. Delineano le priorità di riforma da perseguire nel breve e medio termine (dai tre ai cinque anni, a seconda dei paesi), e incarnano un approccio molto più attivo rispetto ai precedenti accordi tra l’UE e i suoi vicini. Il fatto che essi siano negoziati assieme ai governi interessati dovrebbe rafforzare - per usare la terminologia della Commissione - la dimensione di partenariato della PEV e l’intero processo di riforma. Lo Strumento europeo di partenariato e vicinato (ENPI - European Neighbourhood and Partnership Instrument) fornisce l’assistenza finanziaria ai paesi partner al fine della realizzazione degli obiettivi della PEV e del partenariato strategico con la Russia. Divenuto operativo a partire dall’inizio del 2007, esso sostituisce i tradizionali strumenti finanziari dell’UE per la cooperazione con i paesi vicini (TACIS, MEDA). Anche se molto simili, i meccanismi che lo governano presentano delle differenze rispetto ai precedenti, sopratutto nell’ambito delle modalità di cooperazione. Insieme alle dimensioni bilaterali e regionali, l’ENPI prevede tre ulteriori componenti: cooperazione interregionale, cooperazione transfrontaliera e cooperazione tematica. C’è da dire che all’intensificarsi della cooperazione non è seguito un corrispondente aumento di risorse, così come auspicato dalla Commissione europea sebbene si sia avuto un incremento del +32% rispetto alle risorse del 2000-2006. La dotazione finanziaria dell’ENPI, infatti, per il periodo 2007-2013 ammonta a 11,967 miliardi di euro, mentre nel 20002006 si è attestata su circa 5,3 miliardi per il MEDA e 3,1 miliardi per il TACIS. Alle risorse attribuite all’ENPI dalle prospettive finanziarie 2007-2013 bisogna aggiungere il contributo in prestiti della Banca europea degli investimenti (BEI), notevolmente superiore a quello del periodo di programmazione precedente, sopratutto riguardo ai paesi dell’Est. In generale, l’assistenza dell’ENPI sarà rivolta sopratutto agli ambiti prioritari del Piano d’Azione che mirano ad una maggiore integrazione nel mercato interno sia appoggiando la realizzazione delle riforme necesarie sia attraverso interventi più mirati all’avvicinamento di questi Paesi alla legislazione, regole e standard comunitari. Relativamente ai paesi che per il momento restano fuori dalla PEV, l’assistenza dell’ENPI continuerà a proseguire gli obiettivi del PEM (Algeria, Siria) mentre in Bielorussia sarà diretta prioritariamente ai bisogni della popolazione attraverso un supporto al processo di democratizzazione. 72 Comuni d’Europa Sicurezza e cooperazione alla pace Tuttavia, in termini relativi, esistono delle differenze sostanziali tra i partner del Sud e quelli dell’Est. Le differenze principali riguardano la ripartizione tra i differenti settori, più omogenea nei partner dell’Est che in quelli del Sud dove gli ambiti più direttamente legati allo sviluppo economico e sociale concentrano quasi l’intero ammontare delle risorse. Di contro, nell’ambito “Dialogo politico e riforme” le risorse si attestano su una media dell’11,5%. La ragione della maggiore concentrazione di risorse a supporto delle riforme economiche nei paesi del sud risiede nella maggiore difficoltà che il processo di integrazione assumerà in questi paesi rispetto all’est a causa del divario esistente tra le due aree in termini di sviluppo economico e sociale, ma anche di capacità delle pubbliche amministrazioni locali nell’assumersi il fardello che questo processo comporta. Fra il 1995 e il 2004 la politica mediterranea dell’Unione europea si è realizzata quindi attraverso il Partenariato EuroMediterraneo (PEM), lanciato a Barcellona. Dopo l’allargamento dell’UE nel 2004, i Paesi sud mediterranei facenti parte del PEM sono stati inclusi anche nella nuova Politica europea di Vicinato (PEV) accanto a quelli dell’Europa orientale restati fuori dall’UE. Dal 2004, pertanto la politica mediterranea dell’UE ha un carattere dualistico: da una parte la PEV, a carattere bilaterale, che si occupa essenzialmente delle materie comprese nel secondo pilastro della Dichiarazione di Barcellona (le relazioni economiche), materie prevalentemente n. 21 • dicembre 2008 gestite dalla Commissione, dall’altra il PEM, a carattere collettivo, che rimane competente per le materie politiche e di sicurezza e le relazioni socio-culturali (primo e secondo pilastro), di cui si occupano prevalentemente i governi. Tali mutamenti riflettono però una profonda insoddisfazione per i risultati, a dir poco modesti, realizzati nell’ambito del PEM. Ed è sullo sfondo di questa evoluzione in atto della politica mediterranea dell’UE che è recentemente emersa l’iniziativa del presidente della Francia Nicolas Sarkozy, mirante alla creazione di un’Unione per il Mediterraneo (UM). Fin’ora il governo francese non ha offerto una presentazione ufficiale e dettagliata dell’iniziativa, si può comunque tracciare un quadro della proposta sulla base delle informazioni pubbliche disponibili, benché, va notato, esse siano ancora generali e soggette a cambiamenti. L’UM comporterebbe la messa in opera di una sorta di processo di vertice modellato sul G8, una sorta di “Vertice mediterraneo” che riunirebbe i capi di Stato e di governo dei paesi partecipanti. Esso deciderebbe su pochi e ben selezionati progetti che riguarderebbero quattro aree prioritarie: ambiente e sviluppo sostenibile, crescita economica e sviluppo sociale, dialogo fra le culture e alcuni temi di sicurezza “soft”, come la sicurezza marittima, la protezione civile e la lotta al terrorismo. L’UM non avrebbe un proprio strumento finanziario, ma ricorrerebbe a fondi esistenti, come pure a risorse private. Quanto ai paesi che dovrebbero partecipare all’UM, le proposte avanzate da Parigi hanno avuto parecchie oscilla73 CONTRIBUTI E OPINIONI zioni. Nel complesso, la partecipazione dovrebbe essere “mediterranea” piuttosto che “euro-mediterranea”, tenderebbe quindi a includere i paesi dell’Europa del sud accanto a quelli delle altre sponde mediterranee ed escludere i paesi del nord Europa. Il 20 dicembre 2007 si è svolto a Roma un incontro fra il presidente francese e i primi ministri di Spagna e Italia Zapatero e Prodi che hanno dato il loro sostegno alla proposta di Sarkozy di tenere il primo vertice dell’UM a Parigi a metà luglio 2008. L’iniziativa dell’UM è motivata da una valutazione particolarmente negativa e pessimista del formato politico via via assunto dal PEM: la Francia crede che oramai il formato politico assunto da quest’ultimo sia riconducibile a una mera conferenza diplomatica e che ormai non abbia più senso o utilità. Per affrontare i problemi mediterranei occorre, secondo Parigi, un iniziativa come l’Unione per il Mediterraneo che possa beneficiare di una forte dinamica politica e sia condotta al massimo livello politico. Tuttavia ciò ha sollevato non poche problematiche, in Francia ma anche all’interno degli stati membri e in primis della Germania con il parziale disappunto del suo cancelliere Angela Merkel. L’UM vuole essere uno schema perfettamente intra-mediterraneo, rivolto soprattutto ai paesi rivieraschi. La Francia non intende contrapporlo all’UE, tanto che prevede che la Commissione europea faccia parte dell’UM e gli stati europei del nord partecipino come osservatori. Ma, effettivamente, l’iniziativa presenta caratteristiche che, al di la delle intenzioni, potrebbero dar adito a una competizione, se non ad un antagonismo, con la cooperazione euro-mediterranea. La risposta francese può anche essere una soluzione efficace per far uscire la politica mediterranea dall’indubbia crisi in cui si trova, ma occorre tenere bene presenti e dare soluzioni adeguate ai due problemi politici che essa solleva. Da una parte, c’è la necessità di svilupparla in modo da renderla complementare con la politica mediterranea dell’UE. Dall’altra occorre tener presente il fatto che l’iniziativa dell’UM deriva dall’allargamento, di conseguenza, tecnicamente ha a che fare con il mediterraneo ma, politicamente, riguarda l’Unione Europea e il suo destino. Che la si veda da una prospettiva o dall’altra, appare comunque vitale che sia preservata la coesione interna dell’UE. Conclusioni A tredici anni dalla firma della Dichiarazione di Barcellona molte ancora sono le perplessità e, come detto precedentemente, molti non esitano a definire l’intero processo un fallimento. I maggiori ostacoli all’attuazione del programma si possono riassumere con tre criticità: • l’effettiva capacità e volontà delle società civili ad adeguarsi alle riforme richieste e indotte dal PEM; • l’adeguamento delle “nuove” istituzioni alle realtà locali: vi è il rischio cioè che, nel tentativo di riforma, vengano introdotti modelli istituzionali di stampo occidentale, che non necessariamente si rivelano tagliati per sistemi governativi come quelli arabi; 74 Comuni d’Europa Sicurezza e cooperazione alla pace • il pericolo di un rapporto troppo sbilanciato tra i paesi firmatari la Dichiarazione anche alla luce dell’allargamento ad est dell’Unione europea. Gli aiuti finanziari adottati dall’UE per agevolare il processo di transizione dei paesi MED, potrebbero divenire un forte strumento di pressione nei confronti dei governi locali, soprattutto di quelli che hanno difficoltà nel reperire in altro modo le risorse finanziarie necessarie per realizzare il piano di riforme richiesto dal PEM. Il rischio quindi, si materializzerebbe nella concreta sensazione di un rapporto squilibrato, nel quale la partnership è solamente subita e non anche condivisa, e le riforme politiche sociali ed economiche che dovrebbero nascere e svilupparsi in modo autonomo dal tessuto interno del paese, sono guidate e stimolate più dalla prospettiva di ottenere un flusso consistente di aiuti economici, piuttosto che da una consapevolezza della loro necessità. Benché il programma di cooperazione nasca con un approccio paritario, nei fatti si trasforma in una forma di pressione indiretta che pone i paesi della sponda sud davanti alla sostanziale scelta di accettare la cooperazione e le proposte di riforma o cavarsela con i propri mezzi. Tuttavia il fallimento e le difficoltà che riscontriamo nelle relazioni tra l’UE e i paesi MED, non affonda le sue radici nel solo atteggiamento dell’Unione teso a far prevalere i propri interessi strategici nell’area a discapito degli interessi di quest’ultima presa nel suo insieme, derivando esso anche da oggettive n. 21 • dicembre 2008 carenze sia economiche che politiche nell’area mediterranea non europea. La sponda sud del Mediterraneo è un’area economica caratterizzata da una generale arretratezza rispetto agli standard internazionali: escludendo Israele, la cui struttura economica è sostanzialmente “occidentalizzata”, la restante parte dell’area si distingue per bassa crescita, alti tassi di sviluppo demografici, inefficienza dello Stato, debolezza del settore privato ed impoverimento di quello pubblico, scarsa propensione all’attrazione degli investimenti internazionali. Soltanto l’Africa sub-sahariana presenta un quadro più pessimista. Alla generale arretratezza va aggiunta la disomogeneità delle situazioni quale causa prima dello scarso sviluppo multilaterale il quale ha fino ad oggi prodotto rarissime occasioni di coordinamento se si eccettua l’Accordo di Agadir (2002) sottoscritto dalle economie più dinamiche dell’area (Egitto, Giordania, Marocco e Tunisia), inoltre, come più volte menzionato, la strada del regionalismo e del multilateralismo stenta a trovare la sua giustificazione in un area come quella mediterranea, da sempre teatro di fortissime differenze che tutt’ora perdurano e generano conflitti. Molti paesi mediterranei non hanno potuto o voluto seguire l’esempio comunitario e, anziché dare vita a un processo di sviluppo razionale e lungimirante che prevedesse la riforma radicale dello stato e la modernizzazione della società nel suo complesso, si sono sovente fatti attrarre da modelli economici obsoleti e inadatti alle loro esigenze. 75 CONTRIBUTI E OPINIONI L’economia dei paesi mediterranei dipende in modo esenziale dagli investimenti esteri. La scarsa stabilità interna e le note difficoltà internazionali riducono drasticamente il flusso dei capitali investiti nell’area. Molti operatori europei, ma anche gli stessi arabi del Golfo, si sono spesso mostrati riluttanti a investire nel sud del Mediterraneo e preferiscono sovente altri paesi che danno maggiori garanzie di stabilità e sicurezza.Gli investimenti sono dunque proporzionalmente pochi e concentrati in alcuni settori chiave come il turismo, lo sfruttamento delle materie prime e, in misura minore, l’agricoltura di qualità destinata all’esportazione. Le principali aziende operanti nei paesi mediterranei sono in mani straniere e quindi soggette a strategie di sviluppo non sempre in linea con le necessità del paese dove operano, mentre la piccola e media impresa locale non riesce a svilupparsi e a modernizzarsi per fare fronte alle mutate condizioni di mercato. Le politiche mediterranee hanno inoltre subito una mutazione significativa via via che la situazione politica nella regione si deteriorava. La crescente diffidenza reciproca, le molte incomprensioni e la mancanza di una linea politica coerente hanno ritardato i negoziati: la stessa data del 2010, fissata per la creazione di una zona di libero scambio euro-mediterranea non sembra più realistica.. Per molti paesi europei il Processo di Barcellona è diventato uno strumento meramente politico che permette di esercitare un controllo discreto sulla regione mediterranea e sui paesi che la compongono. Gli obiettivi non sono più quelli di avvicinare le due sponde del Mediterraneo quanto piuttosto di tenere a bada alcune pericolose derive geo-politiche alle porte dell’Europa. Si tratta in particolare di convincere i paesi arabi a impegnarsi di più contro il terrorismo islamico e a esercitare un controllo più serio dell’immigrazione clandestina e irregolare. In altre parole, l’Unione europea ha cercato, invano (almeno per ora), di stabilizzare la regione attraverso quegli strumenti di soft power (finanziamenti, assistenza tecnica, moderate pressioni politiche) che hanno dato migliore prova nell’Europa centro orientale. La mancanza di una visione ad ampio respiro, lo scarso interesse mostrato da molti stati membri e l’insufficienza delle risorse destinate a questo progetto, ne hanno probabilmente compromesso l’esito finale. BIBLIOGRAFIA • Verruso Alfredo “Il partenariato euromediterraneo, cenni storici sulle relazioni euromediterranee” 2002, working paper RAE (rete artigianato per l’Europa); • A.A.V.V. “Un partenariato euro-mediterraneo rinnovato per la pace, l’occupazione e lo sviluppo sostenibile” 2008, contributo agli incontri tra i Capi di Stato e di Governo del 13 e 14 Luglio 2008 a Parigi; • Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio “Una forte politica europea di vicinato” 2007; • Mondelli Massimiliano “L’Europa in espansione: sovrapposizioni, inclusioni ed esclusioni nell’estero condiviso” 2005, Policy Brief ISPI 76 Comuni d’Europa Sicurezza e cooperazione alla pace • Stocchiero Andrea e Marta Piccarozzi “Opportunità e limiti della cooperazione transfrontaliera in ENPI” 2007, working paper CeSpi; • Zallio Franco “Le economie mediterranee tra Europa e Golfo” 2008, Med Brief ISPI; • Zallio Franco “Non solo petrolio: le prospettive economiche del Mediterraneo allargato” 2005, Policy Brief ISPI; • Zallio Franco e Valeria Talbot “Tra bilaterali- n. 21 • dicembre 2008 smo e regionalismo: la politica europea di vicinato nel Mediterraneo” 2008, Ricerche ISPI, Relazioni internazionali; SITOGRAFIA http:://europa.eu/pol/ext/index_it.htm http://ec.europe.eu/world/enp/index_en.htm http://www.euromedi.org http://www.cooperazione.formez.it 77 DOCUMENTI Carta europea dell'autonomia locale Preambolo Gli Stati membri del Consiglio d’Europa, firmatari della presente Carta, considerando che il fine del Consiglio d’Europa è di realizzare un’unione più stretta tra i suoi membri, per salvaguardare e promuovere gli ideali ed i principi che sono il loro patrimonio comune; considerando che la stipulazione di accordi nel settore amministrativo è uno dei mezzi atti a realizzare detto fine; considerando che le collettività locali costituiscono uno dei principali fondamenti di ogni regime democratico; considerando che il diritto dei cittadini a partecipare alla gestione degli affari pubblici fa parte dei principi democratici comuni a tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa; convinti che è a livello locale che il predetto diritto può essere esercitato il più direttamente possibile; convinti che l’esistenza di collettività locali investite di responsabilità effettive consente un’amministrazione efficace e vicina al cittadino; consapevoli del fatto che la difesa ed il rafforzamento dell’autonomia locale nei vari Paesi europei rappresenti un importante contributo all’edificazione di un’Europa fondata sui principi della democrazia e del decentramento del potere; affermando che ciò presuppone l’esistenza di collettività locali dotate di organi decisionali democraticamente costituiti, che beneficino di una vasta autonomia per quanto riguarda le loro competenze, le modalità d’esercizio delle stesse, ed i mezzi necessari all’espletamento dei loro compiti istituzionali, hanno convenuto quanto segue: Art. 1 Le Parti s’impegnano a considerarsi vincolate dagli articoli seguenti, nella maniera e nella misura prescritta dall’articolo 12 della presente Carta. PARTE I Art. 2 - Fondamento costituzionale e legale dell’autonomia locale Il principio dell’autonomia locale deve essere riconosciuto dalla legislazione interna, e per quanto possibile, dalla Costituzione. 78 Comuni d’Europa Carta europea dell'autonomia locale Art. 3 - Concetto di autonomia locale 1. Per autonomia locale, s’intende il diritto e la capacità effettiva, per le collettività locali, di regolamentare ed amministrare nell’ambito della legge, sotto la loro responsabilità, e a favore delle popolazioni, una parte importante degli affari pubblici. 2. Tale diritto è esercitato da Consigli e Assemblee costituiti da membri eletti a suffragio libero, segreto, paritario, diretto ed universale, in grado di disporre di organi esecutivi responsabili nei loro confronti. Detta disposizione non pregiudica il ricorso alle Assemblee di cittadini, al referendum, o ad ogni altra forma di partecipazione diretta dei cittadini qualora questa sia consentita dalla legge. 4. Le competenze affidate alle collettività locali devono di regola essere complete ed integrali. Possono essere messe in causa o limitate da un’altra autorità, centrale o regionale, solamente nell’ambito della legge. 5. In caso di delega dei poteri da parte di un’autorità centrale o regionale, le collettività locali devono fruire, per quanto possibile, della libertà di armonizzare l’esercizio delle loro funzioni alle condizioni locali. 6. Le collettività locali dovranno essere consultate per quanto possibile, in tempo utile ed in maniera opportuna nel corso dei processi di programmazione e di decisione per tutte le questioni che le riguardano direttamente. Art. 4 - Portata dell’autonomia locale 1. Le competenze di base delle collettività locali sono stabilite dalla Costituzione o dalla legge. Tuttavia, detta norma non vieta il conferimento, alle collettività locali, di competenze specifiche, in conformità alla legge. 2. Le collettività locali hanno, nell’ambito della legge, ogni più ampia facoltà di prendere iniziative proprie per qualsiasi questione che non esuli dalla loro competenza o sia assegnata ad un’altra autorità. 3. L’esercizio delle responsabilità pubbliche deve, in linea di massima, incombere di preferenza sulle autorità più vicine ai cittadini. L’assegnazione di una responsabilità ad un’altra autorità deve tener conto dell’ampiezza e della natura del compito e delle esigenze di efficacia e di economia. Art. 5 - Tutela dei limiti territoriali delle collettività locali Per ogni modifica dei limiti locali territoriali, le collettività locali interessate dovranno essere preliminarmente consultate, eventualmente mediante referendum, qualora ciò sia consentito dalla legge. n. 21 • dicembre 2008 Art. 6 - Adeguamento delle strutture e dei mezzi amministrativi alle missioni delle collettività locali 1. Senza pregiudizio di norme più generali emanate dalla legge, le collettività locali devono poter definire esse stesse le strutture amministrative interne di cui intendono dotarsi, per adeguarle alle loro esigenze specifiche in modo tale da consentire un’amministrazione efficace. 2. Lo statuto del personale delle collettività locali deve consentire un recluta79 DOCUMENTI mento di qualità, che si basi sui principi del merito e della competenza; a tal fine, deve associare adeguate condizioni di formazione, di remunerazione e di prospettive di carriera. rispetto di un’equilibrio tra l’ampiezza dell’intervento dell’autorità di controllo e dell’importanza degli interessi che essa intende salvaguardare. Art. 9 - Risorse finanziarie delle collettività locali 1. Le collettività locali hanno diritto, nell’ambito della politica economica nazionale, a risorse proprie sufficienti, di cui possano disporre liberamente nell’esercizio delle loro competenze. 2. Le risorse finanziarie delle collettività locali devono essere proporzionate alle competenze previste dalla Costituzione o dalla legge. 3. Una parte almeno delle risorse finanziarie delle collettività locali deve provenire da tasse e imposte locali di cui esse hanno facoltà di stabilire il tasso nei limiti previsti dalla legge. 4. I sistemi finanziari che sostengono le risorse di cui dispongono le collettività locali devono essere di natura sufficientemente diversificata ed evolutiva per consentire loro di seguire, in pratica, per quanto possibile, l’andamento reale dei costi di esercizio delle loro competenze. 5. La tutela delle collettività locali finanziariamente più deboli richiede la messa in opera di procedure di perequazione finanziaria o di misure equivalenti, destinate a correggere gli effetti di una ripartizione impari di fonti potenziali di finanziamento, nonché degli oneri loro incombenti. Dette procedure o misure non devono diminuire la libertà di opzione delle collettività locali nel proprio settore di responsabilità. 6. Le collettività locali dovranno essere Art. 7 - Condizioni dell’esercizio delle responsabilità a livello locale 1. Lo statuto dei rappresentanti eletti dalle collettività locali deve assicurare il libero esercizio del loro mandato. 2. Esso deve consentire un adeguato compenso finanziario delle spese derivanti dall’esercizio del loro mandato, nonché, se del caso, un compenso finanziario per i profitti persi, od una remunerazione per il lavoro svolto, nonché un’adeguata copertura sociale. 3. Le funzioni ed attività incompatibili con il mandato di eletto locale possono essere stabilite solamente dalla legge o dai principi giuridici fondamentali. Art. 8 - Verifica amministrativa degli atti delle collettività locali 1. Ogni verifica amministrativa sulle collettività locali potrà essere effettuata solamente nelle forme e nei casi previsti dalla Costituzione o dalla legge. 2. Ogni verifica amministrativa degli atti delle collettività locali deve di regola avere come unico fine di assicurare il rispetto della legalità e dei principi costituzionali. La verifica amministrativa può, tuttavia, comportare una verifica esercitata da autorità, a livello superiore, dell’opportunità in merito ai compiti, la cui esecuzione è delegata alle collettività locali. 3. La verifica amministrativa delle collettività locali deve essere esercitata nel 80 Comuni d’Europa Carta europea dell'autonomia locale autonomia locale, consacrati dalla Costituzione o dalla legislazione interna. opportunamente consultate per quanto riguarda le modalità dell’assegnazione, nei loro confronti, delle risorse nuovamente distribuite. 7. Per quanto possibile, le sovvenzioni concesse alle collettività locali non dovranno essere destinate al finanziamento di progetti specifici. La concessione di sovvenzioni non deve pregiudicare la libertà fondamentale della politica delle collettività locali, nel proprio settore di competenza. 8. Per finanziare le loro spese di investimento, le collettività locali devono poter avere accesso, in conformità alla legge, al mercato nazionale dei capitali. PARTE II: DISPOSIZIONI VARIE Art. 12 - Impegni 1. Ciascuna Parte s’impegna a considerarsi vincolata da venti almeno dei paragrafi della Parte I della Carta, di cui almeno dieci prescelti tra i paragrafi seguenti: • articolo 2, • articolo 3, paragrafi 1 e 2, • articolo 4, paragrafi 1, 2 e 4, • articolo 5, • articolo 7, paragrafo 1, • articolo 8, paragrafo 2, • articolo 9, paragrafi 1, 2 e 3, • articolo 10, paragrafo 1, • articolo 11. 2. Ciascun Stato contraente, al momento del deposito del proprio strumento di ratifica, di accettazione o di approvazione, notificherà al Segretario Generale del Consiglio d’Europa i paragrafi prescelti in conformità alla norma del paragrafo 1 del presente articolo. 3. Ciascuna Parte può, in qualsiasi ulteriore momento, notificare al Segretario Generale che essa si considera vincolata da ogni altro paragrafo della presente Carta, che non aveva ancora accettato in conformità alle disposizioni del paragrafo 1 del presente articolo. Detti successivi impegni verranno considerati come parte integrante della ratifica, dell’accettazione o dell’approvazione della Parte che effettua la notifica, e produrranno i medesimi effetti dal primo giorno del mese successivo allo scadere di un periodo di tre mesi Art. 10 - Diritto di associazione delle collettività locali 1. Le collettività locali hanno diritto, nell’esercizio delle loro competenze, a collaborare e, nell’ambito della legge, ad associarsi ad altre collettività locali per la realizzazione di attività di interesse comune. 2. Il diritto delle collettività locali di aderire ad un’associazione per la tutela e la promozione dei loro interessi comuni e quello di aderire ad un’associazione internazionale di collettività locali devono essere riconosciuti in ogni Stato. 3. Le collettività locali possono, alle condizioni eventualmente previste dalla legge, cooperare con le collettività di altri Stati. Art. 11 - Tutela legale dell’autonomia locale Le collettività locali devono disporre di un diritto di ricorso giurisdizionale, per garantire il libero esercizio delle loro competenze ed il rispetto dei principi di n. 21 • dicembre 2008 81 DOCUMENTI dopo la data di ricevimento della notifica da parte del Segretario Generale. approvazione. Gli strumenti di ratifica, di accettazione o di approvazione saranno depositati presso il Segretario Generale del Consiglio d’Europa. 2. La presente Carta entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo allo scadere di un periodo di tre mesi dopo la data alla quale quattro Stati membri del Consiglio d’Europa abbiano espresso il loro consenso ad essere vincolati dalla Carta, in conformità alle norme del paragrafo precedente. 3. Per ogni Stato membro che esprimerà successivamente il suo consenso ad essere vincolato dalla Carta, questa entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo allo scadere di un periodo di tre mesi dopo la data del deposito dello strumento di ratifica, di accettazione o di approvazione. Art. 13 - Collettività cui si applica la Carta I principi di autonomia locale contenuti nella presente Carta si applicano a tutte le categorie di collettività locali esistenti sul territorio della Parte. Ciascuna Parte può tuttavia, al momento del deposito del suo strumento di ratifica, di accettazione o di approvazione, designare le categorie di collettività locali e regionali alle quali intende limitare il settore di applicazione o che intende escludere dal settore di applicazione della presente Carta. Essa può anche includere altre categorie di collettività locali o regionali nell’ambito di applicazione della Carta, mediante ulteriore notifica al Segretario Generale del Consiglio d’Europa. Art. 16 - Clausola territoriale 1. Ciascuno Stato può, al momento della firma, o al momento del deposito del proprio strumento di ratifica, di accettazione, di approvazione o di adesione indicare il o i territori cui si applicherà la presente Carta. 2. Ciascuno Stato potrà, in qualsiasi altro successivo momento, mediante dichiarazione indirizzata al Segretario Generale del Consiglio d’Europa, estendere l’applicazione della presente Carta ad ogni altro territorio designato nella dichiarazione. La Carta entrerà in vigore nei confronti di detto territorio il primo giorno del mese successivo allo scadere di un periodo di tre mesi dopo la data di ricevimento della dichiarazione da parte del Segretario Generale. Art. 14 - Comunicazioni di informazioni Ciascuna Parte trasmette al Segretario Generale del Consiglio d’Europa ogni opportuna informazione relativa alle disposizioni legislative ed altre misure adottate allo scopo di adeguarsi ai termini della presente Carta. PARTE III Art. 15 - Firma, ratifica, entrata in vigore 1. La presente Carta è aperta alla firma degli Stati membri del Consiglio d’Europa. Sarà sottoposta a ratifica, accettazione e 82 Comuni d’Europa Carta europea dell'autonomia locale 3. Ogni dichiarazione resa, in virtù dei due paragrafi precedenti, potrà essere ritirata, per quanto riguarda i territori indicati in detta dichiarazione, mediante notifica inviata al Segretario Generale. Il ritiro avrà effetto dal primo giorno del mese successivo allo scadere di un periodo di sei mesi dopo la data di ricevimento della notifica da parte del Segretario Generale. considerata come avendo denunciato la Carta stessa. Art. 18 - Notifiche Il Segretario Generale del Consiglio d’Europa notificherà agli Stati membri del Consiglio: a. ogni firma; b. il deposito di ogni strumento di ratifica, di accettazione o di approvazione; c. ogni data di entrata in vigore della presente Carta, in conformità al suo articolo 15; d. ogni notifica ricevuta in applicazione delle disposizioni dell’articolo 12, paragrafi 2 e 3; e. ogni notifica ricevuta in applicazione delle disposizioni dell’articolo 13; f. ogni altro atto, notifica o comunicazione relativa alla presente Carta. Art. 17 - Denuncia 1. Nessuna Parte può denunciare il presente Statuto prima dello scadere di un periodo di cinque anni successivo alla data di entrata in vigore della Carta nei suoi confronti. Un preavviso di sei mesi sarà notificato al Segretario Generale del Consiglio d’Europa. Detta denuncia non pregiudica la validità della Carta nei confronti delle altre Parti, fermo restando che il numero di queste non sia mai inferiore a quattro. 2. Ciascuna Parte può, in conformità alle norme enunciate nel paragrafo precedente, denunciare ogni paragrafo della Parte I della Carta da essa accettato, con riserva che il numero e la categoria dei paragrafi cui questa Parte è vincolata rimangano conformi alle disposizioni dell’articolo 12, paragrafo 1. Ciascuna Parte che, a seguito della denuncia di un paragrafo, non si adegui più alle disposizioni dell’articolo 12, paragrafo 1, sarà n. 21 • dicembre 2008 In fede di che, i sottoscritti, debitamente autorizzati a tale scopo, hanno firmato la presente Carta. Fatto a Strasburgo il 15 ottobre 1985 in francese ed in inglese, i due testi facenti ugualmente fede, in un unico esemplare, che sarà depositato negli archivi del Consiglio d’Europa. Il segretario Generale del Consiglio d’Europa ne invierà copia autenticata conforme a ciascuno degli Stati membri del Consiglio d’Europa. (Seguono le firme) 83 DOCUMENTI La riforma delle autonomie regionali e locali Un documento del 1988 del Consiglio nazionale dell’Aiccre In occasione del ventesimo anniversario dell’approvazione della “Carta europea delle autonomie locali” del Consiglio d’Europa nel 1988, pubblicata nelle pagine precedenti, riproponiamo un documento elaborato dal Consiglio nazionale dell’Aiccre, appunto nell’ottobre 1988, ricordando che il CCRE aveva già ritenuto necessario, fin dal suo secondo anno di vita (nel 1953), di approvare una «Carta europea delle libertà locali», che ispira ampiamente il presente documento e di cui ritroviamo diversi elementi nella stessa Carta del Consiglio d’Europa. tica delle elezioni europee del 1989, con l’attuazione e l’impegno che essa dovrà provocare per i futuri sviluppi, anche istituzionali, del processo di unificazione, e l’altra data, ormai anch’essa prossima, del 1992 (completamento del grande mercato unico europeo), non consentono ripiegamenti puramente nazionali nel dibattito sulle autonomie locali e regionali. I nuovi traguardi accentueranno il confronto tra i Paesi (e le rispettive società) della Comunità negli anni novanta e ogni disfunzione nel sistema degli Enti locali e delle Regioni in Italia renderà precario il sostenere positivamente questo confronto: ma ancor più che il confronto il progresso delle autonomie in Italia richiama il fatto che esso sarà condizionato dal e condizionerà il progresso federativo dell’intera Comunità, e il suo avvio all’autentica Unione politica sovranazionale, il suo sviluppo, la sua democrazia. Questa riflessione, che I’AICCRE desidera sollecitare, ha dunque risvolti giuridici e economico-finanziari, ma apparirà assolutamente evidente il suo prioritario contenuto politico-istituzionale e i suoi necessari riferimenti culturali. I problemi di fondo di un ordinamento Premessa Per la riforma e il progresso delle autonomie territoriali in Italia occorre tener conto di quella visione d’insieme del «sistema delle autonomie », dalla quale sarebbe senza senso e inconcludente prescindere: d’altra parte è evidente la necessità di considerare costantemente il nuovo quadro di riferimento europeo nel quale il nostro Paese si trova sempre più inserito e che è destinato ad incidere profondamente su tutta la società nazionale e, quindi, anche sull’attuale situazione delle autonomie territoriali. La scadenza poli84 Comuni d’Europa La riforma delle autonomie locali Riforma delle autonomie locali e ordinamento regionale Non è concepibile una riforma delle autonomie infra-regionali senza che vengano chiariti definitivamente il ruolo e le caratteristiche della Regione: ciò vale in sede italiana, ciò vale tanto più in un contesto europeo. La Regione italiana, nella prospettiva di unlEuropa delle Regioni, deve divenire sempre più un ente programmatorio: gli artt. 117-1 18 della Costituzione già criticati dalla cultura più avanzata nella stagione della Costituente - appaiono ora del tutto superati. Alla Regione spettano compiti di governo e, simultaneamente, di sintesi a fylori, di base, di programmazione economica e pianificazione del territorio, ivi includendo tutti i problemi posti dall’ecologia. Inoltre la Regione ha un ruolo essenziale per assicurare la convivenza di tradizioni locali e, talvolta, di etnie diversificate. Non si può quindi procedere ad una seria riforma delle autonomie locali, stralciando i problemi delle Province e dei Comuni da quelli di una riforma delle Regioni, che tenga conto delle profonde trasformazioni, avvenute sul piano interno del nostro paese e nei suoi rapporti esterni, dalla data di entrata in vigore della Costituzione repubblicana. Ciò che comunque prometteva più di un decennio fa la legge 616 è rimasto largamente lettera morta: così si intralcia la riforma delle autonomie infraregionali. locale e regionale delle autonomie si radicano infatti in una maturata concezione di valori essenziali, in una corretta percezione dei mutamenti in corso, nell’individuazione dei bisogni reali della gente, nella capacità di considerare globalmente le convergenze e le contrapposizioni proprie di una società complessa come la nostra, e anche la comprensione profonda di quel che vuol dire l’edificazione di una nuova democrazia europea. Una risposta puramente «tecnica» sarebbe perciò del tutto inadeguata e illusoria. Di questa impostazione si fece, del resto, portavoce, fin dal 1953, il Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa con l’approvazione a Versailles della Carta Europea delle libertà locali: essa merita la dovuta attenzione da parte dei governi e dei parlamenti nazionali, compreso quello italiano, per la sua ratifica ed applicazione. In pari tempo sin dalle origini - cioè negli anni cinquanta - il CCRE delineò la strategia di una Europa delle Regioni e la prospettiva di un Senato europeo delle Regioni, verso il quale è oggi un passaggio intermedio - che acquisterà tutto il suo rilievo e l’esigenza di una consultazione obbligatoria a partire dal 1993 - il Consiglio consultivo dei Poteri regionali e locali della Comunità. Sulla base di queste precisazioni, il Consiglio nazionale dell’AICCRE, riunito a Roma 1’11 ottobre ‘88, ha sottolineato, pur in forma schematica, alcune esigenze di fondo, alle quali una democratica, efficace e non settoriale, riforma dell’ordinamento istituzionale e finanziario delle autonomie locali dovrà ispirarsi nel nostro Paese. n. 21 • dicembre 2008 Istituzioni e risorse finanziarie: una interdipendenza da non dimenticare Problemi istituzionali e finanziari sono indissolubilmente legati: la riforma delle 85 DOCUMENTI autonomie non può dunque fare astrazione da un simultaneo regime di finanza locale e regionale che dia reale consistenza, sui versanti delle entrate e delle spese, all’autonomia degli Enti e alla responsabilità dei loro amministratori. Problema questo che si ritrova puntualmente nel contesto europeo, ove una autonomia impositiva, accanto ad una finanza di trasferimento, caratterizza la stragrande maggioranza delle esperienze. Poiché fa parte degli obiettivi irrinunciabili di uno Stato moderno e democratico che i cittadini godono degli stessi servizi, quando questi corrispondano alla soddisfazione di diritti riconosciuti ai cittadini stessi (trasporti, salute, istruzione, etc.); e poiché le risorse locali variano da territorio a teritorio, per cui l’affidarsi solo alle entrate autonome degli Enti locali e delle Regioni determinerebbe disparità di trattamento lesive proprio di quei diritti che si riconoscono a tutti i cittadini, ne deriva che il sistema della finanza locale non può che essere un sistema misto, composto da trasferimenti e da autonomia impositiva sostenuta da adeguate forme di perequazione (che nella Germania federale è sia verticale - del Bund e dai Laender sino alle autonomie di base - e sia orizzontale - tra Enti omologhi). In tal modo dovrebbero essere assicurate ad ogni Comune, Provincia e Regione sia entrate sufficienti a garantire, per tutti, uguali servizi di uguale qualità, sia le disponibilità destinate a finanziare le opzioni proprie di ogni comunità. La finanza locale e regionale nel nostro Paese è caratterizzata da un alto grado di incertezza, che blocca qualsiasi impo- stazione a medio e lungo termine del lavoro degli Enti territoriali. La raffica di provvedimenti ricorrenti e diversi tarpa, alla base, ogni corretta amministrazione e si ripercuote negativamente sulle giuste attese dei cittadini. La gestione della finanza pubblica deve essere unitaria; su questo l’accordo non può non essere totale. Ma come ottenere questa unità, senza cedere in un nuovo centralismo? La risposta a questo interrogativo non può che essere istituzionale: occorre inserire, nelle procedure di approvazione dei bilanci (e non solo di quelli), un momento non tanto di confronto quanto di codecisione in un organo politico, rappresentativo delle Regioni e delle autonomie. In tutti gli Stati federali esiste un ramo del Parlamento il Bundesrat della Repubblica federale di Germania - che rappresenta appunto gli enti sub-federali. Occorre che su questa strada si ponga anche il nostro Paese, modificando la base elettorale del senato e affidando ad esso, tra l’altro, compiti specifici nella «contrattazione » relativa alla distribuzione delle risorse tra centro e periferia e tra i diversi livelli istituzionali, fermo restando l’attribuzione al governo della definizione dello «spendibile» globale. A sua volta la spesa centrale dovrà essere resa più trasparente. Riforma delle autonomie e riforma dell’amministrazione centrale Una seria, organica riforma in prospettiva europea del sistema nazionale delle autonomie non può prescindere in Italia da una simultanea modifica del decentramento burocratico del potere centrale, 86 Comuni d’Europa La riforma delle autonomie locali che implica una coerente riforma dell’amministrazione statuale. In altri termini una ristrutturazione dell’apparato dello Stato nazionale non è rinviabile all’infinito né bastano insignificanti ritocchi. re lo sviluppo razionale di una metropoli. L’arretratezza legislativa italiana in materia rende particolarmente precaria la situazione delle aree urbane nel nostro paese: ma più in generale rende irrazionale e con gravi conseguenze ambientali l’assetto di tutto il territorio regionale. Finanza locale, sviluppo equilibrato, mercato dei capitali e armonizzazione fiscale Nella prospettiva europea i problemi della finanza locale sono legati a diversi fattori. Il primo fattore da considerare è uno sviluppo economico equilibrato di tutto il territorio della Comunità e una relativa politica regionale realmente incisiva, talché l’attribuzione di una larga capacità esattiva (tributaria) ai poteri locali non risulti una presa in giro per le zone povere, dove non si trova neanche quanto si deve esigere per ottemperare agli strettissimi compiti di istituto. I1 secondo fattore è più immediatamente finanziario: è quello di garantire equamente il crescente fabbisogno delle Regioni e degli Enti locali con un accesso diretto o indiretto al mercato comunitario dei capitali. Ciò implica una istituzione di dimensione sovranazionale in grado di garantire di fatto questo accesso a finanziamenti non domestici, estendendo alle autonomie territoriali i vantaggi goduti dal sistema delle imprese; ciò implica tuttavia anche un’autorità democratica comunitaria (un Esecutivo dotato di poteri adeguati e responsabile al Parlamento Europeo), capace di fissare il livello massimo dell’indebitamento aggregato, la subordinazione a questo vincolo del bilancio dei singoli Stati, delle Regioni e degli Enti locali (cioè Province e aree metropolitane Chiarite le caratteristiche e i compiti delle Regioni si potrà parlare ragionevolmente delle Province. C’è infatti il problema, con una Regione prevalentemente programmatoria, del decentramento burocratico e anche autarchico delle Regioni: così si affronta la questione dell’Ente intermedio. Un problema che non va affatto sottovalutato è in pari tempo quello delle piccole province rurali (si pensi ai Landkreise della Germania federale), enti che dovrebbero contribuire ad un equilibrio di servizi, di finanza, ecc., nell’ambito regionale, tra le metropoli - e anche soltanto i grandi Comuni che tendono a prevaricare e ad egemonizzare l’andamento generale delle cose - e i Comuni polvere e, in generale, il territorio marginale del tutto indifeso. I1 problema della Provincia va quindi visto dall’alto (Regioni) e dal basso (esigenze dei Comuni minori). I1 regime metropolitano non sarebbe più né provinciale né comunale, ma un regime del tutto particolare, con problemi di decentramento istituzionale al suo interno. Va messo in rilievo, a proposito dei gravi problemi metropolitani, il nesso irrinunciabile tra la loro soluzione e il problema del governo dei suoli: la rendita fondiaria urbana, come ogni e qualsiasi rendita strettamente parassitaria, non può condizionan. 21 • dicembre 2008 87 DOCUMENTI una partecipazione democratica permanente della popolazione, che non può limitarsi a referendum locali saltuari e spesso strumentalizzati. La Carta del CCRE prevedeva «mezzi stabili (Permanent Facilities) perché ogni cittadino, cosciente di essere membro della Comunità e vincolato alla collaborazione per il sano sviluppo della Comunità stessa, prenda parte attiva alla vita locale ». Qui si pone una buona volta, in maniera rigorosa, il problema dei quartieri democratici delle città, dei legami culturali e di espressione democratica fra Comuni minori e villaggi, di una struttura diffusa e garantita di centri comunitari e sociali, che determinino la stessa crescita democratica, dalla base, dei partiti politici. la finanza locale non può divenire una variabile indipendente); ciò implica prioritariamente una moneta comune e un sistema fiscale europeo. Ripartizione federale della spesa e perequazioni Tuttavia occorre sottolineare attentamente altri due punti. Anzitutto, se il mercato unico, con la libera circolazione dei capitali, non può prescindere da un governo economico (che preveda anche un indirizzo coordinato di commercio estero) e da una decisione comunitaria sul tetto dello spendibile - correlato al controllo sovranazionale del sistema monetario -, occorrerà poi, sempre a livello comunitario, una sede istituzionale, ove i limiti della spesa ai diversi livelli si possano determinare democraticamente, come già abbiamo accennato in sede nazionale riferendoci al Bundesrat della Germania occidentale o Senato delle Regioni (in via transitoria si può pensare ad una competenza del Consiglio dei Ministri della Comunità, evoluto in Senato degli Stati, ma con la consultazione obbligatoria del Consiglio Consultivo dei Poteri regionali e locali). In secondo luogo in tutta l’area comunitaria occorrerà via via estendere il federalismo fiscale della Germania occidentale e la sua perequazione finanziaria verticale e orizzontale. Un esigenza diffusa: la maggiore stabilità delle amministrazioni elettive Una riforma dell’ordinamento locale e regionale non può non fare riferimento al profondo bisogno di stabilità nelle amministrazioni elettive. Si sottolinea spesso che questo carattere di stabilità si riscontra più facilmente in altri Paesi europei, ma questa constatazione richiede un approfondito esame delle sue cause, che spesso appaiono diverse da Paese a Paese e radicate in tradizioni storiche e psicologiche o in strutture specifiche, tutte da analizzare. Diciamo questo perché non si possono cercare risposte semplici a problemi complessi. In ogni caso l’introduzione della «sfiducia costruttiva», prevista dal disegno di legge in discussione al Parlamento, può costituire una parziale risposta. Riforma delle autonomie e partecipazione democratica Riandando ad un passaggio fondamentale della Carta europea delle libertà locali del CCRE (1953), sarà necessario che nelle comunità autonome di base si dia vita ad 88 Comuni d’Europa La riforma delle autonomie locali La giusta risposta ai processi di internazionalizzazione: più forti autonomie, Unione europea Si associano spesso gli attuali crescenti processi di internazionalizzazione e di transnazionalizzazione (che investono i fenomeni finanziari, imprenditoriali, monetari, ecc.) ad una spinta, ritenuta ineludibile, verso una maggiore centralizzazione che metterebbe in crisi il tradizionale modello delle autonomie. La risposta dell’AICCRE è che non vi è nessun automatismo in questa pretesa correlazione: anzi il sovraccarico di domande sociali e la loro selezione devono portare all’ampliamento della n. 21 • dicembre 2008 sfera delle autonomie e dell’autogoverno. Viceversa la guida ultima, ma democratica, dei grandi processi internazionali non può trovare risposta sufficiente ed adeguata negli Stati nazionali e richiede perciò la rapida realizzazione dell’lJnione federale, col suo governo e il suo Parlamento dotato di poteri reali, istituti atti a far procedere nell’alveo della democrazia processi di internazionalizzazione di fatto sempre più vanificanti il potere politico nazionale. I1 federalismo accresce e garantisce la massima libertà a tutti i livelli: per esso si deve battere il fronte unito delle autonomie territoriali europee. 89 DOCUMENTI Il Comitato delle Regioni Presentazione e ruolo Il Comitato delle regioni (CdR) è l’assemblea politica che dà voce agli enti locali e regionali nel cuore dell’Unione europea. Istituito dal Trattato di Maastricht si è riunito per la prima volta nel marzo 1994. La creazione del Comitato delle regioni ha consentito di affrontare due questioni fondamentali. In primo luogo, dato che circa tre quarti della legislazione UE sono applicati a livello locale o regionale, è importante che i rappresentanti locali e ragionali abbiano voce in capitolo nel processo decisionale. Il secondo elemento è la preoccupazione che i cittadini restassero tagliati fuori dalla crescita dell’UE. Coinvolgere in tale processo il livello di governo eletto ad essi più vicino rappresentava pertanto uno strumento per avvicinarli all’Europa. A norma dei trattati, la Commissione e il Consiglio sono tenuti a consultare il Comitato delle regioni ogni volta che vengono avanzate nuove proposte in settori che interessano la realtà locale e regionale. Il trattato di Maastricht ha stabilito cinque settori di questo tipo: coesione economica e sociale, reti transeuropee, sanità pub- blica, istruzione e cultura. Il trattato di Amsterdam ne ha aggiunti altri cinque: politica occupazionale, politica sociale, ambiente, formazione professionale e trasporti. Questo elenco comprende adesso la maggior parte delle attività dell’UE. Il lavoro del Comitato si fonda su tre principi fondamentali: Sussidiarietà: questo principio, definito nei trattati contestualmente alla creazione del CdR, stabilisce che, nell’ambito dell’UE, le decisioni dovrebbero essere prese al livello più vicino ai cittadini. L’Unione europea, quindi, non dovrebbe assumere funzioni che possano essere svolte più adeguatamente dalle amministrazioni nazionali, regionali o locali. Prossimità: tutti i livelli amministrativi dovrebbero mirare ad essere vicini ai cittadini, in particolare organizzando il proprio lavoro in maniera trasparente, in modo che i cittadini sappiano chi è responsabile di che cosa e come fare sentire la propria voce; Partenariato: una sana governance europea implica una stretta cooperazione tra il livello europeo, nazionale, regionale e locale: tutti e quattro i livelli sono indispensabili e dovrebbero par90 Comuni d’Europa Il Comitato delle Regioni tecipare all’intero processo decisionale. Il Comitato delle regioni è composto da 344 membri e altrettanti supplenti, tutti nominati dal Consiglio, su proposta degli Stati membri, per quattro anni. Ciascun paese sceglie i propri membri seguendo procedure distinte, ma ogni delegazione nazionale riflette l’equilibrio politico, geografico e regionale/locale del rispettivo Stato membro. I membri sono rappresentanti eletti di enti locali e regionali della propria regione di origine, oppure rivestono in tali enti cariche di rilievo. Il Comitato organizza i propri lavori attraverso sei commissioni specializzate, composte da suoi membri, che esaminano in dettaglio le proposte sulle quali il Comitato viene consultato e redigono un progetto di parere: in tale documento vengono esposti i punti in cui il Comitato concorda con le proposte della Commissione europea e i punti che invece, a suo avviso, devono essere modificati. Il progetto di parere viene poi discusso durante una delle cinque sessioni plenarie che si svolgono ogni anno. Se la maggioranza lo approva, esso viene adottato come parere del Comitato delle regioni, e trasmesso alla Commissione, al Parlamento e al Consiglio. Il Comitato delle regioni, inoltre, adotta risoluzioni su questioni politiche d’attualità. Nel CdR sono rappresentati quattro Gruppi politici, che riflettono i principali orientamenti europei: il Gruppo del Partito del socialismo europeo (PSE), il Gruppo del Partito popolare europeo (PPE), il Gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa n. 21 • dicembre 2008 (ALDE) e il Gruppo Alleanza europea (UEN-EA). Benché la parte preponderante dei lavori del Comitato consista nella sua partecipazione al processo legislativo, il suo ruolo non si esaurisce qui. I membri del CdR vivono e lavorano quotidianamente nelle proprie regioni e città, e mantengono le relative responsabilità di amministratori locali o regionali, in qualità di Presidenti di regione e Sindaci di grandi città. Essi costituiscono quindi un tramite diretto tra le opinioni e le esigenze dei cittadini che rappresentano ed il cuore del processo europeo, cui prendono parte in occasione delle riunioni del CdR a Bruxelles. Ciò significa inoltre che essi sono in una posizione ottimale per informare i cittadini dei propri paesi su ciò che accade nell’UE e su come funzionano le istituzioni europee. Il CdR struttura inoltre i suoi lavori in modo da “portare”, letteralmente, l’UE più vicino ai cittadini, organizzando con frequenza convegni e riunioni delle sue commissioni e dell’Ufficio di presidenza fuori Bruxelles, nelle regioni dei 27 Stati membri. 2008-2010: priorità politiche Nel corso dei prossimi anni la credibilità di cui godrà l’UE presso i suoi cittadini e l’efficacia con cui reciterà il suo ruolo sulla scena mondiale saranno giudicate sulla base del suo funzionamento e della capacità di trovare soluzioni sostenibili ai problemi comuni. In un sistema di governance multilivello, ogni attore deve contribuire alla costruzione condivisa di un modello sostenibile, che 91 DOCUMENTI fornisca all’Europa gli strumenti per raggiungere i suoi scopi e promuovere i suoi valori. Gli enti regionali e locali, e il Comitato delle regioni (CdR) con e per loro, saranno quindi in prima linea nell’affrontare le sfide che rientrano nelle rispettive competenze, conformemente ai principi di sussidiarietà e proporzionalità: • attuare gli obiettivi di crescita e occupazione contenuti nell’agenda di Lisbona attraverso il coinvolgimento degli enti regionali e locali, e far sentire la loro voce al Consiglio europeo, • affrontare le sfide poste dai cambiamenti climatici, nonché dalla diversificazione e dall’uso sostenibile delle fonti di energia, • nel contesto dell’esercizio interistituzionale di revisione del bilancio UE, mettere in rilievo l’effetto leva della PAC e sottolineare la necessità di riorganizzarla, per rendere possibile un’agricoltura sostenibile e l’indipendenza alimentare, nonché per impostare la politica di coesione economica, sociale e territoriale oltre l’orizzonte del 2013, • migliorare la qualità della vita dei cittadini, agevolando tra l’altro la cooperazione transfrontaliera per la protezione civile e l’accesso a servizi sanitari migliori, • fornire agli enti regionali e locali la piattaforma necessaria a promuovere la solidarietà e il dialogo interculturale e interreligioso, nonché favorire tutte le forme di cultura e tradizione regionale, • partecipare al dibattito europeo fina- lizzato a conseguire una politica comune di immigrazione e asilo e in special modo a condividere le migliori prassi in ambito di integrazione, • proporre un mercato unico che integri una strategia per promuovere la qualità dei servizi sociali, • assistere gli enti regionali e locali dei paesi candidati e pre-candidati, e cooperare con essi nel percorso di avvicinamento all’UE. Tutte queste tematiche saranno al centro dell’attività del Comitato, quale esposta nei programmi di lavoro. È inoltre possibile che il CdR affronti altri temi, in quanto li considererà rilevanti per le sue priorità sulla base dell’agenda dell’UE e delle presidenze, attraverso in particolare gli strumenti seguenti: i) dibattiti politici mirati, collaterali alle sue attività istituzionali; ii) un approccio dinamico e lungimirante in partenariato con le associazioni di enti regionali e locali; iii) l’elaborazione di analisi sull’impatto della legislazione europea e relativi oneri amministrativi e il monitoraggio del suo recepimento a livello regionale e locale. Per migliorare l’attività del CdR e ottimizzare la sua capacità di influenzare il legislatore, è necessaria una stretta cooperazione con il Parlamento europeo e le sue commissioni, nonché una partecipazione rafforzata della società civile alle sue sessioni plenarie. Va intensificata inoltre la cooperazione con la Commissione europea, in particolare nella fase prelegislativa, avvalendosi pienamente degli strumenti forniti dal dialogo strutturato e più in generale dalla cultura della consultazione. Infine, per 92 Comuni d’Europa Il Comitato delle Regioni in collaborazione con gli enti regionali e locali, ma la strategia adottata dal Comitato per promuovere l’Europa dovrà essere ulteriormente decentrata e portata a livello locale, e questo anche in relazione ai paesi candidati. A questo fine è necessario rafforzare la cooperazione con le rappresentanze delle istituzioni UE negli Stati membri, con le associazioni di regioni e comunità e con i gruppi target. Prima delle elezioni europee, e in occasione del 15° anniversario del CdR, sarà elaborata una dichiarazione di missione (mission statement) che servirà a trasmettere ai cittadini il nostro messaggio, sia sull’Europa in generale che sul ruolo che al suo interno svolgono gli enti regionali e locali. Il CdR darà a questi enti e ai loro rappresentanti gli strumenti necessari per poter contribuire al miglioramento della legislazione UE e per dare alle regioni e alle comunità l’opportunità di scambiarsi esperienze al fine di una più profonda cooperazione. Nel 2009 sarà organizzato un vertice europeo delle regioni e delle città, che dovrà fungere da esempio di quella governance multilivello di cui l’Europa ha bisogno per potere influire sulla vita dei cittadini. Mediante eventi mirati, il Comitato riserverà inoltre un’attenzione particolare alle politiche urbane, dato il ruolo importante che queste rivestono al fine del conseguimento degli obiettivi di Lisbona. Si concentrerà altresì sul ruolo delle assemblee e dei governi regionali, che assieme ai parlamenti nazionali si sono visti attribuire dal Trattato di Lisbona nuove competenze in materia di controllo della sussidiarietà. poter elaborare un calendario dei suoi lavori preciso e tempestivo, è essenziale che il CdR instauri un rapporto costruttivo con le presidenze di turno dell’UE, durante e in special modo prima dell’inizio dei rispettivi mandati. Il Trattato di Lisbona avrà profonde implicazioni per il buon funzionamento delle istituzioni UE, per le possibilità di ulteriori allargamenti, per l’estensione dei diritti dei cittadini e per il loro ruolo nel cuore del progetto europeo, nonché per la coesione territoriale e l’accresciuta importanza del principio di sussidiarietà. La sua ratifica rappresenta di conseguenza una pietra miliare per il futuro dell’integrazione europea. Il Comitato darà quindi il suo appoggio al processo di ratifica, in particolare rafforzando la propria strategia di comunicazione, semplificando il proprio linguaggio e intensificando i contatti con i media regionali e locali, affinché i cittadini possano “sentirsi a casa” in Europa. Assicurare una forte partecipazione alle elezioni europee del 2009 è un obiettivo che condividiamo con il Parlamento europeo: faremo tutto il possibile per portare il dibattito sull’Europa nel cuore delle città e delle regioni europee. A questo fine, si potrebbe approfittare dell’occasione offerta dal 9 maggio, Giornata dell’Europa, per sviluppare una cultura dell’Europa nelle istituzioni regionali e locali mediante manifestazioni mirate che mettano in rilievo i valori e le realizzazioni dell’integrazione europea. Le giornate Open Days figureranno ancora una volta tra i principali strumenti di comunicazione di cui si avvarrà il CdR n. 21 • dicembre 2008 93 DOCUMENTI paesi candidati e pre-candidati, anche il dialogo con i livelli regionali e locali dei paesi interessati dalla politica di vicinato. Il Comitato sarà attivo anche nell’ambito del partenariato euromediterraneo, che intende trasformare in un dialogo permanente, e continuerà la cooperazione esistente nell’ambito della dimensione settentrionale e della sinergia del Mar Nero. In collaborazione con il Consiglio d’Europa, il CdR continuerà inoltre la sua attività di monitoraggio delle elezioni regionali e locali organizzate nei paesi del vicinato. Mentre continuerà a dare il suo contributo all’obiettivo di una “migliore legislazione” comunitaria, tra l’altro attraverso il controllo della corretta applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità, il CdR dovrà anche mettere a punto le sue procedure interne per l’esercizio dei nuovi diritti che gli sono stati riconosciuti dal Trattato di Lisbona e dai relativi protocolli. In tale contesto, sarebbe auspicabile una nuova edizione della “assise sulla sussidiarietà”, organizzata dal CdR, per gestire meglio l’applicazione del nuovo Trattato. Saranno analizzati e promossi anche nuovi strumenti pratici per il partenariato e la coesione territoriale, come il Gruppo europeo di cooperazione territoriale (GECT), e organizzate azioni di appoggio e informazione per la loro futura attuazione. Il Comitato sosterrà altresì la creazione di nuove reti o piattaforme, come quella proposta per promuovere le sinergie tra le buone prassi europee, regionali e locali in ambito marittimo. Nel corso degli anni abbiamo osservato una crescente attività degli enti regionali nelle questioni internazionali, in relazione non soltanto alle attività transfrontaliere ma anche a una più vasta gamma di tematiche, tra cui la cooperazione decentrata. Di recente queste forme di “diplomazia cittadina” hanno conferito agli enti locali un ruolo importante nel processo di pace in Medio Oriente. Il CdR intende quindi promuovere, al di là della sua attività di assistenza agli enti regionali e locali dei Reti del Comitato delle regioni Il Comitato delle regioni (CdR) ha creato tre reti per promuovere il coinvolgimento degli enti regionali e locali nel processo di costruzione dell’Europa e fare in modo che essi possano far sentire maggiormente la propria voce a livello di Commissione europea, Consiglio e Parlamento europeo. Piattaforma di monitoraggio di Lisbona Nel marzo 2005 gli Stati membri hanno rilanciato la strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione con due obiettivi principali: • realizzare una crescita più sostenuta e duratura e • creare posti di lavoro più numerosi e migliori. La necessità di una maggiore “appropriazione” della strategia da parte di tutti i livelli di governo è stata riconosciuta come uno dei fattori chiave per il suo successo. Il 1° marzo 2006 il Comitato delle regioni ha lanciato la Piattaforma di moni94 Comuni d’Europa Il Comitato delle Regioni regionali, esecutivi di regioni, città e comuni, associazioni di enti locali e regionali e altre parti direttamente interessate. Obiettivi: - Organizzare consultazioni in merito alle proposte e ai documenti politici della Commissione europea per stabilire se essi rispettano i principi di sussidiarietà e proporzionalità, - facilitare la comunicazione tra gli enti regionali e locali e il CdR in merito al processo legislativo dell’UE; la rete è uno sportello unico che consente agli enti regionali e locali di ottenere più velocemente le informazioni europee di loro interesse e che offre loro un ulteriore canale per far sentire la propria voce. Gruppo di esperti in materia di gruppi europei di cooperazione territoriale Il Gruppo europeo di cooperazione territoriale (GECT) è un nuovo strumento europeo che consente agli enti regionali e locali di diversi Stati membri di creare dei gruppi cooperativi dotati di personalità giuridica. Il suo obiettivo è quello di organizzare e gestire attività di cooperazione transfrontaliera, transnazionale o interregionale, dotandosi a tal fine di una propria organizzazione, di un proprio organico e di risorse. Lo strumento GECT è stato introdotto dal regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 luglio 2006, entrato in vigore il 1° agosto 2007. Il regolamento prevede che ogni nuovo GECT informi il Comitato delle regioni in merito alla propria istituzione, conferendo così al Comitato un ruolo di “notaio”. toraggio di Lisbona al fine di creare tra tutti i livelli di governo uno specifico partenariato per l’attuazione della strategia di Lisbona. Oltre 100 città e regioni europee partecipano alla rete e monitorano la partecipazione del livello locale e regionale alla strategia europea per la crescita e l’occupazione. Il Comitato delle regioni presenta i risultati di tale monitoraggio alla Commissione europea, al Consiglio e al Parlamento europeo. Rete di controllo della sussidiarietà Il principio di sussidiarietà è sancito all’articolo 5 del Trattato che istituisce la Comunità europea. Il suo obiettivo è quello di garantire che le decisioni siano adottate al livello più vicino possibile ai cittadini e che venga controllato regolarmente se un’azione a livello comunitario è giustificata alla luce delle possibilità esistenti a livello nazionale, regionale o locale. Più in particolare, si tratta del principio in virtù del quale l’Unione non interviene (tranne che nei settori in cui ha competenza esclusiva) a meno che la sua azione non sia più efficace di un’azione intrapresa a livello nazionale, regionale o locale. Tale principio è strettamente legato al principio di proporzionalità, in virtù del quale qualsiasi azione dell’Unione dovrebbe limitarsi a quanto necessario per conseguire gli obiettivi del Trattato. Il Comitato delle regioni ha istituito la rete di controllo della sussidiarietà il 27 giugno 2007. La rete di controllo della sussidiarietà è composta attualmente di 87 partner, tra cui figurano parlamenti e assemblee n. 21 • dicembre 2008 95 DOCUMENTI attualmente 40 esperti, che provengono dalle autorità locali, regionali e nazionali e dai centri specializzati in materia di cooperazione territoriale di 23 paesi. (dal sito ufficiale del CdR) Nell’ottobre 2007 il Comitato ha istituito un gruppo di esperti sul GECT per riunire le conoscenze disponibili in materia e ravvicinare i professionisti del settore alle istituzioni. Il gruppo conta 96 Comuni d’Europa