VENT`ANNI DI CARTA DELL`AUTONOMIA

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VENT`ANNI DI CARTA DELL`AUTONOMIA
Anno LV - n. 21 nuova serie - dicembre 2008
Rivista dell'Aiccre, Associazione italiana
per il Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa
VENT'ANNI DI CARTA DELL'AUTONOMIA LOCALE
• Intervista al Presidente del Comitato delle Regioni a cura di Fabio Roccuzzo
pag.
LE RAGIONI DEL FEDERALISMO EUROPEO
• Dal quartiere alla Regione
per una Comunità europea federale di Gabriele Panizzi
• Il federalismo tra Europa e Regioni di Nevio Puntin
• Tra federalismo integrale e istituzionale di Giulia Devani
pag. 9
pag. 15
pag. 29
SOCIETÀ DELL'INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE
• Eisco 2008: 17 paesi europei convergono
sull'Agenda digitale locale di Javier Ossandon
• Eisco 2008: l'innovazione riparte dal Sud di Lucia Corrias
• Manifesto dell'Agenda digitale locale
pag. 33
pag. 37
pag. 40
NELL'ANNIVERSARIO DEL '68
• Il decennio che ha cambiato il volto del '900 di Filippo Bettini
• Dialogo tra un padre e un figlio di Fabrizio Andreoli
pag. 43
pag. 46
CONTRIBUTI E OPINIONI
• Azione pubblica territoriale:
verso una nuova cultura dell'energia di Mariacristina Spinosa
• Verso un'euroregione speciale di Angelo Viscovich
• Immigrati e clandestini, allarghiamo lo sguardo di Mario Pavone
• Sicurezza e cooperazione alla pace di Simona Patacca
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DOCUMENTI
• Carta europea dell'autonomia locale
• La riforma delle autonomie regionali e locali
• Il Comitato delle Regioni
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Comuni d’Europa
Rivista dell’Aiccre, Associazione italiana per il Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa
Presidente Mercedes Bresso
Vicepresidenti: Fabio Pellegrini (vicario), Giuseppe Castiglione, Candido De Angelis,
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Questo numero è andato in stampa il 15 novembre 2008
Comuni d’Europa
EDITORIALE
Luogo di democrazia
e di azione
intervista a Luc Van den Brande
Presidente del Comitato delle Regioni
a cura di Fabio Roccuzzo
“Per autonomia locale s’intende il diritto e la capacità effettiva, per le collettività locali,
di regolamentare ed amministrare nell’ambito della legge e sotto la loro responsabilità
e a favore delle popolazioni, una parte importante degli affari pubblici.
Tale diritto è esercitato dai Consigli e dalle Assemblee costituite da membri eletti a
suffragio libero, segreto, paritario, diretto ed universale, in grado di disporre di organi
esecutivi responsabili nei loro confronti”.
Il primo settembre del 1988 entrava in vigore la Carta europea dell’autonomia locale.
Sono passati venti anni da allora. Il contributo che i poteri locali hanno dato alla
costruzione dell’Europa è stato rilevante e continuerà ad esserlo. L’idea di un’Europa
federale, solidale e multiculturale diventa sempre più densa di contenuti.
Le autonomie locali sono il luogo fisico all’interno del quale le aspirazioni multiculturali e federaliste trovano un’anima.
Il lavoro dell’Aiccre è soprattutto questo. Praticare, diffondere, divulgare la cultura
europea.
I venti anni che ci lasciamo alle spalle ci consegnano un documento di straordinaria
attualità sul quale è utile riflettere e far riflettere.
Fabio Roccuzzo
Direttore Politico di Comuni d’Europa
delle Regioni, quale ruolo ritiene abbiano giocato
i poteri locali nella costruzione dell’Europa
politica?
Credo fermamente che la democrazia
locale sia il cuore del processo di integrazione europea. Adesso, poiché celebriamo il 20° anniversario dello Statuto
Europeo delle Autonomie Locali, è il
momento opportuno per riflettere sul
ruolo significativo delle autorità locali.
Il primo settembre del 1988 entrava in vigore la
Carta Europea dell’autonomia locale. Non si
trattò di un mero riconoscimento del ruolo e delle
funzioni dei poteri locali, piuttosto si affermava
per la prima volta il principio per il quale la
democrazia locale diventava elemento costitutivo
della idea stessa di democrazia. In venti anni,
43 dei 47 stati membri del Consiglio d’Europa
hanno ratificato la Carta. Da un osservatorio
privilegiato qual’è la Presidenza del Comitato
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EDITORIALE
Da 20 anni di attività dello Statuto Europeo, noi riconosciamo il valore sostanziale della democrazia tra la popolazione
e il contributo essenziale che producono
le autorità locali e regionali, specialmente
durante il rapido processo della globalizzazione.
La storia d’Europa, il nostro senso di
cittadinanza e le nostre radici culturali,
tutto questo ci riporta alla immagine
delle nostre comunità, ai loro campanili e
alle piazze, ai palazzi e alle caratteristiche
locali, dove vengono prese le decisioni
per il bene della comunità. E in molti casi
questi edifici vengono ancora utilizzati
per lo stesso scopo.
Questo vuol dire che i valori che stiamo
celebrando sono fortemente radicati nelle
nostre società e continuano a scandire il
nostro futuro collettivo. Lei ha menzionato il concetto di potere. Si, io credo
che alle nostre spalle ci sia un solido e
sostanziale potere, nonostante i valori
che noi rappresentiamo siano condivisi
e pienamente riconosciuti dal popolo.
La Democrazia Europea è costruita su
valori, principi e responsabilità condivise,
caratterizzati dalla diversità delle nostre
regioni e cittadinanze.
Poiché il mondo cambia noi siamo
costretti a considerare i cambiamenti globali a seguito di un significativo impatto
con il livello locale. L’Europa e le sue
istituzioni devono essere “un luogo sia di
democrazia che di azione” dove possiamo trovare soluzioni comuni. Perché ciò
possa accadere, le autorità locali e regionali, in cooperazione con importanti
partners quali il Comitato delle Regioni,
sono chiamati a dare un forte contributo.
L’Europa, quale luogo di democrazia,
sostiene una sorta di doppio dialogo tra
Bruxelles e le regioni. L’Europa è un
luogo di azioni perché molti dei programmi europei e le iniziative messe in
campo devono avere un effetto tangibile
sul territorio. Personalmente sostengo la
valorizzazione del rapporto tra le autorità
locali e regionali in Europa.
Dobbiamo adesso andare avanti. Realizzare e assicurare un governo Multilevel-governance nel nostro continente è
il nostro ultimo obiettivo. Il CDR elaborerà nel 2009 il suo “White Paper”
sulla Multi-Level-Governance con lo scopo
di contribuire al dibattito generale per
migliorare il governo dei nostri cittadini.
La Carta Europea dell’autonomia locale, sancisce, per la prima volta nella storia, “il principio
di sussidiarietà” e afferma nel suo preambolo
che “la difesa e il rafforzamento dell’autonomia
locale nei paesi europei rappresenta un importante contributo alla edificazione di un’Europa
fondata sui principi della democrazia e del
decentramento del potere”. Il Comitato delle
Regioni, con i suoi 344 membri espressione di
enti municipali, provinciali e regionali di tutti
gli Stati europei, rappresenta il luogo ideale nel
quale trovare una sintesi in grado di valorizzare
ed esaltare il ruolo dei poteri locali. Quale e
quanto spazio hanno trovato nella legislazione
dell’Unione Europea le istanze rappresentate
alla Commissione Europea dal Comitato delle
Regioni?
Il Comitato delle Regioni è particolarmente attento al principio di sussidiarietà
e di proporzionalità. Noi crediamo che
il principio di sussidiarietà, concettua4
Comuni d’Europa
Luogo di democrazia e di azione
lizzato, interpretato e rivisto in diverse occasioni, e riconosciuto come un
principio giuridico e costituzionale, deve
essere portato a un punto essenziale: il
processo decisionale e politico non è più
di esclusiva competenza di un solo livello
di governo in Europa. Ecco perché sono
favorevole a un’”Europa con le Regioni,
le Città e le autorità locali”, piuttosto che
un’”Europa delle Regioni”.
Questo è anche il motivo per cui, in
termini concreti, abbiamo istituito una
rete di monitoraggio della sussidiarietà
che consente al Comitato di consultare circa 100 camere legislative regionali
su questioni chiave prima di produrre il nostro parere alla Commissione
Europea, al Parlamento e al Consiglio.
Siamo fermamente convinti che la MultiLevel Governance e la cooperazione interistituzionale siano indispensabili per
portare avanti il progetto europeo. Il
Comitato ha molte idee da realizzare per
questo progetto e noi continuiamo a fare
progressi rafforzando le nostre relazioni
con le assemblee nazionali legislative.
Se guardiamo i risultati già ottenuti, abbiamo fatto proposte concrete al legislatore
europeo, e l’ingresso di un organismo
consultivo come il Comitato si è rivelato
prezioso per la legislazione finale.
Il Comitato ha ispirato approcci alternativi e innovativi. La creazione del Gruppo
Europeo di Cooperazione Territoriale
(GECT) da parte dell’Unione Europea
ne è solo un esempio. Su questo argomento abbiamo chiaramente agito come
una vera e propria assemblea politica,
prendendo iniziative politiche e chiedendo la creazione di questo essenziale strun. 21 • dicembre 2008
mento giuridico per la cooperazione oltre
frontiera tra autorità locali e regionali.
La principale “mission” del Comitato delle
Regioni è garantire che le rappresentanze locali
e regionali abbiano un ruolo nel processo decisionale dell’Unione Europea e che siano rispettate
le identità e le prerogative locali e regionali. Dal
1992, anno di costituzione del Cdr, ad oggi,
sono trascorsi 16 anni. Quali sono gli obiettivi
raggiunti e quali i punti di debolezza?
Nel 2009, il Comitato delle Regioni celebra il suo quindicesimo compleanno. La prima sessione plenaria
del CdR si è tenuta nel marzo 1994.
Siamo molto fortunati ad avere ancora
dopo quindici anni entusiasmo e unità.
Quando rivedo le richieste politiche che
abbiamo formulato nel 1994, posso dire
che oggi il Comitato delle Regioni ha
raggiunto i suoi obiettivi essenziali. Siamo
diventati una istituzione politica degli eletti
rappresentanti locali e regionali . Abbiamo
ottenuto un notevole ampliamento dei
nostri diritti sulla consultazione obbligatoria che riguarda tutti i settori importanti
per le autorità locali e regionali. Abbiamo
rafforzato il nostro ruolo politico nella
prima fase delle procedure decisionali
dell’Unione europea, fornendo alla nostra
istituzione strumenti per plasmare il futuro della legislazione europea.
Abbiamo avuto la possibilità di consigliare
il Parlamento Europeo e con il Trattato
di Lisbona il Parlamento sarà addirittura
obbligato a consultarci ogni volta che la
Commissione ha qualcosa da trattare. E
il Trattato di Lisbona ci darà il diritto di
intervenire anticipatamente davanti alla
Corte di Giustizia, quando pensiamo che
le altre istituzioni non abbiano rispettato le
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EDITORIALE
nostre prerogative istituzionali. Tale diritto, che purtroppo non è ancora dato direttamente alle Regioni con poteri legislativi,
conferisce al Comitato un ruolo speciale,
in relazione al controllo e all’applicazione
della sussidiarietà nell’Unione europea di
atti legislativi e di un rapporto speciale con
i parlamenti nazionali e regionali coinvolti
nel controllo.
Le regioni oltre frontiera, di montagna e
periferiche, sono espressamente citate nel
Trattato di Lisbona, laddove si conferma
che la politica regionale europea e il suo
futuro sviluppo hanno bisogno di una
forte dimensione territoriale. Il Comitato
ha lottato per il concetto della cosiddetta
“coesione territoriale”, che sarà sancito
nel Trattato accanto alla coesione economica e sociale.
Questi sono i principali risultati raggiunti, ma naturalmente siamo riusciti
in molti casi ad influenzare il processo
legislativo dell’Unione Europea attraverso
le nostre opinioni e le nostre relazioni.
Il nostro compleanno è sì un momento
di celebrazione, ma è anche un momento
di riflessione. E’ l’occasione ideale per
elaborare la nostra “mission”. Chi siamo?
Che cosa vogliamo ottenere? Qual’è la
nostra visione di base e come la realizziamo? Stiamo attualmente conducendo un
approfondito e ampio dibattito in seno
al Comitato, basato sull’analisi dei nostri
punti di forza e debolezza, sulle nostre
opportunità, sui limiti della nostra azione
e sul modo con cui vengono percepiti
da tutto il mondo. Ritengo che il nostro
sviluppo futuro dipenderà dal modo in
cui saremo in grado di sfruttare la nostra
unica esperienza locale e regionale all’in-
terno del quadro istituzionale dell’UE, al
fine di influenzare il processo decisionale.
La sfida della “strategia di Lisbona”, ovvero
il programma di riforme economiche su cui si
innesta la nuova politica europea, deve trovare
applicazione anche in sede periferica, allo scopo
di rendere più competitive le realtà locali e regionali. Quale ruolo propositivo può svolgere in tal
senso il Comitato delle Regioni?
Di fatto, la strategia di Lisbona, al
momento del suo rinnovo nel 2005,
non è stata adeguatamente supportata
da risorse di sostegno a livello locale.
Abbiamo subito notato questa lacuna
e abbiamo lavorato direttamente con
la Commissione Europea e il Consiglio
Europeo e sin da allora il Comitato delle
Regioni è stato profondamente coinvolto nella valutazione sui progressi della
strategia di Lisbona. Al Comitato è stato
chiesto dal Consiglio Europeo di riferire
ad ogni Consiglio di primavera i progressi compiuti nel coinvolgere gli enti
locali e regionali per l’attuazione della
strategia di Lisbona. Per preparare questa
relazione, il Comitato delle Regioni e la
Presidenza UE organizzano ogni anno
un cosiddetto Dialogo Territoriale per la
crescita e il lavoro coinvolgendo la Commissione Europea, gli Stati membri e le
associazioni locali e regionali. Abbiamo
fortemente sostenuto la partecipazione
attiva degli enti locali e regionali in tutte
le fasi della strategia di Lisbona, dalle idee
alla realizzazione. In realtà, impegnandosi
direttamente con i partners locali e regionali, è l’unico modo per procedere.
Nell’Unione Europea a 27, oltre il 60%
degli investimenti pubblici proviene da
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Comuni d’Europa
Luogo di democrazia e di azione
enti locali e regionali. Tali enti svolgono
un ruolo essenziale nella realizzazione
sul terreno di servizi per l’impiego e
l’istruzione, fornendo gli investimenti per
affrontare il cambiamento climatico. Le
autorità locali e regionali sono gli attori
fondamentali nel sostenere l’innovazione
di cluster locali di piccole e medie imprese
(PMI), e nel promuovere la ricerca e lo
sviluppo.
Al Comitato delle regioni, noi sosteniamo questa politica per la crescita e l’occupazione. Abbiamo istituito una specifica
piattaforma di monitoraggio di Lisbona,
composta da circa 120 autorità locali e
regionali. La piattaforma di monitoraggio di Lisbona ci permette di sfruttare le
politiche territoriali in materia di occupazione, innovazione, energia, istruzione,
ecc., per portare avanti questo progetto a
livello europeo, facilitando direttamente
le collaborazioni con le altre istituzioni
dell’UE. Come potete vedere, il CdR
svolge un ruolo molto attivo nel rinnovamento del processo di Lisbona.
e proprio partner per questa importante
iniziativa dell’Unione Europea.
Come Sindaci o Presidenti di Regioni,
tutti i miei colleghi presso il CdR comprendono pienamente l’importanza di
un ricco e rispettoso dialogo tra culture
diverse. In Europa abbiamo regioni e
città dove persone con differenti lingue e
culture hanno vissuto insieme per lungo
tempo e hanno trovato un modo per
investire nel loro comune futuro. Dobbiamo assicurare che la diversità culturale
si trasformi in una risorsa per la nostra
società e che le autorità regionali e locali
svolgano un ruolo importante in tutto
questo. Ecco perché nel corso della prossima sessione plenaria organizzeremo
un forum sul dialogo interculturale con
la collaborazione della Presidenza francese dell’UE. In diversi gruppi di lavoro
verranno affrontati diversi temi, sulle
attività di autorità regionali e locali che
hanno trovato soluzioni sul dialogo interculturale in tutta Europa. Varie regioni
potranno condividere le loro migliori
pratiche nel settore. Su richiesta della
Presidenza francese dell’Unione europea, i membri del CdR inoltre rivedranno le loro opinioni sulle politiche di
integrazione e il dialogo interculturale,
con un rapporto preparato dal signor
Milan Belica, Presidente della Regione autonoma di Nitra, Slovacchia. La
sua presentazione sarà un’occasione per
ascoltare le opinioni delle autorità locali
e regionali su questa cruciale questione.
L’Europa ha dato, in generale, un contributo molto positivo a questa reciproca
comprensione. Il rispetto della lingua
e della diversità culturale è sancita nei
Il Comitato delle Regioni è un luogo multiculturale per eccellenza. Al suo interno si intrecciano
culture diverse espressione di tutte le componenti
geografiche del continente europeo. Un’Europa
che metta al primo punto della propria agenda
politica la multiculturalità, attraverso il rispetto
reciproco senza sopraffazione alcuna, rappresenta per il resto del mondo un modello virtuoso da
emulare. Quanta strada rimane da compiere su
questo terreno?
Quest’ anno, il 2008, si celebra l’Anno del
Dialogo Interculturale.
Per la sua natura e per gli obiettivi politici, il Comitato delle Regioni è un vero
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EDITORIALE
sono essenziali per approfondire la politica dei confinanti e le relazioni esterne,
con l’obiettivo di migliorare la cooperazione con i nostri vicini più prossimi
e i partners globali. Le nostre città e le
regioni stanno diventando sempre più
integrate e culturalmente diverse, con
persone provenienti da tutto il mondo,
lavorando ed imparando insieme. In tutta
Europa, le autorità locali e regionali stanno sviluppando progetti di successo per
consentire una migliore integrazione e
comprensione delle diverse culture. Dobbiamo approfondire lo scambio di esperienze e trovare progetti che sostengono
i nostri obiettivi, che a mio avviso sono
fondamentali per la qualità della vita delle
nostre comunità locali.
trattati ed è una pratica comune della
vita delle istituzioni. Inoltre, programmi
concreti sui mezzi di informazione culturali ed educativi hanno aiutato i cittadini
europei a capire meglio il valore aggiunto
della nostra diversità. Voglio citare, come
esempio, il programma Erasmus, che
ha creato una solida base per le nostre
giovani generazioni, cosi da essere ben
preparati a vivere in un ambiente culturale diverso e per conoscere e condividere i
reciproci valori.
Chiaramente abbiamo bisogno di ulteriori
passi avanti e di ampliare lo scopo delle
nostre azioni, al fine di evitare che il dialogo interculturale diventi il privilegio di un
numero limitato di cittadini, mentre recinzioni e incomprensioni potrebbero minacciare la nostra diffusa coesione sociale.
A tale riguardo, gli sforzi dell’Europa
Grazie
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Comuni d’Europa
LE RAGIONI DEL FEDERALISMO EUROPEO
Dal quartiere alla Regione
per una Comunità europea federale
di Gabriele Panizzi
Membro della Direzione nazionale dell'Aiccre,
Segretario generale della Federazione Lazio dell'Associazione
Anche in virtù di recenti avvenimenti, Adriano
Olivetti, Umberto Serafini ed Altiero Spinelli,
con le loro teorie e le loro battaglie, costituiscono
riferimenti importanti per rilanciare la
costruzione di una Comunità sopranazionale
europea federale fondata sul sistema dei poteri
locali e regionali
re indietro di venti anni, all’autunno del
1988, alla vigilia, quindi, delle elezioni del
Parlamento europeo del 1989, quelle che,
in Italia, si svolsero contestualmente al
referendum per “il conferimento di un
mandato costituente al Parlamento europeo che sarà eletto nel 1989”, indetto con
la legge costituzionale 3 aprile 1989, n. 2.
Come era sua tradizione, l’AICCRE elaborò tempestivamente (rispetto alle scadenze politiche sia nazionali sia europee)
un documento politico per concorrere ad
evitare “ripiegamenti puramente nazionali nel dibattito sulle autonomie locali
e regionali”, nel convincimento che “i
nuovi traguardi (quelli delle elezioni europee
costituenti e la scadenza fissata dal Trattato di
Maastricht al 1992 per il completamento del
grande mercato unico europeo) accentueranno il confronto tra i Paesi (e le rispettive società) della Comunità… e ogni
disfunzione nel sistema degli Enti locali
e delle Regioni in Italia renderà precario
questo confronto: ma ancor più che il
confronto, il progresso delle autonomie
in Italia richiama il fatto che esso sarà
condizionato dal e condizionerà il progresso federativo dell’intera Comunità, e
il suo avvio all’autentica Unione politica
Il Governo nazionale ha varato, il 3 ottobre 2008, il disegno di legge che dispone
l’“attuazione dell’art. 119 della Costituzione: delega al Governo in materia di
federalismo fiscale”, apportando al testo
sottoposto alla Conferenza delle Regioni
il precedente 1° ottobre alcune modifiche
concernenti, in particolare, la situazione
di Roma Capitale, per quanto attiene sia il
suo ruolo istituzionale sia il finanziamento di attività inerenti, appunto, il ruolo
di Capitale. L’itinerario parlamentare del
disegno di legge governativo dovrebbe essere, nelle dichiarate intenzioni del
Governo, rapido: entro i primi mesi del
prossimo 2009, che è anche l’anno delle
elezioni del Parlamento europeo (forse,
in Italia, attraverso una nuova legge elettorale della quale, molto genericamente,
si discute).
Questa coincidenza ci consente di tornan. 21 • dicembre 2008
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LE RAGIONI DEL FEDERALISMO EUROPEO
sopranazionale, il suo sviluppo, la sua
democrazia” (dal documento del Consiglio nazionale AICCRE dell’11 ottobre
1988, pubblicato su “Comuni d’Europa”,
dicembre 1988).
Nel numero di ottobre 1988 di “Comuni d’Europa” (in apertura un articolo
del Segretario dell’AICCRE, Gianfranco
Martini, dal titolo “Il fronte europeo delle
autonomie per la Costituente europea. Non c’è
Europa delle Regioni se non c’è Federazione europea”) erano stati riportati
documenti del Parlamento europeo relativi alla “questione regionale” in Europa
(il progetto di risoluzione del PE e la
“Carta comunitaria della regionalizzazione”) ed interventi sulla regionalizzazione
in Europa di Presidenti ed autorevoli
rappresentanti di Regioni italiane (Toscana, Lazio, Lombardia, Sicilia) e di altri
Paesi (Belgio, Francia, Germania Federale, Gran Bretagna, Portogallo, Spagna).
“Dal quartiere alla regione per una Comunità europea federale” era il sottotitolo di
“Comuni d’Europa”, a significare, in
maniera immediata, gli obiettivi dell’azione politica da sviluppare organicamente
a tutti i livelli istituzionali per il conseguimento di una autentica democrazia federale: così come indicato nel citato documento del Consiglio nazionale AICCRE
dell’ottobre di venti anni fa, dal titolo “la
riforma delle autonomie regionali e locali
nel quadro europeo e nella prospettiva
del ‘92”.
Non è questa la sede per una disamina
del disegno di legge del Governo all’inizio ricordato. Tuttavia, con riferimento al
carattere di organicità che si può rilevare
nel documento del CN AICCRE citato, si
deve osservare che, nel disegno di legge, la
questione delle risorse finanziarie (il federalismo fiscale), affrontata per attuare l’articolo
119 della Costituzione della Repubblica (vi
fu inserito con la legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3 “Modifiche al Titolo V
della parte seconda della Costituzione”),
è affrontata senza riferimento alcuno alla
questione istituzionale, da trattare contestualmente ai livelli locale/ regionale e nazionale/europeo.
Per quanto attiene i livelli istituzionali
compresi nell’ambito regionale, il disegno
di legge governativo inquadra la complessa problematica del federalismo fiscale
nell’assetto stabilito dal nuovo (legge
costituzionale 3/2001) articolo 114 della
Costituzione medesima (“La Repubblica
è costituita dai Comuni, dalle Province,
dalle città metropolitane, dalle Regioni
e dallo Stato. I Comuni, le Province, le
Città metropolitane e le Regioni sono
enti autonomi con propri statuti, poteri
e funzioni secondo i principi fissati dalla
Costituzione. Roma è la capitale della
Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento.”).
Ciò è formalmente corretto, ma restano
irrisolti i problemi relativi alla situazione
che di fatto caratterizza il complesso dei
molteplici soggetti istituzionali ed operativi che compongono il sistema (ma tale
non è) dei poteri locali e regionali.
Il buon esito della introduzione del federalismo fiscale dipende anche dall’assetto
istituzionale dell’insieme dei poteri locali
e regionali.
Le dinamiche economiche ed i conseguenti processi di trasformazione dell’ambiente e del territorio e la mutata
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Comuni d’Europa
Dal quartiere alla Regione per una Comunità europea federale
composizione anagrafica, etnica e sociale
della popolazione provocano la esigenza
di nuovi servizi pubblici (per l’educazione
e la formazione professionale, per la tutela della salute e la cura dei cittadini, per
la sicurezza della persona, per l’approvvigionamento idrico, la depurazione e lo
smaltimento dei liquami, per la raccolta,
il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti
solidi, per la produzione, la distribuzione
ed il risparmio della energia, per la mobilità delle persone e delle merci, per la salvaguardia e la fruizione dei beni culturali
ed ambientali...), alla quale le istituzioni
devono dare risposte adeguate per evitare
il disordine sul territorio ed il degrado
dell’ambiente, comportamenti dei cittadini prevalentemente orientati alla difesa di
interessi particolari e peggiorate relazioni
sociali caratterizzate anche dalla presenza
di forme di ricatto e di condizionamento
della libertà personale.
Le istituzioni, quindi, devono saper organizzare sul territorio il proprio apparato
amministrativo, perseguendo obbiettivi
di efficienza, efficacia ed economicità
dell’intervento pubblico, da una parte;
dall’altra, possono avvalersi, per la gestione dei servizi, dell’apporto di organizzazioni private, avendo stabilito chiare
regole di esercizio e significative forme di
controllo circa le modalità di erogazione
dei servizi medesimi ed il raggiungimento delle finalità stabilite nei protocolli di
affidamento della gestione degli stessi.
La struttura operativa, viceversa, si è
andata complicando a causa delle difficoltà che i soggetti istituzionali territoriali
previsti nell’articolo 114 della Costituzione repubblicana (Comuni, Province e
n. 21 • dicembre 2008
Regioni) hanno incontrato per rispondere alle dinamiche ed alle relative conseguenze accennate.
Detti soggetti, sotto la spinta di esigenze
settoriali, hanno dato vita ad un apparato
parallelo di organismi amministrativi che
avrebbero dovuto assicurare la gestione
di servizi fondamentali.
La conseguenza è stata la crescita complessiva dell’apparato e dei costi della
pubblica amministrazione, non di rado
con la complicazione delle procedure e
l’accrescimento della fatica e del costo
per il cittadino comune di venire a capo
dei problemi che insorgono nelle relazioni con i pubblici uffici.
La legge 8 giugno 1990, n. 142 cercò di
stabilire ordine tra i soggetti istituzionali
territoriali, definendone alcune competenze ed indicando forme e modi per
l’esercizio delle relative funzioni.
La situazione, tuttavia, è peggiorata
anche a causa dei ritardi o dell’assenza
della necessaria normativa (legislativa ed
amministrativa) regionale.
Alcuni ulteriori tentativi di mettere ordine nel complesso dei soggetti che, per
competenza o per attribuzione di funzioni, dovrebbero assicurare servizi efficienti, efficaci ed economici al cittadini, e di
semplificare le relative procedure, attraverso la legge 15 marzo 1997, n. 59 ed il
successivo decreto legislativo 31 marzo
1998, n. 112, non hanno conseguito risultati positivi.
Si continua a discutere, in verità in maniera estemporanea, epissodica e strumentale, sull’abolizione di qualche ente (ora le
Province, ora le Comunità Montane, ad
esempio), evitando di affrontare la que11
LE RAGIONI DEL FEDERALISMO EUROPEO
stione della semplificazione istituzionale
ed operativa in maniera complessiva ed
organica (con riferimento all’insieme dell’ordinamento amministrativo regionale:
dal Quartiere alla Regione).
Occorre definire il ruolo dei soggetti
istituzionali costituzionali nella consapevolezza delle interdipendenze delle azioni
amministrative ai diversi livelli e, quindi,
sottolineare la importanza di un ente intermedio unico fra Regione e Comuni, capace
di assolvere a quelle funzioni di area vasta
che non sono fronteggiabili da parte
dei Comuni piccoli e medi (si legga, nel
documento CN AICCRE il paragrafo su
“Province ed aree metropolitane”). Non
è nell’interesse generale delle comunità
locali che su uno stesso territorio operino
settorialmente diversi soggetti, ciascuno
con propri riferimenti e strumenti, peraltro, senza coordinamento alcuno.
Questo è vero sia per i soggetti istituzionali sia per quelli operativi. Per questi
ultimi, in particolare, occorre evitarne la
esplosione a tutti i livelli con confusione,
attraverso società miste, fra il pubblico
ed il privato: il soggetto istituzionale formuli programmi, detti indirizzi, effettui
controlli; il privato, se del caso, faccia
l’imprenditore alle condizioni dettate dal
soggetto istituzionale.
Le Regioni devono assumere coraggiose
iniziative per costruire un vero e proprio
sistema dei poteri locali e regionali fondato
su chiare competenze di ciascuno e relative funzioni, anche al fine di attuare il
principio di sussidiarietà chiaramente enunciato nell’articolo 118 della Costituzione
(anch’esso inseritovi con la legge costituzionale 3/2001).
Il Consiglio delle Autonomie Locali di
cui all’ultimo comma dell’articolo 123
(nuovo) della Costituzione, ancorché
organo di sola consultazione fra Regione ed
Enti locali, deve essere l’organo regionale ove si progetta il sistema dei poteri locali
e regionali che consenta una efficace ed
equilibrata attuazione del federalismo fiscale
su scala regionale.
E veniamo al livello nazionale/europeo,
per nulla considerato nel disegno di legge
governativo sul federalismo fiscale. Anche in
tal caso è utile rileggere il documento del
1988 del CN AICCRE al paragrafo “istituzioni e risorse finanziarie: una interdipendenza da non dimenticare”.
“Problemi istituzionali e finanziari sono
indissolubilmente legati… nel contesto
europeo, ove una autonomia impositiva,
accanto ad una finanza di trasferimento, caratterizza la stragrande maggioranza delle esperienze. Poiché fa parte
degli obiettivi irrinunciabili di uno Stato
moderno e democratico che i cittadini
godano degli stessi servizi… ne deriva
che il sistema della finanza locale non
può che essere un sistema misto, composto da trasferimenti e da autonomia impositiva
sostenuta da adeguate forme di perequazione (che nella Germania federale è sia
verticale - dal Bund e dai Laender sino
alle autonomie di base - e sia orizzontale
– tra Enti omologhi)... La gestione della
finanza pubblica deve essere unitaria…
Ma come ottenere questa unità, senza
cadere in un nuovo centralismo? La
risposta a questo interrogativo non può
che essere istituzionale: occorre inserire, nelle procedure di approvazione
dei bilanci (e non solo di quelli), un
12
Comuni d’Europa
Dal quartiere alla Regione per una Comunità europea federale
momento non tanto di confronto quanto
di codecisione in un organo politico, rappresentativo delle Regioni e delle autonomie. In tutti gli Stati federali esiste un
ramo del Parlamento - il Bundesrat della
Repubblica federale di Germania - che
rappresenta appunto gli enti sub-federali.
Occorre che su questa strada si ponga
anche il nostro Paese, modificando la
base elettorale del Senato e affidando
ad esso, tra l’altro, compiti specifici nella
‘contrattazione’ relativa alla distribuzione
delle risorse tra centro e periferia e tra i
diversi livelli istituzionali, fermo restando
l’attribuzione al governo della definizione dello ‘spendibile’ globale”.
Il disegno di legge governativo ipotizza, per affrontare le questioni di cui
alla lunga citazione sopra riportata, una
Commissione paritetica per l’attuazione del
federalismo fiscale ed una Conferenza permanente per il coordinamento della finanza
pubblica: la strada maestra del Senato delle
Regioni e dei poteri locali non viene presa
in considerazione, in attesa che venga
formulata una proposta ad hoc (e speriamo sia diversa da quella centralistica già bocciata dai cittadini nell’ultimo
referendum costituzionale).
Problema analogo si pone a livello europeo, con riferimento alla trasformazione
del Consiglio europeo (i rappresentanti
dei Governi) in un Senato degli Stati, sull’esempio della esperienza federale degli
Stati Uniti d’America.
Se fosse stato già istituito a seguito di una
Costituzione europea che non c’è (il Trattato
di Lisbona del 13 dicembre 2007, nella
speranza che possa entrare in vigore
prima delle elezioni del Parlamento euron. 21 • dicembre 2008
peo del prossimo anno, non risponde
a tal fine), forse non assisteremmo alle
riunioni estemporanee di direttori europei
autoreferenti che nulla possono decidere in
nome e per conto dei Paesi della Unione europea esclusi, forse dando luogo,
viceversa, al rafforzamento delle esistenti
tendenze nazionalistiche.
Un assetto istituzionale federale della
Unione europea potrebbe consentire di
affrontare con maggiore attenzione allo
”sviluppo economico equilibrato di tutto il
territorio della Comunità” sia il problema
della finanza locale sia quello “dell’accesso diretto o indiretto al mercato comunitario dei capitali” da parte di Regioni
ed Enti locali. In attesa di tale assetto,
il Comitato delle Regioni, istituito dal
Trattato di Maastricht (17 febbraio 1992)
potrebbe conquistare un ruolo anche per
detti aspetti.
Il documento del Consiglio Nazionale
AICCRE riportato in questo numero
di “Comuni d’Europa” costituisce un
importante punto di riferimento dell’azione che, in questa fase, deve essere
condotta da Regioni, Province e Comuni per concorrere alla formulazione di
provvedimenti normativi che affrontino
con la necessaria organicità le complesse
problematiche istituzionali, finanziarie,
economiche e gestionali di fronte alle
quali le comunità locali si trovano.
E’ necessario un unico quadro di riferimento nel quale collocare i provvedimenti di competenza dello Stato e delle
Regioni (quelli legislativi e di indirizzo)
che dovranno seguire percorsi impegnativi, presumibilmente non brevi, rispettosi
delle prerogative degli organi costituzio13
LE RAGIONI DEL FEDERALISMO EUROPEO
sistema dei poteri locali e regionali deve porre
crescente attenzione a che cosa avviene
nella Unione europea (che potrebbe avere
la dimensione per esercitare un ruolo planetario importante).
Le elaborazioni sul federalismo di tre
grandi del passato stimolano ad approfondire quanto sopra siamo andati dicendo (dal quartiere alla regione per una Comunità europea federale).
Il Movimento Comunità di Adriano
Olivetti (1901-1960), le battaglie per la
costruzione di una Comunità sopranazionale europea federale di Altiero Spinelli (1907-1986) e quelle di Umberto
Serafini (1916-2005) per una federazione
europea fondata sul sistema dei poteri
locali e regionali, costituiscono riferimenti interdipendenti per riprendere con vigore
una battaglia democratica che abbia la
necessaria dimensione (quella europea,
come presupposto di quella planetaria)
per poter fronteggiare e governare i
processi locali che caratterizzano ineluttabilmente l’epoca che stiamo vivendo.
Ne vale la pena!
nali, e che quindi non potranno essere
definiti contemporaneamente.
Regioni, Province e Comuni possono
concorrere a facilitare l’arduo compito
attraverso l’assunzione di precise responsabilità nella riconsiderazione dell’assetto
dell’attuale ordinamento amministrativo,
mirando, da una parte, alla costruzione di
un autentico sistema dei poteri locali e regionali
basato sui principi costituzionali di autonomia di ciascun soggetto e di sussidiarietà (lo
possono fare, con la legislazione vigente!);
dall’altra, proprio in quanto avrebbero
adempiuto ad un loro dovere, potrebbero
essere più ascoltati dal Parlamento al fine
di dar luogo, finalmente, ad un Senato
che non sia la fotocopia della Camera dei
Deputati (per quanto attiene le competenze), ma un organo di uno Stato federale
ove Regioni e poteri locali possano partecipare alla formulazione di quei provvedimenti che interessano immediatamente la
vita delle comunità locali: il Senato federale.
Inoltre, poiché, come è stato accennato,
in un pianeta ove la interdipendenza dei
processi richiede unitarietà di governo, il
14
Comuni d’Europa
LE RAGIONI DEL FEDERALISMO EUROPEO
Il federalismo
tra Europa e Regioni
di Lodovico Nevio Puntin
Segretario generale della Federazione AICCRE Friuli Venezia Giulia
Questa relazione si propone di favorire
un contributo al dibattito politico in
atto sulle grandi questioni che investono le prospettive dell’Europa, del paese
e di questa regione - tenendo conto
che soci istituzionali dell’AICCRE sono
gran parte dei Comuni e delle Province
del FVG, una Comunità montana e la
Regione stessa. Si tratta di:
mantenere l’autonomia e la conseguente
specialità per la regione Friuli VG, in base
al dettato costituzionale. Le ragioni della
nostra autonomia e specialità oggi sono
più che mai da valorizzare e non solo
difendere, considerato il valore culturale
del riconoscimento di regione plurilingue in base alle leggi del Parlamento
nazionale;
• sull’Euroregione: sostenere il lavoro che
il presidente Tondo è intenzionato a
realizzare in campo europeo e nazionale (in quest’ultimo caso per favorire
il varo del previsto provvedimento che
aiuti in Italia l’attuazione del Regolamento comunitario istitutivo del GECT);
• rilanciare gli obiettivi del movimento
federalista europeo in relazione alla
politica di integrazione UE, nell’ambito dei Trattati di Lisbona - Trattati
Il Consiglio Direttivo della Federazione regionale del Friuli Venezia Giulia
dell’AICCRE (Associazione italiana per
il Consiglio dei Comuni, Province e
Regioni d’Europa) ha deciso di indire
un Convegno pubblico a carattere regionale, in accordo con i vertici nazionali
dell’Associazione.
L’iniziativa si colloca in una fase politico-amministrativa di notevole movimento:
• perché ci sono le elezioni europee
della prossima primavera;
• per la dinamicità delle proposte e del
confronto in atto a livello nazionale,
per le scelte da compiersi sul federalismo fiscale e sulle riforme istituzionali;
• per le questioni presenti sulla scena
regionale del Friuli Venezia Giulia, in
quanto si configurano con caratteristiche di peso nazionale ed internazionale, partendo dal presupposto che il
nostro orizzonte non può prescindere
dalle novità che dovranno scaturire da
Roma in relazione al GECT (Gruppo
europeo di cooperazione territoriale),
strumento politico-giuridico necessario per far decollare l’Euroregione.
n. 21 • dicembre 2008
15
LE RAGIONI DEL FEDERALISMO EUROPEO
quei paesi l’uso dei fondi comunitari
europei sia stato decisivo per il recupero
del loro svantaggio, mentre in Italia questa partita non abbia sortito i risultati
che pur sarebbero stati possibili.
Il 15 aprile 2008 il Consiglio dell’Unione Europea ha diffuso su internet i
testi della versione consolidata dei due
trattati firmati a Lisbona il 13 dicembre
2007:
• il trattato sull’Unione europea (costituito da 55 articoli);
• il trattato sul funzionamento dell’Unione europea (costituito da 358
articoli).
Seguono poi altre 210 pagine tra protocolli, dichiarazioni e tavole sinottiche di
raccordo tra i vari trattati.
L’azione politica e di sensibilizzazione
della Federazione regionale AICCRE
del Friuli Venezia Giulia sui due trattati di Lisbona si è tradotta in diverse
iniziative, consapevoli dell’importanza
fortissima che i 27 paesi dell’UE provvedessero alla ratifica, dopo l’esito del
trattato che adottava la costituzione
europea, firmato a Roma nel 2005, ma
liquidato dai referendum negativi di
Francia e Olanda.
Mentre il referendum dell’Irlanda bocciava i trattati di Lisbona, l’AICCRE
– in collaborazione con la Direzione
Centrale per le Relazioni Internazionali
della Regione Friuli VG – realizzava iniziative con i propri associati e convegni
e seminari, soprattutto nell’ambito delle
scuole superiori impegnate in programmi
formativi europei, e provvedeva a pubblicare e divulgare centinaia di copie dei due
trattati di Lisbona (volme di 478 pagine).
per noi insufficienti ma dai quali non
si può prescindere per il governo
dell’UE a 27 paesi – che considerano
importante il rilancio della politica di
cooperazione nelle regioni transfrontaliere e transnazionali, pre condizione per consolidare il processo di pace
nei Balcani e scongiurare il rischio di
esplosione del conflitto nel Caucaso;
• ribadire che i contenuti del federalismo fiscale e delle riforme istituzionali vanno intesi come processo
di riconoscimento e trasferimento di funzioni
e relative risorse finanziarie dall’alto verso
il basso in aderenza al principio di sussidiarietà, con nuovi ruoli alle regioni
ed al sistema delle autonomie locali in
materia fiscale in attuazione dell’art.
119 del Titolo V^ della Costituzione,
novellato nell’anno 2001, nel contesto
della più generale riforma istituzionale federale che preveda l’istituzione a
livello europeo del Senato delle Regioni e delle città ed in Italia il superamento del bicameralismo perfetto con
l’istituzione del Senato delle Regioni e
delle autonomie locali (come ripropone il nostro Segretario generale Sen.
Roberto Di Giovan Paolo).
Trattati di Lisbona
Riforma bicameralismo
Il Ministro Calderoli, nella relazione che
precede l’articolato sulla Legge delega
relativa al federalismo fiscale in attuazione all’art. 119 della Costituzione, datata
3.9.08 e presentata informalmente il
giorno dopo all’ANCI e all’UPI, lancia
uno sguardo alle esperienze irlandese,
spagnola e tedesca e lamenta come in
16
Comuni d’Europa
Il federalismo tra Europa e Regioni
dall’impasse che si è venuto a determinare. In
effetti è possibile, anche se non sicuro, che si
trovi il modo per giungere a un nuovo pronunciamento popolare in Irlanda, tale da salvare
il completamento del processo di ratifica del
Trattato di Lisbona. Non possiamo tuttavia
negare il danno di immagine già provocato dal
no – sia pure di un piccolo paese – col quale
si è bloccato e posta in forse l’attuazione di
importanti, innovative scelte istituzionali da
tempo considerate necessarie e pazientemente
concordate. Il danno reale è certamente il ritardo che ne è derivato: insieme col rischio di una
perdita di credibilità dell’Unione, della sua
capacità di decidere, di cambiare se stessa, di
consolidare e sviluppare nel futuro il suo ruolo.
Credo che abbiano ragione quanti contestano
ogni facile pessimismo ed esprimono fiducia
nella forza di cui dispone l’Unione per andare
oltre momenti di crisi anche grave. E’ vero, il
processo di integrazione – a quasi 60 anni
dagli inizi – ha messo radici così profonde
da apparire o poter essere giudicato irreversibile. E tuttavia non possiamo sottovalutare i
punti deboli, le fragilità, i nodi che restano da
sciogliere. Può avere futuro l’Unione Europea
se il dissenso che si registra anche in uno solo
dei suoi Stati membri determina una pesante
battuta di arresto, suscita il timore di una
paralisi?Si può invece mettere in discussione la
regola dell’unanimità anche nei campi in cui è
rimasta un tabù: a cominciare da quello della
definizione e ratifica di nuovi Trattati? Si
può prospettare una integrazione differenziata, innanzittutto sperimentando cooperazioni
rafforzate tra i paesi che vogliono e possono
procedere più speditamente? Interrogativi, lo
sappiamo, tutt’altro che nuovi, e sempre elusi,
ma che la forza testarda dei fatti risolleva acutamente. Il grande allargamento dell’Unione a
Avevo preparato, in termini problematici, la parte di questa relazione, quando
ho ascoltato l’intervento del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, reso in video-conferenza con il
Workshop Ambrosetti di Villa d’Este il
6.9.08, che in modo asciutto ed efficace
meglio di chiunque altro ci richiama a
come “dare forza all’Europa”. Ritengo
perciò utile e di grande attualità riproporre ampi stralci di questo intervento,
rinviando al documento approvato dal
Consiglio direttivo dell’AICCRE regionale del 4 luglio 2008 a Pasian di Prato,
che trovate stampato nella cartella dei
lavori di questo convegno, le considerazioni dell’AICCRE e la proposta di
istituire il Senato federale in Italia e,
specularmente, il Senato europeo delle
regioni e delle comunità locali.
Mentre desidero ricordare che l’agenda
politica nazionale non potrà ritardare
oltre la revisione dei regolamenti parlamentari e la connessa riforma elettorale
per il parlamento nazionale, non potendosi limitare solo all’attualità della legge
elettorale europea, affrontando quindi il
nodo della riforma del bicameralismo.
Dare forza all’Europa (G.Napolitano).
“(…). Innanzittutto la situazione dell’Unione
Europea alla luce del referendum irlandese
sul Trattato di Lisbona. Direi che al clamore
e all’allarme suscitati dal risultato di quel
referendum è seguita una fase di attesa più
distaccata. Uno sforzo, quasi, per sdrammatizzare quell’imprevisto e brusco incidente di
percorso. E chiaramente si confida – innanzittutto da parte della Presidenza francese – che
venga proposta dalle stesse autorità irlandesi, a
partire dal prossimo ottobre, una via d’uscita
n. 21 • dicembre 2008
17
LE RAGIONI DEL FEDERALISMO EUROPEO
atto di scelte quindi meglio ponderate e concertate.(…).”
27 Stati membri ha rappresentato una scelta e
un evento di grande significato storico: ma esso
davvero richiede che, per preservarne le potenzialità, si escluda ogni differenziazione?(…).
Ci si chiede, nel proporre l’Agenda per l’Europa 2009, se l’Unione Europea sia in grado di
assolvere efficacemente il suo ruolo rispetto alla
competizione globale. Penso che la questione sia
riferibile non solo alla performance cui è chiamata l’economia europea ma ad un processo di
globalizzazione che esige un balzo in avanti
della capacità d’azione politica dell’Unione sul
terreno complessivo delle relazioni internazionali. Si discute oggi soprattutto dei temi della
competitività, della crescita, della governance
finanziaria. Ma sono temi non separabili da
quello del livello di coesione e iniziativa politica
dell’Unione.(…). Un segnale positivo, dinanzi
alla crisi georgiana, è venuto nei giorni scorsi
dal Consiglio Europeo: si è riusciti – non
dirò miracolosamente, ma al di là di meno
rosee realistiche previsioni – ad esprimere una
posizione unanime. Ma le tensioni non sono
mancate e restano abbastanza visibili, in particolare sul tema di un costruttivo equilibrio tra
critica e pressione per il rispetto da parte della
Federazione russa di principi e impegni irrinunciabili, e conferma, arricchimento, rilancio
della cooperazione tra UE e Russia, così come
tra Nato e Russia, a fini di sicurezza comune
su scala paneuropea e euroatlantica. E allora
non ci si può affidare a un’accorta mediazione
in sede di Consiglio Europeo quando scoppi
una crisi acuta, ma si deve costruire – questo è
il termine appropriato: costruire – una politica
estera e di sicurezza davvero comune, sotto la
guida – come prevede il Trattato di Lisbona
– di un solo responsabile in seno all’Unione e
grazie all’apporto di strutture di sostegno per
l’analisi, per l’elaborazione e per la messa in
Federalismo fiscale
specialità regionale
Oramai è dal 2001, da quando il Parlamento ha modificato il Titolo V della
Costituzione, che si attende l’attuazione
del federalismo fiscale. Ovviamente l’attuazione dell’art. 119 della Costituzione
non può prescindere da nuove leggi dello
Stato e da quelle successive regionali.
Una forte accelerazione viene ora:
• dalla decisione del Governo Prodi con
la finanziaria per il 2008 di ridimensionare del 40% l’incidenza dell’ICI.
L’ICI fu introdotta nel 1993 (dopo la
sperimentazione dell’ISI nel 1992), a
due anni dalla Legge di riforma delle
autonomie locali – la legge Gava n.
142 del 1990 – che abolì il Testo unico
della legge comunale e provinciale del
1934, riconoscendo autonomia statutaria e organizzativa agli enti locali (ma, purtroppo, non autonomia
finanziaria). Nel 1993 gli enti locali
sostanzialmente operavano in regime
di finanza derivata (con quasi l’80% di
trasferimenti da parte dello Stato),
disponendo come entrate finanziarie
proprie il restante 20%;
• dalla decisione del Governo Berlusconi, assunta dopo le elezioni politiche
della primavera 2008, che ha modificato la finanziaria predisposta dal
Governo Prodi abolendo totalmente
l’ICI per la prima casa e prevedendo,
per il solo esercizio finanziario 2008,
la compensazione del mancato gettito
ICI con trasferimenti statali (anche se,
18
Comuni d’Europa
Il federalismo tra Europa e Regioni
pare, in misura parziale).
In questo contesto, prenderemo oggi in
considerazione lo schema del Disegno
di Legge che il Ministro Roberto Calderoli, versione 3 settembre 2008, sta
utilizzando nella fase di consultazione
con l’ANCI, l’UPI e la conferenza dei
Presidenti delle Regioni, fermo restando
che è stato annunciato un calendario che
prevede entro settembre 2008:
• conclusione della fase di consultazione con i rappresentanti di Regioni e
autonomie locali sulla bozza informale “Calderoli”;
• esame e approvazione del testo da
parte del Consiglio dei Ministri (che
può, ovviamente, discostarsi dallo
schema Calderoli, oggetto di consultazione con le autonomie locali e
già modificato rispetto al testo luglio
2008);
• invio del testo alle Camere su iniziativa di Berlusconi assieme ai Ministri
Tremonti, Bossi, Calderoli, Maroni e
Fitto.
Questo cronoprogramma ha avuto una
ulteriore brusca “accelerazione politica”
e nella seduta del Consiglio dei Ministri
n. 16 dell’11.09.2008 il testo proposto
dal Ministro Calderoli d’intesa con Fitto,
del 03.09.2008, è stato preliminarmente approvato, con ulteriori modifiche
(è stata espunta la previsione di “tasse
comunali” e delle “accise” sui carburanti
per le Province).
Ci sarà infine una seduta del Consiglio
dei Ministri, dopo la conclusione dell’esame congiunto del testo in sede di
Conferenza Stato-Regioni-Autonomie
locali.
n. 21 • dicembre 2008
Prima però si desidera sollevare i seguenti aspetti:
• da tempo, sia i governi nazionali di
centro destra, quanto quelli di centro
sinistra, soprattutto nei rapporti con
le Regioni a Statuto speciale, stanno
assumendo un progressivo orientamento di rallentamento del riconoscimento di maggiori spazi di operatività
finanziaria o di altre forme di riconoscimento di autonomia su versanti
con risvolti patrimoniale. Per la Regione Friuli VG si ricordano: la partita
dei trasferimenti sulle pensioni INPS,
su cui il Consiglio regionale a luglio
ha approvato un ordine del giorno
trasversale per sollecitare il governo
a completare quanto necessario per
dare attuazione agli accordi assunti
dal Governo Prodi con il presidente
Illy; il congelamento delle trattative
sui tetti dei decimi, rispetto a competenze trasferite e a quanto conseguito
da altre Regioni a statuto speciale,
compreso lo stop sulla materia dei
beni culturali e possibili problemi sul
fondo della sanità; il blocco dei trasferimenti delle caserme alla Regione e
agli enti locali; la concessione di poteri
in materia di aree demaniali-golenali
interessante sedimi particolarmente
estesi lungo le aste dei fiumi regionali.
Come spesso ci ricorda il presidente
dell’AICCRE Antonio Martini, anche
sulla base di una sua diretta esperienza
da presidente del Consiglio regionale
– coinvolto in più circostanze nei
lavori della Commissione paritetica
Stato-Regione che lavora sulle Norme
di attuazione - e da Presidente della
19
LE RAGIONI DEL FEDERALISMO EUROPEO
quinta Commissione permanente del
Consiglio regionale, ultimamente si è
diffusa la sensazione, negli ambienti
romani, che le Regioni a Statuto speciale debbano accontentarsi di quanto già
avuto!;
• non solo nell’incontro pubblico di
Pordenone dello scorso mese di luglio,
ma anche con la recente intervista
a Repubblica del 6.9.08, il Ministro
Brunetta, nell’ambito di una dichiarazione tesa ad escludere la riproposizione dell’ICI (quella tassa non
tornerà mai o ci rincorreranno con i
forconi n.d.r.) alla domanda: “Conferma che il federalismo metterà in
soffitta anche le Regioni a Statuto
speciale?”, così risponde: “Oh, yes.
Nei modi e nelle forme già indicate
dall’amico Calderoli”… e lo stesso
Presidente Berlusconi, a Porta a Porta,
incalzato da Vespa circa la soppressione di province e regioni a Statuto
speciale ha tergiversato dicendo che
“… si prenderà in esame la decisione quando l’argomento arriverà sul
tavolo di lavoro”. Ma la notizia che
proprio oggi giunge da Cortina d’Ampezzo tramite l’On. Isidoro Gottardo
circa il ripensamento di Brunetta che,
assieme a Frattini, farà quadrato sulla
difesa della “specialità” delle Regioni
autonome – reimpostando le contrattazioni nel tavolo del federalismo fiscale
sulla nuova teoria del “fiscalismo di
vantaggio per le imprese delle aree di
confine” – non può che essere da noi
salutata positivamente!
• il Ministro Calderoli, invece, ha affermato che le Regioni a Statuto speciale
non si toccano e, in occasione dell’incontro con il Presidente Lombardo
della Regione del sud d’Italia, la Sicilia,
si è preoccupato di definire, semmai,
un percorso di lunga gradualità per
l’entrata in vigore del federalismo
fiscale, per evitare penalizzazioni a
quella Regione Autonoma a Statuto
speciale;
• il capogruppo in Consiglio Regionale della Lega Nord del Friuli VG,
Narduzzi, ha invece rilasciato una
dichiarazione in cui manifesta l’opinione che, semmai, anzicchè togliere
alle Regioni a Statuto speciale siano
le Regioni a statuto ordinario ad avere
riconosciuto progressivamente competenze e relative risorse finanziarie
come quelle a Statuto speciale. Posizione assolutamente condivisibile e
seria;
• l’ex Presidente del Consiglio Massimo
D’Alema, in una recente dichiarazione pronunciata in Toscana, afferma
che il federalismo fiscale proposto da
Calderoli tende a premiare le regioni
del Nord a discapito delle Regioni meridionali del paese. Occorrerà
capire meglio il senso di tale affermazione, sganciandola ovviamente dalla
vis polemica in atto prima ancora
che il Consiglio dei Ministri abbia
formalmente licenziato il Disegno di
Legge delega sull’attuazione dell’art.
119 della Costituzione.
In questo contesto pare necessario
ricordare che la condizione di “specialità”, riconosciuta dalla Costituzione
alla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, non deriva solo da ragioni
20
Comuni d’Europa
Il federalismo tra Europa e Regioni
dall’ambito di intervento, si chiude con le abrogazioni collegate. Si presenta così, racchiusa in
28 pagine, la bozza sul federalismo fiscale che
il ministro per la Semplificazione legislativa
Roberto Calderoli ha consegnato alle autonomie locali.” I Comuni e le Città metropolitane
avranno «un’adeguata autonomia impositiva»
sugli immobili «compresa quella sui trasferimenti della proprietà e di altri diritti reali».
Viene anche riconosciuta un’adeguata autonomia impositiva alle Province su autoveicoli e
accise sulla benzina e sul gasolio. Soddisfatto
Calderoli. «Tutti hanno partecipato portando dei contributi, così si costruiscono le cose,
soprattutto le riforme». E lo schema di disegno
di legge potrebbe andare in Consiglio dei ministri già la prossima settimana. Intanto giovedì
prossimo è previsto un incontro tra il ministro
Calderoli e il presidente della Conferenza delle
Regioni, Vasco Errani.”
L’ANCI e l’UPI considerano l’impianto dello SCHEMA DI DISEGNO DI
LEGGE “ATTUAZIONE DELL’ART.
119 DELLA COSTITUZIONE. DELEGA AL GOVERNO IN MATERIA DI
FEDERALISMO FISCALE”, illustrato
dal Ministro Calderoli, in linea con le
precedenti posizioni espresse dal sistema delle autonomie locali, con qualche
sottolineatura enfatica da parte dell’UPI
in relazione alla possibile previsione
di accise sui carburanti a favore delle
province. Mentre l’ANCI, sulla nuova
tassa sui servizi, visto la dichiarazione
del Premier Berlusconi del 7.9.08 che
esclude la reintroduzione di una tassa
sugli immobili, perché la casa è un bene
fondamentale per gli italiani, ancora non
è in grado di esprimere una opinione più
netta per conto dei Comuni, che imma-
di svantaggio strutturale permanenti o
quelle nuove derivanti dal 20% di Tasse
pagate dalle imprese in Slovenia e 25%
in Corinzia, ma anche dalla collocazione geopolitica di questa area nel cuore dell’Europa e
dalla presenza culturale di lingue, tra cui quella del friulano. Al Ministro Brunetta, ed a
coloro che pensano come lui, bisogna
ricordare che le popolazioni del portogruarese o di Sappada ricorrentemente pongono la questione di uscire dal
Veneto per far parte del Friuli VG non
credo solo per una ragione di “soldi”
ma in particolare per una questione di
identità culturale e linguistica. Un valore
questo che non può essere liquidato e
fatto fuori, strumentalizzando l’importante circostanza dell’attuazione costituzionale del più complesso processo
di federalismo fiscale previsto dall’art.
119, ma semmai valorizzando in questa
occasione l’art. 6 della Costituzione che
recita: “La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”.
Si potrà dire che questa norma è datata,
e quindi chi di dovere potrà adoperarsi
per aggiornare quanto c’è ragionevolmente da aggiornare, ma intanto teniamoci la “Costituzione” che è il frutto
dell’indimenticabile lavoro svolto dai
costituenti, grazie allo spirito unitario
uscito dalla Resistenza, 2° risorgimento
nazionale!
L’AICCRE rileva con favore le prime
impressioni positive manifestate dai
rappresentanti delle autonomie locali
espresse in sede di incontro con il Ministro Calderoli.
Da www.sole24ore.com del 5.9.08:
“Ventidue articoli divisi in sette capi: si parte
n. 21 • dicembre 2008
21
LE RAGIONI DEL FEDERALISMO EUROPEO
appena iniziato un lungo “campionato”
che si concluderà con l’elaborazione
delle singole Leggi delegate (e saranno
numerose).
Nelle temperie della polemica politica
di queste settimane, attorno al nodo ICI
no, ma riordino delle tasse esistenti e
gravanti direttamente o indirettamente
sugli immobili, riducendole per quantità ed impatto, come dice Calderoli
(altrimenti è pronto a bruciarsi davanti
al Quirinale, se torna l’ICI), su quale
tassa discutere (TASSA SUI SERVIZI?)
occorrerà necessariamente attendere le
proposte ufficiali che il Governo formalizzerà, forse anticipando qualcuna
già in sede di collegato alla finanziaria
2009 – posto che il Ministro Tremonti
ha anticipato in Giappone che il Disegno di legge sul federalismo fiscale sarà
un collegato alla finanziaria di settembre
e considerato che la compensazione per
l’ICI ad oggi è prevista solo per l’anno
2008. Da considerare con estrema attenzione l’informazione data da Tremonti,
sempre in Giappone, circa la necessità
che il Paese si doti di una Banca dati,
a disposizione di tutti, che consenta di
leggere la provenienza del reddito (dove
si fa?, dove si produce il reddito, rispetto
alla sede legale?).
Sull’IVA, IRPEF, IRES, IRAP, accise sui
carburanti, addizionali, compartecipazioni, sovrimposte ecc., salvo le elencate
gradualità,flessibilità, territorialità, tutto è
rinviato ai Decreti legislativi, ed a qualche anticipazione che senz’altro dovrà
essere prevista già con la Finanziaria
2009, mancando almeno 2 miliardi di €
per chiudere i bilanci 2009 del sistema
gino espliciterà nei prossimi giorni.
Queste caute posizioni ottimistiche di 8
giorni prima, si sono però subito gelate
il giorno 12.09.2008 ed il portale delle
autonomie locali non nasconde delusione e preoccupazione circa l’assenza
– nel Disegno di legge varato preliminarmente dal CdM n. 16 – sia di una
norma che preveda autonome entrate
fiscali per i Comuni quanto del passo
indietro rispetto alle “accise” per le Province. Insomma la Legge delega svicola
sulle nuove entrate e sono assolutamente assenti le cifre.
Si deve subito precisare che l’impianto
complessivo dello SCHEMA Calderoli
è articolato su PRINCIPI E CRITERI
DIRETTIVI GENERALI, trattandosi
di una Legge delega alla quale dovranno
poi seguire numerosi Decreti delegati.
Quindi oggi si può ragionare solo su
principi e criteri direttivi generali e non
su soppressione di tasse, riordino di
vecchi tributi e introduzione di nuove
imposte. Si dovranno attendere i Decreti legislativi, di attuazione della Legge
delega, entro i prossimi 24 mesi (e forse
più in là!).
Lo stesso impianto era seguito dal Disegno di Legge n. 3100 avente ad oggetto
“Delega al Governo in materia di federalismo fiscale”, presentato alla Camera
dei Deputati il 29 settembre 2007 da
Prodi, assieme a Padoa Schioppa, Lanzilotta, Chiti e Amato, il cui iter è stato
interrotto dalle dimissioni del Governo
Prodi presentate nel mese di Febbraio
2008.
E’ evidente quindi che, con l’avvio della
Legge delega sul federalismo fiscale, è
22
Comuni d’Europa
Il federalismo tra Europa e Regioni
e Pandolfi – si è dovuta prevedere una
norma perentoria che impediva il trasferimento della 4^ rata trimestrale dal
Ministero dell’Interno ai Comuni meridionali se prima gli stessi inadempienti
Comuni non avviavano il recupero della
Tarsu.
Il Governo Prodi prevedeva una Cabina
di regia; Il Ministro Calderoli prevede
l’istituzione di una Commissione paritetica, con tutti i rappresentanti istituzionali presenti, e la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza
pubblica (nell’ambito della Conferenza
unificata). Qui ci si ispira alla Spagna
ed alla Germania. Lodevoli gli obiettivi prefissati, relativamente al coordinamento e monitoraggio dei risultati in
corso d’opera.
Forse merita mettere a confronto tre
diverse versioni sull’articolo riguardante
il Coodinamento della finanza delle regioni a
statuto speciale e delle province autonome:
• testo Governo Prodi. “Le Regioni a
statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano concorrono al conseguimento degli obiettivi
di perequazione e di solidarietà e
all’esercizio dei diritti e dei doveri da
essi derivanti...”;
• testo Ministro Calderoli, luglio 2008.
“Le Regioni a statuto speciale prendono parte al sistema di perequazione e di solidarietà...”;
• testo Ministro Calderoli in vista della
consultazione di ANCI e UPI del 4
settembre 2008: “Le Regioni a statuto speciale dovranno partecipare
al conseguimento degli obiettivi di
perequazione e di solidarietà...”.
delle autonomie locali.
Su gran parte dei contenuti della Relazione Calderoli, e conseguente articolato, stesura 3.9.2008, non si registrano grosse differenze con l’impianto
della Relazione e articolato del Governo
Prodi (n. 3100 del 29.9.2007).
Emergono con particolare sottolineatura i concetti di responsabilità e di solidarietà. Al concetto che i cittadini vogliono
sapere: “che fine fanno i soldi pagati con
le tasse”. La risposta responsabile la si
trova prevedendo ai livelli più bassi
(attuando quindi il principio di sussidiarietà) i centri decisori di spesa. I
contribuenti quindi dovrebbero essere
favoriti nella possibilità di verificare gli
obiettivi raggiunti o meno con i loro
soldi, e giudicare con il voto i responsabili di Comuni, Province, Regione o
Stato. Interessante anche la novità, prevista nello SCHEMA Calderoli, di poter
concorrere alle imposte di imprese con
sede legale fuori dalla Regione in cui si è
prodotto il reddito.
Altra novità è il superamento al riferimento alla spesa storica e l’individuazione
dei livelli essenziali (costi standard) per i
servizi pubblici. A mio avviso lodevoli
obiettivi. Ma non ci si può nascondere
che questa sfida è una scommessa per
tutti i cui risultati non potranno che
essere perseguiti in un tempo lungo,
attraverso una accentuata fase transitoria e di gradualità. Basti pensare che la
Tarsu (tassa dei rifiuti solidi urbani) è
prevista da una legge emanata durante il
fascismo dopo il 1940; eppure per farla
applicare nei Comuni del sud - ai tempi
dei Ministri del Tesoro Goria, Stammati
n. 21 • dicembre 2008
23
LE RAGIONI DEL FEDERALISMO EUROPEO
attuative e di adeguamento delle Norme di
attuazione, scatta il prelievo dagli idrocarburi
a favore della Sicilia, così come da percorso
già definito nella Legge delega sul federalismo
fiscale. Da qui il via libero di Lombardo
alla Legge delega.
A Udine il Ministro degli Esteri Frattini,
in un intervento svolto il 15 scorso, dialoga
assieme al presidente Tondo prospettando una
“fiscalità vantaggiosa”, mentre ribadisce la
riconferma della “specialità” della Regione
Friuli VG e la grande opportunità per questa
area nella prospettiva dell’Euroregione. Vedremo nei Decreti attuativi e nella trattativa tra
Regione FVG e Stato come si tradurrà in concreto questa ipotesi, visto che più di 15 anni di
discussioni sull’hoff-shore di Trieste sono fallite
e la creazione di zone franche nel Tarvisiano,
isontino o altre aree saranno appunto tutte
da contrattare ex novo secondo il neologismo
“fiscalismo di vantaggio”, teoria mi pare che
ricompare in questa fase finale d’estate e rilanciata, sembrerebbe, da una novella della Corte
europea di giustizia degli inizi di settembre
(cioè un paio di settimane fa!).
E’ evidente che la partita politica delle
Regioni a Statuto speciale è tutta aperta
e senz’altro le 5 Regioni “autonome”
previste dalla Costituzione sarà bene
che dialoghino, anche all’interno della
Conferenza dei presidenti delle Regioni,
per conseguire posizioni avanzate e di
non smantellamento/arretramento delle
ragioni delle proprie identità e specialità.
Ho forti dubbi che le 5 regioni a statuto
speciale possano reggere l’urto di chi
grida alla loro soppressione, se ognuna
cerca di costruirsi il proprio “fortino”,
marciando in ordine sparso. L’altra mattina, intervistato da Corradino Minneo,
Non sembra un banale esercizio di stile,
di tecnica legislativa, oppure semplicemente linguistico (qui si tratta di togliere
alle Regioni a Statuto speciale, o non
riconoscere nuove risorse, per dare alle
Regioni a statuto ordinario che dovranno accedere al fondo di perequazione e
di solidarietà!):
L’espressione “concorrono”, usata dal
Governo Prodi, sembra meno vincolistica, una affermazione classica di carattere programmatico e non perentoria.
L’espressione “prendono parte al
sistema”, usata dal Ministro Calderoli
a Luglio 2008, sembra molto cogente,
impegnativa, vincolante, perentoria.
L’espressione “dovranno partecipare
al conseguimento”, su cui sembra
ripiegare il Ministro Calderoli nella versione 3 settembre 2008, appare certamente meno vincolante, più rinviata al
futuro e forse coerente con la promessa
fatta a Lombardo, presidente della Sicilia, circa una lunga fase di transizione e
quindi gradualità
Il testo approvato preliminarmente lo
scorso 11 settembre dal CdM torna
all’espressione “concorrono”, originariamente elaborato da Padoa Schioppa e
Prodi un anno fa. Meglio così!
Peraltro al Governatore della Sicilia il Governo ha prospettato la concessione di imponenti
risorse finanziarie con le “accise” sugli olii
lavorati dalle 5 – su 6 – raffinerie ivi insediate, a fronte – afferma Lombardo – di
nuove competenze: ad esempio, se si prevede di
trasferire in capo alla Sicilia la gestione delle
Università è chiaro che i professori e tutto il
resto verrà pagato dalla regione Sicilia – ha
detto Lombardo – e quindi, in sede di Leggi
24
Comuni d’Europa
Il federalismo tra Europa e Regioni
Lombardo si fermava a citare la Sicilia,
Sardegna, Valle d’Aosta e Trentino Alto
Adige, dimenticando il Friuli VG. Spero
che il Sen. Saro, artefice anche il nostro
Segretario nazionale aggiunto AICCRE
On. Michele Scandroglio, già coordinatore di FI in Liguria, sia buon ambasciatore nei confronti di Lombardo visto i
suoi trascorsi.
nemmeno con le dichiarazioni di buon
vicinato e reiterati protocolli tra i leader
di Regioni, Lander, Contee e Stati confinanti al Friuli Venezia Giulia.
I Programmi di Iniziativa Comunitaria
(le varie generazioni Interreg), e tutti gli
altri programmi e Obiettivi comunitari
approvati con i Regolamenti UE ancora
nel luglio 2006 previsti per il periodo 2007-2013, complessivamente gravemente
in ritardo nell’emissione dei Bandi, tranne
l’Italia-Austria già decollato, mettono a
disposizione risorse finanziarie comunitarie e nazionali importanti e, come
scrive Calderoli nella Relazione all’articolato sul federalismo fiscale, è necessario rendere strategica la capacità di
spesa del sistema enti locali e territorio
del Friuli Venezia Giulia.
Nel novembre di 30 anni fa una classe
politica illuminata, guidata nel Friuli VG
da Antonio Comelli, 10 anni dopo la
primavera di Praga e 10 anni prima dello
smantellamento del Muro di Berlino, ha
intuito l’importanza di avviare – attraverso la comunità di lavoro Alpe Adria
– dei confronti politici e tavoli di lavoro
tecnici tra numerose comunità regionali
dell’Italia, dell’Austria, della Baviera in
Germania, della Yugoslavia (Slovenia e
Croazia) e dell’Ungheria. Ritengo che
tutta la classe politica del Friuli Venezia
Giulia succeduta ad Antonio Comelli si
sia mossa politicamente in termini corretti, rinnovando la cooperazione con i
rispettivi partner di Alpe Adria e concorrendo a costruire il processo di allargamento e di coesione politica dell’UE
(su cui ancora molto c’è da fare).
Nel frattempo l’originaria CE è passata
GECT e EUROREGIONE
a 30 anni dalla costituzione
della comunità di lavoro Alpe Adria
Il Regolamento CE n. 1082 del Parlamento europeo e del Consiglio del 5
luglio 2006, istituisce il GECT (Gruppo
europeo di cooperazione territoriale).
La Federazione regionale dell’AICCRE
del Friuli VG, su GECT e prima ancora
su Euroregione, assieme alla Direzione
Centrale per le Relazioni Internazionali,
da molto tempo dedica il proprio impegno e iniziativa a favore dei propri associati, nel rispetto delle diverse sensibilità
politiche e dei diversi livelli istituzionali,
per accrescere conoscenza e consapevolezza sulle rilevanti potenzialità offerte
dall’adozione di un nuovo strumento
giuridico comune di diritto comunitario,
quale sarà il GECT. Tale condizione
supera l’oramai datato strumento di
Madrid che, di fatto, centralizzava a
Roma ogni decisione inerente le cooperazioni transfrontaliere e transnazionali.
Ciò deriva anche dalla collocazione geopolitica e dalla consapevolezza che la
costruzione di validi e concreti rapporti
di cooperazione transfrontaliera e transnazionale non si esauriscono con gli
oltre 100 gemellaggi, pur importanti, ma
n. 21 • dicembre 2008
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LE RAGIONI DEL FEDERALISMO EUROPEO
dall’Atto unico di Lussemburgo a Maastricht, dalla Carta dei diritti di Nizza
all’istituzione dell’Euro, da Laeken – che
istituì la Convenzione Giscard d’Estaing
- ai Trattati di Lisbona e, con l’accordo
di Sheengen, ha smantellato centinaia
di frontiere fisiche che dividevano le
comunità. Il Friuli VG e l’Austria è senza
frontiere dall’inizio degli anni ’90. Con il
21 dicembre 2007 sono stati demoliti
ben 13 valichi confinari tra Italia e Slovenia, nel frattempo resasi indipendente
dalla Yugoslavia nel 1991.
Oggi è improponibile un GECT (o
Euroregione) che coincida con i perimetri dei partecipanti alla Comunità di
lavoro Alpe Adria. Tuttavia il Ministro
degli esteri italiano Frattini, con una
intervista al Piccolo del 7.9.08, prefigura
invece che ciò sia possibile in una seconda fase, mentre vede realizzabile a breve
un’Euroregione, con capitale a Trieste,
tra Friuli VG, Veneto, Carinzia, Slovenia
e contee istriane croate.
L’AICCRE sostiene il presidente
Tondo, che ha chiesto al Governo italiano l’emanazione dei provvedimenti
occorrenti per dispiegare l’attuazione
del regolamento comunitario sul GECT.
Era quanto aveva sollecitato dal luglio
2007 anche il presidente Illy, senza però
riuscirci. Dalla visita del Ministro degli
Esteri Frattini in Friuli VG, di metà
settembre, si apprende che il governo
inserirà nella Legge comunitaria 2008 le
norme sul GECT. Su punto si soffermerà con la sua relazione, diffusamente
e con competenza, il prof. Coen, informandoci anche sulle difficoltà incontrate dalla proposta di DPR del Governo
Prodi. Vedremo come verranno formulate e, anche l’AICCRE, confida che
vengano previste competenze e funzioni
spinte e innovative in capo al sistema
Regioni e autonomie locali, con particolare attenzione al Friuli VG.
Nel frattempo l’AICCRE ha promosso
una serie di iniziative:
• collaborando con la Regione nell’ambito del Progetto Matrioska (capofila
la Stjria);
• seguendo le attività propedeutiche
alla nascita dell’Euroregione Adriatica
(capofila la contea dell’Istria croata);
• pubblicando lo studio del prof. Angelo Viscovich (Verso un’Euroregione
speciale – giugno 2008);
• organizzando convegni di studio e
approfondimento con gli amministratori locali e gli studenti delle Scuole
superiori;
• organizzando negli anni 2006 e 2007,
d’intesa e con la collaborazione della
Regione, con l’AICCRE nazionale e
con il CCRE, due viaggi di studio
di circa 130 tra amministratori locali
(Sindaci, Assessori comunali e provinciali, consiglieri comunali e provinciali) e funzionari di enti locali e Regione,
presso le istituzioni comunitarie di
Bruxelles e visitando le esperienze più consolidate di Euroregione
esistenti in Europa: la Basiliensis
(Basilea – Svizzera, Germania e Francia), la Pamina (Lautembourg – Francia e Germania), l’Euregio (Gronau
– Olanda e Germania).
Gli ambiti di intervento possibili con
l’EUROREGIONE, giuridicamente
disciplinata con la nascita di uno o più
26
Comuni d’Europa
Il federalismo tra Europa e Regioni
GECT, rientrano in tutte le funzioni e
competenze in capo agli enti locali: dalla
gestione del territorio all’ambiente, dalle
attività produttive alla protezione civile,
dalla viabilità e infrastrutture di trasporto alle reti di comunicazioni informatiche, dai servizi (sanità, assistenza, protezione sociale, integrazione) al turismo,
dalla cultura alla valorizzazione delle
lingue ecc.
In questo senso appare utile ricordare
il progetto EUREGO, promosso dalla
Provincia di Gorizia, con un PIC Interreg Italia-Slovenia 2000-2006. Dallo studio emergono ipotesi, dati, simulazioni
interessanti. Così come appaiono di
interesse gli studi dell’ISIG di Gorizia.
Forse è giunta l’ora si passare dalla
politica dell’annuncio, dall’effetto
simbolico dell’Euroregione/GECT
alla attuazione concreta.
A questo approdo sono attese nuove
sfide internazionali in primo luogo della
Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, con la propria specialità, e del sistema delle autonomie locali, con le articolazioni sociali, accademiche e della
ricerca presenti nel territorio. Al riguardo ascolteremo, dopo questa introduzione, contributi specifici nell’ambito
degli interventi programmati e di quelli
preannunciati nell’ambito del dibattito,
come quello dell’On. Ivano Strizzolo,
anche nella sua vece di Vice Presidente
della Commissione bicamerale che si
occupa di Schengen.
Ripercorrendo così la trama ben evidente nella Tabula Peuntingeriana, custodita
a Vienna, che colloca la bimillenaria
Aquileia e, oggi, la Regione Autonon. 21 • dicembre 2008
ma Friuli Venezia Giulia, nel cuore
dell’Europa con la via dell’Ambra che
alimentava le attività del centro romano
collegando il Mare Baltico con il Mare
Adriatico. Una trama ancora più nitida
e comprensibile che collegava e collega
Aquileia, tramite la via Giulia Augusta, a
nord verso il Norico, con la via Gemina
a est verso la Pannonia (Emona/Lubiana, Budapest) e con la Via Flavia verso
l’Istria; mentre a ovest la via Annia collega Aquileia a Venezia ed Adria, cuore
antico del Veneto.
Per decenni quest’area è stata relegata ai
margini dei “confini orientali” dell’Italia,
ed ha pagato le conseguenze della guerra fredda. Oggi può tornare a svolgere
un ruolo di protagonista – assieme agli
altri attori istituzionali che ci circondano
– dentro il processo di consolidamento
dell’Europa allargata.
L’AICCRE è convinta che ciò corrisponda all’interesse delle popolazioni
ricompresse in Alpe Adria e che gran
parte delle forze politiche da tempo
hanno a loro volta maturato tali convinzioni. Si tratta ora di agire politicamente, forse anche recuperando lo spirito
unitario del presidente Comelli della
ricostruzione post terremoto 1976, allora sostenuto da Aldo Moro e da tutti i
Partiti.
Perché?
• perché la specialità del Friuli VG...,
• perché il rilancio economico-socialeculturale della nostra area dentro il
consolidamento del processo di allargamento dell’Unione Europea...,
- perché il federalismo fiscale – all’interno di un’idea di federalismo euro27
LE RAGIONI DEL FEDERALISMO EUROPEO
e territorio, dentro la disponibilità al
confronto con le speculari realtà contermini anche loro in continuo movimento,
visto che proprio ieri la giovane democrazia slovena ha rinnovato il parlamento determinando un cambio nel governo e tra un pò anche l’Austria potrebbe
riservare sorprese.
Relazione al convegno di Udine
presso la Fondazione CRUP,
del 22 settembre 2008
peo – e la creazione del Senato delle
Regioni e delle autonomie locali...,
- perché l’Euroregione ed il Gruppo
Europeo di Cooperazione Territoriale
– GECT...
… non si rilanciano e non si costruiscono con “spot”, con “improvvisazioni”, e
tanto meno con colpi di forza ma hanno
bisogno di un lungo impegno, che coinvolga tutta la politica, istituzioni, forze
sociali e comunità, ricerca, associazioni
28
Comuni d’Europa
LE RAGIONI DEL FEDERALISMO EUROPEO
Tra federalismo integrale
e istituzionale
di Giulia Devani
Dottoranda di ricerca in Storia del federalismo e dell’unità europea -Università di Pavia
Il pensiero di Umberto Serafini
sintesi tra i federalismi
di Olivetti e di Spinelli
Percorrendo una strada diversa rispetto
a Olivetti e Spinelli, nel 1940, Serafini
era partito come ufficiale per il fronte
africano e, dopo essere stato fatto prigioniero nel dicembre 1941, fu mandato
in India, dove, come testimoniato dal
suo Diario di guerra – conservato nel
fondo Umberto Serafini presso l’Archivio del Centro Interdipartimentale di
Ricerca e Documentazione sulla Storia
del Novecento dell’Università di Pavia –,
ebbe modo di approfondire la sua conoscenza del federalismo, iniziata durante
il periodo di studi alla Normale di Pisa.
Alla fine della guerra, le strade di questi
tre grandi uomini s’incrociarono definitivamente. Serafini, grazie soprattutto
all’amicizia con l’architetto Ludovico
Quaroni, nata durante la prigionia indiana, aveva iniziato a collaborare con
il Movimento Comunità, fondato dall’Ingegnere nel 1949, diventando, nel
1950, segretario dell’Istituto Italiano per
i Centri Comunitari (I.I.C.C.) di Roma.
Anche Spinelli aveva partecipato alla
fondazione del Movimento Comunità e,
infatti, risulta tra i presenti alla prima riunione del Comitato Centrale, a Milano, il
10 luglio 1949, insieme a molti altri, tra
Adriano Olivetti e Altiero Spinelli, seppur attestati su posizioni diverse, vissero
nello stesso momento storico e condivisero numerose esperienze, prima fra
tutte quella dell’antifascismo, per la quale
furono entrambi costretti a rifugiarsi
in Svizzera. Sono testimoniati numerosi
incontri tra i due in territorio elvetico,
anche se bisogna ricordare che Olivetti,
ancora in Italia, aveva già aderito al Manifesto di Ventotene, non appena questo
era stato diffuso. Spinelli racconta così il
suo incontro con Olivetti: “Il federalismo
infranazionale di Olivetti trovava una
resistenza passiva della cultura politica
corrente assai simile a quella che incontrava il mio federalismo sovranazionale,
e ciò contribuì a farci simpatizzare l’uno
per l’altro e diventare amici”1. La Svizzera di quegli anni aveva dato ospitalità
a molti fuoriusciti italiani ed era stata la
cornice ideale per lo sviluppo e il consolidamento di un federalismo europeo
tipicamente italiano.
n. 21 • dicembre 2008
29
LE RAGIONI DEL FEDERALISMO EUROPEO
cui, per citarne alcuni, Nicola Abbagnano, Eugenio Montale, Enzo Enriques
Agnoletti, Gino Giugni e Serafini stesso.
Un ulteriore punto d’incontro, seppur
indiretto, tra Spinelli e Serafini fu un’altra esperienza molto importante nei
primi anni del dopoguerra italiano, vale
a dire il quotidiano «L’Italia socialista»,
diretto da Aldo Garosci tra il 1947 e il
1949. Garosci è un altro personaggio
fondamentale di quegli anni e, non a
caso, anch’egli ruotò intorno alla galassia comunitaria.
Nella storia italiana, il Movimento
Comunità rappresenta un’esperienza
unica, anche se di durata relativamente
breve. A tutt’oggi, la sua storia non
è stata approfondita, anche perché si
preferisce dare spazio al pensiero olivettiano che, a mio parere, non può essere
però disgiunto dall’azione concreta di
Olivetti, non solo nel campo industriale.
Il Movimento Comunità era nato con
intenti politici, nel senso etimologico
del termine e, infatti, nelle intenzioni
dell’Ingegnere, doveva essere al servizio del “bene comune”, diffondendo le
idee comunitarie attraverso la propagazione della conoscenza e della cultura.
Non a caso, il nucleo del Movimento
era rappresentato dai Centri Comunitari, nati con l’ambizione di diventare
una moderna agorà, in cui i cittadini
potessero confrontarsi. I Centri furono
insediati soprattutto nel Canavese, ma
vi furono anche esperienze al di fuori
del Piemonte, a Roma, a Terracina, a
Latina, a Matera e in altre città italiane. L’I.I.C.C. era stato fondato proprio
allo scopo di coordinare la nascita e lo
sviluppo di questi Centri. Ognuno di
essi era dotato di una biblioteca e di
una emeroteca, entrambe basate su un
criterio “eclettico”, che metteva insieme opere letterarie con altre di divulgazione scientifica. Per incentivare la
partecipazione dei cittadini venivano
promossi concorsi che premiavano la
migliore relazione sull’attività del Centro di appartenenza. In ogni Centro, era
previsto un servizio di assistenza con il
compito di individuare i casi di persone
bisognose di soccorso, sia sotto forma
di aiuti economici, sia fornendo a titolo
gratuito consulenze tecniche, legali e
amministrative. Nei Centri operavano
persone fortemente motivate e questo
fece sì che, fino a quando rimasero aperti, riuscirono a svolgere efficacemente il
proprio compito.
Nei primi anni Cinquanta, Serafini,
grazie alla preesistente collaborazione
con Olivetti e Spinelli, fu coinvolto
in un altro progetto, che divenne poi
la sua attività principale. Mi riferisco
naturalmente alla fondazione del CCE
e, in seguito, della sua sezione italiana. In Italia, Olivetti aveva interessato
Spinelli nella formazione della delegazione italiana da inviare all’Assemblea istitutiva del CCE, a Ginevra, nel
gennaio 1951, e, tra i delegati prescelti,
oltre a Umberto Serafini, assistito da
Magda Da Passano, anch’essa collaboratrice importantissima dell’I.I.C.C.,
compariva il più stretto collaboratore
di Spinelli in quel momento, nonché
segretario nazionale del MFE, Alberto
Cabella. Il CCE era stato fondato da
persone di diversa estrazione politica
30
Comuni d’Europa
Tra federalismo integrale e istituzionale
e, a tal proposito, Serafini dichiarò di
sentirsi distante tanto dal “federalismo
di destra”, rappresentato da personaggi come Voisin e Bareth, quanto
dall’“anarco-comunalismo” di Alida de
Jager, anche perché aveva già “incontrato” il pensiero di Olivetti e aveva
quindi compreso l’importanza di una
pianificazione pubblica dell’economia
europea, in cui fossero difesi i principi
del socialismo. L’Associazione Italiana
del Consiglio dei Comuni d’Europa
(AICCE) fu fondata nel 1952 e la sua
sede fu naturalmente stabilita in quella
dell’I.I.C.C., in Via Porta Pinciana 6, a
Roma, dove erano presenti molti altri
movimenti, oltre a quello comunitario.
Nell’esperienza del CCE, Serafini riuscì
a coniugare il federalismo di Olivetti
con quello di Spinelli; se da una parte,
infatti, il CCE si basava sul pensiero
comunalista che aveva il proprio punto
di riferimento nel federalismo integrale,
articolato nei diversi livelli della società,
dall’altra, aveva come obiettivo la federazione europea, seguendo in questo
l’insegnamento del federalismo istituzionale. Serafini aveva ben presente i
vantaggi di entrambi questi approcci ed
era convinto che fosse una condizione
imprescindibile per la costruzione della
federazione europea una società nuova,
in cui l’economia fosse al servizio dei
cittadini e delle comunità locali e in cui
le autonomie fungessero da tramite tra
la democrazia diretta e quella rappresentativa, per favorire la partecipazione
popolare. Serafini perseguì questo obiettivo combinato attraverso la campagna per il fronte democratico europeo,
n. 21 • dicembre 2008
avviata ufficialmente agli Stati generali
di Roma, nel 1964. L’idea del fronte affondava le sue radici nel “nuovo
corso”, lanciato da Spinelli nel 1955,
dopo la sconfitta della CED (Comunità
europea di difesa, ndr), con l’obiettivo di
coinvolgere quella che oggi definiremmo
la società civile, in particolare, il mondo
produttivo – tanto i lavoratori quanto gli
imprenditori – e il mondo della scuola
e dell’università. Serafini diede subito il
proprio appoggio al “nuovo corso” perché, secondo lui, uno dei limiti maggiori
del movimento federalista, così com’era
stato organizzato da Spinelli, era quello
di essere troppo elitario e distante dalla
gente comune. Serafini collegò la battaglia per il fronte a un’altra campagna
fondamentale nella strategia federalista,
vale a dire quella per le elezioni dirette del Parlamento europeo. Proprio in
questo campo le sinergie tra Serafini e
gli altri federalisti giocarono un ruolo
importante, così come in occasione del
Congresso del Popolo Europeo, negli
anni Cinquanta.
Il suo tentativo di unire il federalismo di
Olivetti con quello di Spinelli si basava
sulla teorizzazione del “blocco storico
delle autonomie infranazionali con i
democratici sovranazionalisti” contro
gli Stati nazionali. Serafini lottò sempre,
sin dagli anni Cinquanta, per un “sinergismo” tra la lotta per le autonomie
locali e quella per la federazione europea, nell’ambito del fronte democratico
europeo, distinguendo tra autonomia
democratica e autonomia corporativa.
Serafini sopravvisse molti anni sia a Olivetti, mancato nel 1960, sia a Spinelli,
31
LE RAGIONI DEL FEDERALISMO EUROPEO
morto nel 1986, e continuò a lottare per
la Federazione europea e per una nuova
società sino agli ultimi momenti della
sua vita, spentasi nel settembre 2005.
Con la sua azione, Serafini ha dimostrato che è possibile fondere insieme due
approcci differenti al federalismo, da
molti ancora considerati antitetici.
NOTE
1 Cfr. Altiero Spinelli, Come ho tentato di diventare
saggio, Bologna, il Mulino, 1988, p. 394.
32
Comuni d’Europa
SOCIETÀ DELL'INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE
Eisco 2008: 17 paesi europei
convergono sull'Agenda Digitale Locale
di Javier Ossandon
Direttore Area Innovazione Ancitel, Honorary Chair di Elanet (Cemr)
l’organizzazione e le procedure amministrative per erogare attraverso Internet
nuovi e migliori servizi ai cittadini ed alle
imprese.
Questo sforzo di pianificazione dal basso
dell’eGovernment e dei servizi a supporto dello sviluppo locale, ha anche il
grande merito di mappare i reali bisogni
degli enti locali in risorse tecnologiche ed
umane, formazione del personale preposto e i servizi prioritari. Ciò permette alle
Regioni di coordinare meglio lo sviluppo
della società dell’informazione e programmare le risorse da investire in innovazione nel proprio territorio. Ma anche,
di distinguere con precisione all’interno
dell’ente locale quali attività di ammodernamento ICT possono essere fatte con
risorse proprie e quali richiedono progetti co-finanziati dalle Regione oppure a
livello nazionale ed europeo.
b) La promozione da parte dell’amministrazione pubblica locale in ogni territorio di un Patto Locale per la Società dell’Informazione. Rispecchiando le metodologie dell’Agenda 21 per lo sviluppo
sostenibile nelle città, l’idea è di promuovere un accordo tra tutti gli operatori,
pubblici e privati, che erogano servizi a
Seduti nelle aule e cortili di un monumento storico noto in tutto il mondo,
come Castel dell’Ovo sulla limpida baia
di Napoli, e con i riflessi argentati dell’acqua di mare negli occhi, le delegazioni dei
17 paesi europei presenti alla conferenza
di Regioni e Città EISCO 2008 (25-27 di
Settembre) hanno discusso e concordato
un percorso comune per implementare
l’Agenda Digitale Locale e rilanciare i
processi di modernizzazione dell’amministrazione pubblica locali utilizzando
Internet e i servizi digitali.
La Dichiarazione di Napoli verrà adesso
diffusa in tutta Europa per promuovere i
tre obiettivi fondamentali dell’Agenda:
a) L’elaborazione in ogni Comune e
Provincia delle regioni europee, meglio
se raggruppati in rete, del cosiddetto
PIANO ADL (Agenda Digitale Locale), che deve essere approvato come
parte della programmazione triennale
dell’ente pubblico. E’ stata presentata la
metodologia del Piano che punta a chiarire all’interno di ciascun Comune quali
attività vanno telematizzate nei diversi
uffici, come si condividino i dati dei
diversi settori attraverso un ‘back-office’
automatizzato e come devono cambiare
n. 21 • dicembre 2008
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SOCIETÀ DELL'INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE
livello locale, cioè dei singoli territori. Lo
sbocco naturale di questo Patto è la costituzione di reti locali di servizi elettronici
finalizzate a:
• la creazione di un unico portale internet di accesso e consultazione dei servizi locali;
• l’attivazione congiunta di iniziative per
far conoscere e promuovere l’utilizzo di
questi servizi (sviluppare la domanda);
• lo scambio di esperienze tra operatori
tecnologici e di contenuti e, soprattutto, la creazione di un vero gruppo di
pressione sul territorio per assicurare
l’istallazione della banda larga con sufficiente ampiezza per servizi ormai di
natura multimediale, così come per far
nascere “centri servizi” altamente qualificati in grado di erogare servizi infrastrutturali nelle aree locali che facilitino
la realizzazione dei servizi digitali da
parte degli operatori pubblici e privati
(la sicurezza nella circolazione dei dati,
la creazione di archivi su piattaforme
condivise, l’autenticazione, i servizi di
pagamento, i ‘call-center’ sempre aperti
per assistere il cittadino, etc.).
c) il Forum con i cittadini che punta ad
aprire nel tempo un dialogo con i cittadini improntato su due aspetti che oggi
sarebbero un’assoluta novità nell’amministrazione pubblica locale:
• la partecipazione dei cittadini e delle
imprese nelle decisioni locali sulle priorità ed attività che deve contenere
l’Agenda Digitale Locale del loro luogo
di residenza;
• la possibilità di valutare la convenienza
o meno e la qualità dei servizi elettronici che vengono erogati sul portale.
Un merito indiscutibile di EISCO 2008
è stato quello di far vedere per mano
come gli enti locali e le Regioni si stanno
movendo, in modo più concertato che
in passato, in questo campo. Sono state
presentate 36 buone pratiche, una più
interessante dall’altra, con soddisfazione
generale. Varie di esse applicano già politiche di ADL anche se non necessariamente si chiamano così.
Ma nel caso di alcuni paesi come la Spagna, il Presidente di EUDEL (l’associazione basca di enti locali) ha presentato
invece il ‘Plan Rector para la Sociedad
de la Informacion’ (programma quadro)
concordato con l’amministrazione regionale, tutto improntato sull’esistenza di
un Piano di Agenda Digitale Locale in
ciascun Comune nei prossimi due anni
(Bilbao organizzerà EISCO 2010 nel
mese di Marzo, dove s’intende presentare
i risultati). In Norvegia, il Piano eMunicipality 2012 pone al centro una politica di
sviluppo della società dell’Informazione
per i piccoli Comuni basato sull’Agenda
Digitale Locale, mentre la Polonia ha iniziato un processo di miglioramento delle
competenze in questo campo, propedeutico per l’ADL, che coinvolge direttamente ai Sindaci ed i dirigenti comunali,
nella Regione di Masovia (con capoluogo
Varsavia).
La partecipazione italiana, anche se è
mancata una presenza più massiccia dei
piccoli Comuni come in passate edizioni,
ha presentato delle iniziative di eccellenza che puntano alla trasformazione
dell’eGovernment in sistema territoriale, come propugnato dall’ADL. Le presentazioni delle iniziative della Regione
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Comuni d’Europa
Eisco 2008: 17 paesi europei convergono sull'Agenda Digitale Locale
materiale dell’evento) e Presidente del
Comitato Organizzatore ha concluso
l’evento ringraziando in particolare le
associazioni delle autonomie locali partecipanti e la presenza delle sei reti europee
più importanti che hanno sottoscritto
la Dichiarazione di Napoli (ELANET,
CEMR/CCRE, eris@, EUROCITIES,
e-FORUM e IT4ALL).
Del tutto significativa è stata la presenza
della Commissione Europea attraverso
il Capo Gabinetto del Commissario per
la Società dell’Informazione e Media,
Rudolph Strohmeier, che ha inaugurato
l’evento sottolineando l’importanza della
Agenda Digitale Locale per l’Unione
Europea, oltre a presentare le prospettive per il prossimo futuro di una società
europea che basa il suo sviluppo nella
gestione della conoscenza sfruttando le
tecnologie dell’informazione. Con lui,
hanno partecipato membri delle diverse
unità della Commissione che s’occupano dei programmi di ricerca e sviluppo
tecnologico, del programma sull’innovazione per la competitività e dei fondi
strutturali.
La ciliegina della conferenza è stata la
giornata di ‘brainstroming’ sul modello
europeo per l’ADL ed il percorso da
attuare. Suddivisi in 8 tavoli di discussione, i partecipanti hanno dato luogo ad un
animatissimo dibattito, coordinato dall’associazione UNARETE, per l’implementazione dell’Agenda Digitale Locale
in tutta Europa. Il modello proposto con
i suoi obiettivi è stato condiviso e migliorato attraverso diversi suggerimenti.
Tutti i risultati della conferenza, insieme
alla Dichiarazione di Napoli, sono riscon-
Emilia-Romagna e della rete RTRT della
Toscana, così come del centro di servizi territoriali della Provincia di PesaroUrbino, hanno destato grande consenso.
Il Comune di Barletta ha parlato quale
unico rappresentante del sud, che rimane
ancora orfano di buone iniziative nonostante ci siano state delle risorse economiche (il problema è legato piuttosto
al cambiamento organizzativo e ad un
miglioramento delle competenze nell’acquisizione e gestione dei contenuti e delle
soluzioni tecnologiche), colpendo tutti
con la sua esperienza riuscita di Anagrafe
Immobiliare Urbana. La città di Torino
ha fatto vedere, con grandi applausi della
platea, come utilizzare in termini concreti
i servizi del cosiddetto web 2.0 nei portali
dell’amministrazione pubblica.
Ci sono stati anche altre esperienze italiane come il nuovo portale della Regione
Lazio, la comunità di pratiche a livello
europeo per l’utilizzo del Fondo Sociale
del Formez, e il notevole caso di una
comunità rurale che con l’aiuto delle
strutture pubbliche ha creato una propria
stazione televisiva sul web che trasmette
quotidianamente notizie e fa discussioni inter-attive tra i diversi settori della
comunità, sparsi in piccoli villaggi delle
vallate piemontesi.
Sul piano politico è stato importante
rilevare la presenza di sindaci ed assessori locali e regionali. Feliciano Polli,
membro della Presidenza dell’ANCI, ha
illustrato alle delegazioni straniere politiche e problemi dell’eGovernment nel
nostro paese, mentre il senatore Roberto
Di Giovan Paolo, Segretario generale
dell’AICCRE (che era l’organizzatore
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SOCIETÀ DELL'INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE
trabili nel sito web: www.eisco2008.eu.
La qualità degli stessi fa ben augurare per
il rilancio dei processi di eGovernment
in molti paesi, inclusi l’Italia, rallentati in
virtù dei budget ristretti e della mancanza
di sufficiente competenze, soprattutto
nei piccoli Comuni e nell’aree rurali o
periferiche. Rallentamento, è stato detto,
dovuto anche agli errori commessi nelle
strategie implementate che hanno in particolare sottovalutato l’impatto sul piano
organizzativo che provoca l’introduzione
delle nuove tecnologie e le difficoltà di
natura culturale per cambiare i rapporti
tra gli amministratore della cosa pubblica ed i cittadini quando vengo utilizzate
queste tecnologie.
Il tempo disponibile è poco. L’Agenda
Digitale Locale, per produrre risultati
apprezzabili, ha bisogno di essere spinta
e di produrre processi utili alla strategia
di Lisbona ed alla sua regionalizzazione,
entro il 2010. La conferenza di Bilbao
sarà la sua prova di fuoco.
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Comuni d’Europa
SOCIETÀ DELL'INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE
Eisco 2008:
l'innovazione riparte dal Sud
di Lucia Corrias
nel 2005 a Bilbao - in occasione del II
Summit Mondiale delle Città e Governi
locali sulla Società dell’Informazione come strumento strategico per favorire
l’e-inclusion e combattere il divario digitale esistente in particolare tra le grandi
aree urbane e le piccole aree urbane e
rurali.
Ad aprire i lavori della Conferenza il sindaco di Napoli Rosa Russo Jervolino, che
ha sottolineato l’importanza dell’evento
come occasione di prezioso scambio di
esperienze tra amministrazioni locali e
per l’avvio di percorsi di cooperazione,
per fare delle tecnologie dell’informazione uno strumento di efficienza, trasparenza ed innovazione in risposta ai
bisogni dei cittadini.
Rudholf Strohmeier, Capo di Gabinetto
della commissaria europea per la società dell’informazione Viviane Reding, ha
dichiarato che “la libertà di conoscenza è
da iscriversi come la quinta libertà europea”. E proprio per realizzare quello che
si configura oggi come il nuovo diritto
universale di ogni cittadino, la possibilità
di avere accesso alle reti e ai servizi digitali, la Conferenza ha sollecitato l’impegno
di tutti i livelli di governo a mettere insie-
Le tecnologie dell’informazione rappresentano nel mondo odierno un importante strumento per lo sviluppo economico e sociale per la possibilità che
offrono di favorire partecipazione, scambio di informazioni, creazione di reti e
spazi per dibattiti tra le persone, veicolare
conoscenze ed esperienze.
“Digital divide”, ovvero divario digitale
è l’espressione usata per indicare le disuguaglianze nell’accesso ed utilizzo delle
tecnologie della società dell’informazione, che sempre più segnano la linea di
separazione tra Nord e Sud del mondo,
e che rischia di avere come conseguenza l’esclusione dall’informazione, anche
all’interno delle aree più sviluppate, di
alcune fasce della popolazione svantaggiate per motivi legati alla geografia o alla
mancanza di risorse e competenze.
La Conferenza EISCO 2008, organizzata
dalla rete ELANET con il supporto del
Consiglio dei Comuni e delle Regioni
d’Europa ed ospitata dal 25 al 27 settembre scorsi dalla città di Napoli, con il
sostegno della Regione Campania e della
Provincia di Napoli, ha inteso fare il
punto sull’implementazione del processo
di Agenda digitale locale (ADL), adottata
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SOCIETÀ DELL'INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE
di ricerca e sviluppo, progetto applicativo di un Ecosistema Digitale di
Business (DBE). Quest’ultimo consiste
in un modello organizzativo virtuale
basato sulla creazione di un network tra
organizzazioni, i cui tratti caratterizzanti
ed innovativi sono rappresentati da una
cooperazione dinamica e da un processo
collettivo di creazione e diffusione della
conoscenza tramite l’ICT. Il progetto
propone sistemi per supportare le regioni
nell’implementazione di un DBE a livello
locale ai fini di valutarne la capacità di
intervento in determinati settori delle
politiche pubbliche attraverso i network
virtuali.
Francesco Nachira, della DG INFSO
della Commissione europea, ha sottolineato come il modello di “ecosistema
digitale” se adottato dalle pubbliche
amministrazioni consenta di fornire servizi ICT su misura per cittadini ed
imprese, condividere ed integrare agevolmente servizi creati da altre amministrazioni adattandoli ai processi amministrativi locali, ed inoltre costruire capacità
digitali e creare sviluppo per il territorio.
Un modello dunque, quello dell’ecosistema digitale che promuove lo sviluppo e
rafforza la competitività delle imprese
europee, in linea con gli obiettivi della
Strategia di Lisbona in base alla quale la
tecnologia digitale rappresenta un elemento portante della società attuale.
Presentando la bozza della dichiarazione
finale della Conferenza Javier Ossandon,
direttore dell’area innovazione di Ancitel
e presidente onorario di Elanet, ha invitato tutti gli attori a livello locale e regionale ad impegnarsi ai fini di progredire
me le risorse disponibili per garantire
un servizio che non escluda nessuno dai
benefici della Società dell’Informazione.
“Oggi siamo a Napoli, nel 2010 sarà
Bilbao ad ospitare la prossima Conferenza EISCO: dal Sud riparte l’innovazione e si leva una spinta propulsiva
alla democrazia digitale” ha dichiarato
Roberto Di Giovan Paolo, segretario
generale dell’AICCRE, aggiungendo che
le potenzialità dell’ICT (Tecnologia dell’informazione e della comunicazione)
non riguardano solo un ambito tecnico,
ma vanno pensate soprattutto in termini
politici per la possibilità che offrono ai
cittadini di maggiore partecipazione alla
res publica.
Per avviare il motore dell’innovazione e
perché si realizzi una società dell’informazione per tutti occorre però liberare il potenziale delle nuove tecnologie
con il supporto di politiche adeguate ed
il coinvolgimento di tutti i livelli della
pubblica amministrazione: per favorire
investimenti, creare infrastrutture e servizi, organizzare risorse umane, materiali e tecnologiche, creare competenze
adeguate di amministrazioni e cittadini
in modo che possano gestire ed usare
efficacemente l’ICT, favorire scambi di
esperienze e buone prassi in un quadro di
cooperazione tra tutti i livelli istituzionali
e tra gli ambiti pubblico e privato.
Nel corso della Conferenza sono stati
discussi pratiche e modelli implementati
nell’Unione europea al fine di affrontare
al meglio la sfida dell’innovazione. E’
stato presentato ad esempio il progetto
Peardrop, finanziato nell’ambito del VI
Programma quadro dell’Unione europea
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Comuni d’Europa
Eisco 2008: l'innovazione riparte dal Sud
concertazione e cooperazione tra tutti
i livelli della pubblica amministrazione
ed ai governi locali a discutere a tutti i
livelli possibili iniziative e strumenti ai
fini di sostenere e rafforzare la politica
dell’Agenda digitale locale.
il più rapidamente possibile nell’implementazione dell’Agenda digitale locale,
sviluppando piani d’azione, dando vita a
patti locali per la società dell’informazione che coinvolgano tutti i soggetti interessati, creando forum con i cittadini e
gli attori locali per la realizzazione di una
vera società dell’informazione.
EISCO 2008 ha riaffermato il Manifesto
dell’Agenda digitale locale, approvato ad
Hameenlinna in Finlandia nel 2007, con
le sue priorità ed obiettivi da realizzare
entro il 2010 (pubblicato nelle pagine
seguenti, ndr). La Conferenza ha infine
elaborato una roadmap dell’ADL, i cui
obiettivi dovranno essere gradualmente
realizzati in base alle condizioni locali
ed alle risorse disponibili ed espresso in
conclusione l’invito ad una maggiore
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Links utili
• Portale della Commissione europea per
lo scambio di buone prassi di e-government: www.epractice.eu
• Portale della Commissione europea
per lo scambio di buone pratiche sulla
banda larga: www.broadband-europe.
eu
• Progetto Peardrop: www.peardropeu
• Rete di enti locali per una società dell’informazione inclusiva: www.IT4allregions.org
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SOCIETÀ DELL'INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE
Manifesto
dell'Agenda digitale locale
Aree prioritarie di intervento ed obiettivi
eParticipation
1. Sviluppare strumenti di monitoraggio
e bench-marking, volti a valutare il coinvolgimento dei cittadini e a confrontare
l’efficacia dei diversi strumenti utilizzati,
compresa la capacità di identificare le differenze tra nazioni per definire il giusto
approccio ;
2. Diffondere delle linee guida tra chi è coinvolto in iniziative di eParticipation,facendo
attenzione che ci sia chiarezza sullo scopo
della partecipazione da avviare, sia che
si tratti di informazione, consult azione,
partecipazione attiva nel processo oppure
o di un intervento diretto sulle decisioni
da prendere;
3. Favorire la multicanalità nella diffusione dei contenuti e delle politiche di
eParticipation;
4. Rendere possibile nei dibattiti on-line
l’uso di dati eterogenei provenienti da
molte diverse fonti rappresentative;
5. Incrementare la trasparenza e l’accessibilità, così da aumentare la fiducia nelle
istituzioni con l’utilizzo su vasta scala
degli strumenti di eParticipation; Pre-Condizione: impegni politici e strategie chiare per
introdurre degli strumenti di eParticipation
6. Migliorare la qualità delle informazioni
integrando e rendendo interoperabili il
tutto quando vengono collegati i sistemi
di legacy e le applicazioni attuali con le
nuove tecnologie .
eInclusion
7. Lavorare per un dialogo più intenso tra
i diversi livelli di governo, allo scopo di
capire e di rispondere meglio ai bisogni
di tutti i nostri cittadini;
8. Accrescere l’e-capacity, soprattutto nelle
comunità locali più piccole o socialmente
divise, mediante lo sviluppo e la condivisione multi-lingue di: metodologie, materiali, conoscenza, formazione,networking
e affiancamento consulenziali sul campo
9. Incrementare le competenze di gruppi
locali che sono parte della società civile,
al fine di agevolare la loro partecipazione
attiva nel processo di definizione della
strategia locale (ADL);
10. Implementare reti di comunicazione,
tecnologie e applicazioni che agevolano
i programmi di “eCapacity building”,
come: software per la collaborazione,
management di progetto, management
di casi, gestione dei registri, creazione di
modelli di processi, gestione della conoscenza, sfruttamento dei benefici;
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Comuni d’Europa
Manifesto dell'Agenda digitale locale
11. Organizzare delle buone partnership di collaborazione e reti sociali, per
accrescere e mantenere nel tempo la
loro capacità di sviluppare applicazioni
e servizi di eGovernment. Le partnership includeranno esperti e professionisti
provenienti da: governi locali, governi
regionali, governo nazionale, imprese,
università, organizzazioni della comunità
e gruppi di volontariato, cittadini.
17. Elaborare una concisa e coerente
“roadmap” di utilizzo delle tecnologie
wireless, che dovrà comprendere la liberalizzazione di più frequenze di banda,
nonché la realizzazione di iniziative o
la replica di buone pratiche da parte del
settore pubblico, con la finalità di correggere situazioni dove il mercato ha fallito.
Reti digitali locali e sicure
18. Dare vita ad un ambiente di lavoro e di apprendimento in comune per
implementare una strategia della Società
dell’Informazione che sia sostenibile e
per creare delle network locali innovative,
in grado di erogare servizi su supporto
digitale ai cittadini e alle imprese in forma
sicura e integrata;
19. Organizzare dei centri di servizi
regionali allo scopo di sostenere i governi
locali in pericolo di esclusione digitale, in
modo da assicurare il loro accesso alle
infrastrutture di comunicazione e ai servizi di base che permettono di erogare i
servizi digitali più avanzati;
20. Contribuire allo sviluppo degli standard che fanno possibile l’erogazione di
servizi pubblici oltre le frontiere geografiche ed i limiti di tipo organizzativo;
21. Rendere possibile l’interoperabilità
assicurando la sicurezza, la qualità e l’integrità dei dati;
22. Esortare la Commissione Europea
sull’opportunità di riconsiderare l’agenda
di lavoro europea sull’interoperabilità,
in modo che essa sia applicabile a livello
regionale e locale e, più specificamente,
per dare un supporto all’implementazione dei “punti unici d’accesso” stabiliti
dalla direttiva europea sui servizi.
Accessibilità piena
alla banda larga
12. Promuovere per tutti in Europa delle
infrastrutture regionali e locali di banda
larga ad alta prestazione, aperte ed a
costi accessibili, in grado di soddisfare
le necessità attuali e di anticipare i futuri
bisogni delle nuove tecnologie emergenti
in questo settore;
13. Cercare l’intervento ed il supporto
pubblico, laddove le forze operanti sul
mercato non bastano a garantire la disponibilità di infrastrutture adeguate;
14. Identificare e diffondere le strategie
di successo per lo sviluppo delle economie e delle infrastrutture locali;
15. Investire in strategie che si dimostrano valide e che possono essere replicate,
anche perché rispondono in forma complessiva ai bisogni degli utenti se non si
soffermano esclusivamente sulle esigenze della pubblica amministrazione;
16. Influire nel Libro verde 2008 sull’Obbligo di Servizio Universale, formulando
una precisa dichiarazione – concordata
con le autorità che regolano la concorrenza ed altre simili – sul ruolo del investimento pubblico per colmare il divario
digitale;
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SOCIETÀ DELL'INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE
Servizi municipali
e locali avanzati
23. Assicurare a tutti i cittadini la possibilità di interagire in forma elettronica
con la pubblica amministrazione oppure
di recarsi di persona ad un punto unico
d’accesso;
24. Asserire l’allineamento delle politiche
nazionali e dell’Unione Europea sui servizi multi-canali con le politiche adottate
dal governo locale o regionale;
25. Trovare la giusta via e assicurare le
competenze necessarie per l’inserimento
di contenuti generati esternamente dagli
utenti nei canali municipali;
26. Sviluppare modelli “seamless” di
erogazione di servizi centrati/orientati/
costruiti su misura del cittadino;
27. Promuovere un ottimale utilizzo delle
tecnologie appropriate (canali d’accesso più adeguati) per ciascun utente/
stakeholder;
28. Avvicinare le esperienze pilota ed
i progetti di eGov al mercato (in linea
con il Programma sulla Competitività
e l’Innovazione dell’Unione Europea),
basandosi su architetture e sistemi di
interoperabilità aperti.
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Comuni d’Europa
NELL'ANNIVERSARIO DEL '68
Il decennio
che ha cambiato il volto del '900
di Filippo Bettini
Università La Sapienza di Roma, Presidente dell'Associazione Allegorein,
Direttore artistico di "Mediterranea Festival intercontinentale della letteratura e delle arti"
letteratura, di Fausto Razzi per la musica di ricerca e di Giovanna Marini per
quella folk e di protesta sociale;
• la rivisitazione di autori e artisti e correnti di quel periodo per opera di esponenti artistici delle generazioni successive che pure ne sono stati ispirati e
permeati: la Beat Generation secondo
Cosimo Cinieri e Irma Palazzo o le
opere e le figure di Dalida e di Gaber
nelle interpretazioni e voci rispettivamente di Maria Letizia Gorga e Piji;
• la partecipazione, infine, di autori e
artisti e tendenze e gruppi che, pur
non avendo intrattenuto rapporti diretti con la cultura degli anni ’50-’60 e non
trattandone apertamente, si sono però
venuti misurando con il suo lascito,
ne hanno raccolto e rielaborato stimoli e indicazioni, si sono interrogati,
anche nel cuore del proprio lavoro,
sulle conseguenze vitali dei mutamenti trasmessi: da Francesco Muzzioli
e Marcello Carlino con gli studenti
della “Sapienza” in Poesia a comizio alla
rassegna pluridisciplinare di Ombretta
Moschella all’Agave Bookbar, ai tanti
readings poetici all’Isola Tiberina, fino
alla novità assoluta di Kareem Salama
La Provincia di Roma e l’Associazione culturale Allegorein, in collaborazione con gli Assessorati alla cultura e
all’ambiente della Regione Lazio, con il
Comune di Roma, con il Ministero per
i beni e le attività culturali, con la Link
Campus University of Malta, l’Università
La Sapienza di Roma e il Centro Teatro
Ateneo, in questa estate del 2008 hanno
organizzato, a Roma e nella regione
Lazio, la V edizione di “Mediterranea,
Festival intercontinentale della letteratura e delle
arti” .
Quest’anno il Festival era dedicato a Gli
anni ’60: il decennio che ha cambiato il volto
al ‘900, ed ha esplorato, di quel periodo
(per l’esattezza meglio collocabile tra la
metà del decennio precedente ed il punto
culminante del fatidico ’68), alcuni dei
momenti più significativi (interpretati e
rivisitati attraverso la letteratura, il cinema, il teatro, la musica) articolandosi in
tre livelli di approccio complementari:
• l’intervento di autori e artisti che ne
sono stati protagonisti e che tuttavia
continuano ad operare nel presente
in maniera viva ed efficace: basta fare
i nomi di Edoardo Sanguineti (cui è
stata dedicata un’intera sezione) per la
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NELL''ANNIVERSARIO DEL '68
(giovane cantante arabo-statunitense
neoerede del filone country-western)
in concerto con il trio Historias nella
rassegna jazz di Villa Celimontana.
Naturalmente dal punto di vista della
“geografia culturale” è stato rivolto uno
sguardo privilegiato a quelle due aree che,
insieme all’Europa Occidentale, sono
state protagoniste, in modi e per ragioni diverse, del decennio in questione: il
mondo arabo e mediorientale da un lato
e gli Stati Uniti dall’altro. È ai loro rappresentanti che sono stati dedicati alcuni
degli appuntamenti più importanti di
Mediterranea, realizzati in collaborazione
con la Fondazione Casa delle Regioni del Mediterraneo, l’Ambasciata degli
Stati Uniti, la John Cabot University e
il Centro Studi Americani: l’incontro
poetico Prove di Dialogo, con la partecipazione di Altaras (Israele), Al-Juburi
(Iraq), Lakhous (Algeria), Laor (Israele),
Bar Kokhav (Israele), Magiar (Libia),
Inal (Turchia), Ghazvinizadeh (Iran), e il
ciclo dei meeting internazionali di Salam
America e i Poeti del Mediterraneo insieme
a Callaghan (Canada), Vangelisti (Stati
Uniti), Ali (India), Shousha (Egitto), Risset (Francia), Théophilo (Brasile), Hajdari
(Albania), Zingone (Nicaragua), Haddad
(Libano), Sanguineti (Italia), Vasio (Italia), Binga (Italia), Spataro (Italia), Cavalli
(Italia).
È inoltre un dato di fatto che un omaggio
del tutto particolare al “decennio che ha
cambiato il volto al Novecento” è venuto
dall’interno stesso dell’impostazione del
festival. Più precisamente dal modo in cui
la lezione teorica e operativa delle avanguardie ha continuato a prolungarsi e ad
agire, almeno in parte, sulla definizione
dei presupposti, dei criteri e delle modalità procedurali da cui sono scaturite di
volta in volta le scelte attuate.
L’apertura costante alla pluralità delle
culture, delle discipline e dei linguaggi,
sotto il segno di una strategia dell’intersemiosi – che è il nutrimento ideale
di ogni rassegna di Mediterranea e, vorremmo dire, la precondizione della sua
stessa nascita –; la finalizzazione criticotematica di ogni sua edizione ad un problema o ad una situazione di ordine storico-attuale e di respiro internazionale
(denotato addirittura dal titolo e inventivamente trattato e declinato dai Siparietti teatrali di Renato Nicolini e Marilù
Prati); la ricerca e la sperimentazione di
nuove forme di comunicazione sociale
della poesia, incentrate sul territorio e
visivamente esposte alla fruizione di
tutti, in una posizione di competizione
e di sfida frontale al dominio pervasivo
della pubblicità commerciale (secondo
un percorso a tappe che prosegue con
l’Inaugurazione dei pannelli lungo le rive del
Tevere); la consistenza del ruolo assegnato alla produzione di un’editoria di
“qualità” e di “tendenza” (ormai parte
organica del cartellone), tesa a far conoscere e a valorizzare scrittori importanti
italiani e soprattutto stranieri, trascurati
o ignorati dal mercato nazionale – fra
tutti, al momento, l’iracheno Yousef, il
palestinese Darwish, il kosovaro Podrimja, l’indiano Narain, il cinese Gao –;
l’assimilazione e il pieno funzionamento
dell’antipremio “Feronia”, che da diciassette anni ormai rilancia la prassi della
sperimentazione letteraria e della critica
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Comuni d’Europa
Il decennio che ha cambiato il volto del '900
quest’anno orientato la scelta sugli anni
Sessanta e riconoscono e pagano volentieri il loro debito alle tracce permanenti
della svolta epocale di quello strepitoso
decennio.
militante (da altrettanto e più tempo in
disuso).
Tutti questi momenti appartengono a
quel medesimo ordine di motivazioni
forti e di direttrici portanti che hanno
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NELL'ANNIVERSARIO DEL '68
Dialogo
tra un padre e un figlio
di Fabrizio Andreoli
Andrè e Raphael Glucksmann,
Sessantotto,
Edizioni Piemme 2008, pp.231
punto da cui partire. E’ bene ricordare, che
Glucksmann padre ha sostenuto l’attuale
Presidente della Repubblica Francese 2.
Per il filosofo francese, Sarkozy dimostra
di essere più di sinistra della gauche ufficiale
francese per il suo impegno di porre in
politica estera l’attenzione in merito ai diritti
umani, per il suo linguaggio franco quando
si parla di disoccupazione. Tuttavia, Glucksmann sostiene che non bisogna attribuire
al Sessantotto tutti i mali: “Il movimento è
stato portatore di energia e slancio, quanto
di meschinità e immobilismo. Le fate che
si affannavano sulla culla del neonato non
erano tutte benevole”3.
Glucksmann figlio, dal Ruanda, per mezzo
di una lettera si rivolge ai protagonisti
del Maggio francese. Egli chiede loro:
“Perché è stato proprio un presidente
di sinistra (ndr, Mitterrand), il primo e
unico dopo il Maggio Sessantotto, ad
aver imbarcato il nostro paese in questo
pantano morale e politico? Prima di lui il
Ruanda compariva a malapena sul mappamondo mentale dei nostri diplomatici.
Con lui diventa l’epicentro di uno scontro planetario celato tra influenze anglosassoni e interessi francesi. Chi ha gridato
‘Siamo tutti tutsi del Ruanda’, ventisei
A quarant’anni di distanza è ancora difficile trovare la giusta chiave di lettura
per interpretare il movimento politicoculturale del Sessantotto. Oggi, si cerca
di stabilire se sia presente o meno nella
società attuale qualcosa del Sessantotto.
Senza una retorica celebrativa e un facile
revisionismo ma con lucida provocazione Andrè Glucksmann – filosofo, protagonista del Maggio ‘68 – e suo figlio
Raphael – regista di documentari politici
e giornalista – cercano di elaborare un
percorso critico di quel movimento.
I due autori affermano che il libro (Andrè
e Raphael Glucksmann, Sessantotto, Edizioni Piemme 2008, pp.231) nasce in occasione della campagna per le presidenziali
in Francia del 2007: “Durante il primo
meeting elettorale di Nicolas Sarkozy, dal
passato emerge uno spettro che si credeva
definitivamente scomparso… quarant’anni dopo, il caso Sessantotto viene clamorosamente riaperto e si impone come l’ultimo terreno di scontro delle elezioni.”1
Quindi, la rupture di Sarkozy sul ‘68 è il
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Comuni d’Europa
Il decennio che ha cambiato il volto del '900
fervore nel riconoscere in quella stagione
alcuni elementi utili (innovazioni politiche, sociali e culturali) al miglioramento
della vita collettiva. L’intento degli autori
è quello di restituire il ’68 alla sua misura
– nel bene e nel male –. Il ’68 ha aperto la
porta alla mondializzazione, si è trattato
di una svolta planetaria.
Per Andrè Glucksmann sono stati i sessantottini parigini i primi a credere nei
grandi dissidenti sovietici come Solzenicyn, Sacharov, ispirando persino il movimento operaio polacco Solidarnosc.
Da Sarkozy si parte, con Sarkozy si arriva
al termine del libro. Glucksmann figlio
interpella direttamente il presidente francese. “…invece di celebrare le esequie
del Maggio – scrive Glucksmann –, per
la prima volta lei ha offerto un ministero
cruciale a un ex sessantottino (ndr, Bernard
Kouchner), illustre rappresentante di quella generazione messa alla gogna nel suo
discorso di Bercy. Il più grande pensatore
che abbia mai calpestato il suolo di Francia,
Montaigne, questo sangue misto, come lei,
come me e come la quasi totalità del nostro
paese, fornisce la chiave di una rupture riuscita. Corri in fretta, compagno presidente,
il vecchio mondo è dietro di te”5.
anni dopo ‘Siamo tutti ebrei tedeschi’?”.
Afferma il giovane Glucksmann: “Prima
del Sessantotto la politica soffocava sotto
il peso dei miti e del verticismo. Nel Sessantotto, si è messa in posizione orizzontale (perfetto) per poi offrirsi una lunga
siesta (pericoloso). Oggi è arrivato il
momento che si svegli e ritrovi, o meglio
trovi, un ruolo in un mondo in rivoluzione permanente”4. Raphael Glucksmann
chiude la lettera invitando le personalità
della sinistra a continuare la lotta.
Entrambi gli autori - a volte con graffiante
ironia - criticano aspramente persone e
atteggiamenti del ceto politico francese e
internazionale. E come in una galleria ricca
di ritratti, i due Glucksmann si soffermano
su alcune figure, per metterne in luce vanità
e ambiguità. Si rimprovera loro indifferenza, ipocrisia e cecità politica rispetto ad
alcuni avvenimenti del secolo scorso.
Altre figure invece vengono evocate con
ammirazione e rispetto. Un nome su tutti:
Aleksandr Solzenicyn, il narratore sovietico
recentemente scomparso, l’autore di Una
giornata di Ivan Denissovic, il libro che ha fatto
conoscere i campi di concentramento siberiani del regime di Stalin. Apprezzamenti
riceve l’attuale ministro degli esteri francese
Bernard Kouchner. E poi, tutto il pensiero
classico. Tucidide, Socrate, Platone, Montaigne, Machiavelli e De la Boètie, Kant.
Essi vengono citati per chiarire l’origine filosofica del Maggio francese e per
allontanare un certo conformismo presente nella gauche, nel mondo politico e
intellettuale.
Il libro dei Glucksmann risponde ad un
sentimento misto: critica sulle personalità
protagoniste del ‘68 e post ‘68, ma anche
n. 21 • dicembre 2008
NOTE
1 Andrè e Raphael Glucksmann, Sessantotto, Edizioni Piemme, 2008, p.7
2 Sul quotidiano Le Monde, Glucksmann ha pubblicato un articolo intitolato”Scelgo Nicolas Sarkozy”.
3 Andrè e Raphael Glucksmann, Sessantotto, Edizioni Piemme, 2008. p.40.
4 Ivi, p. 77.
5 Andrè e Raphael Glucksmann, Sessantotto, Edizioni Piemme, 2008, pp. 235-237.
47
CONTRIBUTI E OPINIONI
Azione pubblica territoriale:
verso una nuova cultura dell'energia
di Mariacristina Spinosa
Consigliere regionale del Piemonte
Il Congresso dei poteri locali e regionali del Consiglio d’Europa guarda
al futuro energetico. Una risoluzione e una raccomandazione per una
gestione più efficiente ed efficace dei
processi di sviluppo
energetici esercitano sull’ambiente: inquinamento, emissioni di gas serra, con
le loro influenze nefaste sul clima del
nostro pianeta, rifiuti radioattivi, rischio
di incidenti gravi. E sappiamo, inoltre,
che i combustibili fossili si stanno esaurendo.
L’energia è un bene indispensabile e che
condiziona la nostra vita ma che, rispetto
ad altri, ha un fortissimo impatto sull’ambiente nella fase della sua trasformazione
e in quella del suo utilizzo.
Parlare di energia, perciò, significa anche
parlare di ambiente, di sicurezza, di competitività. I tre pilastri dell’Unione Europea, in altre parole.
Ma non basta. C’è un quarto obiettivo
che occorre perseguire in modo parallelo
alla tutela ambientale: è l’equità sociale
che si può raggiungere soltanto attraverso la realizzazione di una rete di
collaborazione che consenta lo scambio
e lo sviluppo delle conoscenze e delle
tecnologie per un effettivo risparmio e
una reale accessibilità a tutti dell’energia
a disposizione. In questo “tutti” non possono essere contemplati soltanto i Paesi
europei, ma anche e soprattutto i Paesi
del Sud del mondo, dove sono maggiori
Il momento storico che stiamo vivendo
è caratterizzato da una sempre più evidente emergenza ambientale. Soltanto
fino a qualche anno fa l’effetto serra, lo
scioglimento dei ghiacci al polo Nord, e
le energie alternative sembravano essere
tematiche di appannaggio esclusivo di
qualche sparuto gruppo di ecologisti.
Oggi, invece, l’urgenza di affrontare questi argomenti è percepita con maggiore
consapevolezza da tutti i cittadini.
In gioco c’è il futuro del pianeta, e quindi il nostro, e quello delle generazioni
future.
L’argomento chiave per i processi di
sviluppo, e quindi per il nostro futuro, è
l’energia. E la cultura dell’energia, che è
cosa assai più articolata.
Dobbiamo garantirci approvvigionamenti energetici sicuri ed economicamente
accessibili, ma siamo consapevoli dell’impatto significativo che gli attuali modelli
48
Comuni d’Europa
Azione pubblica territoriale: verso una nuova cultura dell'energia
le disuguaglianze sociali e dove – anche
e soprattutto per questa ragione – sono
maggiori i rischi di conflitti.
Fino alla fine del XX secolo, infatti, tre
quarti dell’energia mondiale erano consumati da un quarto della popolazione.
Gli impatti e le conseguenze di questo
consumo, però, sono ricaduti su tutta la
popolazione mondiale. Questo sistema si
rivela sempre meno sostenibile e sempre
più inadeguato oggi, con l’affacciarsi dei
nuovi Paesi emergenti sulla scena internazionale.
L’Unione europea ci chiede di raggiungere, entro il 2020, almeno tre obiettivi:
la diminuzione del 20% delle emissioni
di anidride carbonica, la diminuzione
del 20% dei consumi energetici e il
raggiungimento di energie rinnovabili
nella percentuale del 20% dei consumi
energetici. Si tratta di obiettivi ambiziosi che richiedono un grande impegno
da parte di tutti e che non intervengono soltanto sul cambiamento climatico,
ma anche sulle dinamiche sociali, sullo
sviluppo economico e su quello dei
territori.
Alla luce di quanto detto sinora, sono
due gli ambiti d’azione su cui è necessario
lavorare: le produzioni di energia da fonti
alternative e un programma di risparmio
energetico. Significa incentivare le cosiddette “filiere corte” e l’adozione di sistemi
di gestione, monitoraggio e valutazione
della prestazione energetica territoriale,
a cominciare dal risparmio energetico e
dall’efficienza degli impianti.
Nei territori dei nostri Paesi il 40%
dell’energia è impiegato per gli edifici e il 30% per i trasporti. Ridurre il
n. 21 • dicembre 2008
livello dei nostri consumi nell’edilizia
abitativa, nei trasporti, nell’urbanistica,
e investire sulle risorse del territorio
significa anche puntare sul risparmio
dell’energia, sullo sfruttamento di fonti
energetiche rinnovabili – solare ed eolico
in primis – e poi sulla biomassa, il biogas, e la geotermia.
Questo orientamento della politica energetica sottintende un migliore sfruttamento dell’utilizzo dei propri potenziali. Ridurre le spese energetiche, inoltre,
favorisce le imprese locali e costituisce
un risparmio per il consumatore che non
deve sostenere l’investimento in una produzione supplementare.
Se vengono impiegate risorse rinnovabili,
i fondi destinati all’energia rimangono sul
territorio, alimentando i circuiti economici locali e incentivando l’occupazione.
E’ esattamente il contrario di quanto
avviene quando si fa ricorso alle energie
esogene: in tal caso, infatti, si sfrutta
l’economia locale, ma i ricavi economici
sono spesso sfruttati lontano dai luoghi
di consumo.
Per comprendere questo concetto è sufficiente osservare che i livelli di vita più
alti in Europa sono situati nei Paesi con
performance energetiche elevate e, quindi, maggiormente sostenibili anche dal
punto di vista della qualità della vita dei
cittadini.
Proprio la qualità della vita è un elemento
che sarà sempre più determinante nello
stabilire la forza di attrazione di un dato
territorio.
E i criteri dei cittadini per definire l’attrattiva di un luogo comprendono elementi
quali l’uso di risorse rinnovabili, politiche
49
CONTRIBUTI E OPINIONI
della mobilità che diano la priorità ai
trasporti pubblici e ai mezzi di trasporto
a basso impatto ambientale e una programmazione e un assetto territoriale che
incoraggino la creazione di negozi, servizi e produzione alimentare locale.
Si può consumare energia utilizzandola
in modo più intelligente. Alcuni paesi o
regioni lo stanno già facendo. La Danimarca, ad esempio, ha deciso che, a
partire dal 2015, nessun edificio di nuova
costruzione dovrà consumare energia
per il riscaldamento. La Germania sta
costruendo edifici che riducono al minimo le dispersioni energetiche, con un
consumo energetico da 6 a 7 volte inferiore a quanto suggerito dai regolamenti,
e con costi di investimento che vanno
solo dal 5 al 10%.
Sono scelte che vanno nella direzione
di risultati di lungo periodo. E’ questo
fa la differenza. Guardare soltanto al
ricavo nell’immediato sarebbe una scelta
miope.
Queste considerazioni sono state l’oggetto della mio intervento durante la sessione primaverile del Congresso dei poteri
locali e regionali del Consiglio d’Europa
- che ha riunito circa 300 delegati in
rappresentanza di 200mila autorità locali
dei 47 Paesi membri – in riferimento
alla risoluzione e alla raccomandazione
“Azione pubblica territoriale: per una
nuova cultura dell’efficienza energetica”
che ho presentato con il collega ucraino Valeriy Baronov. La risoluzione e la
raccomandazione sono poi state approvate nel corso della quindicesima seduta
plenaria del Congresso dei poteri locali e
regionali del Consiglio d’Europa, che si è
tenuta a Strasburgo dal 26 al 29 maggio
scorso.
Per capovolgere l’attuale schema mentale - e anche produttivo - secondo cui
l’energia è la via per aumentare gli incassi
dei produttori, è necessario un radicale
cambiamento di mentalità.
Non sono sufficienti le nuove tecnologie
per risolvere i problemi legati all’energia. Servono investimenti su quella che
potremmo definire l’“alfabetizzazione
ambientale” dei cittadini perché le persone devono conoscere quali sono le
conseguenze sull’ambiente dei loro comportamenti quotidiani. Il processo di
responsabilizzazione e di acquisizione di
una maggiore consapevolezza deve coinvolgere necessariamente anche le amministrazioni locali.
Il ruolo di questi attori fortemente legati al territorio è fondamentale,
proprio perché questi sono più vicini
ai cittadini che, in qualità di consumatori, stanno diventando protagonisti
in campo energetico, al contrario delle
grandi compagnie petrolifere, di carbone, di gas o di elettricità, che sono
vicine ai centri di potere ma distanti
dai territori.
E’ una piccola rivoluzione, che sancisce
la centralità delle amministrazioni locali
in quanto consumatori e fornitori di servizi, in quanto pianificatori dello spazio
urbano e responsabili per le politiche dei
trasporti, in quanto produttori ed erogatori di energie e in quanto promotori e
modelli per l’insieme della popolazione.
Devono essere gli attori locali ad attivare
politiche esemplari per ridurre il livello
dei consumi energetici e concentrarsi
50
Comuni d’Europa
Azione pubblica territoriale: verso una nuova cultura dell'energia
Consegnare alle generazioni future un
ambiente vivibile è un dovere morale
collettivo, così come è di tutti il desiderio
di vivere in un ambiente più a misura
d’uomo, e meno disumanizzato.
sulle loro capacità di sfruttare risorse
rinnovabili.
Per raggiungere questi obiettivi è indispensabile lavorare in rete, unendo gli
sforzi e le idee.
n. 21 • dicembre 2008
51
CONTRIBUTI E OPINIONI
Verso
un'euroregione speciale
di Angelo Viscovich
Federazione Regionale Aiccre del Friuli Venezia Giulia
Alle tesi che sostengono essere la crisi del
processo di integrazione dovuta essenzialmente agli eventi di rottura storica e
accentuata dal fatto che i ventinove paesi
dell’allargamento, con percorsi diversi,
avvertono oggi differenti problemi economici e politici si contrappongono le
tesi dell’antico europeismo di una “terza
forza”. Quel che è certo è che tutti
sentiamo il bisogno di ridare slancio e
motivazione al progetto europeo. Al confine orientale italiano, ed europeo (l’area
Schengen lo ha spostato di qualche decina di chilometri), sta muovendo i primi
passi il progetto di Euroregione. Lo strumento giuridico comunitario, il Regolamento GECT, rappresenta un’opportunità unica per l’area territoriale presa in
considerazione. Non sarà sufficiente in
ogni caso il solo strumento giuridico a
risolvere i molteplici problemi e le criticità di quest’area. Il processo di integrazione non è all’anno zero, ma il percorso
è ancora molto lungo e ci vorrà creatività
e spirito d’innovazione. Soprattutto sarà
necessario che quest’angolo d’Europa
ritrovi la voglia di cominciare una nuova
era aprendosi agli altri pur rimanendo se
stessi. L’Euroregione rappresenta lo spa-
zio ideale per la realizzazione di una cooperazione-competizione in un territorio
caratterizzato dalla presenza di popoli,
etnie, lingue e culture che per secoli si
sono mescolati, dove le minoranze sono
chiamate a svolgere una funzione importante proprio sul terreno dell’integrazione. La specialità della Regione Friuli
Venezia Giulia assume un significato
completamente nuovo nel momento in
cui spende il proprio patrimonio culturale e il proprio livello di coesione sociale
ed economica nella direzione dell’integrazione euroregionale, un processo che
darà vantaggi a tutti sul terreno della qualità del vivere quotidiano. Un processo,
inoltre, che permetterà a molti cittadini
dell’area, d’Europa e del mondo, di sentirsi sempre meno “divisi”: penso agli
esuli, anche se i ricordi pesano.
In una realtà come la nostra, quindi, il
tessuto dell’Euroregione potrà avere un
impatto positivo su molteplici dimensioni della vita. Per l’Associazione Italiana
del Consiglio dei Comuni e delle Regioni
d’ Europa, particolarmente attiva nella
nostra Regione nel proporre e nel promuovere iniziative mirate alla valorizzazione del sistema e delle autonomie
52
Comuni d’Europa
Verso un'euroregione speciale
locali nel processo di formazione delle
politiche europee, la tematica della cooperazione transfrontaliera, in particolare,
ha rappresentato in passato e rappresenta
tuttora il “leit – motiv” dell’azione svolta ai vari livelli istituzionali. Una sorta
di “mission” che la sezione regionale
dell’AICCRE si è data e che oggi riprende il vigore e la forza dei tempi in cui
la “Comunità di lavoro Alpe – Adria”
vedeva la Regione Friuli – Venezia Giulia
protagonista di una esperienza, unica
nell’Europa degli anni ’80, di cooperazione interregionale e transnazionale. Le
notevoli difficoltà incontrate allora nella
gestione di azioni di cooperazione transnazionale e interregionale in un contesto
di norme e procedure nazionali differenti hanno creato l’esigenza di adottare
misure e assumere atti giuridici a livello
istituzionale europeo tali da stimolare
forme di cooperazione tramite organismi
di diritto comunitario.
Finalmente, nell’ambito del pacchetto
legislativo riguardante la riformata politica di coesione 2007/ 2013, viene adottato un Regolamento che va nella direzione
attesa: il Regolamento 1082/2006 (CE).
Il coinvolgimento degli attori locali della
nostra regione, fin dall’inizio della sperimentazione di un nuovo organismo
di diritto comunitario, a lungo atteso, è
d’obbligo. Per il contesto geopolitico in
cui si colloca la nostra Regione, per la
storia del confine orientale e per le sfide
poste dall’allargamento e dalla globalizzazione, il progetto Euroregione assume un
significato particolare per chi elaborerà e
poi attuerà le politiche comunitarie.
L’Euroregione ha l’obiettivo di coordin. 21 • dicembre 2008
nare ed estendere le forme di collaborazione con Veneto, Carinzia, Slovenia,
Contea litoraneo montana (Croazia) e
Contea istriana (Croazia), rafforzando
così la coesione e la competitività territoriale.
Ciò al fine di dare attuazione ad una
strategia comune di sviluppo, attivando
le sinergie e le iniziative progettuali presenti, anche con riferimento all’utilizzo
coordinato degli strumenti comunitari
della politica di coesione per il futuro
periodo 2007-2013. La Regione Friuli
Venezia Giulia, per la sua collocazione
geo-politica al confine con Austria, Slovenia e Croazia, si è contraddistinta quale
attore della cooperazione con i territori
limitrofi. Tuttavia, l’attività di cooperazione posta in essere da cittadini, istituzioni ed imprese europee, si trova oggi
di fronte a due sfide molto impegnative,
quali la globalizzazione e la transizione
dall’era industriale all’era della conoscenza. Il progressivo affermarsi della libera
circolazione di lavoratori, merci, servizi e
capitali comporta l’attivazione e l’integrazione delle strategie economiche, sociali
e politiche anche a livello sub-nazionale.
L’Euroregione, intesa come forma di
cooperazione stabile e rafforzata tra territori appartenenti a Stati nazionali diversi,
fornisce una soluzione concreta all’esigenza di coordinare l’azione di governo
e legislativa, di promuovere uno sviluppo economico e sociale congiunto tra
aree contigue, di sviluppare e realizzare
progetti comuni a favore delle comunità
locali nei campi della sanità, dell’ambiente, dei servizi sociali e di pubblica utilità.
L’adozione, nell’ambito del pacchetto
53
CONTRIBUTI E OPINIONI
della politica comunitaria di coesione
2007-2013, del regolamento CE n. 1082
del Parlamento europeo e del Consiglio
del 5 luglio 2006, relativo al “Gruppo europeo di cooperazione territoriale”
rappresenta la più rilevante novità a favore della cooperazione tra enti territoriali.
Gli Stati, le autorità regionali e locali, gli
organismi di diritto pubblico (ai sensi
della dell’art. 1, paragrafo 9 della direttiva
2004/18/CE) situati in almeno due Stati
dell’Unione europea, possono istituire un
organismo dotato della più ampia capacità giuridica, allo scopo principale di dare
attuazione a progetti di cooperazione
territoriale cofinanziati dalla Comunità a
titolo di FESR, FSE e/o Fondo coesione. Possono, comunque, essere realizzate
anche altre iniziative, non cofinanziate
dai fondi strutturali, finalizzate al rafforzamento della coesione economica e
sociale. I contenuti concreti della collaborazione, sono rimessi all’accordo dei
membri fondatori del GECT, da formalizzarsi in una apposita Convenzione di
cooperazione. Il regolamento prevede,
inoltre, che Stati terzi possano partecipare al GECT, a condizione però che la
legislazione del Paese interessato o gli
accordi tra Stati membri e il Paese medesimo lo consentano esplicitamente. È
stato concesso un periodo preparatorio
fino al 1° agosto 2007 agli Stati membri
affinché adottino le necessarie misure di
attuazione del Regolamento 1082/2006.
Il cambiamento di status della cooperazione territoriale, che da iniziativa comunitaria INTERREG diventerà uno dei tre
nuovi obiettivi della politica di coesione
dell’unione europea, richiederà un salto
di qualità nelle modalità di cooperazione e la concentrazione degli interventi,
che dovranno essere chiaramente mirati
all’obiettivo primario dello sviluppo territoriale integrato delle regioni di confine.
La cooperazione internazionale tra le
regioni implica considerazioni anche di
tipo politico. Essa rappresenta lo strumento più efficace per risolvere il problema delle minoranze etniche. Approcci
nazionali nelle relazioni internazionali
possono portare a tendenze centrifughe
che rallentano i processi di cooperazione e di integrazione come è accaduto
alla CEE con Francia e Gran Bretagna.
L’approccio regionale invece contribuisce ad un maggiore coordinamento tra le
politiche dei diversi Paesi valorizzando le
omogeneità tra regioni di Stati confinanti; ciò favorisce la creazione di progetti
comuni dei Governi nazionali e quindi
una integrazione dei Paesi. Questo è un
ulteriore importante contributo di un
progetto di Euroregione .
Il nazionalismo è un concetto anacronistico, mentre il regionalismo è un approccio moderno per gestire le complesse
relazioni internazionali attuali. Può rivelarsi un elemento strategico per l’integrazione europea. Se vediamo nel Governo
nazionale il mediatore delle esigenze delle
varie regioni, dobbiamo riconoscere che
non può al contempo rappresentare gli
specifici bisogni regionali. In un mercato
globale, alla caduta delle barriere di circolazione delle informazioni avviene una
diffusione di queste tra regioni adiacenti
che si ritrovano unite da esse e favorite in
azioni congiunte che si contrappongono
alle logiche centralistiche.
54
Comuni d’Europa
Verso un'euroregione speciale
riore forza il progetto di un’Euroregione,
intesa come organismo di cooperazione transfrontaliera nel contesto delle
regioni Friuli-Venezia Giulia,Veneto, il
land austriaco della Carinzia, le Contee
d’Istria, di Fiume (Rijeka), la Slovenia.
L’Euroregione è concepita come un soggetto dotato di personalità giuridica avente lo scopo di coordinare le azioni di
governo e le politiche pubbliche per promuovere lo sviluppo economico e favorire la collaborazione degli Enti Locali
dato che a concorrere non sono chiamate
solo le imprese ma soprattutto i sistemi
territoriali. Nelle Regioni coinvolte sono
presenti, non dimentichiamolo, significative minoranze etniche e linguistiche che
nell’ambito di un processo di integrazione e di cooperazione potranno esprimere
compiutamente la propria funzione di
elementi catalizzatori della condivisione
di valori e di convivenza civile nel rispetto delle diversità e delle appartenenze.
La “specialità” della Regione Friuli Venezia Giulia può essere spesa sul terreno
della cooperazione territoriale al fine di
stabilire un equilibrio antico in un territorio che dalla seconda metà del novecento
ha conosciuto divisioni e contrapposizioni.
Le azioni dei governi regionali possono essere diverse, sia in base al tipo di
interlocutori, come operatori economici,
governi locali e regionali di altri Paesi,
istituzioni nazionali e comunitarie, sia
secondo l’oggetto delle stesse: scambi
di informazioni tra Governi locali e
regionali riguardo a politiche settoriali e
tecnologia, attraverso cooperazione tra le
università, formazione, scambi culturali.
Inoltre, gli attori regionali devono sviluppare relazioni di cooperazione con altre
regioni nella misura in cui il processo
dell’unione politica e monetaria favorirà
la ristrutturazione dello spazio europeo a
cominciare dalle macroregioni dinamiche
e competitive: “è necessario contrastare
l’isolamento derivante dalle frontiere stabilendo strette relazioni con altre regioni
per costruire spazi geografici più ampi,
suscettibili di essere più competitivi ed
attraenti, anche grazie ad una amministrazione efficiente e snella”.
Le Euroregioni non nascono con l’intento di rappresentare un nuovo livello amministrativo, ma piuttosto come
motori d’integrazione e di sinergie e
laboratori della sussidiarietà e catalizzatori di solidarietà.
Con il recente allargamento acquista ulte-
n. 21 • dicembre 2008
55
CONTRIBUTI E OPINIONI
Immigrati e clandestini,
allarghiamo lo sguardo
di Mario Pavone
Presidente A.N.IM.I. Associazione Nazionale per l’Immigrazione in Italia, Onlus
L’A.N.IM.I. è composta da 540 Avvocati
italiani, presenti in tutte le Province d’Italia e
riuniti in associazione per l’assistenza giuridica
agli immigrati stranieri, per lo studio dei problemi giuridici e socio economici derivanti dalla
integrazione sociale e culturale degli immigrati,
per la cooperazione con i loro Paesi d’origine.
L’Associazione persegue esclusivamente finalità di solidarietà sociale.
anche i nostri valori, e perché avvenga
questo è necessario che noi sappiamo
qual è la nostra identità”.
Il problema
dei clandestini in Europa
Nonostante le lodevoli affermazioni di
principio pronunciate dall’illustre parlamentare, la Legislazione varata dal Parlamento in tema di sicurezza non ha registrato alcun contributo alla soluzione
del problema che, invero, riguarda non
solo il nostro Paese ma tutta l’Europa.
Anzi. La stessa UE è giunta a contraddire sé stessa poiché, dopo avere varato in
data 15 Giugno 2006 una fondamentale
risoluzione sull’intensificarsi della violenza razzista ed omofoba in Europa (2)
in cui afferma con grande chiarezza che
“il razzismo, la xenofobia, l’antisemitismo,
l’omofobia e l’avversione ai Rom, sono fenomeni dalle motivazioni irrazionali, a volte legati
all’emarginazione, all’esclusione sociale e alla
disoccupazione, nonché derivanti dal rifiuto
di concepire la diversità presente nelle nostre
società come una fonte di ricchezza” ha accelerato il rimpatrio dei clandestini con
una Direttiva del 5/6/2008 (3).
La direttiva in questione punta ad armo-
Come ha sostenuto, di recente, l’On.le
Gianfranco Fini, presidente della Camera dei Deputati (1), “L’Italia non può
essere l’anello debole in Europa altrimenti viene invasa: è allora, come già
avvenuto in altri Paesi, che razzismo e
xenofobia aumentano”.
“Non siamo razzisti - ha proseguito
- ma convinti che gli immigrati che
vengono in Italia, come i tanti che sono
emigrati in passato all’estero, debbano
essere integrati nella nostra società”.
Secondo Fini, “chi non riesce ad essere
integrato poi rischia di diventare delinquente. Insomma solidarietà e legalità
sono facce della stessa medaglia”.
Fondamentale, per il presidente della
Camera dei deputati è che “chi viene
in Italia accetti oltre che le nostre leggi
56
Comuni d’Europa
Immigrati e clandestini, allarghiamo lo sguardo
con la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo del 1948, nella quale, all’articolo 14,
si trova scritto: “Ogni individuo ha il diritto
di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle
persecuzioni”.
Le nuove linee guida richiamano i diritti
tutelati dalla Convenzione europea per
la protezione dei diritti umani e le libertà fondamentali e contengono cinque
capitoli (Voluntary return, The removal order, Detention pending removal,
Readmission, Forced removals) riguardanti i vari aspetti del rinvio forzato.
In particolare un capitolo è dedicato
alla detenzione in attesa dell’allontanamento in cui sono indicate, tra l’altro,
le circostanze in cui la detenzione può
essere ordinata e le condizioni minime
di detenzione (7).
Lo stato ospite dovrebbe prendere misure di promozione del ritorno volontario
più che coattivo; l’ordine di allontanamento dovrebbe essere perseguito solo
in accordo con le leggi nazionali e non
dovrebbe essere applicato se presente il
rischio di violenze, torture o trattamenti
inumani e degradanti nel paese di ritorno sia da parte del governo sia da parte
di “non-state actors”.
Al fine di verificare l’assoluta assenza di
pericolo nel paese di ritorno, dovrebbero essere valutate e prese in considerazione le informazioni provenienti da
tutte le fonti, governative e non, e dall’UNHCR, l’Alto Commissariato delle
Nazioni Unite per i Rifugiati.
Non dovrebbe inoltre essere portata a
termine un’ordinanza di rimpatrio se lo
Stato in cui il migrante deve far ritorno
rifiuterà il rientro del migrante stesso.
nizzare la normativa europea per quanto
riguarda i rimpatri e prevede, tra l’altro,
la possibilità di detenere un immigrato
clandestino fino a 18 mesi in appositi
centri in tre casi: rischio di fuga, mancata collaborazione nel rimpatrio e non
disponibilità dei documenti.
La direttiva prevede, inoltre, la possibilità di detenere ed espellere anche i
minori, a certe condizioni, il divieto di
reingresso nell’Ue per un massimo di
cinque anni per chi è stato colpito da un
provvedimento di rimpatrio, ma anche
il patrocinio pubblico per sostenere le
spese di quanti vorranno fare ricorso
contro il decreto di espulsione di recente
estese anche all’interprete di parte grazie
ad un’importante sentenza della Corte
Costituzionale (4) che premia gli sforzi
sin qui compiuti dall’ANIMI-Associazione Nazionale per l’Immigrazione ed
all’impegno personale dell’Avv. Luciano
Faraon (5).
La questione dei migranti è andata sempre più affermandosi negli ultimi anni,
nel contesto europeo, e ciò ha reso
imminente la necessità di strutturazione
di una normativa comunitaria e internazionale che possa dare direttive riguardanti la gestione e, soprattutto, la tutela
dei diritti del migrante e dell’apolide
(6).
In quest’ottica, il 9 maggio 2005 sono
state adottate dal Comitato dei Ministri
del Consiglio d’Europa venti linee guida
su tutti gli stadi del procedimento di
rimpatrio forzato adottate dal Comitato
dei Ministri del Consiglio d’Europa il 9
maggio 2005.
L’iter per arrivare a delinearle è iniziato
n. 21 • dicembre 2008
57
CONTRIBUTI E OPINIONI
E’ proibita l’espulsione collettiva e la
mancata adempienza dell’analisi individuale dei diversi casi.
La quarta linea guida stabilisce norme
specifiche riguardo all’ordine di espulsione: dovrebbe essere indirizzato direttamente al destinatario che deve essere
messo a conoscenza delle sue effettive
possibilità di rimedio affinché possa
essere revocato l’ordine di espulsione.
Il terzo capitolo riguarda le modalità di
detenzione dopo che è stato dato l’ordine di rimpatrio. La persona detenuta
dovrebbe, innanzitutto, essere informata in una lingua che conosce e dovrebbe
avere la possibilità di contattare giudici e
avvocati. La detenzione dovrebbe essere
più breve possibile e rispettosa dei diritti
umani; il personale presente all’interno dei luoghi di detenzione dovrebbe
essere altamente qualificato e in grado
di affrontare la situazione specifica. I
luoghi stessi, inoltre, dovrebbero essere
organizzati e gestiti secondo determinate norme.
Le persone trattenute dovrebbero ricevere degna assistenza medica e ascolto
psicologico e non dovrebbero essere detenute insieme a ordinary prisoners; dovrebbero avere libero accesso ad
avvocati, ONG e familiari. I centri di
detenzione dovrebbero essere costantemente monitorati da enti esterni e
l’accesso dovrebbe essere liberamente
consentito a membri dell’UNHCR, del
parlamento europeo e altri soggetti qualificati.
Lo Stato ospite dovrebbe assicurarsi
che, nel caso di richiesta d’asilo rifiutata,
il paese d’origine non venga a conoscen-
za della richiesta fatta dal richiedente.
Non dovrebbe essere previsto l’uso della
forza durante il rimpatrio e la scorta
dovrebbe essere costituita da personale
qualificato e adeguatamente formato.
Il pacchetto sicurezza
Le nuove linee guida da poco adottate potrebbero portare a una maggiore
tutela dei diritti dei migranti, rifugiati
o richiedenti asilo detenuti in CPTA
o Centri di Identificazione, ma queste
in realtà non hanno funzione coattiva, dovrebbero unicamente orientare le
scelte del legislatore nazionale che può
però, in sostanza, disattenderle senza
incorrere in particolari sanzioni.
Le suddette linee guida finora sono state
ampiamente disattese dall’Italia anche
in occasione dell’approvazione del c.d.
“pacchetto sicurezza” che destina alcune norme al problema dei clandestini
(8).
In particolare, viene introdotta dalla
nuova normativa, tra l’altro, l’aggravante
della clandestinità nel senso che se chi
delinque è un clandestino le pene sono
aumentate di un terzo. La nuova aggravante vale non solo per gli extracomunitari ma anche per i cittadini europei
entrati irregolarmente.
Inoltre è prevista una condanna da sei
mesi a tre anni per chi ceda “a titolo
oneroso un immobile di cui abbia la disponibilità ad un cittadino straniero irregolarmente
soggiornante nel territorio dello Stato” e confisca dell’immobile stesso tranne nel
caso che appartenga a persona estranea
al reato mentre viene introdotta nuova
denominazione del cosiddetto cpt che
diventa “centro di identificazione ed espul58
Comuni d’Europa
Immigrati e clandestini, allarghiamo lo sguardo
sione”, senza alcuna modifica sostanziale
rispetto all’incresciosa situazione precedente alla riforma.
La circostante aggravante comune dello
stato di irregolarità dello straniero, introdotta dall’art. 1, del d.l. 92/2008, come
coordinato dalla legge di conversione 24
luglio 2008 n.125, all’art. 61, comma 1,
c.p. il nuovo n. 11 bis, e che prevede un
aggravamento di pena “se il fatto è commesso da un soggetto che si trova illegalmente sul territorio italiano” si presta a diverse critiche,
come sottolineato da più parti (9).
In primo luogo del tutto discutibile è il
collegamento operato dal Legislatore in
base al quale l’aggravamento di pena è
dovuto al solo fatto che il reo è uno straniero illegalmente presente in Italia.
In base alla nuova aggravante, l’aggravamento risulta collegato al solo status amministrativo (straniero regolare
o irregolare) e prescinde dal nesso esistente tra lo status amministrativo e la
condotta penale.
Questo spostamento di attenzione e di
rilevanza giuridica dal delitto al delinquente, dal fatto al soggetto arretra
il nostro sistema penale all’Ottocento,
ed è inoltre contrastante con l’attuale
impostazione costituzionale del diritto
penale quale diritto penale del fatto (cfr.
art. 25 Cost.).
Inoltre, la nuova aggravante risulta lesiva
del principio di uguaglianza di cui all’art.
3 Cost. Infatti, una uguale condotta
materiale sol perché commessa da uno
straniero irregolare sarà punita più gravemente rispetto all’identica condotta
commessa da un cittadino italiano o da
uno straniero regolare con una evidente
n. 21 • dicembre 2008
lesione del principio di uguaglianza.
Va ancora sottolineato come l’aggravante in questione contenga un elemento
normativo giuridico. Infatti, l’avverbio
“illegalmente” rinvia, al fine di stabilire se lo straniero sia regolare o meno,
alla normativa di settore (in primis,
il Dlgs 286/1998, TU immigrazione),
con diverse conseguenti difficoltà (si
pensi a straniero privo sì di permesso
di soggiorno ma inespellibile in quanto
rientrante in una delle condizioni di cui
all’art. 19 TU immigrazione).
Si badi, infine, che ai sensi dell’art. 59,
comma 2 c.p. “le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell’agente
soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate
per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa”. Ora, posto che l’aggravante in esame rinvia, tramite l’elemento
normativo, alla normativa di settore
(TU immigrazione), nel caso in cui il
reo sia uno straniero non in regola con
il permesso di soggiorno, ma che erroneamente ritiene di essere regolarmente
soggiornante (per ignoranza o erronea
conoscenza della normativa di settore,
cui l’aggravante in commento rinvia, e
qui gli esempi che si potrebbero fare
sono molteplici), ebbene in tal caso non
opera l’aggravante di cui al nuovo n. 11
bis dell’art. 61, comma 1 c.p.
E’ fuor di dubbio come la norma verrà
sottoposta al Giudizio di costituzionalità della Corte delle Leggi quanto prima
in base alle eccezioni sollevate da numerosi difensori.
Va aggiunto che sul problema fortemente critiche sono state le Chiese cristiane
europee, soprattutto dopo una lettera
59
CONTRIBUTI E OPINIONI
congiunta, e la Caritas.
I vescovi cattolici riuniti nella Conferenza degli episcopati della Comunità
Ue (Comece) si dicono «molto preoccupati» e chiedono al Parlamento europeo
che «sia limitato l’uso della detenzione
amministrativa e il divieto di riammissione in circostanze eccezionali».
Suggeriscono inoltre di garantire «un
periodo minimo di trenta giorni per il
rimpatrio volontario».
Il compromesso attuale, sottolineano i
vescovi, «non tiene conto della situazione di molti immigrati» e le Chiese, pur
capendo le preoccupazioni dei governi
e della società di preservare lo stato di
diritto, chiedono che «sia rispettata la
dignità di ogni essere umano».
Le preoccupazioni manifestate in varie
sedi istituzionali hanno trovato conforto
nei gravi episodi di xenofobia manifestatisi dopo l’approvazione della normativa
ed ancor prima con l’erezione del cd.
Muro di Padova che ne è stato fattore
scatenante specie nelle Regioni ad alta
densità di presenza straniera.
t.u. immigrazione, al “cittadino straniero
irregolarmente soggiornante (10).
Si tratta di nuove figure destinate ad
alimentare dubbi ed incomprensioni in
mancanza di un’adeguata interpretazione dottrinale e giurisprudenziale.
Per ridefinire l’ambito di applicazione
dell’art. 12, 5° co. bis, t.u., che punisce
chi cede a titolo oneroso un immobile
ad uno “straniero irregolarmente soggiornante”, occorre prendere le mosse
dai principi generali che regolano la
materia dell’immigrazione, ossia dal titolo primo del testo unico (Dlgs 286/98).
L’art. 1 t.u. fornisce una chiara definizione dell’aggettivo sostantivato “straniero”, indicando con tale termine sia
il cittadino di Stato non appartenente
all’Unione Europea (extra-comunitario),
sia la persona priva di cittadinanza (apolide).
Neppure il significato del participio
“soggiornante” presenta grosse difficoltà, intendendosi per tale lo straniero
che trascorre od intende trascorrere
nel territorio nazionale un apprezzabile
periodo di tempo.
Le vere difficoltà sorgono invece nello
stabilire quando il soggiorno dello
straniero possa definirsi “irregolare” dacché il testo unico è sul punto
impreciso ed addirittura fuorviante.
Stando all’art. 5, 1° co., t.u. imm., infatti,
è “regolare” il soggiorno dello straniero
che risponde congiuntamente ai seguenti requisiti:
a) sia entrato in Italia attraverso un valico di frontiera esterna;
b)sia in possesso di carta di soggiorno
o permesso di soggiorno in corso di
L’individuazione dei clandestini
Le Chiese cattoliche pongono quindi
alle Autorità di Governo dell’UE un
problema fondamentale per arrivare alla
soluzione del problema:
Il rispetto dei diritti fondamentali e l’individuazione dei clandestini da espellere.
Le nuove norme, sul punto, fanno riferimento, quanto alla circostanza aggravante di cui all’art. 61, 1° co., n. 11 bis, c.p.,
al “soggetto che si trova illegalmente sul
territorio italiano” e, quanto alla fattispecie di reato di cui all’art. 12, 5° co. bis,
60
Comuni d’Europa
Immigrati e clandestini, allarghiamo lo sguardo
validità, ovvero di titolo equipollente
rilasciato da altro Paese dell’Unione
Europea
Conseguentemente, tutti gli stranieri
entrati clandestinamente, ossia sottraendosi ai controlli di frontiera, e quelli non
in possesso di uno dei detti titoli di soggiorno non scaduti (carta e permesso
di soggiorno) sarebbero irregolarmente
soggiornanti.
Se la norma fosse interpretabile in tal
senso nella classificazione degli “irregolari” rientrerebbe una moltitudine di
stranieri della cui permanenza legittima
nel territorio nazionale nessuno dubita.
In base ad una tale interpretazione
sarebbero, infatti, “stranieri irregolarmente soggiornanti”:
1.- i titolari di permesso di soggiorno
CE per soggiornanti di lungo periodo
(artt. 9 e 9 bis t.u.);
2.- coloro che, all’interno del termine
di tolleranza di cui all’art. 5, 2° co., t.u.
imm., non hanno ancora presentato la
prima richiesta di permesso di soggiorno;
3.- coloro che, all’interno del termine di
tolleranza di cui all’art. 13, 2° co., lett.
b) t.u. imm., non hanno ancora presentato la richiesta di rinnovo permesso di
soggiorno;
4.- coloro che hanno tempestivamente
richiesto il rilascio od in rinnovo del permesso di soggiorno senza averlo ancora ottenuto dalla competente questura;
5.- coloro che hanno presentato la
dichiarazione di presenza ai sensi dell’art. 1 l.28.5.2007, n. 68;
6.- gli stranieri minorenni privi di permesso di soggiorno;
n. 21 • dicembre 2008
7.- gli stranieri che hanno ottenuto l’autorizzazione ministeriale al reingresso di
cui all’art. 13, 13° co., t.u. imm.
8.- i clandestini attinti da decreto di
espulsione nei cui confronti l’autorità
giudiziaria non ha ancora rilasciato il
nulla osta all’esecuzione dell’espulsione
(art. 13, 3° co., t.u.);
9.- i clandestini di cui si è accertata una
situazione di violenza o grave sfruttamento in loro danno (art. 18 t.u.);
10.- gli altri soggetti inespellibili ai sensi
dell’art. 19 t.u. imm.
11.- gli stranieri che, pur entrati clandestinamente hanno visto riconoscersi lo
status di rifugiato;
12.- gli stranieri che, pur entrati clandestinamente, hanno un permesso di
soggiorno per motivi di richiesta asilo
politico o di protezione internazionale,
sussidiaria od umanitaria;
13.- coloro che, pur entrati clandestinamente, hanno ottenuto ovvero possono
ancora ottenere un permesso di soggiorno a seguito di sanatoria o procedure straordinarie di regolarizzazione (l.
189/2002).
Su quest’ultimo punto va sottolineato
che tali cittadini stranieri, pur in presenza di una richiesta di regolarizzazione
regolarmente avanzata dalle Imprese,
non hanno potuto ottenere il rilascio del
permesso di soggiorno pur continuando
a prestare attività lavorativa senza regolari documenti.
Il trattamento giudiziario
per i clandestini
La nuova normativa, pur prevedendo
una sorta di accelerazione delle espul61
CONTRIBUTI E OPINIONI
discriminazione si può disobbedire all’ordine di
allontanamento del Questore.
Lo ha stabilito la Suprema Corte annullando l’assoluzione pronunciata dal Tribunale di Bergamo nei confronti di
un immigrato clandestino che, dopo
essere stato raggiunto da un ordine di
allontanamento del Questore di Rimini,
mentre risultava in attesa dei documenti
necessari per il matrimonio, poi effettivamente avvenuto il 5 febbraio 2007.
Il Tribunale, nonostante l’immigrato
non avesse ottemperato all’ordine di
allontanamento, lo aveva assolto sulla
base del fatto che, quasi a distanza di sei
mesi, si era effettivamente sposato.
A tale decisione si era opposto il Procuratore Generale della Repubblica presso
la Corte di Appello di Brescia, evidenziando che la causa di giustificazione
speciale non poteva essere applicata nel
caso in questione, considerato anche il
lasso di tempo intercorso tra la notifica
dell’ordine di allontanamento e la celebrazione del matrimonio.
La Corte, accogliendo il ricorso del Procuratore Generale, dopo aver ricordato
che l’istituto dell’espulsione si colloca in un quadro sistematico che, pur
nella tendenziale indivisibilità dei diritti
fondamentali, vede regolati in modo
diverso, anche a livello costituzionale,
l’ingresso e la permanenza degli stranieri nel Paese, a seconda che si tratti di
richiedenti il diritto di asilo o rifugiati,
ovvero di c.d. “migranti economici”, ha
affermato che, “mentre il pericolo di persecuzione per motivi di razza, di sesso,
di lingua, di cittadinanza, di religione,
di opinioni politiche o di condizioni
sioni, nulla ha previsto con riferimento
all’osservanza dei diritti fondamentali
stabilita dal Consiglio di Europa, nel
2005, come innanzi ricordato.
In particolare, pur in presenza di gravi
carenze nel sistema giudiziario, carcerario e nei nuovi ex-CPT, alcuna norma
sancisce il rispetto del diritto inalienabile ad avvalersi di un interprete e traduttore a carico dello Stato al fine di poter
articolare le proprie ragioni che ostano
all’espulsione e proporre opposizione.
Tanto meno, per quanto innanzi esposto, le varie situazioni dei clandestini
risultano ben distinte dalla nuova normativa lasciando aperte a qualunque
valutazione le decisioni a cui sono chiamati i Giudici di Pace, investiti, ancora
una volta della necessità di giudizi, da
una parte sommari e comunque meritevoli di approfondimento anche grazie
alla mancanza di una norma di salvaguardia che preveda la sospensione del
procedimento (11).
In questo quadro accidentato merita di
essere menzionata la recente sentenza
della Cassazione che abilita all’espulsione del clandestino che contrae o deve
contrarre matrimonio con una cittadina
italiana e/o straniera regolarmente soggiornante in Italia.
La Corte di Cassazione, con sentenza
n. 6605/2008 (12) ha, infatti, di recente,
precisato che neppure le nozze contratte
con un cittadino italiano salvano l’immigrato clandestino dall’espulsione intimata dal Questore in quanto il matrimonio
non rientra tra i motivi di discriminazione razziale che giustificano l’inosservanza dell’ordine di espulsione. Solo in casi di
62
Comuni d’Europa
Immigrati e clandestini, allarghiamo lo sguardo
personali o sociali preclude l’espulsione
o il respingimento dello straniero, analoga efficacia “paralizzante” è negata,
in linea di principio, alle esigenze che
caratterizzano la seconda categoria”. Se
non sussistono motivi discriminatori,
quindi, non è lecito disobbedire all’ordine del Questore, neanche in caso di
matrimonio.
Si tratta di una decisione veramente singolare che è destinata a suscitare tutta
una serie di ricorsi, stante la diffusione
della casistica e che, invero, non appare
in linea con la normativa in materia di
ricongiungimenti familiari e di diritto
alla famiglia (15).
Il T.U. sull’immigrazione prevede che è
possibile chiedere il ricongiungimento
per il solo coniuge, i figli minori, anche
del coniuge o nati fuori dal matrimonio,
non coniugati (abolita dunque la condizione di figlio “a carico”), figli maggiorenni a carico, qualora permanentemente
impossibilitati a provvedere alle proprie
indispensabili esigenze di vita per motivi
di salute (non è più richiesta l’invalidità
totale), nonché genitori a carico che non
dispongano di un adeguato sostegno
familiare nel paese di origine o di provenienza (eliminata la necessità dell’accertamento dell’esistenza di altri figli nel
paese d’origine).
I requisiti richiesti al soggiornante per
ottenere il ricongiungimento, oltre al
possesso della carta di soggiorno o del
permesso di soggiorno con le caratteristiche sopra indicate, sono la disponibilità di un alloggio idoneo e una capacità
reddituale tale da consentire il mantenimento di sé e dei ricongiunti, utilizn. 21 • dicembre 2008
zando come parametro di riferimento
l’importo annuo dell’assegno sociale.
Inoltre, l’art.19 del T.U. prevede espressamente il divieto d’espulsione nei confronti dei cittadini stranieri che siano
conviventi con coniuge di nazionalità
italiana.
L’articolo precisa inoltre che a seguito
del matrimonio e perdurando la convivenza tra i coniugi vi è l’obbligo di
rilasciare un permesso di soggiorno per
motivi di famiglia valido anche per motivi di lavoro.
Inoltre dal combinato disposto dell’art.
16 della Dichiarazione Universale dei
Diritti dell’Uomo (13) e dell’art. 8
della Convenzione Europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali (14) si evince chiaramente una tutela della famiglia
con la conseguenza che, anche in base a
tali principi, appare discutibile la decisione assunta dalla Suprema Corte.
Per fare chiarezza basterebbe integrare
la norma dell’art.19 del T.U. inserendo il
divieto di espulsione anche per il coniuge straniero in attesa di matrimonio. In
occasione dell’emanazione della nuova
normativa in materia di ricongiungimenti familiari.
Di recente la CGUE (16) ha emesso una
importante decisione sancendo il diritto
di soggiorno del coniuge extracomunitario del cittadino europeo, anche se
clandestino.
Pertanto, se il cittadino europeo contrae
matrimonio nello Stato ospitante, al
coniuge extracomunitario deve essere
riconosciuto il diritto di soggiorno ai
sensi della direttiva 2004/38 ed il dirit63
CONTRIBUTI E OPINIONI
to al ricongiungimento vale sempre e
non può essere revocato in alcun caso.
Però, se il coniuge straniero soggiorna
irregolarmente, nulla vieta allo Stato di
applicare nei suoi confronti una sanzione, come un’ammenda proporzionata,
senza però disporne l’allontanamento,
salvi i casi di pericolosità accertata.
A seguito di questa sentenza, si determina di fatto una regolarizzazione permanente in favore dei cittadini extracomunitari che hanno contratto matrimonio
con i cittadini europei nello Stato dove
costoro si sono trasferiti; regolarizzazione che si estende necessariamente anche
agli altri familiari che godono del diritto di soggiorno ai sensi della direttiva
2004/38, quali sono i figli e gli ascendenti del coniuge extracomunitario.
Una ulteriore conseguenza riguarda
direttamente l’Italia che, come è noto,
ha esteso la disciplina della direttiva ai
familiari extracomunitari del cittadino
italiano: per effetto di tale equiparazione,
d’ora in avanti il cittadino extracomunitario irregolare che contrae matrimonio
con il cittadino italiano dovrà ricevere il
documento di soggiorno previsto dalla
direttiva e cioè la carta di soggiorno
quinquennale e non più, come ad oggi,
un permesso di soggiorno della durata
di un anno rilasciato ai sensi dell’articolo
19 del testo unico immigrazione.
trio dei clandestini extracomunitari
4. V. sentenza Corte Costituzionale n.254/2007
in Altalex.it
5. V. L.Faraon, diritto di difesa dello straniero
dopo la sentenza della Corte Cost. 254/2007
in Altalex.it
6. V. Volterra, Le direttive europee in materia
di immigrazione, in osservatorioantigone.it
7. V. dello stesso Autore, Le misure alternative
sono applicabili anche ai clandestini, in Altalex.it
8. V. Legge 4/7/2008 n.125 in Altalex.it con
nota di A. Ceccobelli
9. V. Di Pietro, Prime considerazioni sulle
norme del pacchetto sicurezza, in Personaedanno.it
10. V. S.Centonze, Le nuove figure introdotte
dal pacchetto sicurezza, in Personaedanno.
it
11. V. Dello stesso Autore, v. La sospensione
dell’espulsione del cittadino straniero in
Altalex.it
12. V. Cassazione, Sez. I, sentenza n.6605 del
12/2/2008 in Cittadinolex.it e Cass. Sez. I
6/12/2004 n.22805 in venetoimmigrazione.
it
13. L’art. 16 della Dichiarazione Universale dei
Diritti dell’Uomo recita:
« 1. Uomini e donne in età adatta hanno il
diritto di sposarsi e di fondare una famiglia,
senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione. Essi hanno eguali diritti
riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all’atto del suo scioglimento.
2. Il matrimonio potrà essere concluso
soltanto con il libero e pieno consenso dei
futuri coniugi.
3. La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere
protetta dalla società e dallo Stato».
NOTE
1. V. Fini intervista AP 12/2/2007
2. V. UE, Risoluzione del Parlamento Europeo
sull’intensificarsi della violenza razzista ed
omofoba in Europa
3. V. UE Direttiva del 5/6/2008 per il rimpa64
Comuni d’Europa
Immigrati e clandestini, allarghiamo lo sguardo
dell’ordine e per la prevenzione dei reati,
per la protezione della salute o della morale,
o per la protezione dei diritti e delle libertà
altrui».
15. vedi sul punto il D.Lgs. 2007/5 il Governo
italiano ha dato finalmente attuazione alla
direttiva 2003/86/CE del 22 settembre
2003 relativa al diritto di ricongiungimento
familiare
16. v Miele,Diritto di soggiorno del coniuge
extracomunitario in Immigrazione.it
14. L’art. 8 della CEDU dispone:
« 1. Ogni persona ha diritto al rispetto della
sua vita privata e familiare, del suo domicilio
e della sua corrispondenza.
2. Non può esservi ingerenza di una autorità
pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno
che tale ingerenza sia prevista dalla legge e
costituisca una misura che, in una società
democratica, è necessaria per la sicurezza
nazionale, per la pubblica sicurezza, per il
benessere economico del paese, per la difesa
n. 21 • dicembre 2008
65
CONTRIBUTI E OPINIONI
Sicurezza
e cooperazione alla pace
di Simona Patacca
Tirocinante presso l’Aiccre, tesi presentata per l’Associazione europea di studi internazionali
all’Istituto diplomatico del Ministero degli Affari esteri
Introduzione
ni fra i nuovi confini dell’UE: entrambi
Questo lavoro tratta lo spinoso problema inseriti nella PEV ma con prospettive e
della cooperazione che l’Unione europea aspettative totalmente diverse tra loro.
ha tentato e tenta tutt’ora di avviare con A questa fase di stallo sembra voler dare
i paesi mediterranei e medio-orientali. Le una scossa la nuova proposta di Sarkozy
prime forme di cooperazione comincia- dell’Unione per il Mediterraneo, ma
no ancor prima del famoso Partenariato anche questa destinata ad avere vita diffieuro-mediterraneo da parte dell’allora cile, soprattutto per l’idea del presidente
Comunità economica europea, ma è stato francese di volerla inserire in un quadro
solo con questo processo avviato nel più intergovernativo che europeo.
1995 che l’Europa ha tentato di dare più Questo lavoro non si limita ad elencare
incisività a queste politiche, multilaterali una sorta di “cronologia documentata”,
prima e bilaterali poi.
bensì tenta di capire, seppur in via geneI buoni propositi certo non mancano, rale, perché le varie politiche europee per
ma molti ora concordano nel giudicare il mediterraneo sembrano essere,almeno
il PEM un vero e proprio fallimento. per il momento, destinate al fallimento,
Il clima politico è cambiato in Europa quali sono le lacune dell’UE nel condursoprattutto dopo l’allargamento avvenu- re tali negoziati e le mancanze dei paesi
to nel 2004, con l’ingresso di paesi che che di queste politiche dovrebbero trarne
hanno modificato i confini dell’Europa beneficio.
stessa, tanto ad est quanto a sud. E’
all’interno di questa cornice che nasce la Il Partenariato Euro-mediterraneo
Politica Europea di Vicinato, politica che In occasione della IX riunione euro-mediingloba al suo interno paesi tanto diversi terranea dei ministri degli Affari Esteri
quanto distanti tra loro. Le problematiche tenutasi a Lisbona lo scorso 5 e 6 novemsi acuiscono, il problema della sicurezza bre, i ministri hanno constatato con sodsembra destinato a rimanere irrisolto disfazione che “dodici anni dopo la sua
almeno fino a quando lo sarà il conflitto creazione, il processo di Barcellona è
israelo-palestinese, in più nascono tensio- sfociato in un dialogo e in una coopera66
Comuni d’Europa
Sicurezza e cooperazione alla pace
zione rafforzati in tutta una serie di campi
di interesse comune per i partner euromediterranei. Tuttavia, tutti i protagonisti
concordano nel riconoscere l’esistenza di
lacune e della necessità di rilanciare un
processo che, nel 1995, aveva suscitato un
eccezionale slancio politico e i cui principi
restano comunque di attualità.
Il panorama storico che portò all’elaborazione della Dichiarazione di tredici
anni fa, era piuttosto differente dall’attuale e ciò spiega anche perché alcuni
suoi riferimenti risultino oggi inadatti o
anacronistici: l’Europa usciva da anni di
frustranti tentativi nell’avviare relazioni
globali (sotto forma di provvedimenti o
aiuti legati all’economia come la Politica
Globale Mediterranea o la Politica Mediterranea Rinnovata) con i Paesi del Mediterraneo ma dopo l’esito positivo degli
Accordi di Oslo, nuovi spiragli sembravano aprirsi, mentre sul piano internazionale la fine della Guerra Fredda sembrava
lasciare spazio per costruire o modellare
nuovi scenari con nuovi protagonisti.
I presupposti che portarono ideologicamente alla Dichiarazione di Barcellona,
riflettevano quelle che allora erano le esigenze più incalzanti dei due schieramenti
che tentavano di avvicinarsi ed integrarsi.
Da parte dell’Europa, le situazioni più
problematiche che richiedevano un intervento mirato erano essenzialmente tre:
• la creazione di una zona comune di
sicurezza che potesse arginare o evitare
conflitti tra paesi confinanti (principio
che ricorda fortemente le basi su cui
nacque il Mercato Comune Europeo
nel 1957), mantenendo nella regione
una situazione stabile e quindi favoren. 21 • dicembre 2008
vole a nuovi sviluppi economici;
• il contenimento dei flussi migratori;
• la possibilità di controllare gruppi islamici estremisti, percepiti allora come
una minaccia alla stabilità ricercata e
desiderata.
Naturalmente anche i Paesi Arabi erano
spinti all’azione da considerazioni di
natura strategica: diffusa era la necessità di una modernizzazione economica
dopo la crisi degli anni ‘80 che portasse
gradualmente verso riforme per la liberalizzazione del mercato.
Da tutto questo scaturirono svariati Consigli europei, come quello di Lisbona
(giugno 1992), Corfù (giugno 1994) e
Essen (dicembre 1994) e proposte della
Commissione. L’Unione europea decise
quindi di istituire un nuovo contesto per
le sue relazioni con i paesi del bacino
mediterraneo in vista di un progetto
di partenariato. Questo progetto si è
concretizzato in occasione della conferenza di Barcellona che ha riunito, il 27
e 28 novembre 1995, gli allora quindici
ministri degli Esteri degli stati membri
dell’UE e quelli dei seguenti dodici paesi
terzi mediterranei (PTM): Algeria, Cipro,
Egitto, Israele, Giordania, Libano, Malta,
Marocco, Siria, Tunisia, Turchia e Autorità palestinese. La conferenza gettò le
basi di un processo che avrebbe dovuto
portare all’istituzione di un quadro multilaterale di dialogo e di cooperazione
tra l’UE e i paesi terzi mediterranei. In
occasione di quell’incontro, i 27 paesi
partecipanti adottarono all’unanimità una
dichiarazione e un programma di lavoro.
La dichiarazione si articolava su tre assi
principali:
67
CONTRIBUTI E OPINIONI
1 Il partenariato politico e di sicurezza:
i partecipanti alla conferenza di Barcellona decisero di istituire un dialogo
politico globale e regolare, di agire in
conformità della Carta delle Nazioni
Unite e della Dichiarazione universale
dei diritti dell’uomo, di introdurre lo
Stato di diritto e la democrazia nei loro
sistemi politici, riconoscendo in questo
quadro il diritto di ciascun partecipante
di scegliere e sviluppare liberamente
il suo sistema politico, socioculturale,
economico e giudiziario. Le parti si
sono inoltre impegnate a promuovere
la sicurezza regionale adoperandosi a
favore della non proliferazione chimica, biologica e nucleare mediante l’adesione e l’ottemperanza ai regimi di non
proliferazione sia internazionali che
regionali, nonché agli accordi sul disarmo e sul controllo degli armamenti.
2 Il partenariato economico e finanziario:
la creazione di una zona di prosperità
condivisa nel Mediterraneo presupponeva necessariamente uno sviluppo
socio-economico sostenibile ed equilibrato, nonchè il miglioramento delle
condizioni di vita delle popolazioni,
l’aumento del livello di occupazione
e la promozione della cooperazione
e dell’integrazione regionale. La zona
di libero scambio (ZLS) sarebbe stata
instaurata grazie ai nuovi accordi euromediterranei e agli accordi di libero
scambio stipulati tra gli stessi paesi
terzi mediterranei. Le parti fissarono
la data del 2010 come meta per la graduale realizzazione di questa zona che
coprirà la maggior parte degli scambi,
nel rispetto degli obblighi risultanti
dall’Organizzazione mondiale per il
commercio (OMC). Il programma di
lavoro prevedeva alcune misure concrete destinate a promuovere il libero
scambio, come l’armonizzazione delle
norme e delle procedure doganali. La
realizzazione di una zona di libero
scambio e il successo globale del partenariato euro-mediterraneo poggiavano
su un rafforzamento della cooperazione finanziaria e su un potenziamento
sostanziale dell’assistenza finanziaria
fornita dall’UE. Il Consiglio europeo
di Cannes prevedeva per tale assistenza finanziaria stanziamenti per un
importo pari a 4.685 miliardi di euro
per il periodo 1995-1999 sotto forma
di fondi del bilancio comunitario. A
ciò si aggiungono l’intervento della
Banca europea per gli investimenti
(BEI), sotto forma di prestiti di importo simile e gli aiuti bilaterali degli stati
membri.
3 Il partenariato sociale, culturale e
umano: ai sensi della Dichiarazione di
Barcellona le parti decisero di instaurare un partenariato in ambito sociale,
culturale ed umano finalizzato al ravvicinamento e alla comprensione tra
i popoli e ad una migliore percezione
reciproca. Il partenariato si fondava da
un lato sul delicato compromesso tra
l’esistenza, il riconoscimento e il rispetto reciproco di tradizioni, di culture e
di civiltà diverse su entrambe le sponde
del Mediterraneo e dall’altro, sulla valorizzazione delle radici comuni.
Il processo di Barcellona è stato per un
verso molto importante, perché è stato il
primo tentativo dopo la fine del secondo
68
Comuni d’Europa
Sicurezza e cooperazione alla pace
conflitto mondiale, da parte dell’Europa,
di stabilire un rapporto non direttamente
coloniale con l’altra sponda del Mediterraneo e in particolare con il mondo
maghrebino. Quindi, come progetto, è
sicuramente un’evento di grande rilievo
che però tutti oggi concordano nel considerarlo in larga parte, privo di successo,
se non proprio fallito del tutto, per varie
ragioni.
Il contesto geopolitico nel quale si iscriveva la Conferenza euro-mediterranea
di Barcellona è decisamente cambiato
rispetto ad oggi: cinque anni dopo la
fine dell’Unione sovietica tutto lasciava
pensare allora che il mediterraneo avrebbe tratto beneficio da un mondo riappacificato e, invece, dal 1995 ad oggi la
realtà geopolitica regionale non ha fatto
altro che peggiorare. La persistenza del
conflitto israelo-palestinese ha bloccato
sul nascere il processo politico previsto
negli accordi di partenariato, l’11 settembre e la guerra contro l’Iraq hanno poi
alimentato la sfiducia reciproca facendo
dubitare della pertinenza di proseguire il
partenariato avviato. Dal punto di vista
economico, l’entrata degli stati dell’Europa orientale nell’UE porterà sicuramente
i loro prodotti ad aumentare di valore in
concordanza con le varie specifiche qualitative, tecniche, di sicurezza e sanitarie
imposte da Bruxelles. Il conseguente
allargamento del mercato ai prodotti
agricoli provenienti dai nuovi stati membri porterà l’UE a essere sempre più
autosufficiente per quanto riguarda l’approvvigionamento di beni primari. Tali
prodotti, inoltre, dovranno necessariamente godere di trattamenti preferenziali
n. 21 • dicembre 2008
a danno di quelli provenienti dai paesi
della sponda sud del mediterraneo. Paesi
questi ultimi che sono grandi esportatori
di frutta e verdura, ora posti in diretta
competizione con i neo membri dell’UE.
Con un approccio del genere, mentre l’UE vede nel processo di Barcellona un’opportunità di ulteriore sviluppo
economico da raggiungere tramite la
ristrutturazione in termini di liberalizzazione dei mercati interni e delle strutture
economiche dei paesi della sponda sud,
gli stati arabi vedono l’applicazione della
Dichiarazione di Barcellona portare molti
svantaggi economici alla luce della propria rigida struttura economica. Inoltre il
rapporto di partenariato è visto in realtà
come una relazione eurocentrica e non
paritaria come il nome suggerirebbe.
Il capitolo sul Security and Defence
Dialogue aveva come scopo quello di
creare un’area comune di pace e stabilità,
attraverso varie misure di collaborazione
e dialogo. Proprio il dialogo avrebbe
dovuto portare gli stati a trovare una
definizione comune di sicurezza. E’ innegabile che il processo di “dialogo” sia
stato portato avanti (il numero di riunioni di Ministri ed esperti durante questi
anni lo dimostra), ma non si può certo
affermare che sia stato capace di avviare
ampie collaborazioni, o di raggiungere
definizioni condivise, o semplicemente
di definire chiaramente gli obiettivi. Nel
1997 si avviarono i lavori per stabilire
una Carta Euro-Mediterranea per la Pace
e la Stabilità, ma naufragherà tre anni
dopo con l’acuirsi della crisi palestinese,
dimostrando ancora una volta che ogni
69
CONTRIBUTI E OPINIONI
accordo, associazione, collaborazione tra
le due sponde del Mediterraneo non sarà
mai fattibile se prima non si cura la ferita
più sanguinante e antica della zona.
I presupposti per la creazione di una
comunità di sicurezza sono presenti nei
documenti ufficiali e nelle dichiarazioni
politiche, ma il suo sviluppo è impedito
da eventi che, piuttosto che favorire la
formazione della fiducia e dell’identità
comune, fanno prevalere la sfiducia e le
diversità identitarie.
I parteners hanno sottoscritto un accordo per avviare processi di cooperazione,
consapevoli che il significato di alcuni di
questi concetti e valori (come democrazia
e diritti umani) è controverso e necessita
ulteriore elaborazione.
Molti si chiedono se sia possibile esportare il regime europeo cooperativo di
sicurezza, il modello di sviluppo economico liberal-democratico, un sistema
politico basato sui principi democratici,
sul rispetto dei diritti umani, delle libertà
fondamentali e dello stato di diritto, più
in generale dei valori comuni all’interno
di quest’area. Le relazioni dell’UE con
i paesi del Mediterraneo strutturate dal
PEM sono improntate su questi principi,
ma le specificità socio-economiche e culturali dei partners nonché la persistenza
di contrasti politici nell’area impediscono
il raggiungimento dell’obiettivo di una
maggiore integrazione economica e politica e non permettono un’estensione tout
court del sistema di sicurezza europeo.
Gli stessi principi di cui l’UE si fa portatrice sono talvolta oggetto di critica da
parte dei partners che temono rapporti
di “neo-colonialismo” o “neo-imperia-
lismo”. Esiste un progetto di democratizzazione forzata del mondo islamico e
molti non condividono questo punto di
vista. Che quasi tutti i paesi arabi siano
gestiti da élite fortemente autoritarie nessuno lo mette in dubbio ma, il compito
dell’Europa non dovrebbe essere quello
di imporre la democrazia secondo le categorie occidentali. Imporre significa farlo
con le armi, o comunque con strumenti
coercitivi di carattere giudiziario, o con
ricatti economici. Difficile poter ottenere risultati significativi in questo senso,
sarebbe invece auspicabile un dialogo tra
le due parti che, per un verso consenta
all’Europa di proporre le sue vie verso
la democrazia e la partecipazione politica popolare, mentre dall’altra manifesti
una forte “pazienza” nei confronti del
mondo islamico. Quest’ultimo, attraverso movimenti importanti sta cercando
di recuperare alcuni valori molto vicini
a quelli dell’Europa democratica senza
però rifiutare la propria tradizione, non
negando la propria grande civiltà e cultura, ma cercando invece di recuperare,
all’interno della loro cultura coranica le
premesse per una maggiore uguaglianza
fra i soggetti, i cittadini, e sopratutto una
maggiore dignità di alcune parti della
società, come ad esempio le donne.
Verso la European
Neighbourhood Policy
Il Partenariato euro-mediterraneo ha
rappresentato un importante passo in
avanti nella politica dell’UE verso quest’area geografica e ha avuto l’ambizione
di costruire una regione in una zona
dove la conflittualità o quanto meno la
70
Comuni d’Europa
Sicurezza e cooperazione alla pace
separazione ha spesso prevalso sui fattori di integrazione. Processo ambizioso
dunque quello del PEM, ma che come
abbiamo potuto vedere si è dimostrato
fin’ora non all’altezza delle aspettative.
A questo proposito, recenti studi hanno
sottolineato che per ottenere significativi
miglioramenti in termine di benessere
serve andare oltre il libero scambio per
un maggiore approfondimento dell’integrazione. Questa integrazione approfondita è, in effetti, al centro della Politica di
Vicinato, elaborata dall’Unione europea
per gestire i propri rapporti di “vicinato”
proponendo una integrazione progressiva al Mercato interno europeo.
Il recente allargamento a est ha esteso
i confini dell’Unione europea fino alla
Russia, a sud l’adesione di Malta e Cipro
ha ulteriormente accresciuto l’importanza strategica che riveste l’intero arco di
paesi che si affacciano da sud e da sud-est
sulle coste del Mediterraneo. Nuovi confini significano innanzitutto nuovi vicini:
la prossimità geografica impone all’UE
l’elaborazione di una strategia coerente,
in base alla quale impostare i rapporti
con i paesi vicini.
Nata sopratutto su impulso della Gran
Bretagna e della Svezia, e lanciata dalla
Commissione nella primavera del 2003,
la Politica Europea di Vicinato è stata
un tentativo di rapportarsi a quella diversificata area, offrendo un’alternativa
all’adesione consistente in una maggiore
integrazione con l’Unione, nel dialogo
politico rafforzato e nell’incremento dell’assistenza finanziaria. “All but institution” recitava il ben noto slogan dell’allora presidente della Commissione ai paesi
n. 21 • dicembre 2008
che si sarebbero trovati ai confini dell’UE
allargata. Il commissario europeo per le
Relazioni esterne Benita Ferrero Waldner ha più volte sottolineato questo
aspetto “La PEV non è una politica di
allargamento. Non pregiudica eventuali
prospettive di paesi europei che in futuro
potrebbero presentare una candidatura di
adesione, ma neppure offre una prospettiva di questo genere”.
Con questa politica si intende garantire
la stabilità dell’area a ridosso delle nuove
frontiere offrendo ai paesi confinanti la
prospettiva di una partecipazione al Mercato unico europeo e a un’ulteriore promozione della libera circolazione di persone, beni, servizi e capitali a condizione
che in tali paesi vengano avviati processi di
riforme politiche, sociali ed economiche.
I paesi inseriti nell’area di vicinato sono
l’Algeria, l’Autorità Nazionale Palestinese,
l’Egitto, la Giordania, Israele, il Libano, il
Marocco, la Siria, la Tunisia, la Moldavia,
la Russia, la Bielorussia, l’Ucraina, l’Armenia, l’Azerbaigian e la Georgia.
La PEV, dunque, punta ad aggiornare
e rafforzare rapporti che erano, nella
maggior parte dei casi, in una situazione di stallo e lo fa instaurando relazioni
privilegiate bilaterali, e non multilaterali
come nel PEM (che in qualche misura
viene assorbito dalla PEV) fondate su
un impegno reciproco ispirato a valori
condivisi: democrazia, diritti umani, economia di mercato e sviluppo sostenibile.
In concreto questo nuovo modello di
relazioni bilaterali si basa su Piani d’Azione definiti dall’UE e da ciascuno dei
paesi interessati; dei piani “confezionati
su misura” sulla scorta degli interessi, dei
71
CONTRIBUTI E OPINIONI
bisogni e delle capacità del singolo partner, nonché ovviamente dei principi che
per l’Europa sono irrinunciabili. I Piani
d’Azione e i finanziamenti più abbondanti e funzionali sono le due principali
novità della PEV, i primi sono il principale strumento politico di gestione della
differenziazione: non costituiscono un
innovazione in termini giuridici nei rapporti tra l’UE e i paesi partner ma sono
piuttosto documenti di indirizzo politico
che dovrebbero indicare le aree prioritarie di intervento e gli obiettivi di riforma. Questi documenti vengono negoziati
congiuntamente dalla Commissione sulla
base di un Country Strategy Paper e dal
governo partner. Delineano le priorità di
riforma da perseguire nel breve e medio
termine (dai tre ai cinque anni, a seconda dei paesi), e incarnano un approccio
molto più attivo rispetto ai precedenti
accordi tra l’UE e i suoi vicini. Il fatto
che essi siano negoziati assieme ai governi interessati dovrebbe rafforzare - per
usare la terminologia della Commissione
- la dimensione di partenariato della PEV
e l’intero processo di riforma.
Lo Strumento europeo di partenariato e
vicinato (ENPI - European Neighbourhood and Partnership Instrument) fornisce l’assistenza finanziaria ai paesi partner
al fine della realizzazione degli obiettivi
della PEV e del partenariato strategico
con la Russia. Divenuto operativo a partire dall’inizio del 2007, esso sostituisce i
tradizionali strumenti finanziari dell’UE
per la cooperazione con i paesi vicini
(TACIS, MEDA). Anche se molto simili,
i meccanismi che lo governano presentano delle differenze rispetto ai precedenti,
sopratutto nell’ambito delle modalità di
cooperazione. Insieme alle dimensioni
bilaterali e regionali, l’ENPI prevede tre
ulteriori componenti: cooperazione interregionale, cooperazione transfrontaliera e
cooperazione tematica.
C’è da dire che all’intensificarsi della
cooperazione non è seguito un corrispondente aumento di risorse, così come
auspicato dalla Commissione europea
sebbene si sia avuto un incremento del
+32% rispetto alle risorse del 2000-2006.
La dotazione finanziaria dell’ENPI, infatti, per il periodo 2007-2013 ammonta a
11,967 miliardi di euro, mentre nel 20002006 si è attestata su circa 5,3 miliardi
per il MEDA e 3,1 miliardi per il TACIS.
Alle risorse attribuite all’ENPI dalle prospettive finanziarie 2007-2013 bisogna
aggiungere il contributo in prestiti della
Banca europea degli investimenti (BEI),
notevolmente superiore a quello del
periodo di programmazione precedente, sopratutto riguardo ai paesi dell’Est.
In generale, l’assistenza dell’ENPI sarà
rivolta sopratutto agli ambiti prioritari
del Piano d’Azione che mirano ad una
maggiore integrazione nel mercato interno sia appoggiando la realizzazione delle
riforme necesarie sia attraverso interventi
più mirati all’avvicinamento di questi
Paesi alla legislazione, regole e standard
comunitari. Relativamente ai paesi che
per il momento restano fuori dalla PEV,
l’assistenza dell’ENPI continuerà a proseguire gli obiettivi del PEM (Algeria,
Siria) mentre in Bielorussia sarà diretta
prioritariamente ai bisogni della popolazione attraverso un supporto al processo
di democratizzazione.
72
Comuni d’Europa
Sicurezza e cooperazione alla pace
Tuttavia, in termini relativi, esistono
delle differenze sostanziali tra i partner
del Sud e quelli dell’Est. Le differenze
principali riguardano la ripartizione tra
i differenti settori, più omogenea nei
partner dell’Est che in quelli del Sud
dove gli ambiti più direttamente legati
allo sviluppo economico e sociale concentrano quasi l’intero ammontare delle
risorse. Di contro, nell’ambito “Dialogo
politico e riforme” le risorse si attestano su una media dell’11,5%. La ragione
della maggiore concentrazione di risorse
a supporto delle riforme economiche
nei paesi del sud risiede nella maggiore
difficoltà che il processo di integrazione
assumerà in questi paesi rispetto all’est
a causa del divario esistente tra le due
aree in termini di sviluppo economico
e sociale, ma anche di capacità delle
pubbliche amministrazioni locali nell’assumersi il fardello che questo processo
comporta.
Fra il 1995 e il 2004 la politica mediterranea dell’Unione europea si è realizzata
quindi attraverso il Partenariato EuroMediterraneo (PEM), lanciato a Barcellona. Dopo l’allargamento dell’UE nel
2004, i Paesi sud mediterranei facenti
parte del PEM sono stati inclusi anche
nella nuova Politica europea di Vicinato
(PEV) accanto a quelli dell’Europa orientale restati fuori dall’UE.
Dal 2004, pertanto la politica mediterranea dell’UE ha un carattere dualistico: da
una parte la PEV, a carattere bilaterale,
che si occupa essenzialmente delle materie comprese nel secondo pilastro della
Dichiarazione di Barcellona (le relazioni
economiche), materie prevalentemente
n. 21 • dicembre 2008
gestite dalla Commissione, dall’altra il
PEM, a carattere collettivo, che rimane
competente per le materie politiche e
di sicurezza e le relazioni socio-culturali
(primo e secondo pilastro), di cui si occupano prevalentemente i governi.
Tali mutamenti riflettono però una profonda insoddisfazione per i risultati, a
dir poco modesti, realizzati nell’ambito
del PEM. Ed è sullo sfondo di questa
evoluzione in atto della politica mediterranea dell’UE che è recentemente emersa
l’iniziativa del presidente della Francia
Nicolas Sarkozy, mirante alla creazione
di un’Unione per il Mediterraneo (UM).
Fin’ora il governo francese non ha offerto una presentazione ufficiale e dettagliata
dell’iniziativa, si può comunque tracciare
un quadro della proposta sulla base delle
informazioni pubbliche disponibili, benché, va notato, esse siano ancora generali
e soggette a cambiamenti.
L’UM comporterebbe la messa in opera
di una sorta di processo di vertice modellato sul G8, una sorta di “Vertice mediterraneo” che riunirebbe i capi di Stato e
di governo dei paesi partecipanti. Esso
deciderebbe su pochi e ben selezionati
progetti che riguarderebbero quattro aree
prioritarie: ambiente e sviluppo sostenibile, crescita economica e sviluppo sociale, dialogo fra le culture e alcuni temi di
sicurezza “soft”, come la sicurezza marittima, la protezione civile e la lotta al terrorismo. L’UM non avrebbe un proprio
strumento finanziario, ma ricorrerebbe
a fondi esistenti, come pure a risorse
private. Quanto ai paesi che dovrebbero
partecipare all’UM, le proposte avanzate
da Parigi hanno avuto parecchie oscilla73
CONTRIBUTI E OPINIONI
zioni. Nel complesso, la partecipazione
dovrebbe essere “mediterranea” piuttosto che “euro-mediterranea”, tenderebbe
quindi a includere i paesi dell’Europa del
sud accanto a quelli delle altre sponde
mediterranee ed escludere i paesi del
nord Europa.
Il 20 dicembre 2007 si è svolto a Roma
un incontro fra il presidente francese e i
primi ministri di Spagna e Italia Zapatero
e Prodi che hanno dato il loro sostegno alla proposta di Sarkozy di tenere
il primo vertice dell’UM a Parigi a metà
luglio 2008.
L’iniziativa dell’UM è motivata da una
valutazione particolarmente negativa e
pessimista del formato politico via via
assunto dal PEM: la Francia crede che
oramai il formato politico assunto da
quest’ultimo sia riconducibile a una mera
conferenza diplomatica e che ormai non
abbia più senso o utilità. Per affrontare i
problemi mediterranei occorre, secondo
Parigi, un iniziativa come l’Unione per
il Mediterraneo che possa beneficiare di
una forte dinamica politica e sia condotta
al massimo livello politico.
Tuttavia ciò ha sollevato non poche problematiche, in Francia ma anche all’interno degli stati membri e in primis della
Germania con il parziale disappunto del
suo cancelliere Angela Merkel. L’UM
vuole essere uno schema perfettamente
intra-mediterraneo, rivolto soprattutto ai
paesi rivieraschi. La Francia non intende
contrapporlo all’UE, tanto che prevede
che la Commissione europea faccia parte
dell’UM e gli stati europei del nord partecipino come osservatori. Ma, effettivamente, l’iniziativa presenta caratteristiche
che, al di la delle intenzioni, potrebbero
dar adito a una competizione, se non ad
un antagonismo, con la cooperazione
euro-mediterranea.
La risposta francese può anche essere una
soluzione efficace per far uscire la politica mediterranea dall’indubbia crisi in cui
si trova, ma occorre tenere bene presenti
e dare soluzioni adeguate ai due problemi
politici che essa solleva. Da una parte,
c’è la necessità di svilupparla in modo da
renderla complementare con la politica
mediterranea dell’UE. Dall’altra occorre
tener presente il fatto che l’iniziativa dell’UM deriva dall’allargamento, di conseguenza, tecnicamente ha a che fare con il
mediterraneo ma, politicamente, riguarda
l’Unione Europea e il suo destino. Che
la si veda da una prospettiva o dall’altra,
appare comunque vitale che sia preservata la coesione interna dell’UE.
Conclusioni
A tredici anni dalla firma della Dichiarazione di Barcellona molte ancora sono
le perplessità e, come detto precedentemente, molti non esitano a definire l’intero processo un fallimento. I maggiori
ostacoli all’attuazione del programma si
possono riassumere con tre criticità:
• l’effettiva capacità e volontà delle società civili ad adeguarsi alle riforme richieste e indotte dal PEM;
• l’adeguamento delle “nuove” istituzioni alle realtà locali: vi è il rischio cioè
che, nel tentativo di riforma, vengano
introdotti modelli istituzionali di stampo occidentale, che non necessariamente si rivelano tagliati per sistemi
governativi come quelli arabi;
74
Comuni d’Europa
Sicurezza e cooperazione alla pace
• il pericolo di un rapporto troppo sbilanciato tra i paesi firmatari la Dichiarazione anche alla luce dell’allargamento ad est dell’Unione europea.
Gli aiuti finanziari adottati dall’UE per
agevolare il processo di transizione dei
paesi MED, potrebbero divenire un
forte strumento di pressione nei confronti dei governi locali, soprattutto di
quelli che hanno difficoltà nel reperire in altro modo le risorse finanziarie
necessarie per realizzare il piano di
riforme richiesto dal PEM. Il rischio
quindi, si materializzerebbe nella concreta sensazione di un rapporto squilibrato, nel quale la partnership è solamente subita e non anche condivisa, e le
riforme politiche sociali ed economiche
che dovrebbero nascere e svilupparsi
in modo autonomo dal tessuto interno
del paese, sono guidate e stimolate più
dalla prospettiva di ottenere un flusso
consistente di aiuti economici, piuttosto
che da una consapevolezza della loro
necessità. Benché il programma di cooperazione nasca con un approccio paritario, nei fatti si trasforma in una forma
di pressione indiretta che pone i paesi
della sponda sud davanti alla sostanziale
scelta di accettare la cooperazione e le
proposte di riforma o cavarsela con i
propri mezzi.
Tuttavia il fallimento e le difficoltà che
riscontriamo nelle relazioni tra l’UE e
i paesi MED, non affonda le sue radici nel solo atteggiamento dell’Unione
teso a far prevalere i propri interessi
strategici nell’area a discapito degli interessi di quest’ultima presa nel suo insieme, derivando esso anche da oggettive
n. 21 • dicembre 2008
carenze sia economiche che politiche
nell’area mediterranea non europea. La
sponda sud del Mediterraneo è un’area
economica caratterizzata da una generale arretratezza rispetto agli standard
internazionali: escludendo Israele, la cui
struttura economica è sostanzialmente
“occidentalizzata”, la restante parte dell’area si distingue per bassa crescita, alti
tassi di sviluppo demografici, inefficienza
dello Stato, debolezza del settore privato
ed impoverimento di quello pubblico,
scarsa propensione all’attrazione degli
investimenti internazionali.
Soltanto l’Africa sub-sahariana presenta
un quadro più pessimista.
Alla generale arretratezza va aggiunta
la disomogeneità delle situazioni quale
causa prima dello scarso sviluppo multilaterale il quale ha fino ad oggi prodotto
rarissime occasioni di coordinamento se
si eccettua l’Accordo di Agadir (2002)
sottoscritto dalle economie più dinamiche dell’area (Egitto, Giordania, Marocco
e Tunisia), inoltre, come più volte menzionato, la strada del regionalismo e del
multilateralismo stenta a trovare la sua
giustificazione in un area come quella
mediterranea, da sempre teatro di fortissime differenze che tutt’ora perdurano e
generano conflitti.
Molti paesi mediterranei non hanno
potuto o voluto seguire l’esempio comunitario e, anziché dare vita a un processo di sviluppo razionale e lungimirante
che prevedesse la riforma radicale dello
stato e la modernizzazione della società
nel suo complesso, si sono sovente fatti
attrarre da modelli economici obsoleti e
inadatti alle loro esigenze.
75
CONTRIBUTI E OPINIONI
L’economia dei paesi mediterranei
dipende in modo esenziale dagli investimenti esteri. La scarsa stabilità interna
e le note difficoltà internazionali riducono drasticamente il flusso dei capitali investiti nell’area. Molti operatori
europei, ma anche gli stessi arabi del
Golfo, si sono spesso mostrati riluttanti
a investire nel sud del Mediterraneo
e preferiscono sovente altri paesi che
danno maggiori garanzie di stabilità e
sicurezza.Gli investimenti sono dunque
proporzionalmente pochi e concentrati
in alcuni settori chiave come il turismo,
lo sfruttamento delle materie prime e,
in misura minore, l’agricoltura di qualità
destinata all’esportazione. Le principali
aziende operanti nei paesi mediterranei
sono in mani straniere e quindi soggette
a strategie di sviluppo non sempre in
linea con le necessità del paese dove
operano, mentre la piccola e media
impresa locale non riesce a svilupparsi
e a modernizzarsi per fare fronte alle
mutate condizioni di mercato.
Le politiche mediterranee hanno inoltre
subito una mutazione significativa via via
che la situazione politica nella regione
si deteriorava. La crescente diffidenza
reciproca, le molte incomprensioni e la
mancanza di una linea politica coerente
hanno ritardato i negoziati: la stessa data
del 2010, fissata per la creazione di una
zona di libero scambio euro-mediterranea non sembra più realistica.. Per molti
paesi europei il Processo di Barcellona
è diventato uno strumento meramente
politico che permette di esercitare un
controllo discreto sulla regione mediterranea e sui paesi che la compongono.
Gli obiettivi non sono più quelli di avvicinare le due sponde del Mediterraneo
quanto piuttosto di tenere a bada alcune
pericolose derive geo-politiche alle porte
dell’Europa.
Si tratta in particolare di convincere i paesi
arabi a impegnarsi di più contro il terrorismo islamico e a esercitare un controllo
più serio dell’immigrazione clandestina e
irregolare. In altre parole, l’Unione europea ha cercato, invano (almeno per ora),
di stabilizzare la regione attraverso quegli
strumenti di soft power (finanziamenti,
assistenza tecnica, moderate pressioni
politiche) che hanno dato migliore prova
nell’Europa centro orientale.
La mancanza di una visione ad ampio
respiro, lo scarso interesse mostrato da
molti stati membri e l’insufficienza delle
risorse destinate a questo progetto, ne
hanno probabilmente compromesso
l’esito finale.
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rinnovato per la pace, l’occupazione e lo sviluppo sostenibile” 2008, contributo agli incontri tra i Capi di Stato e di Governo del 13 e 14
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2005, Policy Brief ISPI;
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n. 21 • dicembre 2008
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Relazioni internazionali;
SITOGRAFIA
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http://ec.europe.eu/world/enp/index_en.htm
http://www.euromedi.org
http://www.cooperazione.formez.it
77
DOCUMENTI
Carta europea
dell'autonomia locale
Preambolo
Gli Stati membri del Consiglio d’Europa,
firmatari della presente Carta,
considerando che il fine del Consiglio
d’Europa è di realizzare un’unione più
stretta tra i suoi membri, per salvaguardare e promuovere gli ideali ed i principi
che sono il loro patrimonio comune;
considerando che la stipulazione di accordi nel settore amministrativo è uno dei
mezzi atti a realizzare detto fine;
considerando che le collettività locali
costituiscono uno dei principali fondamenti di ogni regime democratico;
considerando che il diritto dei cittadini
a partecipare alla gestione degli affari
pubblici fa parte dei principi democratici
comuni a tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa;
convinti che è a livello locale che il predetto diritto può essere esercitato il più
direttamente possibile;
convinti che l’esistenza di collettività
locali investite di responsabilità effettive
consente un’amministrazione efficace e
vicina al cittadino;
consapevoli del fatto che la difesa ed il rafforzamento dell’autonomia locale nei vari
Paesi europei rappresenti un importante
contributo all’edificazione di un’Europa
fondata sui principi della democrazia e
del decentramento del potere;
affermando che ciò presuppone l’esistenza di collettività locali dotate di organi
decisionali democraticamente costituiti,
che beneficino di una vasta autonomia
per quanto riguarda le loro competenze,
le modalità d’esercizio delle stesse, ed i
mezzi necessari all’espletamento dei loro
compiti istituzionali,
hanno convenuto quanto segue:
Art. 1
Le Parti s’impegnano a considerarsi vincolate dagli articoli seguenti, nella maniera e nella misura prescritta dall’articolo
12 della presente Carta.
PARTE I
Art. 2 - Fondamento costituzionale e
legale dell’autonomia locale
Il principio dell’autonomia locale deve
essere riconosciuto dalla legislazione
interna, e per quanto possibile, dalla
Costituzione.
78
Comuni d’Europa
Carta europea dell'autonomia locale
Art. 3 - Concetto di autonomia locale
1. Per autonomia locale, s’intende il diritto e la capacità effettiva, per le collettività
locali, di regolamentare ed amministrare
nell’ambito della legge, sotto la loro
responsabilità, e a favore delle popolazioni, una parte importante degli affari
pubblici.
2. Tale diritto è esercitato da Consigli e
Assemblee costituiti da membri eletti a
suffragio libero, segreto, paritario, diretto ed universale, in grado di disporre
di organi esecutivi responsabili nei loro
confronti. Detta disposizione non pregiudica il ricorso alle Assemblee di cittadini, al referendum, o ad ogni altra forma
di partecipazione diretta dei cittadini qualora questa sia consentita dalla legge.
4. Le competenze affidate alle collettività
locali devono di regola essere complete
ed integrali. Possono essere messe in
causa o limitate da un’altra autorità, centrale o regionale, solamente nell’ambito
della legge.
5. In caso di delega dei poteri da parte
di un’autorità centrale o regionale, le collettività locali devono fruire, per quanto
possibile, della libertà di armonizzare
l’esercizio delle loro funzioni alle condizioni locali.
6. Le collettività locali dovranno essere consultate per quanto possibile, in
tempo utile ed in maniera opportuna nel
corso dei processi di programmazione e
di decisione per tutte le questioni che le
riguardano direttamente.
Art. 4 - Portata dell’autonomia locale
1. Le competenze di base delle collettività locali sono stabilite dalla Costituzione o dalla legge. Tuttavia, detta norma
non vieta il conferimento, alle collettività
locali, di competenze specifiche, in conformità alla legge.
2. Le collettività locali hanno, nell’ambito della legge, ogni più ampia facoltà
di prendere iniziative proprie per qualsiasi questione che non esuli dalla loro
competenza o sia assegnata ad un’altra
autorità.
3. L’esercizio delle responsabilità pubbliche deve, in linea di massima, incombere
di preferenza sulle autorità più vicine ai
cittadini. L’assegnazione di una responsabilità ad un’altra autorità deve tener
conto dell’ampiezza e della natura del
compito e delle esigenze di efficacia e di
economia.
Art. 5 - Tutela dei limiti
territoriali delle collettività locali
Per ogni modifica dei limiti locali territoriali, le collettività locali interessate
dovranno essere preliminarmente consultate, eventualmente mediante referendum, qualora ciò sia consentito dalla
legge.
n. 21 • dicembre 2008
Art. 6 - Adeguamento delle strutture e
dei mezzi amministrativi alle missioni delle collettività locali
1. Senza pregiudizio di norme più generali emanate dalla legge, le collettività
locali devono poter definire esse stesse
le strutture amministrative interne di cui
intendono dotarsi, per adeguarle alle loro
esigenze specifiche in modo tale da consentire un’amministrazione efficace.
2. Lo statuto del personale delle collettività locali deve consentire un recluta79
DOCUMENTI
mento di qualità, che si basi sui principi
del merito e della competenza; a tal fine,
deve associare adeguate condizioni di
formazione, di remunerazione e di prospettive di carriera.
rispetto di un’equilibrio tra l’ampiezza
dell’intervento dell’autorità di controllo
e dell’importanza degli interessi che essa
intende salvaguardare.
Art. 9 - Risorse finanziarie
delle collettività locali
1. Le collettività locali hanno diritto, nell’ambito della politica economica nazionale, a risorse proprie sufficienti, di cui
possano disporre liberamente nell’esercizio delle loro competenze.
2. Le risorse finanziarie delle collettività
locali devono essere proporzionate alle
competenze previste dalla Costituzione
o dalla legge.
3. Una parte almeno delle risorse finanziarie delle collettività locali deve provenire da tasse e imposte locali di cui esse
hanno facoltà di stabilire il tasso nei limiti
previsti dalla legge.
4. I sistemi finanziari che sostengono le
risorse di cui dispongono le collettività
locali devono essere di natura sufficientemente diversificata ed evolutiva per
consentire loro di seguire, in pratica, per
quanto possibile, l’andamento reale dei
costi di esercizio delle loro competenze.
5. La tutela delle collettività locali finanziariamente più deboli richiede la messa
in opera di procedure di perequazione finanziaria o di misure equivalenti,
destinate a correggere gli effetti di una
ripartizione impari di fonti potenziali di
finanziamento, nonché degli oneri loro
incombenti. Dette procedure o misure
non devono diminuire la libertà di opzione delle collettività locali nel proprio
settore di responsabilità.
6. Le collettività locali dovranno essere
Art. 7 - Condizioni dell’esercizio
delle responsabilità a livello locale
1. Lo statuto dei rappresentanti eletti
dalle collettività locali deve assicurare il
libero esercizio del loro mandato.
2. Esso deve consentire un adeguato
compenso finanziario delle spese derivanti dall’esercizio del loro mandato,
nonché, se del caso, un compenso finanziario per i profitti persi, od una remunerazione per il lavoro svolto, nonché
un’adeguata copertura sociale.
3. Le funzioni ed attività incompatibili
con il mandato di eletto locale possono
essere stabilite solamente dalla legge o
dai principi giuridici fondamentali.
Art. 8 - Verifica amministrativa
degli atti delle collettività locali
1. Ogni verifica amministrativa sulle collettività locali potrà essere effettuata solamente nelle forme e nei casi previsti dalla
Costituzione o dalla legge.
2. Ogni verifica amministrativa degli atti
delle collettività locali deve di regola avere
come unico fine di assicurare il rispetto
della legalità e dei principi costituzionali.
La verifica amministrativa può, tuttavia,
comportare una verifica esercitata da
autorità, a livello superiore, dell’opportunità in merito ai compiti, la cui esecuzione è delegata alle collettività locali.
3. La verifica amministrativa delle collettività locali deve essere esercitata nel
80
Comuni d’Europa
Carta europea dell'autonomia locale
autonomia locale, consacrati dalla Costituzione o dalla legislazione interna.
opportunamente consultate per quanto
riguarda le modalità dell’assegnazione,
nei loro confronti, delle risorse nuovamente distribuite.
7. Per quanto possibile, le sovvenzioni concesse alle collettività locali non dovranno
essere destinate al finanziamento di progetti specifici. La concessione di sovvenzioni
non deve pregiudicare la libertà fondamentale della politica delle collettività locali, nel
proprio settore di competenza.
8. Per finanziare le loro spese di investimento, le collettività locali devono poter
avere accesso, in conformità alla legge, al
mercato nazionale dei capitali.
PARTE II: DISPOSIZIONI VARIE
Art. 12 - Impegni
1. Ciascuna Parte s’impegna a considerarsi vincolata da venti almeno dei paragrafi
della Parte I della Carta, di cui almeno
dieci prescelti tra i paragrafi seguenti:
• articolo 2,
• articolo 3, paragrafi 1 e 2,
• articolo 4, paragrafi 1, 2 e 4,
• articolo 5,
• articolo 7, paragrafo 1,
• articolo 8, paragrafo 2,
• articolo 9, paragrafi 1, 2 e 3,
• articolo 10, paragrafo 1,
• articolo 11.
2. Ciascun Stato contraente, al momento
del deposito del proprio strumento di
ratifica, di accettazione o di approvazione, notificherà al Segretario Generale del
Consiglio d’Europa i paragrafi prescelti
in conformità alla norma del paragrafo 1
del presente articolo.
3. Ciascuna Parte può, in qualsiasi ulteriore momento, notificare al Segretario
Generale che essa si considera vincolata
da ogni altro paragrafo della presente
Carta, che non aveva ancora accettato in
conformità alle disposizioni del paragrafo 1 del presente articolo. Detti successivi
impegni verranno considerati come parte
integrante della ratifica, dell’accettazione
o dell’approvazione della Parte che effettua la notifica, e produrranno i medesimi
effetti dal primo giorno del mese successivo allo scadere di un periodo di tre mesi
Art. 10 - Diritto di associazione
delle collettività locali
1. Le collettività locali hanno diritto, nell’esercizio delle loro competenze, a collaborare e, nell’ambito della legge, ad associarsi ad altre collettività locali per la realizzazione di attività di interesse comune.
2. Il diritto delle collettività locali di aderire ad un’associazione per la tutela e la
promozione dei loro interessi comuni e
quello di aderire ad un’associazione internazionale di collettività locali devono
essere riconosciuti in ogni Stato.
3. Le collettività locali possono, alle
condizioni eventualmente previste dalla
legge, cooperare con le collettività di altri
Stati.
Art. 11 - Tutela legale
dell’autonomia locale
Le collettività locali devono disporre di
un diritto di ricorso giurisdizionale, per
garantire il libero esercizio delle loro
competenze ed il rispetto dei principi di
n. 21 • dicembre 2008
81
DOCUMENTI
dopo la data di ricevimento della notifica
da parte del Segretario Generale.
approvazione. Gli strumenti di ratifica, di
accettazione o di approvazione saranno
depositati presso il Segretario Generale
del Consiglio d’Europa.
2. La presente Carta entrerà in vigore il
primo giorno del mese successivo allo
scadere di un periodo di tre mesi dopo
la data alla quale quattro Stati membri
del Consiglio d’Europa abbiano espresso
il loro consenso ad essere vincolati dalla
Carta, in conformità alle norme del paragrafo precedente.
3. Per ogni Stato membro che esprimerà successivamente il suo consenso
ad essere vincolato dalla Carta, questa
entrerà in vigore il primo giorno del mese
successivo allo scadere di un periodo di
tre mesi dopo la data del deposito dello
strumento di ratifica, di accettazione o di
approvazione.
Art. 13 - Collettività
cui si applica la Carta
I principi di autonomia locale contenuti
nella presente Carta si applicano a tutte le
categorie di collettività locali esistenti sul
territorio della Parte. Ciascuna Parte può
tuttavia, al momento del deposito del
suo strumento di ratifica, di accettazione
o di approvazione, designare le categorie
di collettività locali e regionali alle quali
intende limitare il settore di applicazione
o che intende escludere dal settore di
applicazione della presente Carta. Essa
può anche includere altre categorie di
collettività locali o regionali nell’ambito
di applicazione della Carta, mediante
ulteriore notifica al Segretario Generale
del Consiglio d’Europa.
Art. 16 - Clausola territoriale
1. Ciascuno Stato può, al momento della
firma, o al momento del deposito del
proprio strumento di ratifica, di accettazione, di approvazione o di adesione
indicare il o i territori cui si applicherà la
presente Carta.
2. Ciascuno Stato potrà, in qualsiasi altro
successivo momento, mediante dichiarazione indirizzata al Segretario Generale
del Consiglio d’Europa, estendere l’applicazione della presente Carta ad ogni altro
territorio designato nella dichiarazione.
La Carta entrerà in vigore nei confronti
di detto territorio il primo giorno del
mese successivo allo scadere di un periodo di tre mesi dopo la data di ricevimento
della dichiarazione da parte del Segretario Generale.
Art. 14 - Comunicazioni
di informazioni
Ciascuna Parte trasmette al Segretario
Generale del Consiglio d’Europa ogni
opportuna informazione relativa alle
disposizioni legislative ed altre misure
adottate allo scopo di adeguarsi ai termini
della presente Carta.
PARTE III
Art. 15 - Firma, ratifica,
entrata in vigore
1. La presente Carta è aperta alla firma
degli Stati membri del Consiglio d’Europa.
Sarà sottoposta a ratifica, accettazione e
82
Comuni d’Europa
Carta europea dell'autonomia locale
3. Ogni dichiarazione resa, in virtù dei due
paragrafi precedenti, potrà essere ritirata,
per quanto riguarda i territori indicati
in detta dichiarazione, mediante notifica
inviata al Segretario Generale. Il ritiro avrà
effetto dal primo giorno del mese successivo allo scadere di un periodo di sei mesi
dopo la data di ricevimento della notifica
da parte del Segretario Generale.
considerata come avendo denunciato la
Carta stessa.
Art. 18 - Notifiche
Il Segretario Generale del Consiglio
d’Europa notificherà agli Stati membri
del Consiglio:
a. ogni firma;
b. il deposito di ogni strumento di ratifica, di accettazione o di approvazione;
c. ogni data di entrata in vigore della
presente Carta, in conformità al suo
articolo 15;
d. ogni notifica ricevuta in applicazione
delle disposizioni dell’articolo 12, paragrafi 2 e 3;
e. ogni notifica ricevuta in applicazione
delle disposizioni dell’articolo 13;
f. ogni altro atto, notifica o comunicazione relativa alla presente Carta.
Art. 17 - Denuncia
1. Nessuna Parte può denunciare il presente Statuto prima dello scadere di un
periodo di cinque anni successivo alla
data di entrata in vigore della Carta nei
suoi confronti. Un preavviso di sei mesi
sarà notificato al Segretario Generale
del Consiglio d’Europa. Detta denuncia
non pregiudica la validità della Carta nei
confronti delle altre Parti, fermo restando che il numero di queste non sia mai
inferiore a quattro.
2. Ciascuna Parte può, in conformità
alle norme enunciate nel paragrafo precedente, denunciare ogni paragrafo della
Parte I della Carta da essa accettato, con
riserva che il numero e la categoria dei
paragrafi cui questa Parte è vincolata
rimangano conformi alle disposizioni
dell’articolo 12, paragrafo 1. Ciascuna
Parte che, a seguito della denuncia di un
paragrafo, non si adegui più alle disposizioni dell’articolo 12, paragrafo 1, sarà
n. 21 • dicembre 2008
In fede di che, i sottoscritti, debitamente
autorizzati a tale scopo, hanno firmato la
presente Carta.
Fatto a Strasburgo il 15 ottobre 1985 in
francese ed in inglese, i due testi facenti
ugualmente fede, in un unico esemplare,
che sarà depositato negli archivi del Consiglio d’Europa. Il segretario Generale
del Consiglio d’Europa ne invierà copia
autenticata conforme a ciascuno degli
Stati membri del Consiglio d’Europa.
(Seguono le firme)
83
DOCUMENTI
La riforma delle autonomie
regionali e locali
Un documento del 1988 del Consiglio nazionale dell’Aiccre
In occasione del ventesimo anniversario
dell’approvazione della “Carta europea
delle autonomie locali” del Consiglio
d’Europa nel 1988, pubblicata nelle pagine precedenti, riproponiamo un documento elaborato dal Consiglio nazionale
dell’Aiccre, appunto nell’ottobre 1988,
ricordando che il CCRE aveva già ritenuto necessario, fin dal suo secondo
anno di vita (nel 1953), di approvare una
«Carta europea delle libertà locali», che
ispira ampiamente il presente documento
e di cui ritroviamo diversi elementi nella
stessa Carta del Consiglio d’Europa.
tica delle elezioni europee del 1989, con
l’attuazione e l’impegno che essa dovrà
provocare per i futuri sviluppi, anche
istituzionali, del processo di unificazione,
e l’altra data, ormai anch’essa prossima,
del 1992 (completamento del grande
mercato unico europeo), non consentono ripiegamenti puramente nazionali nel
dibattito sulle autonomie locali e regionali. I nuovi traguardi accentueranno il confronto tra i Paesi (e le rispettive società)
della Comunità negli anni novanta e ogni
disfunzione nel sistema degli Enti locali e
delle Regioni in Italia renderà precario il
sostenere positivamente questo confronto: ma ancor più che il confronto il progresso delle autonomie in Italia richiama
il fatto che esso sarà condizionato dal
e condizionerà il progresso federativo
dell’intera Comunità, e il suo avvio all’autentica Unione politica sovranazionale, il
suo sviluppo, la sua democrazia.
Questa riflessione, che I’AICCRE desidera sollecitare, ha dunque risvolti giuridici e economico-finanziari, ma apparirà
assolutamente evidente il suo prioritario contenuto politico-istituzionale e i suoi
necessari riferimenti culturali.
I problemi di fondo di un ordinamento
Premessa
Per la riforma e il progresso delle autonomie territoriali in Italia occorre tener
conto di quella visione d’insieme del
«sistema delle autonomie », dalla quale
sarebbe senza senso e inconcludente
prescindere: d’altra parte è evidente la
necessità di considerare costantemente il
nuovo quadro di riferimento europeo nel
quale il nostro Paese si trova sempre più
inserito e che è destinato ad incidere profondamente su tutta la società nazionale e,
quindi, anche sull’attuale situazione delle
autonomie territoriali. La scadenza poli84
Comuni d’Europa
La riforma delle autonomie locali
Riforma delle autonomie locali
e ordinamento regionale
Non è concepibile una riforma delle
autonomie infra-regionali senza che vengano chiariti definitivamente il ruolo e le
caratteristiche della Regione: ciò vale in
sede italiana, ciò vale tanto più in un contesto europeo. La Regione italiana, nella
prospettiva di unlEuropa delle Regioni,
deve divenire sempre più un ente programmatorio: gli artt. 117-1 18 della
Costituzione già criticati dalla cultura più
avanzata nella stagione della Costituente
- appaiono ora del tutto superati. Alla
Regione spettano compiti di governo
e, simultaneamente, di sintesi a fylori, di
base, di programmazione economica e
pianificazione del territorio, ivi includendo tutti i problemi posti dall’ecologia.
Inoltre la Regione ha un ruolo essenziale
per assicurare la convivenza di tradizioni
locali e, talvolta, di etnie diversificate.
Non si può quindi procedere ad una seria
riforma delle autonomie locali, stralciando
i problemi delle Province e dei Comuni
da quelli di una riforma delle Regioni, che
tenga conto delle profonde trasformazioni,
avvenute sul piano interno del nostro paese
e nei suoi rapporti esterni, dalla data di
entrata in vigore della Costituzione repubblicana. Ciò che comunque prometteva più
di un decennio fa la legge 616 è rimasto
largamente lettera morta: così si intralcia la
riforma delle autonomie infraregionali.
locale e regionale delle autonomie si radicano infatti in una maturata concezione
di valori essenziali, in una corretta percezione dei mutamenti in corso, nell’individuazione dei bisogni reali della gente,
nella capacità di considerare globalmente le convergenze e le contrapposizioni
proprie di una società complessa come
la nostra, e anche la comprensione profonda di quel che vuol dire l’edificazione
di una nuova democrazia europea. Una
risposta puramente «tecnica» sarebbe
perciò del tutto inadeguata e illusoria.
Di questa impostazione si fece, del resto,
portavoce, fin dal 1953, il Consiglio dei
Comuni e delle Regioni d’Europa con
l’approvazione a Versailles della Carta
Europea delle libertà locali: essa merita la
dovuta attenzione da parte dei governi e
dei parlamenti nazionali, compreso quello
italiano, per la sua ratifica ed applicazione. In pari tempo sin dalle origini - cioè
negli anni cinquanta - il CCRE delineò la
strategia di una Europa delle Regioni e la
prospettiva di un Senato europeo delle
Regioni, verso il quale è oggi un passaggio intermedio - che acquisterà tutto il
suo rilievo e l’esigenza di una consultazione obbligatoria a partire dal 1993 - il
Consiglio consultivo dei Poteri regionali
e locali della Comunità.
Sulla base di queste precisazioni, il Consiglio nazionale dell’AICCRE, riunito a
Roma 1’11 ottobre ‘88, ha sottolineato,
pur in forma schematica, alcune esigenze di fondo, alle quali una democratica,
efficace e non settoriale, riforma dell’ordinamento istituzionale e finanziario
delle autonomie locali dovrà ispirarsi nel
nostro Paese.
n. 21 • dicembre 2008
Istituzioni e risorse finanziarie:
una interdipendenza
da non dimenticare
Problemi istituzionali e finanziari sono
indissolubilmente legati: la riforma delle
85
DOCUMENTI
autonomie non può dunque fare astrazione da un simultaneo regime di finanza
locale e regionale che dia reale consistenza, sui versanti delle entrate e delle
spese, all’autonomia degli Enti e alla
responsabilità dei loro amministratori.
Problema questo che si ritrova puntualmente nel contesto europeo, ove una
autonomia impositiva, accanto ad una
finanza di trasferimento, caratterizza la
stragrande maggioranza delle esperienze.
Poiché fa parte degli obiettivi irrinunciabili di uno Stato moderno e democratico
che i cittadini godono degli stessi servizi,
quando questi corrispondano alla soddisfazione di diritti riconosciuti ai cittadini
stessi (trasporti, salute, istruzione, etc.);
e poiché le risorse locali variano da territorio a teritorio, per cui l’affidarsi solo
alle entrate autonome degli Enti locali e
delle Regioni determinerebbe disparità di
trattamento lesive proprio di quei diritti
che si riconoscono a tutti i cittadini, ne
deriva che il sistema della finanza locale
non può che essere un sistema misto,
composto da trasferimenti e da autonomia impositiva sostenuta da adeguate
forme di perequazione (che nella Germania
federale è sia verticale - del Bund e dai
Laender sino alle autonomie di base - e
sia orizzontale - tra Enti omologhi). In
tal modo dovrebbero essere assicurate
ad ogni Comune, Provincia e Regione
sia entrate sufficienti a garantire, per
tutti, uguali servizi di uguale qualità, sia
le disponibilità destinate a finanziare le
opzioni proprie di ogni comunità.
La finanza locale e regionale nel nostro
Paese è caratterizzata da un alto grado
di incertezza, che blocca qualsiasi impo-
stazione a medio e lungo termine del
lavoro degli Enti territoriali. La raffica di
provvedimenti ricorrenti e diversi tarpa,
alla base, ogni corretta amministrazione
e si ripercuote negativamente sulle giuste attese dei cittadini. La gestione della
finanza pubblica deve essere unitaria;
su questo l’accordo non può non essere
totale. Ma come ottenere questa unità,
senza cedere in un nuovo centralismo?
La risposta a questo interrogativo non
può che essere istituzionale: occorre inserire, nelle procedure di approvazione dei
bilanci (e non solo di quelli), un momento non tanto di confronto quanto di codecisione in un organo politico, rappresentativo delle Regioni e delle autonomie. In
tutti gli Stati federali esiste un ramo del
Parlamento il Bundesrat della Repubblica
federale di Germania - che rappresenta
appunto gli enti sub-federali. Occorre
che su questa strada si ponga anche il
nostro Paese, modificando la base elettorale del senato e affidando ad esso, tra
l’altro, compiti specifici nella «contrattazione » relativa alla distribuzione delle
risorse tra centro e periferia e tra i diversi
livelli istituzionali, fermo restando l’attribuzione al governo della definizione
dello «spendibile» globale.
A sua volta la spesa centrale dovrà essere
resa più trasparente.
Riforma delle autonomie
e riforma dell’amministrazione centrale
Una seria, organica riforma in prospettiva europea del sistema nazionale delle
autonomie non può prescindere in Italia
da una simultanea modifica del decentramento burocratico del potere centrale,
86
Comuni d’Europa
La riforma delle autonomie locali
che implica una coerente riforma dell’amministrazione statuale.
In altri termini una ristrutturazione dell’apparato dello Stato nazionale non è
rinviabile all’infinito né bastano insignificanti ritocchi.
re lo sviluppo razionale di una metropoli.
L’arretratezza legislativa italiana in materia
rende particolarmente precaria la situazione delle aree urbane nel nostro paese:
ma più in generale rende irrazionale e con
gravi conseguenze ambientali l’assetto di
tutto il territorio regionale.
Finanza locale, sviluppo equilibrato, mercato dei capitali e armonizzazione fiscale
Nella prospettiva europea i problemi
della finanza locale sono legati a diversi
fattori. Il primo fattore da considerare è
uno sviluppo economico equilibrato di tutto il
territorio della Comunità e una relativa
politica regionale realmente incisiva, talché l’attribuzione di una larga capacità
esattiva (tributaria) ai poteri locali non
risulti una presa in giro per le zone povere, dove non si trova neanche quanto si
deve esigere per ottemperare agli strettissimi compiti di istituto.
I1 secondo fattore è più immediatamente finanziario: è quello di garantire equamente il crescente fabbisogno
delle Regioni e degli Enti locali con un
accesso diretto o indiretto al mercato
comunitario dei capitali. Ciò implica una
istituzione di dimensione sovranazionale in grado di garantire di fatto questo
accesso a finanziamenti non domestici,
estendendo alle autonomie territoriali i
vantaggi goduti dal sistema delle imprese; ciò implica tuttavia anche un’autorità
democratica comunitaria (un Esecutivo
dotato di poteri adeguati e responsabile
al Parlamento Europeo), capace di fissare il livello massimo dell’indebitamento
aggregato, la subordinazione a questo
vincolo del bilancio dei singoli Stati,
delle Regioni e degli Enti locali (cioè
Province e aree metropolitane
Chiarite le caratteristiche e i compiti delle
Regioni si potrà parlare ragionevolmente
delle Province. C’è infatti il problema, con
una Regione prevalentemente programmatoria, del decentramento burocratico
e anche autarchico delle Regioni: così si
affronta la questione dell’Ente intermedio.
Un problema che non va affatto sottovalutato è in pari tempo quello delle piccole
province rurali (si pensi ai Landkreise della
Germania federale), enti che dovrebbero
contribuire ad un equilibrio di servizi, di
finanza, ecc., nell’ambito regionale, tra
le metropoli - e anche soltanto i grandi
Comuni che tendono a prevaricare e ad
egemonizzare l’andamento generale delle
cose - e i Comuni polvere e, in generale, il
territorio marginale del tutto indifeso. I1
problema della Provincia va quindi visto
dall’alto (Regioni) e dal basso (esigenze
dei Comuni minori). I1 regime metropolitano
non sarebbe più né provinciale né comunale, ma un regime del tutto particolare,
con problemi di decentramento istituzionale al suo interno.
Va messo in rilievo, a proposito dei gravi
problemi metropolitani, il nesso irrinunciabile tra la loro soluzione e il problema
del governo dei suoli: la rendita fondiaria
urbana, come ogni e qualsiasi rendita strettamente parassitaria, non può condizionan. 21 • dicembre 2008
87
DOCUMENTI
una partecipazione democratica permanente della popolazione, che non può limitarsi a referendum locali saltuari e spesso
strumentalizzati. La Carta del CCRE prevedeva «mezzi stabili (Permanent Facilities)
perché ogni cittadino, cosciente di essere
membro della Comunità e vincolato alla
collaborazione per il sano sviluppo della
Comunità stessa, prenda parte attiva alla
vita locale ». Qui si pone una buona
volta, in maniera rigorosa, il problema
dei quartieri democratici delle città, dei
legami culturali e di espressione democratica fra Comuni minori e villaggi, di
una struttura diffusa e garantita di centri
comunitari e sociali, che determinino la
stessa crescita democratica, dalla base,
dei partiti politici.
la finanza locale non può divenire una
variabile indipendente); ciò implica prioritariamente una moneta comune e un
sistema fiscale europeo.
Ripartizione federale della spesa
e perequazioni
Tuttavia occorre sottolineare attentamente altri due punti. Anzitutto, se il mercato
unico, con la libera circolazione dei capitali, non può prescindere da un governo
economico (che preveda anche un indirizzo coordinato di commercio estero)
e da una decisione comunitaria sul tetto
dello spendibile - correlato al controllo
sovranazionale del sistema monetario -,
occorrerà poi, sempre a livello comunitario, una sede istituzionale, ove i limiti
della spesa ai diversi livelli si possano
determinare democraticamente, come già
abbiamo accennato in sede nazionale
riferendoci al Bundesrat della Germania
occidentale o Senato delle Regioni (in via
transitoria si può pensare ad una competenza del Consiglio dei Ministri della
Comunità, evoluto in Senato degli Stati,
ma con la consultazione obbligatoria del
Consiglio Consultivo dei Poteri regionali
e locali). In secondo luogo in tutta l’area
comunitaria occorrerà via via estendere il
federalismo fiscale della Germania occidentale e la sua perequazione finanziaria
verticale e orizzontale.
Un esigenza diffusa:
la maggiore stabilità
delle amministrazioni elettive
Una riforma dell’ordinamento locale e
regionale non può non fare riferimento al
profondo bisogno di stabilità nelle amministrazioni elettive. Si sottolinea spesso
che questo carattere di stabilità si riscontra più facilmente in altri Paesi europei, ma questa constatazione richiede un
approfondito esame delle sue cause, che
spesso appaiono diverse da Paese a Paese
e radicate in tradizioni storiche e psicologiche o in strutture specifiche, tutte da
analizzare. Diciamo questo perché non
si possono cercare risposte semplici a
problemi complessi. In ogni caso l’introduzione della «sfiducia costruttiva», prevista
dal disegno di legge in discussione al
Parlamento, può costituire una parziale
risposta.
Riforma delle autonomie
e partecipazione democratica
Riandando ad un passaggio fondamentale
della Carta europea delle libertà locali del
CCRE (1953), sarà necessario che nelle
comunità autonome di base si dia vita ad
88
Comuni d’Europa
La riforma delle autonomie locali
La giusta risposta
ai processi di internazionalizzazione:
più forti autonomie, Unione europea
Si associano spesso gli attuali crescenti
processi di internazionalizzazione e di transnazionalizzazione (che investono i fenomeni finanziari, imprenditoriali, monetari,
ecc.) ad una spinta, ritenuta ineludibile,
verso una maggiore centralizzazione che
metterebbe in crisi il tradizionale modello
delle autonomie. La risposta dell’AICCRE
è che non vi è nessun automatismo in
questa pretesa correlazione: anzi il sovraccarico di domande sociali e la loro selezione devono portare all’ampliamento della
n. 21 • dicembre 2008
sfera delle autonomie e dell’autogoverno.
Viceversa la guida ultima, ma democratica,
dei grandi processi internazionali non può
trovare risposta sufficiente ed adeguata
negli Stati nazionali e richiede perciò la
rapida realizzazione dell’lJnione federale,
col suo governo e il suo Parlamento dotato di poteri reali, istituti atti a far procedere
nell’alveo della democrazia processi di
internazionalizzazione di fatto sempre più
vanificanti il potere politico nazionale. I1
federalismo accresce e garantisce la massima libertà a tutti i livelli: per esso si deve
battere il fronte unito delle autonomie
territoriali europee.
89
DOCUMENTI
Il Comitato delle Regioni
Presentazione e ruolo
Il Comitato delle regioni (CdR) è l’assemblea politica che dà voce agli enti
locali e regionali nel cuore dell’Unione
europea. Istituito dal Trattato di Maastricht si è riunito per la prima volta nel
marzo 1994. La creazione del Comitato
delle regioni ha consentito di affrontare
due questioni fondamentali. In primo
luogo, dato che circa tre quarti della
legislazione UE sono applicati a livello
locale o regionale, è importante che i
rappresentanti locali e ragionali abbiano
voce in capitolo nel processo decisionale. Il secondo elemento è la preoccupazione che i cittadini restassero tagliati
fuori dalla crescita dell’UE. Coinvolgere
in tale processo il livello di governo
eletto ad essi più vicino rappresentava
pertanto uno strumento per avvicinarli all’Europa. A norma dei trattati, la
Commissione e il Consiglio sono tenuti
a consultare il Comitato delle regioni
ogni volta che vengono avanzate nuove
proposte in settori che interessano la
realtà locale e regionale. Il trattato di
Maastricht ha stabilito cinque settori
di questo tipo: coesione economica e
sociale, reti transeuropee, sanità pub-
blica, istruzione e cultura. Il trattato di
Amsterdam ne ha aggiunti altri cinque:
politica occupazionale, politica sociale, ambiente, formazione professionale
e trasporti. Questo elenco comprende
adesso la maggior parte delle attività
dell’UE. Il lavoro del Comitato si fonda
su tre principi fondamentali:
Sussidiarietà: questo principio, definito
nei trattati contestualmente alla creazione del CdR, stabilisce che, nell’ambito
dell’UE, le decisioni dovrebbero essere
prese al livello più vicino ai cittadini.
L’Unione europea, quindi, non dovrebbe assumere funzioni che possano essere svolte più adeguatamente dalle amministrazioni nazionali, regionali o locali.
Prossimità: tutti i livelli amministrativi
dovrebbero mirare ad essere vicini ai
cittadini, in particolare organizzando il
proprio lavoro in maniera trasparente,
in modo che i cittadini sappiano chi è
responsabile di che cosa e come fare
sentire la propria voce;
Partenariato: una sana governance
europea implica una stretta cooperazione tra il livello europeo, nazionale,
regionale e locale: tutti e quattro i livelli
sono indispensabili e dovrebbero par90
Comuni d’Europa
Il Comitato delle Regioni
tecipare all’intero processo decisionale.
Il Comitato delle regioni è composto da
344 membri e altrettanti supplenti, tutti
nominati dal Consiglio, su proposta degli
Stati membri, per quattro anni. Ciascun
paese sceglie i propri membri seguendo
procedure distinte, ma ogni delegazione
nazionale riflette l’equilibrio politico,
geografico e regionale/locale del rispettivo Stato membro. I membri sono rappresentanti eletti di enti locali e regionali
della propria regione di origine, oppure
rivestono in tali enti cariche di rilievo.
Il Comitato organizza i propri lavori
attraverso sei commissioni specializzate,
composte da suoi membri, che esaminano in dettaglio le proposte sulle quali
il Comitato viene consultato e redigono
un progetto di parere: in tale documento
vengono esposti i punti in cui il Comitato concorda con le proposte della Commissione europea e i punti che invece, a
suo avviso, devono essere modificati.
Il progetto di parere viene poi discusso durante una delle cinque sessioni
plenarie che si svolgono ogni anno. Se
la maggioranza lo approva, esso viene
adottato come parere del Comitato delle
regioni, e trasmesso alla Commissione,
al Parlamento e al Consiglio.
Il Comitato delle regioni, inoltre, adotta
risoluzioni su questioni politiche d’attualità.
Nel CdR sono rappresentati quattro
Gruppi politici, che riflettono i principali orientamenti europei: il Gruppo del
Partito del socialismo europeo (PSE),
il Gruppo del Partito popolare europeo (PPE), il Gruppo dell’Alleanza dei
Democratici e dei Liberali per l’Europa
n. 21 • dicembre 2008
(ALDE) e il Gruppo Alleanza europea
(UEN-EA).
Benché la parte preponderante dei lavori del Comitato consista nella sua partecipazione al processo legislativo, il suo
ruolo non si esaurisce qui.
I membri del CdR vivono e lavorano
quotidianamente nelle proprie regioni e
città, e mantengono le relative responsabilità di amministratori locali o regionali,
in qualità di Presidenti di regione e Sindaci di grandi città. Essi costituiscono
quindi un tramite diretto tra le opinioni
e le esigenze dei cittadini che rappresentano ed il cuore del processo europeo,
cui prendono parte in occasione delle
riunioni del CdR a Bruxelles. Ciò significa inoltre che essi sono in una posizione
ottimale per informare i cittadini dei
propri paesi su ciò che accade nell’UE e
su come funzionano le istituzioni europee. Il CdR struttura inoltre i suoi lavori
in modo da “portare”, letteralmente,
l’UE più vicino ai cittadini, organizzando con frequenza convegni e riunioni
delle sue commissioni e dell’Ufficio di
presidenza fuori Bruxelles, nelle regioni
dei 27 Stati membri.
2008-2010: priorità politiche
Nel corso dei prossimi anni la credibilità
di cui godrà l’UE presso i suoi cittadini
e l’efficacia con cui reciterà il suo ruolo
sulla scena mondiale saranno giudicate
sulla base del suo funzionamento e della
capacità di trovare soluzioni sostenibili ai problemi comuni. In un sistema
di governance multilivello, ogni attore
deve contribuire alla costruzione condivisa di un modello sostenibile, che
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DOCUMENTI
fornisca all’Europa gli strumenti per
raggiungere i suoi scopi e promuovere i
suoi valori. Gli enti regionali e locali, e il
Comitato delle regioni (CdR) con e per
loro, saranno quindi in prima linea nell’affrontare le sfide che rientrano nelle
rispettive competenze, conformemente
ai principi di sussidiarietà e proporzionalità:
• attuare gli obiettivi di crescita e occupazione contenuti nell’agenda di
Lisbona attraverso il coinvolgimento
degli enti regionali e locali, e far sentire la loro voce al Consiglio europeo,
• affrontare le sfide poste dai cambiamenti climatici, nonché dalla diversificazione e dall’uso sostenibile delle
fonti di energia,
• nel contesto dell’esercizio interistituzionale di revisione del bilancio
UE, mettere in rilievo l’effetto leva
della PAC e sottolineare la necessità
di riorganizzarla, per rendere possibile un’agricoltura sostenibile e l’indipendenza alimentare, nonché per
impostare la politica di coesione economica, sociale e territoriale oltre
l’orizzonte del 2013,
• migliorare la qualità della vita dei
cittadini, agevolando tra l’altro la cooperazione transfrontaliera per la protezione civile e l’accesso a servizi
sanitari migliori,
• fornire agli enti regionali e locali la
piattaforma necessaria a promuovere
la solidarietà e il dialogo interculturale
e interreligioso, nonché favorire tutte
le forme di cultura e tradizione regionale,
• partecipare al dibattito europeo fina-
lizzato a conseguire una politica
comune di immigrazione e asilo e in
special modo a condividere le migliori
prassi in ambito di integrazione,
• proporre un mercato unico che integri
una strategia per promuovere la qualità dei servizi sociali,
• assistere gli enti regionali e locali dei
paesi candidati e pre-candidati, e cooperare con essi nel percorso di avvicinamento all’UE.
Tutte queste tematiche saranno al centro
dell’attività del Comitato, quale esposta
nei programmi di lavoro. È inoltre possibile che il CdR affronti altri temi, in
quanto li considererà rilevanti per le sue
priorità sulla base dell’agenda dell’UE
e delle presidenze, attraverso in particolare gli strumenti seguenti: i) dibattiti
politici mirati, collaterali alle sue attività
istituzionali; ii) un approccio dinamico
e lungimirante in partenariato con le
associazioni di enti regionali e locali;
iii) l’elaborazione di analisi sull’impatto
della legislazione europea e relativi oneri
amministrativi e il monitoraggio del suo
recepimento a livello regionale e locale.
Per migliorare l’attività del CdR e ottimizzare la sua capacità di influenzare
il legislatore, è necessaria una stretta
cooperazione con il Parlamento europeo e le sue commissioni, nonché una
partecipazione rafforzata della società civile alle sue sessioni plenarie. Va
intensificata inoltre la cooperazione con
la Commissione europea, in particolare
nella fase prelegislativa, avvalendosi pienamente degli strumenti forniti dal dialogo strutturato e più in generale dalla
cultura della consultazione. Infine, per
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Comuni d’Europa
Il Comitato delle Regioni
in collaborazione con gli enti regionali e
locali, ma la strategia adottata dal Comitato per promuovere l’Europa dovrà
essere ulteriormente decentrata e portata a livello locale, e questo anche in relazione ai paesi candidati. A questo fine
è necessario rafforzare la cooperazione
con le rappresentanze delle istituzioni
UE negli Stati membri, con le associazioni di regioni e comunità e con i gruppi target. Prima delle elezioni europee,
e in occasione del 15° anniversario del
CdR, sarà elaborata una dichiarazione
di missione (mission statement) che
servirà a trasmettere ai cittadini il nostro
messaggio, sia sull’Europa in generale
che sul ruolo che al suo interno svolgono gli enti regionali e locali.
Il CdR darà a questi enti e ai loro rappresentanti gli strumenti necessari per
poter contribuire al miglioramento della
legislazione UE e per dare alle regioni e
alle comunità l’opportunità di scambiarsi
esperienze al fine di una più profonda
cooperazione. Nel 2009 sarà organizzato
un vertice europeo delle regioni e delle
città, che dovrà fungere da esempio di
quella governance multilivello di cui l’Europa ha bisogno per potere influire sulla
vita dei cittadini. Mediante eventi mirati,
il Comitato riserverà inoltre un’attenzione particolare alle politiche urbane, dato
il ruolo importante che queste rivestono
al fine del conseguimento degli obiettivi di Lisbona. Si concentrerà altresì sul
ruolo delle assemblee e dei governi regionali, che assieme ai parlamenti nazionali
si sono visti attribuire dal Trattato di
Lisbona nuove competenze in materia di
controllo della sussidiarietà.
poter elaborare un calendario dei suoi
lavori preciso e tempestivo, è essenziale
che il CdR instauri un rapporto costruttivo con le presidenze di turno dell’UE,
durante e in special modo prima dell’inizio dei rispettivi mandati.
Il Trattato di Lisbona avrà profonde
implicazioni per il buon funzionamento
delle istituzioni UE, per le possibilità di
ulteriori allargamenti, per l’estensione
dei diritti dei cittadini e per il loro ruolo
nel cuore del progetto europeo, nonché
per la coesione territoriale e l’accresciuta
importanza del principio di sussidiarietà. La sua ratifica rappresenta di conseguenza una pietra miliare per il futuro
dell’integrazione europea. Il Comitato
darà quindi il suo appoggio al processo
di ratifica, in particolare rafforzando
la propria strategia di comunicazione,
semplificando il proprio linguaggio e
intensificando i contatti con i media
regionali e locali, affinché i cittadini
possano “sentirsi a casa” in Europa.
Assicurare una forte partecipazione alle
elezioni europee del 2009 è un obiettivo
che condividiamo con il Parlamento
europeo: faremo tutto il possibile per
portare il dibattito sull’Europa nel cuore
delle città e delle regioni europee. A questo fine, si potrebbe approfittare dell’occasione offerta dal 9 maggio, Giornata
dell’Europa, per sviluppare una cultura
dell’Europa nelle istituzioni regionali e
locali mediante manifestazioni mirate
che mettano in rilievo i valori e le realizzazioni dell’integrazione europea. Le
giornate Open Days figureranno ancora
una volta tra i principali strumenti di
comunicazione di cui si avvarrà il CdR
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DOCUMENTI
paesi candidati e pre-candidati, anche il
dialogo con i livelli regionali e locali dei
paesi interessati dalla politica di vicinato.
Il Comitato sarà attivo anche nell’ambito
del partenariato euromediterraneo, che
intende trasformare in un dialogo permanente, e continuerà la cooperazione
esistente nell’ambito della dimensione
settentrionale e della sinergia del Mar
Nero. In collaborazione con il Consiglio
d’Europa, il CdR continuerà inoltre la
sua attività di monitoraggio delle elezioni regionali e locali organizzate nei paesi
del vicinato.
Mentre continuerà a dare il suo contributo all’obiettivo di una “migliore legislazione” comunitaria, tra l’altro attraverso
il controllo della corretta applicazione
dei principi di sussidiarietà e proporzionalità, il CdR dovrà anche mettere
a punto le sue procedure interne per
l’esercizio dei nuovi diritti che gli sono
stati riconosciuti dal Trattato di Lisbona
e dai relativi
protocolli. In tale contesto, sarebbe
auspicabile una nuova edizione della
“assise sulla sussidiarietà”, organizzata
dal CdR, per gestire meglio l’applicazione del nuovo Trattato.
Saranno analizzati e promossi anche
nuovi strumenti pratici per il partenariato e la coesione territoriale, come il
Gruppo europeo di cooperazione territoriale (GECT), e organizzate azioni
di appoggio e informazione per la loro
futura attuazione.
Il Comitato sosterrà altresì la creazione
di nuove reti o piattaforme, come quella
proposta per promuovere le sinergie
tra le buone prassi europee, regionali e
locali in ambito marittimo.
Nel corso degli anni abbiamo osservato
una crescente attività degli enti regionali
nelle questioni internazionali, in relazione non soltanto alle attività transfrontaliere ma anche a una più vasta gamma
di tematiche, tra cui la cooperazione
decentrata.
Di recente queste forme di “diplomazia
cittadina” hanno conferito agli enti locali
un ruolo importante nel processo di pace
in Medio Oriente. Il CdR intende quindi
promuovere, al di là della sua attività di
assistenza agli enti regionali e locali dei
Reti del Comitato delle regioni
Il Comitato delle regioni (CdR) ha creato tre reti per promuovere il coinvolgimento degli enti regionali e locali nel
processo di costruzione dell’Europa e
fare in modo che essi possano far sentire maggiormente la propria voce a livello di Commissione europea, Consiglio e
Parlamento europeo.
Piattaforma di monitoraggio di Lisbona
Nel marzo 2005 gli Stati membri hanno
rilanciato la strategia di Lisbona per la
crescita e l’occupazione con due obiettivi principali:
• realizzare una crescita più sostenuta e
duratura e
• creare posti di lavoro più numerosi e
migliori.
La necessità di una maggiore “appropriazione” della strategia da parte di
tutti i livelli di governo è stata riconosciuta come uno dei fattori chiave per il
suo successo.
Il 1° marzo 2006 il Comitato delle regioni ha lanciato la Piattaforma di moni94
Comuni d’Europa
Il Comitato delle Regioni
regionali, esecutivi di regioni, città e
comuni, associazioni di enti locali e
regionali e altre parti direttamente interessate.
Obiettivi:
- Organizzare consultazioni in merito
alle proposte e ai documenti politici
della Commissione europea per stabilire se essi rispettano i principi di
sussidiarietà e proporzionalità,
- facilitare la comunicazione tra gli enti
regionali e locali e il CdR in merito al
processo legislativo dell’UE; la rete è
uno sportello unico che consente agli
enti regionali e locali di ottenere più
velocemente le informazioni europee
di loro interesse e che offre loro un
ulteriore canale per far sentire la propria voce.
Gruppo di esperti in materia di gruppi
europei di cooperazione territoriale
Il Gruppo europeo di cooperazione
territoriale (GECT) è un nuovo strumento europeo che consente agli enti
regionali e locali di diversi Stati membri
di creare dei gruppi cooperativi dotati
di personalità giuridica. Il suo obiettivo
è quello di organizzare e gestire attività
di cooperazione transfrontaliera, transnazionale o interregionale, dotandosi a
tal fine di una propria organizzazione,
di un proprio organico e di risorse. Lo
strumento GECT è stato introdotto dal
regolamento del Parlamento europeo e
del Consiglio del 5 luglio 2006, entrato
in vigore il 1° agosto 2007.
Il regolamento prevede che ogni nuovo
GECT informi il Comitato delle regioni in
merito alla propria istituzione, conferendo
così al Comitato un ruolo di “notaio”.
toraggio di Lisbona al fine di creare tra
tutti i livelli di governo uno specifico
partenariato per l’attuazione della strategia di Lisbona.
Oltre 100 città e regioni europee partecipano alla rete e monitorano la partecipazione del livello locale e regionale
alla strategia europea per la crescita e
l’occupazione. Il Comitato delle regioni
presenta i risultati di tale monitoraggio
alla Commissione europea, al Consiglio
e al Parlamento europeo.
Rete di controllo della sussidiarietà
Il principio di sussidiarietà è sancito
all’articolo 5 del Trattato che istituisce la
Comunità europea. Il suo obiettivo
è quello di garantire che le decisioni
siano adottate al livello più vicino possibile ai cittadini e che venga controllato
regolarmente se un’azione a livello
comunitario è giustificata alla luce delle
possibilità esistenti a livello nazionale,
regionale o locale. Più in particolare,
si tratta del principio in virtù del quale
l’Unione non interviene (tranne che nei
settori in cui ha competenza esclusiva)
a meno che la sua azione non sia più
efficace di un’azione intrapresa a livello
nazionale, regionale o locale.
Tale principio è strettamente legato al
principio di proporzionalità, in virtù
del quale qualsiasi azione dell’Unione
dovrebbe limitarsi a quanto necessario
per conseguire gli obiettivi del Trattato.
Il Comitato delle regioni ha istituito la
rete di controllo della sussidiarietà il 27
giugno 2007.
La rete di controllo della sussidiarietà
è composta attualmente di 87 partner,
tra cui figurano parlamenti e assemblee
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DOCUMENTI
attualmente 40 esperti, che provengono
dalle autorità locali, regionali e nazionali
e dai centri specializzati in materia di
cooperazione territoriale di 23 paesi.
(dal sito ufficiale del CdR)
Nell’ottobre 2007 il Comitato ha istituito un gruppo di esperti sul GECT
per riunire le conoscenze disponibili in
materia e ravvicinare i professionisti del
settore alle istituzioni. Il gruppo conta
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Comuni d’Europa