Il Piccolo 21 luglio 2015 Cambio di sesso senza chirurgia

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Il Piccolo 21 luglio 2015 Cambio di sesso senza chirurgia
Il Piccolo 21 luglio 2015 Attualità Cambio di sesso senza chirurgia La Cassazione: per l’anagrafe non è necessario fare l’intervento ROMA. Si può cambiare sesso all’anagrafe senza essersi sottoposti a un intervento chirurgico. Questa la sentenza -­‐ subito definita “storica” -­‐ della Cassazione. La prima sezione della suprema corte ha accolto il ricorso dell’associazione di avvocati per i diritti lgbt Rete Lenford, che assiste una persona trans di 45 anni la quale, dopo aver ottenuto nel 1999 l’autorizzazione all’intervento chirurgico per modificare i propri organi genitali da maschili a femminili allo scopo di ottenere il cambio di sesso all’anagrafe, aveva in seguito rinunciato all’operazione. Nel tempo questa persona infatti aveva raggiunto un equilibrio psico-­‐fisico, grazie anche a numerosi trattamenti estetici e ormonali e da 25 anni vive ed è socialmente riconosciuta come donna. Ma sia il tribunale di Piacenza che la Corte d’appello di Bologna, a cui si era rivolta per ottenere la rettifica anagrafica, avevano respinto la richiesta basandosi sulla giurisprudenza, sinora prevalente, che subordina questa modifica al trattamento chirurgico sugli organi genitali. La Cassazione sostiene che «il desiderio di realizzare la coincidenza tra soma e psiche è, anche in mancanza dell’intervento di demolizione chirurgica, il risultato di un’elaborazione sofferta e personale della propria identità di genere realizzata con il sostegno di trattamenti medici e psicologici. Il momento conclusivo non può che essere profondamente influenzato dalle caratteristiche individuali. Non può in conclusione che essere il frutto di un processo di autodeterminazione verso l’obiettivo del mutamento di sesso, realizzato mediante i trattamenti medici e psicologici necessari». Insomma, «l’interesse pubblico alla definizione certa dei generi, anche considerando le implicazioni che ne possono conseguire in ordine alle relazioni familiari e filiali, non richiede il sacrificio del diritto alla conservazione della propria integrità psico-­‐fisica sotto lo specifico profilo dell’obbligo dell’intervento chirurgico inteso come segmento non eludibile dell’avvicinamento del some alla psiche». La presidente di Rete Lenford, Maria Grazia Sangalli, si dice soddisfatta per l’esito «che ha finalmente chiarito che l’intervento chirurgico, quando non è frutto di una scelta personale, è uno strumento lesivo dell’integrità fisica e della dignità umana. In molti casi, le terapie ormonali e gli interventi sui caratteri sessuali secondari garantiscono alla persona di raggiungere il proprio equilibrio e fissare la propria identità di genere a prescindere dalla modificazione chirurgica dei caratteri sessuali primari». Soddisfazione da parte delle associazioni lgbt: Arcigay ed Equality si augurano che ora venga approvata una nuova legge che «accolga il principio del diritto all’autodeterminazione delle persone trans attraverso una semplificazione delle procedure». Brevi Specialità Serracchiani: «Sanità Fvg in utile» «Impariamo a distinguere, altrimenti si rischia di fare più torti di quelli che si vogliono denunciare e raddrizzare: non tutte le regioni speciali sono abisso di sprechi e di privilegi». Lo afferma la presidente del Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani, aggiungendo che il Fvg non presenta affatto un disavanzo sanitario di 44 milioni riferito al 2013. Al contrario, il bilancio consolidato del Servizio Sanitario Regionale ha riportato, nel 2013, un utile di euro 16.557.773. Anche nel 2014 l’utile si attesta intorno ai 16 milioni». 1 Trieste cronaca Gara aggiudicata per Cattinara e Burlo Assegnazione provvisoria alla cordata guidata dalla veneta Clea che taglia i tempi di due anni e riduce i costi di 9,3 milioni di Giuseppe Palladini. Il grande cantiere per la riqualificazione del comprensorio di Cattinara e la costruzione della nuova sede del Burlo Garofolo partirà verso la metà del 2016. Ci vorranno poi sei anni per ristrutturare l’attuale ospedale e cinque per realizzare il futuro Burlo Garofolo con un risparmio di due anni sul bando di gara. La definizione di questa tempistica è resa possibile a seguito dell’aggiudicazione provvisoria della gara d’appalto, avvenuta ieri pomeriggio da parte di un’apposita commissione costituita dall’Azienda ospedaliero universitaria. Commissione che lavorato per tre mesi (la scadenza per la consegna dei plichi risale al 23 aprile) e alla fine ha aggiudicato la progettazione esecutiva e la costruzione, provvisoriamente come detto, al raggruppamento che fa capo alla Clea, Impresa cooperativa di costruzioni generali con sede a Campolongo Maggiore (Venezia), e che comprende la Bilfinger Sielv Facility Management srl e la Tecno.Geo srl, con i progettisti Pool engineering srl, Studio Striolo, Fochesato e Partners, Iconia srl e Gpa Ingegneria srl. Nel raggruppamento figura inoltre, come specialista per la realizzazione delle strutture in acciaio, la Cimolai spa. Al secondo posto della graduatoria figura il raggruppamento d’impresa costituto da Cmb di Carpi, Ccc di Bologna, Riccesi di Trieste e Siram di Bologna, mentre al terzo posto c’è la Rizzani De Eccher spa di Pozzuolo del Friuli. Inizialmente i concorrenti alla gara erano sei. Il fatto che i restanti tre non siano menzionati nella nota diffusa congiutamente da Aouts e Burlo Garofolo è dovuto al fatto che queste tre imprese non hanno superato il livello minimo previsto per la qualità dell’offerta, e quindi la commissione non ha poi proceduto a valutare le loro offerte economiche. In tema di valutazione, particolare valore hanno avuto le tecniche costruttive per il congiungimento delle due torri dell’ospedale, e le strategie che saranno adottate durante la fase realizzativa al fine di limitare i disservizi e garantire la sicurezza e l’agibilità della struttura di Cattinara. Fra gli elementi qualificanti dell’offerta fatta dal gruppo guidato da Clea anche la relizzazione di un pronto soccorso provvisorio (nell’attuale parcheggio) durante i lavori di riqualificazione, il noleggio di una camera iperbarica provvisoria, l’apertura di una strada da via del Botro come nuovo accesso all’ospedale e di un parcheggio per i dipendenti, adiacente al Polo cardiologico, che andrà a sostituire quello attuale dove verrà realizzata la nuova sede del Burlo. Sul piano economico, il raggruppamento di imprese che si è aggiudicato provvisoriamente la gara ha attuato un ribasso dell’8,04 per cento, portando così il costo complessivo della realizzazione della strutture e della progettazione esecutiva a 110,5 milioni di euro, con un “risparmio” sulla base d’asta di circa 9,3 milioni. Non solo. Questo progetto prevede anche un’importante riduzione della tempistica, con un risparmio di due anni sui tempi di costruzione: la ristrutturazione dell’ospedale di Cattinara sar>à completata in sei anni dall’avvio dei lavori (il bando di gara ne prevedeva otto), mentre la costruzione del nuovo Burlo Garofolo sarà effettuata in cinque anni rispetto ai sette previsti. «Stiamo rispettando i tempi che ci eravamo dati», ha commentato con soddisfazione il commissario straordinario dell’Aouts, Nicola Delli Quadri, che ha anche sottolineato anche la sintonia con il Burlo Garofolo in questo percorso. A sua volta, il direttore generale del Burlo, Gianluigi Scannapieco, ha voluto mettere in luce l’importanza del «ribasso sulla base d’asta, previsto ma non scontato, il bilanciamento tra qualità e costo di questo progetto, e la riduzione dei tempi rispetto al bando di gara». 2 LA RACCOLTA DI FONDI DESPAR Un nuovo ecografo in dono all’ospedale di Gianpaolo Sarti. Un ecografo di ultima generazione al Burlo. Lo strumento, acquistato dall’Irccs di via dell’Istria grazie a un progetto di solidarietà promosso dalla Despar, servirà a facilitare la diagnosi precoce delle patologie neonatali. La consegna e il primo “test” in diretta ieri, giornata in cui peraltro il Cal ha designato il sindaco di Muggia Nerio Nesladek quale componente del consiglio di indirizzo e verifica dell’ospedale infantile. L’iniziativa è partita dalla raccolta fondi “Un’eco per la vita” avviata dalla catena di supermercati nel corso del 2014 in tutti i punti vendita in Friuli Venezia Giulia, per un totale di 53 mila piccole donazioni, offerte dai clienti Despar, Eurospar e Interspar. La somma ha raggiunto complessivamente 70 mila euro. L’ecografo è un “Voluson E 10 GE”. «Siamo lieti di poter testimoniare ai nostri clienti e ai nostri colleghi che il nostro impegno durante la raccolta fondi è andato concretamente a buon fine», ha voluto sottolineare Fabrizio Cicero, direttore del centro distributivo Despar per il Fvg, presente in reparto assieme alla responsabile marketing Tiziana Pituelli. «È la Ferrari degli ecografi», ha commentato il direttore generale del Burlo Gianluigi Scannapieco portando i suoi saluti e ringraziamenti a nome dell’Irccs. «Ciò ci consente di continuare al meglio la nostra attività di diagnostica come centro di riferimento per tutto il Friuli Venezia Giulia. Questo ospedale ha nel proprio dna quanto può servire alle famiglie affinché i bambini nascano e crescano al meglio». Anche la responsabile marketing della catena di supermercati, Pituelli, si è soffermata sul valore dell’iniziativa. «Mi preme ricordare – ha rilevato – che anche piccole offerte di pochi euro a cliente hanno consentito l’acquisto di questo importante strumento. I fondi sono stati raccolti nell’intero Friuli Venezia Giulia. Una sensibilità dimostrata non solo dai triestini, ma anche in Carnia e nel resto della regione». Una dimostrazione, a detta del direttore generale dell’Irccs, che «il Burlo è noto e sostenuto ben oltre Trieste. Siamo un centro di riferimento per l’intero territorio». È stata infine Tamara Stampalija, responsabile del Dipartimento diagnostica ecografica prenatale e ginecologia, a mostrare a tutti, ieri in reparto, le funzionalità del macchinario sul pancione di una mamma. Pianeta scienza La lesione spinale si cura con l’elettricità Un gruppo di studiosi della Sissa ha messo a punto un nuovo metodo di elettrostimolazione epidurale di Gabriele Sala. Pazienti, medici e ricercatori guardano con grande speranza all’elettrostimolazione epidurale, una metodologia medica che potrebbe alleviare la condizione delle persone affette da paralisi da lesione spinale. La tecnica è ancora relativamente rudimentale, ma grazie alla ricerca è in continuo miglioramento. Un gruppo di scienziati (anche della Sissa), che ha pubblicato una ricerca sulla rivista di riferimento in questo settore, Spinal Cord (del gruppo Nature), propone un nuovo approccio metodologico, basato sulla distribuzione della stimolazione e la modulazione della frequenza degli impulsi elettrici, che ha dato buoni risultati nei test in vitro. L’elettrostimolazione epidurale è una metodologia medica che già da qualche anno viene utilizzata per aiutare i pazienti colpiti da paralisi a seguito di una lesione spinale. Consiste nell’impianto di elettrodi in prossimità delle radici dei nervi dorsali (che portano il segnale “sensoriale” in entrata) del midollo spinale al di sotto del livello del trauma e nell’applicazione di stimoli elettrici di varia intensità e frequenza. Questa tecnica, che produce o facilita la produzione di pattern di attivazione nei nervi motori (ventrali, in uscita) ha mostrato risultati promettenti e gli scienziati sperano che un giorno possa aiutare le persone paralizzate per esempio a stare in piedi in equilibrio e muovere qualche passo, oltre che a ripristinare il controllo degli sfinteri e la funzione sessuale. C’è 3 ancora molta strada prima di raggiungere questo scopo, e per questo la comunità scientifica sta moltiplicando gli sforzi per migliorare questa metodologia. «Finora la maggior parte della ricerca si è concentrata sui materiali e sulla tecnologia dei dispositivi. Il nostro lavoro invece si focalizza sulla natura e la qualità del segnale elettrico che viene erogato dagli elettrodi», spiega Giuliano Taccola, ricercatore della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste che ha coordinato lo studio. «La domanda che tutti si pongono è la stessa: come fare per ottenere risposte locomotorie efficaci? Crediamo che in questo senso sia importante modulare meglio il segnale elettrico e individuare precisamente in quali punti debba venire applicato». «Le tecniche attuali consistono nell’applicare un segnale ad alta frequenza in maniera generalizzata. In questo modo si ottiene una stimolazione ‘cumulativa’ e piuttosto indifferenziata di un gruppo di fibre nervose. Noi abbiamo invece adottato un approccio “multi-­‐sito”: la stimolazione elettrica viene applicata in diversi punti del circuito», spiega lo scienziato. In questo studio Taccola e colleghi hanno lavorato con circuiti neuronali spinali preparati in vitro. Questo ha permesso di controllare in maniera molto fine i siti di stimolazione, oltre che registrare le risposte del network con grande precisione. «L’altra novità introdotta nel nostro studio è l’uso di stimolazione a bassa frequenza». La combinazione di questi due fattori (frequenza del segnale e siti multipli) ha prodotto pattern di risposta locomotoria molto efficienti. «Con questo lavoro abbiamo definito una nuova strategia di stimolazione del midollo spinale per l’attivazione dei neuroni motori che potrebbe essere importata anche in molti degli attuali elettrostimolatori utilizzati in clinica». Il primo autore dello studio è Francesco Dose, un giovane dottorando della Sissa. MICROSCOPIO Farmaci biotech uno tsunami anche in Italia di MAURO GIACCA. Era il 1982 quando l’FDA americana approvò l’introduzione in commercio dell’insulina umana prodotta nei batteri, il primo farmaco ottenuto grazie all’ingegneria genetica. Fu un momento epocale perché sancì in maniera ufficiale la nascita delle biotecnologie, ovvero l’utilizzo di prodotti di origine biologica per applicazioni pratiche. L’insulina ricombinante oggi muove un mercato di oltre 20 miliardi di dollari all’anno ed è solo uno degli oltre 350 medicinali ottenuti grazie a queste tecnologie. Come si pone l’Italia in questo settore? Se ne è parlato la scorsa settimana a Roma, nell’ambito di un incontro sulla Terrazza Caffarelli, splendido salotto con vista sulla città a fianco dei Musei Capitolini. L’occasione era quella della presentazione dell’annuale Rapporto sulle Biotecnologie del Settore Farmaceutico in Italia, realizzato da Farmindustria con Ernst & Young. I numeri dicono un gran bene: le aziende biotech censite in Italia sono 199, con un investimento annuo pari a 563 milioni di euro, fatturato in crescita di 7.3 miliardi e circa 4.000 addetti. È italiano il disegno del primo vaccino contro il virus di Ebola, sperimentato negli scorsi mesi durante l’epidemia in Africa. Ed è italiano anche il primo prodotto di terapie avanzate approvato a dicembre 2014 dall’Agenzia Europea del Farmaco: è basato sull’utilizzo delle cellule staminali per la riparazione della cornea, sviluppato all’ Università di Modena e Reggio Emilia, sperimentato al San Raffaele a Milano e prodotto da un’azienda farmaceutica di Parma. In Italia, sono circa 145 i medicinali biotech disponibili per le più importanti aree terapeutiche, e oltre 300 i progetti in fase di sviluppo. In campo oncologico, un esempio su tutti: il trattamento del tumore del colon retto, in Italia il 13.2% di tutte le neoplasie: mentre nell’epoca pre-­‐biotech la sopravvivenza dei pazienti in stadio avanzato era inferiore all’anno, ora questa è aumentata in maniera significativa anche in presenza di metastasi non operabili, arrivando in alcuni casi fino alla guarigione. Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria, ha definito l’innovazione qualitativa e quantitativa dei farmaci biotech un vero tsunami. Come dargli torto, se questi oggi sono il 20% di quelli in commercio, il 40% dei nuovi 4 autorizzati e il 50% di quelli in fase di sviluppo? L’ultima frontiera? Quella di trovare nuovi farmaci biotech per Alzheimer, degenerazione della retina e scompenso cardiaco, tutte situazioni in cui i tessuti non sono in grado di ripararsi; geni e cellule staminali sembrano oggi rappresentare le uniche ragionevoli speranze di terapia per queste malattie. Segnalazioni SANITÀ. Gratitudine ad Andolina Essere medico... essere cittadino. Il circuito mediatico lo ha “degradato” come fosse un “mediconzolo” di campagna di un secolo fa. Lo hanno ritenuto un incapace dal punto di vista medico-­‐scientifico, incapace di intravedere la truffa bella ed evidente. La stampa ha raccontato, e continua a raccontare, solo le bufere giudiziarie che pendono sul capo di Marino Andolina. Dove sono i “molti” che hanno beneficiato delle sue cospicue competenze scientifiche? Chi ha insegnato e insegna ancora, ricorda bambini e bambine, ragazzini e ragazzine, che tornavano a scuola dopo periodi di travaglio con la speranza di un futuro radioso. Il tutto era merito di “lui”, di Marino Andolina...altro che medico di poco conto che vìola le più elementari regole del codice medico-­‐scientifico! Egli, autentico precursore dei trapianti di midollo all’ospedale Burlo Garofolo di Trieste, che oggi tace sulla vicenda umana e professionale del dottor Andolina ma che tanto prestigio ha avuto dalla sua opera, si trova relegato al rango di chi deve difendersi da accuse calunniose e vergognose. Chi è stato curato da lui sa che non ha mai dovuto sborsare somme di denaro e gli è stata garantita ogni generosità in farmaci e cure. Forse è il momento di restituire un po’ di gratitudine. Non bastano Facebook e la rete. I giornali e le reti televisive colpiscono in modo molto diretto e violento; bisogna cercare di far sì che tutta la verità venga detta. Sappiamo che c’è molta gente che riconosce al dottor Marino Andolina le sue indubbie qualità mediche, ma anche la sua incondizionata integrità morale, altrimenti non sarebbe arrivato fin qua. Sappiamo che molti hanno seguito le sue vicende nei viaggi umanitari in luoghi lontani, martoriati da guerre sanguinarie, dove fame e malattie falcidiavano bambini, donne e anziani e lui, Marino Andolina, c’era! Dimostrazione inequivocabile di come professione e cittadinanza si fondono e diventano una militanza unica, un modo di stare al mondo, una filosofia di vita che porta poi anche all’impegno politico. “Un pediatra in guerra” è l’ultimo suo libro e già nel titolo c’è tutta la metafora che ha contraddistinto la vicenda umana, professionale, politica, sociale di quest’uomo che vive a tutto tondo la sua esperienza e convintamente, con forza scientifica, ha sempre ribadito che prudenza e attenzione ci vogliono prima di parlare di guarigione, ma quando si scorgono miglioramenti, vanno osservati e riconosciuti e poi ancora studiati. Una bella considerazione ha fatto qualcuno recentemente, e si adatta perfettamente all’attività professionale e sociale di Marino Andolina: quando si tiene in braccio un bambino gravemente ammalato, allora si puo comprendere il lavoro svolto dal dottor Andolina, senza “se” e senza “ma”. Questo è il momento di dimostrare la nostra solidarietà a lui e alla sua opera, essergli vicino con un autentico riconoscimento alla sua persona e a quanto fatto, sempre con scienza e coscienza, senza nascondersi e senza tacere. Anche noi non vogliamo nasconderci e non vogliamo tacere, siamo certi che la verità si farà strada... Anna Maria Alberti seguono 684 firme 5 GORIZIA Estate bollente, 118 “assediato” per i malori Colpiti soprattutto gli anziani. Il primario del pronto soccorso Giagnorio: «Meglio limitare le uscite sopra i 35°» di Marco Bisiach. Temperature in costante ascesa, umidità alle stelle, nemmeno un filo di vento. Gorizia boccheggia letteralmente nel luglio più torrido che si ricordi, da anni a questa parte, e le previsioni meteo dicono addirittura che il peggio deve ancora venire. Intanto nei negozi ventilatori e condizionatori vanno a ruba, piscina e vicine spiagge sono affollate e i medici che hanno il loro gran da fare per dispensare cure e consigli ai pazienti (specie se anziani) e il Pronto Soccorso che registra un numero crescente di richieste d'aiuto per malori causati proprio dal caldo. ANZIANI A RISCHIO. Anche ieri, come del resto nei giorni precedenti, la colonnina di mercurio è rimasta inchiodata per tutto il giorno (compresa prima mattina e serata) ben al di sopra dei 30°, con punte anche attorno ai 36 o 37 gradi nelle ore più calde. Il tutto reso ancor meno sopportabile dalla forte umidità e dall'assenza di vento. Insomma, per tutti andare a lavorare, uscire di casa o svolgere le mansioni anche più semplici è diventato difficile e pesante. Per qualcuno, però, è addirittura pericoloso, e non a caso sono molte in questi giorni le telefonate ricevute dal Pronto Soccorso da parte di persone che accusano malori dovuti al gran caldo. Sono – spiegano dal centralino del 118 – soprattutto anziani, soggetti costretti a letto o già affetti da qualche patologia, che ovviamente in queste condizioni sono maggiormente a rischio. Massima allerta. «La situazione ad oggi è sotto controllo, ed abbiamo soccorso soprattutto persone anziane, magari da sole, che presentano sintomi da disidratazione -­‐ spiega il primario del Pronto Soccorso Giuseppe Giagnorio -­‐. Non c'è una soglia precisa di temperatura al di sopra della quale iniziano i problemi, dipende sempre dalle condizioni in cui si trovano le singole persone. Ma è chiaro che con 35° bisogna limitare le uscite, e devono prestare massima attenzione soprattutto coloro che stanno assumendo diuretici o farmaci contro la pressione alta». VERSO I 40°. Per ora le previsioni meteo non regalano grossi motivi d'ottimismo, visto che (secondo l'Osmer) la situazione non dovrebbe migliorare ancora per diversi giorni. Anzi, il peggio, in fatto di temperature, deve arrivare, con il cielo che si manterrà sempre sereno o poco nuvoloso. Oggi il termometro potrebbe salire in pianura anche fino a 38 gradi, e forse solo un po' di brezza potrebbe rendere il calore più sopportabile. Tra mercoledì e giovedì, poi, potrebbe arrivare il tanto temuto “picco” di questo luglio africano, e a Gorizia si potrebbe avvicinare addirittura la soglia dei 40°. Comprensibile, dunque, che i goriziani si attrezzino come possono. I fortunati in vacanza lasciano la città per affollare le spiagge o salire di quota in montagna, gli altri regalano il tutto esaurito pressoché stabile alle piscine comunali, dove, specie nei due giorni del weekend, si sfiorano le mille presenze. Nella Gorizia presa d'assedio dal caldo la parola d'ordine è una sola: resistere. Ricerca storica sulla grande guerra A Cormons i primi esperimenti di radiologia mobile CORMONS. Fu sperimentata negli ospedali da campo di Cormons alla fine del 1915 durante la Grande guerra una delle prime forme di radiografia mobile. È ancora una volta il sito internet Tocsdicormons a portare alla luce una delle tante suggÈestive storie che hanno riguardato quest'area esattamente un secolo fa. A spiegare l'importanza storica del fatto è Davide Polo, uno dei gestori del sito, che cita il lavoro compiuto sulla pagina internet dell'associazione dal collega Stefano Zanuttin. «Nel 1915 arrivarono a Cormons due crocerossine inglesi che portarono per la prima volta su un campo da guerra questo prototipo di macchina radiografa mobile: fu una grande novità per migliorare la tecnologia ospedaliera militare con cui si 6 cercava di lenire le cure dei feriti. La sperimentazione durò però solo pochi mesi: dopo qualche tempo infatti si scoprì che quelle apparecchiature per le radiografie rischiavano di fare più male che bene, a causa delle radiazioni che emanavano. E l'utilizzo del radiografo venne sospeso». Zanuttin nella sua ricerca su Tocsdicormons sottolinea: «Nel dicembre del 1915 Helena Gleichen (nata a Londra il 1873), pronipote della Regina Vittoria, e la sua collega Nina Hollings, operatrici radiografe, avevano raccolto abbastanza denaro da acquistare una autovettura che avevano equipaggiato con strumentazione per la esecuzione di radiografie. Partite per l’Europa offrirono il loro servizio alle truppe inglesi e francesi che tuttavia le rifiutarono: furono invece accolte dall’esercito italiano che le assegnò all’unità radiografica del 6° Corpo d’Armata della 3° Armata. Sei mesi dopo furono assegnate al quartier generale della 2° Armata e formarono la 4° unità radiografica della Croce rossa britannica ospitata nella Villa Zucco a Cormons dove, tra il dicembre 1915 e l’ottobre del 1917 eseguirono 12.600 radiografie ai soldati feriti al fronte». Un operato, quello delle due crocerossine inglesi, che al di là dei rischi dovuti all'emanazione di raggi x, fu lodato dalle autorità italiane: «A fine guerra -­‐ continua Zanuttin nel suo ottimo lavoro -­‐ il Re Vittorio Emanuele III fece coniare per loro una speciale medaglia che fu assegnata con la seguente motivazione: “Offrirono il loro utile e prezioso lavoro per gli italiani feriti sul fronte dell’Isonzo, andando di buon grado ovunque richiamate, anche attraversando zone sotto i bombardamenti dell’artiglieria, costituendo un bersaglio per il nemico in numerose occasioni. Dimostrarono coraggio, ardimento e disprezzo del pericolo, sempre compiendo il loro dovere con pari abnegazione, sublime coraggio e devozione”». Un plauso che oggi dovrebbe essere fatto anche al lavoro di approfondimento proposto da Zanuttin, Polo e dal loro sito Tocsdicormons. (m.f.) Messaggero Veneto 21 luglio 2015 Regione Appalti in sanità: a Clea e Cimolai Burlo e Cattinara Al raggruppamento temporaneo d’impresa che fa capo alla Clea, impresa cooperativa di costruzioni generali di Campolongo Maggiore (Venezia), di cui fa parte -­‐ come specialista per la realizzazione delle strutture in acciaio, la pordenonese Cimolai spa -­‐ è stata affidata, con l’aggiudicazione provvisoria di ieri, la progettazione esecutiva e la costruzione del comprensorio ospedaliero di Cattinara e della nuova sede del Burlo a Trieste. Gli aggiudicatari hanno effettuato un ribasso d'asta dell'8,04 per cento portando il costo complessivo a 110,5 milioni di euro, garantendo un risparmio sulla base d'asta di circa 9,3 milioni. Il progetto vede anche una riduzione nella tempistica, con un risparmio di due anni sui tempi di costruzione. Il nuovo ospedale di Cattinara sarà completato in sei anni dall'inizio dei lavori e non otto come previsto dal bando di gara. Il risparmio di tempistica riguarderà anche l'Irccs Burlo Garofolo, che sarà completato in cinque anni dall'avvio dei lavori al posto dei sette previsti dall'asta. Il proseguimento dell'iter amministrativo prevede, dopo la formalizzazione odierna della aggiudicazione provvisoria, la verifica tecnica di congruità dell'offerta. 7 Primo piano Friuli Sanità : I punti nascita Guerra dei dossier sulla Pediatria I grillini: Latisana lavora il doppio I 5 Stelle distribuiscono grafici in Regione: impensabile trasferire ad altre strutture 500 bambini Pronta l’interrogazione sul nuovo blocco parto appena ultimato che rischia di rimanere inutilizzato di Davide Vicedomini. UDINE. Latisana e Palmanova sempre più ai ferri corti sui punti nascita. L’ultimo strappo si consuma nella sede udinese della Regione, dove il Movimento cinque stelle presenta in una conferenza stampa un dossier. «Dati alla mano – dicono gli esponenti – la Pediatria di Latisana lavora il doppio rispetto a quello di Palmanova». Il sindaco della città stellata, Francesco Martines, non ci sta. Insieme al suo assessore Luca Piani attende i giornalisti all’esterno della sala Modotti, dove i grillini hanno appena terminato l’incontro e distribuisce altri grafici. «Secondo le nostre previsioni nel 2015 nell’ospedale di Palmanova si avrà il doppio delle nascite rispetto a Latisana. Già nel primo semestre abbiamo avuto un incremento. Ora diteci, a questo punto, quale è il servizio essenziale che non va chiuso». Si accende così un diverbio tra l’esponente regionale dei 5 Stelle, Andrea Ussai e l’assessore Piani con l’usciere della Regione che invita entrambi ad abbassare i toni. Il futuro dei punti nascita si gioca, quindi, tutto sui numeri. «Si è parlato molto dei parti, ma finora si è data poca attenzione alla chiusura dei reparti di Ostetricia e Pediatria – spiega Ussai –. L’attività della Pediatria di Latisana nei confronti di Palmanova segna un più 36 per cento per quanto riguarda i ricoveri, un più 57per cento per le osservazioni temporanee e un più 42 per cento per le visite urgenti di Pronto soccorso». «Chiediamo a questo punto alla giunta regionale – continua Ussai – come saranno affrontate le prestazioni urgenti? Con quali risorse?» Tra osservazioni temporanee e ricoveri, in un anno, dal polo latisanese dovranno essere trasferiti in altre strutture circa 500 bambini, stando al dossier presentato dai 5 Stelle «Con che mezzi e personale si può garantire la sicurezza dei trasporti – si domanda ancora Ussai – visto che la gran parte di questi casi si concentra nel periodo estivo, quando il traffico è notevole? Quante ambulanze verranno utilizzate? Chiederemo ogni volta l’intervento dell’elicottero?». C’è poi la questione del nuovo blocco parto a Latisana «la cui apertura – dice Cristian Sergo dei 5 Stelle – attesa da tempo, sarà oggetto di una nostra prossima interrogazione alla giunta. Abbiamo un padiglione pronto per il quale si sono spesi soldi e che rischia di restare inutilizzato. Chiediamo – argomenta – che, qualsiasi decisione venga presa, sia nell’interesse e a tutela dei cittadini. E non per far contenta solo una parte politica». Preoccupazione viene espressa anche dal comitato Nascere a Latisana «I dati sono a supporto della nostra tesi – dicono gli esponenti. -­‐ Ora attendiamo una risposta da parte della politica. E confidiamo nella buona politica». Di tutt’altro avviso il sindaco di Palmanova Francesco Martines: «Il nostro ospedale si è sempre contraddistinto per le eccellenze dei parti indolori. I numeri dicono che noi ci avviciniamo ai mille nati all’anno, mentre Latisana è sotto lo standard di sicurezza consentito. Non so quale giunta possa prendersi la responsabilità di chiudere un punto nascite come il nostro». A Palmanova 836 parti in un anno Il sindaco Martines: è uno dei maggiori trend di crescita in regione UDINE. Da una parte le 4.558 visite pediatriche urgenti di Latisana contro le 3207 di Palmanova, dall’altra i 373 nati nel primo semestre nella città stellata contro i 179 della Bassa friulana. È la guerra dei numeri per mantenere il punto nascite. Che si guardi da una parte o dall’altra, alla fine resterà in vita solamente una struttura. Secondo il Movimento cinque stelle 8 dovrebbe pesare come un macigno sulla futura decisione da parte della Regione l’andamento dei dati luglio – settembre. Nel periodo estivo Latisana presenta un più 18 per cento per quanto concerne le visite pediatriche urgenti e un più 26 per cento per quanto riguarda le osservazioni temporanee. Al contrario, a Palmanova nel periodo estivo si registra un decremento di attività del 26 per cento per le visite urgenti e del 36 per cento per le osservazioni temporanee. «La Pediatria – dicono i 5 Stelle – non può certo essere sostituita dalla guardia pediatrica turistica, in quanto una parte delle attività, come per esempio le osservazioni temporanee, può solo essere eseguita all’interno delle strutture ospedaliere». «Il numero dei parti – sottolineano Ussai e Sergo – non deve essere preso come un paradigma. E comunque molte famiglie del Veneto decidono di partorire a Latisana e ciò rappresenta anche un vantaggio economico dalla Regione. «Tagliare Palmanova – concludono -­‐ sarebbe a questo punto meno doloroso». Di altri dati si avvale Palmanova per avvalorare la propria tesi. «Tra i punti nascita sopra i 500 parti – dicono il sindaco Francesco Martines e l’assessore Luca Piani – il maggior trend di crescita in regione è rappresentato da Palmanova. Latisana si piazza solamente al decimo posto ed è al di sotto dello standard di sicurezza consentito». Nel primo semestre 2015 i nati nella cittadina stellata sono stati 373 con una variazione positiva di 28 unità rispetto allo stesso periodo del 2014. La proiezione elaborata dallo stesso Comune parla di 836 nati entro fine anno contro i 404 all’ospedale di Latisana «Con 432 parti di differenza – dice il primo cittadino Martines – si avrà la maggior distanza degli ultimi 15 anni tra i due ospedali. Inoltre Palmanova dista 26 chilometri da Udine, mentre Latisana è a 23 chilometri da San Vito, dove c’è un altro punto nascite. Senza dimenticare che Portogruaro si sta sempre più potenziando». (da.vi) L’appello Marzucchi (FI): la Regione faccia chiarezza sui parametri PALMANOVA. Che Palmanova e Latisana si scornino per la difesa del proprio punto nascita è nella logica delle cose. A latitare invece, per il capogruppo di Forza Italia di Palmanova, è la Regione «che si è dimostrata incapace di prendere a tutt’oggi una decisione, alimentando a dismisura i campanilismi». Non teme Luca Marzucchi per il reparto della città stellata: «Un punto nascita che sfiora i 1000 parti l’anno (anche i dati parziali di quest'anno ci forniscono una lusinghiera proiezione), eccellenza a livello nazionale in settori come la partoanalgesia, attrattivo su tutto un territorio per la professionalità acquisita negli anni di duro lavoro, non può essere nemmeno messo in discussione!». Ma non risparmia le critiche alla riforma che, con i tagli proposti, offrirebbe ai cittadini soltanto la percezione di un netto impoverimento dei servizi erogati in un campo essenziale come la salute pubblica. Marzucchi, che in autunno assieme ai colleghi all’opposizione si era fatto promotore di un incontro pubblico al teatro Modena sul tema, ribadisce il richiamo all’unità su questa questione e conferma la disponibilità a portare il proprio contributo, la propria voce e quella dei cittadini che rappresenta nelle diverse e opportune sedi, per la salvaguardia del nosocomio palmarino. «Per quanto riguarda Latisana – aggiunge –, se tale plesso mantiene gli standard di qualità e di sicurezza previsti dall’accordo Stato-­‐Regioni, ha altrettanto diritto alla sua sussistenza. Da qui, in estrema sintesi, – conclude – un appello alla Regione: sia chiara su quali siano i concreti parametri in base ai quali vuole prendere le proprie decisioni e si assuma la responsabilità di farlo evitando in tal modo queste scaramucce localiste che non portano indubbiamente a nulla!». (m.d.m.) 9 Sanità : il personale Mancano 260 infermieri: servizi a rischio La protesta del Nursind: subito il maxi-­‐concorso o saremo costretti a segnalare la situazione all’autorità giudiziaria di Alessandra Ceschia. UDINE. Infermieri allo stremo, costretti a lavorare 17 ore su 24, ad accumulare straordinari per garantire l’assistenza ai pazienti: ne mancano 260 negli ospedali della provincia di Udine, ben 580 in regione. Il grido d’allarme viene dal segretario amministrativo del Nursind di Udine Afrim Caslli «Siamo al limite, prestare servizio in ospedale in queste condizioni significa mettere a repentaglio la propria salute e quella dei pazienti – sbotta –. L’assessore regionale Maria Sandra Telesca aveva annunciato a gennaio il maxi-­‐concorso, ma ad oggi non è nemmeno stato pubblicato il bando e, per espletare tutte le procedure ci vorranno mesi, ma noi non possiamo più attendere, bisogna assumere in tempi brevissimi». La situazione di sofferenza coinvolge tutte le strutture ospedaliere: al Santa Maria della Misericordia di Udine, dove mancano 100 infermieri l’emergenza riguarda il Pronto soccorso, la Cardiochirurgia, la Medicina, l’Ostetricia, la Terapia intensiva e alcune sale operatorie. «La direzione – ammette – sta facendo i salti mortali per tappare le falle, ma è difficile anche garantire la copertura dei servizi e programmare le ferie, così si fanno i turni in quarta, con 17 ore di lavoro sull’arco delle 24. A quei ritmi è facile anche sbagliare». Situazione gravissima nella Bassa friulana in area di Emergenza e fra la Medicina e la Chirurgia. «Ai colleghi di Palmanova e di Latisana – ragguaglia Caslli non sono ancora stati corrisposti gli straordinari fatti nello scorso anno. Molti infermieri non hanno consumato tutte le ferie del 2014, il turno in quarta è ormai routine e il personale non ce la fa. La situazione nella Bassa è ormai insostenibile – argomenta il segretario – la dirigenza continua a chiudere gli occhi e a ignorare che, così, non si può andare avanti». E non va molto meglio nell’Alto Friuli. «Ci sono situazioni di grave carenza infermieristica sia a San Daniele che a Tolmezzo, dove manca una trentina di dipendenti. Nei giorno scorsi – continua – abbiamo raccolto le segnalazioni di molti colleghi dell’area di emergenza che non ce le fanno più, si deve solo alla loro dedizione e alla loro professionalità se la copertura del servizio è stata assicurata fino ad ora» commenta Caslli. «Da anni segnaliamo questa situazione – incalza il segretario –, per molto tempo però le nostre denunce sono state ignorate. Ora la Regione ammette la necessità di un maxi-­‐concorso, ma non è più possibile attendere. È bene che i politici sacrifichino le ferie e lo organizzino al più presto o dovremo segnalare la situazione all’autorità giudiziaria». I primari : troppe contraddizioni sui doppioni «Scelte supportate in modo molto contraddittorio dai dati relativi al fabbisogno, bacini d’utenza e attività delle diverse strutture sanitarie, con evidenza invece di previsione di funzioni unificate o moltiplicate secondo convenienza» . Così esordisce l’Associazione nazionale dei primari ospedalieri nella lettera inviata all’assessore alla salute Maria Sandra Telesca, alla presidente regionale Debora Serracchiani e ai componenti della III commissione. Indicando una completa sintonia con il documento presentato dal Collegio dei primari di Udine e con l’Intersindacale medica sia a livello udinese sia regionale sulla necessità di evidenziare le numerose criticità emerse nelle diverse aziende, i rappresentanti dell’Anpo segnalano inspiegabili situazioni previste dalla delibera 929. Ritengono singolare la previsione di una sola struttura di Chirurgia generale e Ortopedia a Trieste e due a Udine, di due strutture complesse di Analisi cliniche a Udine e una a Trieste e Pordenone, della cancellazione delle Anatomie patologiche di Udine, del declassamento di alcune strutture come la Chirurgia vertebro midollare e la Neuroradiologia di Udine come pure l’elevato numero di Psichiatrie. 10