Lavoro, sesso e guerra: i nemici dei bambini

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Lavoro, sesso e guerra: i nemici dei bambini
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a cura dello Spi Cgil Marche – e-mail: [email protected] http://www.marche.cgil.it/spi
n 110226
i due lampi di oggi
1 - Lavoro, sesso e guerra: i nemici dei bambini
2 - Nessuno brucia bandiere americane
Rapporto Unicef sull'infanzia
www.rassegna.it
Lavoro, sesso e guerra: i nemici dei bambini
150 milioni di bambini tra i cinque e i 14 anni sono sfruttati nel lavoro minorile. Più di un milione si trova in carcere.
70 milioni di bambine hanno subito mutilazioni genitali. Quasi la metà degli adolescenti non va a scuola
di rassegna.it
Centocinquanta milioni di bambini tra i cinque e i 14 anni sono impegnati nel lavoro minorile, in
tutto il mondo. E' quanto denuncia l'Unicef nel suo Rapporto 2011 sulla condizione dell'infanzia e
dell'adolescenza presentato il 25 febbraio 2011, sottolineando che il fenomeno è più marcato
nell'Africa sub-sahariana. L'organizzazione delle Nazioni Unite calcola inoltre che più di un milione
di bambini siano detenuti dalle forze dell'ordine.
I giovani che cercano un lavoro, invece, subiscono gli effetti della disoccupazione molto più delle
altre generazioni: nel 2008, informa sempre l'Unicef, i giovani avevano probabilità quasi tre volte
maggiori di essere disoccupati rispetto agli adulti, e pativano in maniera sproporzionata la
mancanza di un lavoro decoroso. "Questo significa che, in molti casi, per i giovani la prima
esperienza di lavoro è un'esperienza di talento sprecato, di disillusione, di sottoccupazione e di
povertà continuata", si legge nel Rapporto dell'organizzazione Onu.
Ma il lavoro minorile non è l'unica minaccia. Talvolta gli adolescenti vengono fatti oggetto di
reclutamento da parte di gruppi militari, per portare armi e per partecipare ai combattimenti, oppure
"per fungere in pratica da schiavi sessuali o di altro genere".
Più di 70 milioni di bambine e di donne tra i 15 e i 49 anni hanno subito mutilazioni
genitali/escissioni (FGM/C), di solito prima dell'inizio della pubertà.
L'altra faccia della medaglia è che in tutto il mondo, informa sempre il Rapporto, quasi la metà
degli adolescenti in età di scuola secondaria non la frequenta. Le percentuali di frequenza più basse
si registrano nell'Africa orientale e meridionale, con dei tassi netti d'iscrizione pari al 24% per i
ragazzi e al 22% per le ragazze.
Attualmente, nel mondo in via di sviluppo (Cina esclusa), una ragazza adolescente su cinque è
sposata o convivente. Questo tasso aumenta fino al 28% in Asia meridionale, la regione in cui si
registra la maggiore incidenza del fenomeno, e addirittura fino al 59% nel Niger.
Il matrimonio precoce – definito come il matrimonio o l'unione in cui uno o più sposi abbiano dai
19 anni in giù – risulta più comune in Asia meridionale e nell'Africa sub-sahariana. Nuovi dati
provenienti da 31 paesi di queste due regioni dimostrano che la maggior parte dei matrimoni
precoci si verifica tra i 15 e i 18 anni.
In Africa, il 25% delle donne tra i 20 e i 24 anni ha partorito prima dei 18 anni. In Asia meridionale
questa percentuale scende al 22%, ma risulta marginalmente più elevata rispetto all'America Latina
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Nessuno brucia bandiere americane
di Andrew Sullivan
25 febbraio 201112.35
Sarebbe bello tornare ai tempi della guerra fredda, vero? Allora sapevamo bene come stavano le
cose, avevamo un avversario chiaro, c’erano i falchi e le colombe, i buoni e i cattivi. La politica
estera statunitense si preoccupava di arginare la minaccia o di minacciare a sua volta, di mantenere
alleati fedeli e di disturbare il nemico ovunque fosse possibile. Tutto finì nel 1989.
Nel 2001 la prima amministrazione di George W. Bush considerava la Cina il nemico principale,
fino all’11 settembre, quando il nemico diventò Al Qaeda e l’estremismo islamico. Con il senno di
poi l’amministrazione Bush ebbe una reazione giusta all’80 per cento e sbagliata al 100 per cento.
Capì che Al Qaeda e i suoi imitatori erano in parte il prodotto dei regimi arabi laici e repressivi che
avevano reso i giovani più sensibili all’estremismo. E che la democratizzazione era l’unica
soluzione, perché così i politici sarebbero stati spinti ad affrontare i problemi reali (la violenza della
polizia, la mancanza di servizi pubblici e di infrastrutture eccetera), invece di continuare a parlare di
Allah e inveire contro la cattiveria degli ebrei e degli americani.
Se si dava al mondo musulmano l’aria per respirare, disse Bush nel suo discorso di Londra, il
cambiamento sarebbe venuto da sé. Tragicamente, però, in Iraq e in Afghanistan decise di imporre
la democrazia con le armi, con falsi pretesti e quasi nessuna pianificazione. Il resto della storia lo
conoscete.
Una difficile eredità
Questa è la situazione che Barack Obama ha ereditato. La grande sfida era trovare una nuova
strategia per uscire da questo pasticcio. E ora si cominciano a vedere i contorni del suo progetto.
Però in un ottuso articolo di copertina del settimanale Newsweek, un mio vecchio amico, lo storico
britannico Niall Ferguson, ha sostenuto che Obama non ha nessuna strategia. Secondo Ferguson,
non è riuscito a sfruttare la tentata rivoluzione verde iraniana del giugno 2009 e durante le rivolte in
Tunisia ed Egitto di quest’anno non sapeva cosa fare.
È stata una “sconfitta della politica estera americana” come quella di Jimmy Carter. Nella regione
Obama si è “alienato le simpatie di tutti”, sia dei leader autoritari sia dei cittadini democratici.
Avrebbe dovuto trovarsi un Kissinger e fare qualcosa di grande (non si sa cosa, perché Ferguson
non lo dice). Ma dato che Obama non aveva un Kissinger, il suo è stato un “fallimento colossale”.
La mia opinione è che nel riconoscere i limiti della potenza e dell’influenza statunitense, Obama ha
rafforzato la posizione di Washington. Ha dimostrato di avere una strategia. Fin dall’inizio del suo
mandato ha cercato di modificare l’immagine degli Stati Uniti tendendo la mano al mondo
musulmano moderato, per promuovere la democrazia con l’esortazione e con l’esempio e per
proteggere allo stesso tempo gli interessi americani.
E quindi nel 2009 ha tenuto uno dei suoi discorsi, il primo e il più delicato per la politica estera,
proprio al Cairo. Ha cominciato parlando di un riavvicinamento all’islam, ma ha proseguito con
queste parole: “Nessun sistema di governo può o deve essere imposto da un paese a un altro. Questo
però non diminuisce il mio impegno a sostenere quei governi che riflettono la volontà del popolo”.
Poi ha aggiunto di essere “convinto che tutti i popoli aspirino ad avere le stesse cose: la possibilità
di esprimersi liberamente e di decidere in che modo vogliono essere governati”. E ha concluso:
“Questi non sono solo i nostri ideali, sono diritti umani, ed è per questo che li sosterremo ovunque”.
Obama è un uomo pragmatico, si è trovato ad affrontare l’Iran e Israele e ora anche l’inaspettata
ondata di rivolte democratiche in tutta la regione. Che abbiamo imparato nelle ultime settimane?
Disinnescare la bomba
La prima cosa che fanno i dittatori è dare la colpa all’ingerenza straniera, agli israeliani e agli
Traduzione di Bruna Tortorella
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