Untitled - Rizzoli Libri

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ROBERT BEACHY
GAY BERLIN
L’invenzione tedesca dell’omosessualità
Traduzione di Angelo Molica Franco
SAGGI
BOMPIANI
Beachy, Robert, Gay Berlin. Birthplace of a Modern Identity
Copyright © 2014 by Robert Beachy
All rights reserved
This translation published by arrangement with Alfred A. Knopf, an imprint
of The Knopf Doubleday Group, a division of Random House, LLC.
L’Editore si dichiara disponibile con gli eventuali aventi diritto delle immagini
di cui non è riuscito a risalire alla fonte.
© 2016 Bompiani / RCS Libri S.p.A.
Via Angelo Rizzoli 8 – 20132 Milano
ISBN 978-88-452-8086-3
Prima edizione Bompiani febbraio 2016
Per Ada (1925-2005)
INTRODUZIONE
“Guardatemi!” clama la capitale, pur nella disperazione braveggiando. “Io son Babele, la
peccatrice, il mostro delle città. Sodoma e Gomorra accoppiate non furono neanche la metà
corrotte e misere di quanto son io! Entrate, signori, qui si fan le cose in grande, qui tutto va
a catafascio. La vita notturna berlinese, i nostri
giovani-giovani, mai il mondo ha visto qualcosa
di simile. Prima avevamo un esercito di prima
classe; adesso abbiamo una perversità di prima
classe. Vizio a volontà. Scelta colossale! Venite
a vedere!”
Klaus Mann, La svolta
Nell’ottobre 1928, all’età di ventun anni Wystan Hugh
Auden partì per Berlino, con la scusa di imparare il tedesco. Il marzo seguente lo raggiunse l’amico Christopher
Isherwood, che si trattenne una settimana circa. Qualche
tempo dopo, anche Isherwood si stabilì a Berlino, dove
abitò fino alla primavera del 1933. Come spiegò Auden
stesso, l’arrivo di Isherwood lo spinse a tenere un diario
berlinese. Nella primissima annotazione, intitolata “Un sabato sempre più intenso”, Auden descrisse a grandi linee
il tour che organizzò per far conoscere la città al suo amico: “Si comincia dal museo Hirschfeld. Abbiamo aspettato in un salotto del XVIII secolo assieme ad anziane
signore e bei ragazzi.” Il museo Hirschfeld faceva parte
del famoso Istituto per la Ricerca Sessuale, ubicato al limite settentrionale del parco Tiergarten, che il pionieristico
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attivista per i diritti degli omosessuali, il dottor Magnus
Hirschfeld, aveva fondato nel 1918. Oltre al “museo” di
ammennicoli sessuali e oggetti dai colori sgargianti, l’istituto ospitava stanze per le visite mediche, una sala conferenze, uffici, una biblioteca e alloggi per il personale. Non
era soltanto un’attrazione per turisti curiosi, ma anche un
luogo di ritrovo per la gente del posto. Fu solo in seguito
che Auden e Isherwood capirono che le persone incontrate nella sala d’attesa non erano “anziane signore” ma
uomini travestiti.1
Una volta usciti dall’istituto, Auden e Isherwood andarono a mangiare in un ristorante un po’ più a sud di
Unter den Linden, il corso principale del centro storico
di Berlino. Dopo aver mangiato, si avviarono verso il locale preferito di Auden – il Cosy Corner –, meglio noto per
il suo giro di prostituzione maschile. Qualche mese prima
Auden si era trasferito in un appartamento da quelle parti, proprio per abitare più vicino al suo ritrovo preferito. Il quartiere sudest attorno al Cosy Corner, Hallesches
Tor, era proletario e piuttosto malfamato. Come Auden
scrisse senza tanti giri di parole in più di una lettera: “Ho
traslocato in un tugurio… a nemmeno 50 metri dal mio
bordello.” E in un’altra lettera scritta poco dopo, aggiungeva: “Trascorro gran parte della giornata in mezzo alla
delinquenza minorile… Berlino è il sogno a occhi aperti
dei sodomiti.”2
Benché siano in pochi ad aver lasciato una testimonianza così sincera come quella di Auden, è quasi certo che la
Berlino di Weimar fosse una sorpresa inaspettata per i molti turisti alla loro prima visita. Dopo aver scoperto la città
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da soli, Auden e Isherwood divennero apostoli della disinibita sessualità berlinese, attirando attorno a sé un’ampia
cerchia di autori e poeti inglesi, ma anche di curiosi. Nel
suo racconto autobiografico, Isherwood descrisse come
l’apertura di Berlino lo avesse fatto sentire libero non soltanto di esplorare la propria omosessualità ma soprattutto
di accettare e abbracciare ciò che giunse a concepire come
un orientamento e un’identità sessuale. Una libertà, peraltro, che Isherwood e i suoi concittadini non avevano mai
sperimentato a Londra. Scrivendo di sé in terza persona,
descrisse la rivelazione che Berlino rappresentava: “[Egli]
si sentiva in imbarazzo poiché, finalmente, si trovava faccia a faccia con la propria tribù. Finora si era comportato
come se quella tribù non esistesse affatto e l’omosessualità
fosse uno stile di vita che lui e alcuni suoi amici avevano
scoperto. Certo, aveva sempre saputo che le cose non stavano così. Ma ora si vedeva costretto a riconoscere la sua
affinità con i membri di quella bizzarra tribù.”3
La ricostruzione di questo palese coming out da parte
di Isherwood, com’era naturale, venne composta decenni
dopo l’accaduto e la sua esperienza probabilmente romanzata. Ma il diario berlinese di Auden offre prove solerti,
contingenti, poiché mostrano con chiarezza come Berlino
abbia modellato la sua identità sessuale. In una pagina memorabile, datata 6 aprile 1929, l’aspirante poeta ricorda
un evento all’apparenza insignificante. Mentre si precipitava alla stazione ferroviaria per incontrare il suo compagno dell’epoca, Gerhart, per una gita ad Amburgo, Auden
ebbe un fugace incontro in tram con una giovane donna.
Descrive i tentativi di seduzione della donna, il suo gioco
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di sguardi e il primo approccio: “Si avvicinò e mi restò accanto finché non scesi. Avrei voluto fare un inchino in stile
settecentesco e dirle: ‘Entschuldigen Sie, Madam, aber ich
bin schwul.’” La migliore traduzione della risposta immaginata da Auden sarebbe: “Mi scusi signora, ma sono gay.”
E che incredibile dichiarazione sarebbe stata! Anziché
mostrarsi sdegnato, o perplesso, verso la sua ammiratrice,
Auden credeva che quei tentativi di seduzione nascessero da un errore di interpretazione: lei lo aveva scambiato
per un uomo attratto dalle donne. E benché non avesse – per
sua stessa ammissione – una perfetta padronanza del tedesco, Auden formulò una risposta adeguata che la sua
ammiratrice tedesca avrebbe senz’altro compreso.
L’impiego che Auden fa di questa parola – schwul – è
particolarmente suggestivo. Un’etimologia del termine
ne identifica l’appartenenza al dialetto berlinese, riconducendone l’origine al vocabolo tedesco schwül (umido), con probabile riferimento all’espressione warme
Brüder (fratelli caldi), che apparteneva allo slang tedesco degli uomini che amavano altri uomini. Il termine
era anche associato alla criminalità e, in una pubblicazione del 1847 dal titolo Die Diebe in Berlin (I ladri a
Berlino), un ex commissario di polizia berlinese definisce Schwuler un furfante “che ama certe immoralità”.4
Nonostante quest’associazione dispregiativa, il termine
veniva utilizzato anche dagli omosessuali per definire se
stessi. Nella terza edizione (1899) di uno studio medico interamente dedicato all’omosessualità, e sulla base
di ricerche etnografiche condotte a Berlino, lo psichiatra Albert Moll affermò che i membri della sottocultura
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omosessuale berlinese (sia uomini che donne) utilizzavano il termine schwul per descrivere se stessi.5 (A fine Ottocento, all’interno del parco Tiergarten – che gli uomini
perlustravano in lungo e in largo in cerca di sesso – c’era
un piccolo sentiero che venne soprannominato schwuler
Weg.)6 Benché la documentazione scritta a disposizione
risulti un po’ confusa al riguardo, è fuor di dubbio che
a partire dagli anni venti il termine acquisì una connotazione neutra o addirittura positiva per gli omosessuali
più giovani che erano soliti definire se stessi e gli altri
omosessuali come schwul.7 Sembra inoltre che ci fosse un
vero e proprio divario generazionale. Nella sua biografia
sul pioniere sessuologo e attivista per i diritti omosessuali
Magnus Hirschfeld, lo storico Manfred Herzer racconta come questi rimproverò un giovane omosessuale per
l’uso di quel termine, benché fosse comunemente in uso
nel dialetto berlinese parlato dal giovane.8
Venendo dal dialetto berlinese, il termine è la miglior
traduzione per la parola inglese “gay”. Se Auden avesse avuto un’esperienza simile a Londra, comunque, non
ci sarebbe stato un corrispettivo inglese. In effetti, nel
1928 il suo vocabolario inglese includeva termini quali
finocchio, rottinculo, pederasta, sodomita, femminuccia,
culattone, frocio e checca. Alcuni di questi erano chiaramente impiegati per autoidentificarsi, ma erano anche
usati in modo dispregiativo. Pochi mesi dopo, durante
una breve visita a casa, Auden ruppe il suo lungo fidanzamento con una donna. “Mai, mai, mai più”, annotò sul
suo diario.9 Il risveglio berlinese di Auden è impressionante e alla fine degli anni venti sarebbe stato in grado di
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descrivere nel suo tedesco incerto la propria sessualità in
modo molto più articolato di quanto avrebbe mai potuto
fare in inglese.
Le esperienze che aiutarono Auden a compiere questo
passaggio drammatico sono senz’altro significative, ma di
pari interesse sono i contorni della terminologia che si
evolveva per descrivere la minoranza sessuale alla quale
ora sentiva di appartenere. Una delle questioni centrali di Gay Berlin è che la comparsa di un’identità basata
sull’idea di un orientamento sessuale stabile è stata in
principio un fenomeno tedesco e soprattutto berlinese.
Ciò rende l’etimologia berlinese del termine schwul ancora più significativa, dal momento che proprio il linguaggio può aiutarci a seguire, nelle sue fasi, lo sviluppo
dell’identità di un nuovo gruppo.
In ogni caso, la parola schwul non fu né il primo né
l’unico termine tedesco che diede forma a concetti moderni di orientamento sessuale. La stessa parola “omosessualità” fu un’invenzione tedesca e apparve per la prima volta
come Homosexualität nel 1869, all’interno di un opuscolo
in lingua tedesca che contestava lo statuto antisodomista
prussiano.10 Bizzarro amalgama di latino e greco, Homosexualität divenne la denominazione per l’amore erotico
tra persone dello stesso sesso. Naturalmente, la definizione precisa variava a seconda dei casi e mentre i medici
solidali e gli attivisti per i diritti degli omosessuali usavano
il termine in maniera più neutrale per offrire l’idea di una
condizione sessuale stabile, altri ritenevano che la parola
suggerisse il concetto che il desiderio erotico verso per12