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MARIA TERESA CARLONI
IL SUO “ESSERE” E IL SUO “APPARIRE” UNA VITA CONSUMATA IN SILENZIO, COME NASCOSTO SEME DI DIO, PER UNA RINASCITA DELLA
CHIESA PERSEGUITATA
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Premetto subito che non è facile parlare di Maria Teresa Carloni per la vastità degli aspetti che
rientrano nella sua storia di donna di alta spiritualità, in un contesto politico ed ecclesiale molto
complesso: era rimasta orfana a 4 anni di ambo i genitori; visse con angosciosa trepidazione la
Seconda Guerra Mondiale e soffrì una profonda crisi religiosa anche per un isolamento fatto di
incomprensioni. Ma poi, toccata dalla “grazia”, tutta la sua vita si trasformò attraverso una
guida spirituale, che la portò a vivere una spiritualità intensa e ardua, attestata da fenomeni
mistici ghiaccianti. Tutto questo nel segreto della sua abitazione, dove a nessuno era permesso di
capire al di fuori delle autorità della chiesa legate dal sigillo confessionale. Poi ci sarà il Concilio
Ecumenico Vaticano II che lei ha seguito passo passo nel segno della speranza e con immolazione
per il bene della chiesa…
Tenterò quindi di presentare alcuni frammenti della sua personalità anche se sono convinto che
lei non me lo avrebbe permesso per la sua inviolabile segretezza. Ma io lo faccio, a trent’anni
dalla sua morte, per ricordare prima di tutto a me stesso di aver trascorso un pezzo di strada
insieme, nella sua casa, per vari servizi prestati e poi per ringraziarla per aver imparato da lei ad
amare la Chiesa.
Chiedo scusa se, per parlare di lei, debbo fare riferimento alla mia persona, che per molti anni le
è stata vicina in determinati momenti della giornata.
1. Primo incontro
Il mio primo incontro con Maria Teresa lo ebbi da adolescente e fu provvidenziale, perché fu
proprio lei a mettere in salvo la vita di mia sorella Giuliana, che da bambina, a circa 3 o 4 anni,
ebbe la disgrazia in casa di tagliarsi un polso con il vetro di una bottiglia vuota, che teneva in
mano e con cui era caduta. La manina, per il profondo taglio, era a penzoloni. Il sangue usciva a
fiotti.
Mia madre, gridando come una disperata, prese la bambina in braccio, scese precipitosamente le
scale e corse per la strada chiedendo aiuto.
Proprio all’inizio della via Maioliche, la via dove abitava la mia famiglia (a fianco della chiesa di
San Francesco) e nei pressi della casa Carloni, c’era il parroco Don Cristoforo Campana che si
intratteneva con la signorina Maria Teresa Carloni, che – sentendo gridare mia madre in preda
alla disperazione – le vide sanguinare la bambina che teneva in braccio. Corse subito in aiuto e,
da esperta crocerossina, con un fazzoletto strinse fortemente il braccio per impedire la
fuoriuscita del sangue, mettendo così in salvo la bambina. Quindi invitò mia madre a calmarsi e
recarsi subito in ospedale per il necessario intervento chirurgico per la ricucitura della ferita.
E da quel giorno venni a conoscere la famiglia Carloni, che abitava poi vicino a casa mia (sulla
via Ugolini, davanti all’ex-seminario), e venni a sapere che Maria Teresa era una ragazza buona
e che gratuitamente allora dava lezioni private per aiutare qualche bambina che trovava
difficoltà a scuola. Allora c’erano a Urbania solamente le scuole elementari e una scuola di
avviamento al lavoro. Siamo attorno agli anni 1942-1945 (bombardamento su Urbania 23
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gennaio 1944), Maria Teresa aveva allora un’età tra i 20-25 anni. Era forse appena laureata in
pedagogia.
2. Conoscenza personale
La mia conoscenza personale con Maria Teresa risale però agli anni della mia giovinezza, 1954‘60. Lei aveva avuto modo di conoscere bene la mia famiglia, ma non altrettanto avevo avuto
modo io di conoscere la sua vita. A essere sincero, debbo dire di non essere mai riuscito a
condividere una sua preoccupazione e ogni turbamento, perché lei nascondeva ogni sua
sofferenza e sopportazione.
Le mie visite “domiciliari” a Maria Teresa iniziarono dal 1960/1961 con un ritmo crescente,
quindi qualche anno prima del Concilio Ecumenico Vaticano II, e fu il mio parroco Don
Cristoforo Campana ad avvicinarmi alla signorina Maria Teresa per fare qualche servizio. Ogni
tanto la signorina mi chiedeva di consultare, su argomenti vari, qualche testo alla biblioteca
universitaria di Urbino: Beata Angela da Foligno (+ 1309), Beata Margherita da Cortona
(+1297), Santa Camilla Battista Varano (+1524)…. La vita di queste sante mi scoprirono il volto
della sua anima di convertita per una affinità spirituale.
Poi iniziò a invitarmi a servire la Messa nella sua cappella privata alle ore 7:30 perché spesso
celebrava il vescovo diocesano Mons. Giovanni Capobianco oppure i vescovi ed i cardinali che
giungevano dalla Polonia, dalla Jugoslavia, dall’Ucraina, dalla Romania, dalla Cecoslovacchia e
dall’Africa. Io li ho conosciuti tutti e con tutti Maria Teresa mi faceva intrattenere a colazione,
durante la quale si parlava spesso di problemi soprattutto della chiesa. Ho un bel ricordo del
card. Stefano Wyszynxki arcivescovo di Varsavia e Primate di Polonia, che mi ha inviato gli
auguri e la sua benedizione autografa per il mio matrimonio, così pure del card. Franjo Seper
arcivescovo di Zagabria, poi cardinale e Prefetto della Congregazione della Fede; ricordo il card.
Giuseppe Slipyj primate dell’Ucraina, una figura integerrima, e il card. Giuseppe Beran
arcivescovo di Praga, il card. Franz Kőnig di Vienna, una figura lineare con mente lucida…tanti
vescovi…anche dall’Africa. Con costoro i discorsi cadevano spesso sulla chiesa, sui problemi
della formazione religiosa, sulla politica anticlericale e antireligiosa dei paesi comunisti, su fatti
specifici di cronaca nelle loro diocesi, sul card. Mindszenty Primate d’Ungheria “prigioniero”
per la sua grande “fede”; sul (beato) card. Luigi Stepinac (+ 1960) di Zagabria, che Tito cercava
di staccarlo da Roma, cioè dal Papa: fu allontanato e segregato, ma so che Maria Teresa lo
raggiunse clandestinamente per portargli degli aiuti.
Se debbo dire di conoscere Maria Teresa nel quadro della sua vita spirituale, mentirei, perché
con lei le mie relazioni erano sbrigative com’è proprio del mio carattere, anche se venivo trattato
da lei come persona di fiducia alla pari di quelle di un fratello premuroso perché nulla mancasse
nella sua casa per accogliere convenientemente e nei limiti della discrezione, personalità del
mondo ecclesiale di prestigio. Ho sempre stimato Maria Teresa una “donna” normale anche se
penitente e molto sensibile ai problemi altrui, ma non mi sono mai permesso di indagare sulla sua
vita privata, soprattutto quella intima e spirituale. Cosa potevo sapere di lei se non dei
fondamentali dati biografici?
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3. Il suo essere
Sapevo che Maria Teresa era nata a Urbania (8 ottobre 1919) da Guido Carloni originario di
Fabriano e da Adele Rossi di Urbania, ambedue di famiglia aristocratica. Sapevo che i genitori di
Maria Teresa morirono presto, lasciandola orfana di padre e madre a 4 anni. Sapevo che Maria
Teresa visse con la nonna, che morì (1951) quando lei aveva 32 anni. Sapevo che si era laureata
in pedagogia ed aveva un fratello più grande, Adolfo. Sapevo che a Roma si era diplomata
infermiera e divenne “crocerossina”. Sapevo che si era affiancata all’Ordine di Malta e che si era
recata tra i fanciulli spastici dell’Opera Bonomelli a Milano, poi tra i lebbrosi di San Martino di
Genova.
Sapevo anche che ebbe una crisi religiosa dopo la morte del fidanzato, un tenente medico, morto
fucilato tra le sue braccia a Roma, sul Ponte Sant’Angelo, durante il coprifuoco. Questo me lo ha
confidato lei.
Quando da Roma tornò a Urbania, si scelse come padre spirituale don Cristoforo Campana (don
Nino), l’unico sacerdote che l’aveva capita. Dico questo perché una volta mi ha parlato della sua
delusione e insoddisfazione di tanti preti avvicinati per confessarsi. Mi disse: “Non ne ho trovato
uno disposto ad aiutarmi per uscire dal groviglio di problemi sulla fede che avevo”. Poi mi disse:
“Tu da chi vai? Perché non ti confessi dal card. Seper quando viene a Urbania?”
La mia risposta è stata quella di condividere la difficoltà nella scelta di un confessore adatto, però
io già avevo risolto il mio problema, perché andavo volentieri da Padre Andrea, un santo
cappuccino che più volte alla settimana scendeva dal convento a piedi per confessare in duomo.
Comunque Maria Teresa, tornando a Urbania, vi rimase volentieri e si diede da fare per aiutare
gli ammalati. Ha fondato l’Avis (1959), un aspetto umanitario molto spiccato che fa parte della
sua vita. La stampa locale metteva in evidenza allora che Urbania, per opera di Maria Teresa
Carloni, è stata la prima cittadina della provincia e forse della regione a fondare l’associazione
dei donatori volontari del sangue.
Nelle sue premure per i paesi dell’Est europeo era sostenuta dai pontefici (Pio XII, Giovanni
XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II), presso i quali aveva udienze private anche più volte
all’anno ed ero riuscito a sapere che aveva visitato clandestinamente molti paesi oltre cortina
fino alla Cina per portare aiuti materiali e coraggio ai vescovi e ai fedeli incarcerati, e malmenati.
Io sono stato a Praga in gita scolastica. Quella città mi è rimasta nel cuore, anche perché ho visto
nella cattedrale S. Vito (S. Venceslao) la tomba del card. Frantisek Tomasek (1899-1992), di cui
mi parlava bene Maria Teresa, piena di fiori. “Un cardinale – mi diceva - che mantenne un
deciso atteggiamento col governo comunista che contrastava la chiesa cattolica”.
Poi venni anche a sapere che il card. Tomasek è uno degli ecclesiastici che si dichiarò
apertamente favorevole sulle apparizioni mariane a Mediugorje, iniziate nel 1981.
Queste erano le mie informazioni, ma della sua spiritualità e della sua vita privata e soprattutto
dei fatti straordinari (stimmate, la bilocazione, le 3 ore di agonia durante le quali sudava sangue,
le piaghe delle stimmate che al venerdì sanguinavano, il suo matrimonio mistico-spirituale) ne
sono stato informato dettagliatamente dopo morte dal mio parroco, don Nino, che mi fece vedere
anche alcune foto che mi gelarono.
C’era nella sua casa una cintura di silenzio su tutto questo mistero. Tutta la sua vita privata
anche oggi mi appare mistero.
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Ricordo che don Nino veniva a casa mia per dirmi: “Oggi non devi andare da Maria Teresa”;
oppure: “Maria Teresa ti aspetta, devi andare a trovarla…”, oppure: “Domattina ti aspetta il
card. Seper per la Messa” ecc.
4. Relazione con gli ospiti di casa
Le mie relazioni con gli ospiti (Cardinali e vescovi) rientravano nei limiti della cordialità e della
gentilezza. Il card. Seper, prefetto della Congregazione della Fede, era solito portarmi, quando
veniva, qualche pensiero: un portachiavi, una medaglia, qualche immaginetta firmata da lui. Mi
ha regalato una statuetta della Madonna in legno (che conservo gelosamente) eseguita forse da
artisti della scuola di Ortisei e Val Gardena, che il Cardinale aveva avuto dal Papa Beato
Giovanni XXIII quando fu ricevuto in udienza dopo la sua nomina a cardinale.
Maria Teresa mi diceva che il card. Seper era il suo fratello spirituale, suo confessore
straordinario che era solito darle dure penitenze.
Una volta feci una domanda premurose e riservata a Maria Teresa. Le chiesi: “Perché lei ha
offerto la sua vita per la Chiesa dell’Est, detta Chiesa del silenzio?”
Mi rispose che nell’anno della sua conversione (1951) in Bulgaria ci fu la persecuzione contro la
chiesa cattolica, che culminò con l’arresto di mons. Ivan Romanov vescovo di rito latino di
Plovdiv, di 30 sacerdoti e religiosi e di una decina di laici… e ci fu la soppressione di tutte le
organizzazioni cattoliche e la confisca dei beni ecclesiastici. E mi disse che l’offerta della sua vita
per quella chiesa perseguitata, però, culminò nel suo cuore con la fucilazione del vescovo Mons.
Eugenio Bossilkov (1900-1952) fucilato in carcere a Sofia nella notte tra l'11 e il 12 novembre
1952 per ordine, a quanto sembra, venuto direttamente da Mosca.
Chi era Mons. Eugenio Bossilkov? Maria Teresa mi spiegò che era un padre passionista,
divenuto vescovo della diocesi di Nikopoli. Studiò a Roma, e dopo la sua consacrazione a vescovo,
incontrò Pio XII che quasi come una profezia gli disse: “In Bulgaria l’aspetta la corona del
martirio”. E fu così. Fu incarcerato e fucilato per la sua fedeltà alla chiesa cattolica e al Papa.
Nella sofferenza della prigione aveva scritto «Le tracce del nostro sangue apriranno la strada a un
futuro splendido…… Altri mieteranno ciò che noi abbiamo seminato nelle pene». E questo è
avvenuto!
Allora fu Maria Teresa Carloni a chiedere al nostro Arcivescovo Mons. Ugo Donato Bianchi di
aprire il processo di canonizzazione a Urbania su Mons. Eugenio Bossilkov, chiedendo i dovuti
permessi alla Congregazione delle Cause dei Santi, perché in Bulgaria non era possibile.
L’inchiesta diocesana andò avanti a gonfie vele e la beatificazione avvenne come “martire” per
volontà del beato Giovanni Paolo II il 16 marzo 1994. Fu poi canonizzato come martire il 15
marzo 1998. La sua memoria liturgica si celebra il 12 novembre. È il primo martire della Chiesa
dell’Est. Don Nino mi fece vedere la camicia di san Eugenio Bossilkov bucherellata dalla
mitragliatrice. Quella camicia fu fatta vedere al Beato Giovanni II nel giorno della
canonizzazione.
Alla cella di fianco di quella di Mons. Eugenio Bossilkov, mi diceva Maria Teresa; c’era rinchiuso
il cappuccino Padre Fortunato Baakalski (1916-1952), il quale – prima della fucilazione del
vescovo Eugenio Bossilkov – ne ascoltò la flagellazione. Gli dissero quegli aguzzini: “Domani
tocca a te”.
Anche questo cappuccino fu fucilato.
Maria Teresa, purtroppo, è deceduta il 17 gennaio 1983 e non era riuscita ad aprire il processo
anche per questo cappuccino. Ma don Nino, non si diede per vinto, e con i dovuti permessi riuscì
ad aprire l’inchiesta a Urbania per aprire il processo di canonizzazione anche per lui nel 1985.
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Tale processo è ancora in corso ed è continuato dalla Curia Generale dei Frati Minori
Cappuccini.
5. Movimento Rinascita Oriente Cristiano
Maria Teresa aveva la stoffa per fondare una congregazione religiosa. So che voleva entrare tra
le cappuccine di Città di Castello, il monastero di Santa Veronica Giuliani. Ma sentiva che non
era quello il suo posto, perché la sua preoccupazione era quella di stare vicino e di aiutare la
chiesa martire dei paesi dell’Est europeo. Non ha fondato una congregazione religiosa, però con il
suo padre spirituale Don Nino ha costituito un movimento aperto a sacerdoti e laici: il
Movimento Rinascita Oriente Cristiano ed ha fondato il periodico bimestrale, “La voce
dell’amore”, per un collegamento con tanti amici sparsi per l’Italia con lo scopo di far conoscere i
problemi della chiesa sofferente sotto il regime comunista. Tale movimento è stato fiorente ed
organizzato con ramificazioni con la chiesa di Vicenza, Lonigo, Conegliano Veneto, Torino,
Costabissara, Brescia, Desenzano del Garda ecc.
Per organizzare incontri e raccolte a Lonigo, a Vicenza, a Costabissara, a Brescia ecc., fui
invitato più volte a prestare a Don Nino l’Icona della Madonna della Russia (così chiamiamo
l’icona inviata da Woroscilograd, dall’Ucraina, da mio zio disperso sul fronte russo, Don
Michele Mangani). Diversi anni fa, questa immagine della Madonna fu portata anche a Bologna
nella cattedrale di San Petronio per una missione di fraternità, aperta dal card. Giacomo Biffi a
favore della chiesa sofferente dei paesi dell’Est europeo.
6. Il suo apparire
Un giorno, durante la colazione, giunse don Nino, che riferiva a Maria Teresa che don Enea Galli
di Urbino stava scrivendo la biografia di Renata Nezzo (1894-1925). Io non sapevo chi fosse
questa persona. Subito Maria Teresa mi disse che si trattava una di ragazza di Urbino morta a
31 anni che aveva dato tutto per la chiesa consacrandosi come vittima per la “santità dei
sacerdoti”. E mi disse: “Io condivido e vivo la spiritualità della Nezzo”. Questa frase di Maria
Teresa mi fece pensare, tanto da spingermi a informarmi della vita della Nezzo, anche per un
interesse personale. Ma allora non trovai molte notizie, perché il libro di don Enea Galli uscì nel
1981. Venni però a sapere che la Nezzo, rifacendosi a santa Teresa di Gesù Bambino (cap. 11°
della Storia di un’anima) scrisse uno Statuto sulla Legione delle Piccole Vittime, un regolamento
per offrirsi in olocausto a Dio per impetrare “sacerdoti santi”. Allora capii che Maria Teresa,
senza far parte del movimento della Nezzo che per dissidi interni si era già sciolto nel 1938, stava
spendendo tutta la sua vita per la Chiesa immolandosi come vittima e vivendo come “separata”
per dedicarsi esclusivamente a Gesù senza restrizioni.
Dai suoi discorsi, notai dei segni particolari che, messi insieme in progressione, possono formare
come una gradinata che ha avvicinato Maria Teresa a Gesù, Figlio di Dio.
Sono segni che non mi sono rimasti difficili a scoprire, ma che non ho mai svelato a nessuno per
integrità di coscienza e correttezza morale.
Mi soffermo principalmente su due particolari segni.
a. Il primo segno, che potremmo chiamare anche il primo gradino compiuto da Maria Teresa, è
stata “la spoliazione di sé”, di tutto i propri averi attraverso l’immolazione.
Maria Teresa, di famiglia nobile, possedeva la sua parte ereditaria dei fondi agrari nei dintorni
di Urbania, da cui traeva una rendita fissa, aveva la sua parte nel palazzo in cui viveva,
possedeva vestiti belli, possedeva oggetti preziosi (anelli, collane, orecchini, orologi…). Ha
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lasciato tutto, ha dato via tutto per ricavare denaro a favore dei cristiani e sacerdoti imprigionati
nei paesi dell’Est, che Maria Teresa considerava costoro come “crocifissi” con Cristo (cf. Gal
2,20). Lo hanno fatto diversi santi, tra cui S. Antonio Abate che ricordiamo nella liturgia di oggi.
Ci sarebbe da riflettere molto sulla povertà di Maria Teresa. Una povertà voluta e cercata in
vista di beni celesti. L’unica persona che aveva messo le radici nel suo cuore era Gesù, il Figlio di
Dio. D’altra parte, lo sappiamo bene, chi cerca il Signore non manca di nulla e la povertà è un
buon viaggio per il cielo.
Come vestiva? Io l’ho sempre vista con lo stesso vestito. Un vestito scuro. Qualche volta
indossava una maglietta bianca o nera. Gonna lunga fin sotto i ginocchi. Non entrava in cappella
senza il velo bianco o nero sul capo. Le scarpe? L’ho sempre vista con pantofole. Camminava
quasi strisciando i piedi. In cucina non l’ho mai vista cucinare: sul tavolo aveva una macchina da
scrivere e tanti fogli ammucchiati. Lì, in cucina passava molta parte della sua giornata per
pregare, scrivere e appuntare.
Nella sua vita, al primo posto c’era l’attenzione per gli altri. Mi faceva capire che chi non sa
amare soprattutto chi soffre, è un fallito nella vita.
Ed io avevo capito bene da Maria Teresa che l’amore vero ti fa perdere tutto, anche la testa.
I santi sono veramente i pazzi di Dio. Tale era stato preso anche S. Francesco d’Assisi.
Personalmente sono convinto che la sapienza di Dio è anche nel mistero di questa donna. “Se non
si prende questa strada, quella della povertà – mi diceva - non si può neppure iniziare un cammino
di perfezione”. Ecco la sua devozione a Santa Veronica Giuliani.
Personalmente sono convinto che questa povertà scelta, voluta e coraggiosamente praticata sia
stata la prima chiamata del Signore per permetterle di crescere nella grazia. Come poi è
avvenuto.
b. Il secondo segno è stato il “nascondimento”. Il Signore l’ha voluta tutta per sé. Voleva vivere il
Vangelo alle lettera per “pregare il Padre, chiusa la porta, nel segreto” (Mt 6, 1). Quindi niente
TV, niente radio, niente giornali, solo Breviario, solo Via Crucis, solo Eucaristia, solo adorazione,
solo biografie di santi e di sante, solo meditazioni. Tutto il resto era per lei distrazione e come dice
San Paolo: “spazzatura”.
Fu un’anima eminentemente eucaristica. Mi aveva confidato che lei avvertiva la presenza fisica
di Gesù in Corpo, Sangue, Anima e Divinità nell’0stia consacrata. Ne ho parlato anche a Don
Nino, che mi chiarì il fatto che Maria Teresa sentiva la presenza di Gesù distinguendo tra due
ostie quella consacrata. Quando riceveva l’Eucaristia durante la Messa, io mi accostavo a lei con
il piattino da mettere sotto il mento e notavo in lei uno splendore del suo volto, un volto
raggiante. La invidiavo e provavo, più che la curiosità, un forte desiderio di entrare nella sua
anima per ascoltare i sentimenti e le parole che in quel momento uscivano dal suo cuore in
dialogo con Gesù. Questo desiderio sorgeva in me perché volevo imparare da lei a fare bene la
comunione. Ma c’era un muro di ferro, una impenetrabilità misteriosa tra me e lei. Tale lo è
anche oggi, perché non conosco e non riesco a immaginare cosa Maria Teresa provasse allora
durante la comunione eucaristica.
c. Seguono poi altri segni:
- La preghiera. Faceva ore di adorazione e trascorreva nottate intere in preghiera, recitava rosari
in continuazione e faceva meditazioni approfondite.
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- La riparazione. Ha portato anche il cilicio. Sono informato che Don Nino le aveva portato il
cilicio del Servo di Dio Don Domenichino (Mons. Domenico Bartolomei), ma non le andava bene.
Il suo Padre Spirituale, comunque, mi ha raccontato che ad un certo momento, vista la sua ascesa
spirituale, le proibì ogni penitenza perché il suo fisico non reggeva.
- L ’ amorevolezza La sua tenerezza potrebbe dirsi (seguendo un vocabolario filosofico) " volontà
di potenza" ad amare chi soffre.
- La saldezza. Fu probabilmente questa la qualità di Maria Teresa che più la ingigantì umanamente e misticamente.
- La modestia. L"incredibile" umiltà di Maria Teresa crebbe in proporzione diretta con le sue
sofferenze: da quelle fisiche, volontarie e mistiche, a quelle interiori terminanti nella solitudine,
come Gesù al Getsemani.
Conclusione
Purtroppo, crescendo negli anni, Maria Teresa incominciò a soffrire una decalcificazione delle
ossa che le causò dolori fortissimi.
Nel 1982, per una peritonite inoperabile, fu ricoverata a Pavullo di Modena, dove risiedono i
nipoti. Morì a 64 anni, il 17 gennaio alle ore 11.20.
Il funerale si fece nella cattedrale di Urbania il 18 gennaio. Ha presieduto la concelebrazione e il
rito funebre l’Arcivescovo Mons. Ugo Donato Bianchi. Hanno concelebrato il vescovo boemo ex
segretario del Card. Beran S. E. Mons. Girolamo Skarvada, Mons. Cristoforo Campana e mio
fratello don Antonio, che perirà poi nello stesso anno (3 dicembre) in un incidente stradale.
Di Maria Teresa conservo gelosamente dei regali: un piccolo crocifisso con croce di legno d’ulivo
del Getsemani, da lei acquistato per me in Terra Santa, e - come regalo per le mie nozze - due
tazzine con orlo dorato e falce di luna portatimi dalla Tunisia.
Lei ha avuto da me la mia personale catenina d’oro, regalatami da mia moglie e consegnata poi
da lei al card. Wyszynski, che – con altri oggetti – ne ha fatto un calice per il Santuario di
Czestochowa. Era un doveroso pensiero di gratitudine da parte mia alla Madonna nera per la
riacquistata salute di mia moglie.
Questi sono alcuni frammenti usciti dalla mia memoria per ricordare a trent’anni dalla
scomparsa una carissima persona, che mi è stata, più che amica, una grande mamma, una santa
mamma, che mi ha lasciato il segno aprendomi gli occhi sulla Chiesa in cui viviamo e che cerco di
servire nel solco della sua fede e del suo esempio, difficilmente imitabili in larghezza, in altezza e
in profondità.
Non ci resta che ringraziare il Signore per il dono della sua vita santa, sbocciata in questa nostra
comunità parrocchiale e che fa onore alla chiesa universale.
Urbania, 17 gennaio 2013
Giuseppe Mangani