Rassegna Stampa del 11/03/2011

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Rassegna Stampa del 11/03/2011
AESVI
Rassegna Stampa del 11/03/2011
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INDICE
AESVI
Il capitolo non contiene articoli
VIDEOGIOCHI
11/03/2011 Panorama
UN VIDEOGIOCO PER L'UNITÀ D'ITALIA
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11/03/2011 Panorama
Figlio adottivo, genio creativo, pessimo carattere
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10/03/2011 Punto Informatico 08:12
Microsoft, tracce di nuova Xbox
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10/03/2011 Punto Informatico 02:52
Xbox, Kinect e' da Guinness dei Primati
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11/03/2011 Terra
Un videogioco per cambiare
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11/03/2011 Giornale dell'Umbria
Tenta di rubare videogiochi, arrestato
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10/03/2011 Mente e Cervello
Quando il cervello videogioca
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VIDEOGIOCHI
7 articoli
11/03/2011
Panorama - N.12 - 17 marzo 2011
Pag. 30
(diffusione:446553, tiratura:561533)
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inDISCRETO
UN VIDEOGIOCO PER L'UNITÀ D'ITALIA
Si intitola Gioventù ribelle il videogioco in 3D promosso dal ministero della Gioventù che viene presentato il
15 marzo al Maxxi di Roma. Uno strumento pensato per i giovani, per celebrare i 150 anni dell'unità d'Italia
immedesimandosi in uno dei protagonisti delle guerre di indipendenza.
VIDEOGIOCHI - Rassegna Stampa 11/03/2011
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Panorama - N.12 - 17 marzo 2011
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(diffusione:446553, tiratura:561533)
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STORIA DI COPERTINA LE SETTE VITE DI STEVE JOBS
Figlio adottivo, genio creativo, pessimo carattere
Tutto cominciò con un padre acquisito e un videogame . Alunno distratto, fidanzato cinico, costruì dal nulla
l'impero da cui fu cacciato. Per ritornare come salvatore.
MARCO DE MARTINO
carta d'identità Steve Jobs nato a San Francisco il 24 febbraio 1955 cittadinanza americana stato civile
coniugato professione genio dell'informatica
DA NEW YORK - Per lasciare spazio al futuro bisogna distruggere il passato, e nessuno lo sa meglio di
Steve Jobs, che il mese scorso ha fatto demolire la Jackling House, la casa con 14 camere da letto dove ha
abitato fra pochi mobili e molti dischi di Bob Dylan per 10 anni a partire dal 1984, l'anno orwelliano in cui
lanciando il macintosh la apple ha rivoluzionato l'industria elettronica. Jobs odiava quella casa costruita da un
magnate del rame sulle colline di Woodside, nella Silicon Valley: la comprò come un trofeo prima di
abbandonarla lasciandola nell'incuria più totale, e al suo posto sta cominciando a far costruire la sua casa dei
sogni, sicuro di potere fare in tempo ad abitarla. a dispetto del tumore al pancreas che lo consuma dal 2004,
Jobs è certo di avere un grande futuro davanti a sé, e non solo perché, da buddista zen, probabilmente crede
nella possibilità di rinascere. Il fatto è che la apple non avrebbe mai potuto raggiungere il 17 per cento del
mercato dei portatili, il 24.7 per cento di quello degli smartphone e i 328 miliardi di dollari di valutazione di
mercato (con quasi 50 mila persone impiegate e oltre 300 negozi nel mondo) se Jobs non fosse il più grande
rottamatore della storia dell'elettronica: dopotutto, la sua carriera è iniziata alla atari, quando a lui e all'amico
Steve Wozniak venne chiesto di lavorare al videogame Breakout, in cui bisognava abbattere un muro fatto di
mattoni colorati con una pallina comandata da una rudimentale racchetta. Il fondatore della apple è poi
passato a frantumare pareti ben più solide di quelle fatte dei pochi pixel dei videogiochi di allora. Ha
annientato l'industria dei grandi elaboratori (allora si chiamavano mainframe) per fare spazio con la apple II
all'era dei personal computer, quelli che ora sta mettendo in crisi con l'introduzione della tavoletta ipad.
Creando l'iTunes ha rimesso in discussione l'industria discografica, cinematografica e televisiva, e adesso si
accinge a fare lo stesso con l'editoria, traghettata quasi a forza sull'ipad. mentre con l'iphone ha non solo
sconvolto il mercato degli smartphone ma anche introdotto una nuova categoria di software, le applicazioni,
con cui sta cercando di addomesticare l'anarchico mondo del World wide web. Quando sei anni fa, in un
discorso ai laureati della Stanford University, si è chiesto il senso della propria vita, Jobs ha spiegato che
anche i fallimenti si possono trasformare in grandi successi, basta affidarsi all'ordine nascosto dentro al caso.
E ha iniziato a raccontare dei suoi genitori, un siriano e un'americana, che non potevano permettersi di
educarlo e lo diedero in affidamento. Jobs doveva essere adottato da una coppia che però, all'ultimo, si tirò
indietro. Il giovane Steve si ritrovò quindi con un altro papà che, lavorando in un'azienda di laser dove
smontava e rimontava motori, lo appassionò all'elettronica. Dopo solo sei mesi di università, al reed College
di portland, Steve decise di abbandonare, anche se restò nel campus senza l'obbligo di frequentare i corsi
che odiava; finì in una classe dove si insegnava calligrafia, lezioni senza le quali il macintosh non avrebbe
mai avuto l'eleganza dei caratteri tipografici che lo hanno reso diverso da tutti gli altri computer. «Think
different» diceva lo slogan della apple. E Steve fu costretto a farlo quando, un anno dopo avere creato il
macintosh, si ritrovò licenziato dall'azienda che aveva creato portandola in 10 anni a fatturare 2 miliardi di
dollari. a estrometterlo fu John Sculley, l'amministratore delegato della pepsi che Jobs aveva ingaggiato con
la sua tipica arroganza: «Vuoi passare il resto della tua vita a vendere acqua zuccherata o vuoi
un'opportunità per cambiare il mondo?». Fu proprio quell'umiliazione pubblica, essere messo alla porta dalla
apple, a costringere Jobs a dedicarsi a due nuove aziende che sarebbero diventate il caposaldo della sua
attività futura. La pixar, da lui comprata per 10 milioni da George Lucas nel 1986, fu venduta vent'anni dopo
alla Disney per 7,4 miliardi di dollari, rendendo Jobs il più grande azionista privato del gruppo di Topolino. E il
software della next, da molti denigrata all'epoca, è alla base del sistema operativo mac osX che ha portato al
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Panorama - N.12 - 17 marzo 2011
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rilancio del macintosh dopo il ritorno di Jobs alla guida della apple nel 2000. Guardandolo oggi, scavato dalla
malattia, presentare l'ultima macchina miracolosa da lui prodotta, l'ipad 2, è facile dimenticare che sotto il
maglione girocollo nero di marca S. Croix e i jeans Levi's 501 sempre più larghi c'è l'ex hacker che si divertiva
a fare scherzi con una macchinetta per rubare le chiamate dai telefoni pubblici. C'è il ragazzo che diventò
miliardario quando era ancora più giovane di mark Zuckerberg, l'inventore di Facebook. C'è l'ex hippy che
andò a visitare ashram indiani (luoghi di meditazione) sulle orme dei Beatles e rivendica i suoi esperimenti
con l'lsd come una delle sue esperienze più formative. L'unica cosa che non è cambiata è il carattere
impossibile descritto nei suoi romanzi da mona Simpson, la sorella biologica che Jobs scoprì di avere solo da
adulto. ricordate la storia del videogame Breakout? Il lavoro lo fece tutto Wozniak, l'amico Jobs si tenne la
gloria e il bonus, che nascose all'amico. Da giovane Jobs uscì con la cantante Joan Baez ma pare solo
perché lei era stata la fidanzata del suo idolo Bob Dylan, e la lasciò con questa motivazione: «è troppo
vecchia per darmi dei figli». Quando ha avuto Lisa, la prima dei suoi quattro figli, si è rifiutato di riconoscerla
fino a che non è stato costretto a farlo da un tribunale, ma nel frattempo intitolava a lei un computer. E
ancora: sebbene abbia un patrimonio di circa 6 miliardi di dollari, Steve Jobs non fa beneficenza. Spesso
parcheggia nel posto riservato ai portatori di handicap, per sua comodità. E leggendari sono i suoi colloqui di
lavoro, spesso delle vere risse verbali: «Dimmi, quando hai perso la verginità?» ha urlato a un povero
ingegnere prima che questo ritirasse la propria candidatura a diventare un dipendente della apple. Dentro
l'azienda di Cupertino Jobs ha imposto un ferreo sistema di sicurezza: pare esista un gruppo che mette in
giro false soffiate sui nuovi prodotti solo per identificare chi tradisce l'azienda. per anni Jobs ha risposto alle
email dei suoi fan seccamente, a volte anche insultandoli: «Farti prendere buoni voti non è tra i nostri obiettivi
aziendali» ha scritto a uno studente di giornalismo prima di concludere: «Lasciaci stare». Eppure, i suoi fedeli
sono disposti a perdonargli questo e altro: 35 anni dopo, il culto dell'apple è ancora intatto, e non importa se
l'iphone 4 viene messo sul mercato con un design difettoso che fa cadere le chiamate o che Jobs chieda una
percentuale capestro del 30 per cento agli editori sull'ipad. L'apple resterà sempre l'azienda dei corsari,
anche dopo avere superato il valore della microsoft del suo rivale Gates, anche mentre ingaggia una guerra
senza esclusione di colpi con i concorrenti della Google. Come hanno scoperto i rivali, è infatti quasi
impossibile sconfiggere uno come Jobs, uno che dopo la diagnosi di tumore ha salutato i neolaureati
dell'Università di Stanford trattando anche la morte come se fosse il più perfetto dei software uscito dal
cervello dei suoi ingegneri: «La morte è probabilmente la migliore invenzione della vita» ha detto Jobs in
quella mattina di giugno del 2005. «è l'agente di cambiamento della vita: spazza il vecchio per lasciare spazio
al nuovo».
«EssErE l'uomo più ricco al cimitEro non mi importa. pEr mE conta arrivarE a sEra sapEndo di avErE
fatto qualcosa di mEraviglioso» Steve Jobs al «Wall Street Journal», 1993
«L'unico modo per compiere un buon Lavoro è amare ciò che fai. Se non hai ancora trovato quaLcoSa che ti
fa Sentire coSì, continua a cercare» Da un discorso di Steve Jobs alla Stanford University, 2005
«Adesso ho il fegAto di unA personA mortA trA i 20 e i 30 Anni, che hA donAto i suoi orgAni. senzA quellA
generosità, non sArei qui» Steve Jobs alla Applefest, Keynote, 2009
Foto: Steve Jobs e il rivale di sempre Bill Gates, fondatore della Microsoft, quando entrambi avevano 36 anni.
Foto: Amori folk La celebre cantante folk Joan Baez ebbe una relazione con Steve Jobs, ma lui la lasciò
malamente. Compagna di una vita Steve Jobs con la moglie Laurene in una foto del 2005. I due hanno
quattro figli.
Foto: Tre uominie un pc San Francisco, 1984: Steve Jobs insieme a John Sculley (al centro), presidente della
Apple, e al cofondatore Steve Wozniak, l'informatico che progettò il personal computer Apple 1. Una biondaa
sorpresa Mona Simpson, la sorella che Steve Jobs ha saputo di avere solo da adulto.
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Punto Informatico
Sito Web
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Microsoft, tracce di nuova Xbox
Microsoft, tracce di nuova Xbox Nuove inserzioni professionali lasciano immaginare la progettazione in corso
della nuova console. La cautela è d'obbligo, l'entusiasmo è tanto Roma - Gli indizi sembrano confermarlo: la
nuova generazione di Xbox sembra essere alle porte. Dando uno sguardo alla pagina LinkedIn di Microsoft,
si scopre che Redmond è alla ricerca di alcuni profili professionali relativi ad "architetture per la prossima
generazione di console, dal concepimento all'implementazione". Al momento risulterebbero aperte queste
posizioni: graphics hardware architect, senior architect e performance engineer, senior hardware design
verification engineer. Anche se simili informazioni non rappresentino una conferma in sé, si rivelano una
traccia convincente di futuri sviluppi in casa Microsoft. Del resto, sostiene qualcuno, è possibile spremere la
Xbox 360 più di quanto si sia già fatto? Gli osservatori avvertono comunque che, se è plausibile che a
Redmond abbiano deciso di lavorare al successore della 360, siamo probabilmente ancora lontani dal sapere
qualcosa in più rispetto alla prossima generazione di console. Del resto, i piani di Microsoft puntano sul
mantenimento della Xbox 360 almeno fino al 2015. Ciò che è lecito immaginare, dunque, è che la ricerca e lo
sviluppo siano in procinto di partire. Quanto basta per seminare entusiasmo. Cristina Sciannamblo TAG:
tecnologia, console, videogame, videogiochi, xbox, microsoft CONDIVIDI:
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10/03/2011
02:52
Punto Informatico
Sito Web
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Xbox, Kinect e' da Guinness dei Primati
Xbox, Kinect è da Guinness dei Primati Il controller per Xbox 360 ha segnato il record come dispositivo
elettronico venduto più velocemente. Più di 10 milioni in due mesi Roma - Il 2010 è stato un anno
sicuramente positivo per Microsoft. E il fatturato di Redmond continua a salire grazie al record registrato da
Kinect, che tra il 4 novembre 2010 e il 3 gennaio 2011 ha superato le 10 milioni di unità vendute. Secondo il
Guinness World Records, il nuovo controller per Xbox 360 risulta essere il dispositivo elettronico venduto con
più rapidità dal giorno del lancio: una media di 133,333 pezzi venduti quotidianamente. Già dopo il primo
mese di stazionamento sul mercato, Kinect ha battuto il suo diretto concorrente, Sony PS3 Move, con un
margine di vendite che superava i 2,5 milioni di pezzi. Da subito, il sensore progettato per il nuovo modello di
console di Redmond è stato modificato per essere utilizzato secondo modalità diverse dal gioco. "Il grafico
delle vendite parla da solo. Possiamo confermare che nessun altro dispositivo elettronico di consumo è stato
venduto più velocemente nell'arco di sessanta giorni, un successo incredibile considerata la forza del settore"
commenta Gaz Deaves, editor del Guinness World Records 2011 Gamer's Edition. Con il primato da
Guinness in tasca, la speranza di Microsoft è ora quella di portare Kinect nelle case di tutti i 50 milioni di
giocatori su Xbox 360 sparsi sul pianeta. Cristina Sciannamblo TAG: tecnologia, videogame, videogiochi,
console, kinect, Xbox, Microsoft CONDIVIDI:
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Terra
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Web Da Aprile su Facebook arriva Ecotopia, il nuovo social game ecologico nato da un'idea di Harrison Ford,
con l'obiettivo di pulire il mondo
Un videogioco per cambiare
Pierpaolo De Lauro
ambiare il mondo con un click. Un sogno che può diventare quasi realtà, almeno per gli oltre 500 milioni di
iscritti a Facebook che dal prossimo quattro aprile avranno la possibilità di giocare ad Ecotopia. Il progetto
prevede un nuovo social game che, sulla scia degli ormai famosissimi Farmville o Frontierville, prova a
sensibilizzare sui temi ambientali con il contributo di Harrison Ford. Dietro al progetto, infatti, c'è la firma della
star di Hollywood, da tempo impegnato in prima persona verso la diusione di temi quali il risparmio energetico
e scelte di vita sostenibile. Tutto ha avuto inizio con una conversazione tra l'attore, vicepresidente di
Conservation International, Ong statunitense che si occupa della salvaguardia del nostro Pianeta, e il capo di
una piccola società produttrice di videogiochi, la Talkie. Quasi per scherzo i due cercavano un modo per
coinvolgere milioni di persone sulle tematiche ambientali e, in poche ore, ecco nascere l'idea di Ecotopia. A
dierenza dei classici giochi online di successo, qui non c'è da gestire una fattoria o far crescere una città, non
c'è da costruire industrie o strade, con Ecotopia ci troviamo nella situazione di pulire il nostro ambiente.
Catapultati in un mondo inospitale e inadatto alla vita dobbiamo essere bravi a creare le situazioni ottimali e
realizzare la nostra perfetta città ecologica, con tanto di eco regali da distribuire agli amici e iniziative
sostenibili da lanciare sulle pagine di Facebook. I principali nemici saranno tutti gli agenti inquinanti da
debbellare con l'obiettivo di creare un mondo virtuale ma allo stesso tempo, attraverso le pratiche apprese,
produrre eetti concreti anche nel mondo reale. Seppur giocato sull'utopia, infatti, il progetto punta a ottenere
risultati tangibili e a dimostrare che basta poco per vivere in modo sostenibile. «Ecotopia aiuterà a capire i
principali problemi dell'umanità e spingere milioni di persone a essere più attente verso le problematiche
ambientali», ha dichiarato Harrison Ford alla stampa. E l'attore si è anche oerto come testimonial per
spingere più utenti possibili a partecipare al sogno di Ecotopia.
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Giornale dell'Umbria
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CITTA' DI CASTELLO Aveva forzato le vetrine di un noto negozio all'interno di un centro commerciale
tifernate tentando di asportare alcuni videogiochi, ma gli è andata male. Intorno alle 19 di mercoledì alcuni
dipendenti del centro commerciale hanno notato l'uomo, in atteggiamento sospetto, che si aggirava tra la
merce esposta. ù Dopo essersi avvicinato ad un espositore l'uomo, credendo di non essere notato, lo ha
forzato ed ha asportato due videogiochi per play station, del valore di alcune decine di euro. A questo punto
sono stati avvisati i carabinieri che si sono immediatamente portati sul posto. Nel frattempo l'uomo aveva
provato ad allontanarsi, ma è stato fermato dagli stessi dipendenti del negozio. Preso in consegna dai militari
e portato in caserma l'uomo, un 35 enne algerino, è stato dichiarato in stato d'arresto con l'accusa di furto
aggravato. Dagli accertamenti compiuti dai militari è emerso che l'arrestato, in possesso di permesso di
soggiorno, ha anche dei precedenti per stupefacenti e furto. In attesa dell'udienza di convalida dell'arresto,
che sarà celebrata stamattina, l'extracomunitario è ospite delle camere di sicurezza della caserma tifernate.
VIDEOGIOCHI - Rassegna Stampa 11/03/2011
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Tenta di rubare videogiochi , arrestato
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Mente e Cervello - N.75 - marzo 2011
Pag. 32
(tiratura:25000)
Quando il cervello videogioca
Toccasana per potenziare la memoria e arginare il declino cognitivo o droghe hi-tech che creano dipendenza
e scatenano l'aggressività?/^ Il d ibattito Sjiigli effettì E mentali dei videogiochi non accenna a esaurirsi
Giovanni Sabato
Era troppo bello per essere vero. Per sviluppare al massimo l'intelletto, non occorre altro che giocare. I
programmi di brain training, che propongono videogame di logica, memoria, ruolo, strategia e via dicendo
hanno un giro d'affari annuo di milioni di euro. Promettono di irrobustire la memoria, ravvivare l'attenzione,
acuire le abilità visive e spaziali, renderci più svelti e precisi in calcoli e ragionamenti. Fanno balenare l'idea di
rendere i bambini piccoli geni, di potenziare le capacità di adulti in salute, o di frenare il naturale declino
cognitivo dell'età. Ma che prove abbiamo che funzionino? Poche, e neanche troppo convincenti, si è detto
l'anno scorso un team britannico guidato da Adrian Owen, della Medicai Research Council Cognition and
Brain Sciences Unit di Cambridge, e Clive Ballard, direttore della Alzheimer's Society del Regno Unito.
Qualche studio indicava modesti benefici nei più anziani, o nei bimbi in età prescolare, ed è assodato che i
patiti dei videogiochi surclassano chi non li pratica in certi test di attenzione visiva. Ma nessuna ricerca
indipendente corroborava la tesi, ampiamente propugnata e creduta, che i comuni videogame proposti come
toccasana per il cervello elargiscano i benefici decantati. Per cercare una risposta chiara, il team ha perciò
allestito un test in grande stile. In collaborazione con la BBC, ha reclutato oltre 11.000 volontari tra i 18 e i 60
anni disposti a sperimentare i videogame sul sito web dell'emittente. I volontari sono stati divisi in tre gruppi.
H primo ha svolto giochi di ragionamento che sollecitavano la pianificazione e il problem solving. Il secondo
ha esercitato le funzioni su cui più si concentrano i programmi di brain training, quali memoria a breve
termine, attenzione, abilità visivo-spaziali ed esercizi matematici. Il terzo gruppo, di controllo, doveva solo
navigare cercando le risposte a determinati quesiti. A tutti è stato chiesto di esercitarsi un minimo di dieci
minuti per tre volte a settimana, per sei settimane. «Tutti sono migliorati nei rispettivi compiti, com'era
prevedibile», riassumono gli autori su «Nature» nell'aprile 2010. «Ma il punto non era questo: il brain training
non si fa per diventare campioni in un videogioco. L'interrogativo cruciale è se l'allenamento arrechi benefici
più generali, che migliorano le performance nelle attività quotidiane. E questo trasferimento dei benefici è
risultato del tutto assente, anche per compiti molto simili a quello esercitato». Per esempio, chi si era
cimentato nel classico gioco di memoria visiva in cui bisogna ricordare la posizione di carte raffiguranti vari
oggetti, non ha mostrato alcun miglioramento nella prova finale in cui bisognava ricordare la localizzazione di
oggetti reali. Lo studio non ha convinto tutti, a partire ovviamente dai produttori dei giochi. Secondo i critici la
durata delle sessioni o dell'esperimento complessivo sarebbero state troppo brevi per dare un effetto, o i
giochi troppo generici rispetto a programmi pensati su misura per allenare il cervello. Ma Owen respinge le
critiche. «Non è che l'allenamento non abbia dato effetti: i giocatori diventavano visibilmente più bravi nel loro
gioco, e i controlli no. Quel che manca è il trasferimento delle abilità, e non c'è alcuna teoria che ci permetta
di ipotizzare che se non osserviamo alcun risultato per sei settimane poi, dopo mesi, il trasferimento
d'improvviso si manifesta. Anche perché i giocatori hanno praticato per tempi molto diversi, arrivando anche a
centinaia di sessioni da 10 minuti, ma questo non ha quasi fatto differenza. Quando un minimo effetto si è
visto era così ridotto che, per esempio, un esercizio per la memoria avrebbe dovuto durare quattro anni per
arrivare a memorizzare una cifra in più nei test finali». «E il più grande studio scientifico del brain training al
computer mai condotto», ribadisce dunque Ballard. «Se qualche produttore sostiene che programmi più
specifici funzionano, non posso che incoraggiarlo a condividere le prove».
• Gli anziani Lo studio riguardava adulti fino a sessantanni di età. Diverso può essere il discorso per i più
anziani. Molti programmi di brain training sono rivolti a chi teme il declino dell'età, e salvaguardare almeno in
parte con l'allenamento le normali funzioni mentali può essere una meta più realistica che sviluppare
prestazioni superiori al normale. Un produttore, la Posit, ha pubblicato alcuni studi che dimostrerebbero una
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PSICOLOGIA COGNITIVA
10/03/2011
Mente e Cervello - N.75 - marzo 2011
Pag. 32
(tiratura:25000)
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certa utilità in tal senso, l'ultimo su «PLoS One» nel luglio 2010, a cura di Adam Gazzaley dell'Università della
California a San Francisco. Il gioco sperimentato è un modulo di un programma della Posit che allena la
percezione visiva: si deve discriminare tra onde sinusoidali (a S) di varie forme e dimensioni che scorrono
sullo schermo. Dopo 10 ore di allenamento i giocatori facevano più progressi dei controlli non solo in questo
esercizio, ma anche nella memoria visiva a breve termine, facoltà che declina in molti anziani: nel test si
osservavano puntini in movimento e, dopo un breve intervallo, si doveva ricordare la direzione in cui si
stavano spostando. Il trasferimento dell'abilità, quindi, in questo caso c'è. Inoltre l'elettroencefalografia ha
mostrato che con l'esercizio cala l'attività in alcune zone della corteccia visiva, un dato interpretato come
segno di una maggiore efficienza nel compito mnemonico. Tuttavia anche questo esperimento ha i suoi limiti:
il gruppo era di soli 15 anziani, si esaminava una sola facoltà, i benefici non si ottenevano se durante il gioco
si svolgevano altre attività, e non si è verificato se l'effetto persista oltre una settimana. Per conservare i
benefici potrebbe dunque essere necessario un allenamento continuo. Anche su questo fronte il giudizio di
Ballard resta interlocutorio, anche perché interventi di provata utilità per mantenere in forma il cervello ce ne
sono già, sebbene più banali dei videogame: l'attività fisica e una ricca vita sociale e culturale, per esempio,
hanno dimostrato benefici impressionanti nell'aiutare persone con i segni fisici dell'Alzheimer a mantenere per
anni funzioni mentali normali. Lo studio di «Nature» e BBC prevede una seconda branche sugli
ultrasessantenni, ancora in corso. «Attendiamo i risultati con ansia, forse già nei prossimi mesi», spiega
Ballard. «La questione è ancora aperta. Ritardare la demenza anche solo di cinque anni avrebbe benefici
immensi, e abbiamo il dovere di provare tutte le piste promettenti, ma finché non avremo prove più
convincenti il miglior modo per ridurre i rischi resta il solito: mangiare sano, tenersi attivi, evitare fumo e
sovrappeso e controllare pressione e colesterolo».
• I giochi d'azione Ironicamente, un alleato più fidato della nostra mente potrebbero essere i giochi d'azione,
che appaiono molto più efficaci nel migliorare uno spettro di abilità non limitate al compito svolto. Vari studi
mostrano che gli amanti dei giochi «spara-spara» hanno tempi di reazione più rapidi, e non a scapito della
precisione. Una possibile spiegazione è giunta a dicembre su «Current Biology» da un team dell'Università di
Rochester guidato da Daphne Bavelier: questi giochi sviluppano l'abilità nel prendere decisioni rapide e
accurate in base alle informazioni che si captano dall'ambiente (la cosiddetta «inferenza probabilistica»), che
sarebbe utile in molte situazioni. Nel test di Bavelier e colleghi, i soggetti vedevano una serie di puntini in
movimento in varie direzioni e dovevano decidere qual era la direzione di spostamento predominante. I
giocatori abituali di videogame d'azione surclassavano gli altri in questo compito di discriminazione visiva,
dando più in fretta le risposte giuste. Ma non solo: erano più bravi anche in un compito uditivo, distinguere da
dove proveniva un suono in cuffia. Ai non giocatori bastavano comunque 50 ore di allenamento per mettersi
in pari, a riprova che l'effetto era dovuto alla pratica del gioco. «A differenza dell'apprendimento usuale, in cui
ci sono soluzioni corrette ben definite e specifiche, qui non si sa da che parte uscirà il mostro e si deve
imparare a valutare in fretta una situazione imprevedibile. Quindi, l'unica caratteristica che si può apprendere
è come fare al volo i calcoli per valutare con rapidità e precisione le informazioni che ci si prospettano», ha
commentato Bavelier. Con ogni probabilità, insomma, lo studio di «Nature» non è l'ultima parola sul brain
training, ma ora più che mai l'onere della prova ricade su chi li propugna. Il verdetto, soprattutto per gli
anziani, resta sospeso, e il consiglio degli esperti è abbastanza concorde: chi si diverte giochi pure, ma senza
aspettarsi miracoli, e senza per questo trascurare l'esercizio fisico o la vita sociale.
• Le psicoterapie Se giocare non ci trasforma in geni, i giochi al computer si mostrano invece utili per aiutare
chi ha bisogni particolari, per esempio nelle psicoterapie. L'idea è nata intorno ai primi anni ottanta, con
l'avvento stesso dei videogame, quando qualcuno immaginava addirittura computer capaci di sostituire il
terapeuta instaurando una relazione con il paziente. L'ipotesi non ha mai riscosso gran credito, ma i
videogiochi si sono dimostrati validi ausili dello psicologo. «I videogiochi sono soltanto uno strumento, non si
sostituiscono in alcun modo ai diversi approcci psicoterapeutici esistenti. Si sposano particolarmente bene
con l'approccio cognitivo-comportamentale», conferma Paolo Fuligni, psicoterapeuta con varie esperienze
10/03/2011
Mente e Cervello - N.75 - marzo 2011
Pag. 32
(tiratura:25000)
VIDEOGIOCHI - Rassegna Stampa 11/03/2011
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La proprietà intelletuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
terapeutiche e di ricerca, oggi libero professionista attivo anche in diverse associazioni. Tuttavia, come
osserva lo psichiatra Tolga Atilla Ceranoglu, del Massachusetts General Hospital di Boston, su «Review of
General Psychology», a fronte di tante casistiche su piccoli numeri di pazienti in una varietà di situazioni e di
approcci, scarseggiano le valutazioni sistematiche e le prove d'efficacia robuste. I giochi trovano spazio in
vari momenti del percorso terapeutico, a partire dalla costruzione del rapporto con il paziente, in particolare
con le categorie più ostiche da coinvolgere con la sola parola, come sono spesso bambini e giovani.
Esperienze positive in tal senso sono state fatte anche in contesti diffìcili come quelli penitenziari: prima con
versioni computerizzate di giochi da tavolo, pensate per esempio per rendere i giovani più consapevoli delle
conseguenze delle loro azioni, e poi con comuni videogame d'azione, d'avventura o di ruolo, oppure con
giochi modificati a seconda delle esigenze terapeutiche. «Tutti gli studi convengono che i giovani sono più
cooperativi ed entusiasti e la relazione terapeutica emerge più in fretta. I videogame offrono quindi
un'opportunità, specie quando gli approcci tradizionali falliscono, anche se i piccoli numeri e la mancanza di
controlli non permettono di trarre conclusioni generali sulla loro efficacia», conclude Ceranoglu.
• Prove senza rischio A terapia avviata, osservare come si comporta il giocatore aiuta a valutare aspetti
cognitivi come le abilità visivo-spaziali e la memoria, o le capacità motorie o di pianificazione e problem
solving in situazioni nuove, o ancora la tolleranza alla frustrazione delle sconfitte. La scelta dei contenuti tra
una lista di proposte e lo stile di gioco rivelano inoltre molti indizi sulla vita psichica e i conflitti interni e offrono
occasioni per elaborarli. «Se potessimo arrivare a una standardizzazione, che però richiede tempo e risorse, i
giochi osserva Fuligni - potrebbero anche diventare veri e propri strumenti diagnostici, utili per esempio a
evidenziare determinate carenze». Infine, e forse soprattutto, il computer offre mondi virtuali in cui
sperimentare il cambiamento, provando senza rischio i nuovi comportamenti. «Partiamo da una difficoltà
sentita in psicoterapia», spiega Fuligni. «Il difficile non è parlare dei problemi delle persone, ma indurle a fare
qualcosa per superarli. Il videogame è facile da proporre, è più o meno divertente, ha spesso grafica ed effetti
sonori accattivanti, e risulta intrigante per il destinatario. Noi lavoriamo proficuamente con simulatori di volo di
modesta complessità per desensibilizzare soggetti con paura di volare. E otteniamo risultati importanti con i
giochi gestionali per migliorare attenzione e capacità di memorizzazione nei giovanissimi, ma anche negli
anziani». Le recenti evoluzioni tecnologiche offrono prospettive ancora più interessanti. Da un lato c'è la
ricostruzione di veri e propri mondi alternativi con la realtà virtuale. «Negli Stati Uniti sono già disponibili
strumenti specifici ideati per esporre le persone alle situazioni temute in realtà virtuale, per esempio gli
acrofobici a grandi altezze, con ottimi risultati», spiega Fuligni. «Il grande vantaggio è che questi giochi
offrono un'esperienza sì virtuale, ma finalmente diretta! Non mediata dalle parole del terapeuta, ma
percettivamente ed emotivamente vissuta dal soggetto». Dall'altra parte, i giochi on line che permettono di
vivere vere interazioni sociali in ambienti controllati sembrano ancora più efficaci per chi ha difficoltà su
questo fronte. «E bello vedere persone timide o timorose, abitualmente inibite e represse, vivere slanci e
passioni nella situazione ludica dei caratteristici giochi di ruolo, immedesimandosi nei loro personaggi
virtuali», commenta Fuligni.
• Il lato oscuro In parallelo con gli entusiasmi, il dibattito sui videogame è segnato dalle paure per i temuti
effetti negativi. I videogiochi sono spesso descritti come una nuova droga, ma come ha rilevato a più riprese
uno dei maggiori studiosi del fenomeno, Mark Griffiths della Nottingham Trent University, la dipendenza vera
e propria, con il suo corollario di disturbi quali depressione, ansie e problemi sociali e scolastici duraturi e
difficili da sradicare, è in realtà piuttosto rara. Molto più frequente è l'abuso, dovunque si voglia tracciare il
limite tra sano divertimento ed esagerazione. Rischi come sedentarietà e isolamento sociale e culturale sono
indubbi, ma oggi meno di un tempo, grazie ai giochi interattivi on line e ai giochi sportivi in cui ci si muove
davvero, come quelli per Wii. Christopher J. Ferguson, della Texas A&M International University, a fine 2010
ha smentito sul «Journal of Psychiatric Research» che tv e videogame siano una causa importante di disturbi
dell'attenzione e problemi scolastici. Convinto che gli studi condotti non avessero considerato con la dovuta
attenzione tutte le possibili variabili che concorrono a determinare questi disturbi, ha somministrato a oltre
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Mente e Cervello - N.75 - marzo 2011
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(tiratura:25000)
VIDEOGIOCHI - Rassegna Stampa 11/03/2011
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La proprietà intelletuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
600 ragazzi tra i 10 e i 14 anni e ai loro genitori una batteria di questionari e test, concludendone che i fattori
di rischio per i problemi d'attenzione sono il sesso maschile, i tratti antisociali, l'ansia e l'ambiente domestico,
mentre il successo scolastico dipende più di ogni altra cosa dal reddito familiare. Fatta la tara per questi
fattori, il tempo davanti allo schermo o il contenuto violento di ciò che vi compare non sono rilevanti. Gli effetti
della violenza nei videogiochi, e in generale nei media, sono senz'altro il punto che ha suscitato più
controversie. Sul tema si confrontano da anni due visioni. Una, che fa capo allo stesso Ferguson, ritiene che
gli allarmi sui videogiochi violenti che stimolano l'aggressività nei giovani siano solo l'ultima manifestazione di
una diffidenza verso i nuovi media che risale addirittura a Platone, che ipotizzava di vietare il teatro per i suoi
effetti deleteri sulla gioventù, ed è continuata sistematicamente nella storia. La versione più recente di questa
diffidenza, quella verso tv e computer, è suffragata ovviamente da teorie psicologiche sulla genesi dei
comportamenti violenti e da molte ricerche sperimentali, che presenterebbero però gravi vizi di fondo. Per
esempio, il fatto che gli studi che dimostrano un effetto vengono pubblicati più facilmente mentre quelli
negativi restano spesso nel cassetto, dando un panorama distorto delle ricerche. 0 la mancata distinzione tra
aggressività patologica o violenza conclamata e quell'aggressività fisiologica che è una componente normale
e adattativa del nostro comportamento. E via dicendo, con una sfilza di critiche a cui i sostenitori del nesso tra
media e comportamenti violenti, primo fra tutti Craig A. Anderson della Iowa State University, hanno risposto
affinando di continuo gli studi e le revisioni d'insieme delle ricerche. In una metanalisi molto completa,
pubblicata nel 2010 su «Psychological Bulletin», Anderson ha rintuzzato le critiche ribadendo le sue
conclusioni: ci sono forti prove che l'esposizione a videogame violenti favorisca emozioni, pensieri e
comportamenti aggressivi, sia nell'immediato sia a lungo termine, e la riduzione dell'empatia e dei
comportamenti prosociali. Ma Ferguson critica anche le nuove analisi, sostenendo oltretutto che gli effetti,
ammesso che siano veri, sono molto modesti rispetto a fattori sociali o biologici ben più decisivi. Come
provato, peraltro, dal deciso calo di crimini violenti come gli omicidi avvenuto negli Stati Uniti negli ultimi anni
a fronte dell'espansione dei videogame. Il dibattito, insomma, è destinato a continuare. •
Tetris come vaccino cognitivo Chi subisce un trauma può sviluppare disturbi caratterizzati dal riaffacciarsi
automatico e indesiderato di memorie legate all'evento: i cosiddetti flashback, memorie visive dalla forte
connotazione emotiva, che, se gravi e persistenti, arrivano a determinare il disturbo posttraumatico da stress
o PTSD. Mentre esistono psicoterapie efficaci per il PTSD conclamato, non ci sono interventi per prevenirlo in
chi ha appena subito un trauma. Un team di psichiatri di Oxford guidato da Emily Holmes, in un articolo
pubblicato su «PLoS One», ha proposto di usare un videogame, il Tetris, come «vaccino cognitivo» per
prevenire i flashback. La teoria ispiratrice è semplice. I flashback sono memorie visive nitide e coinvolgenti
(per esempio l'immagine di un amico coperto di sangue), che si consolidano entro sei ore dall'evento; se in
quelle stesse ore si svolgesse un altro compito visivo, questo potrebbe interferire con il consolidamento delle
memorie, indebolendolo e riducendo i flashback. Il Tetris, che impegna l'attenzione e l'elaborazione visiva, è
dunque un buon candidato. Gli esperimenti, in cui i volontari osservavano video violenti e poi giocavano a
Tetris, ne hanno confermato l'efficacia, fino ad almeno quattro ore dopo la visione. Il Pub Quiz, un gioco
verbale di cultura generale, non ha lo stesso effetto, e anche questo si spiega: un compito verbale non
disturba l'elaborazione visiva; anzi, interferendo con l'elaborazione concettuale necessaria a dare un senso
all'esperienza traumatica, rischia addirittura di peggiorare le cose.
Videogame e terapie mediche Alcuni videogiochi si sono rivelati un buon ausilio alle terapie mediche. In
primo luogo, la loro capacità di assorbire l'attenzione aiuta a distrarre dal dolore e da altre sensazioni
spiacevoli, e studi clinici hanno mostrato che riducono la nausea, la pressione arteriosa e il fabbisogno di
analgesici nei giovani sottoposti a vari trattamenti quali le chemioterapie antitumorali. In fisioterapia e
riabilitazione, vari videogiochi sono stati usati per indurre il paziente a compiere i movimenti richiesti in modo
divertente e distraendolo dal disagio, in condizioni che vanno dalle lesioni alle braccia o alla spina dorsale a
gravi ustioni, fino a malattie come la distrofia muscolare o paralisi di origine neurologica. I videogame hanno
anche aiutato lo sviluppo di abilità spaziali e sociali in bambini e adolescenti con disturbi di tipo autistico,
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La proprietà intelletuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
problemi di impulsività e di attenzione e gravi disturbi dell'apprendimento. E gli ambiti di applicazione
continuano ad allargarsi. I giochi visivi per esempio migliorano la visione nei bambini con ambliopia (Inocchio
pigro»), e a settembre uno studio su «PLoS Biology» ne ha mostrato l'efficacia anche negli adulti, anche se
resta da chiarire la durata dell'effetto.
Giochiamo, dottore? Per quanto efficace sia una terapia, applicarla non porta sempre ai risultati desiderati.
Spesso i sanitari sbagliano, e ancora più spesso i pazienti non ne seguono le indicazioni, per errore o per
scarsa convinzione. Contro entrambi i fenomeni trovano spazio crescente i serious game, i giochi con finalità
istruttive. Un classico è Packy and Marion, in cui i bambini diabetici sono elefanti che per sbarazzarsi dei ratti
devono procurarsi cibo e assumere insulina mantenendo i giusti livelli di glicemia. È stato provato che il gioco
migliora sia la consapevolezza dei giusti comportamenti sia gli esiti clinici. Sulla stessa scia, Bronkie the
Bronchiasaurus istruisce i piccoli asmatici e Spirogame li abitua a districarsi tra le difficoltà della spirometria.
Quanto alla formazione dei medici, The Oncology Game richiede agli studenti di curare in gruppo un malato
di cancro, abituandoli alla complessità della gestione multidisciplinare della malattia, e ci sono giochi analoghi
in altri ambiti clinici, come la diagnosi dei disturbi respiratori.
Foto: I giochi on line che permettono di vivere vere interazioni sociali in ambienti controllati sono efficaci
nell'aiutare chi ha problemi nelle relazioni interpersonali