testo - Mistero Grande

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testo - Mistero Grande
PARROCCHIA DI BOVOLONE
CATECHESI CFE N° 140 ANNO PASTORALE 2008 – 2009
(settimana dal 16 al 20 marzo 2009)
“Dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la mèta” Fil. 3,13b-14
Dal Lettera di San Paolo Apostolo ai Filippesi
3, 7-14
7
3 Ma quello che poteva essere per me un guadagno, l'ho considerato una perdita a motivo di
Cristo. 8Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di
Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come
spazzatura, al fine di guadagnare Cristo 9e di essere trovato in lui, non con una mia giustizia
derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo, cioè con la giustizia che
deriva da Dio, basata sulla fede. 10E questo perché io possa conoscere lui, la potenza della sua
risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, 11con
la speranza di giungere alla risurrezione dai morti. 12Non però che io abbia già conquistato il
premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché
anch'io sono stato conquistato da Gesù Cristo. 13Fratelli, io non ritengo ancora di esservi
giunto, questo soltanto so: dimentico del passato e proteso verso il futuro, 14corro verso la
mèta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù.
Ancora una volta, ritorna Cristo come motivo fondamentale per le sue scelte. Al fuori di Lui, la
radicalità espressa in queste righe non avrebbe senso. Lo diremmo pazzo. S. Paolo è stato così
fortemente conquistato da Cristo, affascinato da Lui, amato da Lui sulla via di Damasco, che non lo
potrà mai dimenticare!
Anzi, frequentemente, vi fa riferimento. Per lui è come attingere al pozzo dell’amore di Cristo,
attingere l’acqua viva capace di rivitalizzare la sua esistenza, il suo essere in Cristo. Proprio perché
amato da Lui, ora è S. Paolo a correre dietro a Cristo per non perderlo, per non perdere il suo amore.
Mi piace immaginare l’amore di S. Paolo per Cristo come l’amore di due fidanzati che,
affascinati l’un dell’altra, rincorrendosi giocano a nascondino, dove ora una è nascosta e lascia
tracce perché l’altro la cerchi fino a trovarla e viceversa. Con lo scopo, poi, di sedersi uno accanto
all’altra e stringersi in un forte e caldo abbraccio. Così S. Paolo dice: “Sono proteso verso di Lui,
Lui solo mi interessa e non vedo l’ora di essere in Lui, conoscerlo così intimamente da essere una
cosa sola con Lui. Amare fino a partecipare “delle sue sofferenze, della sua morte, nella speranza
di giungere alla resurrezione dai morti” Fil. 3, 10. È qui che S. Paolo utilizza il linguaggio
atletico. Da buon podista non guarda indietro, ma “dimentico del passato e proteso verso il
futuro, corro verso la mèta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo
Gesù” Fil. 3,13b-14. Sappiamo che Paolo, quando scrive questa lettera, non è all'inizio delle sue
fatiche apostoliche. Eppure sa di non «essere arrivato». Gesù lo ha conquistato una volta per tutte,
ma la personale adesione dell'apostolo all'iniziativa del Signore sulla sua vita è ancora in cammino
verso una mèta che appare sempre lontana. La vita cristiana ha questo strano carattere: più si
procede nell'esperienza della fede e del servizio del Signore, più ci si accorge della distanza che
ancora ci separa da lui. Non resta che continuare a produrre uno sforzo senza lasciarsi scoraggiare
dalla lunghezza della via. Il Signore stesso, nella sua misericordia, un giorno colmerà questa
distanza; e allora l'incontro pieno e definitivo non sarà frutto dei nostri impegni di perfezione, che
pure sono necessari, ma dono stupendo del suo amore.
S. Paolo, ancora, ci dice qual è il modo giusto per conoscere Gesù.non è quello di conoscere la
sua carta d’identità: quando e dove è nato, che cosa ha fatto, quando e dove è morto; ma conoscere
il suo amore per noi. Infatti lo chiama “mio Signore”, per indicare di quale amore è stato amato da
Gesù. È l’amore proprio di Dio. Dire: Gesù è Signore, è come dire Gesù è Dio. Gesù è mio Signore
è come dire Gesù è il mio Dio. Ed è questo amore che ha dato a S. Paolo la forza e il coraggio per
considerare spazzatura tante cose in sé buone, che gli appartenevano prima, e con le quali pensava
di essere buono davanti a Dio.
Dice, S. Paolo, che dimentica il passato. Cosa vuol dire questo dimenticare il passato? Sia nel
senso di non far più conto dei propri peccati e infedeltà, sia nel senso di non inorgoglirci e riposare
sui nostri atti virtuosi come se la salvezza dipendesse esclusivamente da essi. Questo soltanto si
deve capire: che il Signore ci attende al termine di una lunga corsa per donarci un premio
infinitamente superiore a ogni nostra più rosea attesa. La vita diventa così un'unica entusiasmante
corsa verso di lui. Viene superata di slancio ogni idea di religione come un seguito di atti abitudinari
e ripetitivi, quasi un girare intorno alle solite cose nell'illusione che producano accumulo di meriti e
garantiscano la giustificazione. «Protesi verso l'avvenire»: così i cristiani scoprono ogni giorno la
bellezza e la novità della fede.
Concludendo il riferimento alla gara potremmo domandarci: Allora siamo in competizione gli uni
gli altri? No, dice S. Paolo, egli vede la gara come salvezza per altri, non come affermazione di sé.
La lotta è per la missione che è a vantaggio di tutti, perché tutti possano conoscere Gesù. Questo gli
era stato detto il giorno della sua vocazione: “Rivelo a te Cristo, mio Figlio, perché tu lo faccia
conoscere a tutti”. Se S. Paolo gareggia è per far vincere tutti. Corre nello stadio con molti altri, ma
per farli emergere, non per superarli. Qua potremmo pensare a certe nostre relazioni, se anche noi
abbiamo questa capacità di far emergere gli altri. Nell'agonismo è insita la competitività, che invece
non va assolutamente posta a regola di vita: nemmeno per arrivare al primo posto nel regno dei
cieli. Quante tentazioni, invece, anche in questo: “Voglio essere migliore degli altri”! La
concentrazione di tutte le proprie forze non è per emergere, bensì per amare. Potremmo pensare alle
gare delle Olimpiadi, quando gli atleti sono lì, pronti per partire. Pensiamo alla gara dei 100. mt:
meno di dieci secondi di gara, preparata magari da anni, e gli atleti sono lì concentrati, per
concentrare tutte le loro forze: mentali, affettive, fisiche. Non riescono neanche a riconoscere
l’avversario vicino, i giudici, la folla sugli spalti che fa il tifo, che grida, che incita. Tanta è la loro
concentrazione, proprio per poter essere vittoriosi. Certo la medaglia d’oro è importante, ma non è
tutta la vita. Allora anche noi essere concentrati, concentrare tutte le nostre forze per poter amare
come Cristo. Ecco, allora, che l’immagine della gara sportiva, podistica può essere per noi un
incitamento ad essere più intimi a Gesù. E credo che sia proprio questo l’intento di S. Paolo con
queste righe che abbiamo meditato questa sera. Vuole ulteriormente farci capire: “Chi è che ti deve
stare a cuore? Cristo, e cercare Lui soltanto, un rapporto intimo con Lui.”
Potemmo porre delle domande, o meglio, lasciarcele porre da S. Paolo, il quale potrebbe
chiederci più o meno così: “Vuoi conoscere la salvezza? Vuoi poter annunciare il Vangelo? Vuoi
essere efficace nel tuo agire? Vuoi essere fruttuoso nelle tue relazioni?” Quale sarebbe la sua
risposta? “Lasciati afferrare da Gesù Cristo. Cerca di non lasciare cadere nessun appuntamento che
Lui da a te, nella tua vita, per incontrarti. E non sentirti mai arrivato, come me”. “Non sono ancora
arrivato, dice, non mi sento ancora arrivato, però sento che sono chiamato a stare con Gesù”.
Forse pretendiamo anche noi un episodio come il suo sulla via di Damasco. Qualche situazione
importante, solenne, nella quale il Signore possa parlarci. Ma, normalmente, il Signore ci parla nelle
cose di tutti i giorni, nelle esperienze più normali, ordinarie, le altre, appunto le chiamiamo
straordinarie, fuori dell’ordinario.
Chiediamo a S. Paolo che ci dia il suo desiderio di conoscere Gesù, ci aiuti, ci conceda di poter
fare un’esperienza come la sua. Di aver conosciuto Gesù intimamente. E una volta conosciuto, non
cerchiamo di non lasciarcelo scappare. Corriamo dietro a Lui sempre, e nel momento della difficoltà
del buio, della stanchezza, facciamo memoria di quando abbiamo incontrato Gesù. Sì, o Gesù ti ho
incontrato, e voglio poterti incontrare nuovamente. Ora, forse, ho peccato, mi sono allontanato da
Te, mi sono stancato, la vita è difficile, dura, ma voglio ritornare a Te, come S. Paolo, che mai ti ha
dimenticato. Allora, anche se mi trovo in carcere, in difficoltà, umiliato, messo da una parte, corro
sebbene legato da tanti lacci, ma corro interiormente con il mio cuore, con il amore per Te e per gli
altri, amore che diventa preghiera, amore che diventa offerta della mia vita, amore che diventa
anche sacrificio.