Giorgino mangiabombe

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Giorgino mangiabombe
Indice
Introduzione
Giorgino mangiabombe
Rabbia e tristezza nell’infanzia: come insegnare
ai nostri bambini a riconoscerle, affrontarle e disinnescarle
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01. Giorgino va dai nonni
02. La lite con Eva
03. La nonna telefona al dottore
04. Le bombe di nonno Bruno
05. Disinnescare la bomba
06. Cani
07. Treni
08. L’orrido
09. Il freddo
10. La pizza
La cornice delle idee
Il tempo è una risorsa preziosa, non ne va sprecato
neppure un centimetro
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01. Celeste incontra la vecchia signora
02. La cornice e l’esploratore
03. Il Castello del Tempo
04. L’incontro con Genziano
05. I sotterranei del castello
06. La Sala dei Bachi
07. Le palline del tempo
08. La Sala dell’Arazzo
09. I fili del tempo
10. Ogni filo una persona
11. I bottoni d’oro
12. Le mappe del Tempo
13. La fine della storia
La figlia dell’orco
Come è difficile allevare un vero papà!
01. Vita da orchi
02. Il cucciolo
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03. Mago Kokko
04. Balonza
05. Alla ricerca della radura
06. Le uova
07. Uno solo…
08. La scelta
09. La partenza
10. La spada
11. Un nome
12. L’orchessa
13. Orlimpia
14. Il topolino bianco
15. Vaniglia
16. Il giardino di Orlimpia
17. Paura
18. Il segreto di Orlimpia
19. Due
Conclusioni
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Prefazione
Introduzione
Sin da quando siamo molto piccoli, veniamo colpiti da emozioni di segno diverso: felicità, gioia, serenità, sorpresa e naturalmente
paura, dispiacere, dolore e angoscia. In particolare nella prima fase
della nostra vita, le emozioni negative ci investono senza che siamo
in grado di difenderci o di proteggerci da esse in alcun modo.
Gli adulti dispongono di numerosi strumenti per fare fronte
a quello che li ferisce: hanno strumenti operativi per cambiare
la situazione e strumenti funzionali, primo fra tutti l’uso della
parola; grazie a quest’ultima sono in grado di esprimere quello
che sentono, per prenderne le distanze almeno in parte; «mi sono
sfogato» dicono gli adulti.
I bambini in età prescolare invece difficilmente sono in grado
di dire cosa li disturba: si tratta dell’assenza della mamma, quando
deve andare a lavorare; oppure è l’arrivo di un fratello piccolo
che genera vissuti di gelosia e di rivalità; o si tratta invece di un
amichetto più grande che li fa sentire piccoli e impotenti.
I bambini si trovano costretti ad affrontare tante emozioni
negative, senza essere ancora attrezzati per farlo e di solito le fronteggiano con l’unica strategia che hanno in tasca: l’evitamento.
Cercano di sfuggire appena possibile a quello che li fa stare
male; dimenticano, cancellano, ignorano volutamente i vissuti
dolorosi.
Naturalmente questo non elimina la realtà, non la modifica,
non la migliora. Semplicemente la nasconde per un po’. Le ragioni
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della sofferenza vengono ignorate, per non provare dolore, per
tenerlo a distanza. Tuttavia le emozioni negative non si annullano
affatto, ma restano sospese e come tutte le cose sospese sono destinate, prima o poi, a riapparire. Magari sotto una veste diversa.
I capricci, i dispetti, le provocazioni, oppure la lagna interminabile che appaiono senza una ragione evidente, ci indispettiscono,
ci provocano, ci sfiniscono e ci fanno sentire impotenti. Di fatto
sono il modo di cui i bambini dispongono per esprimere quello
che non hanno saputo dirci.
Lo scopo dell’intervento educativo è evidentemente quello
di passare dal pianto e dal lamento all’azione, fosse anche quella
di mettere in parole il malessere. Il ruolo del genitore è importantissimo e risulta strategica la sua capacità di decodificare il
capriccio o il pianto, per riportarlo su un piano gestibile, affinché
acquisti senso.
Qual è allora il compito del genitore o dell’educatore, di fronte
a questi comportamenti? Sicuramente un ascolto attento per capire
cosa si cela dietro di essi. Non certo perché la rabbia possa avere
il sopravvento, sia chiaro. L’intervento del genitore deve essere in
grado di ridurla, facendo capire al bambino che non è quella la
strada attraverso cui dovrà imparare a esprimersi. E tuttavia da
parte del genitore è importante non lasciare inascoltato questo
appello, ma interrogarsi e cercare di capire che cosa manifesta, da
cosa è originato, che cosa vorrebbe esprimere.
E che fa il buon genitore una volta che ha capito, o che crede
di aver capito? Quando la mamma, il papà o l’educatrice ipotizzano
che i capricci del bambino sono segno della gelosia per l’arrivo del
fratellino, o per l’assenza di mamma, che cosa possono fare?
Mettere a disposizione del loro bambino le parole per dare
forma a un dispiacere. Aiutarlo, con piccoli suggerimenti discreti, a
trovare la strada perché sia lui/lei, pian piano nel tempo, non solo
a dipanare la matassa delle proprie emozioni, ma soprattutto ad
acquisirne il metodo; che impari, appena possibile, a interrogare
la sua rabbia, le sue lacrime, la sua sofferenza, per dargli forma e
quindi senso.
All’uscita dell’asilo Cristina e sua figlia Giulia, di 4 anni, si
trovano coinvolte in un violento capriccio. Uso l’espressione «si
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trovano coinvolte» perché è la bambina che dà origine al tutto,
ma poi ci si ritrova quasi imprigionata suo malgrado e non riesce
più a terminarlo, a smettere.
«Voglio andare a casa di Sofia! Voglio andare a casa di Sofia!»
Giulia ripete il ritornello, urlandolo tra le lacrime, mentre la madre
le ripete con pazienza che non è possibile e cerca di farle capire
perché in quel momento non possono andare a casa dell’amichetta.
I ragionamenti materni non hanno alcun effetto sulla bambina.
Sembra piuttosto che Giulia stia lasciando emergere tutta la sua
rabbia nei confronti di qualcosa di impossibile.
«Altre volte è così ragionevole» mi dice la madre. Eppure
oggi non c’è nulla da fare.
La bambina manifesta contro qualcosa che non può essere
modificato e si ostina, prendendo a pretesto il suo desiderio di
andare a casa di Sofia. Sta combattendo in modo deciso contro
qualcosa che lei sente impossibile da superare, ma che non ha
nulla a che fare con Sofia. Per questo non riesce a calmarsi. Urla,
ma non sa neppure lei perché continua.
In situazioni di questo tipo, sta alla madre o all’adulto presente capire contro cosa stia urlando la bambina. Purtroppo non
può chiederglielo direttamente, perche la piccola ripeterà che ciò
che desidera è andare a casa di Sofia.
Se però la madre riesce a intuire qual è l’impossibile contro
cui la bimba sta lottando, può provare a suggerirlo: piano, morbidamente, senza aggressività, senza certezze, più attenta ad ascoltare
gli effetti delle sue parole che a convincere la piccola.
«Io lo so perché piangi» potrebbe dire Cristina. «Me lo
ha detto un mago, o un fiore (… o chissà che altro). Tu piangi
perché… vuoi il papà.» È un’ipotesi, beninteso. La mamma
che conosce la sua piccola dovrebbe avere abbastanza indicazioni per capire qual è il dolore che fa da motore al capriccio
di Giulia.
Si tratta di una sorta di interpretazione, di una chiave da
inserire in una serratura, senza sapere se aprirà la porta. Meglio:
si tratta di provare a disinnescare una bomba. Con la stessa circospezione di un artificiere, è importante avvicinarsi al bambino e
dolcemente porgergli una chiave di interpretazione. Se la chiave è
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Il viaggio è stato lungo, ma nonna Amalia ha
fatto gli gnocchi con il ragù e Giorgino li ha presi
due volte: sono proprio buoni!
Essere lì è una festa: Giorgino corre a giocare
nell’orto del nonno. È talmente occupato con i polli
e le caprette che non si accorge neppure che papà,
mamma e Camilla sono già ripartiti per tornare in
città. Quando la nonna lo chiama, perché è pronta
la cena, Giorgino rimane un po’ male: i suoi genitori non l’hanno neppure salutato.
Lui però non dice nulla: a casa dei nonni ci sono
tante cose belle da fare e presto si dimentica di quello che è successo. Aiuta il nonno a dare da mangiare
alle colombe, innaffiano l’orto insieme e alla fine
della giornata Giorgino è così stanco che appena
tocca il letto si addormenta.
2. La lite con Eva
È soltanto qualche giorno dopo, mentre sta giocando con Eva, la bambina che abita in paese, che
succede… quel che succede. Giorgino ed Eva stanno
disegnando. Lei ha preso il pennarello rosso, questo
è vero, perché sta colorando il tetto di una casa e
non vuole darlo a Giorgino fino a quando non ha
finito. Il pennarello rosso però serve anche a lui per
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colorare la Ferrari Testa Rossa che ha disegnato: insomma il rosso serve a tutti e due.
Giorgino aspetta un pochino, poi lo chiede, poi
lo chiede ancora, ma Eva continua a colorare il suo
tetto; Giorgino non ce la fa proprio più ad aspettare
e alla fine si mette a piangere, a urlare e a dire parolacce. E poi sputa, tira i pennarelli e poi lancia il suo
foglio, dà un calcio al tavolo, rovescia la sedia…
Eva è ammutolita e anche il nonno e la nonna
osservano la scena in silenzio.
Finalmente Giorgino si calma.
Adesso Eva, che è davvero spaventata, gli ha restituito il pennarello rosso, ma lui non lo vuole più:
non sa che farsene, ormai ha fatto a pezzi anche il
disegno della Ferrari.
Eva vuole tornare a casa e Giorgino si sente in
difficoltà.
La nonna accende la TV e la casa sembra tornare
tranquilla, ma c’è uno strano silenzio. Giorgino ha
paura che il nonno si sia arrabbiato davvero a sentirlo strillare così.
I nonni in cucina quella sera parlano a bassa voce,
mentre preparano la cena.
«Ti sei accorta che gli sono uscite delle scintille
dalle orecchie?» dice nonno Bruno.
«Come no, e tu hai visto quella lucertola che gli
è scappata dal naso?»
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4. Le bombe di nonno Bruno
«Cari miei, ho finalmente capito cosa è successo
ieri pomeriggio» dice la nonna. «Per te Giorgino ci
sono due notizie: una bella e una brutta.»
Il nonno smette di leggere il giornale e guarda
Giorgino.
Lui appoggia la sua fetta di torta sul piatto: che
cosa sta per succedere?
«La bella notizia, Giorgino mio, è che quello che
è successo ieri non è stata colpa tua.»
«Ah no?» risponde il bimbo interessato.
«No. Niente affatto. Devi sapere che il nonno
Bruno quando era un ragazzo ha fatto la guerra.»
Il nonno fa cenno di sì con la testa.
«E quando è tornato a casa si è accorto che gli
erano rimaste per sbaglio alcune bombe nello zaino.
Voleva subito riportarle indietro, ma io non gliel’ho
mai permesso.»
«È vero» conferma il nonno «lei non voleva che
tornassi fin laggiù per riportare qualche stupida
bomba».
«E allora?» chiede Giorgino che non riesce a capire dove va a finire quello strano discorso.
«Allora è chiaro no? E questa è la brutta notizia.
Qualcuna di quelle bombe deve essere finita nella
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tua pastasciutta di ieri e devi averla inghiottita senza
essertene neppure accorto.»
«Ma no…» li rassicura Giorgino «mi capita sempre di urlare anche a casa, quando qualcuno mi fa
proprio arrabbiare».
«Beh, ma quel fuoco, quelle lucertole…» dice la
nonna.
«… e non dimenticare le fiamme» aggiunge il
nonno «temevo che mi avresti incendiato il prato».
Effettivamente una cosa del genere non gli era
mai successa prima, pensa Giorgino.
«E allora che possiamo fare?» vuole sapere il bambino.
«Ho parlato proprio adesso con l’ospedale militare: casi come questo per loro sono molto comuni.
Però mi hanno detto di non sottovalutare la cosa.
Bisogna stare attenti a non farti più arrabbiare, potresti esplodere con tutta la bomba.»
«Vuoi dire che la bomba che ho mangiato non è
esplosa?»
«Eh no, a quest’ora saresti sparpagliato per tutto
il giardino.»
«E allora, me la devono tirare fuori dalla pancia?»
chiede Giorgino a cui adesso è passata la fame e
cammina moooltoo, mooooltooo lentamente fino
al divano.
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7. Treni
Così nonna e nipote continuano a camminare
chiacchierando, fino a quando raggiungono l’edicola della stazione. Qui si fermano a comprare la
«Settimana Enigmistica» per il nonno.
«Possiamo vedere i treni che passano?» chiede
Giorgino. Nonna Amalia sorride e fa di sì con la
testa e i due vanno sul primo binario. «Anche tuo
papà, quando era bambino, amava vedere il passaggio dei treni.».
Proprio in quel momento sta arrivando in stazione un convoglio moderno e velocissimo che corre
verso Milano: sfreccia rapido, facendo un grande
rumore e alzando tutte le carte che si trovano per
terra.
Quando è passato, la nonna si accorge che Giorgino se ne sta fermo e rigido, come un palo della
luce.
«Ehi, Giorgino, che ti succede?» gli chiede.
«Sarà l’effetto della bomba…» dice il bambino.
«… Quel rumore forte e tutto quel vento che mi è
venuto contro. Ho pensato che mi avrebbe portato
via con sé o che mi avrebbe fatto rotolare da qualche
parte, in mezzo ai binari: ho avuto paura. Ma è solo
per via della bomba che ho dentro, tu sai cosa voglio
dire» spiega il bambino.
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«Certo che lo so» dice la nonna. «Ma tu aiutami
a capire meglio, cosa hai provato?»
«Una cosa forte, come… come… una forza rabbiosa» spiega Giorgino. «È come quando nessuno
mi dice quello che sta per succedere e dopo capita e
basta e io penso che potevano anche dirmelo. Che
ci sarebbe stato di male?»
«E quando è successo? Mi puoi fare un esempio?»
chiede la nonna.
«Quando sono venuto qui e nessuno mi ha detto
che ci sarei rimasto da solo e sono partiti tutti. E
loro… non mi hanno neppure salutato.» A Giorgino viene un po’ da piangere, ma non sono lacrime
di dispiacere, perché con i nonni si trova bene.
«Sono lacrime di rabbia le tue» gli dice nonna
Amalia «perché nessuno si preoccupa di spiegarti
cosa sta per succedere e tu vieni sempre preso di
sorpresa».
«È così» dice Giorgino e subito si sente un po’ meglio. Forse anche la seconda scintilla è stata spenta.
8. L’orrido
Dopo aver visto passare un altro treno, nonna e
nipote riprendono il cammino fino al negozio di
Dina. La nonna compra quello che le serve, mentre
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La cornice
delle idee
Il tempo è una risorsa preziosa,
non ne va sprecato neppure un centimetro
1. Celeste incontra la vecchia signora
È estate. Celeste è seduta per terra, in cortile. Si
annoia da morire. Tutti i suoi amici sono partiti per
le vacanze. Da quando è arrivata Violetta, la sua
sorellina, le cose per Celeste sono cambiate.
All’inizio sembrava una grande festa. Papà non
è andato al lavoro per un’intera settimana e sono
rimasti a casa da soli: lui e Celeste. La mattina andavano dalla mamma all’ospedale e poi a vedere
Violetta. Poi se ne tornavano a casa. Una sera sono
andati a mangiare la pizza, una sera al cinema.
Ma da quando mamma è tornata a casa, la vita
di Celeste è peggiorata molto. Non solo papà ha
ripreso il lavoro, ma la mamma è sempre occupata;
da qualche giorno poi è arrivata anche la nonna che
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non fa che le ripeterle di stare in silenzio, perché
mamma è stanca e Violetta dorme.
Celeste si sente davvero molto sola. Solo il gatto
Minù le fa sempre le fusa. Ma Celeste vorrebbe che
qualcuno parlasse un po’ con lei. Come se non bastasse, visto che Violetta è tanto piccola, quest’anno
papà e mamma hanno deciso di rimandare la partenza per il mare.
Che seccatura ricevere una sorella nuova, in piena
estate!
Oggi Celeste ha preso la sua corda ed è uscita a
giocare, ma fuori non c’è nessuno. Si guarda intorno; salta la corda per un po’, poi si ferma. Dei passi?
Arriva qualcuno? Niente.
Il pomeriggio è lungo, caldo e noioso, almeno
fino a quando la bambina non sente un rumore
forte di vetri rotti.
«Magari un bambino ha sfondato un vetro con
una pallonata» pensa Celeste. «Magari!»
Così esce dal cortile di corsa e gira subito a destra,
da dove le è sembrato che venisse quel rumore.
Nel vicolo scorge subito un piccolo negozio buio
che non aveva mai notato prima. La porta è socchiusa.
Attraverso la vetrina vuota si intravvede il viso rugoso di una vecchia signora, che la guarda e le fa cenno di
entrare. Celeste è un po’ intimidita, ma poi si decide.
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«Ricorda un fuoco» dice l’esploratore dopo un
po’.
«Un fuoco?» chiede Celeste, guardando la vecchia
signora.
Ma lei non risponde.
9. I fili del tempo
«Ma cos’è esattamente?» vuol sapere l’esploratore.
Genziano spiega di nuovo, col suo tono più paziente. «Te l’ho detto già detto. Ogni volta che un
bambino nasce sulla Terra, una pallina casca dal
mucchio e il suo filo viene inserito nel grande arazzo. Da quel momento in avanti, il filo si lega con
quello che lo circonda, proprio come sta facendo il
bambino sulla Terra.
Un bimbo appena nato vuole la mamma, cerca
il papà, i fratelli se ce ne sono, il nonno. Poi le
maestre, se va all’asilo, e i suoi nuovi amici. Man
mano che cresce si legherà alle persone che incontra; avrà amori e amicizie. Ma i legami non si
fanno solo con le persone. Ci si lega ai giochi, alle
cose, agli animali, ai luoghi. Se ci pensi bene, non
esiste nulla con cui non sia possibile costruire un
legame.»
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L’esploratore ci pensa.
«Io credo di avere un legame molto speciale con
la ricetta delle melanzane alla parmigiana.»
«Buon per te» dice Genziano. «Ogni legame sulla
terra si trasforma in un nodo nella Sala dell’Arazzo.
Per questo non è un tappeto piatto, ma cresce in
ogni dimensione: in alto, in basso, di lato e in profondità; sembra un groviglio di nodi con montagne
e asperità su tutti i lati.
Ci sono punti pieni di nodi, dove l’arazzo diventa
più alto di una persona, e punti dove i fili corrono
tutti vicini, ma senza intrecciarsi mai tra loro. Ci
sono fili tutti annodati in un angolo e altri che corrono da una parte all’altra dell’arazzo.»
«Quindi dietro ogni filo c’è una persona?» chiede
l’esploratore a voce alta, per vedere se ha capito bene.
Ma Genziano gli fa solo segno di continuare.
«Quando incontro un nuovo amico, i nostri fili
si legano?»
«Esatto.»
«E quando litighiamo?»
«In quel caso il nodo si allenta e può arrivare a
sciogliersi del tutto, oppure con il tempo potremo
fare pace e i nostri fili tornerebbero ad annodarsi.»
L’esploratore si ferma a pensare. Cerca di immaginare la sua vita fino a quel momento, tutti i nodi
che ha intrecciato, tutti quelli che ha sciolto.
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«Vieni dentro» disse il mago. «La faccenda sembra complicata.»
Dentro la capanna era molto diversa da come ci
si sarebbe potuto immaginare vedendola da fuori. Il
pavimento era ricoperto di aghi di pino e le pareti
erano di un colore cangiante tra il verde e il blu.
Come se non bastasse il soffitto era viola e una luce
diffusa dava un’aria accogliente, anche se un po’ insolita. Due grandi pappagalli colorati stavano vicini,
su un grosso trespolo di legno intagliato.
«Allora?» Ma Orchiburdo balbettava.
«Io… io, io…»
«Cooosa?» disse Kokko che ormai era piuttosto
anziano e stava diventando sordo.
«Io… io… non so come dirlo.»
«Dillo forte, figliolo. Queste orecchie non sono
più in garanzia e ogni tanto smettono di funzionare» e dicendo così si diede un gran colpo all’orecchio
destro con il palmo della mano.
«Vorrei un cucciolo.»
«Ma che bella idea, ragazzo. Bravo, bravo.» Disse
il mago, riaprendo la porta e cercando di spingerlo
fuori. «E appena sei padre, vieni a presentarmi il
tuo cucciolo.»
«Ma no. Io… tu mi devi aiutare, io non so come
fare» rispose Orchiburdo, senza spostarsi di un centimetro.
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