settembre musica
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Città Torino Assessorato per la Cultura Movie Club da mercoledì 3 a martedì 9 settembre 1986, ore 16 e 18 Cinema Nuovo Romano "Henze e il cinema" SETTEMBRE MUSICA La rassegna "Henze e il cinema", coordinata dal Movie Club, è organizzata in collaborazione con il Centre Culturel Franco-Italien e il Goethe Institut Turin. Ha collaborato Giovanna Asselle. Il programma è a cura di Roberto Turigliatto. Il film «Royal Ballet», documentario nel quale è contenuto il balletto "Undine" musicato da Henze, già annunciato nel programma generale di Settembre Musica, non verrà proiettate a causa dell'attuale non disponibilità della copia. PROGRAMMA Mercoledì 3 settembre ore 16.00 Muriel ou le temps d'un retour (Muriel, il tempo di un ritorno) di Alain Resnais Francia 1963, 116' versione originale francese ore 18.00 L'amour à mort (id.) di Alain Resnais Francia 1974, 90' versione italiana Giovedì 4 settembre ore 16.00 L'amour à mort versione italiana (replica) ore 18.00 Muriel ou le temps d'un retour versione originale francese (replica) Venerdì 5 settembre ore 16.00 Der junge Torless (I turbamenti del giovane Torless) di Volker Schlòndorff RFT 1977, 87' versione originale tedesca con sottotitoli francesi ore 18.00 L'amour à mort versione italiana (replica) Sabato 6 settembre ore 16.00 Un amore di Swann (Un amour de Swann) di Volker Schlòndorff Francia/RFT 1983, i l i ' versione italiana ore 18.00 Der junge Torless versione originale tedesca con sottotitoli francesi (replica) Domenica 7 settembre ore 16.00 Die verlorene Ehre von Katharina Blum (Il caso Katharina Blum) di Volker Schlòndorff e Margarethe von Trotta RFT 1975, 106' versione originale tedesca ore 18.00 Un amore di Swann versione italiana (replica) Lunedì 8 settembre ore 16.00 Un amore di Swann versione italiana (replica) ore 18.00 Der Junge Torless versione originale tedesca con sottotitoli francesi (replica) Martedì 9 settembre ore 16.00 Muriel ou le temps d'un retour versione originale francese (replica) ore 18.00 Die verlorene Ehre von Katharina Blum versione originale tedesca (replica) Due cineasti per un musicista Mentre anche gli esegeti abitualmente più disattenti vaneggiano oggi di musica da film, ciarlando di "contesto generale", di "esigenze del racconto" e, in buona sostanza, di impossibilità di ascoltare senza vedere, ci si rende retrospettivamente conto che i rapporti tra l'avanguardia musicale europea (la meno "ascoltabile" di tutte) e il cinema sono sempre stati fragili: magari sporadicamente intensissimi, ma del tutto asistematici. Come era logico fosse, del resto: lo iato fra "nuove cinematografie" (Nouvelle Vague, Free Cinema, Nova Vlna ecc.) e nuovi linguaggi musicali si è progressivamente allargato fino a somigliare a un vuoto incolmabile. E non, evidentemente, perché la ricerca dei compositori abbia subito drammatiche battute di arresto, bensì per la persistente riluttanza del cinema ad avvalersi, consapevolmente (cioè non per ricalchi o moduli citazionistici), dei più avanzati contributi della nuova musica. Il che - a onor del vero - non è soltanto tutta colpa del cinema, giacché le richieste in tal senso di registi e produttori sono certamente più numerose dei rifiuti opposti dai compositori (evidentemente immemori delle lezioni "totali", in materia, di un Herrmann o un Sostakovic), o più sottilmente dei cedimenti vissuti come capitoli secondari, e puntualmente svolti semplificando e tradizionalizzando i radicalismi e le intransigenze delle composizioni "alte": si vedano, tanto per fare qualche nome, i casi di Bruno Maderna, Paul Hindemith, Toshiro Mayuzumi, Virgil Thomson. Il caso di Hans Werner Henze è sufficientemente isolato da prestarsi ad alcune considerazioni fuori dall'ovvio. Prima di tutto perché la figura di Henze è solitariamente accampata all'interno della stessa avanguardia; poi perché il suo approccio al cinema, distillato e calibrato, è una rigorosa prosecuzione del grande lavoro sulle forme musicali che caratterizza tutta la sua opera. Henze nasce il 1 luglio 1926 a Gùtersloh, in Westfalia, studia a Braunschweig, Heidelberg, Bieleferd e, finalmente, si perfeziona a Darmstadt, centro motore dell'avanguardia musicale europea, fulcro di ricerca attorno al quale si raccolgono nomi come Maderna, Boulez, Stockhausen. Critico musicale, didatta, direttore d'orchestra, polemista acuto, Henze si slancia nell'esperienza dodecafonica fin dalle primissime composizioni del dopoguerra, ma da queste all'incontro con il cinema dovrà passare un quindicennio. In questo periodo si può dire che Henze sperimenti tutto lo sperimentabile: l'applicazione del metodo dodecafonico è estesa al campo teatrale, sinfonico, cameristico, vocale. Il contatto con i "generi" musicali sembra costituire la spinta risolutoria della creatività di Henze. L'amore per il pastiche, per un kitsch vetero-viennese assaporato in tutto il proprio retrogusto, viene decomposto in strutture algide, in fili di melodia dispersa. Il substrato letterario, l'importanza del testo, appaiono subito evidenti: mitologia e romanticismo, favolistica e cascami dello jugendstìl, moduli arcaici e popolari si fondono in quello che è stato chiamato sbrigativamente "geniale compromesso" tra vecchio e nuovo. Tutto ciò non fa, sulla carta, di Henze un musicista particolarmente adatto al cinema. 11 tipo di linguaggio musicale che egli predilige è tortuoso, iterativo, intrappolante, i suoni aspri, freddi, interminabili. Non stupisce dunque l'esiguità della sua filmografia, né che essa si radichi nello stretto rapporto con due esponenti, appunto, di "nuove cinematografie": il francese Resnais e il tedesco Schlòndorff. Tuttavia, quando nel 1963 musica Muriel, alle sue spalle c'è già qualche ripensamento, oggetto tra l'altro di infuocate polemiche e accuse negli ambienti dell'avanguardia. L'applicazione del metodo weberniano si è fatta meno rigida: o meglio, si è accentuato l'elemento di "riconoscibilità" all'interno del procedimento seriale. Così, anche il puntillismo delle prime opere, che pure trova in Resnais (soprattutto nell'Amour à mort) applicazione costante, si diluisce nel recupero seppure parziale di una certa gestualità sonora e soprattutto nella riproposta di una ripartizione compositiva che guarda a modelli ottocenteschi, in ciò anticipando molta avanguardia neoromantica e postmoderna. In Muriel, dunque, abbiamo gli stratosferici "fragments musicaux" su testi dello sceneggiatore Cayrol, affidati alla voce mozartiana e cristallina, incorporea, della formidabile Rita Streich: le strofe cantate si alternano a momenti di suono "concreto", soprattutto nella sezione degli archi. Un divario tra l'epitaffio ad un lirismo ormai fantasma di se stesso e la predilezione per un'estrema sintesi della materia musi- cale che Der junge Torless, del 1964, sembra già voler risolvere in quest'ultima direzione, auspice forse la tensione letteraria che anima sempre le scelte - meno, poi, gli esiti di Schlòndorff. Sembra un ritorno pieno al puntillismo weberniano, all'ansia di una ricerca sonora che traduca, senza esprimerle, le inquietudini laceranti, il realismo antinaturalistico della vicenda. E invece, quando dodici anni dopo, Henze torna al cinema del regista tedesco con Die verlorene Ehre von Katharina Blum, l'impostazione è radicalmente mutata. Stavolta la forma prescelta è quella della suite sinfonica divisa in "momenti" strettamente correlati al percorso diegetico, fortemente impregnati di drammaturgia. Non tutte le parti sono forse perfettamente equilibrate: gli improvvisi sussulti di violenza percussiva si alternano ai prediletti filamenti "tenuti" dei violini e dei celli, all'inserzione continua di lunghe cadenze solistiche. Un intero repertorio di atteggiamenti musicali sfila in questa partitura, una ricapitolazione di esperienze dalla quale dovranno passare altri otto anni prima che nell'84 Henze si cimenti di nuovo nel cinema dei suoi due cineasti prediletti, con le parallele composizioni di L'amour à mort e Un amour de Swann. Non è un caso che in ambedue Henze recuperi la struttura della forma-sonata. Ma nel film di Resnais la rigida impostazione cameristica (violino, viola, violoncello, flauti, clarinetti, pianoforte e percussione) è forzata dall'interno, polverizzata in istanti che scandiscono, in consonanza con le "quinte" nero-stellate che separano i quadri del racconto, una progressione tragica senza speranza e senza conclusione: il suono si raggruma intorno a centri di luce-ombra, e ripete se stesso in un congelamento impazzito della serialità. In Un amour de Swann, invece, Henze prende alla lettera il pretesto proustiano della sonata di Vinteuil, trasformandolo da artificio della memoria in momento di decostruzione del racconto cinematografico: queste dodici variazioni per orchestra sono l'ultimo omaggio di Henze, applicato al cinema, ad un ennesimo topos del linguaggio musicale. Naturalmente in esse si completa il procedimento di liquefazione e di decantazione dei materiali: l'ipotetica, impossibile " s o n a t a " diventa così agglomerato di una forma alla deriva. La stessa ambigua sensualità del film viene contraddetta dall'insieme di assurde "immagini" sonore. Irripetibile e aristocratica, l'esperienza cinematografica di un compositore come Henze pulsa insieme al difficile respiro delle avanguardie musicali degli ultimi vent'anni, ma costituisce anche un raro connubio di "modelli" applicati con spietato rigore, fuori dalla moda e dall'attualità. Roberto Pugliese MURIEL OU LE TEMPS D'UN RETOUR (MURIEL, IL TEMPO DI UN RITORNO) Regia: Alain Resnais; soggetto e sceneggiatura: Jean Cayrol; fotografia (Eastmancolor): Sacha Vierny; scenografia: Jacques Saulnier; arredamento: Charles Mérangel; musica: Hans Werner Henze; canzoni (voce di Rita Streich): "Déj à " di Paul Colline e Paul Maye; "Sujuk Day" di Georges Delerue; suono: Antoine Bonfanti; montaggio: Kenout Peltier, Eric Pluet. Interpreti: Delphine Seyrig (Hélène Aughain), Jean-Pierre Kerien (Alphonse Noyard), Nita Klein (Francoise), Jean-Baptiste Thierrée (Bernard), Claude Saival (Roland de Smoke), Jean Champion (Ernest), Martine Vatel (Marie-Do), Philippe Laudenbach (Robert), Jean Dasté (l'uomo con la capra), Laurence Badie (Claudie). Produzione: Argos Films, Eclair, Alpha Productions, Les Films de la Plèiade, Dear Films; produttore delegato: Anatole Dauman; direttore di produzione: Philippe Dussart; origine: Francia-Italia 1963: durata; 116' «Boulogne-sur-Mer, novembre 1962. Hélène Aughain, sentendo che la sua esistenza è ora t r o p p o legata al quotidiano, ha improvvisamente desiderio di rivedere colui che fu la grande passione dei suoi sedici anni e da cui la guerra l'ha separata, Alphonse. Gli scrive... Questi è un debole che ama piacere. Da duettista a gerente di bar, Alphonse ha esercitato tutti i mestieri. Accetta l'idea di questo incontro con noncuranza e arriva a Boulogne in compagnia di Franqoise, la sua amante, una giovane attrice di vent'anni.. che presenta come propria nipote. Hélène propone loro di abitare a casa sua. È vedova e fa l'antiquario. Vende nel suo a p p a r t a m e n t o mobili antichi e ha come protettore De Smoke, il suo amante, che dirige un'impresa di demolizione. Con lei vive Bernard, suo figliastro, che, dopo il suo ritorno dall'Algeria, si chiude nel ricordo tragico di Muriel (una ragazza torturata e uccisa) e non ritrova un poco di serenità che accanto alla sua amica Marie-Do. Cosa vuole Hélène? Cosa cerca? Conquistare Alphonse? Modificare la propria vita? C o n f r o n t a r e i propri ricordi? Farvi nascere un avvenire o liberarsene? Lei stessa lo ignora, come Alphonse ignora perché è venuto. Durante quattordici giorni, mentre continuerà a ricevere i suoi clienti, a vedere De Smoke, a invitare i suoi amici, a giocare al casinò, tutti vanno e vengono, errano nella città e, seguendo il caso dei loro incontri, la loro storia o il loro d r a m m a , si mescolano senza legarsi» (Jean Cayrol e Alain Resnais). Bernard tenta di liberarsi dal ricordo ossessivo di Muriel, ricostruendo le " p r o v e " della violenza usata nei suoi confronti attraverso la visione di un filmato in super-8 (un breve documentario sull'Alge- ria) e l'ascolto di brani di registrazione della tortura. Se ne libererà solo con l'uccisione di un compagno del servizio militare, che tenta di ricattarlo e di mettere a tacere la sua coscienza. Subito abbandonerà Boulogne. Hélène e Alphonse cercano inutilmente di ricostruire il loro rapporto sentimentale: i ricordi non coincidono, le tracce sono confuse. Alphonse, che si rivela un bugiardo e un millantatore, cerca un lavoro a Boulogne, entrando in contatto con diversi commercianti e albergatori. La spiegazione della sua reale identità arriva attraverso l'intervento del cognato Ernest, che lo mette di fronte alle sue responsabilità: ha abbandonato la moglie, è un fallito. Ma mentre Ernest lo riporta a casa, Alphonse riesce a fuggire nuovamente... Anche Hélène nasconde un passato poco chiaro: probabilmente ha una figlia abbandonata alle cure di parenti, una sorella con cui ha litigato per ragioni oscure. Ora viene lasciata anche dal figliastro Bernard. Ma tutti i personaggi riprendono la loro strada soli: MarieDo si reca in America Latina, Franyoise rientra a Parigi, la moglie di Alphonse, venuta a cercarlo a Boulogne, si aggira nelle stanze vuote dell'appartamento di Hélène. (Flavio Vergerio, Alain Resnais, Gremese, Roma 1985) Per conferire una sorta di coesione a quel mosaico sparpagliato che è Muriel, avevo chiesto a Jean Cayrol di scrivere alcune strofe che esprimessero in modo poetico i temi principali del film e in particolare quelli della memoria, dell'oblio, del ricordo. Questa soluzione, pur non volendo imitare il coro antico, era motivata da un'esigenza analoga. Il testo doveva essere cantato da Rita Streich come un commento lirico a immagini molto quotidiane. Ma esso rischiava di somigliare a una sorta di spiegazione alquanto banale, e allora ho voluto che non potesse essere inteso che per frammenti: in questo modo il canto contribuisce a creare un clima lirico anziché commentare l'azione. Questa scelta corrisponde d'altronde a una delle rime def film, seguendo la quale c'è sempre un aspetto della realtà che ci sfugge o che resta incomprensibile. La musica è dunque in contrasto, in rottura, con la banalità del quotidiano contenuta nell'immagine. Ma c'erano molti nodi decisivi del film (critica della violenza, della possibilità della crudeltà in ciascuno di noi, critica della nozione media di felicità) che esigevano uno spettatore lucido, in grado di resistere all'identificazione con i personaggi. Abbiamo cercato pertanto di fare in modo che lo spettatore, pur senza rinunciare alla propria emozione, assumesse una certa distanza; abbiamo cercato di suscitare in lui uno stato di inquietudine, di angoscia, nel quale egli potesse sviluppare una riflessione personale. E questa preoccupazione che ha determinato la scelta della musica. Per esempio, pensate alle inquadrature di Boulogne in pieno giorno montate con quelle di notte, quando all'inizio Hélène porta Alphonse e Franqoise a casa sua. Non si trattava di giocare col tempo, di sconvolgere la cronologia; ma semplicemente di acuire la sensibilità dello spettattore, metterlo in uno stato di inquietudine, perfino di irritazione, in modo da tener desta la lucidità della sua coscienza... (Alain Resnais, intervista contenuta nel dossier dedicato a Muriel da "Cinéma", n. 80, novembre 1963) In ogni suo film Alain Resnais cerca uno stile musicale particolare, affidato molto spesso a un compositore estraneo alla musica da film. Costretto a subire il rifiuto di Luigi Daliapiccola ; a Hiroshima mon amour, di Olivier Messiaen per L'année dernière à Marienbad, egli è riuscito ad ottenere la colllaborazione di Hans Werner Henze per Muriel-, primo lavoro per il cinema del compositore tedesco, che firma una partitura di rara qualità, conforme in tutto e per tutto alle intenzioni di Resnais, pur non rinunciando a un commento personale al film. La musica-commento può prendere una certa distanza in rapporto alla costruzione drammatica di un film, sia pure conservando la sua funzione "climatica". In Muriel, Henze riesce in una forma particolare di "climatizzazione" musicale, dal momento che i suoi interventi appaiono come punti di impatto (e fattori di inquietudine) e anche come un superamento lirico dell'aneddoto, quando la voce aerea di Rita Streich, intersecando il ritmo dell'immagine e i diversi sviluppi della storia, contribuisce a rendere questo film una cantata del nostro tempo. Resnais ha detto di Henze: "Sono stato sedotto dal suo coté musicista di teatro". È proprio questo lirismo particolare che Henze ha portato al cinema: i voli emozionanti della voce del soprano in Muriel e i gravi accenti di violenza in Torless. La sua musica, cimentandosi col cinema, è rimasta autentica, appassionata, drammatica. E ai registi Henze ha portato il suo punto di vista personale, il suo stile. (Francois Porcile, La musique à l'écran, Editions du Cerf, Parigi 1965) DER JUNGE TORLESS (I TURBAMENTI DEL GIOVANE TORLESS) Regia: Volker Schlòndorff; soggetto: dal romanzo "Die Verwirrung des Zòglings Torless" di Robert Musil (1906); sceneggiatura: Volker Schlòndorff con la collaborazione di Herbert Asmodi; fotografia (35 mm. b/n): Franz Rath; scenografia: Marleen Pacha; costumi: Hanna Axmann; musica: Hans Werner Henze; suono: Klaus Eckelt; montaggio: Klaus von Boro. Interpreti: Mathieu Carrière (Torless), Marian Seidovsky (Basini), Bernd Tischer (Beineberg), Alfred Dietz (Reiting), Barbara Steele (Bozena), Lotte Ledi (ostessa), Fritz Gehlen (rettore), Jean Launay (prof, di matematica), Hanna Haxmann von Rezzori (signora Torless), Herbert Asmodi (signor Torless). Produzione: Franz Seitz Film (Monaco), Louis Malie N.E.F. (Parigi); produttori delegati: Franz Seitz, Louis Malie; direttore di produzione: Franz Achter; origine; RFT-Francia 1966; durata: 87' Siamo a Neudor, in Austria, verso la fine Ottocento. Alla stazione i coniugi Torless ripartono d o p o aver accompagnato il figlio in collegio: il ragazzo, con l'ombrosità propria dell'adolescente, si vergogna d'essere trattato ancora da bambino. Silenzioso e malinconico torna al collegio con i chiassosi compagni, attraverso i campi brulli e il villaggio i n d a f f a r a t o nelle occupazioni quotidiane. Alcuni collegiali f r a t t a n t o giocano in una trattoria: Basini, un ragazzo tozzo e sprovveduto, perde parecchio denaro. I collegiali si trovano in studio. Torless osserva i compagni che ammazzano il tempo compiendo piccoli vandalismi, uccidendo una mosca... Al suono del campanello commenta ironicamente: «È passato un altro giorno memorabile». In dormitorio: conciliabolo furtivo di Basini e Reiting (un ragazzo con tendenze sadiche); quest'ultimo concede al c o m p a g n o un prestito in cambio d ' u n a obbedienza assoluta. Più tardi Basini r u b a del denaro a Beineberg, un tipo autoritario e misticheggiante. In una pasticceria del villaggio Torless e Beineberg leggono pigramente il giornale e parlano delle proprie aspirazioni; Torless è inquieto e guarda con avidità malcelata la giovane cameriera. Nello stesso locale Basini cerca di convincere Reiting di non essere un ladro. Torless e Beineberg vanno da Bozena, u n a giovane prostituta ehe si prende gioco dei due «signorini» e della «pruderie» borghese. Dopo il giro del sorvegliante in dormitorio, Beineberg, Reiting e Torless si recano furtivamente in soffitta, dove decidono il castigo d a infliggere a Basini per il f u r t o : Torless vorrebbe fosse denunciato ai superiori, mentre Reiting suggerisce di punirlo con il ricatto e le percosse. i tre amici a m a n t e la ricreazione in cortile picchiano Basini e gii impongono, pena la delazione, di assoggettarsi a ogni loro volere (Tòrless peraltro anche qui mantiene un contegnoso riserbo). Infatti quando arriva la posta Basini è costretto, da un semplice sguardo, a contenere la sua istintiva euforia. Tòrless ha un deludente colloquio con il professore di matematica: gli rivolge acute delucidazioni sui numeri immaginari, ma ne ha risposte evasive e paternalistiche. Nel frattempo Reiting ha portato Basini in soffitta per compiere con lui, accondiscendente, pratiche omosessuali. Tòrless si reca in soffitta con Basini per compiere la stessa esperienza, ma vi rinuncia. Beineberg e Reiting in soffitta fanno un «processo» a Basini e lo picchiano selvaggiamente: Tòrless assiste incuriosito e turbato. Nel cortile Reiting tortura un topo vivo, con divertimento dei compagni. Giorno di libera uscita: Tòrless rimane in casa a scrivere il diario; poi passeggia da solo. Giunta la notte egli si infila nel letto con Basini (tutti gli altri collegiali sono assenti). Poi conduce Basini in soffitta e lo interroga avidamente sullo stato d'animo provato durante il furto e sul comportamento dei due amici nei suoi confronti. 1 collegiali tornano dalla scampagnata. I tre persecutori si propongono di accentuare le punizioni di Basini. Convegno a quattro in soffitta: Reiting e Beineberg torturano fisicamente e moralmente Basini (il secondo intende «salvargli l'anima»); il poveretto, in trance, cade da un tavolo e, sotto le percosse, invoca l'aiuto di Tòrless, il quale, turbato e altezzoso, si allontana. Durante la ricreazione Tòrless rifiuta a Basini di far cessare la persecuzione dei due, perché la cosa non lo interessa, anzi lo «annoia»; tuttavia assume anche nei confronti di Reiting un atteggiamento altezzoso, perché lo considera un sadico di bassa legà. Tòrless rifiuta definitivamente di prendere parte alla persecuzione di Basini, al quale suggerisce di rivelare ogni cosa al direttore. In palestra Basini viene provocato e poi appeso in aria per le caviglie: tutti i collegiali assistono chiassosamente alla tortura, mentre invece Tòrless cerca invano di liberare il poveretto. Intervengono finalmente i dirigenti del collegio. Tòrless fugge di corsa per la campagna. Frattanto Reiting e Beineberg concertano, con la connivenza dei compagni, la discolpa presso i professori: diranno d'aver punito Basini per debiti non saldati e per difendersi dalla provocazione. Davanti al consiglio dei professori infatti danno questa versione dei fatti. Tòrless va da Bozena e poi ritorna spontaneamente in collegio. Di fronte al consiglio dei professori dichiara di aver taciuto la persecuzione a Basini per poter indagare sulla bontà e sulla cattiveria della natura umana: i professori, sbalorditi da quella inconsueta dichiarazione di principi etici, decidono di dimettere il ragazzo dal collegio. Tòrless in carrozza torna a casa con la mamma, dando un ultimo sguardo di addio al collegio e al villaggio. (da Cinefonim, n. 86 giugno 1969) Schlòndorff non voleva tanto filmare il romanzo di Musil, quanto piuttosto la materia che vi sta alla base: non i "turbamenti". ma le esperienze del giovane Tòrless; egli ha tro- vato una metafora politica nei traffici del convitto, di cui Torless è testimone e complice. Per espungere questo nocciolo dal brillante studio psicologico di Musil, Schlòndorff ha accorciato, ha esplicitato, ha spostato i nuclei tematici. Soltanto dai dialoghi del romanzo non si è voluto separare: essi vanno aldilà dell'adolescenza, e innestano nella loro crudeltà istintuale una coscienza adulta. Spostano il mondo del collegio, rappresentato da Schlòndorff con sensibilità ma mai con debolezza, dalla sfera onirica di Jean Vigo, dai "fascismo" cui quel mondo vuole alludere, alla riflessione fredda e chiara di Musil (...). Schlòndorff racconta con grande chiarezza e decisione la storia dei cadetti Beineberg e Reiting, che in una soffitta tormentano, avviliscono e maltrattano il loro compagno di studi Basini. Non gli interessa Torless (che osserva le torture nel ruolo di un congiurato passivo), ma il sistema chiuso di potere, paura, ubbidienza al cui interno si scaricano il sadismo e la sessualità dell'adolescenza. Ben diversamente Musil: a lui interessa soltanto ciò che accade in Torless, e la sua curiosità psicologica alla fine vince la curiosità "politica" di Schlòndorff. Con una svolta brusca e deludente il film, invece di portare a compimento la propria impostazione di fondo, fugge nel romanzo e fa raccontare a Torless i propri "turbamenti" con un discorso perfettamente musiliano, benché Schlòndorff finora abbia evitato di parlare di tali turbamenti o tutt'al più li abbia affidati alla musica febbricitante di Hans Werner Henze, perché gli stavano a cuore altre cose... (Urs Jenny, da "Suddeutsche Zeitung", 20 giugno 1966; riportato da Giovanni Spagnoletti in Junger Deutscher Film, Ubulibri/Festival Internazionale Cinema Giovani, 1985) Una disamina più approfondita della musica per il cinema dovrebbe essere svolta tenendo conto, per esempio, del fatto che essa nasce e si manifesta come musica riprodotta, dovendo rinunciare a quella componente - l'interpretazione che vivifica e rinnova il linguaggio musicale; e ancora, che la sua scrittura deve perseguire una tecnica finalizzata alle esigenze delle sale d'incisione, per cui sarebbe impensabile l'esecuzione in concerto d'una musica di film così come è stata scritta per la colonna sonora. In questo senso, una analisi del fenomeno musica-cinema investirebbe più in generale quello di tutta la musica riprodotta e, in ultima analisi, dei mass media. Basti pensare a quanti fra i migliori risultati sono relegati in incisioni di pessimo livello; e senza volersi rifare ai primi esempi dell'era del sonoro, è sufficiente l'esempio della raffinata partitura scritta da Hans Werner Henze per Der junge Torless di Volker Schlòndorff. Il film è del 1966, ma la registrazione tradisce completamente le preziosità timbriche e la complessità contrappuntistica volute dal compositore in quello che rappresenta uno dei migliori risultati conseguiti dalla musica nel cinema del dopoguerra. (Sergio Miceli, La musica nel film, Discanto Edizioni, La Nuova Italia, Firenze 1982) DIE VERLORENE EHRE VON KATHARINA BLUM (IL CASO KATHARINA BLUM) Regia e sceneggiatura: Volker Schlòndorff e Margarethe von Trotta; soggetto: dall'omonimo romanzo di Heinrich Boll; fotografia (eastmancolor): Jost Vacano; scenografìa: Giinther Naumann; costumi: Annette Schaad; musica: Hans Werner Henze; suono: Klaus Eckelt, Willi Schwadorf; montaggio: Peter Pzygoda. Interpreti: Angela Winkler (Katharina Blum), Mario Adorf (commissario Beizmenne), Dieter Laser (il giornalista Tòtges), Heinz Bennent (avvocato Blorna), Hannelore Hoger (Trude Blorna), Harald Kuhlmann (Moeding), Karl-Heinz Vosgerau (Alois Stràubleder), Jiirgen Prochnow (Ludwig Gòtten), Rolf Becker (Procuratore Hach), Regine Lutz (Else), Werner Eichhorn (Konrad), Stephanie Thonessen (Claudia), Josephine Gierens (Hertha). Produzione: Bioskop Film, Allelujah-Film, Paramount, Orion Y\\m\produttore delegato: Willim Benninger e Eberhard Junkersdorf; origine: RFT 1975; durata: 106' Ludwig Gòtten, sentendosi pedinato, r u b a u n a Porsche e si f e r m a davanti a un locale notturno; ne esce poco dopo con una donna che è un u o m o vestito da sceicco: è carnevale. Vanno a casa di lei, dove Ludwig incontra Katharina Blum della quale s ' i n n a m o r a a colpo d'occhio. Lo " s c e i c c o " , che in realtà è un poliziotto, comunica al commissario Beizmenne ciò che sta accadendo. Intorno alla casa di Else si sta p r e p a r a n d o un blitz antiterroristico che non trascura gli aspetti coreografici. M a l'irruzione spettacolare della polizia (sembra un'azione di guerra marziana) è vana: Gòtten è scomparso. La polizia raccoglie allora indizi che possano incriminare la donna del gangster. Katharina è sottoposta a interrogatori stringenti. Un bieco giornalista, Tòtges, va a caccia di retroscena commoventi o di comportamenti sospetti nel passato della donna interrogando vari personaggi: parroco, ex marito, barista, ecc. Nella ricerca sono coinvolti anche i coniugi Blorna, presso i quali Katharina esercita la professione di cameriera: vengono a galla amanti altolocati e sposati. Di uno di questi Katharina non fa il nome: è proprio nella sua villa di campagna che è nascosto Ludwig. Tòtges interroga anche la madre della Blum che si trova in sala di rianimazine e ne provoca la morte. La campagna scandalistica scatena contro la giovane cameriera, che la polizia ha arrestato per favoreggiamento, le smanie represse di molti: lettere anonime, messaggi sconci, insulti, proposte oscene. Rimessa in libertà, una sera Katharina, al colmo dell'esasperazione e dell'ansia, telefona a Ludwig: il giorno dopo l'amante viene arrestato. Katharina invita Tòtges a casa di un amico, ha da raccontargli ancora molte cose. Il giornalista arriva tranquillo. Katharina lo fredda con 4 colpi. Katharina e Ludwig si incontrano in un sotterraneo della prigione. Vorrebbero abbracciarsi. Glielo impediscono. Al funerale del giornalista, la stampa "libera e democratica" piange il "grave l u t t o " . (Fernaldo Di Giammatteo, Dizionario tori Riuniti, Roma 1984) Universale dei Cinema, Edi- Negli anni della "caccia alle streghe", specie dopo l'arresto di Baader (giugno '72), Schlòndorff e sua moglie von Trotta s'impegnano nell'attività di "soccorso rosso" agli studenti della contestazione incriminati, e di garantismo democratico. Soprattutto questa iniziativa procura a Schlòndorff l'attacco delle testate di Springer che lo definiscono "lo stratega dell'informazione della banda Baader-Meinhof" e una serie di perquisizioni domiciliari. Anche Heinrich Bòli (premio Nobel nel '72) è calunniato dagli stessi giornali e riceve la visita della polizia per aver scritto che si offrisse a Baader la possibilità di dire pubblicamente le ragioni della propria azione. Così, quando Bòli, trasfigurata la propria esperienza ne L'onore perduto di Katharina Blum, spedisce a Schlòndorff le bozze del romanzo, il regista riconosce immediatamente l'importanza di trarne un film per rivelare all'opinione pubblica il tipo di manipolazione cui la sottopone la cosidetta stampa d'informazione e insieme la violenza dell'apparato giudiziario e delle forze dell'ordine. Schlòndorff e von Trotta fanno di Katharina un'eroina della responsabilità. È una cameriera, con aspirazioni d'integrazione sociale piccolo-borghese, con visioni sentimentali di tipo fumettistico come Marie. È una divorziata, e perciò sospettosa dei maschi, specie se padronali, ma spontanea quando scopre l'amore di Ludwig. Ebbene, questa donna, magnificamente interpretata da Angela Winkler, attraverso la conoscenza diretta della paura, si emancipa dalla propria soggezione sociale fino a ribellarsi contro chi degrada la vita umana a valore di mercato. (Alberto Cattini, Volker Schlòndorff, renze 1980) La Nuova Italia, Fi- Pochi i contatti di Henze con il cinema, ma significativi: Muriel (partitura colta e sottile, dove alle astratte distillazioni di archi "tenuti" e di grappoli sonori glaciali come stelle fredde fanno riscontro strofe cantate per voce femminile, di struggente effetto), Der junge Tòrless (grazie al ricorso ad un astrattismo ed a un puntillismo sonoro talvolta addirittura più vicino al rumore che alla musica tradizionalmente intesa, la modernità delle invenzioni musicali esprime al meglio gli ingranaggi crudeli della storia), Die verlorene Ehre von Katharina Blum (anche qui filamenti sonori, percussioni irregolari, segmenti melodici nutrono la storia di inquietudini sommesse, il cui effetto si prolunga al di là della durata dello spettacolo). Tutte partiture squisitamente cinematografiche che si fanno esse stesse cinema. (dalla voce "Henze" del Film Music Lexicon di Ermanno Comuzio, Amministrazione Provinciale di Pavia, 1980) UN AMORE DI SWANN (UN AMOUR DE SWANN) Regia: Volker Schlòndorff; soggetto: dal romanzo " A la recherche du temps perdu" di Marcel Proust (voi. I: " D u coté de chez Swann"); sceneggiatura: Peter Brook, Jean-Claude Carrière, Marie-Hélène Estienne; adattamento: Volker Schlòndorff; fotografia (Eastmancolor): Sven Nykvist;operatore: Dominique Lerigoleur; scenografia: Jacques Saulnier; costumi: Yvonne Sassinat de Nesle; musica: Hans Werner Henze; suono: Jean-Claude Laureux; montaggio: Franqoise Bonnot. Interpreti: Jeremy Irons (Charles Swann), Ornella Muti (Odette de Crécy), Alain Delon (barone de Charlus), Fanny Ardant (duchessa de Guermantes), Marie-Christine Barrault (madame Verdurin), Anne Bennent (Chloe), Nathalie Juvet (madame Cottard). Produzione: Les Films du L o s a n g e / G a u m o n t / F R 3/SFPC/Bioskop Film con la partecipazione del Ministero della Cultura francese; produttore esecutivo: Margaret Menegoz; origine: RFT-Francia 1983; durata: I l i ' La " g i o r n a t a " di Swann, che ha naturalmente al suo centro l'ossessiva gelosia per Odette, comincia con la presentazione generale delle abitudini di vita e di salotto del demi-monde dei Verdurin. Primo ricordo, ma in tempo reale, senza flashback: Swann viene presentato da un amico, a teatro, a Odette de Crécy, e riceve, in rapida e superficiale successione, una serie di visite di lei, di cui rim a n g o n o impressi la sinuosità e discontinuità del corpo, uno degli elementi di forza di lei; Swann rifiuta o evita, adducendo la seriosità di studi pittorici in corso, di ricambiare le visite. A Odette che chiede di essere istruita, Swann contrappone un generico rifiuto, subito cogliendo però nella superficialtà di lei una volgarità, una " m a n canza di c u l t u r a " , uno stato grezzo, attraente e non conquistabile. È Odette però che manifesta, per prima anche qui, in casa Verdurir), e tramite il marito di m a d a m e , il desiderio di presentare Swann in quel salotto, con distante noncuranza, rappresentata poi, oltre che da lei stessa, da Brichot e Forcheville, meschini e volgari, individui nei quali Swann vede subito degli avversari... Il luogo musicale centrale, pronubo all'incontro, è la sonata di Vinteuil, più però nella mente e nel ricordo di Swann che nelle superficiali sensazioni di Odette; una prima volta, la d o n n a , t o r n a n d o in carrozza con Swann, lo saluta donandogli un crisantemo del vicino giardino, segno evidente di passione. Altre volte protagonisti diventano i servi, specialmente il cocchiere, che dal teatro dell'Opéra accompagna il padrone in un inutile giro n o t t u r n o , che provoca in Swann un'ostinata disperazione. La giornata (che naturalmente concentra in sé episodi più lunghi, o una vita intera...) continua con un incontro con Odette al Rois de Boulogne, ovvero l'amore presentato al pubblico, e all'aperto, con l'appoggio ufficiale del discreto Charlus: un'occasione visiva non esteriore, nel film, incorniciata com'è tra i due grandi affreschi, in interni, della serata-Verdurin e della serata dai Guermantes. È anche, come detto, il momento dell'ingresso consistente nel racconto di Charlus; della sua un po' ebete e sorniona discrezione, che avrà poi in prechiusura del film, un momento capitale nel dialogo con Swann, per costui un bilancio della vita, un ingresso, dolce e struggente, ad portam inferi, per Charlus solo un'occasione di piacevole chiacchierata. Prima di questa chiusura, il grande, più mondano e sostenuto incontro a Palazzo, occasione per cogliere in toto la società del bel mondo, un concerto dove più della musica conta la presenza fisica e psicologica dei personaggi, riuniti nel film per dar l'addio — secondo Schlòndorff — a se stessi. (da Film, a. II, n. 5, settembre-ottobre 1985) Come è potuto accadere che quelle "cattleya", le famose orchidee della pagina di Proust, siano finite sul seno di Ornella Muti? (...) Sarebbe troppo facile ironizzare sui risultati, ma le premesse del film erano serie. Il punto nodale del discorso l'ha anticipato il regista stesso in una dichiarazione: "Senza aver mai pensato a farne un film, l'opera di Proust mi ha aiutato piuttosto a fare gli altri che ho fatto". Vale a dire che esiste da sempre un cinema proustiano e perfettamente vi si intonano certi procedimenti tipici come il particolare ingigantito di un soggetto o di un volto, il flash-back, l'improvviso balenare di una "petite phrase" musicale. Ma ai più sembra impensabile un film che rispecchi l'enorme affresco della "Recherche", con le sue migliaia di pagine dedicate ad almeno 250 personaggi principali, e ne respinge l'ipotesi uno stile ambiguamente aperto a flussi e riflussi della memoria, divagatorio e contradditorio, irriproducibile sullo schermo se non per frammenti. La soluzione Brook-Carrière, quella di concentrare il dramma sentimentale in ventiquattr'ore della vita di Swann, si rivela riduttiva (...) Gli scenaristi hanno lavorato d'intarsio con proustiana fedeltà, ma la "Recherche" ahimè non è stata fatta in un giorno: e come si può eliminare dalla creazione di un universo il creatore in persona, l ' " i o " scrivente? Schlòndorff ci mette di suo una puntigliosità viscontiana nei costumi e negli arredi, una bella Parigi con selciati lumi carrozze 1885. Sul versante erotico il regista si sbilancia in concessioni al gusto plebeo (...) Qui si vola basso, ma in cambio si vola troppo alto con l'"hymne national" dell'amore di Swann: la piccola frase per violino e pianoforte, siglata da Hans Werner Henze, sembra poco orecchiabile in rapporto alla modesta cultura musicale della signorina de Crécy (...) (Tullio Kezieh, recensione del film, da "Repubblica", 7 dicembre 1984) Swann voleva essere un'"evento" e in realtà risulta un film ordinario e non riesce nemmeno ad essere un monumento sacrilego. È un film-sintomo sul modo in cui oggi gli anni '80 tendono a rimuovere gli anni '60 e i '70: un film destinato alla cassetta che fa credere che l'addizione di un grande testo (una volta era piuttosto Stendhal) e di grandi nomi darà come risultato un grande cinema. In realtà siamo di fronte a un film che sembra fatto per mettere in mostra questi grandi nomi: dall'operatore (Nykvist) al musicista (Henze), passando per gli attori, talvolta buoni (Irons), ma ridotti a fare semplicemente la loro parte in una produzione di prestigio. Siamo lontani tanto da un'analisi clinica dei sentimenti quanto dal rigoglio e dall'intensità del testo originale. Proust viene dirottato verso un naturalismo soft, una minuziosa e inutile ricostruzione d'epoca: semplice visualizzazione e adattamento sui quali regna sovrano l'accademismo levigato e senza sbavature del cinema francese di oggi. (...) Schlòndorff non possiede altro che il mestiere di un artigiano di lusso. L'appiattimento che ne deriva non è dovuto tanto a qualche presunto tradimento quanto alla mancanza di audacia e di impegno, allo svuotamento della follia e dei rischi dell'impresa; non all'incapacità di trasporre nel cinema lo stile di Proust (questo è un falso problema), ma alla più normale assenza di stile. Questo film non crede nel cinema. Non c'è nulla di più mediocre. (Marc Chevrie, Swann, coté Boulevard, in "Cahiers du Cinéma, n. 358, aprile 1984) L'AMOUR À MORT Regia: Alain Resnais; sceneggiatura: Jean Gruault;/orografia: Sacha Vierny; scenografia: Jacques Saulnier, Philippe Turlure; costumi: Catherine Leterrier; musica: Hans Werner Henze (eseguita da "The Fires of London"); suono: Pierre Gamet; montaggio: Albert Jurgenson, Jean-Pierre Besnard. Interpreti: Sabine Azéma (Elisabeth Sutter), Fanny Ardant (Judith Martignac), Pierre Arditi (Simon Roche), André Dussolier (Jerome Martignac), Jean Dasté (dottor Rozier). Produzione: Philippe Dussart/Les Films Ariane/Film A2, con la partecipazione del Centre National de la Cinématographie e del Ministero della Cultura; origine: Francia 1984; durata: 90' Simon, un archeologo che lavora agli scavi di un'antica città nei dintorni di Uzés (nel sud della Francia), è legato da due mesi a Elisabeth, una giovane botanica che studia le malattie delle piante. Una notte, dopo una breve e violenta agonia, l'uomo muore fra le braccia dell'amata, che inutilmente cerca di soccorrerlo. Sin da questa prima sequenza si pone un rapporto dialettico con la seconda coppia del film (Jéròme e Judith, ambedue pastori luterani), con una inopportuna telefonata di Jéròme che chiede di parlare con Elisabeth. Malgrado l'intervento del medico, subito accorso, l'uomo muore. Il pastore richiama ancora e durante la nuova telefonata Simon ricompare, si direbbe risuscitato, come risvegliato da un profondo sonno, immemore dell'accaduto. I due rafforzano così il loro rapporto che assume un significato diverso alla luce della terribile esperienza. Ma non si tratta più di un- amore sereno: la passione è ora connotata dall'attesa della morte definitiva e dai problemi nuovi fi ti emergere. Simon fa il bilancio della sua vita e soppesa in modo autocritico i pochi scarni studi di architettura archeologica che lascerebbe dietro di sé. Elisabeth lo invita ad approfittare in modo gioioso, quasi frivolo, del supplemento d'esistenza che il destino gli ha concesso. Simon abbandona così definitivamente la precedente famiglia, si nega al telefono al padre, e progetta con Elisabeth di fare lunghi viaggi all'estero (risalire ad esempio il Missouri sino al Canada). "A che serve resuscitare se poi si ripete la stessa commedia?", si domanda e affida ad una moneta la scelta fra godersi la vita o no (ma la moneta viene "bloccata" in volo dall'immagine fissa). Progetta perfino di sposare Elisabeth, che rifiuta, quasi che il vincolo giuridico possa incrinare la loro intesa: "Conosci matrimoni felici?". Simon ricorda confusamente l'esperienza della morte, come un dolce perdersi nel nulla, affascinante e spaventoso al tempo stesso; e attirato e angosciato dall'attesa di un nuovo e definitivo ripetersi dell'esperienza. La sensazione provata è quella di una sorta di motivo musicale che Simon non riesce a riafferrar». La presenza della morte diventa an- cora più pressante in occasione della fine di un comune amico che provoca una comune riflessione sul senso dell'esistenza fra i due pastori e i due amici atei, che sprofondano sempre più nell'incertezza e nell'angoscia. L'idea del suicidio comincia a penetrare nella mente di Elisabeth; Simon cerca di scuotersi e si ribella: "Imbecille!". Ma il ricordo della musica ineffabile, del gelo della luce conosciuti nella prima esperienza di morte, trascina Simon verso un confuso tentativo di suicidio (si avvicina pericolosamente alle sponde di un fiume vorticoso, che gli ricorda il limite oltre il quale aveva provato il sentimento dell'aldilà); studia la Bibbia nei passaggi in cui parla della morte e del suicidio; discute con i due pastori del diritto o meno a disporre della propria vita. Elisabeth, totalmente presa dall'amour fou, incapace di concepire un'esistenza senza Simon, priva di ogni altra fede, gli promette di seguirlo nel definitivo trapasso nell'eternità, trasformando l'esperienza contingente della vita in quella definitiva della morte. Simon muore una seconda volta e non "resuscita", anche se Elisabeth ne sente la presenza e spera in una nuova apparizione. Il progetto del suicidio appare quindi subito per Elisabeth la soluzione di ogni angoscia e la riconquista della trascorsa felicità nell'unione con l'amato. I tentativi del dottore di famiglia e dei due pastori non riescono a dissuaderla. Jéróme cerca disperatamente di convincerla del suo amore citando il tradizionale pensiero della Chiesa circa l'illecità del suicidio. Judith cerca di capire il dramma umano di Elisabeth analizzando le sue ragioni. Cerca di demolire la fede assoluta in Simon affermando che l'amore unico non esiste e che l'uomo è diverso a seconda dei tempi. Le rivela di aver vissuto con Simon un intenso amore giovanile, durante il quale avevano progettato il suicidio di coppia. Jéróme arriva persino ad esprimere dubbi sull'esistenza di un aldilà. Ma nulla convince Elisabeth che si allontana nella notte verso la morte. Rimasti soli i due pastori analizzano ulteriormente le ragioni della scelta di Elisabeth. Di fronte al freddo dogmatismo di Jéróme, Judith contrappone la necessità di accettare tipi di amore e di fede diversi dai suoi. Come il suicidio può essere considerato una prova d'amore, così la fede non è data una volta per tutte, ma deve essere una ricerca continua. Secondo Judith il suicidio non è proibito dalla Bibbia, ma dagli uomini che volevano dominare le coscienze. Infine la donna consola il disperato Jéróme con la promessa: "Resusciteremo, resusciteremo!" (da Film, a. II, n. 5, settembre-ottobre 1985) Il punto di partenza di L'amour à mort è stata la tentazione di servirsi della musica come di un elemento drammatico, di verificare se era possibile organizzare il film e il racconto utilizzando la musica come se questa fosse il quinto personaggio, di considerare la musica una parte integrante del racconto. Avevo cioè l'intenzione di proseguire le mie ricerche in questo campo e di utilizzare la musica non come sfondo ma come primo piano. È possibile costruire un film evitando sistematicamente di usare la musica come accompagnamento e mettendola invece a nudo, in modo che essa prosegua e spieghi la storia, dia il cambio agli attori e al dialogo. Avevo detto a Henze che nel film ci sarebbero state delle immagini non figurative, una specie di riflessi, ciò che io chiamo particelle, e che la dominante sarebbe stata il nero. Ora, per poter avere un musicista come Henze, bisogna parlargli con un anno di anticipo in modo che si renda libero. È arrivato alla data prevista, ha visto il film diverse volte e abbiamo lavorato insieme due o tre giorni. Ma egli conosceva già la sceneggiatura, sapeva che tipo di scommessa questo film voleva rappresentare dal punto di vista musicale. Quasi mai i musicisti vengono citati dai critici cinematografici e allora, facendoci delle risate diaboliche, ci dicevamo che questa volta i critici sarebbero stati costretti a parlarne, che lo volessero o no. Non potranno passare la musica... sotto silenzio. E in effetti ci sono state delle reazioni sulla stampa. La musica del film è stata qualificata come "assordante", "preistorica", "elettroacustica", cacofonica e talvolta anche superba ed emozionante. È vero che quando si abbandona il linguaggio tonale un gran numero di spettatori rimane disorientato. Io sentivo il film con questa musica, ma in effetti gli spettatori del cinema hanno altre abitudini: forse potrebbero tollerare questa musica in una sala da concerto, ma certo non sono abituati a questo sforzo in una sala di spettacolo. Henze ha composto la musica rispettando ciascun frammento ma cercando di organizzare una costruzione che consenta all'ascoltatore (che almeno inconsciamente ha mantenuto il ricordo del frammento precedente) di percepire una forma che si sviluppa lungo il film. Il film era in tre movimenti. Henze si è divertito nel rispettare questi tre movimenti. Ogni frammento è collegato ai precedenti e ai seguenti. II lavoro di Henze è tutt'altro che impressionista. La musica del film può essere qualificata come post-seriale: in effetti c'è una serie che è saldata all'emozione, all'amore e all'angoscia di Elisabeth e alla quale si sovrappone, si mescola, facendole da "contrappunto", un'altra serie che è l'attrazione di Simon verso la morte... (Entretien avec Alain Resnais, a cura di Alain Masson e Francois Thomas, in "Positif", n. 284, ottobre 1984) Le strutture dei film di Resnais costituiscono una sempre rinnovata scommessa sulle possibilità del cinema di farsi linguaggio autonomo rinnovandone i codici e il loro rapporto con gli spettatori. L'amour à mort realizza l'impresa ultima: tentare di conferire senso a uno spazio astratto (i frequenti intermezzi con un cielo semibuio punteggiato di atomi luminosi), capovolgendo i precedenti esperimenti di astrazione linguistica a partire da immagini realistiche. Questi spazi astratti ricevono una particolare forza evocativa dalla musica dolcissima e straziante di Henze. Resnais ha tentato di co- struire un film in cui la musica non fosse solo un accompagnamento dell'azione, ma avesse una sua autonomia, divenisse quasi un personaggio. Sentiva la "necessità" formale di un film in cui "gli interludi, i postludi o i preludi si organizzassero come una continuazine dell'azione, cioè evitassero di avere scene di spiegazioni molto lunghe tra i personaggi. Davo fiducia alla musica per dire ciò che né le parole né le immagini potevano dire" (in "Esprit", febbraio 1985). La ricerca di musicalità nel film è stata fatta anche attraverso il rapporto sonoro tra le voci dei quattro attori, ma il piacere di questa ricerca ci è negato, al solito, dal doppiaggio... (Flavio Vergerio, recensione, in "Film", a. II, n. 5, settembre-ottobre 1985) 0 i •2 f jS« I