settembre musica

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settembre musica
Città
Torino
Assessorato
per
la Cultura
Movie Club
da mercoledì 3 a martedì 9 settembre 1986, ore 16 e 18
Cinema Nuovo Romano
"Henze e il cinema"
SETTEMBRE MUSICA
La rassegna
"Henze e il cinema",
coordinata
dal Movie Club,
è organizzata
in collaborazione con
il Centre Culturel Franco-Italien
e il Goethe Institut Turin.
Ha collaborato
Giovanna Asselle.
Il programma
è a cura
di Roberto Turigliatto.
Il film «Royal Ballet», documentario nel quale è contenuto
il balletto "Undine" musicato da Henze, già annunciato nel
programma generale di Settembre Musica, non verrà proiettate a causa dell'attuale non disponibilità della copia.
PROGRAMMA
Mercoledì 3 settembre
ore 16.00
Muriel ou le temps d'un retour
(Muriel, il tempo di un ritorno)
di Alain Resnais
Francia 1963, 116'
versione originale francese
ore 18.00
L'amour à mort (id.)
di Alain Resnais
Francia 1974, 90'
versione italiana
Giovedì 4 settembre
ore 16.00
L'amour à mort
versione italiana
(replica)
ore 18.00
Muriel ou le temps d'un retour
versione originale francese
(replica)
Venerdì 5 settembre
ore 16.00
Der junge Torless
(I turbamenti del giovane Torless)
di Volker Schlòndorff
RFT 1977, 87'
versione originale tedesca con sottotitoli francesi
ore 18.00
L'amour à mort
versione italiana
(replica)
Sabato 6 settembre
ore 16.00
Un amore di Swann
(Un amour de Swann)
di Volker Schlòndorff
Francia/RFT 1983, i l i '
versione italiana
ore 18.00
Der junge Torless
versione originale tedesca
con sottotitoli francesi
(replica)
Domenica 7 settembre
ore 16.00
Die verlorene Ehre von Katharina Blum
(Il caso Katharina Blum)
di Volker Schlòndorff e Margarethe von Trotta
RFT 1975, 106'
versione originale tedesca
ore 18.00
Un amore di Swann
versione italiana
(replica)
Lunedì 8 settembre
ore 16.00
Un amore di Swann
versione italiana
(replica)
ore 18.00
Der Junge Torless
versione originale tedesca con
sottotitoli francesi
(replica)
Martedì 9 settembre
ore 16.00
Muriel ou le temps d'un retour
versione originale francese
(replica)
ore 18.00
Die verlorene Ehre von Katharina Blum
versione originale tedesca
(replica)
Due cineasti per un musicista
Mentre anche gli esegeti abitualmente più disattenti vaneggiano oggi di musica da film, ciarlando di "contesto generale", di "esigenze del racconto" e, in buona sostanza, di
impossibilità di ascoltare senza vedere, ci si rende retrospettivamente conto che i rapporti tra l'avanguardia musicale europea (la meno "ascoltabile" di tutte) e il cinema sono sempre
stati fragili: magari sporadicamente intensissimi, ma del tutto
asistematici. Come era logico fosse, del resto: lo iato fra
"nuove cinematografie" (Nouvelle Vague, Free Cinema, Nova Vlna ecc.) e nuovi linguaggi musicali si è progressivamente
allargato fino a somigliare a un vuoto incolmabile. E non,
evidentemente, perché la ricerca dei compositori abbia subito drammatiche battute di arresto, bensì per la persistente
riluttanza del cinema ad avvalersi, consapevolmente (cioè non
per ricalchi o moduli citazionistici), dei più avanzati contributi della nuova musica. Il che - a onor del vero - non è soltanto tutta colpa del cinema, giacché le richieste in tal senso
di registi e produttori sono certamente più numerose dei rifiuti opposti dai compositori (evidentemente immemori delle lezioni "totali", in materia, di un Herrmann o un
Sostakovic), o più sottilmente dei cedimenti vissuti come capitoli secondari, e puntualmente svolti semplificando e tradizionalizzando i radicalismi e le intransigenze delle
composizioni "alte": si vedano, tanto per fare qualche nome, i casi di Bruno Maderna, Paul Hindemith, Toshiro
Mayuzumi, Virgil Thomson.
Il caso di Hans Werner Henze è sufficientemente isolato da
prestarsi ad alcune considerazioni fuori dall'ovvio. Prima di
tutto perché la figura di Henze è solitariamente accampata
all'interno della stessa avanguardia; poi perché il suo approccio al cinema, distillato e calibrato, è una rigorosa prosecuzione del grande lavoro sulle forme musicali che caratterizza
tutta la sua opera.
Henze nasce il 1 luglio 1926 a Gùtersloh, in Westfalia, studia a Braunschweig, Heidelberg, Bieleferd e, finalmente, si
perfeziona a Darmstadt, centro motore dell'avanguardia musicale europea, fulcro di ricerca attorno al quale si raccolgono nomi come Maderna, Boulez, Stockhausen.
Critico musicale, didatta, direttore d'orchestra, polemista
acuto, Henze si slancia nell'esperienza dodecafonica fin dalle
primissime composizioni del dopoguerra, ma da queste all'incontro con il cinema dovrà passare un quindicennio. In
questo periodo si può dire che Henze sperimenti tutto lo sperimentabile: l'applicazione del metodo dodecafonico è estesa al campo teatrale, sinfonico, cameristico, vocale. Il
contatto con i "generi" musicali sembra costituire la spinta
risolutoria della creatività di Henze. L'amore per il pastiche,
per un kitsch vetero-viennese assaporato in tutto il proprio
retrogusto, viene decomposto in strutture algide, in fili di melodia dispersa. Il substrato letterario, l'importanza del testo,
appaiono subito evidenti: mitologia e romanticismo, favolistica e cascami dello jugendstìl, moduli arcaici e popolari si
fondono in quello che è stato chiamato sbrigativamente "geniale compromesso" tra vecchio e nuovo.
Tutto ciò non fa, sulla carta, di Henze un musicista particolarmente adatto al cinema. 11 tipo di linguaggio musicale che
egli predilige è tortuoso, iterativo, intrappolante, i suoni aspri,
freddi, interminabili. Non stupisce dunque l'esiguità della sua
filmografia, né che essa si radichi nello stretto rapporto con
due esponenti, appunto, di "nuove cinematografie": il francese Resnais e il tedesco Schlòndorff. Tuttavia, quando nel
1963 musica Muriel, alle sue spalle c'è già qualche ripensamento, oggetto tra l'altro di infuocate polemiche e accuse negli ambienti dell'avanguardia. L'applicazione del metodo
weberniano si è fatta meno rigida: o meglio, si è accentuato
l'elemento di "riconoscibilità" all'interno del procedimento
seriale. Così, anche il puntillismo delle prime opere, che pure trova in Resnais (soprattutto nell'Amour à mort) applicazione costante, si diluisce nel recupero seppure parziale di
una certa gestualità sonora e soprattutto nella riproposta di
una ripartizione compositiva che guarda a modelli ottocenteschi, in ciò anticipando molta avanguardia neoromantica
e postmoderna.
In Muriel, dunque, abbiamo gli stratosferici "fragments musicaux" su testi dello sceneggiatore Cayrol, affidati alla voce mozartiana e cristallina, incorporea, della formidabile Rita
Streich: le strofe cantate si alternano a momenti di suono
"concreto", soprattutto nella sezione degli archi. Un divario tra l'epitaffio ad un lirismo ormai fantasma di se stesso
e la predilezione per un'estrema sintesi della materia musi-
cale che Der junge Torless, del 1964, sembra già voler risolvere in quest'ultima direzione, auspice forse la tensione
letteraria che anima sempre le scelte - meno, poi, gli esiti di Schlòndorff. Sembra un ritorno pieno al puntillismo weberniano, all'ansia di una ricerca sonora che traduca, senza
esprimerle, le inquietudini laceranti, il realismo antinaturalistico della vicenda.
E invece, quando dodici anni dopo, Henze torna al cinema
del regista tedesco con Die verlorene Ehre von Katharina
Blum, l'impostazione è radicalmente mutata. Stavolta la forma prescelta è quella della suite sinfonica divisa in "momenti" strettamente correlati al percorso diegetico, fortemente
impregnati di drammaturgia. Non tutte le parti sono forse
perfettamente equilibrate: gli improvvisi sussulti di violenza
percussiva si alternano ai prediletti filamenti "tenuti" dei violini e dei celli, all'inserzione continua di lunghe cadenze solistiche. Un intero repertorio di atteggiamenti musicali sfila
in questa partitura, una ricapitolazione di esperienze dalla
quale dovranno passare altri otto anni prima che nell'84 Henze si cimenti di nuovo nel cinema dei suoi due cineasti prediletti, con le parallele composizioni di L'amour à mort e Un
amour de Swann.
Non è un caso che in ambedue Henze recuperi la struttura
della forma-sonata. Ma nel film di Resnais la rigida impostazione cameristica (violino, viola, violoncello, flauti, clarinetti, pianoforte e percussione) è forzata dall'interno,
polverizzata in istanti che scandiscono, in consonanza con
le "quinte" nero-stellate che separano i quadri del racconto, una progressione tragica senza speranza e senza conclusione: il suono si raggruma intorno a centri di luce-ombra,
e ripete se stesso in un congelamento impazzito della serialità. In Un amour de Swann, invece, Henze prende alla lettera il pretesto proustiano della sonata di Vinteuil,
trasformandolo da artificio della memoria in momento di decostruzione del racconto cinematografico: queste dodici variazioni per orchestra sono l'ultimo omaggio di Henze,
applicato al cinema, ad un ennesimo topos del linguaggio musicale. Naturalmente in esse si completa il procedimento di
liquefazione e di decantazione dei materiali: l'ipotetica, impossibile " s o n a t a " diventa così agglomerato di una forma
alla deriva. La stessa ambigua sensualità del film viene contraddetta dall'insieme di assurde "immagini" sonore.
Irripetibile e aristocratica, l'esperienza cinematografica di un
compositore come Henze pulsa insieme al difficile respiro delle avanguardie musicali degli ultimi vent'anni, ma costituisce anche un raro connubio di "modelli" applicati con
spietato rigore, fuori dalla moda e dall'attualità.
Roberto Pugliese
MURIEL OU LE TEMPS D'UN RETOUR
(MURIEL, IL TEMPO DI UN RITORNO)
Regia: Alain Resnais; soggetto e sceneggiatura: Jean Cayrol; fotografia (Eastmancolor): Sacha Vierny; scenografia:
Jacques Saulnier; arredamento: Charles Mérangel; musica:
Hans Werner Henze; canzoni (voce di Rita Streich): "Déj à " di Paul Colline e Paul Maye; "Sujuk Day" di Georges
Delerue; suono: Antoine Bonfanti; montaggio: Kenout Peltier, Eric Pluet.
Interpreti: Delphine Seyrig (Hélène Aughain), Jean-Pierre Kerien (Alphonse Noyard), Nita Klein (Francoise), Jean-Baptiste
Thierrée (Bernard), Claude Saival (Roland de Smoke), Jean
Champion (Ernest), Martine Vatel (Marie-Do), Philippe Laudenbach (Robert), Jean Dasté (l'uomo con la capra), Laurence Badie (Claudie).
Produzione: Argos Films, Eclair, Alpha Productions, Les
Films de la Plèiade, Dear Films; produttore delegato: Anatole Dauman; direttore di produzione: Philippe Dussart; origine: Francia-Italia 1963: durata; 116'
«Boulogne-sur-Mer, novembre 1962. Hélène Aughain, sentendo che
la sua esistenza è ora t r o p p o legata al quotidiano, ha improvvisamente desiderio di rivedere colui che fu la grande passione dei suoi
sedici anni e da cui la guerra l'ha separata, Alphonse. Gli scrive...
Questi è un debole che ama piacere. Da duettista a gerente di bar,
Alphonse ha esercitato tutti i mestieri. Accetta l'idea di questo incontro con noncuranza e arriva a Boulogne in compagnia di Franqoise, la sua amante, una giovane attrice di vent'anni.. che presenta
come propria nipote.
Hélène propone loro di abitare a casa sua. È vedova e fa l'antiquario. Vende nel suo a p p a r t a m e n t o mobili antichi e ha come protettore De Smoke, il suo amante, che dirige un'impresa di demolizione.
Con lei vive Bernard, suo figliastro, che, dopo il suo ritorno dall'Algeria, si chiude nel ricordo tragico di Muriel (una ragazza torturata e uccisa) e non ritrova un poco di serenità che accanto alla
sua amica Marie-Do.
Cosa vuole Hélène? Cosa cerca? Conquistare Alphonse? Modificare la propria vita? C o n f r o n t a r e i propri ricordi? Farvi nascere un
avvenire o liberarsene? Lei stessa lo ignora, come Alphonse ignora
perché è venuto. Durante quattordici giorni, mentre continuerà a
ricevere i suoi clienti, a vedere De Smoke, a invitare i suoi amici,
a giocare al casinò, tutti vanno e vengono, errano nella città e, seguendo il caso dei loro incontri, la loro storia o il loro d r a m m a ,
si mescolano senza legarsi» (Jean Cayrol e Alain Resnais).
Bernard tenta di liberarsi dal ricordo ossessivo di Muriel, ricostruendo le " p r o v e " della violenza usata nei suoi confronti attraverso la
visione di un filmato in super-8 (un breve documentario sull'Alge-
ria) e l'ascolto di brani di registrazione della tortura. Se ne libererà
solo con l'uccisione di un compagno del servizio militare, che tenta
di ricattarlo e di mettere a tacere la sua coscienza. Subito abbandonerà Boulogne.
Hélène e Alphonse cercano inutilmente di ricostruire il loro rapporto
sentimentale: i ricordi non coincidono, le tracce sono confuse. Alphonse, che si rivela un bugiardo e un millantatore, cerca un lavoro
a Boulogne, entrando in contatto con diversi commercianti e albergatori. La spiegazione della sua reale identità arriva attraverso l'intervento del cognato Ernest, che lo mette di fronte alle sue
responsabilità: ha abbandonato la moglie, è un fallito. Ma mentre
Ernest lo riporta a casa, Alphonse riesce a fuggire nuovamente...
Anche Hélène nasconde un passato poco chiaro: probabilmente ha
una figlia abbandonata alle cure di parenti, una sorella con cui ha
litigato per ragioni oscure. Ora viene lasciata anche dal figliastro
Bernard. Ma tutti i personaggi riprendono la loro strada soli: MarieDo si reca in America Latina, Franyoise rientra a Parigi, la moglie
di Alphonse, venuta a cercarlo a Boulogne, si aggira nelle stanze
vuote dell'appartamento di Hélène.
(Flavio Vergerio, Alain Resnais, Gremese, Roma 1985)
Per conferire una sorta di coesione a quel mosaico sparpagliato che è Muriel, avevo chiesto a Jean Cayrol di scrivere
alcune strofe che esprimessero in modo poetico i temi principali del film e in particolare quelli della memoria, dell'oblio, del ricordo. Questa soluzione, pur non volendo imitare
il coro antico, era motivata da un'esigenza analoga. Il testo
doveva essere cantato da Rita Streich come un commento lirico a immagini molto quotidiane. Ma esso rischiava di somigliare a una sorta di spiegazione alquanto banale, e allora
ho voluto che non potesse essere inteso che per frammenti:
in questo modo il canto contribuisce a creare un clima lirico
anziché commentare l'azione. Questa scelta corrisponde d'altronde a una delle rime def film, seguendo la quale c'è sempre un aspetto della realtà che ci sfugge o che resta
incomprensibile.
La musica è dunque in contrasto, in rottura, con la banalità
del quotidiano contenuta nell'immagine. Ma c'erano molti
nodi decisivi del film (critica della violenza, della possibilità
della crudeltà in ciascuno di noi, critica della nozione media
di felicità) che esigevano uno spettatore lucido, in grado di
resistere all'identificazione con i personaggi. Abbiamo cercato pertanto di fare in modo che lo spettatore, pur senza
rinunciare alla propria emozione, assumesse una certa distanza; abbiamo cercato di suscitare in lui uno stato di inquietudine, di angoscia, nel quale egli potesse sviluppare una
riflessione personale.
E questa preoccupazione che ha determinato la scelta della
musica. Per esempio, pensate alle inquadrature di Boulogne
in pieno giorno montate con quelle di notte, quando all'inizio Hélène porta Alphonse e Franqoise a casa sua. Non si
trattava di giocare col tempo, di sconvolgere la cronologia;
ma semplicemente di acuire la sensibilità dello spettattore,
metterlo in uno stato di inquietudine, perfino di irritazione,
in modo da tener desta la lucidità della sua coscienza...
(Alain Resnais, intervista contenuta nel dossier dedicato a
Muriel da "Cinéma", n. 80, novembre 1963)
In ogni suo film Alain Resnais cerca uno stile musicale particolare, affidato molto spesso a un compositore estraneo alla
musica da film. Costretto a subire il rifiuto di Luigi Daliapiccola ; a Hiroshima mon amour, di Olivier Messiaen per
L'année dernière à Marienbad, egli è riuscito ad ottenere la
colllaborazione di Hans Werner Henze per Muriel-, primo lavoro per il cinema del compositore tedesco, che firma una
partitura di rara qualità, conforme in tutto e per tutto alle
intenzioni di Resnais, pur non rinunciando a un commento
personale al film.
La musica-commento può prendere una certa distanza in rapporto alla costruzione drammatica di un film, sia pure conservando la sua funzione "climatica". In Muriel, Henze riesce
in una forma particolare di "climatizzazione" musicale, dal
momento che i suoi interventi appaiono come punti di impatto (e fattori di inquietudine) e anche come un superamento
lirico dell'aneddoto, quando la voce aerea di Rita Streich,
intersecando il ritmo dell'immagine e i diversi sviluppi della
storia, contribuisce a rendere questo film una cantata del nostro tempo.
Resnais ha detto di Henze: "Sono stato sedotto dal suo coté
musicista di teatro". È proprio questo lirismo particolare che
Henze ha portato al cinema: i voli emozionanti della voce
del soprano in Muriel e i gravi accenti di violenza in Torless.
La sua musica, cimentandosi col cinema, è rimasta autentica, appassionata, drammatica. E ai registi Henze ha portato
il suo punto di vista personale, il suo stile.
(Francois Porcile, La musique à l'écran, Editions du Cerf,
Parigi 1965)
DER JUNGE TORLESS
(I TURBAMENTI DEL GIOVANE TORLESS)
Regia: Volker Schlòndorff; soggetto: dal romanzo "Die Verwirrung des Zòglings Torless" di Robert Musil (1906); sceneggiatura: Volker Schlòndorff con la collaborazione di
Herbert Asmodi; fotografia (35 mm. b/n): Franz Rath; scenografia: Marleen Pacha; costumi: Hanna Axmann; musica: Hans Werner Henze; suono: Klaus Eckelt; montaggio:
Klaus von Boro.
Interpreti: Mathieu Carrière (Torless), Marian Seidovsky (Basini), Bernd Tischer (Beineberg), Alfred Dietz (Reiting), Barbara Steele (Bozena), Lotte Ledi (ostessa), Fritz Gehlen
(rettore), Jean Launay (prof, di matematica), Hanna Haxmann von Rezzori (signora Torless), Herbert Asmodi (signor
Torless).
Produzione: Franz Seitz Film (Monaco), Louis Malie N.E.F.
(Parigi); produttori delegati: Franz Seitz, Louis Malie; direttore di produzione: Franz Achter; origine; RFT-Francia
1966; durata: 87'
Siamo a Neudor, in Austria, verso la fine Ottocento. Alla stazione
i coniugi Torless ripartono d o p o aver accompagnato il figlio in collegio: il ragazzo, con l'ombrosità propria dell'adolescente, si vergogna d'essere trattato ancora da bambino. Silenzioso e malinconico
torna al collegio con i chiassosi compagni, attraverso i campi brulli
e il villaggio i n d a f f a r a t o nelle occupazioni quotidiane.
Alcuni collegiali f r a t t a n t o giocano in una trattoria: Basini, un ragazzo tozzo e sprovveduto, perde parecchio denaro.
I collegiali si trovano in studio. Torless osserva i compagni che ammazzano il tempo compiendo piccoli vandalismi, uccidendo una mosca... Al suono del campanello commenta ironicamente: «È passato
un altro giorno memorabile».
In dormitorio: conciliabolo furtivo di Basini e Reiting (un ragazzo
con tendenze sadiche); quest'ultimo concede al c o m p a g n o un prestito in cambio d ' u n a obbedienza assoluta. Più tardi Basini r u b a
del denaro a Beineberg, un tipo autoritario e misticheggiante.
In una pasticceria del villaggio Torless e Beineberg leggono pigramente il giornale e parlano delle proprie aspirazioni; Torless è inquieto e guarda con avidità malcelata la giovane cameriera. Nello
stesso locale Basini cerca di convincere Reiting di non essere un ladro.
Torless e Beineberg vanno da Bozena, u n a giovane prostituta ehe
si prende gioco dei due «signorini» e della «pruderie» borghese.
Dopo il giro del sorvegliante in dormitorio, Beineberg, Reiting e Torless si recano furtivamente in soffitta, dove decidono il castigo d a
infliggere a Basini per il f u r t o : Torless vorrebbe fosse denunciato
ai superiori, mentre Reiting suggerisce di punirlo con il ricatto e le
percosse.
i tre amici a m a n t e la ricreazione in cortile picchiano Basini e gii
impongono, pena la delazione, di assoggettarsi a ogni loro volere
(Tòrless peraltro anche qui mantiene un contegnoso riserbo). Infatti quando arriva la posta Basini è costretto, da un semplice sguardo, a contenere la sua istintiva euforia.
Tòrless ha un deludente colloquio con il professore di matematica:
gli rivolge acute delucidazioni sui numeri immaginari, ma ne ha risposte evasive e paternalistiche. Nel frattempo Reiting ha portato
Basini in soffitta per compiere con lui, accondiscendente, pratiche
omosessuali.
Tòrless si reca in soffitta con Basini per compiere la stessa esperienza, ma vi rinuncia.
Beineberg e Reiting in soffitta fanno un «processo» a Basini e lo
picchiano selvaggiamente: Tòrless assiste incuriosito e turbato.
Nel cortile Reiting tortura un topo vivo, con divertimento dei compagni. Giorno di libera uscita: Tòrless rimane in casa a scrivere il
diario; poi passeggia da solo. Giunta la notte egli si infila nel letto
con Basini (tutti gli altri collegiali sono assenti). Poi conduce Basini in soffitta e lo interroga avidamente sullo stato d'animo provato
durante il furto e sul comportamento dei due amici nei suoi confronti.
1 collegiali tornano dalla scampagnata. I tre persecutori si propongono di accentuare le punizioni di Basini.
Convegno a quattro in soffitta: Reiting e Beineberg torturano fisicamente e moralmente Basini (il secondo intende «salvargli l'anima»); il poveretto, in trance, cade da un tavolo e, sotto le percosse,
invoca l'aiuto di Tòrless, il quale, turbato e altezzoso, si allontana.
Durante la ricreazione Tòrless rifiuta a Basini di far cessare la persecuzione dei due, perché la cosa non lo interessa, anzi lo «annoia»;
tuttavia assume anche nei confronti di Reiting un atteggiamento altezzoso, perché lo considera un sadico di bassa legà.
Tòrless rifiuta definitivamente di prendere parte alla persecuzione
di Basini, al quale suggerisce di rivelare ogni cosa al direttore.
In palestra Basini viene provocato e poi appeso in aria per le caviglie: tutti i collegiali assistono chiassosamente alla tortura, mentre
invece Tòrless cerca invano di liberare il poveretto. Intervengono
finalmente i dirigenti del collegio.
Tòrless fugge di corsa per la campagna. Frattanto Reiting e Beineberg concertano, con la connivenza dei compagni, la discolpa presso i professori: diranno d'aver punito Basini per debiti non saldati
e per difendersi dalla provocazione. Davanti al consiglio dei professori infatti danno questa versione dei fatti.
Tòrless va da Bozena e poi ritorna spontaneamente in collegio. Di
fronte al consiglio dei professori dichiara di aver taciuto la persecuzione a Basini per poter indagare sulla bontà e sulla cattiveria della
natura umana: i professori, sbalorditi da quella inconsueta dichiarazione di principi etici, decidono di dimettere il ragazzo dal collegio.
Tòrless in carrozza torna a casa con la mamma, dando un ultimo
sguardo di addio al collegio e al villaggio.
(da Cinefonim,
n. 86 giugno 1969)
Schlòndorff non voleva tanto filmare il romanzo di Musil,
quanto piuttosto la materia che vi sta alla base: non i "turbamenti". ma le esperienze del giovane Tòrless; egli ha tro-
vato una metafora politica nei traffici del convitto, di cui
Torless è testimone e complice. Per espungere questo nocciolo dal brillante studio psicologico di Musil, Schlòndorff
ha accorciato, ha esplicitato, ha spostato i nuclei tematici.
Soltanto dai dialoghi del romanzo non si è voluto separare:
essi vanno aldilà dell'adolescenza, e innestano nella loro crudeltà istintuale una coscienza adulta. Spostano il mondo del
collegio, rappresentato da Schlòndorff con sensibilità ma mai
con debolezza, dalla sfera onirica di Jean Vigo, dai "fascismo" cui quel mondo vuole alludere, alla riflessione fredda
e chiara di Musil (...).
Schlòndorff racconta con grande chiarezza e decisione la storia dei cadetti Beineberg e Reiting, che in una soffitta tormentano, avviliscono e maltrattano il loro compagno di studi
Basini. Non gli interessa Torless (che osserva le torture nel
ruolo di un congiurato passivo), ma il sistema chiuso di potere, paura, ubbidienza al cui interno si scaricano il sadismo
e la sessualità dell'adolescenza. Ben diversamente Musil: a
lui interessa soltanto ciò che accade in Torless, e la sua curiosità psicologica alla fine vince la curiosità "politica" di
Schlòndorff. Con una svolta brusca e deludente il film, invece di portare a compimento la propria impostazione di fondo, fugge nel romanzo e fa raccontare a Torless i propri
"turbamenti" con un discorso perfettamente musiliano, benché Schlòndorff finora abbia evitato di parlare di tali turbamenti o tutt'al più li abbia affidati alla musica febbricitante
di Hans Werner Henze, perché gli stavano a cuore altre cose...
(Urs Jenny, da "Suddeutsche Zeitung", 20 giugno 1966; riportato da Giovanni Spagnoletti in Junger Deutscher Film,
Ubulibri/Festival Internazionale Cinema Giovani, 1985)
Una disamina più approfondita della musica per il cinema
dovrebbe essere svolta tenendo conto, per esempio, del fatto che essa nasce e si manifesta come musica riprodotta, dovendo rinunciare a quella componente - l'interpretazione che vivifica e rinnova il linguaggio musicale; e ancora, che
la sua scrittura deve perseguire una tecnica finalizzata alle
esigenze delle sale d'incisione, per cui sarebbe impensabile
l'esecuzione in concerto d'una musica di film così come è stata
scritta per la colonna sonora. In questo senso, una analisi
del fenomeno musica-cinema investirebbe più in generale
quello di tutta la musica riprodotta e, in ultima analisi, dei
mass media.
Basti pensare a quanti fra i migliori risultati sono relegati in
incisioni di pessimo livello; e senza volersi rifare ai primi
esempi dell'era del sonoro, è sufficiente l'esempio della raffinata partitura scritta da Hans Werner Henze per Der junge Torless di Volker Schlòndorff. Il film è del 1966, ma la
registrazione tradisce completamente le preziosità timbriche
e la complessità contrappuntistica volute dal compositore in
quello che rappresenta uno dei migliori risultati conseguiti
dalla musica nel cinema del dopoguerra.
(Sergio Miceli, La musica nel film, Discanto Edizioni, La
Nuova Italia, Firenze 1982)
DIE VERLORENE EHRE VON KATHARINA BLUM
(IL CASO KATHARINA BLUM)
Regia e sceneggiatura: Volker Schlòndorff e Margarethe von
Trotta; soggetto: dall'omonimo romanzo di Heinrich Boll;
fotografia (eastmancolor): Jost Vacano; scenografìa: Giinther Naumann; costumi: Annette Schaad; musica: Hans Werner Henze; suono: Klaus Eckelt, Willi Schwadorf; montaggio:
Peter Pzygoda.
Interpreti: Angela Winkler (Katharina Blum), Mario Adorf
(commissario Beizmenne), Dieter Laser (il giornalista Tòtges), Heinz Bennent (avvocato Blorna), Hannelore Hoger
(Trude Blorna), Harald Kuhlmann (Moeding), Karl-Heinz
Vosgerau (Alois Stràubleder), Jiirgen Prochnow (Ludwig
Gòtten), Rolf Becker (Procuratore Hach), Regine Lutz (Else), Werner Eichhorn (Konrad), Stephanie Thonessen (Claudia), Josephine Gierens (Hertha).
Produzione: Bioskop Film, Allelujah-Film, Paramount,
Orion Y\\m\produttore delegato: Willim Benninger e Eberhard Junkersdorf; origine: RFT 1975; durata: 106'
Ludwig Gòtten, sentendosi pedinato, r u b a u n a Porsche e si f e r m a
davanti a un locale notturno; ne esce poco dopo con una donna che
è un u o m o vestito da sceicco: è carnevale. Vanno a casa di lei, dove
Ludwig incontra Katharina Blum della quale s ' i n n a m o r a a colpo
d'occhio. Lo " s c e i c c o " , che in realtà è un poliziotto, comunica al
commissario Beizmenne ciò che sta accadendo. Intorno alla casa
di Else si sta p r e p a r a n d o un blitz antiterroristico che non trascura
gli aspetti coreografici. M a l'irruzione spettacolare della polizia (sembra un'azione di guerra marziana) è vana: Gòtten è scomparso. La
polizia raccoglie allora indizi che possano incriminare la donna del
gangster. Katharina è sottoposta a interrogatori stringenti. Un bieco giornalista, Tòtges, va a caccia di retroscena commoventi o di
comportamenti sospetti nel passato della donna interrogando vari
personaggi: parroco, ex marito, barista, ecc. Nella ricerca sono coinvolti anche i coniugi Blorna, presso i quali Katharina esercita la professione di cameriera: vengono a galla amanti altolocati e sposati.
Di uno di questi Katharina non fa il nome: è proprio nella sua villa
di campagna che è nascosto Ludwig. Tòtges interroga anche la madre della Blum che si trova in sala di rianimazine e ne provoca la
morte. La campagna scandalistica scatena contro la giovane cameriera, che la polizia ha arrestato per favoreggiamento, le smanie represse di molti: lettere anonime, messaggi sconci, insulti, proposte
oscene. Rimessa in libertà, una sera Katharina, al colmo dell'esasperazione e dell'ansia, telefona a Ludwig: il giorno dopo l'amante
viene arrestato. Katharina invita Tòtges a casa di un amico, ha da
raccontargli ancora molte cose. Il giornalista arriva tranquillo. Katharina lo fredda con 4 colpi. Katharina e Ludwig si incontrano in
un sotterraneo della prigione. Vorrebbero abbracciarsi. Glielo impediscono. Al funerale del giornalista, la stampa "libera e democratica" piange il "grave l u t t o " .
(Fernaldo Di Giammatteo, Dizionario
tori Riuniti, Roma 1984)
Universale dei Cinema, Edi-
Negli anni della "caccia alle streghe", specie dopo l'arresto
di Baader (giugno '72), Schlòndorff e sua moglie von Trotta
s'impegnano nell'attività di "soccorso rosso" agli studenti
della contestazione incriminati, e di garantismo democratico. Soprattutto questa iniziativa procura a Schlòndorff l'attacco delle testate di Springer che lo definiscono "lo stratega
dell'informazione della banda Baader-Meinhof" e una serie
di perquisizioni domiciliari. Anche Heinrich Bòli (premio Nobel nel '72) è calunniato dagli stessi giornali e riceve la visita
della polizia per aver scritto che si offrisse a Baader la possibilità di dire pubblicamente le ragioni della propria azione.
Così, quando Bòli, trasfigurata la propria esperienza ne L'onore perduto di Katharina Blum, spedisce a Schlòndorff le
bozze del romanzo, il regista riconosce immediatamente l'importanza di trarne un film per rivelare all'opinione pubblica
il tipo di manipolazione cui la sottopone la cosidetta stampa
d'informazione e insieme la violenza dell'apparato giudiziario e delle forze dell'ordine. Schlòndorff e von Trotta fanno
di Katharina un'eroina della responsabilità. È una cameriera, con aspirazioni d'integrazione sociale piccolo-borghese,
con visioni sentimentali di tipo fumettistico come Marie. È
una divorziata, e perciò sospettosa dei maschi, specie se padronali, ma spontanea quando scopre l'amore di Ludwig. Ebbene, questa donna, magnificamente interpretata da Angela
Winkler, attraverso la conoscenza diretta della paura, si
emancipa dalla propria soggezione sociale fino a ribellarsi
contro chi degrada la vita umana a valore di mercato.
(Alberto Cattini, Volker Schlòndorff,
renze 1980)
La Nuova Italia, Fi-
Pochi i contatti di Henze con il cinema, ma significativi: Muriel (partitura colta e sottile, dove alle astratte distillazioni
di archi "tenuti" e di grappoli sonori glaciali come stelle fredde fanno riscontro strofe cantate per voce femminile, di struggente effetto), Der junge Tòrless (grazie al ricorso ad un
astrattismo ed a un puntillismo sonoro talvolta addirittura
più vicino al rumore che alla musica tradizionalmente intesa, la modernità delle invenzioni musicali esprime al meglio
gli ingranaggi crudeli della storia), Die verlorene Ehre von
Katharina Blum (anche qui filamenti sonori, percussioni irregolari, segmenti melodici nutrono la storia di inquietudini
sommesse, il cui effetto si prolunga al di là della durata dello spettacolo). Tutte partiture squisitamente cinematografiche che si fanno esse stesse cinema.
(dalla voce "Henze" del Film Music Lexicon di Ermanno
Comuzio, Amministrazione Provinciale di Pavia, 1980)
UN AMORE DI SWANN
(UN AMOUR DE SWANN)
Regia: Volker Schlòndorff; soggetto: dal romanzo " A la recherche du temps perdu" di Marcel Proust (voi. I: " D u coté
de chez Swann"); sceneggiatura: Peter Brook, Jean-Claude
Carrière, Marie-Hélène Estienne; adattamento:
Volker
Schlòndorff; fotografia (Eastmancolor): Sven Nykvist;operatore: Dominique Lerigoleur; scenografia: Jacques Saulnier;
costumi: Yvonne Sassinat de Nesle; musica: Hans Werner
Henze; suono: Jean-Claude Laureux; montaggio: Franqoise
Bonnot.
Interpreti: Jeremy Irons (Charles Swann), Ornella Muti
(Odette de Crécy), Alain Delon (barone de Charlus), Fanny
Ardant (duchessa de Guermantes), Marie-Christine Barrault
(madame Verdurin), Anne Bennent (Chloe), Nathalie Juvet
(madame Cottard).
Produzione:
Les Films du L o s a n g e / G a u m o n t / F R
3/SFPC/Bioskop Film con la partecipazione del Ministero
della Cultura francese; produttore esecutivo: Margaret Menegoz; origine: RFT-Francia 1983; durata: I l i '
La " g i o r n a t a " di Swann, che ha naturalmente al suo centro l'ossessiva gelosia per Odette, comincia con la presentazione generale
delle abitudini di vita e di salotto del demi-monde dei Verdurin.
Primo ricordo, ma in tempo reale, senza flashback: Swann viene
presentato da un amico, a teatro, a Odette de Crécy, e riceve, in
rapida e superficiale successione, una serie di visite di lei, di cui rim a n g o n o impressi la sinuosità e discontinuità del corpo, uno degli
elementi di forza di lei; Swann rifiuta o evita, adducendo la seriosità di studi pittorici in corso, di ricambiare le visite. A Odette che
chiede di essere istruita, Swann contrappone un generico rifiuto, subito cogliendo però nella superficialtà di lei una volgarità, una " m a n canza di c u l t u r a " , uno stato grezzo, attraente e non conquistabile.
È Odette però che manifesta, per prima anche qui, in casa Verdurir), e tramite il marito di m a d a m e , il desiderio di presentare Swann
in quel salotto, con distante noncuranza, rappresentata poi, oltre
che da lei stessa, da Brichot e Forcheville, meschini e volgari, individui nei quali Swann vede subito degli avversari... Il luogo musicale centrale, pronubo all'incontro, è la sonata di Vinteuil, più però
nella mente e nel ricordo di Swann che nelle superficiali sensazioni
di Odette; una prima volta, la d o n n a , t o r n a n d o in carrozza con
Swann, lo saluta donandogli un crisantemo del vicino giardino, segno evidente di passione. Altre volte protagonisti diventano i servi,
specialmente il cocchiere, che dal teatro dell'Opéra accompagna il
padrone in un inutile giro n o t t u r n o , che provoca in Swann un'ostinata disperazione.
La giornata (che naturalmente concentra in sé episodi più lunghi,
o una vita intera...) continua con un incontro con Odette al Rois
de Boulogne, ovvero l'amore presentato al pubblico, e all'aperto,
con l'appoggio ufficiale del discreto Charlus: un'occasione visiva
non esteriore, nel film, incorniciata com'è tra i due grandi affreschi, in interni, della serata-Verdurin e della serata dai Guermantes. È anche, come detto, il momento dell'ingresso consistente nel
racconto di Charlus; della sua un po' ebete e sorniona discrezione,
che avrà poi in prechiusura del film, un momento capitale nel dialogo con Swann, per costui un bilancio della vita, un ingresso, dolce e struggente, ad portam inferi, per Charlus solo un'occasione di
piacevole chiacchierata. Prima di questa chiusura, il grande, più mondano e sostenuto incontro a Palazzo, occasione per cogliere in toto
la società del bel mondo, un concerto dove più della musica conta
la presenza fisica e psicologica dei personaggi, riuniti nel film per
dar l'addio — secondo Schlòndorff — a se stessi.
(da Film, a. II, n. 5, settembre-ottobre 1985)
Come è potuto accadere che quelle "cattleya", le famose orchidee della pagina di Proust, siano finite sul seno di Ornella Muti? (...) Sarebbe troppo facile ironizzare sui risultati,
ma le premesse del film erano serie. Il punto nodale del discorso l'ha anticipato il regista stesso in una dichiarazione:
"Senza aver mai pensato a farne un film, l'opera di Proust
mi ha aiutato piuttosto a fare gli altri che ho fatto". Vale
a dire che esiste da sempre un cinema proustiano e perfettamente vi si intonano certi procedimenti tipici come il particolare ingigantito di un soggetto o di un volto, il flash-back,
l'improvviso balenare di una "petite phrase" musicale. Ma
ai più sembra impensabile un film che rispecchi l'enorme affresco della "Recherche", con le sue migliaia di pagine dedicate ad almeno 250 personaggi principali, e ne respinge
l'ipotesi uno stile ambiguamente aperto a flussi e riflussi della
memoria, divagatorio e contradditorio, irriproducibile sullo
schermo se non per frammenti. La soluzione Brook-Carrière,
quella di concentrare il dramma sentimentale in ventiquattr'ore della vita di Swann, si rivela riduttiva (...) Gli scenaristi hanno lavorato d'intarsio con proustiana fedeltà, ma la
"Recherche" ahimè non è stata fatta in un giorno: e come
si può eliminare dalla creazione di un universo il creatore in
persona, l ' " i o " scrivente?
Schlòndorff ci mette di suo una puntigliosità viscontiana nei
costumi e negli arredi, una bella Parigi con selciati lumi carrozze 1885. Sul versante erotico il regista si sbilancia in concessioni al gusto plebeo (...) Qui si vola basso, ma in cambio
si vola troppo alto con l'"hymne national" dell'amore di
Swann: la piccola frase per violino e pianoforte, siglata da
Hans Werner Henze, sembra poco orecchiabile in rapporto
alla modesta cultura musicale della signorina de Crécy (...)
(Tullio Kezieh, recensione del film, da "Repubblica", 7 dicembre 1984)
Swann voleva essere un'"evento" e in realtà risulta un film
ordinario e non riesce nemmeno ad essere un monumento sacrilego. È un film-sintomo sul modo in cui oggi gli anni '80
tendono a rimuovere gli anni '60 e i '70: un film destinato
alla cassetta che fa credere che l'addizione di un grande testo (una volta era piuttosto Stendhal) e di grandi nomi darà
come risultato un grande cinema. In realtà siamo di fronte
a un film che sembra fatto per mettere in mostra questi grandi
nomi: dall'operatore (Nykvist) al musicista (Henze), passando
per gli attori, talvolta buoni (Irons), ma ridotti a fare semplicemente la loro parte in una produzione di prestigio.
Siamo lontani tanto da un'analisi clinica dei sentimenti quanto dal rigoglio e dall'intensità del testo originale. Proust viene dirottato verso un naturalismo soft, una minuziosa e
inutile ricostruzione d'epoca: semplice visualizzazione e adattamento sui quali regna sovrano l'accademismo levigato e senza sbavature del cinema francese di oggi. (...) Schlòndorff
non possiede altro che il mestiere di un artigiano di lusso.
L'appiattimento che ne deriva non è dovuto tanto a qualche
presunto tradimento quanto alla mancanza di audacia e di
impegno, allo svuotamento della follia e dei rischi dell'impresa; non all'incapacità di trasporre nel cinema lo stile di
Proust (questo è un falso problema), ma alla più normale
assenza di stile. Questo film non crede nel cinema. Non c'è
nulla di più mediocre.
(Marc Chevrie, Swann, coté Boulevard, in "Cahiers du Cinéma, n. 358, aprile 1984)
L'AMOUR À MORT
Regia: Alain Resnais; sceneggiatura: Jean Gruault;/orografia: Sacha Vierny; scenografia: Jacques Saulnier, Philippe
Turlure; costumi: Catherine Leterrier; musica: Hans Werner Henze (eseguita da "The Fires of London"); suono: Pierre Gamet; montaggio: Albert Jurgenson, Jean-Pierre
Besnard.
Interpreti: Sabine Azéma (Elisabeth Sutter), Fanny Ardant
(Judith Martignac), Pierre Arditi (Simon Roche), André Dussolier (Jerome Martignac), Jean Dasté (dottor Rozier).
Produzione: Philippe Dussart/Les Films Ariane/Film A2,
con la partecipazione del Centre National de la Cinématographie e del Ministero della Cultura; origine: Francia 1984;
durata: 90'
Simon, un archeologo che lavora agli scavi di un'antica città nei
dintorni di Uzés (nel sud della Francia), è legato da due mesi a Elisabeth, una giovane botanica che studia le malattie delle piante. Una
notte, dopo una breve e violenta agonia, l'uomo muore fra le braccia dell'amata, che inutilmente cerca di soccorrerlo. Sin da questa
prima sequenza si pone un rapporto dialettico con la seconda coppia del film (Jéròme e Judith, ambedue pastori luterani), con una
inopportuna telefonata di Jéròme che chiede di parlare con Elisabeth. Malgrado l'intervento del medico, subito accorso, l'uomo muore. Il pastore richiama ancora e durante la nuova telefonata Simon
ricompare, si direbbe risuscitato, come risvegliato da un profondo
sonno, immemore dell'accaduto. I due rafforzano così il loro rapporto che assume un significato diverso alla luce della terribile esperienza. Ma non si tratta più di un- amore sereno: la passione è ora
connotata dall'attesa della morte definitiva e dai problemi nuovi fi ti
emergere. Simon fa il bilancio della sua vita e soppesa in modo autocritico i pochi scarni studi di architettura archeologica che lascerebbe dietro di sé. Elisabeth lo invita ad approfittare in modo gioioso,
quasi frivolo, del supplemento d'esistenza che il destino gli ha concesso. Simon abbandona così definitivamente la precedente famiglia, si nega al telefono al padre, e progetta con Elisabeth di fare
lunghi viaggi all'estero (risalire ad esempio il Missouri sino al Canada). "A che serve resuscitare se poi si ripete la stessa commedia?",
si domanda e affida ad una moneta la scelta fra godersi la vita o
no (ma la moneta viene "bloccata" in volo dall'immagine fissa).
Progetta perfino di sposare Elisabeth, che rifiuta, quasi che il vincolo giuridico possa incrinare la loro intesa: "Conosci matrimoni
felici?". Simon ricorda confusamente l'esperienza della morte, come un dolce perdersi nel nulla, affascinante e spaventoso al tempo
stesso; e attirato e angosciato dall'attesa di un nuovo e definitivo
ripetersi dell'esperienza.
La sensazione provata è quella di una sorta di motivo musicale che
Simon non riesce a riafferrar». La presenza della morte diventa an-
cora più pressante in occasione della fine di un comune amico che
provoca una comune riflessione sul senso dell'esistenza fra i due pastori e i due amici atei, che sprofondano sempre più nell'incertezza
e nell'angoscia. L'idea del suicidio comincia a penetrare nella mente di Elisabeth; Simon cerca di scuotersi e si ribella: "Imbecille!".
Ma il ricordo della musica ineffabile, del gelo della luce conosciuti
nella prima esperienza di morte, trascina Simon verso un confuso
tentativo di suicidio (si avvicina pericolosamente alle sponde di un
fiume vorticoso, che gli ricorda il limite oltre il quale aveva provato il sentimento dell'aldilà); studia la Bibbia nei passaggi in cui parla della morte e del suicidio; discute con i due pastori del diritto
o meno a disporre della propria vita. Elisabeth, totalmente presa
dall'amour fou, incapace di concepire un'esistenza senza Simon, priva di ogni altra fede, gli promette di seguirlo nel definitivo trapasso
nell'eternità, trasformando l'esperienza contingente della vita in quella definitiva della morte.
Simon muore una seconda volta e non "resuscita", anche se Elisabeth ne sente la presenza e spera in una nuova apparizione.
Il progetto del suicidio appare quindi subito per Elisabeth la soluzione di ogni angoscia e la riconquista della trascorsa felicità nell'unione con l'amato. I tentativi del dottore di famiglia e dei due
pastori non riescono a dissuaderla. Jéróme cerca disperatamente di
convincerla del suo amore citando il tradizionale pensiero della Chiesa circa l'illecità del suicidio. Judith cerca di capire il dramma umano
di Elisabeth analizzando le sue ragioni. Cerca di demolire la fede
assoluta in Simon affermando che l'amore unico non esiste e che
l'uomo è diverso a seconda dei tempi. Le rivela di aver vissuto con
Simon un intenso amore giovanile, durante il quale avevano progettato il suicidio di coppia. Jéróme arriva persino ad esprimere dubbi
sull'esistenza di un aldilà. Ma nulla convince Elisabeth che si allontana nella notte verso la morte. Rimasti soli i due pastori analizzano ulteriormente le ragioni della scelta di Elisabeth. Di fronte al
freddo dogmatismo di Jéróme, Judith contrappone la necessità di
accettare tipi di amore e di fede diversi dai suoi. Come il suicidio
può essere considerato una prova d'amore, così la fede non è data
una volta per tutte, ma deve essere una ricerca continua. Secondo
Judith il suicidio non è proibito dalla Bibbia, ma dagli uomini che
volevano dominare le coscienze. Infine la donna consola il disperato Jéróme con la promessa: "Resusciteremo, resusciteremo!"
(da Film, a. II, n. 5, settembre-ottobre 1985)
Il punto di partenza di L'amour à mort è stata la tentazione
di servirsi della musica come di un elemento drammatico, di
verificare se era possibile organizzare il film e il racconto utilizzando la musica come se questa fosse il quinto personaggio, di considerare la musica una parte integrante del
racconto. Avevo cioè l'intenzione di proseguire le mie ricerche in questo campo e di utilizzare la musica non come sfondo ma come primo piano. È possibile costruire un film
evitando sistematicamente di usare la musica come accompagnamento e mettendola invece a nudo, in modo che essa
prosegua e spieghi la storia, dia il cambio agli attori e al
dialogo.
Avevo detto a Henze che nel film ci sarebbero state delle immagini non figurative, una specie di riflessi, ciò che io chiamo particelle, e che la dominante sarebbe stata il nero. Ora,
per poter avere un musicista come Henze, bisogna parlargli
con un anno di anticipo in modo che si renda libero. È arrivato alla data prevista, ha visto il film diverse volte e abbiamo lavorato insieme due o tre giorni. Ma egli conosceva già
la sceneggiatura, sapeva che tipo di scommessa questo film
voleva rappresentare dal punto di vista musicale. Quasi mai
i musicisti vengono citati dai critici cinematografici e allora,
facendoci delle risate diaboliche, ci dicevamo che questa volta
i critici sarebbero stati costretti a parlarne, che lo volessero
o no. Non potranno passare la musica... sotto silenzio. E in
effetti ci sono state delle reazioni sulla stampa. La musica
del film è stata qualificata come "assordante", "preistorica", "elettroacustica", cacofonica e talvolta anche superba
ed emozionante. È vero che quando si abbandona il linguaggio tonale un gran numero di spettatori rimane disorientato. Io sentivo il film con questa musica, ma in effetti gli
spettatori del cinema hanno altre abitudini: forse potrebbero tollerare questa musica in una sala da concerto, ma certo
non sono abituati a questo sforzo in una sala di spettacolo.
Henze ha composto la musica rispettando ciascun frammento
ma cercando di organizzare una costruzione che consenta all'ascoltatore (che almeno inconsciamente ha mantenuto il ricordo del frammento precedente) di percepire una forma che
si sviluppa lungo il film. Il film era in tre movimenti. Henze
si è divertito nel rispettare questi tre movimenti. Ogni frammento è collegato ai precedenti e ai seguenti. II lavoro di Henze è tutt'altro che impressionista. La musica del film può
essere qualificata come post-seriale: in effetti c'è una serie
che è saldata all'emozione, all'amore e all'angoscia di Elisabeth e alla quale si sovrappone, si mescola, facendole da
"contrappunto", un'altra serie che è l'attrazione di Simon
verso la morte...
(Entretien avec Alain Resnais, a cura di Alain Masson e Francois Thomas, in "Positif", n. 284, ottobre 1984)
Le strutture dei film di Resnais costituiscono una sempre rinnovata scommessa sulle possibilità del cinema di farsi linguaggio autonomo rinnovandone i codici e il loro rapporto con
gli spettatori. L'amour à mort realizza l'impresa ultima: tentare di conferire senso a uno spazio astratto (i frequenti intermezzi con un cielo semibuio punteggiato di atomi
luminosi), capovolgendo i precedenti esperimenti di astrazione linguistica a partire da immagini realistiche. Questi spazi
astratti ricevono una particolare forza evocativa dalla musica dolcissima e straziante di Henze. Resnais ha tentato di co-
struire un film in cui la musica non fosse solo un
accompagnamento dell'azione, ma avesse una sua autonomia, divenisse quasi un personaggio. Sentiva la "necessità"
formale di un film in cui "gli interludi, i postludi o i preludi
si organizzassero come una continuazine dell'azione, cioè evitassero di avere scene di spiegazioni molto lunghe tra i personaggi. Davo fiducia alla musica per dire ciò che né le parole
né le immagini potevano dire" (in "Esprit", febbraio 1985).
La ricerca di musicalità nel film è stata fatta anche attraverso il rapporto sonoro tra le voci dei quattro attori, ma il piacere di questa ricerca ci è negato, al solito, dal doppiaggio...
(Flavio Vergerio, recensione, in "Film", a. II, n. 5,
settembre-ottobre 1985)
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