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Una nave racconta il suo passato È stata scoperta nell’apparato deltizio del Po, nei pressi di Comacchio Tempietto votivo Lidia Righi Guerzoni Ritrovamento affascinante Fu un naufragio come tanti avvenuti nei secoli, causato probabilmente da una mareggiata. Ma in questo caso la nave mercantile che veleggiava sottocosta, spinta dal vento e dalle correnti, si incagliò in una zona di acque poco profonde in prossimità della battigia e restò esposta all’azione del moto ondoso, che l’andò rapidamente coprendo di sedimenti sabbiosi. Ogni sua traccia scomparve poi a causa del progressivo avanzamento della linea di costa, peraltro accelerato dall’antico apparato deltizio del Po. Partita da un porto del Mediterraneo, forse l’imbarcazione avrebbe dovuto addentrarsi lungo il delta e il fiume per poi toccare gli scali commerciali dell’entroterra. Curiosamente, è stato l’attuale entroterra a restituirla dopo duemila anni. Nell’autunno del 1980, durante lavori di dragaggio del principale canale collettore della Valle Ponti, a pochi chilometri da Comacchio, sotto i colpi della benna affioravano vari frammenti di assi di legno. Erano materiali del tutto anomali in quella zona, bonificata insieme all’adiacente Valle Trebba tra il 1919 e il 1922, e pertanto veniva prospettata l’opportunità di una ricognizione archeologica. Non va infatti dimenticato che a poca distanza sono stati rinvenuti la necropoli e l’abitato di Spina, la città che racchiudeva uno dei più splendidi patrimoni dell’antichità greco-etrusca. Aveva così inizio l’affascinante ritrovamento della nave romana di Comacchio – questa la sua connotazione consueta – che ha coinvolto e impegnato per parecchi anni archeologi e specialisti con indagini scientifiche a tutto campo. E che ha suscitato un vivissimo interesse nel pubblico, ragazzi e adulti perennemente attratti dalla scoperta del "tesoro". I l relitto venne infatti dissepolto mediante una prima campagna di scavo condotta nell’estate del 1981 dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna, cui seguirono altri interventi. Lo scafo, di notevoli dimensioni (metri 21 x 5), si mostrava mancante della prua (danneggiata dalla benna) e di parte della fiancata orientale, aperta e fortemente divaricata. Ma l’emozione più grande era data dalla presenza in loco dell’intero suo carico, il più completo finora ritrovato in Italia e ben conservato grazie all’ambiente anaerobico che lo aveva protetto. Si trattava di una scoperta sensazionale, di elevato spessore scientifi- 22 n. 68/2001 co e documentario, che consentiva tra l’altro di datare la nave all’epoca augustea, verso la fine del I secolo a.C. Oltre ad uno spesso strato di ghiaia posta a mo’ di zavorra e alla grande ancora, andavano riapparendo i materiali destinati al commercio, tra cui trentadue tronchi di legno di bosso, centodue lingotti di piombo del peso complessivo di tre tonnellate, capaci anfore vinarie e olearie, ceramiche comuni e raffinate. Non solo, ma come uno scrigno aperto l’imbarcazione restituiva gli oggetti usati a bordo, riferibili sia al governo della nave che alla vita dell’equipaggio. Non meno interessante inoltre si presentava il tipo stesso dell’imbarcazione “a guscio portante”, fornita in origine di un unico albero a vela quadrata, e costituita da tavole di olmo e quercia cucite tra loro con corde di fibra vegetale nella parte inferiore e assemblate ad incastro nella parte superiore. Ovviamente, accanto alle operazioni di recupero s’imponeva l’esigenza del restauro, della conservazione e della pubblica fruizione di un complesso di beni tanto rari e peculiari. La mostra “Fortuna Maris” allestita nel 1990 dalla Soprintendenza a Comacchio ne rappresentava una prima tappa, in attesa dell’attuazione di un apposito museo. Il progetto è ora realtà grazie all’impegno di enti e di Lo scafo al momento del ritrovamento istituzioni pubbliche, specie del Comune di Comacchio. Dal marzo scorso ha infatti aperto i battenti il Museo della nave romana, prima sezione del “Museo delle culture umane del delta del Po”. Si è connotato subito come polo di notevole interesse culturale e specie durante i mesi estivi non mancherà di richiamare numerosissimi visitatori. E per più ragioni. E’ infatti situato nel nodo urbanistico più tipico e pittoresco di Comacchio, in prossimità del quadrivio di canali sul quale s’innesta il ponte degli Sbirri, accanto alla pescheria e alle antiche carceri, a pochi passi dal famoso seicentesco Trepponti. Allestito con i più aggiornati criteri espositivi e didattici, il museo trova spazio all’interno del vecchio complesso industriale annesso all’elegante Palazzo Bellini, nonché in parte delle antiche carceri mandamentali. In un adiacente padiglionelaboratorio è ricoverato lo scafo, attualmente ancora in restauro e non visibile, in quanto contenuto entro un guscio in vetroresina che ne assicura le necessarie operazioni di consolidamento. T uttavia se ne può trarre una prima conoscenza dalle due ricostruzioni in scala esposte nel museo, che rappresentano sia l’imbarcazione al momento del ritrovamento sia l’ipotetica ricostruzione del suo assetto origina- rio. Lì accanto, sono esposti la grande ancora di ferro rinvenuta nella zona di prua e gli utensili utilizzati per la movimentazione della nave, come i bozzelli e i passacavi in legno. Vi sono poi mazzuoli per l’attività di calatafaggio praticata per riparare gli eventuali danni, corde che legavano le componenti delle strutture dell’imbarcazione, una pialla, un’accetta, nonché una sassola di legno del tutto integra. Ritroviamo inoltre in questa prima sala una serie di utensili da cucina provenienti dalla cambusa, anch’essi di eccezionale valore per la conoscenza delle consuetudini di vita marinara alla fine del I secolo a.C. E si resta stupefatti, oltre che dallo stato di conservazione, dalle forme stesse di questi oggetti tramandata per lunghi secoli senza sostanziali differenze. Hanno infatti una certa aria di familiarità sia il calderone da fuoco, la graticola, il colino, i piatti e le casseruole in bronzo, sia i cesti, le sporte, le stuoie ad intrecci di fibra vegetale. Non minore è poi lo stupore di fronte ai vari capi di abbigliamento in cuoio, antichi di duemila anni eppure in alcuni casi di sbalorditiva attualità, come le custodie per indumenti, le borse a tracolla, le sacche tipo “marsupium” con chiusura a laccio passante, calzature tra cui un sandalo ad infradito, con la suola sagomata a profilo di un piede piccolo e snello, appartenuto ad un fanciullo o ad una donna. Era infatti frequente per imbarcazioni commerciali ospitare a bordo anche passeggeri. Tra l’altro, non mancavano sulla nave la stadera, calamai e uno stilo per registrare forse le vendite e gli incassi, oggetti per la cura della persona tipo il balsamario contenente unguenti e lo strigile per asportarli o per detergere dalla polvere e dal sudore; oppure un cestino di ami per la pesca, dadi e pedine da gioco per i momenti di ozio, un set di scatoline e “specilli” per medicazioni, un piccolo armamento di spada e pugnale, due cassettine di legno n. 68/2001 23 perfettamente conservate per piccoli oggetti. La seconda grande sala espositiva custodisce principalmente il carico commerciale. Spiccano per quantità e mole i lingotti di piombo, il metallo di largo impiego in età romana proveniente con ogni probabilità dai ricchi giacimenti spagnoli. Nei numerosi bolli impressi in superficie compare il nome di Marco Vipsanio Agrippa, genero di Ottaviano Augusto e in Spagna tra il 19 e il 12 a.C. Particolare, questo, che insieme ad una moneta ritrovata a bordo e ai bolli impressi sulle ceramiche permette di datare con buona approssimazione il viaggio della nave di Comacchio. Un’accattivante curiosità è poi offerta da sei tempietti votivi in piombo destinati probabilmente al commercio. Sono riproduzioni in miniatura di templi romani in stile ionico completi di colonne, cella con finestrelle e porte apribili, frontoni con antefisse e acroteri a palmette; li correda all’esterno l’immagine di un erote o genietto alato e all’interno quelle di Venere e Mercurio. L’esistenza di questi tempietti era nota soltanto da citazioni di fonti classiche, pertanto il loro rinvenimento, il primo del genere, può dirsi veramente eclatante oltre che estremamente prezioso. Di grande interesse è pure il nucleo delle lucerne, alcune con ornati in rilievo, tipo due pugili affrontati in lotta oppure un giovane in atto di allacciarsi un calzare e una fanciulla danzante. Sono state rinvenute nella cambusa e il fatto che in buona parte mostrano nel beccuccio segni di annerimento ne fa prospettare l’uso a bordo. Splendido è poi il vasellame ceramico da mensa in terra rossa sigillata riservato alla vendita, specialmente le coppe e i bicchieri ottenuti a matrice e provenienti, come attestano i rispettivi marchi, da botteghe vasarie del nord Italia, così come quelli che imitano lo stile di noti artefici decorati da una finissima trama a tralci, foglie e fiori, palmette, rosette, piccole maschere. Più grossolana al confronto è la serie di ceramiche comuni di grosse dimensioni, adibite ad uso di cucina ma anche a contenitori di derrate da smerciare. Fra queste ritroviamo un nucleo rilevante di anfore da trasporto, impiegate cioè a contenere olio, vino, frutta secca, olive e “garum”, la salsa di pesce di grande consumo all’epoca. Foggiate in maggior parte secondo quattro tipologie ricorrenti, sono contrassegnate da iscrizioni graffite o a pennello che ne individuano il contenuto, il peso oppure la provenienza. Vi si apprende in tal modo che la nave romana trasportava vino proveniente dalle isole egee di Cos, Chios e dalle coste di Cnidos. Un vino pregiato, riservato ai banchetti di ricchi gaudenti nell’entroterra padano. 24 n. 68/2001 Sandali Particolare dell’ancora