prateria di Posidonia

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prateria di Posidonia
4.2 Le praterie di Posidonia oceanica delle coste laziali
G.D. Ardizzone, A. Belluscio
4.2.1 Introduzione
Posidonia oceanica è una fanerogama marina, quindi una pianta superiore,
non un’alga, presente esclusivamente lungo le coste del Mediterraneo. Si riproduce sessualmente mediante la fecondazione di fiori e la formazione di frutti e
semi. Il fusto modificato prende il nome di rizoma e da questo si formano le
radici che penetrano nel substrato, avendo tanto la funzione di ancoraggio
quanto di assorbimento di sostanze nutritive. Il rizoma ha una possibilità di
crescita sia in senso orizzontale che in senso verticale, così che la pianta può
adattarsi a diverse condizioni ambientali. Le due modalità di crescita permettono alla pianta di colonizzare aree nuove (crescita orizzontale) e consolidarsi in
aree dove è presente in abbondanza (crescita verticale). Quest’ultima modalità
di crescita determina un innalzamento del fondo marino dando origine ad una
tipica formazione a ‘terrazzo’ chiamata con il termine francese “matte”. La
“matte” è quindi formata da un intreccio costituito da più strati di vecchi rizomi e radici e da sedimento intrappolato tra questi e fortemente compattato. La
parte più alta di questa stratificazione è ricoperta dai fasci viventi della fanerogama. In seguito ad un peggioramento delle condizioni ambientali, che possono far degenerare e morire le piante, la “matte” persiste con l’intreccio dei soli
rizomi e radici morte (“matte” morta). L’apice vegetativo da cui originano le
foglie organizzate in ciuffi è situato nella parte superiore del rizoma. Ogni
ciuffo è composto da 6-7 foglie nastriformi, larghe mediamente 1 cm e
lunghe anche 1 m (Fig. 1).
Figura 1
Schema degli strati di una
prateria di Posidonia
(da Boudouresque e Meinesz,
1982, modificato).
strato foliare
strato dei rizomi
“matte”
194
Posidonia oceanica colonizza ampie aree dei fondali mediterranei formando delle vere e proprie praterie sommerse. Le caratteristiche delle praterie
sono in relazione, tra le altre cose, con la conformazione del litorale e del fondale, con la trasparenza, e più in generale con la qualità delle acque. Il “margine superiore” delle praterie, il limite minimo di profondità dove è possibile
trovare le piante, è situato a profondità estremamente variabili secondo la
zona e può giungere a pochissimi metri di profondità mentre il “margine inferiore”, la massima profondità cioè raggiunta dalla prateria, può spingersi fino
a 40 m in acque particolarmente limpide (Fig. 2).
Il ruolo che questa pianta svolge nel contesto dell’ambiente marino litorale del Mediterraneo è sempre più chiaro grazie alla gran mole di lavori scientifici effettuati in questi ultimi anni.
Le praterie di Posidonia costituiscono una delle componenti fondamentali
dell’equilibrio e della ricchezza dell’ambiente litorale costiero. L’elevato rendimento dell’apparato fotosintetico di questa pianta e le ampie superfici ricoperte
dalle praterie fanno si che questa fanerogama contribuisca in maniera notevole
all’ossigenazione delle acque: secondo alcuni Autori (B OUDOURESQUE e
MEINESZ, 1982, BAY, 1979) un metro quadrato di prateria in buone condizioni
produce da 4 a 20 litri di ossigeno nell’arco di 24 ore.
Le praterie di Posidonia oceanica, con la formazione di una biomassa
vegetale media annuale pari a circa 38 tonnellate di peso secco per ettaro, vengono considerate come le più forti concentratici di materia vivente del Mediterraneo (BOUDOURESQUE e MEINESZ, 1982). Una parte della produzione della
prateria, stimata attorno al 30%, viene esportata verso altri fondi, soprattutto
sotto forma di foglie morte. Queste ultime, trasportate dalle onde e dalle correnti, vanno ad alimentare una rete trofica la cui base è costituita da batteri,
funghi e protozoi e il vertice da predatori di livello trofico superiore tra cui i
pesci (AUGIER, 1986).
Le oltre 400 specie diverse di alghe e il migliaio di specie animali che
popolano le praterie fanno sì che la diversità ecologica di questo ambiente sia
elevatissima. Qui, inoltre, trovano rifugio stadi giovanili di numerose specie
di invertebrati e pesci.
La diminuzione della produzione di foglie all’interno di una prateria, causata da uno stato di sofferenza della Posidonia, è in grado di causare ripercussioni sull’intero sistema costiero: impoverimento quantitativo all’interno delle
catene alimentari e alterazioni fisiche di alcuni substrati sedimentari che inducono delle modificazioni qualitative dei popolamenti (BELLAN-SANTINI e
PICARD, 1984).
Le praterie inoltre possono rappresentare un fattore di stabilità dei fondi
mobili e delle rive. Le onde e le correnti ortogonali vengono ammortizzate
dall’azione frenante delle “matte” e delle foglie, spesse e alte, e il sedimento
in transito viene trattenuto in parte dalle foglie e dal sistema dei rizomi.
L’efficacia della protezione offerta al litorale dalle praterie di Posidonia è
dimostrata dalle conseguenze a catena che possono venire innescate dalla loro
scomparsa: instabilità ed escavamento dei fondi, erosione o impinguamento
delle spiagge, insabbiamento dei porti, ecc. (BLANC e JEUDY DE GRISSAC,
1984; JEUDY DE GRISSAC, 1984; AUGIER, 1986).
Per la particolare sensibilità di questa biocenosi alle alterazioni delle
caratteristiche ambientali e per il fatto che rappresenta il popolamento vegetale più esteso e comune del piano infralitorale mediterraneo, dove l’impatto
delle fonti inquinanti è più intenso, le praterie di Posidonia vengono normalmente utilizzate quale indicatore biologico (AUGIER, 1986),
Diverse tecniche e parametri sono stati messi a punto in questi ultimi
anni per consentire di misurare e quantificare il grado di alterazione delle
praterie e quindi, allo stesso tempo, dell’ambiente in cui vivono. Tra questi
citiamo:
195
Figura 2
a) prateria ad elevata
densità foliare
b) veduta aerea di un fondale
ricoperto da Posidonia
c) particolare della base foliare
e dei rizomi
d) strato di “matte” morta
a
b
c
d
4.2.1.1. Il ricoprimento
Su substrato mobile una prateria in ottimo stato può ricoprire il 100% del
fondale da essa occupato. Un ricoprimento inferiore può essere spiegato da fenomeni naturali (idrodinamismo, sovrapascolo, ecc.) o da cause antropiche (pesca a
strascico, ancoraggi, ecc.). Su substrato roccioso il ricoprimento del fondale non
è mai completo anche in assenza di fattori di disturbo. Per cui qualsiasi interpretazione deve basarsi sulla comparazione con zone di riferimento (AUGIER, 1986).
4.2.1.2 La densità foliare
Viene stimata calcolando il numero di fasci foliari per metro quadrato
e dà una indicazione di condizione della prateria. Generalmente viene
196
adottato il metodo di classificazione proposto da GIRAUD (1977):
Tipo I:
più di 700 fasci al mq Prateria molto densa
Tipo II: 400 - 700 fasci al mq
“
densa
Tipo III: 300 - 400 fasci al mq
“
rada
Tipo IV: 150 - 300 fasci al mq
“
molto rada
Tipo V: 50 - 150 fasci al mq Semi prateria
Al di sotto di 50 fasci per metro quadro non si può più parlare di prateria.
L’alterazione qualitativa delle acque (ridotta trasparenza, alterata sedimentazione) ma nache un impatto meccanico (ad esempio pesca e strascico)
portano ad una riduzione della densità foliare.
4.2.1.3 Il margine inferiore
Il margine inferiore delle praterie è un importante elemento di valutazione
della qualità delle acque, costituendo il confine della zona infralitorale.
Questo è posto, in condizioni ottimali, intorno i 40 m e risale verso profondità
minori principalmente al ridursi della trasparenza delle acque e quindi delle
potenzialità fotosintetiche consentite dalla penetrazione della luce.
Il margine inferiore può essere solo sporadicamente difforme da un
andamento medio che per ampie aree geografiche è solitamente assai
uniforme.
4.2.1.4 La regressione
Per regressione si intende la riduzione di superficie e densità delle praterie
nonché l’arretramento del margine inferiore.
I tre punti sopra citati ed in particolare la densità foliare e il margine inferiore sono elementi chiave per seguire nel tempo l’evoluzione di una prateria e
quindi per diagnosticarne tendenze regressive.
Il quadro delle conoscenze sulle praterie di Posidonia oceanica italiane è
caratterizzato da una mancanza di uniformità nelle informazioni disponibili.
Ad una assenza di dati per alcuni tratti di costa, ad esempio quella calabrese,
fa riscontro la discreta mole di notizie per altre aree (Liguria, Toscana,
Puglia). Sono comunque rari gli studi cartografici e in generale la mancanza
di notizie “storiche” consente raramente di analizzare l’evoluzione subita nel
corso degli ultimi anni da questa biocenosi.
Le conoscenze sulle praterie di Posidonia del Lazio rispecchiavano un pò
la situazione nazionale: ad aree per le quali esistevano buone conoscenze sia
cartografiche che sulle condizioni delle praterie (Lazio meridionale) si affiancavano aree per le quali erano disponibili indicazioni scarse o addirittura nulle
(Lazio settentrionale).
Finalità di questo lavoro è stata quella di ricostruire la distribuzione delle
praterie di Posidonia del Lazio attraverso l’analisi degli studi fino ad oggi realizzati e l’acquisizione sperimentale di dati per quelle aree di cui non erano
note a tutt’oggi le caratteristiche.
4.2.2 Materiali e metodi
Tra i diversi metodi di indagine utilizzati in questi ultimi anni per la cartografia delle praterie di Posidonia su larga scala l’impiego di videocamere
applicate su veicoli subacquei consente probabilmente il miglior compromesso tra qualità dell’informazione raccolta, e quindi di interpretabilità del dato,
197
velocità di esecuzione e costi (ARDIZZONE, 1992). L’integrazione di questa
metodica con altre di tipo classico quali immersione con autorespiratore o
rilievi aerei, consente sicuramente di ottenere i migliori risultati per ciò che
concerne l’acquisizione di dati sulla distribuzione spaziale delle praterie.
La presente indagine si è svolta sostanzialmente in due fasi: una prima
fase di ricognizione bibliografica delle informazioni reperibili in letteratura
sulle praterie di Posidonia del Lazio (pubblicazioni, cartografie, ecc.) e una
successiva fase di integrazione dei dati mancanti con indagini originali.
Il materiale reperibile in letteratura sulle praterie di Posidonia riguarda
soprattutto il Lazio meridionale. In questa zona infatti l’Amministrazione
Provinciale di Latina ha promosso diversi studi sull’ambiente marino del litorale della provincia (dalla foce del Garigliano a Torre Astura), finalizzati ad
interventi a favore della piccola pesca locale (AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE
DI LATINA, 1981; 1982; 1983; 1985). Oltre a fornire indicazioni su confini,
estensione e stato delle praterie, questi studi forniscono anche indicazioni su
alcune possibili cause di regressione delle praterie stesse (ARDIZZONE, 1981;
ARDIZZONE e MIGLIUOLO, 1982; ARDIZZONE e PELUSI, 1983).
Ulteriori informazioni sull’area del Golfo di Gaeta sono riportate in
Z URLINI e B EDULLI (1983). Una dettagliata cartografia delle praterie di
Posidonia delle isole Pontine è stata recentemente realizzata nell’ambito delle
indagini promosse dal Ministero Marina Marcantile e finalizzate alla creazione della Riserva Marina dell’Arcipelago (M.M.M., 1990).
Sempre il Ministero Marina Mercantile ha realizzato alcune carte nautiche, denominate “Carte da Pesca” (FUSCO, 1961), riportanti indicazioni sulle
caratteristeche dei fondali (sabbia, roccia, fango, “alghe”, “morzate”, ecc.)
utili per gli addetti alla pesca. Anche se oramai datate, da queste carte sono
state tratte informazioni, seppur con la massima cautela a causa di alcune probabili imprecisioni, soprattutto su quella che era la distribuzione delle praterie
di Posidonia nel passato.
Alcune informazioni sulle secche di Tor Paterno, situate al largo di
Torvaianica, sono riportate in un rapporto tecnico realizzato dal Dipartimento di
Biologia Animale e dell’Uomo dell’Università di Roma “La Sapienza” al
Ministero Marina Mercantile nell’ambito del progetto di ricerca “Caratteristiche
dei fondali e della pesca della secca di Tor Paterno”, terminato nel 1993.
Per quanto riguarda il Lazio settentrionale, dalla foce del Tevere verso
nord, non esistevano specifici lavori di cartografia delle praterie di Posidonia.
Alcuni Autori avevano eseguito studi sui popolamenti bentonici laziali
nell’ambito di diversi progetti di ricerca, segnalando la presenza di Posidonia
in alcune località.
Tra questi citiamo i lavori di FALCIAI et al. (1983) per l’area della foce del
Tevere; ARDIZZONE e BOMBACE (1982) per la zona di Fregene; ARGENTI et al.
(1989) per la zona di Grottini-S.Severa; C HIMENZ et al. (in stampa),
TARAMELLI et al., (1981), RELINI (1980), SOMASCHINI (1988), SOMASCHINI e
GRAVINA (1989) per la zona di Tor Valdaliga (Civitavecchia); TARAMELLI e
CHIMENZ (1989) per la zona compresa tra Montalto di Castro e l’Argentario.
Per l’arcipelago pontino si segnalano inoltre i lavori di GRAVINA et al. (1992),
SOMASCHINI e ARDIZZONE (1992), SOMASCHINI et al. (1992), relativi ad alcune
componenti del popolamento zoobentonico.
La successiva, e più impegnativa, fase si è svolta sul campo con l’impiego
di telecamere per la raccolta di dati sulle praterie di Posidonia in quelle aree
del Lazio settentrionale per le quali non esistevano informazioni di letteratura.
Il principio operativo dell’impiego di telecamere su veicolo subacqueo
a fini cartografici è quello di percorrere transetti prefissati trainando il
mezzo a pochi metri dal fondo così da riprendere immagini che vengono
seguite via monitor e registrate sulla imbarcazione appoggio. Il dettaglio
informativo ottenibile è accurato al livello di una ispezione diretta tramite
198
,,,
,,,
,,,
,,,
subacqueo nelle stesse condizioni di velocità e altezza dal fondo.
Il traino e le relative registrazioni di immagini sono effettuate a velocità
costante e registrate in tempo reale parallelamente ad altri parametri (profondità, rotta, spazio percorso, ecc.) per permettere una corretta localizzazione di
ogni osservazione, mentre il punto nave di ogni inizio e fine transetto viene
fatto con sistema di posizionamento satellitare GPS (Global Positioning
System). Il GPS permette inoltre di seguire con estrema precisione le rotte
prefissate, segnalando variazioni nell’ordine delle poche decine di metri.
Controlli sono fatti regolarmente su punti cospicui situati a terra. I dati raccolti sono stati elaborati ed interpretati per mezzo di interpolazioni che ne hanno
permesso una restituzione cartografica. Ulteriori dettagli metodologici possono essere trovati in Ardizzone (1992).
Per quanto riguarda la restituzione cartografica dei confini e delle condizioni delle praterie di Posidonia mappate, la simbologia che viene normalmente
utilizzata è quella riportata da MEINESZ et al. (1983). Questa simbologia è idonea per restituzioni in scale comprese tra 1:500 e 1:5.000, dato l’elevato numero
di attributi che possono essere così cartografati. Per scale comprese tra 1:5.000 e
1:50.000 vengono normalmente utilizzate simbologie più sintetiche (ad es.
Posidonia su fondi duri, Posidonia su sabbia o “matte”, Posidonia a fasci isolati
e “matte” morta) (ARDIZZONE, 1992). Per scale inferiori (< 1:50.000) è possibile
riportare unicamente carte morfologiche con contorni della Posidonia.
Il veicolo utilizzato per la presente indagine è realizzato per essere trainato dalla superficie ed è costituito da una struttura in alluminio su cui è montata
una videocamera in bianco e nero, preferita a quella a colori per la sua migliore definizione in condizioni di scarsa visibilità. A bordo dell’imbarcazione
appoggio operano un monitor di controllo, una titolatrice che permette di registrare sulle immagini informazioni quali la profondità, la rotta, ecc. e un
videoregistratore VHS portatile.
Il veicolo con telecamera è trainato normalmente ad una altezza dal fondo
variabile da 1 a 10 m. Il campo di ripresa inquadrato varia così rispettivamente da 1.5 a 15 m (Fig. 3).
Le osservazioni dei fondali sono state effettuate lungo transetti disposti
prevalentemente in maniera ortogonale alla costa. L’intervallo batimetrico
esplorato è compreso tra i 4-5 metri e i 40 m di profondità.
La restituzione dei risultati è stata effettuata in scala 1:50.000 in base a
carte dell’Istituto Idrografico della Marina.
Figura 3
Schema operativo
della telecamera su veicolo
trainato in immersione.
..........................
..........................
..........................
,,,,,,,,,,,,,,,,,,
,,,,,,,,,,,,,,,
,,,,,,,,,,,,,,,,,,
,,,,,,,,,,,,,,,,
,,,,,,,,,,,,,,,,,,
,,,,,,,,,,,,,,,
,,,,,,,,,,,,,
,,,,,,,,,,,,,,,,,,
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,,,,,,,,,,,,,
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,,,,,,,,,,,,,,,,
199
La scala a cui si è lavorato non consentiva l’impiego della simbologia
classica riportata da MEINESZ et al. (1983) per cui si è elaborata una specifica
simbologia che consentisse di riportare il massimo dell’informazione restituibile in una cartografia 1:50.000 (ARDIZZONE, 1992).
Le categorie riportate sono quindi:
a) Posidonia prevalentemente su fondi duri
b) Posidonia prevalentemente su sabbia o “matte”
c) Posidonia a fasci isolati e “matte” morta
Le indicazioni per le diverse aree non rappresentano la presenza esclusiva
di singole categorie ma la loro dominanza percentuale rispetto alle categorie
osservate. Questo perché alle scale impiegate non è possibile restituire con
maggior dettaglio le caratteristiche dei fondali.
Quindi, presenze frammentarie di piccole zone rocciose o sabbiose potranno, per questioni di scala, non risultare. In generale comunque più che di una
distribuzione geografica di singoli elementi, si è cercato di evidenziare globalmente le caratteristiche medie della Posidonia presente.
Tutti i fondali in cui è assente la Posidonia non sono stati caratterizzati,
morfologicamente e bionomicamente, e risultano pertanto bianchi nelle cartine di distribuzione.
4.2.3 Risultati
Di seguito si riporta una sintesi dei dati di letteratura presi in esame nei
quali viene citata la presenza di praterie di Posidonia lungo le coste laziali o
ne viene riportata una cartografia. Vengono anche citati quei lavori dai quali
si evince l’assenza di Posidonia in determinate aree.
Partendo dalla parte più meridionale del Lazio e proseguendo verso nord,
si può rilevare come nel Golfo di Gaeta la Posidonia risulti assente (AMM.
PROV. DI LATINA, 1985; ZURLINI e BEDULLI, 1983).
Tra Torre Viola e la foce di lago Lungo è presente, lungo una stretta fascia
batimetrica situata tra 10 e 15-20 metri, un prato di Cymodocea nodosa, ma
non di Posidonia (AMM. PROV. LATINA, 1983).
Tra la foce di Lago Lungo e Terracina è presente (osservazioni del 1982)
una prateria di Posidonia, prevalentemente su “matte”, che mostra una zona
Figura 4
Le praterie di Posidonia
tra Gaeta e S. Felice Circeo.
Posidonia prevalentemente
su sabbia o “matte” ■
Posidonia prevalentemente
su fondi duri ■
Posidonia a fasci isolati
e “matte” morta ■
13°10'
13°25'
13°40'
Lago di
Fondi
Terracina
re
ta to
to
Sis
F.
Lago di
Sabaudia
or
F. P
Sabaudia
L. S. Puoto
L. Lungo
Scauri
Formia
Sperlonga
10
S. Felice
Circeo
20
Gaeta
30
50
41°10'
41°10'
80
N
100
0
13°10'
200
13°25'
13°40'
km
5
centrale piuttosto estesa a densità superiore ai 150 fasci mq (ed in ampie aree
anche ai 200 fasci mq). Due propaggini più degradate si estendono verso
ponente e verso levante, con densità comprese tra i 50 e i 150 fasci mq, che si
riducono a meno di 50 m proprio di fronte lago Lungo. In quest’area in particolare sono presenti ampie zone di “matte” morta ed è netta la regressione
verso terra del margine inferiore.
Tra Terracina e il promontorio del Circeo è presente (osservazioni del
1981) una estesa prateria di Posidonia (Fig. 4). La prateria mostra un’area a
maggiore densità (più di 150 fasci mq) nelle acque antistanti il promontorio
del Circeo, la foce del fiume Sisto e tra Terracina e Torre Canneto. Queste tre
aree sono circondate da aree con Posidonia a densità minore (compresa tra 50
e 150 fasci mq). Si tratta evidentemente di valori di densità piuttosto modesti, equivalenti ad una condizione di semi- prateria. La maggior parte dell’area però è occupata da una prateria che si presenta estremamente rarefatta,
con densità inferiore a 50 fasci mq e con ampie zone di “matte” morta. Il
margine inferiore della prateria è situato intorno la batimetrica dei 22-24 m e
questo margine risulta notevolmente arretrato rispetto alle indicazioni riportate da FUSCO (1961) che poneva il margine inferiore circa un chilometro più
all’esterno (AMM. PROV. LATINA, 1982; ARDIZZONE e MIGLIUOLO, 1982).
Anche per questa area, così come per le precedenti, l’azione della
pesca a strascico illegale sottocosta sembra avere un ruolo decisivo nell’accellerare la regressione della prateria (ARDIZZONE e PELUSI, 1983).
La Posidonia è assente tra il promontorio del Circeo e la foce del lago di
Caprolace dove è invece presente Cymodocea nodosa. Da qui fino a Capo
Portiere la Posidonia è presente a macchie sparse con segni di regressione fino
a 16-18 m di profondità e, con maggior densità, fino ad una trentina di metri
di profondità. Anche in questo caso lo stato di degrado della prateria osservato
viene attribuito dagli Autori per lo più all’azione meccanica delle reti a strascico che illegalmente operano nell’area (AMM. PROV. LATINA, 1980; 1985).
Tra Capo Portiere e Torre Astura è presente (in base ad osservazioni del
1979) una prateria di Posidonia compatta, a densità piuttosto elevata e su
“matte” intorno i 15 m, meno compatta per la presenza di ampie zone di erosione intorno i 20 m e a chiazze fino a 31-32 m di profondità. Alcune aree di
questa prateria presentano segni di avanzato stato di regressione mentre in
altre sono presenti strutture rocciose. Posidonia è presente spesso anche su
queste formazioni rocciose (Fig. 5).
12°40'
Figura 5
Le praterie di Posidonia
tra S. Felice Circeo e Anzio.
■ Posidonia prevalentemente
su sabbia o “matte”
■ Posidonia prevalentemente
su fondi duri
■ Posidonia a fasci isolati
e “matte” morta
12°55'
13°10'
41°20'
F.
Sist
o
o
41°30'
L. di Fogliano
a
tin
r
o
Ri
M
L. dei
Monaci
13°10'
Fogliano
L. di Caprolace
Sabaudia
F. A
Lido
dei Pini
s tu
ra
L. di Sabaudia
Lavinio
Nettuno
S.Felice
Circeo
ANZIO
10
20
41°10'
41°30'
30
12°25'
50
N
80
0
100
12°25'
41°20'
12°40'
41°10'
km
12°55'
201
5
Il litorale sabbioso compreso tra Torre Astura e Palo non presenta
Posidonia, come è possibile rilevare da diversi autori: FALCIAI et al. (1983),
per la foce del Tevere; ARDIZZONE e BOMBACE (1982), per la zona di Fregene.
L’unica zona che presenta Posidonia in tutto il Lazio centrale è quella delle
secche di Tor Paterno. Si tratta di alcune formazioni rocciose distanti fino a circa
4 miglia dalla costa, antistanti il centro abitato di Torvaianica. Le formazioni rocciose più costiere, situate tra i 6-8 m e una decina di metri circa di profondità non
presentano Posidonia mentre quelle più esterne, che partono da 18-20 m di
profondità ed arrivano fino ad una quarantina di metri, presentano alcune zone
ricoperte da Posidonia (MINISTERO MARINA MERCANTILE, 1993).
Attorno alle Isole Pontine la Posidonia copre grandi estensioni sia su substrati mobili che su fondi rocciosi, rappresentando una delle caratteristiche più
salienti di questi fondali.
L’isola di Ponza presenta una prateria di Posidonia che la circonda praticamente per tutto il suo perimetro, ad esclusione della zona antistante Cala Chiaia
di Luna. I versanti orientale, meridionale e nord occidentale dell’isola presentano fondali piuttosto ripidi, con profondità elevate a breve distanza dalla costa.
Le praterie hanno così spesso estensione limitata. Presso i margini inferiori delle
praterie, situati intorno i 38-40 m, si ritrova spesso una fascia di “matte” morta.
Ampie zone di “matte” morta sono presenti nelle acque antistanti località Il
Frontone. La Posidonia è presente su roccia intorno gli scogli delle Formiche,
intorno P.ta della Madonna, P.ta Bianca e spesso lungo il versante nord occidentale dell’isola; nelle altre zone si ritrova su sabbia o “matte” (Fig. 6).
Figura 6
Le praterie di Posidonia
nelle Isole Pontine.
I. di PALMAROLA
50
Posidonia prevalentemente
su sabbia o “matte” ■
Posidonia prevalentemente
su fondi duri ■
Posidonia a fasci isolati
e “matte” morta ■
I. di ZANNONE
50
0
1 km
I. di PONZA
50
Ponza
di VENTOTENE
50
0
202
1 km
I. di S. STEFANO
Palmarola presenta praterie di Posidonia che circondano l’isola per gran
parte del suo perimetro. Le praterie più vaste si ritrovano lungo il suo versante
meridionale; queste si estendono, anche se con ampie zone sabbiose, fino alla
profondità di 32 m circa. Altre estese zone con Posidonia si ritrovano sui fondali che circondano M.te Tramontana e quelli antistanti Punta Grottelle. Anche
a Palmarola sono presenti alcune zone con “matte” morta (versante meridionale, fondali antistanti Punta Grottelle, ecc.). Ampie praterie di Posidonia su roccia si rilevano lungo il versante sud- occidentale (secca di Mezzogiorno) e
nord-occidentale (Punta Tramontana). Piccole praterie di Posidonia sono inoltre presenti lungo i fondali del versante orientale, sia su sabbia o “matte” che su
roccia. Il margine inferiore delle praterie è posto normalmente intorno i 38 m.
La piccola isola di Zannone appare quasi completamente circondata da
una fascia di Posidonia, per quanto i suoi ripidi fondali permettano. Il limite
inferiore delle praterie è posto intorno i 37-38 m; “matte” morta si ritrova
spesso fino ad una profondità di circa 40 m.
Il fondale roccioso che unisce l’isola di Gavi a Zannone presenta Posidonia con un alto ricoprimento.
Anche Ventotene e S. Stefano presentano fondali estremamente ripidi, con
praterie di Posidonia quindi di ridotta estensione. Quasi tutto il versante sudoccidentale di Ventotene presenta Posidonia, su roccia fino a circa 16 m e su
sabbia o “matte” fino a 36-37 m. Il fondale del versante settentrionale dell’isola (Punta Eolo) presenta una ampia zona con Posidonia, sia su sabbia e “matte”
che su roccia. Posidonia prevalentemente su roccia è presente lungo il versante
meridionale dell’isola (Punta dell’Arco). Una ampia prateria di Posidonia è
presente sul fondale che unisce l’isola di Ventotene a S. Stefano.
L’isola di S. Stefano, con i suoi ripidissimi fondali, prevalentemente rocciosi, presenta ridotte estensioni di Posidonia.
A Ventotene e S. Stefano il limite inferiore delle praterie raggiunge in
genere profondità elevate, toccando spesso i 40-41 metri (MINISTERO MARINA
MERCANTILE, 1990).
4.2.3.1 Fase di indagini sul campo
Di seguito viene riportato un commento alle osservazioni effettuate con
telecamera subacquea durante la fase di ricognizione sul campo della presente
indagine. Assieme alla descrizione per ogni area viene riportato un disegno
che esemplifica i profili di alcuni transetti significativi.
Le prime formazioni rocciose che si incontrano a partire dalla foce del Tevere
risalendo verso nord sono quelle antistanti Palo. In questa zona, che risente ancora
moltissimo degli apporti del Tevere (acque torbide, elevata sedimentazione, ecc.)
la Posidonia è presente solamente con rarissimi fasci isolati tanto che non sì è ritenuto corretto riportare questa area sulla cartina come zona di Posidonia.
Le prime macchie di Posidonia un pò più consistenti su questo litorale si
trovano sulle secche di Flavia, a nord di Ladispoli. Queste formazioni appaiono piuttosto articolate, con roccia bassa di origine organogena, catini e canali
di sabbia. Piccole e rade macchie di Posidonia sono presenti nei catini di sabbia e sulle fasce di “matte” morta che si intervallano alle formazioni rocciose.
Il transetto TF, che parte dai ruderi di torre Flavia e si muove per 220 gradi,
schematizza la situazione riscontrata (Fig. 7).
Ancora più articolate si presentano le secche di Macchia Tonda. Anche
qui formazioni rocciose di origine organogena partono dai primissimi metri di
profondità e si spingono fino ad una ventina di metri. A partire dai 7-8 m sulla
roccia e nei canali di sabbia è presente rada Posidonia. Oltre i 10 m assieme
alla roccia sono presenti anche ampi tratti di “matte” morta di Posidonia, con
radi fasci di piante vive. La “matte” morta, talvolta con fasci di Posidonia,
203
Avvicinandosi verso il porto di S. Marinella sono presenti ancora basse formazioni rocciose, sempre tra abbondante “matte” morta.
Le figure schematizzano le situazioni riscontrate lungo i transetti
CL245 (da Capo Linaro con rotta 245 gradi) e TG17 (da Torre Grottini con
rotta 17 gradi) (Figg. 10 e 11).
I fondali di Capo Linaro si presentano prevalentemente rocciosi già a partire dai primissimi metri di profondità. La roccia appare più compatta rispetto
alle zone precedenti, ma sempre di natura organogena, molto articolata e frastagliata. Macchie di Posidonia sono presenti per lo più su roccia fino a 10 m
(copertura inferiore al 10 %), anche in catini o buche di sabbia oltre questa
profondità, con copertura che intorno gli 11 m arriva al 30-40 %. Il fondale
degrada poi ripidamente da 11-12 m fino a circa 29 m, ancora con roccia.
Oltrepassato Capo Linaro e proseguendo verso Nord fino a Civitavecchia,
il fondale si presenta ancora roccioso, con ampi canali di sabbia. Macchie di
Posidonia più o meno grandi sono evidenti sia nei catini che sulla roccia, con
copertura che raramente supera il 20 %.
La figura illustra la situazione riscontrata con il transetto CL220, effettuato partendo da Capo Linaro e uscendo per 220 gradi (Fig. 12).
Figura 12
Profilo schematico del fondale
partendo da Capo Linaro
e uscendo per 220°.
Posidonia oceanica
fondali sabbiosi
fondali rocciosi
“matte” di Posidonia
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Oltre Civitavecchia e fino alla foce del Mignone il fondale presenta caratteristiche pressocché simili a quanto visto finora. Oltre la quindicina di metri il popolamento dei fondi duri acquista il tipico aspetto del precoralligeno, con presenza della
gorgonia Eunicella cavolinii. La Posidonia è presente sempre con macchie più o
meno grandi sia nei catini di sabbia che sulla roccia. Esemplificativo è il transetto
TA270 effettuato partendo da Punta S. Agostino andando per 270 gradi (Fig. 13).
Il fondale antistante la foce del Mignone si presenta prevalentemente sabbioso, anche se, soprattutto al largo, sono presenti affioramenti rocciosi che
Figura 13
Profilo schematico del fondale
partendo da Punta S. Agostino
e uscendo per 270°.
206
geometria della prateria evidenzia inoltre un vistoso fenomeno regressivo in
atto. Anche le acque di tutta la zona esaminata a nord di Civitavecchia si sono
rivelate molto torbide, rendendo spesso difficoltoso lo svolgimento del lavoro.
In sintesi quindi, lungo la costa laziale settentrionale la distribuzione della
Posidonia appare molto eterogena. Tra Torre Flavia a Capo Linaro si ritrovano
ampie zone di “matte” morta intervallate a rocce organogene, catini di sabbia con
radi fasci di Posidonia e talvolta macchie di Posidonia più consistenti (Fig. 20).
I fondali tra Capo Linaro e Torre S. Agostino presentano un mosaico di
Posidonia, rocce prevalentemente organogene e fondi mobili.
Figura 20
Le praterie di Posidonia
nell’area della Foce del Tevere.
Posidonia prevalentemente
su sabbia o matte ■
Posidonia prevalentemente
su fondi duri ■
Posidonia a fasci isolati
e matte morta ■
41°50'
12°10'
E
ER
Ardea
Acilia
10
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Fiumicino
Tor Vaianica
a gn
ello S t
Lido di
Ostia
Focene
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Ladispoli
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or
Rio T
42°
Maccarese
C.l e d
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Cerveteri
41°40'
12°55'
F. T
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42°
20
FOCE DEL
TEVERE
30
12°55'
11°55'
41°30'
50
80
N
100
0
41°40'
11°55'
Figura 21
Le praterie di Posidonia tra
S. Severa e Montalto di Castro.
42°20'
d el Taf
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Tarquinia
ign
Marina di
Tarquinia
10
42°
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F. M
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M
12°
S. Severa
Aurelia
12°
11°30'
42°10'
11°45'
ra
Fi o
o
41°30'
Più articolata la situazione rilevata dalla foce del Mignone alla foce del
Marta, ove sono presenti mosaici di sabbie, rocce organogene e macchie di
Posidonia assieme ad ampie zone sabbiose o secche con roccia organogena
assieme a grandi estensioni di “matte” morta, con rada Posidonia viva. Dal
Marta alla foce del Tafone la situazione appare abbastanza simile, con presen-
F.
e
on
Montalto
di Castro
12°10'
5
ne
41°50'
km
CIVITAVECCHIA
S. Marinella
20
42°20'
30
50
80
N
100
0
42°10'
210
11°30'
42°
11°45'
km
5
za di Posidonia, spesso a densità molto bassa o a fasci isolati, intervallata a
sedimento molto fine e ad ampie estensioni di “matte” morta, con rada
Posidonia, più al largo (Fig. 21).
4.2.4 Conclusioni
I risultati di questa prima cartografia regionale evidenziano una condizione di preoccupante degrado di gran parte delle praterie distribuite lungo la
costa laziale ad eccezione delle isole pontine che possono essere considerate il
riferimento di una condizione ormai persa lungo la costa peninsulare.
Come evidenziato dalle cartine di distribuzione è possibile schematizzare
la presenza della Posidonia in tre grandi aree con caratteristiche differenti: le
isole pontine, il Lazio meridionale, il Lazio settentrionale. Le isole pontine
presentano, come abbiamo visto, praterie di Posidonia ampie e in buono stato.
Il Lazio meridionale presenta alcune aree di Posidonia a densità maggiore
circondate da zone con Posidonia più rarefatta e con “matte” morta.
La caratteristica principale dei fondali con Posidonia del Lazio settentrionale è invece l’abbondante presenza di “matte” morta, soprattutto nella zona
compresa tra Torre Flavia e Capo Linaro e dalla foce del Mignone a quella del
Tafone.
Il problema della regressione della Posidonia è quindi generalizzabile per
tutta la costa laziale, isole Pontine escluse.
È stato più volte ricordato da diversi Autori come le praterie di Posidonia
nella loro complessità costituiscono delle comunità delicate e fragili. La loro
localizzazione in prossimità della costa le espone infatti ai danni indotti dall’antropizzazione. La loro regressione, particolarmente pronunciata nelle
regioni dove l’impatto delle attività umane sull’ambiente marino è più marcato, ha assunto proporzioni rilevanti se considerata negli ultimi trenta anni
(BOUDOURESQUE e MEINESZ, 1982).
Molte cause possono agire in sinergia nel danneggiare l’equilibrio di questa biocenosi. Agli eventuali fattori di ordine naturale ipotizzabili possono
sovrapporsi quelli legati alle attività umane. La costruzione di opere nelle
acque costiere e la conseguente alterazione delle caratteristiche idrologiche
locali, gli scarichi in mare ricchi di sostanze eutrofizzanti e inquinanti, le attività di pesca sottocosta, gli ancoraggi, rappresentano un insieme di possibili
fonti di degrado e di distruzione delle praterie.
L’alterazione della qualità delle acque costiere è uno dei motivi invocati
per spiegare la regressione delle praterie di Posidonia. A partire dagli anni ‘60
l’accrescersi della popolazione costiera e il processo di urbanizzazione e di
sviluppo industriale dei paesi mediterranei hanno prodotto un degrado netto
della qualità delle acque neritiche. L’incremento massiccio degli apporti in
mare di sali minerali, materie organiche e sostanze chimiche inquinanti attraverso una serie di fonti (effluenti urbani, industriali, ecc.) ha prodotto come
conseguenza più vistosa la perdita di trasparenza di queste acque per l’aumento delle particelle in sospensione tanto inorganiche quanto, attraverso il processo di arricchimento trofico delle acque, di origine fitoplanctonica. Questo
fenomeno risulta particolarmente accentuato in situazioni di minor ricambio,
nei golfi ad esempio, dove gli apporti di nutrienti dai grandi agglomerati urbani insediati in costa giungono senza un efficace trattamento (Napoli, Trieste,
Marsiglia, ecc.) (CHIAUDANI et al., 1978; UNEP, 1991). Per quanto riguarda le
praterie di Posidonia, l’aumento della torbidità delle acque (PÉRÈS, 1984)
determina un restringimento sostanziale della gamma di profondità compatibili con la fotosintesi delle piante e in conseguenza si assiste generalmente alla
risalita del loro limite più profondo. In diverse aree costiere si assiste in oltre
ad una rottura dell’equilibrio a livello delle biocenosi bentoniche e quindi ad
211
una loro modificazione soprattutto per l’accrescersi delle frazioni fini del sedimento in sospensione. Il fenomeno è particolarmente noto è studiato lungo le
coste provenzali dove negli ultimi 30 anni le caratteristiche bionomiche dei
fondi si sono evolute maggiormente che nei 70-80 anni precedenti (PÉRÈS,
1984). L’infangamento dei fondali provoca a livello del posidonieto uno stato
di squilibrio essendo le piante non più in grado di adeguare il loro ritmo di
crescita all’aumentato ritmo di sedimentazione.
Secondo alcuni Autori (PÉRÈS e PICARD, 1975; AUGIER, 1986), inoltre una
vasta gamma di sostanze chimiche associate alle acque di scarico attaccano e
riducono la vitalità delle praterie su tutta la loro superficie. Detergenti, metalli
pesanti, organocloruri, alcuni idrocarburi alterano i processi fisiologici delle
piante, con conseguenze drastiche sul loro accrescimento.
La realizzazione di alcuni tipi di opere lungo la linea costiera (dighe, terrapieni, ecc.) modificando localmente il comportamento delle onde e delle
correnti, interagiscono con i processi del trasporto litorale che presiedono alla
distribuzione dei sedimenti (ASTIER, 1984). L’efficace protezione che le praterie di Posidonia esercitano sul litorale è evidente osservando le conseguenze
che possono risultare a causa della scomparsa delle praterie stesse: instabilità
dei fondali, alterazione dei ritmi sedimentari, erosione delle coste (AUGIER,
1986).
BLANC (1985) ha discusso l’impatto delle diverse opere sull’ambiente
costiero, rilevandone gli effetti sulle praterie. Le opere trasversali (dighe, pennelli, ecc.) là dove bloccano le correnti costiere spostandole verso il largo provocano una sedimentazione a monte per il deposito del sedimento in transito e
un processo erosivo a valle, soprattutto quando il regime delle correnti è unidirezionale. Ciò può determinare la distruzione di praterie costiere. La flessione verso il largo del flusso in transito può alimentare e favorire lo sviluppo
delle praterie più profonde.
La stessa protezione delle spiagge mediante opere longitudinali o trasversali può avere come conseguenza un’alterazione locale delle praterie per effetto tanto delle modificazioni dei fondali quanto del campo delle correnti locali.
Le opere di difesa che combinano le tipologie longitudinali e trasversali
(ad esempio quelle che si propongono la realizzazione di spiagge artificiali)
possono a loro volta modificare il paesaggio litorale e i fondali, influenzando
negativamente l’esistenza delle praterie. Lo stesso può affermarsi per i manufatti di scarico di acque reflue a mare.
In definitiva, la costruzione di nuove opere lungo il litorale può essere
quindi responsabile della degradazione delle praterie.
La costruzione di 1 km di diga nella rada di Tolone per la protezione di
alcune spiagge rappresenta l’esempio più noto ed esplicativo dei risultati reali
di tali processi. In questa zona nel giro di pochi anni si è assistito alla scomparsa di 70 ettari di prateria. Ai circa 25 ettari distrutti direttamente per la
costruzione delle dighe, se ne sono aggiunti altri 20 persi nei pressi delle
spiagge artificiali per infangamento della prateria e aumento della torbidità
delle acque e altri 25 per la risalita del limite inferiore, fenomeno sempre legato alla perdita di trasparenza delle acque (ASTIER et al.,1983).
La prateria è da sempre luogo di attività di pesca artigianale. Ai tradizionali strumenti della piccola pesca, quali tramagli, nasse e parangali, attrezzi di
per se non distruttivi nei confronti delle praterie, si deve aggiungere la pratica
dello strascico sottocosta ancora oggi diffusa nonostante i divieti (ARDIZZONE,
1981; ARDIZZONE e MIGLIUOLO, 1983; ARDIZZONE e PELUSI, 1984). Lavorando
sulle praterie e attorno ai loro margini, i pescherecci possono catturare, in
alcune stagioni dell’anno, quantitativi notevoli di specie pregiate (ARDIZZONE
e PELUSI, 1984), garantendosi alti guadagni. Questa pratica illegale si spiega
con i bassi costi di esercizio (minore consumo di carburante, impiego di barche più piccole e quindi con un minor numero di marinai a bordo) che una tale
212
attività di pesca costiera comporta. Il danno che la prateria subisce dall’azione
di “aratura” della rete sul fondo è ovviamente enorme. Gli effetti della rete al
passaggio sulla prateria dipendono dalla struttura di quest’ultima, essendo particolarmente gravi laddove esistano situazioni di scarsa densità dei fasci o di
copertura discontinua del fondale (praterie a macchie, presenza di canali di
inter“matte”, ecc.). Inoltre il passaggio della rete erode il substrato attorno ai
fasci scoprendo e scalzando i rizomi e favorendo la successiva azione erosiva
delle correnti. Ai danni meccanici si sovrappongono così alterazioni dell’equilibrio sedimentario della prateria i cui effetti, ritardati nel tempo, si amplificano ad aree distanti da quelle direttamente danneggiate dall’azione della rete.
Quello del degrado delle praterie di Posidonia lungo le coste laziali è
quindi il fatto più evidente rilevato durante questa indagine. La presenza di
Figura 22
a) effetto della pesca a strascico
sulle praterie di Posidonia
b) veicolo, telecamera
e monitor impiegati
per i rilievi sui fondali
c) prateria in condizioni di
regressione: “matte” morta e
pochi fasci ancora viventi
d) misure di densità foliare
su una prateria degradata
dalla pesca a strascico.
a
b
c
d
213
grandi estensioni di “matte” morta in tutta l’area, dalle secche di Torre Flavia
fino alla foce del Tafone, e l’assenza quasi ovunque di praterie con elevata
densità, sono sicuramente indice di un fenomeno di alterazione su larga scala
che interessa le coste laziali ormai già da diversi anni. Solamente le isole pontine presentano praterie di Posidonia in condizioni ottimali. Il limite inferiore
delle praterie lungo la costa continentale si è quasi ovunque abbassato, stabilendosi attualmente tra i 20-25 m (Fig. 22). Sono testimonianza di questa evoluzione sia la “matte” morta rilevata alle profondità maggiori sia le condizioni
riscontrate in assenza di turbative ambientali come nelle isole pontine (limite
inferiore a 35-40 m).
Un fenomeno di regressione così diffuso si può spiegare solo in parte con
azioni dirette di disturbo da parte di attività quali ad esempio la pesca a strascico, ampiamente documentate per le praterie del Lazio meridionale. La situazione del Lazio settentrionale sembra più dovuta ad una aumentata torbidità delle
acque e a variazioni del regime sedimentario delle correnti. La costruzione in
questi ultimi anni di numerose opere in mare (ampliamento dei porti di S. Marinella e Civitavecchia, realizzazione del porto di Riva di Traiano, opere e
lavori per le centrali termoelettriche di Civitavecchia, Tor Valdaliga e Montalto di Castro, la regimentazione dei corsi d’acqua Mignone, Marta, Arrone,
Fiora, ecc.) ha sicuramente concorso a tale condizione. Responsabile di una
aumentata torbidità delle acque può essere, come abbiamo visto in precedenza,
anche un aumento del livello di eutrofizzazione costiera. Questa può derivare
paradossalmente dal trattamento di depurazione degli effluenti urbani introdotto in questi ultimi quindici anni che talvolta anziché ridurre i nutrienti ed in
particolare i fosfati, ne facilita l’utilizzazione nel ciclo biologico marino attraverso una più accentuata mineralizzazione.
Data l’assenza di dati storici di riferimento non è stato comunque possibile per ora formulare altro che prime ipotesi sulle condizioni osservate.
Tra i programmi da intraprendere, oltre agli approfondimenti che permettano di collegare condizioni causa - effetto, c’è l’ipotesi di urgente realizzazione di una serie di transetti fissi in punti chiave della costa su cui periodicamente effettuare alcuni controlli per seguire nel tempo l’evoluzione dello stato
delle praterie. Nell’interesse regionale di risanare la costa, il controllo di un
indicatore biologico importante quale la prateria di Posidonia è fondamentale
per la misura non tanto di una condizione puntuale quanto di una evoluzione
temporale, al fine di evitare che il perpetuarsi di fenomeni regressivi non controllati porti gradualmente alla scomparsa della Posidonia in aree sempre più
ampie della costa laziale.
È comunque sicuro che l’individuazione di cause certe di alterazione, e
conseguentemente l’avvio di specifici interventi, è sicuramente complesso in
quanto molteplici e fra di loro interagenti sono i fattori di degrado della qualità delle acque costiere e, in assenza di una loro rimozione, interventi recentemente suggeriti, quali il reimpianto di Posidonia, possono rivelarsi del tutto
inefficaci.
Va ricordato infine come l’importanza e la necessità di proteggere le praterie di Posidonia è ormai riconosciuto a livello internazionale per tutto il
Mediterraneo come dimostra il documento denominato “Carta di Parigi”, firmata da 11 Capi di Sato e 27 Capi di Governo nella riunione del secondo vertice
della “Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa” che si è tenuto
nel 1990. Nel documento figura l’impegno preciso, per i Paesi che si affacciano
sul Mediterraneo “di adottare tutte le misure più opportune per la protezione
della Posidonia oceanica e di tutte le altre fanerogame marine, piante essenziali
dell’ecosistema mediterraneo e di controllare e regolamentare la pesca con la
sciabica e le altre attività che possono causare la distruzione della Posidonia e di
tutte le altre fanerogame marine” (AMBIENTE, RISORSE E SALUTE, 1992).
214
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