Museo chiuso per festa privata

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Museo chiuso per festa privata
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IOVEDÌ scorso i turisti sono
rimasti fuori dalla Villa
della Regina, a Torino, importantissimo monumento barocco e sito Unesco. Un cartello informava che la villa e il parco progettati per Maurizio di Savoia
nel 1615 sarebbero rimasti chiusi perché ospitavano «i giovani
manager del programma di formazione Uniquest di Unicredit».
I futuri capitani del capitale «collaborano alla semina di un prato
fiorito... in un’ideale restituzione
di risorse non solo economiche
dalla banca al territorio». Tradotto: Unicredit prende in esclusiva
un monumento nazionale, chiudendolo al pubblico per un’intera giornata e senza sborsare un
euro. Possibile?
Possibile, perché l’affitto a privati del patrimonio storico e artistico della nazione è totalmente
deregolato: ogni direttore fa come gli pare.
Noleggiare gli Uffizi per una
cena di cento persone costa
15.000 euro, mangiare ai piedi
del David di Michelangelo, all’Accademia, ne costa 20.000.
A Napoli, il Salone delle Feste
di Capodimonte lo si prende per
25.000 euro, mentre «le manifestazioni che prevedono il lancio
commerciale di un prodotto nel
museo sono soggette a trattativa
riservata». E per una cena a Castel Sant’Elmo possono bastare
1.000 euro.
Per il cortile del Museo Civico
Medievale di Bologna sono sufficienti 2.000 euro per l’intera giornata; al Tempio di Segesta in Sicilia così come alla Pinacoteca di
Brera a Milano non si arriva a
5.000; per cenare nell’Anfiteatro
di Pompei uno se la cava con
15.000, mentre a Roma il Salone
di Pietro da Cortona di Palazzo
Barberini ne vale al massimo
20.000.
Prima domanda: è giusto che
cenare in gruppo nei luoghi più
belli e famosi del mondo costi
quanto un tavolo per pochissimi
al Billionaire?
E non è un problema di inettitudine dei soprintendenti: anche
i politici non se la sono cavata
molto meglio. Il Ponte Vecchio
concesso da Renzi sindaco alla
Ferrari fruttò una cifra ridicola rispetto al valore simbolico e al disagio dei cittadini (60.000 euro),
e il suo successore Dario Nardella
ha permesso alla banca d’affari
Morgan Stanley di cenare in una
chiesa medievale (il Cappellone
degli Spagnoli di Santa Maria Novella) per 20.000 euro, poi elevati a 40.000 nel fuoco delle polemiche.
Seconda domanda: è giusto
che, per preparare questi eventi
privati, i musei e i monumenti
chiudano al pubblico? Il caso di
Torino (la Villa negata per un’intera giornata) è estremo, ma sabato scorso la reggia di Venaria è
stata sbarrata con tre ore di anticipo per organizzare l’imbarazzante Nuite Royale (una festa in
costume settecentesco: che ha
fruttato solo 20.000 euro, benché ci fossero 1.500 partecipanti), e qualche mese fa la sala di
lettura della Biblioteca Nazionale di Firenze fu chiusa a causa di
una sfilata di moda (con gli studenti che issavano cartelli con
scritto: «Vogliamo studiare!»). Il
Codice dei Beni culturali prevede
che i siti pubblici si possano affittare ai privati, ma solo «per finalità compatibili con la loro destina-
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zione culturale»: il che sembra
non solo vietarne la chiusura, ma
anche impedirne usi bizzarri, come le sessioni di step coreografico, zumba e totalbody sotto gli affreschi medievali del complesso
di Santa Maria della Scala a Siena (è successo l’anno scorso),
«un corso di pilates nella bellissima atmosfera del Museo Diocesano di Milano» (un’offerta tuttora
in corso) e, appunto, un banchetto di banchieri internazionali sotto le volte di una chiesa di un ordine mendicante.
Personalmente, credo che far
passare l’idea che col denaro si
può comprare anche l’uso privato di un monumento pubblico sia
un errore culturale. La nostra Costituzione ha connesso fortemente la tutela pubblica del patrimonio (art. 9) e la costruzione dell’uguaglianza per il pieno sviluppo
della persona umana (art. 3). Ma
perfino negli Stati Uniti infuria il
dibattito sui limiti della mercificazione. Uno scrittore come Jonathan Franzen ha scritto che «un
autentico spazio pubblico è un
luogo dove ogni cittadino è il benvenuto, e dove la sfera puramente privata è esclusa o limitata. Il
motivo per cui negli ultimi anni i
musei d’arte hanno registrato
un forte aumento di visitatori è
che i musei rappresentano ancora quel genere di spazio pubblico. Com’è piacevole l’obbligo del
decoro e del silenzio, la mancanza di consumismo sfacciato». E il
filosofo della politica Michael
Sandel ha fatto notare che «se
trasformate in merci, alcune delle cose buone della vita vengono
corrotte e degradate. Dunque,
per stabilire dove va collocato il
mercato e a che distanza andrebbe tenuto, dobbiamo decidere come valutare i beni in questione».
Per queste ragioni credo sia un errore finanziare il patrimonio artistico snaturandone la funzione,
e il limpido libro dell’ex commissario alla spending review Carlo
Cottarelli (“La lista della spesa”,
uscito per Feltrinelli) indica con
dovizia di particolari in quali sacrosanti risparmi si potrebbero
trovare i soldi.
Tuttavia, so bene che la maggioranza degli italiani non vede
niente di male nel trattare gli Uffizi come un articolo di lusso. Ma
allora, almeno, stabiliamo che
gli eventi privati si facciano fuori
dagli orari di apertura. E fissiamo delle tariffe decorose e uniformi: perché concedere un monumento ad una banca è discutibile, ma farlo gratis è pazzesco. Scagliandosi contro Verre, Cicerone
scrive che le città siciliane non solo erano state costrette a vendergli i propri monumenti, ma erano pure state umiliate a farlo
«parvo pretio», cioè a svenderli.
Era il 70 avanti Cristo, ma non
sembra che le cose siano cambiate.
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