l`euro e la politica economica nell`UE > le prossime

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l`euro e la politica economica nell`UE > le prossime
N°77
N°77
GIORNATE DI STUDIO-GIORNATE DI STUDIOGIORNATE DI STUDIO-GIORNATE DI STUDIO
> l'euro e la politica economica nell’UE
> le prossime riforme istituzionali dell’UE
> Le nuove frontiere della genetica umana
GIORNATE DI STUDIO-GIORNATE DI STUDIOGIORNATE DI STUDIO-GIORNATE DI STUDIO
Gruppo del Partito Popolare Europeo
(Democratici Cristiani) e Democratici Europei
al Parlamento Europeo
>
> IT
G I O R N AT E D I ST U D I O D E L GRUPPO DEL PARTITO POPOLARE EUROPEO
24-27 SETTEMBRE 2001-N°77
Ro m a
Gruppo del Partito Popolare Europeo
(Democratici Cristiani) e Democratici Europei
al Parlamento Europeo
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GIORNATE DI STUDIO
24-27
SETTEMBRE
2001
ROMA
S O D D I S FA R E
BENVENUTO DEI PRESIDENTI DELLA DELEGAZIONE ITALIANA.............................................. P. 5
L'EURO E LA POLITICA ECONOMICA NELL’UE ............................................................................. P. 9
LE PROSSIME RIFORME ISTITUZIONALI DELL’UE.................................................................... P. 25
LE NUOVE FRONTIERE DELLA GENETICA UMANA:
ASPETTI ETICI, GIURIDICI ED ECONOMICI................................................................................. P. 37
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GIORNATE DI STUDIO
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SETTEMBRE
2001
ROMA
da sinistra a destra:
Hans-Gert POETTERING, Presidente del Gruppo del PPE-DE, riceve da
Antonio TAJANI, capo della delegazione Italiana del Gruppo del PPE-DE,
la medaglia della presidenza del Consiglio comunale di Roma.
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LUNEDÌ 24 SETTEMBRE 2001
BENVENUTO DEI PRESIDENTI DELLA DELEGAZIONE ITALIANA
L’on. Antonio TAJANI ringrazia i colleghi del
Gruppo del PPE-DE per la loro presenza a Roma.
Essendo l’unico parlamentare romano del Gruppo
del PPE-DE, l’on. Antonio TAJANI, anche a nome
della delegazione italiana, consegna la medaglia del
Consiglio comunale di Roma all’on. H.-G. POETTERING,
Presidente del Gruppo del PPE-DE: è un onore,
afferma, accogliere a Roma il Gruppo più importante
del Parlamento europeo.
polveriera mediorientale. L’Europa e il Parlamento
europeo dovranno giocare un ruolo decisivo in
quest’azione pacificatrice, nell’intento di ridare
maggiore tranquillità al panorama internazionale.
L’on. Antonio TAJANI si dice persuaso che,
parallelamente all’azione terroristica, vi sia stata
anche una forte azione speculativa, a detrimento
delle borse europee e americane. Egli auspica quindi
che, per porre fine a questa speculazione, si dia alle
imprese la possibilità di riacquistare le proprie azioni.
Egli suggerisce, inoltre, d’intervenire direttamente
sui beni di Bin Laden e di controllare le sue attività
finanziarie ed economiche.
Con riferimento ai tragici eventi dell’11 settembre
scorso, l’on. Antonio TAJANI rileva che l’Europa è
riuscita a garantire la pace nel continente europeo
per più di 50 anni, grazie anche all’azione dei suoi
padri fondatori e dovrà impegnarsi sempre di più per
tentare di disinnescare la bomba ad orologeria
costituita dai nemici invisibili che sono Osama Bin
Laden e il terrorismo.
L’Europa, afferma, ha il diritto e il dovere di difendere
i suoi cittadini e i propri interessi economici e il
Parlamento europeo ha un ruolo importante da
svolgere in tal senso. Questa istituzione viene spesso
considerata come l’istanza europea con minore
importanza, ma occorre precisare che questa
posizione non è certo condivisa dall’Italia.
Tuttavia, in linea con il tenore dei dibattiti svoltisi in
seno al Parlamento europeo a Bruxelles, occorre
affermare a chiare lettere che questa non è una
battaglia fra l’occidente e l’islam, bensì una
battaglia fra il mondo civilizzato e un gruppo organizzato di terroristi.
L’attuale presidente del Consiglio, l’on. Silvio
BERLUSCONI, il ministro Rocco BUTTIGLIONE e
il presidente della camera dei Deputati, l’on. Pier
Ferdinando CASINI, provengono essi stessi dalle fila
del Gruppo del PPE-DE di questa legislatura.
L’Italia riconosce dunque il ruolo fondamentale che
può e deve svolgere il Parlamento europeo nella
scena internazionale in quanto portatore di pace.
Riceviamo in tal senso importanti messaggi provenienti
anche dal mondo musulmano e islamico,afferma
l’on. TAJANI, cosa che ci fa ben sperare di vedere
isolato il terrorismo. Gli autori degli attentati
dell’11 settembre devono essere identificati e puniti.
Nella lotta contro il terrorismo è necessaria una
forte mobilitazione politica. Parallelamente
all’intervento militare, si dovrebbero intraprendere
azioni volte a favorire un maggior coordinamento
delle forze di polizia, il rafforzamento dell’Europol,
segnatamente tramite l’aumento dei fondi di bilancio,
ma anche una maggiore collaborazione fra i servizi
segreti internazionali, compresi quelli della Russia e
della Cina, in quanto, ricorda l’on. TAJANI, la
battaglia che stiamo combattendo è una battaglia
per la civiltà. Sarà inoltre necessario un forte
coinvolgimento a livello politico per disinnescare la
Queste giornate di studi del Gruppo del PPE-DE
saranno certamente un’occasione per arricchire il
dibattito, con la presentazione di nuove proposte
che permettano di far evolvere il nuovo contesto
internazionale, profondamente modificato dagli
eventi dell’11 settembre.
Se i trattati di Roma hanno segnato una svolta
nella storia dell’Europa, l’on. Antonio TAJANI
spera che queste giornate di studio rappresentino
egualmente un cambiamento di direzione, un
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maggior coinvolgimento da parte del Gruppo del
PPE-DE, del Parlamento europeo e delle istituzioni
europee sulla strada della lotta contro il terrorismo
con l’obiettivo di ristabilire la pace, non solo
nell’UE, ma anche nel resto dell’Europa e in tutto il
pianeta.
L’on. Guido BODRATO osserva che il maggior
contributo che l’UE possa apportare in questo
momento alla lotta contro il terrorismo mondiale
è il rilancio e il rafforzamento della strategia
mediterranea dell’UE, conformemente al progetto
di Barcellona, in quanto la ripresa economica e la
lotta contro la povertà saranno l’arma più efficace
contro il terrorismo. L’Europa deve quindi dar prova
del fatto che nel Mediterraneo, punto d’incontro
col mondo arabo, essa è disposta a promuovere le
politiche di sviluppo e di sostegno al processo
di democratizzazione, e quindi a lavorare
concretamente per isolare il terrorismo.
L’on. Guido BODRATO, ricorda che al momento
di organizzare queste giornate di studio, i temi
sollevati riguardavano il dopo-Nizza, con l’obiettivo
di rilanciare il dibattito sulla costruzione europea e
la moneta unica e le sue conseguenze non solo per il
consumatore, ma anche per la politica economica e
monetaria.
Per quanto riguarda le riforme istituzionali, l’on.
Guido BODRATO ricorda che il Gruppo del PPE-DE
si appresta ad avviare il dibattito, in seno al PE,
sul Libro bianco sulla governance. Ebbene, come
sottolineato dal Presidente PRODI, governance e
democrazia vanno di pari passo. L’on. Guido
BODRATO insiste sul fatto che il problema delle
riforme istituzionali dell’UE è essenzialmente un
problema di democratizzazione e, in tal senso, il
ruolo del Parlamento europeo è insostituibile.
Il programma è stato sconvolto dall’attacco
perpetrato nei confronti dell’America e da questa
ignobile azione contro l’umanità.
L’on. Guido BODRATO sottolinea l’immediata
decisione presa dall’Unione europea di affiancare
gli Stati Uniti nella lotta contro il terrorismo,
preoccupandosi al contempo che quest’azione non
diventi una guerra fra religioni. In tal senso, la
posizione dell’Unione europea è stata molto chiara e
responsabile.
Per quanto concerne le nuove frontiere della genetica,
l’on. Guido BODRATO sottolinea il fatto che anche
per quanto riguarda questo tema il Gruppo del
PPE-DE pone l’essere umano al centro delle sue
riflessioni. L’argomento, estremamente delicato,
chiama in causa problemi etici che, a loro volta,
mettono in causa la libertà della scienza, della
politica e dei valori fondamentali che abbiamo
difeso adottando la carta dei diritti fondamentali.
L’on. Guido BODRATO auspica che questo
atteggiamento renda la lotta contro il terrorismo
più efficace e permetta di evitare un’escalation di
violenza.
Egli ricorda che il primo trattato dell’UE è stato
firmato a Roma e che è quindi con grande
soddisfazione che si accoglie la decisione del Gruppo
del PPE-DE di scegliere questa città per discutere
ancora di costituzione europea.
Se la politica dipende dalla responsabilità dei laici,
deve però affondare le sue radici nella moralità e
mantenere un approccio a misura d’uomo. E’ pertanto
opportuno approfondire la nostra riflessione su tale
argomento per definire un orientamento, una linea di
condotta che permetta al PPE-DE di contribuire in
modo determinante alla definizione della posizione
dell’UE.
Dal trattato di Roma, tutti i governi italiani hanno
adottato una politica apertamente europeista.
Inizialmente, gli europeisti convinti erano i membri
stessi della maggioranza anche se non occupavano
tutti i seggi in Parlamento. La strategia europea era
difesa dalla politica centrista di De Gasperi e dagli
alleati della Democrazia Cristiana. Oggi, si può dire
che in Italia non vi sia più una forza politica ostile
all’unità europea. Tuttavia, passare dalle parole ai
fatti, anche per l’Italia, non è cosa facile. Per questo
motivo è importante che, nell’ambito di queste
giornate di studio, si approfondiscano i temi scelti
nel programma.
Per quanto riguarda la politica euromediterranea a
cui ha accennato l’on. Guido BODRATO, il presidente
H.-G. POETTERING ricorda che l’Ufficio di
presidenza del PPE-DE, che ha recentemente
tenuto una riunione, ha sostenuto la proposta da lui
presentata nel corso dell’ultima riunione della
Conferenza dei presidenti a Bruxelles, e segnatamente
in merito all’iniziativa del Parlamento europeo di
indire prossimamente un forum euromediterraneo.
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GIORNATE DI STUDIO
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ROMA
da sinistra a destra:
Guido BODRATO e Antonio TAJANI, capi della delegazione Italiana
Hans-Gert POETTERING, Presidente del Gruppo del PPE-DE
Klaus WELLE, Segretario Generale del Gruppo del PPE-DE
Ilkka SUOMINEN, Vice Presidente del Gruppo del PPE-DE
Rocco BUTTIGLIONE, Ministro per le Politiche comunitarie
Michel BARNIER, Membro della Commissione europea
e Carl BILDT, ex Primo Ministro Svedese.
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TEMA I:
L ' E UR O E L A P O L I T I C A E C O N O M I C A N E L L’ U E
LUNEDÌ 24 SETTEMBRE 2001
Michel BARNIER, Commissario per la politica
regionale e le riforme istituzionali, affronta con
maggior dettaglio la politica di coesione e di crescita
nell’UE.
Michel BARNIER ritiene che questo sarebbe un
errore. Egli prende come esempio i paesi candidati:
taluni riusciranno a rispettare i criteri di Maastricht
tra breve, se già non lo fanno. Questa convergenza
nominale significa che possono fare a meno dello
strumento di politica monetaria? Niente affatto,
visto che le loro strutture economiche non potranno
colmare il divario che separa i Quindici nell’arco di
due generazioni. E noi, siamo in grado di integrarli in
un sol colpo nella nostra politica monetaria prima di
aver visto consolidate le loro strutture economiche o
amministrative? Michel BARNIER non crede che
sia nell’interesse reciproco e dell’Unione dei 15 e dei
paesi candidati che questi ultimi si precipitino
nell’euro. Inoltre, occorrerà prevedere un trattamento
equo per gli attuali Stati dell’UE che beneficiano
della politica di coesione e che sono già qualificati
per l’euro, così come per i futuri Stati membri.
A meno di 100 giorni dall’arrivo dell’euro nelle
tasche dei consumatori, Michel BARNIER ricorda la
crescente inquietudine avvertita nei confronti dei
questo profondo mutamento. Nella sua veste di
commissario europeo, sicuro che i vantaggi dell’euro
saranno di gran lunga maggiori dei suoi punti
deboli, egli auspica di poter condividere questa
convinzione in un momento in cui molti dei fautori
dell’euro sono alquanto tentati di rimanere in
silenzio, se non addirittura pronti ad aggiungersi al
coro di detrattori, invece di osare intraprendere
un’opera di delucidazione. Michel BARNIER lancia
quindi un appello al volontariato politico, poiché il
passaggio all’euro, afferma, resta un atto politico
che indica la volontà degli Stati europei di essere più
forti, mettendo in comune la loro sovranità monetaria.
Ne raccoglieremo presto i frutti, che si tratti della
protezione delle nostre economie contro la fluttuazione
dell’economia mondiale, o dello sviluppo degli scambi
commerciali.
Se la convergenza nominale (disavanzo, inflazione,
debito pubblico) non erode la convergenza reale,
quali sono gli strumenti più adatti a questo bisogno
di solidarietà?
Alcuni ipotizzano nuovi strumenti, quali un fondo
d’intervento congiunturale qualora una crisi
economica dovesse colpire un dato paese, oppure
l’accensione di un mutuo consistente per realizzare
le grandi infrastrutture europee.
A parte questo appello, Michel BARNIER evoca
due questioni sull’euro, considerato dal punto di
vista della politica di coesione e della riforma delle
istituzioni.
Per Michel BARNIER, non vi è nessuna ragione
per non fare della politica strutturale una delle
principali basi del lavoro di organizzazione della
convergenza e della solidarietà di cui l’euro ha
bisogno, anche se ciò comporterà un’estensione della
stessa.
Una zona integrata dal punto di vista monetario
può assumersi il rischio di essere meno solidale ?
Taluni cedono alla tentazione di pensare che gli
Stati che sono riusciti a entrare nella moneta unica
non debbano più beneficiare della solidarietà
europea e soprattutto che per questa ragione
debbano essere automaticamente esclusi dai fondi di
coesione.
Non è un caso se la politica di coesione è stata
fortemente rafforzata in due storiche occasioni: nel
1988, per aiutare le regioni meno sviluppate con
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opere di ristrutturazione industriale e agricola volte
a rendere i paesi più idonei ad affrontare le sfide del
Mercato interno e, nel 1993, per sostenere le stesse
regioni ad integrarsi appieno nell’UEM.
Ora, da questo punto di vista, la politica di coesione
europea non ha cambiato la situazione nell’industria:
gli aiuti di Stato nazionali sono tre volte maggiori in
Lussemburgo, Finlandia e Belgio rispetto alla loro
entità in Portogallo e in Grecia.
Con questo sostegno, i tre Stati meno prosperi
(Spagna, Grecia e Portogallo) hanno potuto
integrarsi nell’euro, riducendo contemporaneamente
di 10 punti lo scarto esistente fra il loro reddito pro
capite e la media comunitaria, benché il PIL pro
capite (79%) rimanga 20 punti al di sotto della
media.
L’euro impone mutamenti a livello istituzionale ?
Michel BARNIER ricorda che l’essenziale degli
strumenti necessari al buon funzionamento
dell’UEM è già in essere: l’indipendenza della BCE,
il Patto di stabilità e di crescita e la creazione
dell’eurogruppo.
Aderendo all’euro, tutti gli Stati dell’UEM hanno
un interesse ancora maggiore a consolidare la
convergenza reale dei più deboli. La questione del
sostegno ai nuovi membri non ci dispensa
dall’accompagnare la convergenza reale delle
economie che non hanno completato la fase di
recupero (per esempio, la Grecia e il Portogallo).
Eppure, per Michel BARNIER, sarà il ricorso a
questi strumenti che dovrà risvegliare la nostra
attenzione. Da ormai quasi tre anni, la Commissione,
la BCE e l’Ecofin stanno cercando, sotto l’occhio
vigile del PE, di raggiungere un certo equilibrio.
Gran parte delle difficoltà risiede nella confusione
frequente fra gli obiettivi e i mezzi di ciascuna di
queste tre istituzioni:
Questa solidarietà deve fondarsi su criteri obiettivi;
il PIL pro capite rimane il più obiettivo di tali criteri.
• la Commissione non contempla fra le sue priorità
la formulazione di diagnosi economiche; questo è
infatti solo un mezzo che le consente di esercitare
le sue funzioni e incitare alla buona coerenza e al
coordinamento degli strumenti delle politiche
economiche e di bilancio degli Stati membri;
Questa solidarietà dell’UEM può giustificare il
rafforzamento della condizionalità macroeconomica
dei fondi strutturali, vale a dire il rafforzamento
delle condizioni di politica economica che i paesi
beneficiari di questi fondi devono rispettare.
In modo più generale, si potrebbe esaminare il
legame fra la politica di coesione e quella fiscale nei
paesi che ne beneficiano. Lo studio commissionato
dall’Ecofin sulla fiscalità delle imprese, in fase
d’esame presso la Commissione, potrà fornire nuovi
spunti di riflessione. Tuttavia, senza aspettare il
risultato dello studio, Michel BARNIER mette in
guardia contro la tentazione di affidarsi unicamente
alla concorrenza fiscale, che l’euro renderà più viva,
per assicurare un minimo di convergenza in questo
settore. Occorre una dose di concorrenza fiscale, ma
questa deve fermarsi laddove cominciano le pratiche
sleali.
• per quanto concerne la BCE, neanche per questa
l’indipendenza è la sua ragion d’essere, bensì la
modalità conferitale per condurre una politica
monetaria che favorisca la stabilità e quindi
l’attività economica;
• l’Econfin, infine, non è stato istituito per proteggere
il carattere sovrano del bilancio di ogni Stato, ma
per definire insieme i migliori dosaggi capaci di
assicurare al contempo la coerenza delle politiche
finanziarie nazionali, nonché la loro compatibilità
con la politica monetaria comune.
Per concludere, Michel BARNIER propone tre
osservazioni sulle seguenti questioni istituzionali:
Michel BARNIER evoca quindi la tentazione, nel
contesto dell’ampliamento, di limitare la solidarietà
comunitaria, se non addirittura di rinazionalizzarla.
• si rammarica della tenacità constatata a Nizza nel
voler gestire talune politiche fiscali con il sistema
della maggioranza qualificata;
Al di là di una data concezione dell’interesse
comunitario, di una certa idea di Europa, tale
rinazionalizzazione comporterebbe anche dei rischi
per il buon funzionamento del mercato interno.
Essa infatti sarebbe affiancata da una maggior
rivendicazione di libertà in materia di aiuti di Stato.
• ritiene che la zona euro dovrebbe essere rappresentata in quanto tale sulla scena internazionale
e che questa missione andrebbe affidata a uno
dei vicepresidenti della Commissione, che nello
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svolgimento della sua missione dovrebbe poter
godere della totale fiducia e collaborazione da
parte dei ministri delle Finanze;
considerazioni sulla necessità di limitare la volatilità
dei mercati finanziari e di ridurre la speculazione.
A tal fine, la Commissione è stata incaricata di
analizzare i vantaggi e gli svantaggi dell’eventuale
istituzione di una tassa sulle transazioni finanziarie,
compresa la Tobin tax. Giulio TREMONTI precisa,
inoltre, di aver richiesto che la Commissione, oltre a
stilare una relazione, effettuasse anche uno studio
sulle alternative alla Tobin tax volte ad ottenere gli
stessi risultati.
• ritiene necessario continuare a richiedere la
consulenza del PE e dei Parlamenti nazionali man
mano che viene a consolidarsi la sovranità
monetaria.
Giulio TREMONTI fa un resoconto della riunione
informale del Consiglio “Ecofin” del 21 settembre.
Il dibattito ha toccato essenzialmente tre punti:
“La Tobin tax, - ha affermato - è una tassa giacobina.
Lo strumento che vorremmo è cristiano”. La Tobin
tax, in effetti, è concepita come una macchina fiscale
internazionale destinata a funzionare sui mercati
finanziari. Eppure, rimangono ancora da definire sia
l’istanza deputata a dirigere tale macchina, sia le
finalità a cui essa dovrebbe mirare. Secondo Giulio
TREMONTI, è possibile sostituire questa proposta
con il suo esatto contrario : una non-tassa, una
“de-tax” che dovrebbe funzionare come segue:
• il rapporto fra i concetti di stabilità e di crescita;
• la capacita di reazione dell’Europa davanti agli
choc esogeni;
• la capacità della TOBIN tax di rispondere agli
abusi della mondializzazione.
Nel quadro dell’ultimo Consiglio “Ecofin”, il rapporto
fra stabilità e crescita è stato per la prima volta
trattato in modo formale. Sappiamo, ricorda Giulio
TREMONTI, che ci può essere crescita senza stabilità;
ma il punto ancora senza risposta è se ci possa essere
stabilità senza crescita.
1. tutti coloro che, sul mercato, vendono beni o
servizi (commercianti, supermercati, ecc.)
possono avere la libertà di sviluppare o aderire a
iniziative etiche, private o pubbliche (lotta
contro la fame e le malattie, aiuti allo sviluppo,
ecc.);
Il governo italiano ha confermato il suo forte impegno
nel voler proseguire, senza deroghe, sulla strada
dell’integrazione economica europea.
2. all’occorrenza, essi possono proporre ai loro
clienti uno sconto dell’1% sul prezzo di beni o
servizi offerti;
Rispetto al passato, esso ha anche posto maggior
attenzione sul concetto di crescita. In opposizione al
concetto neokeinesiano di spesa pubblica volta a
stimolare la crescita, si comincia a porre l’accento
sulla crescita in quanto strumento di stabilità. Se gli
strumenti e le tecniche sono ancora da definire,
Giulio TREMONTI, ha constatato per la prima volta
un maggior interesse a favore dell’idea di crescita.
3. sempre che il cliente intenda trasformare tale
sconto in offerta, aderendo all’una o all’altra
delle iniziative benevole a cui il venditore ha
deciso di partecipare;
4. da parte sua, lo Stato rinuncia a tassare lo scontoofferta così strutturato e si riserva di svolgere
unicamente una funzione residua di controllo
antifrode.
Per quanto concerne la capacità da parte
dell’Europa di reagire agli choc esogeni, Giulio
TREMONTI pone l’accento sul fatto che l’ordinamento
giuridico europeo non prevede misure d’urgenza. A
suo avviso, sarebbe opportuno istituire un decreto
legge europeo per affrontare con maggior flessibilità
le situazioni d’emergenza.
“La de-tax” è quindi l’esatto contrario della Tobin
tax. Non è una tassa, è una “non tassa”. Tanto
la Tobin è autocratica, quanto la de-tax è democratica,
in quanto il suo campo d’applicazione non si limita
al mercato finanziario, ma è esteso a tutti i settori
del consumo, perché non viene riscossa e amministrata
da un’istanza, ma autogestita da un pubblico
potenzialmente illimitato di soggetti privati.
La discussione nell’ambito della riunione Ecofin
è
stata
imperniata
essenzialmente
sulla
mondializzazione, su suoi effetti positivi o negativi
e sul modo in cui si può gestire il problema a
livello politico. Sono state anche formulate
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Per concludere, Giulio TREMONTI ritiene necessario
avviare una riflessione sul carattere morale dell’economia
e sul fatto che il peso finanziario dell’Europa non
deve più essere soltanto economico, ma anche etico.
soltanto quegli aiuti che non sono compatibili con la
filosofia dei trattati.
Sulla ristrutturazione dei mercati delle compagnie
aeree, l’on. HARBOUR evidenzia che molti vettori
economici hanno già apportato innovamenti nel
settore e che molti di loro hanno già effettuato
enormi investimenti. Saranno svantaggiati rispetto
ai previsti beneficiari degli aiuti di Stato? Egli spera
che l’Ecofin abbia effettivamente l’intento di
favorire la ristrutturazione del mercato delle
compagnie aeree, segnatamente riconsiderando gli
aiuti di Stato e il ruolo svolto dalle compagnie
nazionali. Egli suggerisce inoltre che forse sarebbe
opportuno stimolare fusioni transnazionali.
Nell’ambito del dibattito, l’on. Ursula STENZEL
pone l’accento sulla Tobin tax, la quale ha riscosso
un successo tale che lo stesso Tobin non si riconosce
più fra i sostenitori di questa idea originale. L’on.
STENZEL ricorda che se Tobin si riconosce nella
globalizzazione, che considera l’unico mezzo per far
progredire l’economia mondiale e per aiutare le zone
più deboli economicamente, egli non ha, in effetti,
mai creduto che l’imposta di sua concezione potesse
trovare un’applicazione reale.
Per quanto concerne la tassa volontaria “de-tax”,
l’on STENZEL chiede a Giulio TREMONTI quali
saranno i mezzi per far arrivare questi fondi alle
regioni più povere del mondo senza ricorrere a
meccanismi d’orientamento.
Sempre sul tema degli aiuti di Stato alle compagnie
aeree, l’on. MAIJ-WEGGEN ricorda che durante la
crisi del Kuwait, abbiamo dovuto affrontare la
stessa situazione e che in quel caso gli Stati membri,
con l’avallo della Commissione, hanno concesso un
certo numero di sovvenzioni dirette.
Per quanto concerne il patto di stabilità, l’on. Renato
BRUNETTA rileva che, dopo quanto affermato da
Giulio TREMONTI, sarebbe opportuno pensare fin
da ora a quello che succederà dopo il 2003 e questo
per rafforzare e completare il processo, non solo in
ragione degli choc esogeni, ma anche in ragione
degli choc endogeni (come l’invecchiamento della
popolazione e il deficit delle pensioni). Per quanto
concerne la “de-tax” proposta da Giulio TREMONTI,
egli ritiene che essa sia da inserire piuttosto nella
categoria delle donazioni, anche se ha un aspetto
organizzato e viene resa più sistematica.
L’on. G. ANDRIA riprende l’idea dell’alternativa alla
Tobin tax suggerita da Giulio TREMONTI. La
solidarietà dev’essere stimolata, sostiene, ma
quando si è voluto farlo in Italia per sviluppare il
Mezzogiorno, sono emersi ostacoli insormontabili.
Si era infatti previsto un sistema di tassazioni
differenziate a vantaggio delle regioni meridionali.
L’on. Theresa VILLIERS lancia quindi un appello in
favore delle compagnie aeree che affrontano serie
difficoltà in questo periodo di attacchi terroristici.
Piuttosto che concedere sovvenzioni, ella suggerisce
di applicare loro degli sgravi fiscali.
Questo scenario, che trova particolarmente interessante,
potrebbe rappresentare una strategia parallela alla
globalizzazione e dovrebbe essere oggetto di
un’organizzazione efficace.
Per rispondere alle domande poste e alle
osservazioni formulate, Giulio TREMONTI affronta i
seguenti punti:
L’on. J. SALAFRANCA riprende il tema del decreto
legge suggerito da Giulio TREMONTI per affrontare
le situazioni di crisi: questi decreti legge, chiede,
dovrebbero essere convalidati dal Parlamento
europeo, come avviene negli Stati membri, oppure
riguarderebbero semplicemente i capi di Stato o di
governo, o ancora i ministri delle Finanze?
• per quanto concerne la Tobin tax, egli conferma
che effettivamente Tobin respinge la paternità
politica di questa ipotesi, divenuta oggi quella di
una tassa universale. Nel quadro dell’Ecofin, egli
propone che i governi che difendevano la tassa
Tobin gli conferiscano l’incarico di presidente della
commissione di studio, ma l’idea non riscuote
consensi. Secondo Giulio TREMONTI, l’importante
non è tuttavia sapere se il padre riconosce la sua
creatura, né se bisogna criticare la tassa Tobin, ma
di trovare una risposta etica alla globalizzazione.
Escludere dalle imposte una parte dei consumi può
essere una risposta, ma bisognerà allora adottare
Per quanto riguarda le compagnie aeree, per
riprendere l’esempio fatto da Giulio TREMONTI,
gli aiuti di Stato, come previsti dal trattato, non
sono forse sufficienti? chiede Salafranca. Egli
ricorda a tal proposito che gli aiuti di Stato non
sono, a priori, esclusi dal trattato. Sono esclusi
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una strategia, anche se per l’essenziale ciò rimarrà
un fatto puramente privato;
strutturali a lungo termine: il primo dicembre 2001
l’euro diventerà una realtà, comportando difficoltà
per tutti i cittadini. Tuttavia, l’euro deve essere un
successo e ha tutti i requisiti per esserlo.
• riguardo al decreto legge, Giulio TREMONTI
ricorda che a suo avviso, nel momento in cui si
costruirà l’architettura politica europea, sarà
opportuno prevedere misure d’urgenza a livello
europeo. Ebbene, non vi sono ancora risposte alla
domanda sulla forma che tali misure dovrebbero
assumere;
Solo fra due o tre anni si potranno giudicare le
prestazioni dell’euro e degli Stati membri
partecipanti. L’euro avrà anche delle conseguenze
per gli Stati membri che non sono nella moneta
unica, come la Danimarca o il Regno Unito, o la
Svezia. Il fatto di essere al di fuori della stabilità
indotta dall’euro ha già avuto un impatto negativo
sulla corona svedese (SEK), la quale si è svalutata
notevolmente in questi ultimi mesi.
• in merito alla situazione delle compagnie aeree,
Giulio TREMONTI spiega di aver fatto l’esempio
per illustrare una riflessione sul metodo. Conferma
che la dialettica prevista nel trattato per gli aiuti
di Stato funziona molto bene, ma secondo lui si
tratta di un problema di tempi. Il tempo necessario
per verificare se gli aiuti di Stato possono essere
accettati dalla Commissione è troppo lungo (dai 2
ai 3 mesi) e con un po’ di buona volontà si può
ridurre questo tempo d’attesa, ma in realtà
bisognerebbe poter reagire in 3 o 4 giorni. Da ciò
scaturisce l’utilità di una norma giuridica
equivalente a un decreto legge europeo che
acceleri il processo decisionale.
Carl BILDT pone l’accento sullo sviluppo di nuove
tecnologie. In alcune economie, si assiste a una
crescita della produttività in seguito all’introduzione,
negli anni ’90, di nuove tecnologie. Tuttavia, si è
trattato essenzialmente di un fenomeno americano.
Si può affermare, a proposito dell’economia americana,
che i mutamenti sono stati essenzialmente strutturali,
piuttosto che ciclici; in Europa è successo il
contrario, il che avrà delle ripercussioni importanti
su ciò che succederà dopo la crisi, sia essa di lunga
o breve durata.
Carl BILDT, ex primo ministro svedese, ritorna sulla
questione della Tobin tax, definendola una cattiva
idea; a suo avviso questa è una tassa sulle infrazioni,
ma anche sugli scambi. Ora, se vi è una cosa di cui
abbiamo realmente bisogno oggi, è proprio di misure
che riportino la fiducia degli attori economici in
Europa, negli Stati Uniti, in Giappone e in tutto il
mondo, e non di questo genere di provvedimenti.
Dopo ogni recessione, si assiste ad una ripresa che,
ricorda Carl BILDT, viene tuttavia decisa dalla
forma e dallo stato dell’economia. Considerate le
prestazioni dell’economia europea in questi ultimi
anni, le prospettive di ripresa non sono buone.
Carl BILDT suggerisce di rilanciare il processo di
Barcellona avviato nel marzo 2000, il cui obiettivo
era la creazione, in 10 anni, di un’economia europea
basata sulla conoscenza. Un certo numero di cose
sono state già fatte, ma non sono sufficienti e occorrerà
accordare una particolare attenzione alla 2a riunione
indetta per dare un seguito alla conferenza, che si
svolgerà a Barcellona.
Prevedere nuove tasse sulle transazioni commerciali
è quindi, a suo avviso, l’opposto di ciò di cui abbiamo
bisogno in questo momento storico.
Carl BILDT afferma, inoltre, in questo momento
caratterizzato da incertezza e instabilità i maggiori
soggetti, quelli che attirano l’attenzione degli elettori,
dei media e del pubblico, si interessano soprattutto
delle questioni di sicurezza. Le conseguenze di ciò
sono già evidenti sui mercati finanziari, che sono
molto nervosi, e resteranno tali ancora per qualche
tempo. Il rischio di recessione economica mondiale
domina il dibattito sulla politica economica: che
politica monetaria e fiscale condurre e come risolvere
i problemi a breve termine, come quelli che vivono
attualmente le compagnie aeree?
Poiché, prosegue Carl BILDT, nel prossimo mese di
marzo conosceremo molto meglio le prospettive
dell’economia mondiale, sapremo se l’attuale crisi
sarà di breve durata, oppure se questa congiuntura
durerà più a lungo e se l’economia americana potrà
o no ripartire rapidamente. Egli teme che gli europei
diano l’impressione di non essere in grado di trovare
risposte adeguate ai problemi strutturali. Gli operatori
rischieranno quindi di perdere fiducia nell’economia
europea e questo avrà delle ripercussioni sull’euro.
Secondo Carl BILDT, anche nei periodi come quello
attuale, non si possono perdere di vista i problemi
13
Cosa si deve fare per affrontare al più presto la
crisi? Vi sono, secondo Carl BILDT, tre fattori da
considerare per valutare il futuro potenziale di una
regione, di un paese o di un continente:
stabilità, quanto nella sua flessibilità e nelle sue
capacità di adattamento e innovazione. Dobbiamo
adoperarci affinché l’euro sia un successo, ma senza
riforme strutturali, conclude, questo successo
potrebbe non verificarsi.
• il primo fattore riguarda la larghezza delle bande:
abbiamo vissuto la prima fase della rivoluzione di
Internet. La seconda fase sarà molto più profonda
e rischiamo di limitare il nostro potenziale se non
facciamo nulla in tal senso;
Enrico LETTA, ex ministro dell’Industria, affronta
in particolare il tema dell’integrazione europea dopo
l’introduzione dell’euro. Egli pone l’accento sulla
necessità di completare il disegno dell’UEM:
occorre realizzare una vera unione economica che
affianchi l’unione monetaria. Il varo effettivo
dell’euro ha rafforzato ulteriormente l’asimmetria
tra lo sviluppo della parte monetaria del trattato di
Maastricht e la debolezza dell’unificazione delle
politiche economiche.
• un altro fattore cruciale è il margine di manovra
delle imprese: la misura del livello di flessibilità,
elasticità e capacità di mutamento di un’economia.
A tal proposito, in Europa siamo già molto in
ritardo;
• l’istruzione: il numero di giovani che si iscrivono
all’università sarà un altro fattore molto importante.
Enrico LETTA sottolinea inoltre il paradosso del
Patto di stabilità: il patto cerca di ovviare alla
mancanza di un governo federale per sostenere la
nuova moneta unica. Il patto di stabilità e di
crescita è il solo strumento a nostra disposizione per
garantire la credibilità dell’euro. Tuttavia, esso può
assicurare questa garanzia di credibilità solamente
se la sua interpretazione è rigorosa. Da ciò nasce il
paradosso che viviamo in queste ultime settimane:
per fungere da sostituto credibile di una politica
economica federale, esso va applicato in modo più
rigoroso di quanto potrebbe essere fatto da un
governo federale, anche se ci troviamo in un momento
in cui occorrerebbero invece maggiore flessibilità e
dinamicità.
Se si esamina la situazione dell’Europa in merito a
questi tre fattori, la risposta non è particolarmente
positiva.
A livello mondiale, per quanto concerne i paesi che
danno la garanzia di un clima che sia favorevole alle
imprese, al primo posto si trova il Brasile, seguito da
alcuni paesi asiatici, dagli Stati Uniti e
dall’Australia. Si devono scorrere parecchie posizioni
nella lista prima di trovare un paese europeo.
Secondo l’OCSE, per creare un’impresa in Europa
occorre un tempo dodici volte superiore a quello
necessario sull’altra sponda dell’Atlantico.
Secondo Enrico LETTA, l’attuale situazione andrebbe
affrontata nei tre modi che seguono:
Per quanto concerne l’istruzione, l’Europa se la cava
abbastanza bene. Disponiamo, afferma Carl BILDT,
di un buon sistema di istruzione primaria, quello
della secondaria potrebbe essere migliorato e riguardo
alle università, per quanto la qualità possa essere
migliorata, si possono contare due università europee
nella rosa delle dieci università più prestigiose del
mondo.
1. il successo dell’euro costituisce un obiettivo
prioritario. A tal fine, è necessario ribadire con
forza l’applicazione rigorosa del patto di stabilità
e di crescita. In questo periodo di pre-recessione,
i suoi risultati saranno ancor più decisivi per
la sua credibilità, poiché negli ultimi tre anni
l’applicazione severa dello stesso è stata
facilitata dai tassi di crescita e dal buono stato
di salute dell’economia europea;
Secondo Carl BILDT, in periodo di crisi e di
diminuzione della fiducia, occorre chiedere ai
politici di concentrarsi maggiormente sui problemi
strutturali a lungo termine: poiché, afferma, se
commettiamo degli errori nell’ambito del processo
di Barcellona rischiamo, tra 2 o 3 anni, di trovarci di
fronte a problemi legati al valore dell’euro.
2. la BCE, di comune accordo con le autorità
americane, deve agire con determinazione nel
supportare i mercati e deve essere in grado di
sostenere la crescita;
Il valore di una moneta riflette infatti la forza di una
data economia. Attualmente la forza dell’economia,
ricorda Carl BILDT, non risiede tanto nella sua
3. le riforme, necessarie per completare l’Unione
economica, devono essere accelerate tramite
l’armonizzazione fiscale, il rilancio delle strategie
14
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di Lussemburgo sull’occupazione e di quelle di
Lisbona sulla protezione sociale, la liberalizzazione
dei servizi pubblici, la creazione di un mercato
europeo dell’energia e delle telecomunicazioni e
la riforma delle politiche di coesione economica
e sociale affinché vadano di pari passo con il
dibattito sull’ampliamento.
anche nella nostra incapacità di fornire una risposta
seria al problema della crescita. Secondo Carlo
SECCHI, gli avvenimenti dell’11 settembre, esempio
lampante di choc esogeno per l’UE, non devono
costituire un motivo valido per rimettere in
discussione il patto di stabilità. Uno choc esogeno di
tale portata non deve costituire un motivo per
andare in deroga al patto di stabilità. Viceversa,
afferma, occorrono istituzioni molto più forti di
quelle attuali. Si deve essere in grado di adottare a
livello europeo l’equivalente dei decreti legge
nazionali.
Il raggiungimento di questi obiettivi è legato al
successo delle riforme istituzionali europee.
Enrico LETTA si aspetta che il prossimo Consiglio
europeo di Laeken orienti la fase preparatoria della
prossima CIG (prevista per il 2003) approvando un
ordine del giorno più nutrito; egli auspica inoltre che
si applichi il metodo della Convenzione affinché non
si ripeta l’esperienza di Amsterdam e Nizza. La
prossima CIG rappresenterà infatti un’opportunità
decisiva affinché l’integrazione europea affronti con
successo le difficili scelte che la attendono.
Prima dell’11 settembre, l’Europa si è già trovata di
fronte a un rallentamento congiunturale. Secondo
Carlo SECCHI, sarebbe già stato necessario cercare
dei rimedi per rilanciare la crescita economica,
privilegiando fattori di crescita endogeni per non
rendere l’Europa dipendente da altre regioni
economiche.
Carlo SECCHI, Rettore dell’Università Bocconi,
affronta in particolare il tema della politica
economica dell’UE. Egli pone l’accento soprattutto
sul rallentamento che il processo di costruzione
della politica monetaria comune e la moneta unica
hanno subito negli ultimi due o tre anni, in
particolare dopo le elezioni in Germania.Tre anni fa,
rammenta, al momento in cui venivano prese le
ultime decisioni relative in preparazione del
1° gennaio 1999, uno dei temi fondamentali
riguardava proprio la questione non monetaria
dell’economia accantonata dal trattato di
Maastricht.
Perché la maggior parte dei membri del Consiglio
europeo si mostra insoddisfatta dell’applicazione del
patto di stabilità? La risposta è evidente. Secondo
Carlo SECCHI, il rigore fiscale comporta minori
possibilità di ricorso alle spese pubbliche. Ebbene, a
livello internazionale la concorrenza impone, anche
per l’Europa, una riduzione della pressione fiscale e
dunque della spesa pubblica. Carlo SECCHI pone
l’accento sulla necessità di una vera e propria
riforma economica interna e solleva il problema
delle istituzioni e della governance dell’economia
europea. Senza di essa, afferma, saremmo alla
mercé di altri eventi esterni che egli si augura
saranno meno tragici di quelli dell’11 settembre.
Carlo SECCHI ritiene che non sia giusto affidare
alla BCE questa responsabilità, in quanto derivata
dalla mancata volontà di istituire un sistema
economico coerente nell’ambito di una politica
monetaria comune con una moneta unica. Secondo
lui, la BCE, così fragile a livello politico, non può
farsi carico della soluzione di questioni così
importanti come la crescita o la politica
congiunturale. Occorre che i governi assolvano ai
loro compiti, afferma.
In questo contesto, egli richiama l’attenzione sulla
posizione assunta a suo tempo dal gruppo preposto
al coordinamento fiscale: “Eravamo convinti,
ricorda, che fosse necessario attuare forme di
coordinamento, poiché un’armonizzazione troppo
rigida presentava, a nostro parere, più rischi che
vantaggi”.
Speravamo di ottenere una buona miscela di
concorrenza fiscale e coordinamento in quegli
ambiti in cui l’eccesso di concorrenza poteva
causare più danni che benefici.
Il Gruppo del PPE-DE deve insistere sul fatto che
l’Europa si trova ad affrontare gravi rischi, in
considerazione del fatto che l’”edificio” che è la sua
struttura di politica monetaria è completato solo in
parte. Questi rischi sono evidenti, alla luce di
quanto avvenuto l’11 settembre. Non siamo in grado
di approntare misure di emergenza per affrontare
situazioni di crisi di questo genere e il rischio risiede
Per quanto riguarda la “de-tax” proposta da
G. TREMONTI, Carlo SECCHI ritiene che l’idea di
un trasferimento di risorse che enfatizzi la
sussidiarietà sia ottima e coerente con i principi di
base, nonché con lo spirito del Gruppo del PPE-DE
15
e che meriti pertanto la nostra attenzione.
D’altronde, per quanto riguarda la Tobin tax, Carlo
SECCHI ritiene indispensabile avere idee chiare e
cartesiane; l’idea di creare un’imposta sui flussi
monetari internazionali non ha molto senso e, a suo
avviso, non è applicabile.
riflessione. Per la prima volta, la BCE ha agito
velocemente, dando una risposta immediata a un
bisogno immediato. Ce ne dobbiamo rallegrare.
Per rispondere alla questione sollevata dall’on.
T. MANN, E. LETTA afferma di ritenere che non
sarebbe saggio anticipare la data del passaggio di
consegne del governatore della BCE nel momento in
cui si passa all’euro, momento in cui si dovrà
interpretare il patto di stabilità in maniera rigorosa
e garantire la stabilità delle istituzioni.
Nell’ambito del dibattito, l’on. R. BRUNETTA
solleva la questione della sovranità degli Stati
membri dell’UE a livello politico. Egli rammenta che
lo strumento fiscale, relativo alla spesa pubblica
e alle finanze pubbliche degli Stati membri
attualmente rappresenta, per tutti i paesi europei, il
45-47% del PIL. In confronto, le finanze pubbliche,
ovvero la capacità di bilancio del Presidente della
Commissione, rappresentano poco più dell’1% del
PIL europeo. Ebbene, per creare una reale politica
economica, occorre disporre di risorse finanziarie
sufficienti che consentano una buona ridistribuzione
e la gestione della crescita, nonché degli choc più o
meno esogeni. Occorre pertanto che gli Stati membri
mostrino la volontà politica di cedere un po’ di più
delle loro risorse e della loro sovranità, al fine di
istituire una vera e propria politica economica che
consenta una ridistribuzione mirata a una politica di
sviluppo, ma anche di solidarietà. Poiché, afferma,
fintanto che disponiamo di un bilancio pari all’1,2%
del PNL, destinato solo per metà alla ridistribuzione,
ossia lo 0,5% del PIL europeo, non possiamo
condurre la politica europea che desideriamo.
Secondo Carlo SECCHI, si devono inoltre mantenere
i criteri del patto di stabilità, anche in questo periodo
congiunturale negativo che compromette il gettito
fiscale. Occorre mantenere gli impegni assunti nella
strada delle riforme che influenzano le spese. Per
quanto concerne Duisenberg, la questione della sua
sostituzione non è per l’Italia un fattore di discussione
prioritario.
L’on. HARBOUR interviene per discutere della
mancanza di flessibilità mostrata dall’economia
europea.
L’on. U. STENZEL si fa portavoce della
preoccupazione dei suoi concittadini in merito
alla stabilità dell’euro e, pertanto, al loro potere
d’acquisto e denuncia la posizione dei governi
socialisti francese e tedesco che prevedono di
rendere più flessibili i criteri di Maastricht e
segnatamente quello relativo all’indebitamento.
L’on. T. MANN, a sua volta, pone l’accento sul patto
di stabilità e di crescita che, a suo parere, non deve
essere assolutamente rimesso in causa. Egli
rammenta che, in seno al Parlamento europeo,
il patto era stato oggetto di un acceso dibattito con
il gruppo socialista, che intendeva fissare un tetto
massimo d’inflazione più elevato. Secondo l’on.
T. MANN, si deve continuare a difendere il
mantenimento dei criteri di Maastricht. Egli
vorrebbe conoscere, inoltre, la posizione italiana
nei confronti delle perplessità sollevate da tre
Stati membri riguardo a Duisemberg.
In risposta, C. BILDT ricorda che, a suo parere,
la Tobin tax non è la cosa giusta al momento giusto.
A suo avviso, la velocità della ripresa americana
rispetto a quella europea dipenderà dalle riforme
strutturali che l’Europa adotterà e dalla volontà di
ripresa delle varie economie, il che determinerà la
relazione tra il dollaro e l’euro e pertanto la
posizione dell’elettorato nei confronti della moneta
unica. Tuttavia, un reale bilancio sull’euro non si
potrà fare che tra due o tre anni.
Per quanto riguarda la stabilità dell’euro,
Carlo SECCHI ricorda che è la possibilità di
rendere più flessibile il rigore fiscale a mettere in
pericolo la stabilità interna. L’euro è riuscito a
contenere i suoi effetti sull’inflazione internazionale,
poiché essendo la zona euro più chiusa rispetto a
ciascun paese considerato singolarmente, l’impatto
dell’inflazione importata è avvertito in misura minore.
E. LETTA si dichiara d’accordo con l’on. R. BRUNETTA
sul fatto che si tratti fondamentalmente di un
problema di cessione della propria sovranità e di
risorse finanziare, poiché è evidente che l’azione
europea è limitata, avendo un bilancio comunitario
con un margine di manovra così esiguo. Detto ciò e
in considerazione delle scadenze elettorali, egli si
mostra scettico in merito alla volontà degli Stati
membri. A suo parere, gli avvenimenti della settimana
scorsa hanno apportato un interessante elemento di
Secondo E. LETTA, l’euro solleva due questioni
delicate: innanzitutto, il rischio inflazionistico, in
16
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ROMA
quanto si ha la tendenza ad arrotondare i prezzi per
eccesso; a questo proposito, si dovrà tenere gli occhi
ben aperti. Per quanto concerne l’economia europea,
è opportuno che vi siano maggiore elasticità e
flessibilità. Ad esempio, si dovrebbe favorire la
creazione di imprese. Per quanto riguarda la
pressione fiscale, egli insiste affinché l’eliminazione
delle differenze tra gli Stati membri divenga uno dei
temi chiave.
nuovo indebitamento. Occorre proseguire su questa
strada.
La flessibilità del patto è sottovalutata: l’on. K. von
WOGAU ricorda che esso prevede espressamente
delle eccezioni in caso di recessione. Occorre
ricordare, inoltre, che il patto di stabilità stimola, in
periodi favorevoli, a effettuare previsioni per i
periodi meno propizi. Pertanto, gli Stati membri che
hanno predisposto quanto necessario per svolgere il
loro compito in maniera corretta dispongono oggi
di un ulteriore margine di manovra per condurre
politiche congiunturali.
L’on. K. von WOGAU trae le conclusioni del dibattito.
A suo parere, dalle discussioni tenutesi in data odierna
emerge la netta impressione che dall’11 settembre
niente sia più come prima.
Secondo l’on. K. von WOGAU, si rende quindi
necessaria una discussione sul patto di stabilità, che
non dobbiamo abbandonare, in quanto l’euro è
l’unica moneta al mondo garantita da una Banca
centrale indipendente e da un tale patto di stabilità.
Se si è potuto constatare che a seguito di quegli
accadimenti le nostre istituzioni hanno saputo reagire
in modo corretto e affrontare la situazione, si deve
anche sottolineare che il mantenimento della libertà,
della democrazia e della prosperità impone un
impegno costante.
L’on. K. von WOGAU si dichiara inoltre contrario
alla Tobin tax, poiché, se l’idea di creare degli
intralci alle transazioni in valuta può sembrare
allettante, nella pratica, è difficile distinguere le
transazioni speculative dalle transazioni che
consentono, ad esempio, la creazione d’impresa. La
Tobin tax avrebbe dunque come conseguenza il
rallentamento della crescita economica.
Mancano ormai solo cento giorni all’introduzione
dell’euro. L’on. K. von WOGAU stila un bilancio di
ciò che è già stato modificato e di ciò che ancora si
deve modificare in materia di politica economica
europea.
Attualmente, la stabilità della moneta e la
concorrenza vengono decise a livello comunitario.
Gli Stati membri decidono in merito alle imposte, ai
sistemi di sicurezza sociale e alle questioni relative
alla formazione e all’istruzione.
Oggi, disponiamo di un mercato comune e di una
moneta comune. Tuttavia, sono necessari anche principi comuni in materia di politica economica e di
governance della politica economica.
La BCE sta funzionando e in questi ultimi giorni
ha saputo prendere le decisioni necessarie con
flessibilità e rapidità. In un solo giorno, la BCE è
riuscita a rendere disponibili varie migliaia di euro
per far fronte alla situazione di panico e, d’accordo
con gli Stati Uniti, ha quindi abbassato il tasso
d’interesse, dando, così, un segnale estremamente
forte.
L’UEM non deve mirare solo a mercati liberi e aperti (a tale proposito, l’on. K. von WOGAU chiede che
siano adottate le normative per l’eliminazione degli
ostacoli ancora esistenti), ma deve anche favorire
un’economia sociale di mercato.
È il motivo per cui l’on. K. von WOGAU auspica che
il Gruppo del PPE-DE riesca, in occasione della
prossima CIG, a far inserire chiaramente la nozione
di economia sociale di mercato nei trattati.
Per quanto riguarda il patto di stabilità e di
crescita, l’on. K. von WOGAU ricorda i principi
basilari: il patto di stabilità raccomanda bilanci
equilibrati; i paesi che hanno un indebitamento
eccessivo dovrebbero avere eccedenze e non
oltrepassare il 3% di nuovo indebitamento. Negli
ultimi anni sono stati fatti progressi: l’on.
K. von WOGAU ricorda, a tale proposito, i dibattiti
antecedenti il 1999 relativi alla capacità di Italia e
Germania di raggiungere un indebitamento inferiore
al 3%. Oggi, questi due paesi registrano l’1,5% di
17
da sinistra a destra:
Giulio TREMONTI, Ministro dell'Economia
con Antonio TAJANI, capo della delegazione Italiana del Gruppo del PPE-DE
18
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ROMA
da sinistra a destra:
Rocco BUTTIGLIONE, Ministro per le Politiche comunitarie
Dana Rosemary SCALLON, eurodeputato
19
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2001
ROMA
Giulio TREMONTI,
da sinistra a destra:
Boris BIANCHERI, Presidente dell'ISPIN
Minstro dell'Economia
e Francesco GIAVAZZI, Professore di Economia Politica
presso l'Università Bocconi
20
da sinistra a destra:
da sinistra a destra:
Karl von WOGAU, coordinatore del Gruppo del PPE-DE presso
Hans-Gert POETTERING, Presidente del Gruppo del PPE-DE
e Carl BILD, ex Primo Ministro Svedese
la Commissione Economica e monetaria
e Enrico LETTA, ex Ministro dell'Industria
21
da sinistra a destra:
Noëlle LENOIR, Presidente del Gruppo Etico Europeo di Scienze e nuove tecnologie
Girolamo SIRCHIA, Ministro della Sanità
Francesco FIORI, Vice Presidente del Gruppo del PPE-DE
Hans-Gert POETTERING, Presidente del Gruppo del PPE-DE
Martin KAMP, Consigliere del Gruppo del PPE-DE
e Peter LIESE eurodeputato
22
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ROMA
da sinistra a destra:
MENDEZ DE VIGO eurodeputato
Rocco BUTTIGLIONE, Ministro per le Politiche comunitarie
Hans-Gert POETTERING, Presidente del Gruppo del PPE-DE
Klaus WELLE, Segretario Generale del Gruppo del PPE-DE
e Wim VAN VELZEN, Vice presidente del Gruppo del PPE-DE
23
GIORNATE DI STUDIO
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SETTEMBRE
2001
ROMA
da sinistra a destra:
Rocco BUTTIGLIONE, Ministro per le politiche comunitarie
e Hans-Gert POETTERING, Presidente del Gruppo del PPE-DE
24
TEMA II:
L E P R O S S I M E R I F O R M E I S T I T U Z I O N A L I D E L L’ U E
MARTEDÌ 25 SETTEMBRE 2001
L’on. Rocco BUTTIGLIONE, ministro per le
Politiche comunitarie, porge il benvenuto al Gruppo
del PPE-DE.
dalla volontà di evitare la guerra nel continente.
Il calo di entusiasmo nei confronti dell’Europa è
dovuto in parte alla convinzione di alcuni che
pensano di vivere in un mondo privo di pericoli.
Dobbiamo continuare a preservare la pace. È questo
che ci unisce. I cittadini ci chiedono, inoltre, di
avanzare ulteriormente verso il mercato comune e di
prendere l’iniziativa di costruire una zona di
benessere e sicurezza esterna ai confini dell’Unione.
I popoli che vivono sull’altro versante del
Mediterraneo sono alla ricerca della propria strada.
Qui, possiamo utilizzare le armi della pace per
accrescere il benessere, ma ci si può anche scontrare
con un fondamentalismo nemico dell’Occidente che
riprende gli stessi miti e le stesse illusioni del
nazionalismo che, il secolo scorso, ha segnato
crudelmente proprio l’Europa. La collaborazione
euromediterranea costituisce il primo passo della
lotta contro il terrorismo e il fondamentalismo.
Ancora una volta, la difesa della pace nelle zone
sensibili a noi più vicine e alle quali siamo
maggiormente legati dal punto di vista geografico,
storico, culturale o economico, costituisce uno dei
compiti dell’Unione.
L’Unione ha consentito, ricorda, la costruzione di un
mercato unico al servizio di un progetto politico per
la collaborazione pacifica dei popoli del continente
europeo. Per molti secoli, i popoli europei si sono
armati e hanno lottato fra di loro per conquistare
mercati, sopravvivere e stabilire la gerarchia delle
nazioni. Nel corso degli ultimi 50 anni, per la prima
volta nella storia dell’Europa, abbiamo imparato a
impegnarci in una concorrenza pacifica, investendo
le nostre energie non più nelle armi, ma nella
ricerca di mezzi sempre più sofisticati per rispondere
alle domande e ai bisogni dei nostri cittadini.
Dobbiamo ancora migliorare, dice, riformando le
nostre istituzioni che sono già poco adatte a una
comunità di 15 Stati e che sarebbero paralizzate se
si chiedesse loro di governare adesso un’Unione
allargata. In primo luogo, dice, si pone il problema
del metodo. Con quale metodo e con quali mezzi
potremmo progredire oggi? Alcuni ritengono che sia
tempo di risolvere alcune ambiguità di fondo e di
decidere, ad esempio, se l’Unione debba essere uno
stato federale o una federazione di stati. Secondo
l’on. Rocco BUTTIGLIONE, invece, si deve partire
dall’uomo, dunque dal cittadino a cui dobbiamo
render conto in quanto politici eletti, e del quale
bisogna conoscere le aspettative reali. Gli eventi
accaduti negli Stati Uniti ci aiutano in tal senso,
perché i cittadini vogliono essere protetti dalle
minacce esterne e interne e queste minacce si sono
mischiate a tal punto che ora è difficile distinguerle.
Occorre pertanto rafforzare la sicurezza interna ed
esterna, collaborando con gli Stati Uniti nell’ambito
dell’Alleanza atlantica che, d’altronde, non è mai
stata considerata un’alternativa alla costruzione
europea. Possiamo farlo solo insieme.
Se vogliamo mobilitarli a favore delle riforme che ci
consentirebbero di essere più efficaci, dobbiamo
spiegare ai cittadini la ragione d’essere dell’Europa.
Secondo l’on. Rocco BUTTIGLIONE, occorre
innanzitutto prendere coscienza dei valori che ci
uniscono: prima di tutto, il primato della persona e
del cittadino e non della razza, della classe sociale o
dell’appartenenza nazionale o religiosa. Non
inventiamo niente, ma dichiariamo senza indugi i
principi fondamentali che ispirano il nostro
ordinamento giuridico, così come d’altronde è già
stato fatto con la Carta dei diritti fondamentali.
L’on. Rocco BUTTIGLIONE vorrebbe rassicurare i
suoi amici britannici che si mostrano un po’ scettici
di fronte alle costituzioni scritte. L’insieme delle
norme e dei principi che vogliamo fissare non è
frutto dell’invenzione astratta di un gruppo di savi
che vogliono imporre agli altri la loro visione
Dobbiamo contribuire alla difesa della pace nel
mondo. L’Europa è nata, come progetto politico,
25
ideologica sulla vita delle nazioni. Si tratta bensì,
più semplicemente, di una serie di principi e di norme
nati nel corso della storia e che abbiamo condiviso.
È questa la nostra costituzione, è questo ciò che
vogliamo. Ovviamente, occorre non solo stabilire
un sistema istituzionale, ma anche integrarlo e
perfezionarlo. Ad ogni modo, che lo si chiami trattato
o costituzione, la sostanza non cambia.
proposta di elezione diretta del presidente della
Commissione è eccessiva. Tuttavia, è opportuno
precisare che si deve tener conto degli equilibri
parlamentari derivati dalle elezioni, tanto più che la
Commissione deve ottenere il voto di fiducia del
Parlamento. Per concludere, occorre rafforzare la
Commissione, consolidandone la legittimazione
democratica, ma anche integrando al suo interno
una figura particolare: quella del responsabile per la
politica di sicurezza e difesa.
Secondo l’on. R. BUTTIGLIONE, il Consiglio europeo
deve essere rafforzato, deve giocare realmente il
ruolo di presidenza collettiva dell’Unione. Il
Consiglio deve essere l’organo supremo a livello
politico e, in quanto tale, deve poter esercitare il suo
diritto di veto su alcuni temi delicati. Se, come
purtroppo sembra probabile, non si arriverà ad un
accordo per abolire completamente il diritto di veto
dei vari Stati, si potrà affermare che in determinati
ambiti riservati, il Consiglio potrà imporre il suo
veto anche sull’iniziativa di un solo capo di Stato o
di governo. Tuttavia, il Consiglio è al contempo un
organo politico e legislativo. Parte delle deliberazioni
non è soggetta alla procedura di codecisione del
Parlamento europeo. Esiste pertanto un’area in
cui le cose sono sfumate, nella quale il controllo
parlamentare internazionale arriva a malapena e in
cui il potere del Parlamento europeo è inesistente.
Quindi occorre ridurre queste zone d’ombra
estendendo le aree di codecisione e assegnando un
ruolo più attivo ai parlamenti nazionali. Per quanto
l’istituzione di una seconda camera, che sarebbe un
doppione del Parlamento europeo, non sembri
necessaria, occorre riflettere sul modo in cui si
potrebbero coinvolgere maggiormente i parlamenti
nazionali nella costruzione europea. Oggi, infatti,
essi si sentono effettivamente lasciati in disparte.
Nelle aree di competenza del metodo intergovernativo,
essi potrebbero esercitare una funzione di controllo
e anche una funzione legislativa, poiché non tutto ciò
che è interstatale deve essere necessariamente
intergovernativo. Infine, la partecipazione dei
parlamenti nazionali è indispensabile anche per
accelerare la collaborazione tra la produzione
normativa a livello nazionale e la produzione
normativa a livello europeo.
L’on. Rocco BUTTIGLIONE insiste sull’applicazione
del principio di sussidiarietà. Dobbiamo fare
nell’Unione ciò che l’Unione può fare in maniera più
efficiente, dice, mentre tutto ciò che può essere
realizzato meglio ad altri livelli, nazionale o
regionale, deve restare a tali livelli. Non costruiamo
l’Unione europea per appiattire le differenze
nazionali. Costruiamo l’Unione per consentire ai
nostri popoli di preservare le caratteristiche che
costituiscono la loro identità e che ci sono quindi
intimamente proprie. L’Unione ci consente di
difendere i nostri popoli dai pericoli di un secolo che
esordisce con un’enorme minaccia contro la pace,
contro il nostro stile di vita e contro la nostra
cultura. L’Unione nasce per difendere i nostri popoli
dal rischio di una globalizzazione selvaggia che può
intaccarne l’identità.
Boris BIANCHERI, presidente dell’ISPIN, tratta in
maniera più dettagliata la questione della
Costituzione europea.
Abbiamo avvertito, afferma, un certo sconforto
di fronte ai grandi obiettivi dell’Europa e l’idea di
elaborare una costituzione per l’Europa è
sicuramente un grande obiettivo. In molti sostengono
che non sia necessario avere una costituzione, che
potrebbe persino essere illegittima. L’idea che una
costituzione non sia necessaria si riflette anche in
quanto affermato poco fa dal ministro BUTTIGLIONE,
secondo cui, in sostanza, in realtà l’organizzazione
di un’istituzione può essere affidata a un trattato se
si tratta di un’organizzazione che raggruppa più
stati. Per far ciò non occorre necessariamente una
costituzione, che potrebbe persino risultare illegittima,
in quanto le costituzioni vengono dal basso e mirano
a proteggere i cittadini dall’autorità che li governa.
Molte costituzioni sono nate così anche se, bisogna
riconoscerlo, non è andata sempre così. Abbiamo
avuto costituzioni che provenivano dall’alto, abbiamo
visto anche costituzioni che hanno avuto la funzione
di unire vari Stati tra loro affini e questo potrebbe
essere il caso di una costituzione per l’Europa.
Occorre rafforzare il ruolo del Parlamento europeo,
aumentare gli ambiti di codecisione, concedere al
Parlamento il diritto di iniziativa legislativa e rafforzare
la cooperazione tra la Commissione e il Parlamento.
La Commissione, che non ha una vera legittimità
democratica, l’acquisisce cooperando con il
Parlamento. Ciò che è fondamentale per l’Unione
è il ruolo dei partiti europei. Probabilmente la
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Secondo Boris BIANCHERI, la costituzione europea
non è un progetto giuridico. Si tratta piuttosto di un
progetto politico ed è nella sua forza politica che
risiede la sua necessità.
pareri discordanti riguarda la carta dei diritti che è
stata adottata a Nizza: si tratta ora di renderla
vincolante. Gli altri punti sono ovviamente più
complicati, più complessi. Si tratta del ruolo dei
parlamenti nazionali e delle relazioni tra il
Parlamento europeo e i parlamenti nazionali. La
definizione delle competenze in base al principio di
sussidiarietà è uno degli obiettivi che l’Europa deve
porsi.
Vari elementi depongono a favore di questa necessità
politica. Secondo Boris BIANCHERI, è sorta la
necessità di rinsaldare i legami che uniscono
l’opinione pubblica nei vari paesi all’Europa. La
necessità di conoscere esattamente il ruolo e la
posizione di ciascuno a bordo della “barca” Europa
è giustificato dalle difficoltà che il mondo sta attualmente attraversando per affrontare la tempesta in cui
si trova.
Francesco GIOVAZZI, professore di politica economica
presso l’Università Bocconi, presenta un’analisi del
calo di efficienza delle istituzioni europee (una delle
conseguenze del trattato di Nizza) e le possibili
soluzioni da proporre eventualmente nell’ambito
della prossima conferenza intergovernativa. Per
quanto concerne il calo di efficienza delle istituzioni
europee, vi sono due punti che è assolutamente
necessario evidenziare. Il trattato ha ridotto i poteri
degli Stati più piccoli e questo sacrificio non si è
tradotto in una maggiore efficienza delle istituzioni.
Quindi, nel predisporre la procedura dell’art.5, esso
non prevede la possibilità di riorganizzare la Banca
centrale quando l’Unione economica e monetaria
passerà da 12 a 23, se non addirittura a 27 Stati.
Sono tutte questioni per le quali occorre trovare una
soluzione.
In questi ultimi tempi, l’idea di una costituzione ha
perso un po’ del suo carattere d’urgenza. Tuttavia,
Boris BIANCHERI ritiene la costituzione necessaria
e urgente, forse a causa delle difficoltà che essa
stessa pone e per il fatto che Nizza è stata in un
certo qual modo vissuta come un fallimento. Eppure,
se prendiamo la dichiarazione sul futuro
dell’Europa, afferma, vi troviamo alcuni punti che
rappresentano gli elementi di una costituzione
europea. Dalla dichiarazione emergono alcuni punti
imprescindibili: definire le competenze in base al
principio di sussidiarietà; rendere vincolante la
Carta dei diritti, semplificare i trattati, chiarire il
ruolo dei parlamenti nazionali e i rapporti tra i
parlamenti nazionali e il Parlamento europeo. La
dichiarazione sul futuro dell’Unione non afferma che
si debba creare anche un potere costituente, ma non
lo esclude. Per quanto concerne la semplificazione
dei trattati, l’Istituito universitario europeo ha
svolto un’opera ammirevole, cercando di delineare
gli elementi del trattato che avessero già un valore
costituzionale: i principi dell’Unione, la libertà, la
democrazia, i diritti dell’uomo, gli obiettivi
dell’Unione, il progresso economico e sociale, la
creazione di uno spazio di libertà, la solidarietà
internazionale, gli elementi di cittadinanza, la libertà
di circolazione, il diritto di voto, nonché, a titolo
esemplificativo, la definizione delle competenze per
quanto riguarda la politica monetaria, la politica
agricola e così via. Questi elementi, che hanno
valore costituzionale, esistono già nel trattato. Si
tratta ora di estrapolarli dal testo e di collocarli in
un altro contesto giuridico. Pertanto, la semplificazione
dei trattati è, secondo B. BIANCHERI, il primo
punto su cui ci si può basare. Non si tratta di una
questione che possa far pensare all’insorgere di
grandi divergenze d’opinione tra i vari membri
dell’Unione, poiché questi testi sono già stati
adottati. Il secondo punto che non dovrebbe suscitare
Per far ciò, Francesco GIOVAZZI pone l’accento sul
meccanismo della maggioranza qualificata. Per
quanto concerne la maggioranza qualificata, ricorda
GIOVAZZI, i nuovi meccanismi prevedono infatti tre
criteri relativi al calcolo della maggioranza nelle
votazioni in seno al Consiglio europeo: il 71%
risultante dal voto (che passerà al 74% quando gli
Stati membri saranno 27), il 62% della popolazione
e il 50% degli Stati membri. Il quesito che ci poniamo
è il seguente: in che misura questo meccanismo può
influenzare l’efficacia e la legittimità di una decisione?
Per quanto concerne le votazioni, è evidente che il
potere viene spostato verso il paese con il maggior
numero di abitanti. Pertanto, sono stati sacrificati i
paesi più piccoli e sarebbe lecito chiedersi se tutto
ciò andrebbe o no a favore di una maggiore efficienza.
Nell’Europa dei 15, la risposta è ancora positiva.
L’efficienza dell’Unione dei 15 è leggermente migliorata:
si passa dal 7,8% all’8,2% d’efficienza nel processo
decisionale, sempre che, ovviamente, una decisione
presa in sede di Consiglio riscuota la maggioranza
dei consensi. E’ stato fatto lo stesso conteggio
considerando un’Europa a 27: qui la probabilità di
riuscita si riduce notevolmente. Ecco perché
B. BIANCHERI pensa che il sacrificio imposto ai
paesi più piccoli non abbia portato a una maggiore
27
efficienza. Se esaminiamo solo i criteri del 62%
della popolazione e del 50% dei paesi membri,
notiamo una diminuzione dell’efficienza: si passa dal
23% a un po’ più del 19%. Per analogia, si rileva
anche un calo dell’efficienza se si utilizza solamente
la maggioranza qualificata, poiché la percentuale
passa dal 7,8 al 2,5%. Il dato interessante di
questi risultati è la constatazione che ciò che
determina il livello di efficienza è il meccanismo
della maggioranza qualificata. Le altre due
condizioni, ovvero il criterio della popolazione e
quello del 50% degli Stati membri, non hanno
niente a che fare con l’efficienza delle istituzioni.
dell’esecutivo. Nell’Unione allargata sarà estremamente
difficile adottare decisioni mantenendo le stesse
regole. Ma allora, quali sono le soluzioni possibili?
Certo, la teoria economica ci insegna determinate
cose, ma ci sono anche taluni elementi recenti che ci
dimostrano che il meccanismo più efficace sarebbe
l’istituzione di Comitati esecutivi relativamente
piccoli e omogenei.
È importante che queste decisioni vengano
prese prima dell’allargamento. In poche parole,
B. BIANCHERI ritiene che sia necessario utilizzare
il meccanismo della decisione a maggioranza,
applicando due correzioni minori, ma che possono
avere un effetto particolarmente significativo, poiché
moltiplicherebbero per 7 il livello di efficacia delle
decisioni prese in seno al Consiglio con maggioranza
qualificata. In secondo luogo, per ciò che concerne
la Banca centrale europea, l’art. 5 del trattato
istituisce un meccanismo unico interessante, il quale
prevede che per modificare i meccanismi di
votazione a livello della Banca centrale, le decisioni
possano essere prese dal Consiglio della Banca
centrale o dalla Commissione. Queste proposte
possono quindi modificare l’art.10 par. 2 dello
statuto. Tuttavia, la Commissione dovrebbe utilizzare
le possibilità fornite dall’art. 5 del trattato per
proporre una modifica dei meccanismi di votazione
prima dell’ampliamento.
Pertanto, aggiungere queste ulteriori “reti di
protezione” non apporta vantaggi significativi. Se ci
fosse il solo meccanismo della maggioranza
qualificata si otterrebbero praticamente gli stessi
risultati. Allora, cosa si può fare? Questo
ragionamento ha senso se si ritiene che si debba
utilizzare il meccanismo della maggioranza quali
ficata, ma se si considera che sia meglio utilizzare il
principio dell’unanimità, questi calcoli sono privi di
significato. In occasione della prossima conferenza
intergovernativa, si potrebbero inserire alcune
rettifiche. Se ne potrebbero considerare due in
particolare. Innanzitutto, con una diminuzione del
numero dei voti, si passerebbe dal 74% al 66%.
Questo ci consentirebbe di aumentare l’efficacia
decisionale, passando dal 2% al 14%. Tuttavia,
questo passaggio probabilmente influenzerebbe il
potere relativo dei paesi più piccoli che vedrebbero
diminuire ulteriormente il loro potere. Si potrebbe
pertanto introdurre un secondo elemento di rettifica,
diminuendo il fattore popolazione, il che farebbe
slittare l’efficienza dal 62% al 50%. Si tratta di
due operazioni relativamente semplici. In tal modo,
si avrebbe la possibilità di aumentare sensibilmente
l’efficienza del processo decisionale.
Gerardo BIANCO, membro della Camera dei
deputati, interviene sulla questione della costituzione
europea.
La nostra esperienza, afferma, ci dimostra che la via
indicata dai trattati è lineare ed estremamente
positiva, benché non sembri in grado di affrontare la
sfida storica che occorre raccogliere. D’altronde, è
ciò che affermano numerose relazioni del
Parlamento europeo. Né ad Amsterdam, né a Nizza
sono state proposte risposte adeguate. Occorre
essere innovativi sul fronte istituzionale e non per
utopia o federalismo, ma perché ci troviamo ad
affrontare problemi assolutamente concreti. Il
costituzionalismo moderno nasce dalla relazione tra
gli Stati e le società nazionali. Dalla lettura del
preambolo delle costituzioni adottate nell’immediato
dopoguerra da Giappone, Germania, Italia e altri
paesi, si evidenzia facilmente il legame stabilito tra
la costituzione, la storia, la cultura e i bisogni di
ciascun popolo. In realtà, l’elaborazione di questi
testi non va oltre la dottrina del costituzionalismo
risalente al XIX secolo. Pensiamo, ad esempio,
all’imponente letteratura tedesca sul principio delle
Per quanto concerne i meccanismi attuali della
Banca centrale, probabilmente questi non sono in
grado di funzionare in un’Europa allargata. È
preferibile prevederne la modifica prima
dell’allargamento, poiché agire in seguito potrebbe
essere fonte di ulteriori sacrifici per i nuovi Stati
membri. La Banca centrale europea vive problemi
analoghi a quelli della Commissione. Per comprendere
appieno il problema occorre considerare che quando
i sei membri del comitato esecutivo della Banca
centrale prendono decisioni a livello esecutivo, la
loro decisione deve essere successivamente
ratificata dal Consiglio, composto attualmente da
18 membri, i 12 governatori più i 6 membri
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nazioni, che ha posto le basi di una dottrina che ha
influenzato notevolmente la storia del costituzionalismo
europeo. Pertanto, tutto ruota sul concetto: “un
popolo e quindi una costituzione”. L’idea secondo
cui, non essendovi una società europea non può
esserci una costituzione europea, e non esistendo
una costituzione europea, non vi può essere alcun
controllo democratico e quindi la democrazia
rimane una prerogativa dei dibattiti nazionali, è il
nodo gordiano che ci si impone di sciogliere adesso.
procedura per definire e cercare di influenzare le
decisioni del Consiglio. La sinergia tra i parlamenti
nazionali e il Parlamento europeo è ovviamente la
strada da percorrere, che occorre consolidare e
rafforzare istituzionalizzando i rapporti fra le
istituzioni e rendendoli vincolanti. Tuttavia, il vero e
proprio balzo in avanti deve essere fatto con
una costituzione. Il Cosac costituisce un forum
interessante, cui il protocollo di Amsterdam ha
conferito margini di manovra e competenze
importanti per tutto ciò che concerne lo spazio di
libertà, sicurezza e giustizia, nonché l’applicazione
del principio di sussidiarietà. Tuttavia, affinché
questo organismo possa funzionare, è assolutamente
necessario che abbia una base sostanziale a livello
politico. Le regole sono buone, ma si deve avere
anche un’idea dei problemi. Gerardo BIANCO
ritiene che questo sia il compito dei partiti politici,
e segnatamente del Partito popolare europeo. Il
trattato di Nizza ha chiesto che anche i partiti
raccogliessero queste sfide.La prima sfida consiste
nell’elaborare una costituzione europea che
riorganizzi e coordini le istituzioni esistenti senza
crearne di nuove come, ad esempio, l’idea sbagliata e
contraddittoria di istituire un’altra camera composta
dai parlamenti nazionali. Non è assolutamente
questa la strada da seguire.
Per quanto riguarda la “parlamentarizzazione” del
processo decisionale dell’Unione, l’on. Gerardo
BIANCO sottolinea, come del resto fa l’ultima
relazione preparata in occasione del 24° Cosac, che
la partecipazione dei parlamenti nazionali, in
collaborazione con il Parlamento europeo, costituisce
uno strumento necessario e indispensabile per la
costruzione di un nuovo ordine europeo dotato di
legittimità. La doppia legittimità dell’Unione, in
quanto Unione di Stati e Unione di popoli, si trova
rafforzata in questo legame, favorendo inoltre la
democratizzazione dei sistemi. La qualità delle
relazioni tra il Parlamento europeo e i parlamenti
nazionali è assolutamente fondamentale per poter
superare e ridurre il deficit di democrazia di cui
soffre l’Unione. Tuttavia, questo rapporto, per
quanto essenziale, si trova a dover affrontare
numerose difficoltà e i progressi registrati a partire
da Amsterdam non sono sufficienti. Non si è andati
poi tanto oltre il protocollo n. 9, vale a dire dei
diritti d’informazione dei parlamenti nazionali,
mentre per quanto riguarda il Parlamento europeo,
questo resta escluso dal potere di codecisione in
merito a determinati argomenti per i quali è prevista
la votazione a maggioranza qualificata. Il documento
stilato dall’on. Giorgio Napolitano, presidente della
commissione per gli affari costituzionali del
Parlamento europeo è un testo eccellente, che fa
luce sui limiti della riforma dei trattati e delle
procedure che sono state finora attuate. In realtà, il
Cosac continua a muoversi entro un perimetro
estremamente burocratizzato, come ad esempio la
richiesta presentata a Versailles di trasmettere
telematicamente i documenti a tutti i parlamenti;
invece, si sarebbero dovute applicare le proposte
contenute nel documento della presidenza svedese, e
precisamente il punto in cui si invitano i parlamenti
nazionali e il Parlamento europeo a rafforzare le
modalità di discussione e di deliberazione per
giungere alla creazione di una cultura giuridicoistituzionale comune sempre più integrata, tenendo
anche conto delle migliori esperienze, degli scambi di
documentazione, degli incontri periodici, della
Secondo l’on. GIL ROBLES quando si parla di
riforme europee, non si tratta di costruire un edificio
ex-nihilo, ma semplicemente di ampliare e migliorare
un edificio in gran parte già esistente, fino ad arrivare
ai limiti dell’ingegneria costituzionale: la teoria non
serve, bisogna fare ciò che si può davvero realizzare
e risolvere i problemi senza crearne di nuovi.
Pertanto, in occasione della prossima conferenza
intergovernativa non vi sarà alcuna riforma del
trattato di Nizza, poiché la sua nascita è stata
talmente problematica che nessuno vorrà sollevare
di nuovo un problema politico così difficile da
risolvere, la cui soluzione è stata trovata con così
tante difficoltà e che rischia di crearne di nuove.
Secondo l’on. Gil ROBLES, l’Europa è sempre stata
un’unione politica che, per troppo pudore non ha mai
voluto riconoscerlo, pur diventandolo ogni volta di
più. Ora, si invita a fare dell’Europa una grande
potenza. Pertanto, qualsiasi riforma deve essere
orientata al rafforzamento della dimensione politica
dell’Unione.
D’altronde, ricorda, se vogliamo un’Europa più
potente abbiamo bisogno di un bilancio più
consistente. Nessuno Stato efficiente e complesso
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dispone di un bilancio pari all’1,1% del PIL. Se
vogliamo un’Europa funzionante e se vogliamo
un’Europa che conti il doppio degli Stati membri
attuali, occorre quantomeno raddoppiare il bilancio.
di un quadro normativo forte per questa Unione
europea, ma a livello di scelta nozionistica sarebbe
opportuno utilizzare un nuovo vocabolario.
Secondo l’on. J.-L. BOURLANGES, ci troviamo in
una situazione del tutto paradossale. Ne è prova il
documento, estremamente interessante, comunicato
da GIAVAZZI, nel quale si legge: “Ratify the threaty
of Nice to clear up the mess it created (Ratificate il
trattato di Nizza per spazzar via la confusione creata)”.
Abbiamo raggiunto, afferma, un punto di incoerenza
totale nel messaggio politico che proclamiamo
rispetto agli obiettivi che perseguiamo. Secondo
l’on. Jean-Louis BOURLANGES, o il trattato di
Nizza costituisce un passo in avanti e lo ratifichiamo
o non costituisce un passo in avanti e allora occorre
dirlo a chiare lettere. L’idea secondo cui: “se qualcosa
non va bene, la si ratifica” è a suo avviso
incomprensibile.
La on. MAIJ-WEGGEN fa riferimento ad alcuni
sondaggi condotti presso i cittadini europei, dai quali
emerge che l’80% è favorevole a una costituzione
europea, ivi compresi i cittadini britannici. Per
quanto concerne il Consiglio, l’on. BUTTIGLIONE
ha ribadito che esso deve rimanere l’organo più
importante della politica europea. La on.
MAIJ-WEGGEN ritiene che sia il Parlamento a
dover ricoprire quel ruolo. Ella pone l’accento sulla
necessaria trasparenza del Consiglio europeo e sul
fatto che esso dovrebbe diventare una sorta di
Senato, che si riunisca in maniera trasparente per
decidere sulle questioni in materia di legislazione.
Ciò consentirebbe di abolire il Consiglio dei ministri
nella sua forma attuale, la cui funzione risulta
piuttosto ambigua.
D’altronde, spiega l’on. Jean-Louis BOURLANGES,
l’allargamento dell’Unione crea un insieme di
richiami al mutamento che sono esattamente ciò che
gli Stati membri non vogliono. Non si può allargare
l’Unione senza accrescere sensibilmente la maggioranza
qualificata e senza far scomparire l’unanimità.
Non si può allargare l’Unione senza rafforzare un
esecutivo comunitario sovranazionale e, dunque,
senza spezzare l’equilibrio tra le due parti che lo
compongono: la Commissione e il Consiglio. Non si
può allargare la base democratica dell’Unione senza
rafforzare il Parlamento europeo e, come ha detto
l’on. Robles poco fa, non si può allargare l’Unione
senza aumentarne il bilancio. Ebbene, questi quattro
obiettivi sono quelli che la maggior parte dei governi
non persegue. Non si può comprendere Nizza senza
ammettere che da un parte gli interessi dell’Europa
passavano attraverso quelle riforme, ma che dall’altra
l’obiettivo dei capi di Stato e di governo era quello
di preservare il potere del loro stato e della loro
amministrazione e, dunque, di sacrificare la causa di
un’Europa allargata, efficiente e democratica. Ecco
perché passiamo il nostro tempo a ideare strategie di
divisione: opponiamo il Consiglio alla Commissione,
il Consiglio europeo al Consiglio dei ministri, i
parlamenti nazionali al Parlamento europeo e il contribuente al bilancio comunitario. Questo non ci
porta a niente, afferma, e noi parlamentari abbiamo
o l’obbligo di rassegnarci e tornarcene a casa, o di
affermare con forza che il nostro obiettivo è riuscire
a costruire un’Europa allargata, efficiente e
democratica e diffidare dei governi, anche se a volte
si tratta di governi amici.
L’on. Ursula SCHLEICHER richiede il sostegno del
suo ex collega, l’on. BUTTIGLIONE, che adesso ha
responsabilità di governo, al fine di anticipare al
2003 il calendario della prossima conferenza.
Inoltre, la on. SCHLEICHER è preoccupata del
fatto che l’Europa non sia più un tema cardine della
politica interna.
Secondo l’on. C. BEAZLEY le incertezze attuali
mostrano quanto sia importante che l’Unione
europea e le istituzioni siano forti per poter reagire,
come è peraltro già accaduto in passato. Per quanto
concerne i futuri Stati membri, il trattato di Nizza
costituiva l’ultimo ostacolo all’adesione. Ora,
qualsiasi modifica costituzionale deve essere
operata con i paesi candidati. Il problema, dunque, è
come renderli partecipi. Per quanto riguarda la
costituzione, l’on. C. BEAZLEY si augura che nel
suo paese si svolga un dibattito obiettivo. A suo
avviso, molti suoi connazionali sarebbero favorevoli
alla delimitazione delle competenze e accetterebbero
che la carta costituzionale venisse adottata dal
Consiglio e introdotta nella legislazione britannica.
Poiché gli inglesi provengono da un paese che nel
13° secolo ha firmato la Magna Carta e l’ha
proclamata al mondo intero, sarebbe quantomeno
sorprendente che fossero contrari in questo momento.
Secondo l’on. GAHLER, l’Unione europea è una
costruzione atipica e forse si dovrebbero utilizzare
nozioni diverse da quelle impiegate negli Stati nazionali.
Egli si dichiara a favore di una Commissione forte e
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Secondo la on. R. SCALLON, in Europa occorrono
più democrazia e una maggiore apertura. Sarebbe
estremamente difficile per gli irlandesi accettare
un carta costituzionale che, in numerosi ambiti,
risulterebbe essere più debole dei diritti contenuti
nella loro costituzione. Ella si proclama a favore di
una costituzione cristiana che protegga la dignità
dell’uomo, tutti gli stadi della vita, nonché la
famiglia e la definisca come la cellula fondamentale
della società.
dovrà rispettare la tabella di marcia prevista tra la
conclusione della convenzione e la riunione dei capi
di Stato e di governo. Non dovrà passare troppo
tempo tra i due eventi perché non si rimettano
in discussione i risultati della convenzione. Si tratta
di dettagli tecnici, che saranno però decisivi. La
conferenza intergovernativa deve chiudersi nel
dicembre del 2003; poi si passerà dal Trattato di
Roma alla Costituzione di Roma.
L’on. C. CEDERSCHIÖLD riprende la questione del
Forum e della convenzione. Occorre, beninteso, che i
cittadini siano rappresentati nel forum in un modo o
nell’altro; occorre inoltre affermare con molta
chiarezza che vi è una differenza molto importante
tra il forum e la convenzione, altrimenti si rischia di
sfociare nel caos. Alla fine, la convenzione non potrà
che portare ad un’unica posizione, anche se durante
i lavori verranno espresse opinioni diverse. Il forum,
invece, è di per sé una rappresentazione estremamente
vasta, ampia e differenziata della convenzione, alla
quale esso presenterà dei pareri.
Secondo l’on. G. NISTICO, l’Unione europea deve
essere un’unione di valori, ma spesso ci si scontra
con una burocrazia eccessiva. Si parla di grandi
principi, certo, ma si dimentica che al centro di tutto
ciò deve esserci l’uomo. Abbiamo, afferma, il
sacrosanto diritto di dare delle risposte ai nostri
concittadini. Ad esempio, il terrorismo li preoccupa.
Cosa abbiamo fatto noi, gli europei, per prevenire il
meccanismo del terrorismo? Cosa abbiamo fatto per
le politiche mediterranee? Esistono numerosi gruppi
di lavoro, ma i risultati non sono stati altrettanto
numerosi. Le regioni mediterranee di Spagna, Italia
e degli altri paesi possono avere un ruolo fondamentale.
Secondo l’on. H. MARTIN, i cittadini europei si
aspettano da noi una risposta a tre semplici quesiti:
che Europa vogliamo, con chi e come? In altre
parole, cosa vogliamo fare insieme? Vogliamo
un’Europa del libero scambio o qualcosa di più?
Vogliamo un’Europa integrata in uno spazio più
vasto?
Secondo l’on. E. BROK, in questo periodo decisivo,
non ci si deve fermare alle parole. Si deve invece
progredire, andare avanti. Il trattato attuale è una
costituzione senza averne l’aspetto giuridico. Si deve
arrivare a un trattato che somigli a una costituzione.
Egli pone l’accento su una riforma del Consiglio che
potrebbe rendere il futuro più trasparente. Si tratta,
secondo lui, di una questione cruciale: in Europa si
potrà accettare meglio l’eventuale costituzione solo
se il Consiglio si riunirà in veste di legislatore in
seduta pubblica in modo che i cittadini sappiano chi
fa cosa. Occorre, d’altronde, rafforzare il ruolo dei
parlamenti nazionali in ciascuno Stato rispetto alle
loro funzioni di controllo sui governi, però occorre
evitare il crollo del sistema a livello europeo. Si è
parlato di Cosac, di rafforzare gli scambi, ma
occorre anche conferire ai parlamenti nazionali una
competenza in materia di controllo della
sussidiarietà concedendo loro la possibilità di adire
le vie legali, il che sarebbe molto più efficace,
ad esempio, del conferire tale diritto a una terza
camera. Al riguardo, noi abbiamo l’obbligo, in
qualità di membri del Parlamento europeo, di dare
l’esempio. In altre parole dobbiamo coinvolgere e
invitare i parlamenti nazionali a discutere molto più
spesso di talune questioni.
Prima domanda: vogliamo un’Europa del libero
scambio o un’Europa più potente, portatrice di pace
e progresso, che svolga appieno il suo ruolo sul piano
internazionale?
Per quanto riguarda la domanda in merito ai
soggetti con cui si vuole fare qualcosa: il problema
delle frontiere non è mai stato definito chiaramente.
Occorre tener conto, secondo l’on. H. MARTIN, delle
democrazie che condividono, nell’ambito di
un’Europa estremamente vasta, il nostro punto di
vista riguardo ai diritti dell’uomo e alla Carta. Per
quanto concerne gli altri Stati, perché non prevedere
anche per loro un partenariato rafforzato soprattutto
per la zona meridionale?
Ultimo punto: come definire le competenze? Alcuni
di noi parteggiano, afferma, per una federazione
di Stati-nazione. Gli Stati-nazione potrebbero
riunirsi in un Consiglio (con una presidenza molto
più duratura e non alternandosi ogni sei mesi)
preposto a definire gli orientamenti, una camera
degli Stati che consentirebbe di verificare i problemi
Egli pone successivamente l’accento sull’organizzazione tecnica della Convenzione e sul fatto che si
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di sussidiarietà e un governo il cui capo verrebbe
designato dal Consiglio e dal Parlamento europeo.
differenti. La prima viene dal francese e indica
essenzialmente il popolo che stipula un contratto e
tutti sono partecipi in quanto membri del popolo
stesso. L’on. R. BUTTIGLIONE non è per nulla
d’accordo con questo tipo di costituzione, poiché non
corrisponde a uno Stato federale. A questo punto del
processo della costruzione europea, è difficile
arrivare a una costituzione che non venga ratificata
dagli Stati. Il Parlamento europeo, a sua
volta, avrebbe un ruolo fondamentale poiché
rappresenterebbe il popolo europeo. Da una parte
vi è la rappresentanza del popolo europeo e
dall’altra, nella convenzione, la rappresentanza
dei popoli europei. Pertanto, il popolo europeo sarà
rappresentato dal Parlamento europeo e i popoli
europei saranno rappresentati tramite i parlamenti
nazionali e i governi. Ci si deve orientare verso una
costituzione europea che dovrebbe essere intesa
come una sorta di “Verfassung”, ovvero che
stabilisca il quadro normativo dell’Unione. Questo ci
consentirà forse di convincere i britannici? Secondo
l’on. R. BUTTIGLIONE, se vi sono persone che non
desiderano che l’Europa diventi una Patria, un
“Country”, vi è sempre la possibilità di ritirarsi
senza impedire agli altri di andare avanti. Dovremo
fare del nostro meglio per convincere i nostri amici
britannici, afferma, e ascoltare le loro esperienze in
merito, ma per far ciò sarà necessario che scelgano
un cammino comune.
L’on. R. HELMER, in qualità di esponente del
partito conservatore, ricorda che quest’ultimo ha
appena eletto, ad ampia maggioranza, Duncan Smith
che è, forse, più euroscettico del suo predecessore;
egli ha affermato che non si pronuncerà mai a
favore dell’ingresso del Regno Unito nell’euro.
“Chi, tra i nostri cittadini, spera in una maggiore
integrazione?” si chiede. Secondo l’on. R. HELMER,
non si può continuare ad avanzare forzando
l’integrazione europea senza fare una pausa di
riflessione, senza assicurarsi di avere il consenso
della popolazione.
Secondo l’on. G. GARGANI, la costituzione europea
è un progetto più politico che giuridico. Egli si
dichiara ottimista e ritiene che a Nizza si sia fatto
tutto il possibile, anche se questo non è sufficiente.
Per quanto riguarda la costituzione, egli pone
l’accento sull’importanza di un modello di
riferimento e suggerisce di adottare quello degli
Stati Uniti d’Europa.
Anche secondo l’on. G. BODRATO, l’Europa è prima
di tutto un progetto politico. È giusto riflettere sulla
strada da seguire per realizzare il progetto e
affermare che i trattati ci consentono di avanzare su
questo cammino in attesa di una costituzione
europea. Si può affermare che Nizza ha comunque
ottenuto dei risultati, in particolare se si considera
la competenza esecutiva del Consiglio. Viceversa, per
quanto riguarda la competenze legislative del
Consiglio, le critiche sono giustificate. Nell’ambito di
queste giornate di studio e dopo quanto affermato, è
quindi importante manifestare il sostegno alla tesi
della convenzione che deve sortire dalla conclusione
di Laeken; una convenzione che rivesta un ruolo
preciso rispetto alla conferenza intergovernativa e
che in un modo o nell’altro tratti i problemi che
Nizza non ha affrontato e che sono stati richiamati
in dettaglio stamattina.
Come convincere i governi e i parlamenti nazionali a
cedere una parte considerevole dei loro poteri?
Possiamo persuaderli garantendo loro che non si
tratta di una concessione a favore di un’altra
Europa, ma che si tratta in realtà di una concessione
per la loro Europa. Si dà loro la possibilità di
diventare dei veri e propri attori della costruzione
europea. Il Consiglio dei ministri deve cedere parte
dei suoi poteri: si tratta di un potere legislativo non
controllato, non trasparente e che deve essere
modificato dal Parlamento europeo e dai parlamenti
nazionali. È su queste basi che occorre impegnarsi e
lavorare. Il Consiglio europeo dovrebbe fungere da
guida politica. Il Parlamento è il luogo in cui si
esplicano la sovranità e il potere legislativo, ma
l’orientamento politico, la direzione politica, non si
esplica a livello del Parlamento europeo, bensì a
livello dei capi di Stato e di governo.
In risposta ai quesiti posti nell’ambito del dibattito
e riprendendo il tema della costituzione, l’on.
R. BUTTIGLIONE desidera rassicurare gli amici
britannici: la costituzione non è la fine del mondo.
Occorre effettivamente trovare un accordo sulla
costituzione e avventurarsi sul terreno della
semantica. In italiano, come in francese, abbiamo
solo una parola per indicare la costituzione. In
tedesco ce ne sono tre: “Konstitution”,
“Verfassung” e “Gruntgesetz” e si tratta di tre cose
In conclusione, si deve fare in modo che venga attuata
una prassi che permetta di ottenere il consenso
generale per andare verso un obiettivo comune: la
costruzione di questa Europa.
32
GIORNATE DI STUDIO
24-27
SETTEMBRE
2001
ROMA
Boris BIANCHERI pone l’accento sulle resistenze a
livello nazionale e afferma che gli Stati membri
vogliono assolutamente mantenere taluni privilegi.
L’opinione pubblica si è resa perfettamente conto
di questa volontà e questo è forse l’effetto più
negativo di Nizza che, tuttavia, ha sortito risultati
positivi. Quando si parla di costituzione, si deve
prendere in considerazione l’insieme delle proposte e
vedere quali sono i punti di accordo e quelli di
disaccordo. Tutto ciò dipende in parte da ciò che
si inserirà nella carta costitutiva e costituzionale
fondamentale. Si parla di costituzione, è il termine
che si utilizza per capirsi, ma Boris BIANCHERI è
il primo ad affermare l’inadeguatezza di tale
vocabolo. Egli ritiene che sia preferibile adottare
un’espressione che non faccia riferimento a una
costituzione, che imponga dei limiti all’autorità e
che preveda la ripartizione delle competenze tra
l’Europa e le sovranità nazionali.
Paolo BARBI, ex Presidente del Gruppo del PPE, si
compiace nel vedere insistere il Gruppo affinché si
proceda verso l’istituzione di una convenzione.
È importante vedere come sarà strutturata questa
convenzione e quale sarà la legittimità che le verrà
accordata. Quale sarà, però, il mandato attribuito
alla convenzione? Quali saranno le questioni di cui
saranno incaricate la convenzione e la conferenza
intergovernativa? Il nostro gruppo, il nostro partito,
dovrebbe indicare i punti fondamentali del mandato:
le funzioni del Consiglio europeo, i limiti di potere
del Consiglio dei ministri, le funzioni legislative, e
dunque pubbliche, del Consiglio dei ministri, le
funzioni del Parlamento, i poteri della Commissione
e, cosa estremamente importante, il finanziamento
tramite le risorse proprie che sono state generate
dalla nostra comunità. I governi saranno disposti a
concedere tali mandati? Il governo italiano e i
governi in cui il partito popolare europeo gode di
una certa influenza si dimostreranno intenzionati a
fornire il mandato?
Francesco GIAVAZZI sottolinea che se c’è una
cosa sulla quale gli esperti in economia saranno
d’accordo, è che per fare una buona politica
monetaria occorra delegarne la gestione a un
organo ristretto indipendente.
L’on. BUTTIGLIONE, in risposta a Paolo BARBI,
conferma che il governo italiano intende affidare
un mandato importante alla convenzione,
conformemente agli orientamenti indicati da
BARBI. Tuttavia, occorre aggiungere un ulteriore
argomento, quello dei parlamenti nazionali che
devono partecipare al processo di costruzione
europea. Per quanto concerne i problemi monetari, si
deve fare molta attenzione: possiamo destinare
maggiori risorse all’Unione europea, ma non
possiamo imporre ulteriori imposte ai nostri
contribuenti. La concessione di risorse deve andare
di pari passo con l’attribuzione delle funzioni che
non verrebbe più decisa dagli Stati membri, in modo
che il contribuente non sia soggetto a un’ulteriore e
maggiore pressione fiscale rispetto a quella cui è
soggetto attualmente.
Quest’organo non può essere un Consiglio composto
da trentatre membri. Quanto alla questione della
ratifica del trattato, è necessario che i governi diano
prova di grande onestà intellettuale. Si possono
ipotizzare due situazioni: o quel risultato è stato
voluto, perché gli Stati vogliono un sistema
inefficiente nella speranza di continuare a discutere
con l’approvazione generale, o si tratta del risultato
di un errore tecnico. Sappiamo che taluni articoli del
trattato sono stati finalizzati alle 5 del mattino e
sbrigativamente. Se si tratta di un errore tecnico,
bastano piccoli emendamenti tecnici al trattato
per sortire un effetto estremamente significativo
sull’efficacia delle istituzioni. Se, come è invece
possibile, si tratta di una volontà politica, allora a
quel punto sarà la conferenza intergovernativa a
doversene occupare.
L’on. Inigo MENDEZ de VIGO trae le conclusioni
del dibattito. Dagli interventi emergono diversi
elementi:
l’Europa non è un progetto esclusivamente economico
o giuridico, ma anche politico. Un progetto politico
che occorre inserire in un contesto giuridico. Non si
tratta di un progetto esclusivamente economico,
benché taluni ritengano che all’inizio non vi fosse
alcun fine politico. Tuttavia, ciò non corrisponde a
verità. Basta leggere i primi testi europei. Nella
dichiarazione di Schuman del 1950, si parlava già di
federazione europea. Nel preambolo dei trattati
CECA firmati a Roma, si parlava di un’unione più
stretta tra i popoli europei e non di un’associazione
Secondo l’on. Gerardo BIANCO, non vi sono dubbi
sul fatto che questa nuova fase di costruzione
dell’Europa sia un fatto politico. Tuttavia, non
c’è fatto politico che si possa mantenere in vita
senza essere istituzionalizzato. Ogni evento storico
ha bisogno di un contesto giuridico che gli dia una
struttura: è ciò che noi chiamiamo “costituzione”,
termine che in pratica significa “organizzare insieme
le cose, dare loro una base comune”.
33
di libero scambio (per questo c’è l’AELE) e si
mirava a un’unione politica. Vogliamo essere ben più
di uno spazio economico, vogliamo essere uno spazio
politico.
fossero riuniti, non avrebbero accettato alcuna
costituzione. Allora, forse dovremmo tenerne conto e
trovare un’altra parola fino a che l’Europa non
disporrà di una vera e propria costituzione.
F. GIAVAZZI ha presentato un intervento
estremamente interessante sulla votazione a
maggioranza qualificata dopo il trattato di Nizza.Le
sue parole sono in piena corrispondenza con quanto
adottato dal Parlamento europeo nella risoluzione
dell’on. Inigo Mendez de Vigo, vale a dire che non vi
sono state modifiche fondamentali nel processo
decisionale. Una modifica del 2% non rappresenta
un elemento fondamentale e le due “reti di sicurezza”
(numero di Stati e popolazione) non sono determinanti.
Le proposte avanzate nel trattato di Nizza sono
estremamente interessanti, ma hanno un carattere
accademico. Detto questo, il trattato di Nizza non è
fine a se stesso, la dichiarazione 23 apre a un gran
numero di possibilità per il futuro, così come affermato
dall’on. G. BIANCO e dall’on. R. BUTTIGLIONE.
Occorre rafforzare la partecipazione dei parlamenti
nazionali nella costruzione europea. Esistono dei
meccanismi, che sono in vigore, come ad esempio il
protocollo di Amsterdam a proposito del lavoro del
Cosac. Tuttavia, non è colpa del Parlamento europeo
se nella pratica questi meccanismi non funzionano,
ma dei parlamenti nazionali che non vogliono
delegare alcuna competenza al Cosac.La relazione
dell’on. Napolitano propone l’idea di coinvolgere
maggiormente i parlamenti nazionali in seno
alla convenzione.Su iniziativa dell’on. Hans-Gert
POETTERING, il Gruppo del Partito popolare
europeo ha adottato a Berlino una linea estremamente
chiara e si è pronunciato a favore di una
convenzione.Vogliamo una convenzione non per
soddisfazione personale, ma perché la convenzione
consente la partecipazione reale dei cittadini e non
solo degli attori politici.Coloro che hanno avuto la
possibilità di partecipare alla convenzione per la
Carta hanno avuto modo di constatare il numero di
contributi provenienti dall’esterno. Qualcuno
affermava che l’utopia è in realtà una verità
prematura: ebbene, l’utopia di Berlino è diventata
realtà. Occorre una costituzione, ma non una
costituzione qualunque.La maggior parte dei
partecipanti ritiene che in fin dei conti si tratta
piuttosto di una questione semantica di poco peso.
Ciò che importa è il contenuto, non il contenitore.
I tedeschi non hanno chiamato la loro legge
fondamentale “costituzione” poiché, finché non si
Per concludere, l’on. I. MENDEZ de VIGO chiede
all’on. R. BUTTIGLIONE di trasmettere un
messaggio importante. Sappiamo tutti, afferma, che
il Trattato di Roma ha avuto un ruolo legislativo
fondamentale nell’Unione. L’ambizione italiana
dovrebbe essere che la Costituzione di Roma abbia
lo stesso futuro che hanno avuto i Trattati di Roma.
“Speriamo che nel 2003 il governo italiano e la
Presidenza italiana ci riescano”.
34
35
GIORNATE DI STUDIO
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SETTEMBRE
2001
ROMA
Noëlle LENOIR,
Girolamo SIRCHIA,
Presidente del Gruppo Etico Europeo di Scienze
Ministro della Sanità
e nuove tecnologie
36
TEMA III:
LE NUOVE FRONTIERE DELLA GENETICA UMANA:
ASPETTI ETICI, GIURIDICI ED ECONOMICI
Secondo Girolamo SIRCHIA, ministro della Sanitá,
il primo punto da affrontare concerne l’importanza
del far comprendere ai cittadini dell’Unione europea
che il progresso della scienza non dev’essere fermato.
É necessario che la scienza porti avanti il suo lavoro,
poiché è grazie ai suoi progressi che si può sperare
in una vita migliore per l’umanità, in una migliore
alimentazione e un migliore ambiente. Sarebbe
estremamente dannoso se la scienza venisse denigrata
dai cittadini e se le persone comuni pensassero che la
scienza sia qualcosa di negativo. Alcuni organi di
stampa non facilitano la trasmissione di questo
messaggio positivo. I nostri cittadini sono male
informati e temono, pertanto, la scienza in maniera
del tutto ingiustificata.
Secondo il ministro SIRCHIA, occorre ricordare che
non si deve subire il cambiamento, né il progresso
tecnologico, ma piuttosto occorre orientare quest’ultimo
verso un futuro che ci aggrada. Non basta che la
scienza produca qualcosa di rivoluzionario perché
questo sia automaticamente accettabile e utilizzabile
a fini diagnostici o terapeutici. Pertanto, è opportuno
collaborare ulteriormente con il mondo della ricerca
per non essere presi alla sprovvista dai risultati
sorprendenti o dalle prese di posizione che costituiscono
sicuramente un’apertura verso il futuro, ma che
possono rappresentare un enorme pericolo per la
vita e la dignità dell’uomo. Da ciò, nasce la necessità
di trovare un accordo su principi etici europei che
siano assoluti e per cui non si ammettono deroghe.
È importante per quanto riguarda il finanziamento
della ricerca, ma anche per quanto concerne i
comportamenti che devono assumere ogni giorno i
rappresentanti del mondo medico e scientifico.
Il ministro SIRCHIA conclude asserendo che il
compito è arduo e che si tratta di una vera e propria
sfida poiché bisogna conciliare l’apertura verso
la ricerca, che dev’essere incoraggiata e potenziata - pur
sempre nell’ambito di una cooperazione attenta
affinché la ricerca miri sempre a preservare la salute
- e la dignità dell’uomo e non sia utilizzata per scopi
perversi.
Il ministro SIRCHIA sottolinea che il Gruppo del
PPE-DE ha sempre difeso i progressi scientifici,
che sono sinonimo di salute e dignità umana ed è
opportuno insistere su questa posizione, seppur con
prudenza davanti a temi così delicati.
La prima questione riguarda il rispetto della dignità
dell’uomo e della vita. Per quanto concerne l’utilizzo
di embrioni per la ricerca o per scopi più nobili, come
la riparazione dei tessuti, ci troviamo di fronte a
problemi etici sui quali sarà necessario riflettere. A
tale proposito, il Gruppo del PPE-DE potrà aiutarci
a orientare talune posizioni che attualmente sono
ancora confuse. Recentemente, il Presidente Bush è
stato costretto ad assumere una posizione intermedia,
secondo la quale è consentito finanziare le ricerche
che utilizzano linee cellulari provenienti dagli
embrioni, autorizzando, dunque, automaticamente la
creazione di nuove linee, data l’insufficienza di
quelle esistenti. Poiché si tratta di prodotti creati in
laboratorio e non più di embrioni, è possibile
utilizzarli e moltiplicarli. Il compromesso raggiunto,
però, non è stato gradito da tutti, ma forse va accettato
per far avanzare la ricerca. Tuttavia, si tratta di un
terreno estremamente delicato: si parte da principi
che paiono accettabili, ma si rischia di arrivare in un
attimo a situazioni assolutamente inaccettabili.
La Signora LENOIR, Presidente del Gruppo
europeo di etica, sottolinea il fatto che benché le
nuove scoperte nel settore della genetica siano
ampiamente
pubblicizzate
dai
mezzi
di
comunicazione e le applicazioni pratiche siano
ancora poco numerose, questo momento è
caratterizzato dalla necessità di operare delle
scelte politiche. Uno degli esempi più recenti
riguarda le cellule staminali umane, ivi comprese
le cellule embrionali. Sappiamo bene che questo tipo
di ricerca è autorizzato, ma non darà risultati
terapeutici prima di qualche anno. Alcuni scienziati
parlano addirittura di vari decenni. Tuttavia, è oggi
che si devono prendere le decisioni e formulare gli
interrogativi.
37
LENOIR, che nel 1994 ha sostituito alla presidenza
Marcelino OREJA, presenta brevemente il Gruppo
europeo di etica.
Il gruppo è stato fondato nel 1992 e nel 1998 le sue
attribuzioni e il settore di competenza sono stati
sensibilmente rafforzati. Si tratta di un gruppo
pluralista, poiché i dodici membri che lo compongono
rappresentano varie sensibilità religiose e filosofiche,
nonché pluridisciplinare poiché le discipline
rappresentate sono di vario tipo. Ne fanno parte
giuristi, scienziati, medici, informatici, filosofi e
teologi. Per status, esso fa capo alla Commissione,
ma con un’apertura verso il Parlamento che può
chiedere al gruppo di esperti di emettere un parere
sulla base delle sue competenze. Esso ha inoltre uno
status indipendente, nel senso che fa parte di quel
gruppo di istituzioni che non possono essere definite
chiaramente, ma sono espressione della forza
d’inventiva dell’Unione europea, come d’altronde, è
successo con la Carta. Il GEE formula dei pareri,
l’ultimo dei quali, in ordine di tempo, si è occupato
del tema delle cellule staminali e della clonazione
terapeutica.
LENOIR affronta tre punti che ritiene estremamente
importanti:
il primo concerne la ricerca sull’embrione e le
cellule staminali: con le scoperte sulle cellule
staminali annunciate dalla stampa alla fine del 1998
negli Stati Uniti, e quindi nel mondo, ci si è resi
conto che la materia umana, i prodotti e gli
elementi del corpo umano fino ad arrivare
all’embrione, che non è un prodotto né un elemento,
bensì l’inizio della vita umana, divengono oggetto
non solo delle ricerche scientifiche, ma anche bene
d’utilizzo in qualità di beni o potenziali beni di
salute per l’uomo. Si tratta di una svolta
estremamente importante che richiede, ovviamente,
non solo una riflessione, ma anche decisioni a livello
europeo.
La seconda questione, che non è ancora molto
sentita in Europa, mentre negli Stati Uniti è
ampiamente dibattuta, concerne la diagnosi
genetica. Per il momento, i test genetici predittivi
non sono stati ancora commercializzati in Europa e
sono utilizzati a titolo sperimentale in alcune
strutture sanitarie, soprattutto negli ospedali
pubblici e nei centri di ricerca sul cancro, ma
arriveranno sul mercato europeo e ovviamente è
necessario stabilire le condizioni di utilizzo dei test
prima che siano commercializzati, perché
probabilmente a quel punto sarà troppo tardi per
reagire.
LENOIR pone soprattutto l’accento sulle questioni
etiche legate alle scienze della vita, ma nel loro
contesto di mercato, poiché, come ben sappiamo,
l’Unione europea o meglio la Comunità europea non
ha le competenze necessarie per legiferare in
materia di etica e nemmeno possiede la competenza
diretta per legiferare né in materia di ricerca, né
di medicina. Detto ciò, per garantire il buon
funzionamento del mercato interno, tutta una serie
di testi verte sulla genetica, indirettamente o
direttamente, come ad esempio le direttive o i
regolamenti sui prodotti farmaceutici, i testi
legislativi sui test clinici, le direttive sugli OGM e sui
brevetti.
La terza questione riguarda il bioterrorismo e la
guerra batteriologica.
Per quanto riguarda il primo punto, la ricerca
sull’embrione, le posizioni e le legislazioni in Europa
sono estremamente contrastanti: dall’Irlanda,
che considera l’embrione e il feto come un nascituro,
il cui diritto alla vita è uguale a quello della madre,
al Regno Unito che ha appena cambiato la legge
sull’embriologia e la fecondazione umana per
lasciare spazio alla clonazione terapeutica, ovvero
alla produzione di embrioni clonati al fine di
ottenere cellule staminali embrionali. Esistono
numerose differenze al riguardo dal punto di vista
giuridico ed etico tra i vari paesi europei. Tuttavia,
sembra che le cose stiano un po’ cambiando. Non c’è
un solo paese europeo che non definisca sistemi di
protezione dell’embrione. Persino la legislazione
inglese prevede restrizioni e controlli. Essa prevede
un’authority che rende pubbliche tutte le ricerche
effettuate e che indica nelle sue relazioni annuali
fino a che punto sono arrivate queste ricerche, quali
Anche al di fuori del mercato interno, ogni volta
che l’Unione europea si occupa di questioni relative
alla ricerca o alla salute o persino ai diritti
fondamentali, si pone il problema dell’etica. È il caso
del programma quadro “Ricerca” che sarà posto
ben presto ai voti, poiché gli aspetti etici sono parte
integrante della decisione sullo stesso. Nell’ambito
della Carta dei diritti fondamentali dei cittadini,
diversi articoli trattano direttamente di bioetica.
Tutto ciò prova ancora una volta l’estrema
sensibilità dei deputati europei che ha trovato la sua
massima espressione nella commissione temporanea
sulla genetica umana e le altre nuove tecnologie nel
settore della medicina moderna sotto la presidenza
dell’on. FIORI.
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GIORNATE DI STUDIO
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SETTEMBRE
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ROMA
che siano i risultati ottenuti; essa, inoltre, ha la
facoltà di ritirare le autorizzazioni concesse. È
opportuno rilevare che se negli Stati Uniti dal 1994
i finanziamenti pubblici destinati alla ricerca
sull’embrione sono severamente vietati dal
Congresso, vero è che non vi sono disposizioni in
merito alla ricerca nel settore privato, tanto che si
viene a conoscenza dei risultati solo tramite i
comunicati stampa. Viceversa, in Europa vi è una
posizione comune sulla necessità di uno stretto
controllo pubblico della ricerca negli ambiti in cui
questa è permessa. È vero, però, che la situazione si
è evoluta, in quanto fino ad oggi la ricerca
sull’embrione ha avuto il solo scopo di migliorare i
metodi di fecondazione in vitro, mentre attualmente,
stando a quanto affermato da comunicati stampa
talvolta eccessivi, ma che danno comunque degli
indizi utili sugli orientamenti della scienza, si è
in grado, con l’embrione e le cellule staminali
prelevate dal cordone ombelicale dopo il quinto-settimo giorno di gestazione, di utilizzare questa sorta
di materia prima per la produzione di organi e
tessuti destinati ai trapianti o addirittura di
trapiantarli così come sono per rigenerare organi e
tessuti che la medicina non è stata finora in grado di
curare.
problematiche che vengono subito a mente sono di
due tipi. In primo luogo, qual è la tipologia di test
genetici autorizzata e a quali condizioni tali test
potranno essere effettuati sui dipendenti nel mondo
del lavoro (test preliminari all’assunzione, test
per verificare che un lavoratore esposto a talune
condizioni di pericolo non sia predisposto a questa o
quella malattia). In secondo luogo, quale sarà
l’utilizzo di questi test nel settore assicurativo (il che
è attualmente consentito solo nel Regno Unito e in
modo indiretto). Il problema, in questo caso, non è
esattamente lo stesso dei test eseguiti nel mondo del
lavoro: se è vero che esiste un diritto al lavoro, è
anche vero che non esiste un diritto all’assicurazione
e le tecniche assicurative servono proprio per
valutare le probabilità che un cliente intenzionato a
stipulare un contratto di assicurazione sulla vita
possa o meno ammalarsi. È in funzione di questa
probabilità che si stabilisce il premio assicurativo.
Gli assicuratori, d’altronde, dispongono di ottimi
argomenti per indagare sui rischi legati alla salute
dei loro clienti, in quanto se non potessero svolgere
tali ricerche, si produrrebbe una selezione “al
contrario” che avrebbe come effetto quello di far
pagare di più i soggetti più sani, rispetto a quelli che
hanno dei problemi di salute, cosa che si scontrerebbe
con il principio legato alla personalizzazione del
rischio. Tuttavia, è anche vero che se si concedono
troppe aperture, si rischia di causare l’esclusione
assicurativa e l’emarginazione di centinaia di
migliaia di persone con la scusa che queste hanno la
sventura di avere determinate predisposizioni genetiche.
Il programma quadro Ricerca e Sviluppo darà
l’opportunità di pronunciarsi in merito alla
questione. Tuttavia, si dovrà nuovamente porre il
quesito su come conciliare mercato ed etica: in nome
di che cosa si potrebbe vietare l’importazione di
cellule staminali embrionarie da un paese all’altro ai
sensi della legislazione europea? Si può ostacolare
l’importazione di un prodotto per ragioni di salute
pubblica (la famosa giurisprudenza “Cassis de
Dijon”), ma non per motivi etici.
Questi due argomenti riguardano direttamente
l’Europa e il diritto comunitario, poiché si riferiscono
ai lavoratori, alla circolazione dei lavoratori, alle
condizioni di accesso al lavoro, alla legislazione sulle
assicurazioni e devono essere oggetto di posizioni
che, se non coincidenti, devono quanto meno potersi
dire armonizzate.
La seconda questione riguarda la diffusione dei test
genetici. Il test genetico è ciò che consente di
conoscere, diciamo, da 6 a 8 mutazioni genetiche, di
cui ciascuno di noi è portatore e che rappresentano
la parte difettosa del nostro DNA. Il difetto può
essere di tre tipi: o si ha una mutazione genetica
dominante, ovvero un gene dominante annuncia una
malattia che si manifesterà sicuramente, o si è
portatori di un carattere recessivo che rappresenta
un rischio per la discendenza o ancora si tratta di
mutazioni genetiche che indicano la particolare
predisposizione a determinate malattie.
La terza questione riguarda la produzione di armi
batteriologiche grazie ai progressi compiuti dalla
genetica umana.
Nell’ambito di avvenimenti drammatici e catastrofici
quali quelli recentemente vissuti dagli Stati Uniti,
la genetica può essere d’aiuto grazie ai test di
identificazione genetica: si tratta di quella che viene
comunemente definita “impronta genetica”, ovvero
la possibilità di conoscere l’identità di una persona a
partire da un semplice bulbo di capello, da un pelo,
da una traccia di sangue, anche se seccata da tempo,
o da un residuo di sperma. Secondo LENOIR, si
Che fare di questa massa d’informazioni? I test
genetici possono costituire uno strumento di
prevenzione che, però, deve essere ben definito. Le
39
dovrebbe riflettere attentamente sulla possibilità
di eseguire degli scambi di impronte genetiche per
condurre la lotta al terrorismo a livello europeo.
europea sulla genetica umana. Non sarebbe meglio
che i dibattiti sulla ricerca genetica che si sono svolti
negli Stati membri, cosi accesi e ricchi di divergenze,
si risolvessero non semplicemente con una
legislazione nazionale, bensì con una legislazione
europea?
La seconda questione, che tocca il risvolto più negativo,
è che la genetica umana, dopo la chimica e la biologia,
può essere utilizzata per la costruzione di armi
distruttive estremamente potenti. La preoccupazione
della guerra batteriologica è nata a partire dalla
guerra del Golfo, poiché in quest’occasione ci si è
resi conto che in Iraq esisteva una grossa produzione
di armi batteriologiche, di virus, di botulina e di
antrace. Nelle relazioni della difesa nazionale di
numerosi paesi, si evidenzia che in determinati Stati
(Iraq, Iran, Sudan, Libia e Siria) si produrrebbero
questi tipi di armi batteriologiche. Una convenzione
dell’ONU del 1971, ratificata da più di 150 stati e
segnatamente da quelli appena nominati, vieta nel
modo più assoluto la produzione di questo tipo di
armi. Ogni due anni, la convenzione dell’ONU è
oggetto di conferenze e valutazione, ma come ben
si sa ci si scontra con l’impossibilità di effettuare
indagini e ispezioni. Negli Stati Uniti, come deciso di
recente dal presidente Clinton, si investono miliardi
nella prevenzione degli attacchi terroristici basati su
armi batteriologiche che utilizzano OGM o virus.
Ecco perché recentemente il governo americano ha
infine rinunciato all’eliminazione del virus del vaiolo,
che è stato conservato per poter eventualmente
produrre vaccini che, in caso di attacco, non
sarebbero altrimenti pronti prima di 5 o 6 anni.
Esaminando le legislazioni nazionali attualmente
vigenti relative a questi temi essenziali, constatiamo
che siamo piuttosto lontani da un consenso a livello
europeo. È vero che tutti i paesi sottolineano la
questione della dignità dell’uomo, ma trattandosi
di diagnosi preimpianto e di clonazione, il
riconoscimento della dignità dell’uomo non è sempre
un argomento valido per vietare la ricerca sugli
embrioni e la diagnosi preimpianto.
Sarebbe forse possibile prevedere una normativa
europea che stabilisca le norme minime, considerando
al contempo quanto già fatto dalle legislazioni a
livello nazionale Tuttavia, E. BENDA si mostra
personalmente piuttosto scettico al riguardo.
Secondo lui, in mancanza di un consenso più vasto in
materia di biopolitica o di genetica umana, sarebbe
preferibile, nel caso di divergenze d’opinione
persistenti, ritenere che la posizione degli altri vada
rispettata e che essa sia eticamente valida piuttosto
che relativizzare le varie posizioni per arrivare a un
compromesso. Il compromesso è parte integrante di
qualunque dibattito politico, ma è altrettanto
necessario mantenere i principi fondamentali di
ciascuno. Ai sensi del diritto tedesco e di una
sentenza emessa dalla Corte costituzionale,
sappiamo bene che quando è in gioco la dignità dell’essere umano non si può transigere, il che vale sia
per la libertà della scienza e della ricerca sia per
valori che mirano a sostenere l’etica della dignità
umana. Per quanto concerne, ad esempio, la
diagnosi preimpianto, il rispetto della dignità umana
impedisce a livello costituzionale di respingere una
vita che non si vorrebbe nemmeno se ci si basasse su
ragioni mediche. Ciò impedisce soprattutto il diritto
di scegliere il sesso del nascituro o di scegliere altre
caratteristiche in base a criteri non medici. La
ricerca sugli embrioni e la diagnosi preimpianto
devono rispettare la dignità dell’essere umano e la
stessa vita umana.
Nel momento in cui si ipotizza una cooperazione
di polizia e giudiziaria rafforzata in Europa, la
riflessione sugli utilizzi non pacifici degli OGM è
assolutamente impellente, da un lato al fine di
sensibilizzare gli scienziati, le industrie farmaceutiche
e le società che si occupano di biotecnologie che
devono essere in grado di sorvegliare le attività
svolte nel loro settore e, forse, anche prevedere un
certo numero di ricerche condotte in nome
dell’Europa.
LENOIR conclude il suo intervento precisando che
le questioni relative alla genetica non conoscono
frontiere. Non vi sono limiti alla diffusione dei prodotti
della genetica umana e alla commercializzazione
dei prodotti della genetica umana e l’Europa ha,
ovviamente, la sua opinione da esprimere.
In Germania non si accetterebbe una normativa
europea in contrasto con la legge fondamentale. Per
concludere, E. BENDA sottolinea che se si dovesse
elaborare una legislazione europea, questa dovrebbe
essere conforme alle costituzioni di tutti gli Stati
E. BENDA, ex ministro dell’Interno della Repubblica
federale tedesca ed ex presidente della Corte
costituzionale, esamina più in dettaglio la questione
dell’opportunità dell’istituzione di una legislazione
40
GIORNATE DI STUDIO
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SETTEMBRE
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ROMA
membri. Le possibilità di arrivare al consenso
assoluto in materia di genetica umana sono poche,
ma questo non significa che ci si debba arrendere
davanti alla costruzione europea; siamo persuasi del
fatto che abbiamo convinzioni comuni nei nostri
diritti fondamentali, convinzioni a volte un po’
dimenticate o nascoste, ma che occorre ricercare
costantemente.
Per quanto riguarda gli esprimenti sugli embrioni
umani, il punto sta nel sapere a partire da quale
momento ci troviamo di fronte a embrioni umani.
Finora, nessuna risposta è stata data a questo
interrogativo. Se non sappiamo esattamente quando
si può parlare di embrione umano e, quindi, quand’è
necessario porre una protezione, è difficile prendere
una decisione soprattutto per quanto concerne gli
embrioni congelati. Questi ultimi non possono
svilupparsi e quindi non hanno la possibilità di
divenire degli esseri umani. Potrebbero essere
distrutti, ma l’on. A. TRAKATELLIS suggerisce che
la migliore scelta consisterebbe in un loro eventuale
utilizzo per la ricerca a patto, ovviamente, che la
legislazione dello Stato membro lo consenta.
Quest’idea potrebbe essere collegata al fatto che
si dovrebbe anche cambiare la tecnica della
fecondazione extrauterina al fine di evitare di
produrre un numero eccessivo di embrioni. Il
problema è che disponiamo attualmente di mezzo
milione di embrioni congelati. Cosa faremo di tutti
questi embrioni? Dovremo distruggerli o li dovremo
utilizzare per il bene dell’uomo? La clonazione
a scopo riproduttivo non è consentita. Occorre
riflettere anche sulla clonazione terapeutica, che
pone un altro problema: qual è il momento in cui si
può parlare di embrione umano? Se prendo una
cellula e la modifico, questa diventerà un embrione
umano? È ancora tutto da discutere. La clonazione
a scopi terapeutici sarà in futuro uno strumento
estremamente utile. Cellule provenienti da cellule
modificate potranno aiutare il donatore stesso.
Tuttavia, sarà necessario trovare il modo di risolvere
le questioni etiche e occorre lasciare uno spiraglio
affinché un domani la scienza possa eventualmente
portarci in questa direzione.
Nell’ambito del dibattito, l’on. G. NISTICO
sottolinea che la ricerca scientifica non può essere
fermata. Dobbiamo fare tutti gli sforzi possibili e
immaginabili per alleviare la sofferenza dell’essere
umano al fine di ridurre il tasso di mortalità. Questo
è il principio fondamentale al quale non possiamo
rinunciare. Tuttavia, talvolta a livello politico ci
troviamo di fronte a tutta una serie di principi
morali a volte contraddittori. L’embrione appena
concepito è considerato un essere umano. D’altronde
è anche necessario riparare tessuti e organi. Molti
esseri umani muoiono e la scienza ha il dovere di
intervenire e trovare nuove soluzioni. A tale riguardo,
l’on. G. NISTICO sottolinea che l’Italia, il paese che
finora ha investito di meno rispetto agli altri paesi
europei (1,5% del PIL rispetto alla media che
abbiamo fissato a livello europeo), spera di poter
destinare entro due anni il 3% del PIL alla ricerca
scientifica. Egli confida che l’Italia possa dare un
segnale nel senso di questa nuova filosofia, poiché
l’Europa dovrebbe disporre di reti capaci di tener
testa alla concorrenza delle reti americane e
giapponesi, soprattutto in materia di terapia
genetica e clonazione, affinché i nostri cittadini
siano meno preoccupati e soffrano meno.
Secondo l’on. U. SCAPAGNINI, non bisogna farsi
spaventare dall’espressione “studio del genoma” e
occorre dare maggiore sostegno alla ricerca sul
genoma, non solo a livello italiano, ma anche
europeo, nell’ambito del VI programma quadro.
Questo ci permetterebbe di offrire maggior sicurezza
e costi minori ai cittadini europei.
Per quanto concerne l’informazione genetica e i test
genetici, si deve lasciare che le persone scelgano
liberamente e possano eseguire i test se lo
desiderano. L’on. Trakatellis insiste sul fatto che dal
punto di vista medico, la conoscenza è un punto di
forza perché permette di difendere e proteggere
l’essere umano.
L’on. A. TRAKATELLIS esprime varie osservazioni
in merito alla ricerca sulle cellule staminali. Egli
ritiene che, se la ricerca è condotta con scopi ben
precisi o per malattie ben definite non solo dovrebbe
essere incoraggiata, ma anche finanziata. Il gruppo
PPE-DE dovrebbe pertanto riconoscere che questa
indicazione è del tutto adeguata, poiché queste
cellule potrebbero essere utilizzate per la ricerca
farmaceutica.
Secondo l’on. OOMEN-RIJTEN, siamo concordi nel
dire che la ricerca avanza rapidamente. Tuttavia, se
la codificazione del genoma umano costituisce un
enorme progresso, è comunque solamente uno
strumento. Ciò che è decisivo sono le funzioni di
questi geni. Ora abbiamo aperto la via a nuovi
metodi diagnostici e terapeutici, a una modifica
dell’utilizzo delle informazioni genetiche e
all’ottimizzazione dei farmaci in funzione del
41
paziente stesso. Tutto ciò richiede una legislazione
europea, soprattutto per quanto riguarda le diagnosi
genetiche in materia di assicurazione e di assunzione
in generale. Per quanto concerne le cellule staminali,
l’on. OOMEN-RUJTEN ricorda che l’utilizzo di
queste cellule a scopi terapeutici costituisce la più
grande rivoluzione che la medicina abbia mai
conosciuto nella lotta contro le malattie e, ad
esempio, contro le difficoltà in caso di trapianto.
Tuttavia, le aspettative terapeutiche per gli esseri
umani in relazione a numerose malattie che
dipendono da questi nuovi metodi medici vanno ben
oltre tutto quello che possiamo conoscere e oltre le
nostre stesse aspettative dal punto di vista etico.
Infatti, gli esseri umani hanno nuove prospettive
per il futuro, si aspettano un’ottimizzazione della
vita, vogliono vivere più a lungo e accanto a tutto
ciò i valori etici spariscono o sono quantomeno
ridimensionati. Per tornare alla discussione sulle
cellule staminali embrionarie o adulte, se è chiaro
che occorre vietare l’intervento nelle cellule
germinali e la clonazione, vero è che occorre ancora
riflettere sulla questione della volontà di mettere la
vita a disposizione delle ricerche o capire se
vogliamo prima vagliare le alternative possibili.
L’ on. OOMEN-RUIJTEN ritiene che occorre
cominciare con il sondare le alternative esistenti per
vedere quali sono i loro elementi chiave e quali sono
i segnali che bisogna dare alle cellule staminali adulte
affinché si sviluppino come cellule embrionali.
attesi, nonostante quanto affermato appena un anno
fa. La cellula staminale dell’individuo adulto e le
cellule placentari presentano una maggiore
plasticità e ora nella letteratura medica esistono
numerosi e nuovi elementi che devono farci uscire
dagli schemi di riflessione tradizionali. Esistono
“cell factories” che, in tutto il mondo, producono o
hanno prodotto cellule muscolari a partire dal
sangue placentare. Sono state inoltre create cellule
neuronali a partire da cellule placentari. Pertanto il
dibattito deve essere legato anche alla realtà
scientifica e non bisogna allontanarsene troppo,
altrimenti si corre il rischio di trovarsi in ritardo
rispetto al progresso scientifico.
Secondo l’on. B. KHANBHAI occorre servirsi della
scienza per prevenire e guarire le malattie. È chiaro
che le cellule staminali embrionali sono molto
diverse dalle cellule staminali adulte, poiché
permettono agli scienziati di sviluppare più organi di
quanto consentirebbero le cellule staminali adulte.
Occorre pertanto, sotto stretto controllo governativo
e legislativo, condurre ricerche sulle cellule staminali
embrionali. Le cellule staminali embrionali possono
essere ottenute dagli embrioni rigettati, evitando
quindi di porre fine a una vita, quale che sia. La
ricerca basata sulle cellule staminali è utilizzata e
condotta da anni per i trapianti di midollo osseo e
per la produzione di insulina. L’Unione europea
dispone di una serie di scienziati che di fatto sono
all’avanguardia in questo ambito e pertanto
commetteremmo un grosso errore se perdessimo
questi scienziati che potrebbero decidere di
trasferirsi negli Stati Uniti o in Giappone. Abbiamo
bisogno di tutelare i nostri cittadini e di curare
coloro che sono colpiti dal morbo di Alzheimer, dal
morbo di Parkinson, dalla sclerosi a placche e da
tutte le altre malattie degenerative. Perché bloccare
la scienza, perché frustrare i nostri scienziati
quando la ricerca continuerebbe comunque negli
Stati Uniti e in Giappone, mentre noi discutiamo di
questioni etiche? Ovviamente le considerazioni
etiche sono molto importanti, ma le nostre necessità
sono altrettanto evidenti.
In risposta al dibattito, il ministro della Salute,
Girolamo SIRCHIA sottolinea che per quanto sia
evidente che le posizioni divergono su numerose
questioni, esistono comunque numerosi punti di
convergenza: la ricerca non deve essere fermata,
occorre svilupparla e catalizzarla su questioni
strategiche. Viceversa, vi sono questioni, come
quella degli embrioni congelati, del trasferimento
nucleare e relative applicazioni sulla ricerca o a
scopi terapeutici, nonché la clonazione, sulle quali è
difficile trovare un consenso. Secondo il ministro
SIRCHIA vi sono numerosi elementi obiettivi che
occorre prendere in considerazione: l’embrione
congelato non è il più adatto per la ricerca. I
laboratori di ricerca vogliono utilizzare embrioni
congelati, ma spesso la catena del freddo non è ben
controllata, quando non è per niente controllata, e si
conducono esperimenti estremamente lunghi e
costosi con un elevato rischio di insuccesso. Gli
insuccessi sono dieci volte superiori a quelli delle
ricerche che utilizzano embrioni freschi. Si deve
tener conto anche della realtà: la ricerca sulle
cellule embrionali non ha dato finora i risultati
L’on. M.T. HERMANGE sottolinea che se abbiamo
molte incertezze al riguardo, è anche vero che
abbiamo numerose certezze. Certamente i progressi
dell’umanità saranno costruiti in futuro su criteri
prevedibili che potrebbero mettere in causa il
principio di umanità.
La seconda certezza è che siamo tutti concordi su
determinati criteri e soprattutto sul principio di
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dignità che è stato ricordato a Berlino in occasione
della riunione del Gruppo PPE/Unione dei valori,
che rammentava che la persona umana deve essere
e sarà posta al centro della nostra politica; questo
comporta una serie di conseguenze e soprattutto
l’impossibilità di operare una distinzione tra persone
umane, persone o embrioni e esseri umani potenziali
senza che ciò implichi l’introduzione di una discriminazione inaccettabile. La dichiarazione conclude
affermando che dobbiamo trarne le conseguenze
politiche.
ricerca sugli embrioni, il Parlamento europeo ha già
rifiutato questo tipo di ricerca e il nostro Gruppo ha
sostenuto il rifiuto: i fondi comunitari non possono
essere utilizzati per finanziare una ricerca illegale
negli Stati membri. La ricerca sugli embrioni è
illegale almeno in quattro dei nostri Stati membri.
Esistono alternative meno contrastate per quanto
riguarda l’utilizzo delle cellule staminali adulte,
delle cellule provenienti dalla placenta e dal
cordone ombelicale. Per quanto concerne l’utilizzo
di embrioni sovrannumerari, anche in questo caso si
rischia di imboccare una strada piena di pericoli: se
lo autorizzassimo rischieremmo di incoraggiare la
produzione di un numero ancora più elevato di
embrioni sovrannumerari. Pertanto, nel rispetto
della nostra tradizione europea, l’on. R. SCALLON
suggerisce che non si riduca la persona alle sue
componenti biologiche perché, così facendo,
rischieremmo di perdere di vista la dignità umana di
coloro che sono nati, nonché di coloro che ancora
non lo sono.
La terza certezza è che siamo tutti contrari alla
clonazione umana e che ci opponiamo tutti all’eugenetica.
La quarta certezza è che è importante considerare con
severità i protocolli medici applicabili relativamente
alla manipolazione delle catene genetiche.
La quinta certezza è che la sfida è appena cominciata.
In considerazione di quanto enunciato, il gruppo
deve rispondere a una serie di domande. Il gruppo è
d’accordo sulla ricerca sulle cellule staminali? Il
gruppo approva gli esperimenti sugli embrioni umani
e soprattutto sugli embrioni sovrannumerari?
Bisogna rispondere in modo inequivocabile a queste
domande. È necessario che non vi possano essere
interpretazioni molto differenti.
Secondo l’on. J. EVANS, una cosa è chiara:
il Gruppo del PPE-DE deve assumere un
atteggiamento e un comportamento etici. Stupirebbe
se un gruppo che si proclama democratico cristiano
fosse reticente a esprimere una posizione etica.
L’on. J. EVANS è contrario alla clonazione sia a
scopi terapeutici, sia a scopo riproduttivo. Egli si
esprime sulla necessità di proseguire le ricerche
nell’ambito delle cellule staminali adulte e delle
cellule staminali che provengono, ad esempio, da
aborti spontanei. Non dovrebbero esistere troppe
divisioni in seno al gruppo in merito a questo tipo di
questioni. Tuttavia, non si devono utilizzare fondi
europei per attività che sono illegali in alcuni dei
nostri Stati membri. In quest’ambito, se vi sono
Stati membri che hanno deciso che tale ricerca
debba essere autorizzata e legalizzata, allora
dovrebbero essere essi stessi a mettere a disposizione
dei fondi per la ricerca. I fondi non dovrebbero
provenire dal programma comune di ricerca.
Lasciamo che gli Stati desiderosi di portare avanti
questa ricerca la finanzino da sé.
In secondo luogo, occorre che, in un futuro più lontano,
l’Unione europea crei un’istanza di coordinamento e
ricerca nel settore del bioterrorismo stanziando
finanziamenti adeguati.
Terzo punto, l’on. M.T. HERMANGE afferma di
essere favorevole a una istituzionalizzazione del
comitato etico europeo interistituzionale come
interfaccia delle varie istanze in coordinamento con
le associazioni dei malati che vi lavorano e che
possono intrattenere un dialogo e a una rete che ci
permetta di effettuare degli scambi con l’insieme dei
nostri concittadini.
L’on. R. SCALLON pone l’accento sul rispetto della
dignità umana e il diritto all’integrità di cui deve
godere ogni essere umano, principi insiti nelle
tradizioni europee e nel programma del partito
democratico cristiano che è stato approvato a
Berlino. In seno all’Unione europea, a dispetto delle
nostre differenze nazionali, molti principi etici
comuni sono stati oggetto di un accordo ed ella
propone che su questa base si decida a favore del
maggior numero di norme possibile relativamente a
determinate questioni. Per quanto concerne la
L’on. A. VATANEN pone l’accento sull’aspetto
morale delle nostre decisioni. Apprezzo il progresso
scientifico, dice, ma lo sviluppo della scienza e la sua
evoluzione non sono un fine a sé. Ogni vita è unica e
ha valore proprio. Ciò che rende bella la vita è la
diversità. Egli non si esprime contro la ricerca
medica, anzi, chiede che si abbia una base morale
solida nel momento i cui si prendono delle decisioni.
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LORD BETHELL ricorda ai colleghi che nell’Unione
europea più di mezzo milione di persone soffrono,
come lui, del morbo di Parkinson. Speriamo, dice, di
poter risolvere il problema perché ci viene detto
continuamente che la ricerca medica è sul punto di
trovare una medicina efficace per contrastare non
solo il morbo di Parkinson ma anche le altre malattie
neurologiche, la sclerosi a placche e altre patologie.
durante la differenziazione cellulare. Le leggi sugli
aborti parlano della 20a, 22a o 24a settimana.
Secondo l’on. R. HELMER sarebbe sbagliato
assumere la posizione assolutista di una minoranza
della società che auspica che i diritti dell’uomo
siano attribuiti all’embrione a partire dal momento
della fecondazione. Occorre lasciare un’apertura ai
più pragmatici che sperano di favorire la ricerca.
A proposito di tale questione, che infervora
notevolmente gli animi, egli concorda con coloro che
affermano che i malati neurologici non devono
perdere la speranza e devono continuare a
esercitare pressioni a favore di un incremento delle
ricerche, ma non a discapito della dignità della
vita umana nella sua forma più innocente.
Per il futuro dell’industria, della scienza e della
ricerca, nonché per coloro che sono colpiti da
malattie che potrebbero beneficiare della ricerca,
l’on. R. HELMER lancia un appello a favore della
libertà di ricerca di chi non condivide quel punto di
vista.
L’on. M. FLEMING si rammarica per il fatto che la
questione della dignità umana è affrontata a livello
economico e giuridico attraverso questioni relative
alle assicurazioni o ai brevetti. A suo parere, nel
nostro gruppo, l’unica questione fondamentale
riguarda l’aspetto morale e etico che non è mai stato
oggetto di un dibattito in merito. Quando, un uomo,
diventa tale? La maggior parte degli scienziati
ritiene che l’essere umano è tale al momento della
fusione delle due cellule. A partire da quel momento,
quell’embrione non può essere utilizzato per aiutare
un altro essere umano, perché l’embrione è impotente
ed è un bambino sano. La ricerca è necessaria, ma è
necessario che si diriga nella giusta direzione, Si
potrebbero utilizzare cellule staminali adulte
piuttosto che embrioni umani. Perché utilizzare la
vita di un embrione visto che vale tanto quanto
un’altra vita?
L’on. J. PURVIS si proclama a favore della creazione
di un organo, come il GEE, che potrebbe aiutarci e
che potrebbe approvare volta per volta le norme
necessarie alle nuove tecnologie e le norme etiche.
Egli ricorda che il Regno Unito è il paese con la
normativa più severa e più precisa. Tutte le decisioni
devono essere presentate al comitato che le approva
o le rifiuta. Il GEE potrebbe fare altrettanto a
livello europeo.
L’on. R. HELMER si mostra alquanto sorpreso di
trovarsi a difendere l’azione di un governo laburista
britannico. L’atteggiamento assunto dal governo
aiuterà molto le persone malate, come Lord
BETHELL, ma anche la scienza e l’industria britanniche e in realtà non farà del male a nessuno.
Secondo lui, la questione del sapere quando ha inizio
la vita dell’uomo non ha troppa importanza. Il
problema sta nel capire in quale momento dello
sviluppo di un embrione devono essergli attribuiti i
diritti dell’uomo. Secondo l’on. R. HELMER è una
questione etica. La risposta non verrà né dalla
scienza, né dalla ricerca. La risposta verrà da quelli
che riteniamo i nostri valori in quanto società,
conforme al nostro valore etico e religioso e verrà
anche dalla legislazione che adotteremo. Il nostro
compito in veste di legislatori consiste nel trovare
una risposta alla questione del momento in cui
attribuire i diritti dell’uomo a un embrione. È una
questione assolutamente soggettiva e i pareri in
merito sono completamente divergenti. L’azione più
logica è lasciare tali questioni alla coscienza di
ciascuno di coloro che devono prendere decisioni in
merito Abbiamo sentito varie idee relative al
momento in cui ha inizio la vita. Alcuni ritengono
che la vita cominci al momento del concepimento,
Secondo l’on. P. ARVIDSSON, la genetica umana è
una questione difficile per i responsabili politici, ma
le sue conseguenze per il futuro sono importanti. Noi
siamo responsabili, dice, nei confronti dell’essere
umano.
Quando si parla di genetica applicata, è importante
esprimere chiaramente ciò che vogliamo per il
futuro: quali sono i nostri obiettivi? Cosa vogliamo
evitare? Cosa ci sembra aberrante? Sembra che tutti
accettino la ricerca basata sulle cellule staminali
adulte, ma è molto più difficile concepire l’evoluzione
della ricerca affinché i risultati della ricerca siano
applicabili. Per quanto concerne il problema delle
cellule staminali embrionali, sarà necessaria una
legislazione comune in merito. È una sfida
importante per il futuro. Dobbiamo prendere delle
decisioni e tutti coloro che si trovano di fronte a
questa difficile scelta devono spiegare che le ragioni
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L’on. C. FERRER fa due commenti. Il dibattito ci
ha fatto comprendere che esistono ancora troppe
incertezze riguardo a tutte le questioni legate alle
biotecnologie. Abbiamo messo in evidenza alcune
certezze esistenti. C’è una certezza ed è quella della
dignità umana. La ricerca non può oltrepassare i
limiti posti dal rispetto della dignità umana. Il
nostro Gruppo si mostra totalmente d’accordo su
questo punto, ma il dibattito ha toccato anche la
necessità di rispondere a due quesiti. Primo quesito:
quando inizia la vita umana? Non si deve rispondere
partendo da una prospettiva religiosa. La vita umana
comincia scientificamente in un momento preciso
che bisogna definire. I diritti fanno parte della persona
e derivano dalla sua dignità indipendentemente
dal loro riconoscimento giuridico. Non possiamo
affermare che una persona diventa tale dal momento
in cui diventa un soggetto di diritto. Esistono diritti
innati nella nostra condizione di persona, ma
l’importante è dare una risposta scientifica alla
questione del momento in cui comincia veramente la
vita umana.
umanitarie dovrebbero consentire di isolare alcune
cellule staminali embrionali affinché si possa
realizzare una determinata ricerca su quel tipo di
cellule. È difficile creare una legislazione unica,
tuttavia ciò è necessario: se ci accontentassimo
delle legislazioni nazionali, avremmo un quadro
frammentario che porterebbe a delle incertezze
giuridiche.
L’on. R. BRUNETTA ritorna sulla questione dei test
genetici. A tale proposito, dovrebbe essere istituita
una normativa europea volta a riaffermare le
acquisizioni di un secolo e mezzo di welfare state
che non ha causato discriminazioni per quanto
concerne le assicurazioni pubbliche. Tuttavia, le
assicurazioni private potranno utilizzare i test
predittivi, il che è tutt’oggi in uso: se si vuole
stipulare un’assicurazione integrativa sulla vita, ci si
deve sottoporre a una visita medica e, a seconda
dello stato di salute, si deve pagare un determinato
premio assicurativo. Si dovrebbe procedere a una
nuova classificazione dei principali rischi sanitari
per avere una copertura pubblica il più possibile
ampia finanziata dai sistemi contributivi al fine di
evitare discriminazioni sul luogo di lavoro e sui
diritti di ciascun cittadino. Tuttavia, per ciò che
concerne i test predittivi genetici nell’ambito
dell’assicurazione privata, gli assicuratori possono
considerare la salute un bene privato e sottoporla,
pertanto, alla legge della domanda e dell’offerta.
L’on. E. R. KORHOLA ricorda che è stato detto che
non bisogna ostacolare la scienza e che non si può
fermare il progresso scientifico. Sembra che
consideriamo tutto ciò come un acquisizione, dice,
ma allo stesso modo sappiamo che nel caso della
clonazione a scopo riproduttivo il principio non può
essere applicato. Dunque, ad un certo punto la scienza
deve essere guidata, orientata. La scienza non deve
essere una forza cieca: possiamo sicuramente
decidere del tipo di ricerca che finanzieremo.
Il secondo quesito al quale occorre rispondere è il
seguente: in nome di cosa possiamo permettere che
una vita umana si trasformi in uno strumento al
servizio della scienza, della tecnica o dell’umanità?
Questa è una domanda d’importanza fondamentale.
Nel testo di Berlino sui valori del PPE, facciamo una
serie di affermazioni molto chiare che dovrebbero
far parte anch’esse della dichiarazione di Roma che
nascerà a partire dal dibattito stesso. L’on. C. FERRER
non ritiene che si debba accettare come un dato di
fatto la ricerca sulle cellule staminali. Il dibattito
che si è appena concluso mostra il mancato consenso
in merito. Viceversa, nel documento di Berlino,
diciamo chiaramente che accettiamo gli esperimenti
sull’uomo solamente se sono destinati a tutelare la
salute e la vita di quell’embrione. Questa posizione
deve riflettersi nella dichiarazione di Roma che
seguirà al dibattito che abbiamo appena concluso.
Che cosa intendiamo con “dignità umana”? L’essere
umano è uno scopo di per sé e non deve essere
utilizzato per gli scopi di qualcun altro. L’essere
umano ha un valore in quanto tale indipendentemente
dal suo stato di salute. La questione di base consiste
perciò nel sapere quando ha inizio la vita. Ci sono
due possibilità: si può assumere un atteggiamento
realista o un atteggiamento speculativo. Non si può
confrontare un embrione a un elemento spermatico.
Entrambi potranno diventare in futuro degli esseri
viventi, ma nel caso dell’embrione il potenziale è reale,
nel caso dello sperma, si tratta di pura speculazione.
In risposta agli interventi, LENOIR sottolinea che
non si può rispondere al quesito: “cos’è la vita
umana?”.
È una domanda che ci si pone sin dalla nascita della
biologia. Non esistono risposte scientifiche alla
questione del momento in cui ha inizio della vita
umana. Persino in ambito religioso la questione è
stata ampiamente dibattuta, poiché i Padri della
Chiesa, in base alle conoscenze dell’epoca, pensavano
che la vita, che il feto che faceva parte del corpo
della madre, fosse quasi acqua e che poi, al 50° giorno
nel caso dei maschi, e nel 90° giorno nel caso delle
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femmine (forse perché le bambine sono più brave),
l’anima raggiungeva il corpo del feto. Oggi, si
stabilisce l’inizio della vita umana nel momento
della concezione.
assicurative. È vero che le compagnie assicurative
hanno bisogno di calcolare le probabilità che i loro
clienti hanno di ammalarsi, ma ciò può entrare in
conflitto con un’altra idea, quella della libertà e del
diritto di non sapere. Non si dovrebbero obbligare le
persone a sapere se sono condannate quando fanno
una richiesta d’assicurazione.
Solo un tipo di ricerca pone problemi: quella sull’embrione. Che si ritenga che si tratti di un essere
intero o no, questo tipo di ricerca è estremamente
delicato poiché si tratta dell’inizio della vita umana.
L’argomento dev’essere discusso, così come si è
fatto per l’interruzione della gravidanza e per la
fecondazione in vitro per la quale si noti che, tranne
in Germania, nei paesi in cui è autorizzata, essa dà
luogo alla creazione di embrioni sovrannumerari poi
distrutti, in caso di mancato utilizzo successivo per
la procreazione assistita. Oggi il problema si
ripropone a causa delle nuove prospettive relative
all’utilizzo estremamente ipotetico e lontano delle
cellule staminali embrionali. Occorre trovare una
risposta morale e dunque politica, poiché adesso
sono i legislatori a doversi pronunciare su argomenti
di questo tipo.
E. BENDA ridiscute alcuni punti.
Per quanto riguarda la questione del momento in cui
ha inizio la vita umana, E. BENDA ritiene che per
coloro che fanno parte di un’istanza legislativa,
parlamentare o politica, si tratta di una decisione
normativa piuttosto che biologica, medica o etica.
Secondo lui, si potrebbero istituire dei comitati etici,
ma per quanto riguarda le decisioni fondamentali
non ci si dovrebbe affidare completamente a loro,
quanto piuttosto a decisioni pragmatiche caso per
caso. La decisione normativa, così come scaturisce
dalle decisioni della Corte costituzionale tedesca,
mira giustamente a rispondere alla questione del
momento in cui comincia la vita umana, non tanto in
senso biologico, quanto nel senso di ciò che occorre
fare per tener conto dei principi fondamentali in
base ai quali vogliamo organizzare la nostra
struttura, la nostra società.
La Signora LENOIR pone l’accento su due idee:
la prima riguarda il codice genetico universale.
Occorre riflettere sulla portata di queste
manipolazioni genetiche; la struttura biochimica di
un gene à la stessa per qualunque specie, il che fa
sì che si possa trasferire un gene umano in un
maiale per umanizzarne gli organi da utilizzare
successivamente per i trapianti. Recentemente un
gene prelevato da una medusa è stato inserito
nell’embrione di una scimmia dando vita a una
scimmia fluorescente.
Cosa intendiamo per dignità dell’essere umano?
Secondo E. BRENDA, l’elemento più importante è
la debolezza dell’embrione: più un essere umano è
debole, maggiore dev’essere la protezione che riceve.
Si tratta di una direzione che possiamo sicuramente
seguire e che potrebbe aiutarci nella scelta delle
decisioni da adottare.
La seconda idea riguarda la clonazione. Un elemento
genetico può essere riprodotto quasi all’infinito in
quantità illimitate. Le linee cellulari possono essere
riprodotte tramite clonazione. Prendendo circa
60 linee cellulari, si possono creare migliaia e
migliaia di linee cellulari utili a partire da quelle in
buono stato. Tutto ciò serve a dire che la questione
dell’inizio della vita umana fa veramente parte delle
convinzioni personali e che in Europa non siamo
ancora maturi per avere leggi che disciplinino la
questione. In compenso, è necessario fissare norme
sanitarie relative all’utilizzo delle linee cellulari e
delle cellule staminali adulte che sono già utilizzate
per i trapianti. Si tratta di prodotti di origine umana
che, come il sangue, possono apportare benefici
terapeutici.
Per concludere, egli pone il seguente quesito: che
cosa rappresenta l’embrione nella prospettiva
cristiana? Guardando un embrione si vede un’immagine. Ad esempio, si tratta di un embrione umano o
un embrione di pollo? È vero che si tratta di un
ammasso di cellule, ma in quanto cristiani, dice, si
deve vedere in esso la mano stessa del Creatore, il
che è ben diverso da un ammasso di cellule.
L’on. Peter LIESE sintetizza le varie opinioni
espresse nell’ambito del dibattito. Secondo lui, è
ovvio che il Gruppo si esprima a favore della ricerca
medica, nonché a favore delle biotecnologie moderne:
non vogliamo avere un atteggiamento di rifiuto,
dice, verso tutto ciò che riguarda la manipolazione
genetica.
N. LENOIR solleva il problema della delicatezza della
proposta relativa ai test genetici nelle compagnie
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Si è anche concordi nell’affermare che occorre
fissare determinati limiti laddove è in gioco la
dignità umana. Non si può dire che violeremo la
dignità dell’uomo qualora la scienza lo reputi
necessario. Tuttavia, i punti di vista in merito alla
questione di sapere in che momento si viola la
dignità umana sono divergenti. Il compito che la
relazione FIORI sulla genetica umana dovrà
portare a termine si annuncia difficile.
Gruppo del PPE-DE potremo cercare di avvicinare i
punti di vista, di trovare formule di compromesso
che soddisfano la maggior parte del gruppo e, a
quel punto, avremmo la possibilità di aiutare il
nostro relatore, l’on. F. FIORI, a trovare una
maggioranza in seno al Parlamento. Dobbiamo
aiutare il nostro relatore in maniera costruttiva,
poiché nelle prossime settimane il suo lavoro sarà
già abbastanza complicato.
Per quanto concerne la questione della ricerca sulle
cellule staminali e della clonazione, i punti di
assoluto consenso sono due: nessuno appoggia la
clonazione a scopo riproduttivo e nessuno spera che
vengano alla luce bambini clonati. Siamo inoltre
d’accordo sul fatto che vogliamo sostenere la
ricerca in materia di cellule staminali, ma a partire
da cellule adulte. L’on. P. LIESE non sa se
riusciremo a trovare una formula di compromesso
per gli altri punti, poiché vi sono numerose questioni
che toccano convinzioni fondamentali. Alcuni
oratori non si sono opposti a nessuna ricerca sugli
embrioni umani, ma si oppongono alla fabbricazione
di embrioni ai fini della ricerca.
Altri oratori intervengono sulla questione della
convenzione del Consiglio d’Europa. Viene fatta una
distinzione estremamente chiara tra gli embrioni
fabbricati ai fini della ricerca e gli altri. Per quanto
concerne gli embrioni sovrannumerari, le posizioni
sono alquanto nette: il 50% è favorevole alla
ricerca su questo tipo di embrioni mentre l’altro
50% è contrario. Non esiste ancora una normativa
europea e non si possono prendere decisioni in
merito. A tale riguardo, il dibattito non è ancora
sufficientemente sviluppato poiché le posizioni
restano divergenti negli Stati membri. Ci si deve
chiedere
anche
se
possiamo
promuovere
finanziariamente determinati tipi di ricerca. Si
dovrebbero concentrare i crediti nei settori in cui
siamo d’accordo, come la ricerca sulle cellule
staminali adulte.
I test del DNA e i test genetici dovrebbero essere
inizialmente autorizzati, ma si dovrebbe stabilire un
quadro e la relazione FIORI dovrà difendere
chiaramente questo punto. Si tratta di una delle
questioni fondamentali per il futuro della genetica
umana in Europa e dovremmo avere norme minime
comuni in merito alla questione.
Per concludere, l’on. P. LIESE sottolinea che è
molto difficile arrivare a una posizione unica in
merito, ma se facessimo uno sforzo in seno al
47
Editore:
Gruppo del Partito Popolare Europeo (Democratici Cristiani)
e Democratici Europei al Parlamento Europeo
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