l`euro e la politica economica nell`UE > le prossime
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N°77 N°77 GIORNATE DI STUDIO-GIORNATE DI STUDIOGIORNATE DI STUDIO-GIORNATE DI STUDIO > l'euro e la politica economica nell’UE > le prossime riforme istituzionali dell’UE > Le nuove frontiere della genetica umana GIORNATE DI STUDIO-GIORNATE DI STUDIOGIORNATE DI STUDIO-GIORNATE DI STUDIO Gruppo del Partito Popolare Europeo (Democratici Cristiani) e Democratici Europei al Parlamento Europeo > > IT G I O R N AT E D I ST U D I O D E L GRUPPO DEL PARTITO POPOLARE EUROPEO 24-27 SETTEMBRE 2001-N°77 Ro m a Gruppo del Partito Popolare Europeo (Democratici Cristiani) e Democratici Europei al Parlamento Europeo 2 GIORNATE DI STUDIO 24-27 SETTEMBRE 2001 ROMA S O D D I S FA R E BENVENUTO DEI PRESIDENTI DELLA DELEGAZIONE ITALIANA.............................................. P. 5 L'EURO E LA POLITICA ECONOMICA NELL’UE ............................................................................. P. 9 LE PROSSIME RIFORME ISTITUZIONALI DELL’UE.................................................................... P. 25 LE NUOVE FRONTIERE DELLA GENETICA UMANA: ASPETTI ETICI, GIURIDICI ED ECONOMICI................................................................................. P. 37 3 GIORNATE DI STUDIO 24-27 SETTEMBRE 2001 ROMA da sinistra a destra: Hans-Gert POETTERING, Presidente del Gruppo del PPE-DE, riceve da Antonio TAJANI, capo della delegazione Italiana del Gruppo del PPE-DE, la medaglia della presidenza del Consiglio comunale di Roma. 4 LUNEDÌ 24 SETTEMBRE 2001 BENVENUTO DEI PRESIDENTI DELLA DELEGAZIONE ITALIANA L’on. Antonio TAJANI ringrazia i colleghi del Gruppo del PPE-DE per la loro presenza a Roma. Essendo l’unico parlamentare romano del Gruppo del PPE-DE, l’on. Antonio TAJANI, anche a nome della delegazione italiana, consegna la medaglia del Consiglio comunale di Roma all’on. H.-G. POETTERING, Presidente del Gruppo del PPE-DE: è un onore, afferma, accogliere a Roma il Gruppo più importante del Parlamento europeo. polveriera mediorientale. L’Europa e il Parlamento europeo dovranno giocare un ruolo decisivo in quest’azione pacificatrice, nell’intento di ridare maggiore tranquillità al panorama internazionale. L’on. Antonio TAJANI si dice persuaso che, parallelamente all’azione terroristica, vi sia stata anche una forte azione speculativa, a detrimento delle borse europee e americane. Egli auspica quindi che, per porre fine a questa speculazione, si dia alle imprese la possibilità di riacquistare le proprie azioni. Egli suggerisce, inoltre, d’intervenire direttamente sui beni di Bin Laden e di controllare le sue attività finanziarie ed economiche. Con riferimento ai tragici eventi dell’11 settembre scorso, l’on. Antonio TAJANI rileva che l’Europa è riuscita a garantire la pace nel continente europeo per più di 50 anni, grazie anche all’azione dei suoi padri fondatori e dovrà impegnarsi sempre di più per tentare di disinnescare la bomba ad orologeria costituita dai nemici invisibili che sono Osama Bin Laden e il terrorismo. L’Europa, afferma, ha il diritto e il dovere di difendere i suoi cittadini e i propri interessi economici e il Parlamento europeo ha un ruolo importante da svolgere in tal senso. Questa istituzione viene spesso considerata come l’istanza europea con minore importanza, ma occorre precisare che questa posizione non è certo condivisa dall’Italia. Tuttavia, in linea con il tenore dei dibattiti svoltisi in seno al Parlamento europeo a Bruxelles, occorre affermare a chiare lettere che questa non è una battaglia fra l’occidente e l’islam, bensì una battaglia fra il mondo civilizzato e un gruppo organizzato di terroristi. L’attuale presidente del Consiglio, l’on. Silvio BERLUSCONI, il ministro Rocco BUTTIGLIONE e il presidente della camera dei Deputati, l’on. Pier Ferdinando CASINI, provengono essi stessi dalle fila del Gruppo del PPE-DE di questa legislatura. L’Italia riconosce dunque il ruolo fondamentale che può e deve svolgere il Parlamento europeo nella scena internazionale in quanto portatore di pace. Riceviamo in tal senso importanti messaggi provenienti anche dal mondo musulmano e islamico,afferma l’on. TAJANI, cosa che ci fa ben sperare di vedere isolato il terrorismo. Gli autori degli attentati dell’11 settembre devono essere identificati e puniti. Nella lotta contro il terrorismo è necessaria una forte mobilitazione politica. Parallelamente all’intervento militare, si dovrebbero intraprendere azioni volte a favorire un maggior coordinamento delle forze di polizia, il rafforzamento dell’Europol, segnatamente tramite l’aumento dei fondi di bilancio, ma anche una maggiore collaborazione fra i servizi segreti internazionali, compresi quelli della Russia e della Cina, in quanto, ricorda l’on. TAJANI, la battaglia che stiamo combattendo è una battaglia per la civiltà. Sarà inoltre necessario un forte coinvolgimento a livello politico per disinnescare la Queste giornate di studi del Gruppo del PPE-DE saranno certamente un’occasione per arricchire il dibattito, con la presentazione di nuove proposte che permettano di far evolvere il nuovo contesto internazionale, profondamente modificato dagli eventi dell’11 settembre. Se i trattati di Roma hanno segnato una svolta nella storia dell’Europa, l’on. Antonio TAJANI spera che queste giornate di studio rappresentino egualmente un cambiamento di direzione, un 5 maggior coinvolgimento da parte del Gruppo del PPE-DE, del Parlamento europeo e delle istituzioni europee sulla strada della lotta contro il terrorismo con l’obiettivo di ristabilire la pace, non solo nell’UE, ma anche nel resto dell’Europa e in tutto il pianeta. L’on. Guido BODRATO osserva che il maggior contributo che l’UE possa apportare in questo momento alla lotta contro il terrorismo mondiale è il rilancio e il rafforzamento della strategia mediterranea dell’UE, conformemente al progetto di Barcellona, in quanto la ripresa economica e la lotta contro la povertà saranno l’arma più efficace contro il terrorismo. L’Europa deve quindi dar prova del fatto che nel Mediterraneo, punto d’incontro col mondo arabo, essa è disposta a promuovere le politiche di sviluppo e di sostegno al processo di democratizzazione, e quindi a lavorare concretamente per isolare il terrorismo. L’on. Guido BODRATO, ricorda che al momento di organizzare queste giornate di studio, i temi sollevati riguardavano il dopo-Nizza, con l’obiettivo di rilanciare il dibattito sulla costruzione europea e la moneta unica e le sue conseguenze non solo per il consumatore, ma anche per la politica economica e monetaria. Per quanto riguarda le riforme istituzionali, l’on. Guido BODRATO ricorda che il Gruppo del PPE-DE si appresta ad avviare il dibattito, in seno al PE, sul Libro bianco sulla governance. Ebbene, come sottolineato dal Presidente PRODI, governance e democrazia vanno di pari passo. L’on. Guido BODRATO insiste sul fatto che il problema delle riforme istituzionali dell’UE è essenzialmente un problema di democratizzazione e, in tal senso, il ruolo del Parlamento europeo è insostituibile. Il programma è stato sconvolto dall’attacco perpetrato nei confronti dell’America e da questa ignobile azione contro l’umanità. L’on. Guido BODRATO sottolinea l’immediata decisione presa dall’Unione europea di affiancare gli Stati Uniti nella lotta contro il terrorismo, preoccupandosi al contempo che quest’azione non diventi una guerra fra religioni. In tal senso, la posizione dell’Unione europea è stata molto chiara e responsabile. Per quanto concerne le nuove frontiere della genetica, l’on. Guido BODRATO sottolinea il fatto che anche per quanto riguarda questo tema il Gruppo del PPE-DE pone l’essere umano al centro delle sue riflessioni. L’argomento, estremamente delicato, chiama in causa problemi etici che, a loro volta, mettono in causa la libertà della scienza, della politica e dei valori fondamentali che abbiamo difeso adottando la carta dei diritti fondamentali. L’on. Guido BODRATO auspica che questo atteggiamento renda la lotta contro il terrorismo più efficace e permetta di evitare un’escalation di violenza. Egli ricorda che il primo trattato dell’UE è stato firmato a Roma e che è quindi con grande soddisfazione che si accoglie la decisione del Gruppo del PPE-DE di scegliere questa città per discutere ancora di costituzione europea. Se la politica dipende dalla responsabilità dei laici, deve però affondare le sue radici nella moralità e mantenere un approccio a misura d’uomo. E’ pertanto opportuno approfondire la nostra riflessione su tale argomento per definire un orientamento, una linea di condotta che permetta al PPE-DE di contribuire in modo determinante alla definizione della posizione dell’UE. Dal trattato di Roma, tutti i governi italiani hanno adottato una politica apertamente europeista. Inizialmente, gli europeisti convinti erano i membri stessi della maggioranza anche se non occupavano tutti i seggi in Parlamento. La strategia europea era difesa dalla politica centrista di De Gasperi e dagli alleati della Democrazia Cristiana. Oggi, si può dire che in Italia non vi sia più una forza politica ostile all’unità europea. Tuttavia, passare dalle parole ai fatti, anche per l’Italia, non è cosa facile. Per questo motivo è importante che, nell’ambito di queste giornate di studio, si approfondiscano i temi scelti nel programma. Per quanto riguarda la politica euromediterranea a cui ha accennato l’on. Guido BODRATO, il presidente H.-G. POETTERING ricorda che l’Ufficio di presidenza del PPE-DE, che ha recentemente tenuto una riunione, ha sostenuto la proposta da lui presentata nel corso dell’ultima riunione della Conferenza dei presidenti a Bruxelles, e segnatamente in merito all’iniziativa del Parlamento europeo di indire prossimamente un forum euromediterraneo. 6 7 GIORNATE DI STUDIO 24-27 SETTEMBRE 2001 ROMA da sinistra a destra: Guido BODRATO e Antonio TAJANI, capi della delegazione Italiana Hans-Gert POETTERING, Presidente del Gruppo del PPE-DE Klaus WELLE, Segretario Generale del Gruppo del PPE-DE Ilkka SUOMINEN, Vice Presidente del Gruppo del PPE-DE Rocco BUTTIGLIONE, Ministro per le Politiche comunitarie Michel BARNIER, Membro della Commissione europea e Carl BILDT, ex Primo Ministro Svedese. 8 TEMA I: L ' E UR O E L A P O L I T I C A E C O N O M I C A N E L L’ U E LUNEDÌ 24 SETTEMBRE 2001 Michel BARNIER, Commissario per la politica regionale e le riforme istituzionali, affronta con maggior dettaglio la politica di coesione e di crescita nell’UE. Michel BARNIER ritiene che questo sarebbe un errore. Egli prende come esempio i paesi candidati: taluni riusciranno a rispettare i criteri di Maastricht tra breve, se già non lo fanno. Questa convergenza nominale significa che possono fare a meno dello strumento di politica monetaria? Niente affatto, visto che le loro strutture economiche non potranno colmare il divario che separa i Quindici nell’arco di due generazioni. E noi, siamo in grado di integrarli in un sol colpo nella nostra politica monetaria prima di aver visto consolidate le loro strutture economiche o amministrative? Michel BARNIER non crede che sia nell’interesse reciproco e dell’Unione dei 15 e dei paesi candidati che questi ultimi si precipitino nell’euro. Inoltre, occorrerà prevedere un trattamento equo per gli attuali Stati dell’UE che beneficiano della politica di coesione e che sono già qualificati per l’euro, così come per i futuri Stati membri. A meno di 100 giorni dall’arrivo dell’euro nelle tasche dei consumatori, Michel BARNIER ricorda la crescente inquietudine avvertita nei confronti dei questo profondo mutamento. Nella sua veste di commissario europeo, sicuro che i vantaggi dell’euro saranno di gran lunga maggiori dei suoi punti deboli, egli auspica di poter condividere questa convinzione in un momento in cui molti dei fautori dell’euro sono alquanto tentati di rimanere in silenzio, se non addirittura pronti ad aggiungersi al coro di detrattori, invece di osare intraprendere un’opera di delucidazione. Michel BARNIER lancia quindi un appello al volontariato politico, poiché il passaggio all’euro, afferma, resta un atto politico che indica la volontà degli Stati europei di essere più forti, mettendo in comune la loro sovranità monetaria. Ne raccoglieremo presto i frutti, che si tratti della protezione delle nostre economie contro la fluttuazione dell’economia mondiale, o dello sviluppo degli scambi commerciali. Se la convergenza nominale (disavanzo, inflazione, debito pubblico) non erode la convergenza reale, quali sono gli strumenti più adatti a questo bisogno di solidarietà? Alcuni ipotizzano nuovi strumenti, quali un fondo d’intervento congiunturale qualora una crisi economica dovesse colpire un dato paese, oppure l’accensione di un mutuo consistente per realizzare le grandi infrastrutture europee. A parte questo appello, Michel BARNIER evoca due questioni sull’euro, considerato dal punto di vista della politica di coesione e della riforma delle istituzioni. Per Michel BARNIER, non vi è nessuna ragione per non fare della politica strutturale una delle principali basi del lavoro di organizzazione della convergenza e della solidarietà di cui l’euro ha bisogno, anche se ciò comporterà un’estensione della stessa. Una zona integrata dal punto di vista monetario può assumersi il rischio di essere meno solidale ? Taluni cedono alla tentazione di pensare che gli Stati che sono riusciti a entrare nella moneta unica non debbano più beneficiare della solidarietà europea e soprattutto che per questa ragione debbano essere automaticamente esclusi dai fondi di coesione. Non è un caso se la politica di coesione è stata fortemente rafforzata in due storiche occasioni: nel 1988, per aiutare le regioni meno sviluppate con 9 opere di ristrutturazione industriale e agricola volte a rendere i paesi più idonei ad affrontare le sfide del Mercato interno e, nel 1993, per sostenere le stesse regioni ad integrarsi appieno nell’UEM. Ora, da questo punto di vista, la politica di coesione europea non ha cambiato la situazione nell’industria: gli aiuti di Stato nazionali sono tre volte maggiori in Lussemburgo, Finlandia e Belgio rispetto alla loro entità in Portogallo e in Grecia. Con questo sostegno, i tre Stati meno prosperi (Spagna, Grecia e Portogallo) hanno potuto integrarsi nell’euro, riducendo contemporaneamente di 10 punti lo scarto esistente fra il loro reddito pro capite e la media comunitaria, benché il PIL pro capite (79%) rimanga 20 punti al di sotto della media. L’euro impone mutamenti a livello istituzionale ? Michel BARNIER ricorda che l’essenziale degli strumenti necessari al buon funzionamento dell’UEM è già in essere: l’indipendenza della BCE, il Patto di stabilità e di crescita e la creazione dell’eurogruppo. Aderendo all’euro, tutti gli Stati dell’UEM hanno un interesse ancora maggiore a consolidare la convergenza reale dei più deboli. La questione del sostegno ai nuovi membri non ci dispensa dall’accompagnare la convergenza reale delle economie che non hanno completato la fase di recupero (per esempio, la Grecia e il Portogallo). Eppure, per Michel BARNIER, sarà il ricorso a questi strumenti che dovrà risvegliare la nostra attenzione. Da ormai quasi tre anni, la Commissione, la BCE e l’Ecofin stanno cercando, sotto l’occhio vigile del PE, di raggiungere un certo equilibrio. Gran parte delle difficoltà risiede nella confusione frequente fra gli obiettivi e i mezzi di ciascuna di queste tre istituzioni: Questa solidarietà deve fondarsi su criteri obiettivi; il PIL pro capite rimane il più obiettivo di tali criteri. • la Commissione non contempla fra le sue priorità la formulazione di diagnosi economiche; questo è infatti solo un mezzo che le consente di esercitare le sue funzioni e incitare alla buona coerenza e al coordinamento degli strumenti delle politiche economiche e di bilancio degli Stati membri; Questa solidarietà dell’UEM può giustificare il rafforzamento della condizionalità macroeconomica dei fondi strutturali, vale a dire il rafforzamento delle condizioni di politica economica che i paesi beneficiari di questi fondi devono rispettare. In modo più generale, si potrebbe esaminare il legame fra la politica di coesione e quella fiscale nei paesi che ne beneficiano. Lo studio commissionato dall’Ecofin sulla fiscalità delle imprese, in fase d’esame presso la Commissione, potrà fornire nuovi spunti di riflessione. Tuttavia, senza aspettare il risultato dello studio, Michel BARNIER mette in guardia contro la tentazione di affidarsi unicamente alla concorrenza fiscale, che l’euro renderà più viva, per assicurare un minimo di convergenza in questo settore. Occorre una dose di concorrenza fiscale, ma questa deve fermarsi laddove cominciano le pratiche sleali. • per quanto concerne la BCE, neanche per questa l’indipendenza è la sua ragion d’essere, bensì la modalità conferitale per condurre una politica monetaria che favorisca la stabilità e quindi l’attività economica; • l’Econfin, infine, non è stato istituito per proteggere il carattere sovrano del bilancio di ogni Stato, ma per definire insieme i migliori dosaggi capaci di assicurare al contempo la coerenza delle politiche finanziarie nazionali, nonché la loro compatibilità con la politica monetaria comune. Per concludere, Michel BARNIER propone tre osservazioni sulle seguenti questioni istituzionali: Michel BARNIER evoca quindi la tentazione, nel contesto dell’ampliamento, di limitare la solidarietà comunitaria, se non addirittura di rinazionalizzarla. • si rammarica della tenacità constatata a Nizza nel voler gestire talune politiche fiscali con il sistema della maggioranza qualificata; Al di là di una data concezione dell’interesse comunitario, di una certa idea di Europa, tale rinazionalizzazione comporterebbe anche dei rischi per il buon funzionamento del mercato interno. Essa infatti sarebbe affiancata da una maggior rivendicazione di libertà in materia di aiuti di Stato. • ritiene che la zona euro dovrebbe essere rappresentata in quanto tale sulla scena internazionale e che questa missione andrebbe affidata a uno dei vicepresidenti della Commissione, che nello 10 GIORNATE DI STUDIO 24-27 SETTEMBRE 2001 ROMA svolgimento della sua missione dovrebbe poter godere della totale fiducia e collaborazione da parte dei ministri delle Finanze; considerazioni sulla necessità di limitare la volatilità dei mercati finanziari e di ridurre la speculazione. A tal fine, la Commissione è stata incaricata di analizzare i vantaggi e gli svantaggi dell’eventuale istituzione di una tassa sulle transazioni finanziarie, compresa la Tobin tax. Giulio TREMONTI precisa, inoltre, di aver richiesto che la Commissione, oltre a stilare una relazione, effettuasse anche uno studio sulle alternative alla Tobin tax volte ad ottenere gli stessi risultati. • ritiene necessario continuare a richiedere la consulenza del PE e dei Parlamenti nazionali man mano che viene a consolidarsi la sovranità monetaria. Giulio TREMONTI fa un resoconto della riunione informale del Consiglio “Ecofin” del 21 settembre. Il dibattito ha toccato essenzialmente tre punti: “La Tobin tax, - ha affermato - è una tassa giacobina. Lo strumento che vorremmo è cristiano”. La Tobin tax, in effetti, è concepita come una macchina fiscale internazionale destinata a funzionare sui mercati finanziari. Eppure, rimangono ancora da definire sia l’istanza deputata a dirigere tale macchina, sia le finalità a cui essa dovrebbe mirare. Secondo Giulio TREMONTI, è possibile sostituire questa proposta con il suo esatto contrario : una non-tassa, una “de-tax” che dovrebbe funzionare come segue: • il rapporto fra i concetti di stabilità e di crescita; • la capacita di reazione dell’Europa davanti agli choc esogeni; • la capacità della TOBIN tax di rispondere agli abusi della mondializzazione. Nel quadro dell’ultimo Consiglio “Ecofin”, il rapporto fra stabilità e crescita è stato per la prima volta trattato in modo formale. Sappiamo, ricorda Giulio TREMONTI, che ci può essere crescita senza stabilità; ma il punto ancora senza risposta è se ci possa essere stabilità senza crescita. 1. tutti coloro che, sul mercato, vendono beni o servizi (commercianti, supermercati, ecc.) possono avere la libertà di sviluppare o aderire a iniziative etiche, private o pubbliche (lotta contro la fame e le malattie, aiuti allo sviluppo, ecc.); Il governo italiano ha confermato il suo forte impegno nel voler proseguire, senza deroghe, sulla strada dell’integrazione economica europea. 2. all’occorrenza, essi possono proporre ai loro clienti uno sconto dell’1% sul prezzo di beni o servizi offerti; Rispetto al passato, esso ha anche posto maggior attenzione sul concetto di crescita. In opposizione al concetto neokeinesiano di spesa pubblica volta a stimolare la crescita, si comincia a porre l’accento sulla crescita in quanto strumento di stabilità. Se gli strumenti e le tecniche sono ancora da definire, Giulio TREMONTI, ha constatato per la prima volta un maggior interesse a favore dell’idea di crescita. 3. sempre che il cliente intenda trasformare tale sconto in offerta, aderendo all’una o all’altra delle iniziative benevole a cui il venditore ha deciso di partecipare; 4. da parte sua, lo Stato rinuncia a tassare lo scontoofferta così strutturato e si riserva di svolgere unicamente una funzione residua di controllo antifrode. Per quanto concerne la capacità da parte dell’Europa di reagire agli choc esogeni, Giulio TREMONTI pone l’accento sul fatto che l’ordinamento giuridico europeo non prevede misure d’urgenza. A suo avviso, sarebbe opportuno istituire un decreto legge europeo per affrontare con maggior flessibilità le situazioni d’emergenza. “La de-tax” è quindi l’esatto contrario della Tobin tax. Non è una tassa, è una “non tassa”. Tanto la Tobin è autocratica, quanto la de-tax è democratica, in quanto il suo campo d’applicazione non si limita al mercato finanziario, ma è esteso a tutti i settori del consumo, perché non viene riscossa e amministrata da un’istanza, ma autogestita da un pubblico potenzialmente illimitato di soggetti privati. La discussione nell’ambito della riunione Ecofin è stata imperniata essenzialmente sulla mondializzazione, su suoi effetti positivi o negativi e sul modo in cui si può gestire il problema a livello politico. Sono state anche formulate 11 Per concludere, Giulio TREMONTI ritiene necessario avviare una riflessione sul carattere morale dell’economia e sul fatto che il peso finanziario dell’Europa non deve più essere soltanto economico, ma anche etico. soltanto quegli aiuti che non sono compatibili con la filosofia dei trattati. Sulla ristrutturazione dei mercati delle compagnie aeree, l’on. HARBOUR evidenzia che molti vettori economici hanno già apportato innovamenti nel settore e che molti di loro hanno già effettuato enormi investimenti. Saranno svantaggiati rispetto ai previsti beneficiari degli aiuti di Stato? Egli spera che l’Ecofin abbia effettivamente l’intento di favorire la ristrutturazione del mercato delle compagnie aeree, segnatamente riconsiderando gli aiuti di Stato e il ruolo svolto dalle compagnie nazionali. Egli suggerisce inoltre che forse sarebbe opportuno stimolare fusioni transnazionali. Nell’ambito del dibattito, l’on. Ursula STENZEL pone l’accento sulla Tobin tax, la quale ha riscosso un successo tale che lo stesso Tobin non si riconosce più fra i sostenitori di questa idea originale. L’on. STENZEL ricorda che se Tobin si riconosce nella globalizzazione, che considera l’unico mezzo per far progredire l’economia mondiale e per aiutare le zone più deboli economicamente, egli non ha, in effetti, mai creduto che l’imposta di sua concezione potesse trovare un’applicazione reale. Per quanto concerne la tassa volontaria “de-tax”, l’on STENZEL chiede a Giulio TREMONTI quali saranno i mezzi per far arrivare questi fondi alle regioni più povere del mondo senza ricorrere a meccanismi d’orientamento. Sempre sul tema degli aiuti di Stato alle compagnie aeree, l’on. MAIJ-WEGGEN ricorda che durante la crisi del Kuwait, abbiamo dovuto affrontare la stessa situazione e che in quel caso gli Stati membri, con l’avallo della Commissione, hanno concesso un certo numero di sovvenzioni dirette. Per quanto concerne il patto di stabilità, l’on. Renato BRUNETTA rileva che, dopo quanto affermato da Giulio TREMONTI, sarebbe opportuno pensare fin da ora a quello che succederà dopo il 2003 e questo per rafforzare e completare il processo, non solo in ragione degli choc esogeni, ma anche in ragione degli choc endogeni (come l’invecchiamento della popolazione e il deficit delle pensioni). Per quanto concerne la “de-tax” proposta da Giulio TREMONTI, egli ritiene che essa sia da inserire piuttosto nella categoria delle donazioni, anche se ha un aspetto organizzato e viene resa più sistematica. L’on. G. ANDRIA riprende l’idea dell’alternativa alla Tobin tax suggerita da Giulio TREMONTI. La solidarietà dev’essere stimolata, sostiene, ma quando si è voluto farlo in Italia per sviluppare il Mezzogiorno, sono emersi ostacoli insormontabili. Si era infatti previsto un sistema di tassazioni differenziate a vantaggio delle regioni meridionali. L’on. Theresa VILLIERS lancia quindi un appello in favore delle compagnie aeree che affrontano serie difficoltà in questo periodo di attacchi terroristici. Piuttosto che concedere sovvenzioni, ella suggerisce di applicare loro degli sgravi fiscali. Questo scenario, che trova particolarmente interessante, potrebbe rappresentare una strategia parallela alla globalizzazione e dovrebbe essere oggetto di un’organizzazione efficace. Per rispondere alle domande poste e alle osservazioni formulate, Giulio TREMONTI affronta i seguenti punti: L’on. J. SALAFRANCA riprende il tema del decreto legge suggerito da Giulio TREMONTI per affrontare le situazioni di crisi: questi decreti legge, chiede, dovrebbero essere convalidati dal Parlamento europeo, come avviene negli Stati membri, oppure riguarderebbero semplicemente i capi di Stato o di governo, o ancora i ministri delle Finanze? • per quanto concerne la Tobin tax, egli conferma che effettivamente Tobin respinge la paternità politica di questa ipotesi, divenuta oggi quella di una tassa universale. Nel quadro dell’Ecofin, egli propone che i governi che difendevano la tassa Tobin gli conferiscano l’incarico di presidente della commissione di studio, ma l’idea non riscuote consensi. Secondo Giulio TREMONTI, l’importante non è tuttavia sapere se il padre riconosce la sua creatura, né se bisogna criticare la tassa Tobin, ma di trovare una risposta etica alla globalizzazione. Escludere dalle imposte una parte dei consumi può essere una risposta, ma bisognerà allora adottare Per quanto riguarda le compagnie aeree, per riprendere l’esempio fatto da Giulio TREMONTI, gli aiuti di Stato, come previsti dal trattato, non sono forse sufficienti? chiede Salafranca. Egli ricorda a tal proposito che gli aiuti di Stato non sono, a priori, esclusi dal trattato. Sono esclusi 12 GIORNATE DI STUDIO 24-27 SETTEMBRE 2001 ROMA una strategia, anche se per l’essenziale ciò rimarrà un fatto puramente privato; strutturali a lungo termine: il primo dicembre 2001 l’euro diventerà una realtà, comportando difficoltà per tutti i cittadini. Tuttavia, l’euro deve essere un successo e ha tutti i requisiti per esserlo. • riguardo al decreto legge, Giulio TREMONTI ricorda che a suo avviso, nel momento in cui si costruirà l’architettura politica europea, sarà opportuno prevedere misure d’urgenza a livello europeo. Ebbene, non vi sono ancora risposte alla domanda sulla forma che tali misure dovrebbero assumere; Solo fra due o tre anni si potranno giudicare le prestazioni dell’euro e degli Stati membri partecipanti. L’euro avrà anche delle conseguenze per gli Stati membri che non sono nella moneta unica, come la Danimarca o il Regno Unito, o la Svezia. Il fatto di essere al di fuori della stabilità indotta dall’euro ha già avuto un impatto negativo sulla corona svedese (SEK), la quale si è svalutata notevolmente in questi ultimi mesi. • in merito alla situazione delle compagnie aeree, Giulio TREMONTI spiega di aver fatto l’esempio per illustrare una riflessione sul metodo. Conferma che la dialettica prevista nel trattato per gli aiuti di Stato funziona molto bene, ma secondo lui si tratta di un problema di tempi. Il tempo necessario per verificare se gli aiuti di Stato possono essere accettati dalla Commissione è troppo lungo (dai 2 ai 3 mesi) e con un po’ di buona volontà si può ridurre questo tempo d’attesa, ma in realtà bisognerebbe poter reagire in 3 o 4 giorni. Da ciò scaturisce l’utilità di una norma giuridica equivalente a un decreto legge europeo che acceleri il processo decisionale. Carl BILDT pone l’accento sullo sviluppo di nuove tecnologie. In alcune economie, si assiste a una crescita della produttività in seguito all’introduzione, negli anni ’90, di nuove tecnologie. Tuttavia, si è trattato essenzialmente di un fenomeno americano. Si può affermare, a proposito dell’economia americana, che i mutamenti sono stati essenzialmente strutturali, piuttosto che ciclici; in Europa è successo il contrario, il che avrà delle ripercussioni importanti su ciò che succederà dopo la crisi, sia essa di lunga o breve durata. Carl BILDT, ex primo ministro svedese, ritorna sulla questione della Tobin tax, definendola una cattiva idea; a suo avviso questa è una tassa sulle infrazioni, ma anche sugli scambi. Ora, se vi è una cosa di cui abbiamo realmente bisogno oggi, è proprio di misure che riportino la fiducia degli attori economici in Europa, negli Stati Uniti, in Giappone e in tutto il mondo, e non di questo genere di provvedimenti. Dopo ogni recessione, si assiste ad una ripresa che, ricorda Carl BILDT, viene tuttavia decisa dalla forma e dallo stato dell’economia. Considerate le prestazioni dell’economia europea in questi ultimi anni, le prospettive di ripresa non sono buone. Carl BILDT suggerisce di rilanciare il processo di Barcellona avviato nel marzo 2000, il cui obiettivo era la creazione, in 10 anni, di un’economia europea basata sulla conoscenza. Un certo numero di cose sono state già fatte, ma non sono sufficienti e occorrerà accordare una particolare attenzione alla 2a riunione indetta per dare un seguito alla conferenza, che si svolgerà a Barcellona. Prevedere nuove tasse sulle transazioni commerciali è quindi, a suo avviso, l’opposto di ciò di cui abbiamo bisogno in questo momento storico. Carl BILDT afferma, inoltre, in questo momento caratterizzato da incertezza e instabilità i maggiori soggetti, quelli che attirano l’attenzione degli elettori, dei media e del pubblico, si interessano soprattutto delle questioni di sicurezza. Le conseguenze di ciò sono già evidenti sui mercati finanziari, che sono molto nervosi, e resteranno tali ancora per qualche tempo. Il rischio di recessione economica mondiale domina il dibattito sulla politica economica: che politica monetaria e fiscale condurre e come risolvere i problemi a breve termine, come quelli che vivono attualmente le compagnie aeree? Poiché, prosegue Carl BILDT, nel prossimo mese di marzo conosceremo molto meglio le prospettive dell’economia mondiale, sapremo se l’attuale crisi sarà di breve durata, oppure se questa congiuntura durerà più a lungo e se l’economia americana potrà o no ripartire rapidamente. Egli teme che gli europei diano l’impressione di non essere in grado di trovare risposte adeguate ai problemi strutturali. Gli operatori rischieranno quindi di perdere fiducia nell’economia europea e questo avrà delle ripercussioni sull’euro. Secondo Carl BILDT, anche nei periodi come quello attuale, non si possono perdere di vista i problemi 13 Cosa si deve fare per affrontare al più presto la crisi? Vi sono, secondo Carl BILDT, tre fattori da considerare per valutare il futuro potenziale di una regione, di un paese o di un continente: stabilità, quanto nella sua flessibilità e nelle sue capacità di adattamento e innovazione. Dobbiamo adoperarci affinché l’euro sia un successo, ma senza riforme strutturali, conclude, questo successo potrebbe non verificarsi. • il primo fattore riguarda la larghezza delle bande: abbiamo vissuto la prima fase della rivoluzione di Internet. La seconda fase sarà molto più profonda e rischiamo di limitare il nostro potenziale se non facciamo nulla in tal senso; Enrico LETTA, ex ministro dell’Industria, affronta in particolare il tema dell’integrazione europea dopo l’introduzione dell’euro. Egli pone l’accento sulla necessità di completare il disegno dell’UEM: occorre realizzare una vera unione economica che affianchi l’unione monetaria. Il varo effettivo dell’euro ha rafforzato ulteriormente l’asimmetria tra lo sviluppo della parte monetaria del trattato di Maastricht e la debolezza dell’unificazione delle politiche economiche. • un altro fattore cruciale è il margine di manovra delle imprese: la misura del livello di flessibilità, elasticità e capacità di mutamento di un’economia. A tal proposito, in Europa siamo già molto in ritardo; • l’istruzione: il numero di giovani che si iscrivono all’università sarà un altro fattore molto importante. Enrico LETTA sottolinea inoltre il paradosso del Patto di stabilità: il patto cerca di ovviare alla mancanza di un governo federale per sostenere la nuova moneta unica. Il patto di stabilità e di crescita è il solo strumento a nostra disposizione per garantire la credibilità dell’euro. Tuttavia, esso può assicurare questa garanzia di credibilità solamente se la sua interpretazione è rigorosa. Da ciò nasce il paradosso che viviamo in queste ultime settimane: per fungere da sostituto credibile di una politica economica federale, esso va applicato in modo più rigoroso di quanto potrebbe essere fatto da un governo federale, anche se ci troviamo in un momento in cui occorrerebbero invece maggiore flessibilità e dinamicità. Se si esamina la situazione dell’Europa in merito a questi tre fattori, la risposta non è particolarmente positiva. A livello mondiale, per quanto concerne i paesi che danno la garanzia di un clima che sia favorevole alle imprese, al primo posto si trova il Brasile, seguito da alcuni paesi asiatici, dagli Stati Uniti e dall’Australia. Si devono scorrere parecchie posizioni nella lista prima di trovare un paese europeo. Secondo l’OCSE, per creare un’impresa in Europa occorre un tempo dodici volte superiore a quello necessario sull’altra sponda dell’Atlantico. Secondo Enrico LETTA, l’attuale situazione andrebbe affrontata nei tre modi che seguono: Per quanto concerne l’istruzione, l’Europa se la cava abbastanza bene. Disponiamo, afferma Carl BILDT, di un buon sistema di istruzione primaria, quello della secondaria potrebbe essere migliorato e riguardo alle università, per quanto la qualità possa essere migliorata, si possono contare due università europee nella rosa delle dieci università più prestigiose del mondo. 1. il successo dell’euro costituisce un obiettivo prioritario. A tal fine, è necessario ribadire con forza l’applicazione rigorosa del patto di stabilità e di crescita. In questo periodo di pre-recessione, i suoi risultati saranno ancor più decisivi per la sua credibilità, poiché negli ultimi tre anni l’applicazione severa dello stesso è stata facilitata dai tassi di crescita e dal buono stato di salute dell’economia europea; Secondo Carl BILDT, in periodo di crisi e di diminuzione della fiducia, occorre chiedere ai politici di concentrarsi maggiormente sui problemi strutturali a lungo termine: poiché, afferma, se commettiamo degli errori nell’ambito del processo di Barcellona rischiamo, tra 2 o 3 anni, di trovarci di fronte a problemi legati al valore dell’euro. 2. la BCE, di comune accordo con le autorità americane, deve agire con determinazione nel supportare i mercati e deve essere in grado di sostenere la crescita; Il valore di una moneta riflette infatti la forza di una data economia. Attualmente la forza dell’economia, ricorda Carl BILDT, non risiede tanto nella sua 3. le riforme, necessarie per completare l’Unione economica, devono essere accelerate tramite l’armonizzazione fiscale, il rilancio delle strategie 14 GIORNATE DI STUDIO 24-27 SETTEMBRE 2001 ROMA di Lussemburgo sull’occupazione e di quelle di Lisbona sulla protezione sociale, la liberalizzazione dei servizi pubblici, la creazione di un mercato europeo dell’energia e delle telecomunicazioni e la riforma delle politiche di coesione economica e sociale affinché vadano di pari passo con il dibattito sull’ampliamento. anche nella nostra incapacità di fornire una risposta seria al problema della crescita. Secondo Carlo SECCHI, gli avvenimenti dell’11 settembre, esempio lampante di choc esogeno per l’UE, non devono costituire un motivo valido per rimettere in discussione il patto di stabilità. Uno choc esogeno di tale portata non deve costituire un motivo per andare in deroga al patto di stabilità. Viceversa, afferma, occorrono istituzioni molto più forti di quelle attuali. Si deve essere in grado di adottare a livello europeo l’equivalente dei decreti legge nazionali. Il raggiungimento di questi obiettivi è legato al successo delle riforme istituzionali europee. Enrico LETTA si aspetta che il prossimo Consiglio europeo di Laeken orienti la fase preparatoria della prossima CIG (prevista per il 2003) approvando un ordine del giorno più nutrito; egli auspica inoltre che si applichi il metodo della Convenzione affinché non si ripeta l’esperienza di Amsterdam e Nizza. La prossima CIG rappresenterà infatti un’opportunità decisiva affinché l’integrazione europea affronti con successo le difficili scelte che la attendono. Prima dell’11 settembre, l’Europa si è già trovata di fronte a un rallentamento congiunturale. Secondo Carlo SECCHI, sarebbe già stato necessario cercare dei rimedi per rilanciare la crescita economica, privilegiando fattori di crescita endogeni per non rendere l’Europa dipendente da altre regioni economiche. Carlo SECCHI, Rettore dell’Università Bocconi, affronta in particolare il tema della politica economica dell’UE. Egli pone l’accento soprattutto sul rallentamento che il processo di costruzione della politica monetaria comune e la moneta unica hanno subito negli ultimi due o tre anni, in particolare dopo le elezioni in Germania.Tre anni fa, rammenta, al momento in cui venivano prese le ultime decisioni relative in preparazione del 1° gennaio 1999, uno dei temi fondamentali riguardava proprio la questione non monetaria dell’economia accantonata dal trattato di Maastricht. Perché la maggior parte dei membri del Consiglio europeo si mostra insoddisfatta dell’applicazione del patto di stabilità? La risposta è evidente. Secondo Carlo SECCHI, il rigore fiscale comporta minori possibilità di ricorso alle spese pubbliche. Ebbene, a livello internazionale la concorrenza impone, anche per l’Europa, una riduzione della pressione fiscale e dunque della spesa pubblica. Carlo SECCHI pone l’accento sulla necessità di una vera e propria riforma economica interna e solleva il problema delle istituzioni e della governance dell’economia europea. Senza di essa, afferma, saremmo alla mercé di altri eventi esterni che egli si augura saranno meno tragici di quelli dell’11 settembre. Carlo SECCHI ritiene che non sia giusto affidare alla BCE questa responsabilità, in quanto derivata dalla mancata volontà di istituire un sistema economico coerente nell’ambito di una politica monetaria comune con una moneta unica. Secondo lui, la BCE, così fragile a livello politico, non può farsi carico della soluzione di questioni così importanti come la crescita o la politica congiunturale. Occorre che i governi assolvano ai loro compiti, afferma. In questo contesto, egli richiama l’attenzione sulla posizione assunta a suo tempo dal gruppo preposto al coordinamento fiscale: “Eravamo convinti, ricorda, che fosse necessario attuare forme di coordinamento, poiché un’armonizzazione troppo rigida presentava, a nostro parere, più rischi che vantaggi”. Speravamo di ottenere una buona miscela di concorrenza fiscale e coordinamento in quegli ambiti in cui l’eccesso di concorrenza poteva causare più danni che benefici. Il Gruppo del PPE-DE deve insistere sul fatto che l’Europa si trova ad affrontare gravi rischi, in considerazione del fatto che l’”edificio” che è la sua struttura di politica monetaria è completato solo in parte. Questi rischi sono evidenti, alla luce di quanto avvenuto l’11 settembre. Non siamo in grado di approntare misure di emergenza per affrontare situazioni di crisi di questo genere e il rischio risiede Per quanto riguarda la “de-tax” proposta da G. TREMONTI, Carlo SECCHI ritiene che l’idea di un trasferimento di risorse che enfatizzi la sussidiarietà sia ottima e coerente con i principi di base, nonché con lo spirito del Gruppo del PPE-DE 15 e che meriti pertanto la nostra attenzione. D’altronde, per quanto riguarda la Tobin tax, Carlo SECCHI ritiene indispensabile avere idee chiare e cartesiane; l’idea di creare un’imposta sui flussi monetari internazionali non ha molto senso e, a suo avviso, non è applicabile. riflessione. Per la prima volta, la BCE ha agito velocemente, dando una risposta immediata a un bisogno immediato. Ce ne dobbiamo rallegrare. Per rispondere alla questione sollevata dall’on. T. MANN, E. LETTA afferma di ritenere che non sarebbe saggio anticipare la data del passaggio di consegne del governatore della BCE nel momento in cui si passa all’euro, momento in cui si dovrà interpretare il patto di stabilità in maniera rigorosa e garantire la stabilità delle istituzioni. Nell’ambito del dibattito, l’on. R. BRUNETTA solleva la questione della sovranità degli Stati membri dell’UE a livello politico. Egli rammenta che lo strumento fiscale, relativo alla spesa pubblica e alle finanze pubbliche degli Stati membri attualmente rappresenta, per tutti i paesi europei, il 45-47% del PIL. In confronto, le finanze pubbliche, ovvero la capacità di bilancio del Presidente della Commissione, rappresentano poco più dell’1% del PIL europeo. Ebbene, per creare una reale politica economica, occorre disporre di risorse finanziarie sufficienti che consentano una buona ridistribuzione e la gestione della crescita, nonché degli choc più o meno esogeni. Occorre pertanto che gli Stati membri mostrino la volontà politica di cedere un po’ di più delle loro risorse e della loro sovranità, al fine di istituire una vera e propria politica economica che consenta una ridistribuzione mirata a una politica di sviluppo, ma anche di solidarietà. Poiché, afferma, fintanto che disponiamo di un bilancio pari all’1,2% del PNL, destinato solo per metà alla ridistribuzione, ossia lo 0,5% del PIL europeo, non possiamo condurre la politica europea che desideriamo. Secondo Carlo SECCHI, si devono inoltre mantenere i criteri del patto di stabilità, anche in questo periodo congiunturale negativo che compromette il gettito fiscale. Occorre mantenere gli impegni assunti nella strada delle riforme che influenzano le spese. Per quanto concerne Duisenberg, la questione della sua sostituzione non è per l’Italia un fattore di discussione prioritario. L’on. HARBOUR interviene per discutere della mancanza di flessibilità mostrata dall’economia europea. L’on. U. STENZEL si fa portavoce della preoccupazione dei suoi concittadini in merito alla stabilità dell’euro e, pertanto, al loro potere d’acquisto e denuncia la posizione dei governi socialisti francese e tedesco che prevedono di rendere più flessibili i criteri di Maastricht e segnatamente quello relativo all’indebitamento. L’on. T. MANN, a sua volta, pone l’accento sul patto di stabilità e di crescita che, a suo parere, non deve essere assolutamente rimesso in causa. Egli rammenta che, in seno al Parlamento europeo, il patto era stato oggetto di un acceso dibattito con il gruppo socialista, che intendeva fissare un tetto massimo d’inflazione più elevato. Secondo l’on. T. MANN, si deve continuare a difendere il mantenimento dei criteri di Maastricht. Egli vorrebbe conoscere, inoltre, la posizione italiana nei confronti delle perplessità sollevate da tre Stati membri riguardo a Duisemberg. In risposta, C. BILDT ricorda che, a suo parere, la Tobin tax non è la cosa giusta al momento giusto. A suo avviso, la velocità della ripresa americana rispetto a quella europea dipenderà dalle riforme strutturali che l’Europa adotterà e dalla volontà di ripresa delle varie economie, il che determinerà la relazione tra il dollaro e l’euro e pertanto la posizione dell’elettorato nei confronti della moneta unica. Tuttavia, un reale bilancio sull’euro non si potrà fare che tra due o tre anni. Per quanto riguarda la stabilità dell’euro, Carlo SECCHI ricorda che è la possibilità di rendere più flessibile il rigore fiscale a mettere in pericolo la stabilità interna. L’euro è riuscito a contenere i suoi effetti sull’inflazione internazionale, poiché essendo la zona euro più chiusa rispetto a ciascun paese considerato singolarmente, l’impatto dell’inflazione importata è avvertito in misura minore. E. LETTA si dichiara d’accordo con l’on. R. BRUNETTA sul fatto che si tratti fondamentalmente di un problema di cessione della propria sovranità e di risorse finanziare, poiché è evidente che l’azione europea è limitata, avendo un bilancio comunitario con un margine di manovra così esiguo. Detto ciò e in considerazione delle scadenze elettorali, egli si mostra scettico in merito alla volontà degli Stati membri. A suo parere, gli avvenimenti della settimana scorsa hanno apportato un interessante elemento di Secondo E. LETTA, l’euro solleva due questioni delicate: innanzitutto, il rischio inflazionistico, in 16 GIORNATE DI STUDIO 24-27 SETTEMBRE 2001 ROMA quanto si ha la tendenza ad arrotondare i prezzi per eccesso; a questo proposito, si dovrà tenere gli occhi ben aperti. Per quanto concerne l’economia europea, è opportuno che vi siano maggiore elasticità e flessibilità. Ad esempio, si dovrebbe favorire la creazione di imprese. Per quanto riguarda la pressione fiscale, egli insiste affinché l’eliminazione delle differenze tra gli Stati membri divenga uno dei temi chiave. nuovo indebitamento. Occorre proseguire su questa strada. La flessibilità del patto è sottovalutata: l’on. K. von WOGAU ricorda che esso prevede espressamente delle eccezioni in caso di recessione. Occorre ricordare, inoltre, che il patto di stabilità stimola, in periodi favorevoli, a effettuare previsioni per i periodi meno propizi. Pertanto, gli Stati membri che hanno predisposto quanto necessario per svolgere il loro compito in maniera corretta dispongono oggi di un ulteriore margine di manovra per condurre politiche congiunturali. L’on. K. von WOGAU trae le conclusioni del dibattito. A suo parere, dalle discussioni tenutesi in data odierna emerge la netta impressione che dall’11 settembre niente sia più come prima. Secondo l’on. K. von WOGAU, si rende quindi necessaria una discussione sul patto di stabilità, che non dobbiamo abbandonare, in quanto l’euro è l’unica moneta al mondo garantita da una Banca centrale indipendente e da un tale patto di stabilità. Se si è potuto constatare che a seguito di quegli accadimenti le nostre istituzioni hanno saputo reagire in modo corretto e affrontare la situazione, si deve anche sottolineare che il mantenimento della libertà, della democrazia e della prosperità impone un impegno costante. L’on. K. von WOGAU si dichiara inoltre contrario alla Tobin tax, poiché, se l’idea di creare degli intralci alle transazioni in valuta può sembrare allettante, nella pratica, è difficile distinguere le transazioni speculative dalle transazioni che consentono, ad esempio, la creazione d’impresa. La Tobin tax avrebbe dunque come conseguenza il rallentamento della crescita economica. Mancano ormai solo cento giorni all’introduzione dell’euro. L’on. K. von WOGAU stila un bilancio di ciò che è già stato modificato e di ciò che ancora si deve modificare in materia di politica economica europea. Attualmente, la stabilità della moneta e la concorrenza vengono decise a livello comunitario. Gli Stati membri decidono in merito alle imposte, ai sistemi di sicurezza sociale e alle questioni relative alla formazione e all’istruzione. Oggi, disponiamo di un mercato comune e di una moneta comune. Tuttavia, sono necessari anche principi comuni in materia di politica economica e di governance della politica economica. La BCE sta funzionando e in questi ultimi giorni ha saputo prendere le decisioni necessarie con flessibilità e rapidità. In un solo giorno, la BCE è riuscita a rendere disponibili varie migliaia di euro per far fronte alla situazione di panico e, d’accordo con gli Stati Uniti, ha quindi abbassato il tasso d’interesse, dando, così, un segnale estremamente forte. L’UEM non deve mirare solo a mercati liberi e aperti (a tale proposito, l’on. K. von WOGAU chiede che siano adottate le normative per l’eliminazione degli ostacoli ancora esistenti), ma deve anche favorire un’economia sociale di mercato. È il motivo per cui l’on. K. von WOGAU auspica che il Gruppo del PPE-DE riesca, in occasione della prossima CIG, a far inserire chiaramente la nozione di economia sociale di mercato nei trattati. Per quanto riguarda il patto di stabilità e di crescita, l’on. K. von WOGAU ricorda i principi basilari: il patto di stabilità raccomanda bilanci equilibrati; i paesi che hanno un indebitamento eccessivo dovrebbero avere eccedenze e non oltrepassare il 3% di nuovo indebitamento. Negli ultimi anni sono stati fatti progressi: l’on. K. von WOGAU ricorda, a tale proposito, i dibattiti antecedenti il 1999 relativi alla capacità di Italia e Germania di raggiungere un indebitamento inferiore al 3%. Oggi, questi due paesi registrano l’1,5% di 17 da sinistra a destra: Giulio TREMONTI, Ministro dell'Economia con Antonio TAJANI, capo della delegazione Italiana del Gruppo del PPE-DE 18 GIORNATE DI STUDIO 24-27 SETTEMBRE 2001 ROMA da sinistra a destra: Rocco BUTTIGLIONE, Ministro per le Politiche comunitarie Dana Rosemary SCALLON, eurodeputato 19 GIORNATE DI STUDIO 24-27 SETTEMBRE 2001 ROMA Giulio TREMONTI, da sinistra a destra: Boris BIANCHERI, Presidente dell'ISPIN Minstro dell'Economia e Francesco GIAVAZZI, Professore di Economia Politica presso l'Università Bocconi 20 da sinistra a destra: da sinistra a destra: Karl von WOGAU, coordinatore del Gruppo del PPE-DE presso Hans-Gert POETTERING, Presidente del Gruppo del PPE-DE e Carl BILD, ex Primo Ministro Svedese la Commissione Economica e monetaria e Enrico LETTA, ex Ministro dell'Industria 21 da sinistra a destra: Noëlle LENOIR, Presidente del Gruppo Etico Europeo di Scienze e nuove tecnologie Girolamo SIRCHIA, Ministro della Sanità Francesco FIORI, Vice Presidente del Gruppo del PPE-DE Hans-Gert POETTERING, Presidente del Gruppo del PPE-DE Martin KAMP, Consigliere del Gruppo del PPE-DE e Peter LIESE eurodeputato 22 GIORNATE DI STUDIO 24-27 SETTEMBRE 2001 ROMA da sinistra a destra: MENDEZ DE VIGO eurodeputato Rocco BUTTIGLIONE, Ministro per le Politiche comunitarie Hans-Gert POETTERING, Presidente del Gruppo del PPE-DE Klaus WELLE, Segretario Generale del Gruppo del PPE-DE e Wim VAN VELZEN, Vice presidente del Gruppo del PPE-DE 23 GIORNATE DI STUDIO 24-27 SETTEMBRE 2001 ROMA da sinistra a destra: Rocco BUTTIGLIONE, Ministro per le politiche comunitarie e Hans-Gert POETTERING, Presidente del Gruppo del PPE-DE 24 TEMA II: L E P R O S S I M E R I F O R M E I S T I T U Z I O N A L I D E L L’ U E MARTEDÌ 25 SETTEMBRE 2001 L’on. Rocco BUTTIGLIONE, ministro per le Politiche comunitarie, porge il benvenuto al Gruppo del PPE-DE. dalla volontà di evitare la guerra nel continente. Il calo di entusiasmo nei confronti dell’Europa è dovuto in parte alla convinzione di alcuni che pensano di vivere in un mondo privo di pericoli. Dobbiamo continuare a preservare la pace. È questo che ci unisce. I cittadini ci chiedono, inoltre, di avanzare ulteriormente verso il mercato comune e di prendere l’iniziativa di costruire una zona di benessere e sicurezza esterna ai confini dell’Unione. I popoli che vivono sull’altro versante del Mediterraneo sono alla ricerca della propria strada. Qui, possiamo utilizzare le armi della pace per accrescere il benessere, ma ci si può anche scontrare con un fondamentalismo nemico dell’Occidente che riprende gli stessi miti e le stesse illusioni del nazionalismo che, il secolo scorso, ha segnato crudelmente proprio l’Europa. La collaborazione euromediterranea costituisce il primo passo della lotta contro il terrorismo e il fondamentalismo. Ancora una volta, la difesa della pace nelle zone sensibili a noi più vicine e alle quali siamo maggiormente legati dal punto di vista geografico, storico, culturale o economico, costituisce uno dei compiti dell’Unione. L’Unione ha consentito, ricorda, la costruzione di un mercato unico al servizio di un progetto politico per la collaborazione pacifica dei popoli del continente europeo. Per molti secoli, i popoli europei si sono armati e hanno lottato fra di loro per conquistare mercati, sopravvivere e stabilire la gerarchia delle nazioni. Nel corso degli ultimi 50 anni, per la prima volta nella storia dell’Europa, abbiamo imparato a impegnarci in una concorrenza pacifica, investendo le nostre energie non più nelle armi, ma nella ricerca di mezzi sempre più sofisticati per rispondere alle domande e ai bisogni dei nostri cittadini. Dobbiamo ancora migliorare, dice, riformando le nostre istituzioni che sono già poco adatte a una comunità di 15 Stati e che sarebbero paralizzate se si chiedesse loro di governare adesso un’Unione allargata. In primo luogo, dice, si pone il problema del metodo. Con quale metodo e con quali mezzi potremmo progredire oggi? Alcuni ritengono che sia tempo di risolvere alcune ambiguità di fondo e di decidere, ad esempio, se l’Unione debba essere uno stato federale o una federazione di stati. Secondo l’on. Rocco BUTTIGLIONE, invece, si deve partire dall’uomo, dunque dal cittadino a cui dobbiamo render conto in quanto politici eletti, e del quale bisogna conoscere le aspettative reali. Gli eventi accaduti negli Stati Uniti ci aiutano in tal senso, perché i cittadini vogliono essere protetti dalle minacce esterne e interne e queste minacce si sono mischiate a tal punto che ora è difficile distinguerle. Occorre pertanto rafforzare la sicurezza interna ed esterna, collaborando con gli Stati Uniti nell’ambito dell’Alleanza atlantica che, d’altronde, non è mai stata considerata un’alternativa alla costruzione europea. Possiamo farlo solo insieme. Se vogliamo mobilitarli a favore delle riforme che ci consentirebbero di essere più efficaci, dobbiamo spiegare ai cittadini la ragione d’essere dell’Europa. Secondo l’on. Rocco BUTTIGLIONE, occorre innanzitutto prendere coscienza dei valori che ci uniscono: prima di tutto, il primato della persona e del cittadino e non della razza, della classe sociale o dell’appartenenza nazionale o religiosa. Non inventiamo niente, ma dichiariamo senza indugi i principi fondamentali che ispirano il nostro ordinamento giuridico, così come d’altronde è già stato fatto con la Carta dei diritti fondamentali. L’on. Rocco BUTTIGLIONE vorrebbe rassicurare i suoi amici britannici che si mostrano un po’ scettici di fronte alle costituzioni scritte. L’insieme delle norme e dei principi che vogliamo fissare non è frutto dell’invenzione astratta di un gruppo di savi che vogliono imporre agli altri la loro visione Dobbiamo contribuire alla difesa della pace nel mondo. L’Europa è nata, come progetto politico, 25 ideologica sulla vita delle nazioni. Si tratta bensì, più semplicemente, di una serie di principi e di norme nati nel corso della storia e che abbiamo condiviso. È questa la nostra costituzione, è questo ciò che vogliamo. Ovviamente, occorre non solo stabilire un sistema istituzionale, ma anche integrarlo e perfezionarlo. Ad ogni modo, che lo si chiami trattato o costituzione, la sostanza non cambia. proposta di elezione diretta del presidente della Commissione è eccessiva. Tuttavia, è opportuno precisare che si deve tener conto degli equilibri parlamentari derivati dalle elezioni, tanto più che la Commissione deve ottenere il voto di fiducia del Parlamento. Per concludere, occorre rafforzare la Commissione, consolidandone la legittimazione democratica, ma anche integrando al suo interno una figura particolare: quella del responsabile per la politica di sicurezza e difesa. Secondo l’on. R. BUTTIGLIONE, il Consiglio europeo deve essere rafforzato, deve giocare realmente il ruolo di presidenza collettiva dell’Unione. Il Consiglio deve essere l’organo supremo a livello politico e, in quanto tale, deve poter esercitare il suo diritto di veto su alcuni temi delicati. Se, come purtroppo sembra probabile, non si arriverà ad un accordo per abolire completamente il diritto di veto dei vari Stati, si potrà affermare che in determinati ambiti riservati, il Consiglio potrà imporre il suo veto anche sull’iniziativa di un solo capo di Stato o di governo. Tuttavia, il Consiglio è al contempo un organo politico e legislativo. Parte delle deliberazioni non è soggetta alla procedura di codecisione del Parlamento europeo. Esiste pertanto un’area in cui le cose sono sfumate, nella quale il controllo parlamentare internazionale arriva a malapena e in cui il potere del Parlamento europeo è inesistente. Quindi occorre ridurre queste zone d’ombra estendendo le aree di codecisione e assegnando un ruolo più attivo ai parlamenti nazionali. Per quanto l’istituzione di una seconda camera, che sarebbe un doppione del Parlamento europeo, non sembri necessaria, occorre riflettere sul modo in cui si potrebbero coinvolgere maggiormente i parlamenti nazionali nella costruzione europea. Oggi, infatti, essi si sentono effettivamente lasciati in disparte. Nelle aree di competenza del metodo intergovernativo, essi potrebbero esercitare una funzione di controllo e anche una funzione legislativa, poiché non tutto ciò che è interstatale deve essere necessariamente intergovernativo. Infine, la partecipazione dei parlamenti nazionali è indispensabile anche per accelerare la collaborazione tra la produzione normativa a livello nazionale e la produzione normativa a livello europeo. L’on. Rocco BUTTIGLIONE insiste sull’applicazione del principio di sussidiarietà. Dobbiamo fare nell’Unione ciò che l’Unione può fare in maniera più efficiente, dice, mentre tutto ciò che può essere realizzato meglio ad altri livelli, nazionale o regionale, deve restare a tali livelli. Non costruiamo l’Unione europea per appiattire le differenze nazionali. Costruiamo l’Unione per consentire ai nostri popoli di preservare le caratteristiche che costituiscono la loro identità e che ci sono quindi intimamente proprie. L’Unione ci consente di difendere i nostri popoli dai pericoli di un secolo che esordisce con un’enorme minaccia contro la pace, contro il nostro stile di vita e contro la nostra cultura. L’Unione nasce per difendere i nostri popoli dal rischio di una globalizzazione selvaggia che può intaccarne l’identità. Boris BIANCHERI, presidente dell’ISPIN, tratta in maniera più dettagliata la questione della Costituzione europea. Abbiamo avvertito, afferma, un certo sconforto di fronte ai grandi obiettivi dell’Europa e l’idea di elaborare una costituzione per l’Europa è sicuramente un grande obiettivo. In molti sostengono che non sia necessario avere una costituzione, che potrebbe persino essere illegittima. L’idea che una costituzione non sia necessaria si riflette anche in quanto affermato poco fa dal ministro BUTTIGLIONE, secondo cui, in sostanza, in realtà l’organizzazione di un’istituzione può essere affidata a un trattato se si tratta di un’organizzazione che raggruppa più stati. Per far ciò non occorre necessariamente una costituzione, che potrebbe persino risultare illegittima, in quanto le costituzioni vengono dal basso e mirano a proteggere i cittadini dall’autorità che li governa. Molte costituzioni sono nate così anche se, bisogna riconoscerlo, non è andata sempre così. Abbiamo avuto costituzioni che provenivano dall’alto, abbiamo visto anche costituzioni che hanno avuto la funzione di unire vari Stati tra loro affini e questo potrebbe essere il caso di una costituzione per l’Europa. Occorre rafforzare il ruolo del Parlamento europeo, aumentare gli ambiti di codecisione, concedere al Parlamento il diritto di iniziativa legislativa e rafforzare la cooperazione tra la Commissione e il Parlamento. La Commissione, che non ha una vera legittimità democratica, l’acquisisce cooperando con il Parlamento. Ciò che è fondamentale per l’Unione è il ruolo dei partiti europei. Probabilmente la 26 GIORNATE DI STUDIO 24-27 SETTEMBRE 2001 ROMA Secondo Boris BIANCHERI, la costituzione europea non è un progetto giuridico. Si tratta piuttosto di un progetto politico ed è nella sua forza politica che risiede la sua necessità. pareri discordanti riguarda la carta dei diritti che è stata adottata a Nizza: si tratta ora di renderla vincolante. Gli altri punti sono ovviamente più complicati, più complessi. Si tratta del ruolo dei parlamenti nazionali e delle relazioni tra il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali. La definizione delle competenze in base al principio di sussidiarietà è uno degli obiettivi che l’Europa deve porsi. Vari elementi depongono a favore di questa necessità politica. Secondo Boris BIANCHERI, è sorta la necessità di rinsaldare i legami che uniscono l’opinione pubblica nei vari paesi all’Europa. La necessità di conoscere esattamente il ruolo e la posizione di ciascuno a bordo della “barca” Europa è giustificato dalle difficoltà che il mondo sta attualmente attraversando per affrontare la tempesta in cui si trova. Francesco GIOVAZZI, professore di politica economica presso l’Università Bocconi, presenta un’analisi del calo di efficienza delle istituzioni europee (una delle conseguenze del trattato di Nizza) e le possibili soluzioni da proporre eventualmente nell’ambito della prossima conferenza intergovernativa. Per quanto concerne il calo di efficienza delle istituzioni europee, vi sono due punti che è assolutamente necessario evidenziare. Il trattato ha ridotto i poteri degli Stati più piccoli e questo sacrificio non si è tradotto in una maggiore efficienza delle istituzioni. Quindi, nel predisporre la procedura dell’art.5, esso non prevede la possibilità di riorganizzare la Banca centrale quando l’Unione economica e monetaria passerà da 12 a 23, se non addirittura a 27 Stati. Sono tutte questioni per le quali occorre trovare una soluzione. In questi ultimi tempi, l’idea di una costituzione ha perso un po’ del suo carattere d’urgenza. Tuttavia, Boris BIANCHERI ritiene la costituzione necessaria e urgente, forse a causa delle difficoltà che essa stessa pone e per il fatto che Nizza è stata in un certo qual modo vissuta come un fallimento. Eppure, se prendiamo la dichiarazione sul futuro dell’Europa, afferma, vi troviamo alcuni punti che rappresentano gli elementi di una costituzione europea. Dalla dichiarazione emergono alcuni punti imprescindibili: definire le competenze in base al principio di sussidiarietà; rendere vincolante la Carta dei diritti, semplificare i trattati, chiarire il ruolo dei parlamenti nazionali e i rapporti tra i parlamenti nazionali e il Parlamento europeo. La dichiarazione sul futuro dell’Unione non afferma che si debba creare anche un potere costituente, ma non lo esclude. Per quanto concerne la semplificazione dei trattati, l’Istituito universitario europeo ha svolto un’opera ammirevole, cercando di delineare gli elementi del trattato che avessero già un valore costituzionale: i principi dell’Unione, la libertà, la democrazia, i diritti dell’uomo, gli obiettivi dell’Unione, il progresso economico e sociale, la creazione di uno spazio di libertà, la solidarietà internazionale, gli elementi di cittadinanza, la libertà di circolazione, il diritto di voto, nonché, a titolo esemplificativo, la definizione delle competenze per quanto riguarda la politica monetaria, la politica agricola e così via. Questi elementi, che hanno valore costituzionale, esistono già nel trattato. Si tratta ora di estrapolarli dal testo e di collocarli in un altro contesto giuridico. Pertanto, la semplificazione dei trattati è, secondo B. BIANCHERI, il primo punto su cui ci si può basare. Non si tratta di una questione che possa far pensare all’insorgere di grandi divergenze d’opinione tra i vari membri dell’Unione, poiché questi testi sono già stati adottati. Il secondo punto che non dovrebbe suscitare Per far ciò, Francesco GIOVAZZI pone l’accento sul meccanismo della maggioranza qualificata. Per quanto concerne la maggioranza qualificata, ricorda GIOVAZZI, i nuovi meccanismi prevedono infatti tre criteri relativi al calcolo della maggioranza nelle votazioni in seno al Consiglio europeo: il 71% risultante dal voto (che passerà al 74% quando gli Stati membri saranno 27), il 62% della popolazione e il 50% degli Stati membri. Il quesito che ci poniamo è il seguente: in che misura questo meccanismo può influenzare l’efficacia e la legittimità di una decisione? Per quanto concerne le votazioni, è evidente che il potere viene spostato verso il paese con il maggior numero di abitanti. Pertanto, sono stati sacrificati i paesi più piccoli e sarebbe lecito chiedersi se tutto ciò andrebbe o no a favore di una maggiore efficienza. Nell’Europa dei 15, la risposta è ancora positiva. L’efficienza dell’Unione dei 15 è leggermente migliorata: si passa dal 7,8% all’8,2% d’efficienza nel processo decisionale, sempre che, ovviamente, una decisione presa in sede di Consiglio riscuota la maggioranza dei consensi. E’ stato fatto lo stesso conteggio considerando un’Europa a 27: qui la probabilità di riuscita si riduce notevolmente. Ecco perché B. BIANCHERI pensa che il sacrificio imposto ai paesi più piccoli non abbia portato a una maggiore 27 efficienza. Se esaminiamo solo i criteri del 62% della popolazione e del 50% dei paesi membri, notiamo una diminuzione dell’efficienza: si passa dal 23% a un po’ più del 19%. Per analogia, si rileva anche un calo dell’efficienza se si utilizza solamente la maggioranza qualificata, poiché la percentuale passa dal 7,8 al 2,5%. Il dato interessante di questi risultati è la constatazione che ciò che determina il livello di efficienza è il meccanismo della maggioranza qualificata. Le altre due condizioni, ovvero il criterio della popolazione e quello del 50% degli Stati membri, non hanno niente a che fare con l’efficienza delle istituzioni. dell’esecutivo. Nell’Unione allargata sarà estremamente difficile adottare decisioni mantenendo le stesse regole. Ma allora, quali sono le soluzioni possibili? Certo, la teoria economica ci insegna determinate cose, ma ci sono anche taluni elementi recenti che ci dimostrano che il meccanismo più efficace sarebbe l’istituzione di Comitati esecutivi relativamente piccoli e omogenei. È importante che queste decisioni vengano prese prima dell’allargamento. In poche parole, B. BIANCHERI ritiene che sia necessario utilizzare il meccanismo della decisione a maggioranza, applicando due correzioni minori, ma che possono avere un effetto particolarmente significativo, poiché moltiplicherebbero per 7 il livello di efficacia delle decisioni prese in seno al Consiglio con maggioranza qualificata. In secondo luogo, per ciò che concerne la Banca centrale europea, l’art. 5 del trattato istituisce un meccanismo unico interessante, il quale prevede che per modificare i meccanismi di votazione a livello della Banca centrale, le decisioni possano essere prese dal Consiglio della Banca centrale o dalla Commissione. Queste proposte possono quindi modificare l’art.10 par. 2 dello statuto. Tuttavia, la Commissione dovrebbe utilizzare le possibilità fornite dall’art. 5 del trattato per proporre una modifica dei meccanismi di votazione prima dell’ampliamento. Pertanto, aggiungere queste ulteriori “reti di protezione” non apporta vantaggi significativi. Se ci fosse il solo meccanismo della maggioranza qualificata si otterrebbero praticamente gli stessi risultati. Allora, cosa si può fare? Questo ragionamento ha senso se si ritiene che si debba utilizzare il meccanismo della maggioranza quali ficata, ma se si considera che sia meglio utilizzare il principio dell’unanimità, questi calcoli sono privi di significato. In occasione della prossima conferenza intergovernativa, si potrebbero inserire alcune rettifiche. Se ne potrebbero considerare due in particolare. Innanzitutto, con una diminuzione del numero dei voti, si passerebbe dal 74% al 66%. Questo ci consentirebbe di aumentare l’efficacia decisionale, passando dal 2% al 14%. Tuttavia, questo passaggio probabilmente influenzerebbe il potere relativo dei paesi più piccoli che vedrebbero diminuire ulteriormente il loro potere. Si potrebbe pertanto introdurre un secondo elemento di rettifica, diminuendo il fattore popolazione, il che farebbe slittare l’efficienza dal 62% al 50%. Si tratta di due operazioni relativamente semplici. In tal modo, si avrebbe la possibilità di aumentare sensibilmente l’efficienza del processo decisionale. Gerardo BIANCO, membro della Camera dei deputati, interviene sulla questione della costituzione europea. La nostra esperienza, afferma, ci dimostra che la via indicata dai trattati è lineare ed estremamente positiva, benché non sembri in grado di affrontare la sfida storica che occorre raccogliere. D’altronde, è ciò che affermano numerose relazioni del Parlamento europeo. Né ad Amsterdam, né a Nizza sono state proposte risposte adeguate. Occorre essere innovativi sul fronte istituzionale e non per utopia o federalismo, ma perché ci troviamo ad affrontare problemi assolutamente concreti. Il costituzionalismo moderno nasce dalla relazione tra gli Stati e le società nazionali. Dalla lettura del preambolo delle costituzioni adottate nell’immediato dopoguerra da Giappone, Germania, Italia e altri paesi, si evidenzia facilmente il legame stabilito tra la costituzione, la storia, la cultura e i bisogni di ciascun popolo. In realtà, l’elaborazione di questi testi non va oltre la dottrina del costituzionalismo risalente al XIX secolo. Pensiamo, ad esempio, all’imponente letteratura tedesca sul principio delle Per quanto concerne i meccanismi attuali della Banca centrale, probabilmente questi non sono in grado di funzionare in un’Europa allargata. È preferibile prevederne la modifica prima dell’allargamento, poiché agire in seguito potrebbe essere fonte di ulteriori sacrifici per i nuovi Stati membri. La Banca centrale europea vive problemi analoghi a quelli della Commissione. Per comprendere appieno il problema occorre considerare che quando i sei membri del comitato esecutivo della Banca centrale prendono decisioni a livello esecutivo, la loro decisione deve essere successivamente ratificata dal Consiglio, composto attualmente da 18 membri, i 12 governatori più i 6 membri 28 GIORNATE DI STUDIO 24-27 SETTEMBRE 2001 ROMA nazioni, che ha posto le basi di una dottrina che ha influenzato notevolmente la storia del costituzionalismo europeo. Pertanto, tutto ruota sul concetto: “un popolo e quindi una costituzione”. L’idea secondo cui, non essendovi una società europea non può esserci una costituzione europea, e non esistendo una costituzione europea, non vi può essere alcun controllo democratico e quindi la democrazia rimane una prerogativa dei dibattiti nazionali, è il nodo gordiano che ci si impone di sciogliere adesso. procedura per definire e cercare di influenzare le decisioni del Consiglio. La sinergia tra i parlamenti nazionali e il Parlamento europeo è ovviamente la strada da percorrere, che occorre consolidare e rafforzare istituzionalizzando i rapporti fra le istituzioni e rendendoli vincolanti. Tuttavia, il vero e proprio balzo in avanti deve essere fatto con una costituzione. Il Cosac costituisce un forum interessante, cui il protocollo di Amsterdam ha conferito margini di manovra e competenze importanti per tutto ciò che concerne lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, nonché l’applicazione del principio di sussidiarietà. Tuttavia, affinché questo organismo possa funzionare, è assolutamente necessario che abbia una base sostanziale a livello politico. Le regole sono buone, ma si deve avere anche un’idea dei problemi. Gerardo BIANCO ritiene che questo sia il compito dei partiti politici, e segnatamente del Partito popolare europeo. Il trattato di Nizza ha chiesto che anche i partiti raccogliessero queste sfide.La prima sfida consiste nell’elaborare una costituzione europea che riorganizzi e coordini le istituzioni esistenti senza crearne di nuove come, ad esempio, l’idea sbagliata e contraddittoria di istituire un’altra camera composta dai parlamenti nazionali. Non è assolutamente questa la strada da seguire. Per quanto riguarda la “parlamentarizzazione” del processo decisionale dell’Unione, l’on. Gerardo BIANCO sottolinea, come del resto fa l’ultima relazione preparata in occasione del 24° Cosac, che la partecipazione dei parlamenti nazionali, in collaborazione con il Parlamento europeo, costituisce uno strumento necessario e indispensabile per la costruzione di un nuovo ordine europeo dotato di legittimità. La doppia legittimità dell’Unione, in quanto Unione di Stati e Unione di popoli, si trova rafforzata in questo legame, favorendo inoltre la democratizzazione dei sistemi. La qualità delle relazioni tra il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali è assolutamente fondamentale per poter superare e ridurre il deficit di democrazia di cui soffre l’Unione. Tuttavia, questo rapporto, per quanto essenziale, si trova a dover affrontare numerose difficoltà e i progressi registrati a partire da Amsterdam non sono sufficienti. Non si è andati poi tanto oltre il protocollo n. 9, vale a dire dei diritti d’informazione dei parlamenti nazionali, mentre per quanto riguarda il Parlamento europeo, questo resta escluso dal potere di codecisione in merito a determinati argomenti per i quali è prevista la votazione a maggioranza qualificata. Il documento stilato dall’on. Giorgio Napolitano, presidente della commissione per gli affari costituzionali del Parlamento europeo è un testo eccellente, che fa luce sui limiti della riforma dei trattati e delle procedure che sono state finora attuate. In realtà, il Cosac continua a muoversi entro un perimetro estremamente burocratizzato, come ad esempio la richiesta presentata a Versailles di trasmettere telematicamente i documenti a tutti i parlamenti; invece, si sarebbero dovute applicare le proposte contenute nel documento della presidenza svedese, e precisamente il punto in cui si invitano i parlamenti nazionali e il Parlamento europeo a rafforzare le modalità di discussione e di deliberazione per giungere alla creazione di una cultura giuridicoistituzionale comune sempre più integrata, tenendo anche conto delle migliori esperienze, degli scambi di documentazione, degli incontri periodici, della Secondo l’on. GIL ROBLES quando si parla di riforme europee, non si tratta di costruire un edificio ex-nihilo, ma semplicemente di ampliare e migliorare un edificio in gran parte già esistente, fino ad arrivare ai limiti dell’ingegneria costituzionale: la teoria non serve, bisogna fare ciò che si può davvero realizzare e risolvere i problemi senza crearne di nuovi. Pertanto, in occasione della prossima conferenza intergovernativa non vi sarà alcuna riforma del trattato di Nizza, poiché la sua nascita è stata talmente problematica che nessuno vorrà sollevare di nuovo un problema politico così difficile da risolvere, la cui soluzione è stata trovata con così tante difficoltà e che rischia di crearne di nuove. Secondo l’on. Gil ROBLES, l’Europa è sempre stata un’unione politica che, per troppo pudore non ha mai voluto riconoscerlo, pur diventandolo ogni volta di più. Ora, si invita a fare dell’Europa una grande potenza. Pertanto, qualsiasi riforma deve essere orientata al rafforzamento della dimensione politica dell’Unione. D’altronde, ricorda, se vogliamo un’Europa più potente abbiamo bisogno di un bilancio più consistente. Nessuno Stato efficiente e complesso 29 dispone di un bilancio pari all’1,1% del PIL. Se vogliamo un’Europa funzionante e se vogliamo un’Europa che conti il doppio degli Stati membri attuali, occorre quantomeno raddoppiare il bilancio. di un quadro normativo forte per questa Unione europea, ma a livello di scelta nozionistica sarebbe opportuno utilizzare un nuovo vocabolario. Secondo l’on. J.-L. BOURLANGES, ci troviamo in una situazione del tutto paradossale. Ne è prova il documento, estremamente interessante, comunicato da GIAVAZZI, nel quale si legge: “Ratify the threaty of Nice to clear up the mess it created (Ratificate il trattato di Nizza per spazzar via la confusione creata)”. Abbiamo raggiunto, afferma, un punto di incoerenza totale nel messaggio politico che proclamiamo rispetto agli obiettivi che perseguiamo. Secondo l’on. Jean-Louis BOURLANGES, o il trattato di Nizza costituisce un passo in avanti e lo ratifichiamo o non costituisce un passo in avanti e allora occorre dirlo a chiare lettere. L’idea secondo cui: “se qualcosa non va bene, la si ratifica” è a suo avviso incomprensibile. La on. MAIJ-WEGGEN fa riferimento ad alcuni sondaggi condotti presso i cittadini europei, dai quali emerge che l’80% è favorevole a una costituzione europea, ivi compresi i cittadini britannici. Per quanto concerne il Consiglio, l’on. BUTTIGLIONE ha ribadito che esso deve rimanere l’organo più importante della politica europea. La on. MAIJ-WEGGEN ritiene che sia il Parlamento a dover ricoprire quel ruolo. Ella pone l’accento sulla necessaria trasparenza del Consiglio europeo e sul fatto che esso dovrebbe diventare una sorta di Senato, che si riunisca in maniera trasparente per decidere sulle questioni in materia di legislazione. Ciò consentirebbe di abolire il Consiglio dei ministri nella sua forma attuale, la cui funzione risulta piuttosto ambigua. D’altronde, spiega l’on. Jean-Louis BOURLANGES, l’allargamento dell’Unione crea un insieme di richiami al mutamento che sono esattamente ciò che gli Stati membri non vogliono. Non si può allargare l’Unione senza accrescere sensibilmente la maggioranza qualificata e senza far scomparire l’unanimità. Non si può allargare l’Unione senza rafforzare un esecutivo comunitario sovranazionale e, dunque, senza spezzare l’equilibrio tra le due parti che lo compongono: la Commissione e il Consiglio. Non si può allargare la base democratica dell’Unione senza rafforzare il Parlamento europeo e, come ha detto l’on. Robles poco fa, non si può allargare l’Unione senza aumentarne il bilancio. Ebbene, questi quattro obiettivi sono quelli che la maggior parte dei governi non persegue. Non si può comprendere Nizza senza ammettere che da un parte gli interessi dell’Europa passavano attraverso quelle riforme, ma che dall’altra l’obiettivo dei capi di Stato e di governo era quello di preservare il potere del loro stato e della loro amministrazione e, dunque, di sacrificare la causa di un’Europa allargata, efficiente e democratica. Ecco perché passiamo il nostro tempo a ideare strategie di divisione: opponiamo il Consiglio alla Commissione, il Consiglio europeo al Consiglio dei ministri, i parlamenti nazionali al Parlamento europeo e il contribuente al bilancio comunitario. Questo non ci porta a niente, afferma, e noi parlamentari abbiamo o l’obbligo di rassegnarci e tornarcene a casa, o di affermare con forza che il nostro obiettivo è riuscire a costruire un’Europa allargata, efficiente e democratica e diffidare dei governi, anche se a volte si tratta di governi amici. L’on. Ursula SCHLEICHER richiede il sostegno del suo ex collega, l’on. BUTTIGLIONE, che adesso ha responsabilità di governo, al fine di anticipare al 2003 il calendario della prossima conferenza. Inoltre, la on. SCHLEICHER è preoccupata del fatto che l’Europa non sia più un tema cardine della politica interna. Secondo l’on. C. BEAZLEY le incertezze attuali mostrano quanto sia importante che l’Unione europea e le istituzioni siano forti per poter reagire, come è peraltro già accaduto in passato. Per quanto concerne i futuri Stati membri, il trattato di Nizza costituiva l’ultimo ostacolo all’adesione. Ora, qualsiasi modifica costituzionale deve essere operata con i paesi candidati. Il problema, dunque, è come renderli partecipi. Per quanto riguarda la costituzione, l’on. C. BEAZLEY si augura che nel suo paese si svolga un dibattito obiettivo. A suo avviso, molti suoi connazionali sarebbero favorevoli alla delimitazione delle competenze e accetterebbero che la carta costituzionale venisse adottata dal Consiglio e introdotta nella legislazione britannica. Poiché gli inglesi provengono da un paese che nel 13° secolo ha firmato la Magna Carta e l’ha proclamata al mondo intero, sarebbe quantomeno sorprendente che fossero contrari in questo momento. Secondo l’on. GAHLER, l’Unione europea è una costruzione atipica e forse si dovrebbero utilizzare nozioni diverse da quelle impiegate negli Stati nazionali. Egli si dichiara a favore di una Commissione forte e 30 GIORNATE DI STUDIO 24-27 SETTEMBRE 2001 ROMA Secondo la on. R. SCALLON, in Europa occorrono più democrazia e una maggiore apertura. Sarebbe estremamente difficile per gli irlandesi accettare un carta costituzionale che, in numerosi ambiti, risulterebbe essere più debole dei diritti contenuti nella loro costituzione. Ella si proclama a favore di una costituzione cristiana che protegga la dignità dell’uomo, tutti gli stadi della vita, nonché la famiglia e la definisca come la cellula fondamentale della società. dovrà rispettare la tabella di marcia prevista tra la conclusione della convenzione e la riunione dei capi di Stato e di governo. Non dovrà passare troppo tempo tra i due eventi perché non si rimettano in discussione i risultati della convenzione. Si tratta di dettagli tecnici, che saranno però decisivi. La conferenza intergovernativa deve chiudersi nel dicembre del 2003; poi si passerà dal Trattato di Roma alla Costituzione di Roma. L’on. C. CEDERSCHIÖLD riprende la questione del Forum e della convenzione. Occorre, beninteso, che i cittadini siano rappresentati nel forum in un modo o nell’altro; occorre inoltre affermare con molta chiarezza che vi è una differenza molto importante tra il forum e la convenzione, altrimenti si rischia di sfociare nel caos. Alla fine, la convenzione non potrà che portare ad un’unica posizione, anche se durante i lavori verranno espresse opinioni diverse. Il forum, invece, è di per sé una rappresentazione estremamente vasta, ampia e differenziata della convenzione, alla quale esso presenterà dei pareri. Secondo l’on. G. NISTICO, l’Unione europea deve essere un’unione di valori, ma spesso ci si scontra con una burocrazia eccessiva. Si parla di grandi principi, certo, ma si dimentica che al centro di tutto ciò deve esserci l’uomo. Abbiamo, afferma, il sacrosanto diritto di dare delle risposte ai nostri concittadini. Ad esempio, il terrorismo li preoccupa. Cosa abbiamo fatto noi, gli europei, per prevenire il meccanismo del terrorismo? Cosa abbiamo fatto per le politiche mediterranee? Esistono numerosi gruppi di lavoro, ma i risultati non sono stati altrettanto numerosi. Le regioni mediterranee di Spagna, Italia e degli altri paesi possono avere un ruolo fondamentale. Secondo l’on. H. MARTIN, i cittadini europei si aspettano da noi una risposta a tre semplici quesiti: che Europa vogliamo, con chi e come? In altre parole, cosa vogliamo fare insieme? Vogliamo un’Europa del libero scambio o qualcosa di più? Vogliamo un’Europa integrata in uno spazio più vasto? Secondo l’on. E. BROK, in questo periodo decisivo, non ci si deve fermare alle parole. Si deve invece progredire, andare avanti. Il trattato attuale è una costituzione senza averne l’aspetto giuridico. Si deve arrivare a un trattato che somigli a una costituzione. Egli pone l’accento su una riforma del Consiglio che potrebbe rendere il futuro più trasparente. Si tratta, secondo lui, di una questione cruciale: in Europa si potrà accettare meglio l’eventuale costituzione solo se il Consiglio si riunirà in veste di legislatore in seduta pubblica in modo che i cittadini sappiano chi fa cosa. Occorre, d’altronde, rafforzare il ruolo dei parlamenti nazionali in ciascuno Stato rispetto alle loro funzioni di controllo sui governi, però occorre evitare il crollo del sistema a livello europeo. Si è parlato di Cosac, di rafforzare gli scambi, ma occorre anche conferire ai parlamenti nazionali una competenza in materia di controllo della sussidiarietà concedendo loro la possibilità di adire le vie legali, il che sarebbe molto più efficace, ad esempio, del conferire tale diritto a una terza camera. Al riguardo, noi abbiamo l’obbligo, in qualità di membri del Parlamento europeo, di dare l’esempio. In altre parole dobbiamo coinvolgere e invitare i parlamenti nazionali a discutere molto più spesso di talune questioni. Prima domanda: vogliamo un’Europa del libero scambio o un’Europa più potente, portatrice di pace e progresso, che svolga appieno il suo ruolo sul piano internazionale? Per quanto riguarda la domanda in merito ai soggetti con cui si vuole fare qualcosa: il problema delle frontiere non è mai stato definito chiaramente. Occorre tener conto, secondo l’on. H. MARTIN, delle democrazie che condividono, nell’ambito di un’Europa estremamente vasta, il nostro punto di vista riguardo ai diritti dell’uomo e alla Carta. Per quanto concerne gli altri Stati, perché non prevedere anche per loro un partenariato rafforzato soprattutto per la zona meridionale? Ultimo punto: come definire le competenze? Alcuni di noi parteggiano, afferma, per una federazione di Stati-nazione. Gli Stati-nazione potrebbero riunirsi in un Consiglio (con una presidenza molto più duratura e non alternandosi ogni sei mesi) preposto a definire gli orientamenti, una camera degli Stati che consentirebbe di verificare i problemi Egli pone successivamente l’accento sull’organizzazione tecnica della Convenzione e sul fatto che si 31 di sussidiarietà e un governo il cui capo verrebbe designato dal Consiglio e dal Parlamento europeo. differenti. La prima viene dal francese e indica essenzialmente il popolo che stipula un contratto e tutti sono partecipi in quanto membri del popolo stesso. L’on. R. BUTTIGLIONE non è per nulla d’accordo con questo tipo di costituzione, poiché non corrisponde a uno Stato federale. A questo punto del processo della costruzione europea, è difficile arrivare a una costituzione che non venga ratificata dagli Stati. Il Parlamento europeo, a sua volta, avrebbe un ruolo fondamentale poiché rappresenterebbe il popolo europeo. Da una parte vi è la rappresentanza del popolo europeo e dall’altra, nella convenzione, la rappresentanza dei popoli europei. Pertanto, il popolo europeo sarà rappresentato dal Parlamento europeo e i popoli europei saranno rappresentati tramite i parlamenti nazionali e i governi. Ci si deve orientare verso una costituzione europea che dovrebbe essere intesa come una sorta di “Verfassung”, ovvero che stabilisca il quadro normativo dell’Unione. Questo ci consentirà forse di convincere i britannici? Secondo l’on. R. BUTTIGLIONE, se vi sono persone che non desiderano che l’Europa diventi una Patria, un “Country”, vi è sempre la possibilità di ritirarsi senza impedire agli altri di andare avanti. Dovremo fare del nostro meglio per convincere i nostri amici britannici, afferma, e ascoltare le loro esperienze in merito, ma per far ciò sarà necessario che scelgano un cammino comune. L’on. R. HELMER, in qualità di esponente del partito conservatore, ricorda che quest’ultimo ha appena eletto, ad ampia maggioranza, Duncan Smith che è, forse, più euroscettico del suo predecessore; egli ha affermato che non si pronuncerà mai a favore dell’ingresso del Regno Unito nell’euro. “Chi, tra i nostri cittadini, spera in una maggiore integrazione?” si chiede. Secondo l’on. R. HELMER, non si può continuare ad avanzare forzando l’integrazione europea senza fare una pausa di riflessione, senza assicurarsi di avere il consenso della popolazione. Secondo l’on. G. GARGANI, la costituzione europea è un progetto più politico che giuridico. Egli si dichiara ottimista e ritiene che a Nizza si sia fatto tutto il possibile, anche se questo non è sufficiente. Per quanto riguarda la costituzione, egli pone l’accento sull’importanza di un modello di riferimento e suggerisce di adottare quello degli Stati Uniti d’Europa. Anche secondo l’on. G. BODRATO, l’Europa è prima di tutto un progetto politico. È giusto riflettere sulla strada da seguire per realizzare il progetto e affermare che i trattati ci consentono di avanzare su questo cammino in attesa di una costituzione europea. Si può affermare che Nizza ha comunque ottenuto dei risultati, in particolare se si considera la competenza esecutiva del Consiglio. Viceversa, per quanto riguarda la competenze legislative del Consiglio, le critiche sono giustificate. Nell’ambito di queste giornate di studio e dopo quanto affermato, è quindi importante manifestare il sostegno alla tesi della convenzione che deve sortire dalla conclusione di Laeken; una convenzione che rivesta un ruolo preciso rispetto alla conferenza intergovernativa e che in un modo o nell’altro tratti i problemi che Nizza non ha affrontato e che sono stati richiamati in dettaglio stamattina. Come convincere i governi e i parlamenti nazionali a cedere una parte considerevole dei loro poteri? Possiamo persuaderli garantendo loro che non si tratta di una concessione a favore di un’altra Europa, ma che si tratta in realtà di una concessione per la loro Europa. Si dà loro la possibilità di diventare dei veri e propri attori della costruzione europea. Il Consiglio dei ministri deve cedere parte dei suoi poteri: si tratta di un potere legislativo non controllato, non trasparente e che deve essere modificato dal Parlamento europeo e dai parlamenti nazionali. È su queste basi che occorre impegnarsi e lavorare. Il Consiglio europeo dovrebbe fungere da guida politica. Il Parlamento è il luogo in cui si esplicano la sovranità e il potere legislativo, ma l’orientamento politico, la direzione politica, non si esplica a livello del Parlamento europeo, bensì a livello dei capi di Stato e di governo. In risposta ai quesiti posti nell’ambito del dibattito e riprendendo il tema della costituzione, l’on. R. BUTTIGLIONE desidera rassicurare gli amici britannici: la costituzione non è la fine del mondo. Occorre effettivamente trovare un accordo sulla costituzione e avventurarsi sul terreno della semantica. In italiano, come in francese, abbiamo solo una parola per indicare la costituzione. In tedesco ce ne sono tre: “Konstitution”, “Verfassung” e “Gruntgesetz” e si tratta di tre cose In conclusione, si deve fare in modo che venga attuata una prassi che permetta di ottenere il consenso generale per andare verso un obiettivo comune: la costruzione di questa Europa. 32 GIORNATE DI STUDIO 24-27 SETTEMBRE 2001 ROMA Boris BIANCHERI pone l’accento sulle resistenze a livello nazionale e afferma che gli Stati membri vogliono assolutamente mantenere taluni privilegi. L’opinione pubblica si è resa perfettamente conto di questa volontà e questo è forse l’effetto più negativo di Nizza che, tuttavia, ha sortito risultati positivi. Quando si parla di costituzione, si deve prendere in considerazione l’insieme delle proposte e vedere quali sono i punti di accordo e quelli di disaccordo. Tutto ciò dipende in parte da ciò che si inserirà nella carta costitutiva e costituzionale fondamentale. Si parla di costituzione, è il termine che si utilizza per capirsi, ma Boris BIANCHERI è il primo ad affermare l’inadeguatezza di tale vocabolo. Egli ritiene che sia preferibile adottare un’espressione che non faccia riferimento a una costituzione, che imponga dei limiti all’autorità e che preveda la ripartizione delle competenze tra l’Europa e le sovranità nazionali. Paolo BARBI, ex Presidente del Gruppo del PPE, si compiace nel vedere insistere il Gruppo affinché si proceda verso l’istituzione di una convenzione. È importante vedere come sarà strutturata questa convenzione e quale sarà la legittimità che le verrà accordata. Quale sarà, però, il mandato attribuito alla convenzione? Quali saranno le questioni di cui saranno incaricate la convenzione e la conferenza intergovernativa? Il nostro gruppo, il nostro partito, dovrebbe indicare i punti fondamentali del mandato: le funzioni del Consiglio europeo, i limiti di potere del Consiglio dei ministri, le funzioni legislative, e dunque pubbliche, del Consiglio dei ministri, le funzioni del Parlamento, i poteri della Commissione e, cosa estremamente importante, il finanziamento tramite le risorse proprie che sono state generate dalla nostra comunità. I governi saranno disposti a concedere tali mandati? Il governo italiano e i governi in cui il partito popolare europeo gode di una certa influenza si dimostreranno intenzionati a fornire il mandato? Francesco GIAVAZZI sottolinea che se c’è una cosa sulla quale gli esperti in economia saranno d’accordo, è che per fare una buona politica monetaria occorra delegarne la gestione a un organo ristretto indipendente. L’on. BUTTIGLIONE, in risposta a Paolo BARBI, conferma che il governo italiano intende affidare un mandato importante alla convenzione, conformemente agli orientamenti indicati da BARBI. Tuttavia, occorre aggiungere un ulteriore argomento, quello dei parlamenti nazionali che devono partecipare al processo di costruzione europea. Per quanto concerne i problemi monetari, si deve fare molta attenzione: possiamo destinare maggiori risorse all’Unione europea, ma non possiamo imporre ulteriori imposte ai nostri contribuenti. La concessione di risorse deve andare di pari passo con l’attribuzione delle funzioni che non verrebbe più decisa dagli Stati membri, in modo che il contribuente non sia soggetto a un’ulteriore e maggiore pressione fiscale rispetto a quella cui è soggetto attualmente. Quest’organo non può essere un Consiglio composto da trentatre membri. Quanto alla questione della ratifica del trattato, è necessario che i governi diano prova di grande onestà intellettuale. Si possono ipotizzare due situazioni: o quel risultato è stato voluto, perché gli Stati vogliono un sistema inefficiente nella speranza di continuare a discutere con l’approvazione generale, o si tratta del risultato di un errore tecnico. Sappiamo che taluni articoli del trattato sono stati finalizzati alle 5 del mattino e sbrigativamente. Se si tratta di un errore tecnico, bastano piccoli emendamenti tecnici al trattato per sortire un effetto estremamente significativo sull’efficacia delle istituzioni. Se, come è invece possibile, si tratta di una volontà politica, allora a quel punto sarà la conferenza intergovernativa a doversene occupare. L’on. Inigo MENDEZ de VIGO trae le conclusioni del dibattito. Dagli interventi emergono diversi elementi: l’Europa non è un progetto esclusivamente economico o giuridico, ma anche politico. Un progetto politico che occorre inserire in un contesto giuridico. Non si tratta di un progetto esclusivamente economico, benché taluni ritengano che all’inizio non vi fosse alcun fine politico. Tuttavia, ciò non corrisponde a verità. Basta leggere i primi testi europei. Nella dichiarazione di Schuman del 1950, si parlava già di federazione europea. Nel preambolo dei trattati CECA firmati a Roma, si parlava di un’unione più stretta tra i popoli europei e non di un’associazione Secondo l’on. Gerardo BIANCO, non vi sono dubbi sul fatto che questa nuova fase di costruzione dell’Europa sia un fatto politico. Tuttavia, non c’è fatto politico che si possa mantenere in vita senza essere istituzionalizzato. Ogni evento storico ha bisogno di un contesto giuridico che gli dia una struttura: è ciò che noi chiamiamo “costituzione”, termine che in pratica significa “organizzare insieme le cose, dare loro una base comune”. 33 di libero scambio (per questo c’è l’AELE) e si mirava a un’unione politica. Vogliamo essere ben più di uno spazio economico, vogliamo essere uno spazio politico. fossero riuniti, non avrebbero accettato alcuna costituzione. Allora, forse dovremmo tenerne conto e trovare un’altra parola fino a che l’Europa non disporrà di una vera e propria costituzione. F. GIAVAZZI ha presentato un intervento estremamente interessante sulla votazione a maggioranza qualificata dopo il trattato di Nizza.Le sue parole sono in piena corrispondenza con quanto adottato dal Parlamento europeo nella risoluzione dell’on. Inigo Mendez de Vigo, vale a dire che non vi sono state modifiche fondamentali nel processo decisionale. Una modifica del 2% non rappresenta un elemento fondamentale e le due “reti di sicurezza” (numero di Stati e popolazione) non sono determinanti. Le proposte avanzate nel trattato di Nizza sono estremamente interessanti, ma hanno un carattere accademico. Detto questo, il trattato di Nizza non è fine a se stesso, la dichiarazione 23 apre a un gran numero di possibilità per il futuro, così come affermato dall’on. G. BIANCO e dall’on. R. BUTTIGLIONE. Occorre rafforzare la partecipazione dei parlamenti nazionali nella costruzione europea. Esistono dei meccanismi, che sono in vigore, come ad esempio il protocollo di Amsterdam a proposito del lavoro del Cosac. Tuttavia, non è colpa del Parlamento europeo se nella pratica questi meccanismi non funzionano, ma dei parlamenti nazionali che non vogliono delegare alcuna competenza al Cosac.La relazione dell’on. Napolitano propone l’idea di coinvolgere maggiormente i parlamenti nazionali in seno alla convenzione.Su iniziativa dell’on. Hans-Gert POETTERING, il Gruppo del Partito popolare europeo ha adottato a Berlino una linea estremamente chiara e si è pronunciato a favore di una convenzione.Vogliamo una convenzione non per soddisfazione personale, ma perché la convenzione consente la partecipazione reale dei cittadini e non solo degli attori politici.Coloro che hanno avuto la possibilità di partecipare alla convenzione per la Carta hanno avuto modo di constatare il numero di contributi provenienti dall’esterno. Qualcuno affermava che l’utopia è in realtà una verità prematura: ebbene, l’utopia di Berlino è diventata realtà. Occorre una costituzione, ma non una costituzione qualunque.La maggior parte dei partecipanti ritiene che in fin dei conti si tratta piuttosto di una questione semantica di poco peso. Ciò che importa è il contenuto, non il contenitore. I tedeschi non hanno chiamato la loro legge fondamentale “costituzione” poiché, finché non si Per concludere, l’on. I. MENDEZ de VIGO chiede all’on. R. BUTTIGLIONE di trasmettere un messaggio importante. Sappiamo tutti, afferma, che il Trattato di Roma ha avuto un ruolo legislativo fondamentale nell’Unione. L’ambizione italiana dovrebbe essere che la Costituzione di Roma abbia lo stesso futuro che hanno avuto i Trattati di Roma. “Speriamo che nel 2003 il governo italiano e la Presidenza italiana ci riescano”. 34 35 GIORNATE DI STUDIO 24-27 SETTEMBRE 2001 ROMA Noëlle LENOIR, Girolamo SIRCHIA, Presidente del Gruppo Etico Europeo di Scienze Ministro della Sanità e nuove tecnologie 36 TEMA III: LE NUOVE FRONTIERE DELLA GENETICA UMANA: ASPETTI ETICI, GIURIDICI ED ECONOMICI Secondo Girolamo SIRCHIA, ministro della Sanitá, il primo punto da affrontare concerne l’importanza del far comprendere ai cittadini dell’Unione europea che il progresso della scienza non dev’essere fermato. É necessario che la scienza porti avanti il suo lavoro, poiché è grazie ai suoi progressi che si può sperare in una vita migliore per l’umanità, in una migliore alimentazione e un migliore ambiente. Sarebbe estremamente dannoso se la scienza venisse denigrata dai cittadini e se le persone comuni pensassero che la scienza sia qualcosa di negativo. Alcuni organi di stampa non facilitano la trasmissione di questo messaggio positivo. I nostri cittadini sono male informati e temono, pertanto, la scienza in maniera del tutto ingiustificata. Secondo il ministro SIRCHIA, occorre ricordare che non si deve subire il cambiamento, né il progresso tecnologico, ma piuttosto occorre orientare quest’ultimo verso un futuro che ci aggrada. Non basta che la scienza produca qualcosa di rivoluzionario perché questo sia automaticamente accettabile e utilizzabile a fini diagnostici o terapeutici. Pertanto, è opportuno collaborare ulteriormente con il mondo della ricerca per non essere presi alla sprovvista dai risultati sorprendenti o dalle prese di posizione che costituiscono sicuramente un’apertura verso il futuro, ma che possono rappresentare un enorme pericolo per la vita e la dignità dell’uomo. Da ciò, nasce la necessità di trovare un accordo su principi etici europei che siano assoluti e per cui non si ammettono deroghe. È importante per quanto riguarda il finanziamento della ricerca, ma anche per quanto concerne i comportamenti che devono assumere ogni giorno i rappresentanti del mondo medico e scientifico. Il ministro SIRCHIA conclude asserendo che il compito è arduo e che si tratta di una vera e propria sfida poiché bisogna conciliare l’apertura verso la ricerca, che dev’essere incoraggiata e potenziata - pur sempre nell’ambito di una cooperazione attenta affinché la ricerca miri sempre a preservare la salute - e la dignità dell’uomo e non sia utilizzata per scopi perversi. Il ministro SIRCHIA sottolinea che il Gruppo del PPE-DE ha sempre difeso i progressi scientifici, che sono sinonimo di salute e dignità umana ed è opportuno insistere su questa posizione, seppur con prudenza davanti a temi così delicati. La prima questione riguarda il rispetto della dignità dell’uomo e della vita. Per quanto concerne l’utilizzo di embrioni per la ricerca o per scopi più nobili, come la riparazione dei tessuti, ci troviamo di fronte a problemi etici sui quali sarà necessario riflettere. A tale proposito, il Gruppo del PPE-DE potrà aiutarci a orientare talune posizioni che attualmente sono ancora confuse. Recentemente, il Presidente Bush è stato costretto ad assumere una posizione intermedia, secondo la quale è consentito finanziare le ricerche che utilizzano linee cellulari provenienti dagli embrioni, autorizzando, dunque, automaticamente la creazione di nuove linee, data l’insufficienza di quelle esistenti. Poiché si tratta di prodotti creati in laboratorio e non più di embrioni, è possibile utilizzarli e moltiplicarli. Il compromesso raggiunto, però, non è stato gradito da tutti, ma forse va accettato per far avanzare la ricerca. Tuttavia, si tratta di un terreno estremamente delicato: si parte da principi che paiono accettabili, ma si rischia di arrivare in un attimo a situazioni assolutamente inaccettabili. La Signora LENOIR, Presidente del Gruppo europeo di etica, sottolinea il fatto che benché le nuove scoperte nel settore della genetica siano ampiamente pubblicizzate dai mezzi di comunicazione e le applicazioni pratiche siano ancora poco numerose, questo momento è caratterizzato dalla necessità di operare delle scelte politiche. Uno degli esempi più recenti riguarda le cellule staminali umane, ivi comprese le cellule embrionali. Sappiamo bene che questo tipo di ricerca è autorizzato, ma non darà risultati terapeutici prima di qualche anno. Alcuni scienziati parlano addirittura di vari decenni. Tuttavia, è oggi che si devono prendere le decisioni e formulare gli interrogativi. 37 LENOIR, che nel 1994 ha sostituito alla presidenza Marcelino OREJA, presenta brevemente il Gruppo europeo di etica. Il gruppo è stato fondato nel 1992 e nel 1998 le sue attribuzioni e il settore di competenza sono stati sensibilmente rafforzati. Si tratta di un gruppo pluralista, poiché i dodici membri che lo compongono rappresentano varie sensibilità religiose e filosofiche, nonché pluridisciplinare poiché le discipline rappresentate sono di vario tipo. Ne fanno parte giuristi, scienziati, medici, informatici, filosofi e teologi. Per status, esso fa capo alla Commissione, ma con un’apertura verso il Parlamento che può chiedere al gruppo di esperti di emettere un parere sulla base delle sue competenze. Esso ha inoltre uno status indipendente, nel senso che fa parte di quel gruppo di istituzioni che non possono essere definite chiaramente, ma sono espressione della forza d’inventiva dell’Unione europea, come d’altronde, è successo con la Carta. Il GEE formula dei pareri, l’ultimo dei quali, in ordine di tempo, si è occupato del tema delle cellule staminali e della clonazione terapeutica. LENOIR affronta tre punti che ritiene estremamente importanti: il primo concerne la ricerca sull’embrione e le cellule staminali: con le scoperte sulle cellule staminali annunciate dalla stampa alla fine del 1998 negli Stati Uniti, e quindi nel mondo, ci si è resi conto che la materia umana, i prodotti e gli elementi del corpo umano fino ad arrivare all’embrione, che non è un prodotto né un elemento, bensì l’inizio della vita umana, divengono oggetto non solo delle ricerche scientifiche, ma anche bene d’utilizzo in qualità di beni o potenziali beni di salute per l’uomo. Si tratta di una svolta estremamente importante che richiede, ovviamente, non solo una riflessione, ma anche decisioni a livello europeo. La seconda questione, che non è ancora molto sentita in Europa, mentre negli Stati Uniti è ampiamente dibattuta, concerne la diagnosi genetica. Per il momento, i test genetici predittivi non sono stati ancora commercializzati in Europa e sono utilizzati a titolo sperimentale in alcune strutture sanitarie, soprattutto negli ospedali pubblici e nei centri di ricerca sul cancro, ma arriveranno sul mercato europeo e ovviamente è necessario stabilire le condizioni di utilizzo dei test prima che siano commercializzati, perché probabilmente a quel punto sarà troppo tardi per reagire. LENOIR pone soprattutto l’accento sulle questioni etiche legate alle scienze della vita, ma nel loro contesto di mercato, poiché, come ben sappiamo, l’Unione europea o meglio la Comunità europea non ha le competenze necessarie per legiferare in materia di etica e nemmeno possiede la competenza diretta per legiferare né in materia di ricerca, né di medicina. Detto ciò, per garantire il buon funzionamento del mercato interno, tutta una serie di testi verte sulla genetica, indirettamente o direttamente, come ad esempio le direttive o i regolamenti sui prodotti farmaceutici, i testi legislativi sui test clinici, le direttive sugli OGM e sui brevetti. La terza questione riguarda il bioterrorismo e la guerra batteriologica. Per quanto riguarda il primo punto, la ricerca sull’embrione, le posizioni e le legislazioni in Europa sono estremamente contrastanti: dall’Irlanda, che considera l’embrione e il feto come un nascituro, il cui diritto alla vita è uguale a quello della madre, al Regno Unito che ha appena cambiato la legge sull’embriologia e la fecondazione umana per lasciare spazio alla clonazione terapeutica, ovvero alla produzione di embrioni clonati al fine di ottenere cellule staminali embrionali. Esistono numerose differenze al riguardo dal punto di vista giuridico ed etico tra i vari paesi europei. Tuttavia, sembra che le cose stiano un po’ cambiando. Non c’è un solo paese europeo che non definisca sistemi di protezione dell’embrione. Persino la legislazione inglese prevede restrizioni e controlli. Essa prevede un’authority che rende pubbliche tutte le ricerche effettuate e che indica nelle sue relazioni annuali fino a che punto sono arrivate queste ricerche, quali Anche al di fuori del mercato interno, ogni volta che l’Unione europea si occupa di questioni relative alla ricerca o alla salute o persino ai diritti fondamentali, si pone il problema dell’etica. È il caso del programma quadro “Ricerca” che sarà posto ben presto ai voti, poiché gli aspetti etici sono parte integrante della decisione sullo stesso. Nell’ambito della Carta dei diritti fondamentali dei cittadini, diversi articoli trattano direttamente di bioetica. Tutto ciò prova ancora una volta l’estrema sensibilità dei deputati europei che ha trovato la sua massima espressione nella commissione temporanea sulla genetica umana e le altre nuove tecnologie nel settore della medicina moderna sotto la presidenza dell’on. FIORI. 38 GIORNATE DI STUDIO 24-27 SETTEMBRE 2001 ROMA che siano i risultati ottenuti; essa, inoltre, ha la facoltà di ritirare le autorizzazioni concesse. È opportuno rilevare che se negli Stati Uniti dal 1994 i finanziamenti pubblici destinati alla ricerca sull’embrione sono severamente vietati dal Congresso, vero è che non vi sono disposizioni in merito alla ricerca nel settore privato, tanto che si viene a conoscenza dei risultati solo tramite i comunicati stampa. Viceversa, in Europa vi è una posizione comune sulla necessità di uno stretto controllo pubblico della ricerca negli ambiti in cui questa è permessa. È vero, però, che la situazione si è evoluta, in quanto fino ad oggi la ricerca sull’embrione ha avuto il solo scopo di migliorare i metodi di fecondazione in vitro, mentre attualmente, stando a quanto affermato da comunicati stampa talvolta eccessivi, ma che danno comunque degli indizi utili sugli orientamenti della scienza, si è in grado, con l’embrione e le cellule staminali prelevate dal cordone ombelicale dopo il quinto-settimo giorno di gestazione, di utilizzare questa sorta di materia prima per la produzione di organi e tessuti destinati ai trapianti o addirittura di trapiantarli così come sono per rigenerare organi e tessuti che la medicina non è stata finora in grado di curare. problematiche che vengono subito a mente sono di due tipi. In primo luogo, qual è la tipologia di test genetici autorizzata e a quali condizioni tali test potranno essere effettuati sui dipendenti nel mondo del lavoro (test preliminari all’assunzione, test per verificare che un lavoratore esposto a talune condizioni di pericolo non sia predisposto a questa o quella malattia). In secondo luogo, quale sarà l’utilizzo di questi test nel settore assicurativo (il che è attualmente consentito solo nel Regno Unito e in modo indiretto). Il problema, in questo caso, non è esattamente lo stesso dei test eseguiti nel mondo del lavoro: se è vero che esiste un diritto al lavoro, è anche vero che non esiste un diritto all’assicurazione e le tecniche assicurative servono proprio per valutare le probabilità che un cliente intenzionato a stipulare un contratto di assicurazione sulla vita possa o meno ammalarsi. È in funzione di questa probabilità che si stabilisce il premio assicurativo. Gli assicuratori, d’altronde, dispongono di ottimi argomenti per indagare sui rischi legati alla salute dei loro clienti, in quanto se non potessero svolgere tali ricerche, si produrrebbe una selezione “al contrario” che avrebbe come effetto quello di far pagare di più i soggetti più sani, rispetto a quelli che hanno dei problemi di salute, cosa che si scontrerebbe con il principio legato alla personalizzazione del rischio. Tuttavia, è anche vero che se si concedono troppe aperture, si rischia di causare l’esclusione assicurativa e l’emarginazione di centinaia di migliaia di persone con la scusa che queste hanno la sventura di avere determinate predisposizioni genetiche. Il programma quadro Ricerca e Sviluppo darà l’opportunità di pronunciarsi in merito alla questione. Tuttavia, si dovrà nuovamente porre il quesito su come conciliare mercato ed etica: in nome di che cosa si potrebbe vietare l’importazione di cellule staminali embrionarie da un paese all’altro ai sensi della legislazione europea? Si può ostacolare l’importazione di un prodotto per ragioni di salute pubblica (la famosa giurisprudenza “Cassis de Dijon”), ma non per motivi etici. Questi due argomenti riguardano direttamente l’Europa e il diritto comunitario, poiché si riferiscono ai lavoratori, alla circolazione dei lavoratori, alle condizioni di accesso al lavoro, alla legislazione sulle assicurazioni e devono essere oggetto di posizioni che, se non coincidenti, devono quanto meno potersi dire armonizzate. La seconda questione riguarda la diffusione dei test genetici. Il test genetico è ciò che consente di conoscere, diciamo, da 6 a 8 mutazioni genetiche, di cui ciascuno di noi è portatore e che rappresentano la parte difettosa del nostro DNA. Il difetto può essere di tre tipi: o si ha una mutazione genetica dominante, ovvero un gene dominante annuncia una malattia che si manifesterà sicuramente, o si è portatori di un carattere recessivo che rappresenta un rischio per la discendenza o ancora si tratta di mutazioni genetiche che indicano la particolare predisposizione a determinate malattie. La terza questione riguarda la produzione di armi batteriologiche grazie ai progressi compiuti dalla genetica umana. Nell’ambito di avvenimenti drammatici e catastrofici quali quelli recentemente vissuti dagli Stati Uniti, la genetica può essere d’aiuto grazie ai test di identificazione genetica: si tratta di quella che viene comunemente definita “impronta genetica”, ovvero la possibilità di conoscere l’identità di una persona a partire da un semplice bulbo di capello, da un pelo, da una traccia di sangue, anche se seccata da tempo, o da un residuo di sperma. Secondo LENOIR, si Che fare di questa massa d’informazioni? I test genetici possono costituire uno strumento di prevenzione che, però, deve essere ben definito. Le 39 dovrebbe riflettere attentamente sulla possibilità di eseguire degli scambi di impronte genetiche per condurre la lotta al terrorismo a livello europeo. europea sulla genetica umana. Non sarebbe meglio che i dibattiti sulla ricerca genetica che si sono svolti negli Stati membri, cosi accesi e ricchi di divergenze, si risolvessero non semplicemente con una legislazione nazionale, bensì con una legislazione europea? La seconda questione, che tocca il risvolto più negativo, è che la genetica umana, dopo la chimica e la biologia, può essere utilizzata per la costruzione di armi distruttive estremamente potenti. La preoccupazione della guerra batteriologica è nata a partire dalla guerra del Golfo, poiché in quest’occasione ci si è resi conto che in Iraq esisteva una grossa produzione di armi batteriologiche, di virus, di botulina e di antrace. Nelle relazioni della difesa nazionale di numerosi paesi, si evidenzia che in determinati Stati (Iraq, Iran, Sudan, Libia e Siria) si produrrebbero questi tipi di armi batteriologiche. Una convenzione dell’ONU del 1971, ratificata da più di 150 stati e segnatamente da quelli appena nominati, vieta nel modo più assoluto la produzione di questo tipo di armi. Ogni due anni, la convenzione dell’ONU è oggetto di conferenze e valutazione, ma come ben si sa ci si scontra con l’impossibilità di effettuare indagini e ispezioni. Negli Stati Uniti, come deciso di recente dal presidente Clinton, si investono miliardi nella prevenzione degli attacchi terroristici basati su armi batteriologiche che utilizzano OGM o virus. Ecco perché recentemente il governo americano ha infine rinunciato all’eliminazione del virus del vaiolo, che è stato conservato per poter eventualmente produrre vaccini che, in caso di attacco, non sarebbero altrimenti pronti prima di 5 o 6 anni. Esaminando le legislazioni nazionali attualmente vigenti relative a questi temi essenziali, constatiamo che siamo piuttosto lontani da un consenso a livello europeo. È vero che tutti i paesi sottolineano la questione della dignità dell’uomo, ma trattandosi di diagnosi preimpianto e di clonazione, il riconoscimento della dignità dell’uomo non è sempre un argomento valido per vietare la ricerca sugli embrioni e la diagnosi preimpianto. Sarebbe forse possibile prevedere una normativa europea che stabilisca le norme minime, considerando al contempo quanto già fatto dalle legislazioni a livello nazionale Tuttavia, E. BENDA si mostra personalmente piuttosto scettico al riguardo. Secondo lui, in mancanza di un consenso più vasto in materia di biopolitica o di genetica umana, sarebbe preferibile, nel caso di divergenze d’opinione persistenti, ritenere che la posizione degli altri vada rispettata e che essa sia eticamente valida piuttosto che relativizzare le varie posizioni per arrivare a un compromesso. Il compromesso è parte integrante di qualunque dibattito politico, ma è altrettanto necessario mantenere i principi fondamentali di ciascuno. Ai sensi del diritto tedesco e di una sentenza emessa dalla Corte costituzionale, sappiamo bene che quando è in gioco la dignità dell’essere umano non si può transigere, il che vale sia per la libertà della scienza e della ricerca sia per valori che mirano a sostenere l’etica della dignità umana. Per quanto concerne, ad esempio, la diagnosi preimpianto, il rispetto della dignità umana impedisce a livello costituzionale di respingere una vita che non si vorrebbe nemmeno se ci si basasse su ragioni mediche. Ciò impedisce soprattutto il diritto di scegliere il sesso del nascituro o di scegliere altre caratteristiche in base a criteri non medici. La ricerca sugli embrioni e la diagnosi preimpianto devono rispettare la dignità dell’essere umano e la stessa vita umana. Nel momento in cui si ipotizza una cooperazione di polizia e giudiziaria rafforzata in Europa, la riflessione sugli utilizzi non pacifici degli OGM è assolutamente impellente, da un lato al fine di sensibilizzare gli scienziati, le industrie farmaceutiche e le società che si occupano di biotecnologie che devono essere in grado di sorvegliare le attività svolte nel loro settore e, forse, anche prevedere un certo numero di ricerche condotte in nome dell’Europa. LENOIR conclude il suo intervento precisando che le questioni relative alla genetica non conoscono frontiere. Non vi sono limiti alla diffusione dei prodotti della genetica umana e alla commercializzazione dei prodotti della genetica umana e l’Europa ha, ovviamente, la sua opinione da esprimere. In Germania non si accetterebbe una normativa europea in contrasto con la legge fondamentale. Per concludere, E. BENDA sottolinea che se si dovesse elaborare una legislazione europea, questa dovrebbe essere conforme alle costituzioni di tutti gli Stati E. BENDA, ex ministro dell’Interno della Repubblica federale tedesca ed ex presidente della Corte costituzionale, esamina più in dettaglio la questione dell’opportunità dell’istituzione di una legislazione 40 GIORNATE DI STUDIO 24-27 SETTEMBRE 2001 ROMA membri. Le possibilità di arrivare al consenso assoluto in materia di genetica umana sono poche, ma questo non significa che ci si debba arrendere davanti alla costruzione europea; siamo persuasi del fatto che abbiamo convinzioni comuni nei nostri diritti fondamentali, convinzioni a volte un po’ dimenticate o nascoste, ma che occorre ricercare costantemente. Per quanto riguarda gli esprimenti sugli embrioni umani, il punto sta nel sapere a partire da quale momento ci troviamo di fronte a embrioni umani. Finora, nessuna risposta è stata data a questo interrogativo. Se non sappiamo esattamente quando si può parlare di embrione umano e, quindi, quand’è necessario porre una protezione, è difficile prendere una decisione soprattutto per quanto concerne gli embrioni congelati. Questi ultimi non possono svilupparsi e quindi non hanno la possibilità di divenire degli esseri umani. Potrebbero essere distrutti, ma l’on. A. TRAKATELLIS suggerisce che la migliore scelta consisterebbe in un loro eventuale utilizzo per la ricerca a patto, ovviamente, che la legislazione dello Stato membro lo consenta. Quest’idea potrebbe essere collegata al fatto che si dovrebbe anche cambiare la tecnica della fecondazione extrauterina al fine di evitare di produrre un numero eccessivo di embrioni. Il problema è che disponiamo attualmente di mezzo milione di embrioni congelati. Cosa faremo di tutti questi embrioni? Dovremo distruggerli o li dovremo utilizzare per il bene dell’uomo? La clonazione a scopo riproduttivo non è consentita. Occorre riflettere anche sulla clonazione terapeutica, che pone un altro problema: qual è il momento in cui si può parlare di embrione umano? Se prendo una cellula e la modifico, questa diventerà un embrione umano? È ancora tutto da discutere. La clonazione a scopi terapeutici sarà in futuro uno strumento estremamente utile. Cellule provenienti da cellule modificate potranno aiutare il donatore stesso. Tuttavia, sarà necessario trovare il modo di risolvere le questioni etiche e occorre lasciare uno spiraglio affinché un domani la scienza possa eventualmente portarci in questa direzione. Nell’ambito del dibattito, l’on. G. NISTICO sottolinea che la ricerca scientifica non può essere fermata. Dobbiamo fare tutti gli sforzi possibili e immaginabili per alleviare la sofferenza dell’essere umano al fine di ridurre il tasso di mortalità. Questo è il principio fondamentale al quale non possiamo rinunciare. Tuttavia, talvolta a livello politico ci troviamo di fronte a tutta una serie di principi morali a volte contraddittori. L’embrione appena concepito è considerato un essere umano. D’altronde è anche necessario riparare tessuti e organi. Molti esseri umani muoiono e la scienza ha il dovere di intervenire e trovare nuove soluzioni. A tale riguardo, l’on. G. NISTICO sottolinea che l’Italia, il paese che finora ha investito di meno rispetto agli altri paesi europei (1,5% del PIL rispetto alla media che abbiamo fissato a livello europeo), spera di poter destinare entro due anni il 3% del PIL alla ricerca scientifica. Egli confida che l’Italia possa dare un segnale nel senso di questa nuova filosofia, poiché l’Europa dovrebbe disporre di reti capaci di tener testa alla concorrenza delle reti americane e giapponesi, soprattutto in materia di terapia genetica e clonazione, affinché i nostri cittadini siano meno preoccupati e soffrano meno. Secondo l’on. U. SCAPAGNINI, non bisogna farsi spaventare dall’espressione “studio del genoma” e occorre dare maggiore sostegno alla ricerca sul genoma, non solo a livello italiano, ma anche europeo, nell’ambito del VI programma quadro. Questo ci permetterebbe di offrire maggior sicurezza e costi minori ai cittadini europei. Per quanto concerne l’informazione genetica e i test genetici, si deve lasciare che le persone scelgano liberamente e possano eseguire i test se lo desiderano. L’on. Trakatellis insiste sul fatto che dal punto di vista medico, la conoscenza è un punto di forza perché permette di difendere e proteggere l’essere umano. L’on. A. TRAKATELLIS esprime varie osservazioni in merito alla ricerca sulle cellule staminali. Egli ritiene che, se la ricerca è condotta con scopi ben precisi o per malattie ben definite non solo dovrebbe essere incoraggiata, ma anche finanziata. Il gruppo PPE-DE dovrebbe pertanto riconoscere che questa indicazione è del tutto adeguata, poiché queste cellule potrebbero essere utilizzate per la ricerca farmaceutica. Secondo l’on. OOMEN-RIJTEN, siamo concordi nel dire che la ricerca avanza rapidamente. Tuttavia, se la codificazione del genoma umano costituisce un enorme progresso, è comunque solamente uno strumento. Ciò che è decisivo sono le funzioni di questi geni. Ora abbiamo aperto la via a nuovi metodi diagnostici e terapeutici, a una modifica dell’utilizzo delle informazioni genetiche e all’ottimizzazione dei farmaci in funzione del 41 paziente stesso. Tutto ciò richiede una legislazione europea, soprattutto per quanto riguarda le diagnosi genetiche in materia di assicurazione e di assunzione in generale. Per quanto concerne le cellule staminali, l’on. OOMEN-RUJTEN ricorda che l’utilizzo di queste cellule a scopi terapeutici costituisce la più grande rivoluzione che la medicina abbia mai conosciuto nella lotta contro le malattie e, ad esempio, contro le difficoltà in caso di trapianto. Tuttavia, le aspettative terapeutiche per gli esseri umani in relazione a numerose malattie che dipendono da questi nuovi metodi medici vanno ben oltre tutto quello che possiamo conoscere e oltre le nostre stesse aspettative dal punto di vista etico. Infatti, gli esseri umani hanno nuove prospettive per il futuro, si aspettano un’ottimizzazione della vita, vogliono vivere più a lungo e accanto a tutto ciò i valori etici spariscono o sono quantomeno ridimensionati. Per tornare alla discussione sulle cellule staminali embrionarie o adulte, se è chiaro che occorre vietare l’intervento nelle cellule germinali e la clonazione, vero è che occorre ancora riflettere sulla questione della volontà di mettere la vita a disposizione delle ricerche o capire se vogliamo prima vagliare le alternative possibili. L’ on. OOMEN-RUIJTEN ritiene che occorre cominciare con il sondare le alternative esistenti per vedere quali sono i loro elementi chiave e quali sono i segnali che bisogna dare alle cellule staminali adulte affinché si sviluppino come cellule embrionali. attesi, nonostante quanto affermato appena un anno fa. La cellula staminale dell’individuo adulto e le cellule placentari presentano una maggiore plasticità e ora nella letteratura medica esistono numerosi e nuovi elementi che devono farci uscire dagli schemi di riflessione tradizionali. Esistono “cell factories” che, in tutto il mondo, producono o hanno prodotto cellule muscolari a partire dal sangue placentare. Sono state inoltre create cellule neuronali a partire da cellule placentari. Pertanto il dibattito deve essere legato anche alla realtà scientifica e non bisogna allontanarsene troppo, altrimenti si corre il rischio di trovarsi in ritardo rispetto al progresso scientifico. Secondo l’on. B. KHANBHAI occorre servirsi della scienza per prevenire e guarire le malattie. È chiaro che le cellule staminali embrionali sono molto diverse dalle cellule staminali adulte, poiché permettono agli scienziati di sviluppare più organi di quanto consentirebbero le cellule staminali adulte. Occorre pertanto, sotto stretto controllo governativo e legislativo, condurre ricerche sulle cellule staminali embrionali. Le cellule staminali embrionali possono essere ottenute dagli embrioni rigettati, evitando quindi di porre fine a una vita, quale che sia. La ricerca basata sulle cellule staminali è utilizzata e condotta da anni per i trapianti di midollo osseo e per la produzione di insulina. L’Unione europea dispone di una serie di scienziati che di fatto sono all’avanguardia in questo ambito e pertanto commetteremmo un grosso errore se perdessimo questi scienziati che potrebbero decidere di trasferirsi negli Stati Uniti o in Giappone. Abbiamo bisogno di tutelare i nostri cittadini e di curare coloro che sono colpiti dal morbo di Alzheimer, dal morbo di Parkinson, dalla sclerosi a placche e da tutte le altre malattie degenerative. Perché bloccare la scienza, perché frustrare i nostri scienziati quando la ricerca continuerebbe comunque negli Stati Uniti e in Giappone, mentre noi discutiamo di questioni etiche? Ovviamente le considerazioni etiche sono molto importanti, ma le nostre necessità sono altrettanto evidenti. In risposta al dibattito, il ministro della Salute, Girolamo SIRCHIA sottolinea che per quanto sia evidente che le posizioni divergono su numerose questioni, esistono comunque numerosi punti di convergenza: la ricerca non deve essere fermata, occorre svilupparla e catalizzarla su questioni strategiche. Viceversa, vi sono questioni, come quella degli embrioni congelati, del trasferimento nucleare e relative applicazioni sulla ricerca o a scopi terapeutici, nonché la clonazione, sulle quali è difficile trovare un consenso. Secondo il ministro SIRCHIA vi sono numerosi elementi obiettivi che occorre prendere in considerazione: l’embrione congelato non è il più adatto per la ricerca. I laboratori di ricerca vogliono utilizzare embrioni congelati, ma spesso la catena del freddo non è ben controllata, quando non è per niente controllata, e si conducono esperimenti estremamente lunghi e costosi con un elevato rischio di insuccesso. Gli insuccessi sono dieci volte superiori a quelli delle ricerche che utilizzano embrioni freschi. Si deve tener conto anche della realtà: la ricerca sulle cellule embrionali non ha dato finora i risultati L’on. M.T. HERMANGE sottolinea che se abbiamo molte incertezze al riguardo, è anche vero che abbiamo numerose certezze. Certamente i progressi dell’umanità saranno costruiti in futuro su criteri prevedibili che potrebbero mettere in causa il principio di umanità. La seconda certezza è che siamo tutti concordi su determinati criteri e soprattutto sul principio di 42 GIORNATE DI STUDIO 24-27 SETTEMBRE 2001 ROMA dignità che è stato ricordato a Berlino in occasione della riunione del Gruppo PPE/Unione dei valori, che rammentava che la persona umana deve essere e sarà posta al centro della nostra politica; questo comporta una serie di conseguenze e soprattutto l’impossibilità di operare una distinzione tra persone umane, persone o embrioni e esseri umani potenziali senza che ciò implichi l’introduzione di una discriminazione inaccettabile. La dichiarazione conclude affermando che dobbiamo trarne le conseguenze politiche. ricerca sugli embrioni, il Parlamento europeo ha già rifiutato questo tipo di ricerca e il nostro Gruppo ha sostenuto il rifiuto: i fondi comunitari non possono essere utilizzati per finanziare una ricerca illegale negli Stati membri. La ricerca sugli embrioni è illegale almeno in quattro dei nostri Stati membri. Esistono alternative meno contrastate per quanto riguarda l’utilizzo delle cellule staminali adulte, delle cellule provenienti dalla placenta e dal cordone ombelicale. Per quanto concerne l’utilizzo di embrioni sovrannumerari, anche in questo caso si rischia di imboccare una strada piena di pericoli: se lo autorizzassimo rischieremmo di incoraggiare la produzione di un numero ancora più elevato di embrioni sovrannumerari. Pertanto, nel rispetto della nostra tradizione europea, l’on. R. SCALLON suggerisce che non si riduca la persona alle sue componenti biologiche perché, così facendo, rischieremmo di perdere di vista la dignità umana di coloro che sono nati, nonché di coloro che ancora non lo sono. La terza certezza è che siamo tutti contrari alla clonazione umana e che ci opponiamo tutti all’eugenetica. La quarta certezza è che è importante considerare con severità i protocolli medici applicabili relativamente alla manipolazione delle catene genetiche. La quinta certezza è che la sfida è appena cominciata. In considerazione di quanto enunciato, il gruppo deve rispondere a una serie di domande. Il gruppo è d’accordo sulla ricerca sulle cellule staminali? Il gruppo approva gli esperimenti sugli embrioni umani e soprattutto sugli embrioni sovrannumerari? Bisogna rispondere in modo inequivocabile a queste domande. È necessario che non vi possano essere interpretazioni molto differenti. Secondo l’on. J. EVANS, una cosa è chiara: il Gruppo del PPE-DE deve assumere un atteggiamento e un comportamento etici. Stupirebbe se un gruppo che si proclama democratico cristiano fosse reticente a esprimere una posizione etica. L’on. J. EVANS è contrario alla clonazione sia a scopi terapeutici, sia a scopo riproduttivo. Egli si esprime sulla necessità di proseguire le ricerche nell’ambito delle cellule staminali adulte e delle cellule staminali che provengono, ad esempio, da aborti spontanei. Non dovrebbero esistere troppe divisioni in seno al gruppo in merito a questo tipo di questioni. Tuttavia, non si devono utilizzare fondi europei per attività che sono illegali in alcuni dei nostri Stati membri. In quest’ambito, se vi sono Stati membri che hanno deciso che tale ricerca debba essere autorizzata e legalizzata, allora dovrebbero essere essi stessi a mettere a disposizione dei fondi per la ricerca. I fondi non dovrebbero provenire dal programma comune di ricerca. Lasciamo che gli Stati desiderosi di portare avanti questa ricerca la finanzino da sé. In secondo luogo, occorre che, in un futuro più lontano, l’Unione europea crei un’istanza di coordinamento e ricerca nel settore del bioterrorismo stanziando finanziamenti adeguati. Terzo punto, l’on. M.T. HERMANGE afferma di essere favorevole a una istituzionalizzazione del comitato etico europeo interistituzionale come interfaccia delle varie istanze in coordinamento con le associazioni dei malati che vi lavorano e che possono intrattenere un dialogo e a una rete che ci permetta di effettuare degli scambi con l’insieme dei nostri concittadini. L’on. R. SCALLON pone l’accento sul rispetto della dignità umana e il diritto all’integrità di cui deve godere ogni essere umano, principi insiti nelle tradizioni europee e nel programma del partito democratico cristiano che è stato approvato a Berlino. In seno all’Unione europea, a dispetto delle nostre differenze nazionali, molti principi etici comuni sono stati oggetto di un accordo ed ella propone che su questa base si decida a favore del maggior numero di norme possibile relativamente a determinate questioni. Per quanto concerne la L’on. A. VATANEN pone l’accento sull’aspetto morale delle nostre decisioni. Apprezzo il progresso scientifico, dice, ma lo sviluppo della scienza e la sua evoluzione non sono un fine a sé. Ogni vita è unica e ha valore proprio. Ciò che rende bella la vita è la diversità. Egli non si esprime contro la ricerca medica, anzi, chiede che si abbia una base morale solida nel momento i cui si prendono delle decisioni. 43 LORD BETHELL ricorda ai colleghi che nell’Unione europea più di mezzo milione di persone soffrono, come lui, del morbo di Parkinson. Speriamo, dice, di poter risolvere il problema perché ci viene detto continuamente che la ricerca medica è sul punto di trovare una medicina efficace per contrastare non solo il morbo di Parkinson ma anche le altre malattie neurologiche, la sclerosi a placche e altre patologie. durante la differenziazione cellulare. Le leggi sugli aborti parlano della 20a, 22a o 24a settimana. Secondo l’on. R. HELMER sarebbe sbagliato assumere la posizione assolutista di una minoranza della società che auspica che i diritti dell’uomo siano attribuiti all’embrione a partire dal momento della fecondazione. Occorre lasciare un’apertura ai più pragmatici che sperano di favorire la ricerca. A proposito di tale questione, che infervora notevolmente gli animi, egli concorda con coloro che affermano che i malati neurologici non devono perdere la speranza e devono continuare a esercitare pressioni a favore di un incremento delle ricerche, ma non a discapito della dignità della vita umana nella sua forma più innocente. Per il futuro dell’industria, della scienza e della ricerca, nonché per coloro che sono colpiti da malattie che potrebbero beneficiare della ricerca, l’on. R. HELMER lancia un appello a favore della libertà di ricerca di chi non condivide quel punto di vista. L’on. M. FLEMING si rammarica per il fatto che la questione della dignità umana è affrontata a livello economico e giuridico attraverso questioni relative alle assicurazioni o ai brevetti. A suo parere, nel nostro gruppo, l’unica questione fondamentale riguarda l’aspetto morale e etico che non è mai stato oggetto di un dibattito in merito. Quando, un uomo, diventa tale? La maggior parte degli scienziati ritiene che l’essere umano è tale al momento della fusione delle due cellule. A partire da quel momento, quell’embrione non può essere utilizzato per aiutare un altro essere umano, perché l’embrione è impotente ed è un bambino sano. La ricerca è necessaria, ma è necessario che si diriga nella giusta direzione, Si potrebbero utilizzare cellule staminali adulte piuttosto che embrioni umani. Perché utilizzare la vita di un embrione visto che vale tanto quanto un’altra vita? L’on. J. PURVIS si proclama a favore della creazione di un organo, come il GEE, che potrebbe aiutarci e che potrebbe approvare volta per volta le norme necessarie alle nuove tecnologie e le norme etiche. Egli ricorda che il Regno Unito è il paese con la normativa più severa e più precisa. Tutte le decisioni devono essere presentate al comitato che le approva o le rifiuta. Il GEE potrebbe fare altrettanto a livello europeo. L’on. R. HELMER si mostra alquanto sorpreso di trovarsi a difendere l’azione di un governo laburista britannico. L’atteggiamento assunto dal governo aiuterà molto le persone malate, come Lord BETHELL, ma anche la scienza e l’industria britanniche e in realtà non farà del male a nessuno. Secondo lui, la questione del sapere quando ha inizio la vita dell’uomo non ha troppa importanza. Il problema sta nel capire in quale momento dello sviluppo di un embrione devono essergli attribuiti i diritti dell’uomo. Secondo l’on. R. HELMER è una questione etica. La risposta non verrà né dalla scienza, né dalla ricerca. La risposta verrà da quelli che riteniamo i nostri valori in quanto società, conforme al nostro valore etico e religioso e verrà anche dalla legislazione che adotteremo. Il nostro compito in veste di legislatori consiste nel trovare una risposta alla questione del momento in cui attribuire i diritti dell’uomo a un embrione. È una questione assolutamente soggettiva e i pareri in merito sono completamente divergenti. L’azione più logica è lasciare tali questioni alla coscienza di ciascuno di coloro che devono prendere decisioni in merito Abbiamo sentito varie idee relative al momento in cui ha inizio la vita. Alcuni ritengono che la vita cominci al momento del concepimento, Secondo l’on. P. ARVIDSSON, la genetica umana è una questione difficile per i responsabili politici, ma le sue conseguenze per il futuro sono importanti. Noi siamo responsabili, dice, nei confronti dell’essere umano. Quando si parla di genetica applicata, è importante esprimere chiaramente ciò che vogliamo per il futuro: quali sono i nostri obiettivi? Cosa vogliamo evitare? Cosa ci sembra aberrante? Sembra che tutti accettino la ricerca basata sulle cellule staminali adulte, ma è molto più difficile concepire l’evoluzione della ricerca affinché i risultati della ricerca siano applicabili. Per quanto concerne il problema delle cellule staminali embrionali, sarà necessaria una legislazione comune in merito. È una sfida importante per il futuro. Dobbiamo prendere delle decisioni e tutti coloro che si trovano di fronte a questa difficile scelta devono spiegare che le ragioni 44 GIORNATE DI STUDIO 24-27 SETTEMBRE 2001 ROMA L’on. C. FERRER fa due commenti. Il dibattito ci ha fatto comprendere che esistono ancora troppe incertezze riguardo a tutte le questioni legate alle biotecnologie. Abbiamo messo in evidenza alcune certezze esistenti. C’è una certezza ed è quella della dignità umana. La ricerca non può oltrepassare i limiti posti dal rispetto della dignità umana. Il nostro Gruppo si mostra totalmente d’accordo su questo punto, ma il dibattito ha toccato anche la necessità di rispondere a due quesiti. Primo quesito: quando inizia la vita umana? Non si deve rispondere partendo da una prospettiva religiosa. La vita umana comincia scientificamente in un momento preciso che bisogna definire. I diritti fanno parte della persona e derivano dalla sua dignità indipendentemente dal loro riconoscimento giuridico. Non possiamo affermare che una persona diventa tale dal momento in cui diventa un soggetto di diritto. Esistono diritti innati nella nostra condizione di persona, ma l’importante è dare una risposta scientifica alla questione del momento in cui comincia veramente la vita umana. umanitarie dovrebbero consentire di isolare alcune cellule staminali embrionali affinché si possa realizzare una determinata ricerca su quel tipo di cellule. È difficile creare una legislazione unica, tuttavia ciò è necessario: se ci accontentassimo delle legislazioni nazionali, avremmo un quadro frammentario che porterebbe a delle incertezze giuridiche. L’on. R. BRUNETTA ritorna sulla questione dei test genetici. A tale proposito, dovrebbe essere istituita una normativa europea volta a riaffermare le acquisizioni di un secolo e mezzo di welfare state che non ha causato discriminazioni per quanto concerne le assicurazioni pubbliche. Tuttavia, le assicurazioni private potranno utilizzare i test predittivi, il che è tutt’oggi in uso: se si vuole stipulare un’assicurazione integrativa sulla vita, ci si deve sottoporre a una visita medica e, a seconda dello stato di salute, si deve pagare un determinato premio assicurativo. Si dovrebbe procedere a una nuova classificazione dei principali rischi sanitari per avere una copertura pubblica il più possibile ampia finanziata dai sistemi contributivi al fine di evitare discriminazioni sul luogo di lavoro e sui diritti di ciascun cittadino. Tuttavia, per ciò che concerne i test predittivi genetici nell’ambito dell’assicurazione privata, gli assicuratori possono considerare la salute un bene privato e sottoporla, pertanto, alla legge della domanda e dell’offerta. L’on. E. R. KORHOLA ricorda che è stato detto che non bisogna ostacolare la scienza e che non si può fermare il progresso scientifico. Sembra che consideriamo tutto ciò come un acquisizione, dice, ma allo stesso modo sappiamo che nel caso della clonazione a scopo riproduttivo il principio non può essere applicato. Dunque, ad un certo punto la scienza deve essere guidata, orientata. La scienza non deve essere una forza cieca: possiamo sicuramente decidere del tipo di ricerca che finanzieremo. Il secondo quesito al quale occorre rispondere è il seguente: in nome di cosa possiamo permettere che una vita umana si trasformi in uno strumento al servizio della scienza, della tecnica o dell’umanità? Questa è una domanda d’importanza fondamentale. Nel testo di Berlino sui valori del PPE, facciamo una serie di affermazioni molto chiare che dovrebbero far parte anch’esse della dichiarazione di Roma che nascerà a partire dal dibattito stesso. L’on. C. FERRER non ritiene che si debba accettare come un dato di fatto la ricerca sulle cellule staminali. Il dibattito che si è appena concluso mostra il mancato consenso in merito. Viceversa, nel documento di Berlino, diciamo chiaramente che accettiamo gli esperimenti sull’uomo solamente se sono destinati a tutelare la salute e la vita di quell’embrione. Questa posizione deve riflettersi nella dichiarazione di Roma che seguirà al dibattito che abbiamo appena concluso. Che cosa intendiamo con “dignità umana”? L’essere umano è uno scopo di per sé e non deve essere utilizzato per gli scopi di qualcun altro. L’essere umano ha un valore in quanto tale indipendentemente dal suo stato di salute. La questione di base consiste perciò nel sapere quando ha inizio la vita. Ci sono due possibilità: si può assumere un atteggiamento realista o un atteggiamento speculativo. Non si può confrontare un embrione a un elemento spermatico. Entrambi potranno diventare in futuro degli esseri viventi, ma nel caso dell’embrione il potenziale è reale, nel caso dello sperma, si tratta di pura speculazione. In risposta agli interventi, LENOIR sottolinea che non si può rispondere al quesito: “cos’è la vita umana?”. È una domanda che ci si pone sin dalla nascita della biologia. Non esistono risposte scientifiche alla questione del momento in cui ha inizio della vita umana. Persino in ambito religioso la questione è stata ampiamente dibattuta, poiché i Padri della Chiesa, in base alle conoscenze dell’epoca, pensavano che la vita, che il feto che faceva parte del corpo della madre, fosse quasi acqua e che poi, al 50° giorno nel caso dei maschi, e nel 90° giorno nel caso delle 45 femmine (forse perché le bambine sono più brave), l’anima raggiungeva il corpo del feto. Oggi, si stabilisce l’inizio della vita umana nel momento della concezione. assicurative. È vero che le compagnie assicurative hanno bisogno di calcolare le probabilità che i loro clienti hanno di ammalarsi, ma ciò può entrare in conflitto con un’altra idea, quella della libertà e del diritto di non sapere. Non si dovrebbero obbligare le persone a sapere se sono condannate quando fanno una richiesta d’assicurazione. Solo un tipo di ricerca pone problemi: quella sull’embrione. Che si ritenga che si tratti di un essere intero o no, questo tipo di ricerca è estremamente delicato poiché si tratta dell’inizio della vita umana. L’argomento dev’essere discusso, così come si è fatto per l’interruzione della gravidanza e per la fecondazione in vitro per la quale si noti che, tranne in Germania, nei paesi in cui è autorizzata, essa dà luogo alla creazione di embrioni sovrannumerari poi distrutti, in caso di mancato utilizzo successivo per la procreazione assistita. Oggi il problema si ripropone a causa delle nuove prospettive relative all’utilizzo estremamente ipotetico e lontano delle cellule staminali embrionali. Occorre trovare una risposta morale e dunque politica, poiché adesso sono i legislatori a doversi pronunciare su argomenti di questo tipo. E. BENDA ridiscute alcuni punti. Per quanto riguarda la questione del momento in cui ha inizio la vita umana, E. BENDA ritiene che per coloro che fanno parte di un’istanza legislativa, parlamentare o politica, si tratta di una decisione normativa piuttosto che biologica, medica o etica. Secondo lui, si potrebbero istituire dei comitati etici, ma per quanto riguarda le decisioni fondamentali non ci si dovrebbe affidare completamente a loro, quanto piuttosto a decisioni pragmatiche caso per caso. La decisione normativa, così come scaturisce dalle decisioni della Corte costituzionale tedesca, mira giustamente a rispondere alla questione del momento in cui comincia la vita umana, non tanto in senso biologico, quanto nel senso di ciò che occorre fare per tener conto dei principi fondamentali in base ai quali vogliamo organizzare la nostra struttura, la nostra società. La Signora LENOIR pone l’accento su due idee: la prima riguarda il codice genetico universale. Occorre riflettere sulla portata di queste manipolazioni genetiche; la struttura biochimica di un gene à la stessa per qualunque specie, il che fa sì che si possa trasferire un gene umano in un maiale per umanizzarne gli organi da utilizzare successivamente per i trapianti. Recentemente un gene prelevato da una medusa è stato inserito nell’embrione di una scimmia dando vita a una scimmia fluorescente. Cosa intendiamo per dignità dell’essere umano? Secondo E. BRENDA, l’elemento più importante è la debolezza dell’embrione: più un essere umano è debole, maggiore dev’essere la protezione che riceve. Si tratta di una direzione che possiamo sicuramente seguire e che potrebbe aiutarci nella scelta delle decisioni da adottare. La seconda idea riguarda la clonazione. Un elemento genetico può essere riprodotto quasi all’infinito in quantità illimitate. Le linee cellulari possono essere riprodotte tramite clonazione. Prendendo circa 60 linee cellulari, si possono creare migliaia e migliaia di linee cellulari utili a partire da quelle in buono stato. Tutto ciò serve a dire che la questione dell’inizio della vita umana fa veramente parte delle convinzioni personali e che in Europa non siamo ancora maturi per avere leggi che disciplinino la questione. In compenso, è necessario fissare norme sanitarie relative all’utilizzo delle linee cellulari e delle cellule staminali adulte che sono già utilizzate per i trapianti. Si tratta di prodotti di origine umana che, come il sangue, possono apportare benefici terapeutici. Per concludere, egli pone il seguente quesito: che cosa rappresenta l’embrione nella prospettiva cristiana? Guardando un embrione si vede un’immagine. Ad esempio, si tratta di un embrione umano o un embrione di pollo? È vero che si tratta di un ammasso di cellule, ma in quanto cristiani, dice, si deve vedere in esso la mano stessa del Creatore, il che è ben diverso da un ammasso di cellule. L’on. Peter LIESE sintetizza le varie opinioni espresse nell’ambito del dibattito. Secondo lui, è ovvio che il Gruppo si esprima a favore della ricerca medica, nonché a favore delle biotecnologie moderne: non vogliamo avere un atteggiamento di rifiuto, dice, verso tutto ciò che riguarda la manipolazione genetica. N. LENOIR solleva il problema della delicatezza della proposta relativa ai test genetici nelle compagnie 46 GIORNATE DI STUDIO 24-27 SETTEMBRE 2001 ROMA Si è anche concordi nell’affermare che occorre fissare determinati limiti laddove è in gioco la dignità umana. Non si può dire che violeremo la dignità dell’uomo qualora la scienza lo reputi necessario. Tuttavia, i punti di vista in merito alla questione di sapere in che momento si viola la dignità umana sono divergenti. Il compito che la relazione FIORI sulla genetica umana dovrà portare a termine si annuncia difficile. Gruppo del PPE-DE potremo cercare di avvicinare i punti di vista, di trovare formule di compromesso che soddisfano la maggior parte del gruppo e, a quel punto, avremmo la possibilità di aiutare il nostro relatore, l’on. F. FIORI, a trovare una maggioranza in seno al Parlamento. Dobbiamo aiutare il nostro relatore in maniera costruttiva, poiché nelle prossime settimane il suo lavoro sarà già abbastanza complicato. Per quanto concerne la questione della ricerca sulle cellule staminali e della clonazione, i punti di assoluto consenso sono due: nessuno appoggia la clonazione a scopo riproduttivo e nessuno spera che vengano alla luce bambini clonati. Siamo inoltre d’accordo sul fatto che vogliamo sostenere la ricerca in materia di cellule staminali, ma a partire da cellule adulte. L’on. P. LIESE non sa se riusciremo a trovare una formula di compromesso per gli altri punti, poiché vi sono numerose questioni che toccano convinzioni fondamentali. Alcuni oratori non si sono opposti a nessuna ricerca sugli embrioni umani, ma si oppongono alla fabbricazione di embrioni ai fini della ricerca. Altri oratori intervengono sulla questione della convenzione del Consiglio d’Europa. Viene fatta una distinzione estremamente chiara tra gli embrioni fabbricati ai fini della ricerca e gli altri. Per quanto concerne gli embrioni sovrannumerari, le posizioni sono alquanto nette: il 50% è favorevole alla ricerca su questo tipo di embrioni mentre l’altro 50% è contrario. Non esiste ancora una normativa europea e non si possono prendere decisioni in merito. A tale riguardo, il dibattito non è ancora sufficientemente sviluppato poiché le posizioni restano divergenti negli Stati membri. Ci si deve chiedere anche se possiamo promuovere finanziariamente determinati tipi di ricerca. Si dovrebbero concentrare i crediti nei settori in cui siamo d’accordo, come la ricerca sulle cellule staminali adulte. I test del DNA e i test genetici dovrebbero essere inizialmente autorizzati, ma si dovrebbe stabilire un quadro e la relazione FIORI dovrà difendere chiaramente questo punto. Si tratta di una delle questioni fondamentali per il futuro della genetica umana in Europa e dovremmo avere norme minime comuni in merito alla questione. Per concludere, l’on. P. LIESE sottolinea che è molto difficile arrivare a una posizione unica in merito, ma se facessimo uno sforzo in seno al 47 Editore: Gruppo del Partito Popolare Europeo (Democratici Cristiani) e Democratici Europei al Parlamento Europeo Servizio Ricerca e Documentazione Responsabile: Pascal FONTAINE, Segretario generale aggiunto Coordinatrice: Christine DETOURBET Indirizzo: 60,rue Wiertz 1047 Bruxelles Belgio Tel: +322 284 2326 Internet: http:/www.epp-ed.org E-mail: [email protected] Realizzazione: Finlande Grafic Design