Architettura e paesaggi nell`800

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Architettura e paesaggi nell`800
ARCHITETTURA E PAESAGGIO
NELL’OTTOCENTO
Mission Héliographique, incarico, 1851
• (…) A seguito dell’esame condotto a più riprese dalla Commissione, dei
risultati ottenuti da diversi artisti per la riproduzione dei monumenti per
mezzo della fotografia su carta, la Commissione ha deciso di affidare a
cinque persone una missione avente lo scopo di raccogliere un certo
numero di stampe destinate a completare gli studi svolti dagli architetti
della Commissione, per il restauro degli edifici storici più preziosi.
Sarebbe intenzione della Commissione di affidare la missione ai Signori
Baldus, Le Secq, Bayard, Mestral e Le Gray, e di assegnare loro una
indennità di viaggio simile a quella che ricevono gli architetti del
servizio dei Monumenti Storici. Il prezzo delle stampe sarà definito
quando esse saranno raccolte, in ragione della loro grandezza e del loro
grado di perfezione, dalla sotto-commissione incaricata di valutare i
lavori grafici degli architetti (…).
Mission Héliographique, 1851
Edouard Denis Baldus
Mission Héliographique. Gustave Le Gray, 1851
Mission Héliographique. Henri Le Secq, 1851
Baldus, Album Chemin de fer, Toulon, 1859
Charles Marville, Parigi anni Sessanta
Marville, Abbattimento avenue de l’Opéra, Paris, 1865
Delmaet et Durandelle,
Costruzione della nuova Opéra, 1865
Emile Durandelle,
Costruzione della Tour Eiffel, 1887
Francis Frith, Egitto 1857
Francis Frith, Egitto e Palestina, 1860
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Solo un fotografo sa, e sa capire, la difficoltà di trovare un punto di vista
soddisfacente. In particolare, ci sono primi piani perversi; soggetti troppo lontani
o troppo vicini; terreni in pendenza, la presenza di muri di mattoni o altre
strutture che un artista semplicemente escluderebbe; queste e altre cose sono la
regola, non l’eccezione. Cercando dove piazzare la macchina, mi è spesso venuta
in mente quell’affermazione del grande meccanico dell’antichità: “Datemi un
punto d’appoggio e vi solleverò il mondo!” Che immagini faremmo se potessimo
disporre liberamente del punto di vista!
Anche le difficoltà che ho dovuto superare nel lavorare con il collodio in quei
climi caldi e secchi erano molto serie. Quando, alla seconda cataratta, a mille
miglia dalla foce del Nilo, con il termometro a centodieci gradi dentro la mia
tenda, il collodio quando veniva versato sulla lastra letteralmente bolliva, ho
dubitato di riuscire. Piano piano, tuttavia, ho superato questa e altre difficoltà, ma
ho sofferto molto durante il viaggio per la seria fatica dovuta alla rapidità con la
quale bisogna procedere in ogni stadio del processo in climi come questi, e per
l’eccesso di sudorazione causato dal caldo soffocante della piccola tenda, nella
quale non doveva entrare il minimo filo di luce, e di conseguenza neppure il
minimo filo d’aria. (…)
Francis Frith, Egitto 1857
Maxime Du Camp, Egitto 1849
Maxime Du Camp, Les souvenirs littéraires, 1882
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Nei miei viaggi precedenti avevo notato che perdevo un tempo prezioso a disegnare i
monumenti e i panorami di cui volevo serbare il ricordo: disegnavo lentamente e in modo
poco corretto; inoltre le note che prendevo per descrivere un edificio o un paesaggio,
quando le rileggevo a distanza di tempo, mi sembravano confuse e avevo capito di aver
bisogno d’uno strumento di precisione per tornare con immagini che mi avrebbero
permesso ricostruzioni esatte. Stavo per percorrere Egitto, Nubia, Palestina, Siria, Armenia,
Persia e tanti altri paesi dove le civiltà, nel succedersi, hanno lasciato tracce; volli mettermi
in grado di raccogliere la maggior copia possibile di documenti. Entrai dunque da un
fotografo a far l’apprendista e mi misi a manipolare prodotti chimici.
Allora la fotografia non era quella che è diventata poi; non esistevano vetri, collodio,
fissaggio rapido, operazione istantanea. Eravamo ancora al processo della carta umida,
processo lungo, meticoloso, che esigeva una grande abilità di mano e più di quaranta minuti
per portare a compimento una prova negativa. Qualsiasi fosse la forza dei prodotti chimici e
dell’obiettivo adoperato, per ottenere un’immagine, anche nelle condizioni di luce più
favorevoli, c’era bisogno di una posa di almeno due minuti. Per quanto lento fosse tale
processo, esso costituiva un progresso straordinario rispetto alla lastra dagherrotipica, che
presentava gli oggetti in senso inverso e che spesso i lustri metallici impedivano di
distinguere. Imparare a fotografare era cosa da poco; ma trasportare l’attrezzatura a dorso di
mulo, di cavallo, d’uomo era un problema difficile. (..) ero costretto ad adoperare fiale di
vetro,flaconi di cristallo, bacinelle di porcellana che un accidente poteva mandare in pezzi.
Feci fare degli astucci come per i diamanti della Corona e, nonostante gli urti inevitabili nei
trasbordi, riuscii a non rompere nulla e per primo a riportare in Europa la prova fotografica
dei monumenti incontrati in Oriente.
Maxim Du Camp, Egitto, Karnak, 1849
Antonio e Felice Beato, Luknow, India, 1857
Antonio e Felice Beato, Giappone, 1868-76,
stampe all’albumina colorate a mano
Fratelli Alinari,
Firenze, via della Vigna Nuova, 1865
Alinari, Roma anni Ottanta
Alinari, Museo Pio-Clementino, fine 800
Alinari, Roma, Palazzo Vaticano, la Scala Regia, 1895
Alinari, laboratori di sviluppo e stampa, fine 800
Alinari, sala attesa e sala di posa, fine 800
Fotografi esploratori americani
William Henry Jackson, anni Settanta
William Henry Jackson,
Autobiografia, 1857 (pubblicato nel 1940)
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Dopo essere stati a Yellowstone, ci dirigemmo verso Tower Creck. Nel punto
in cui la corrente arriva nella gola la vista è meravigliosa – ma riprenderla sulla
lastra di vetro dal letto del fiume si trasformò nel mio più grande problema
fotografico dell’anno. Arrampicarsi su e giù per le ripide pareti del canyon non
era una impresa insuperabile, e nemmeno spostare la macchina: ma lo era
mettere la camera oscura a sufficiente distanza per poter lavorare, e infatti in
assenza di un aiuto meccanico questo non si poteva fare.
Poiché non si poteva portare la montagna a Maometto, bisognava trovare un
altro metodo, e alla fine riuscii a risolvere la situazione. Dopo aver sistemato la
macchina in fondo alla gola e dopo aver messo a fuoco, preparavo una lastra, la
rinforzavo con carta assorbente bagnata, poi scivolavo giù, anzi ruzzolavo giù
fino alla macchina, ed esponevo. Fatta la ripresa, dovevo risalire portando la
lastra esposta avvolta in un panno umido. Con l’aiuto di Dixon, che puliva e
lavava le lastre, riuscii a ripetere questo processo quattro o cinque volte. La fine
del giorno ci trovò esausti ma orgogliosi, e avevamo motivo di essere
soddisfatti, perché nemmeno una sola lastra si era seccata prima dello sviluppo.
William Henry Jackson, 1865 circa
William Henry Jackson, Red Rock Pass, anni Settanta
Timothy O’Sullivan, Pyramid Lake, 1867
Timthy O’ Sullivan, Washakie Bad Lands, 1872
Timothy O’ Sullivan, Fotografie delle High Rockies, 1869
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Il volume d’acqua delle Shoshone Falls è piccolo se paragonato a quello enorme
che dà grandezza a quella parte di Niagara che è nota come American Fall.
Nelle Shoshone come primo spettacolo abbiamo una cascata dopo l’altra. Ogni
cascata è splendida in se stessa, e le grandi pareti rocciose sono corrose dal
continuo battere dell’acqua che crea forme particolari.
Le caratteristiche della zona circostante la cascata principale consentono di
riprendere la scena da ogni punto di vista. Stando sulle rocce a strapiombo sul
letto della cascata, è possibile ottenere una veduta a volo d’uccello di uno dei
più sublimi scenari delle Rocky Mountains. (…)
Nell’intera regione delle cascate c’è una bellezza così selvaggia che ci si sente
pervasi da un sentimento che inconsciamente ti porta a pensare di essere se non
il primo uomo bianco ad aver messo piede qui, certamente uno dei pochissimi
che si siano avventurati così lontano. Dall’isola poco prima della cascata non è
possibile vedere il grande salto che fa l’acqua, ma certamente non si può non
percepire di essere in presenza di uno dei più grandiosi spettacoli della Natura al
solo fragore dell’acqua e alla vista della corrente impetuosa. (…)
Carleton Watkins, Alcatraz, 1866
Carleton Watkins, Palo Alto, 1867