“Bronx” di Robert De Niro

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“Bronx” di Robert De Niro
Con il patrocinio del
Comune di Bologna –
Quartiere Savena
Approfondimento
bibliografico a cura della
Biblioteca “Ginzburg”
Oratorio Don Bosco
via B. M. Del Monte, 12
40139 BOLOGNA
C.G.S. “Vincenzo Cimatti”
Progetto CINEMAINSIEME
in collaborazione col circolo ARCI Benassi
“Genitori e figli:
la figura paterna nel rapporto educativo”
Una rassegna di tre pellicole per intraprendere una riflessione sulla vita.
1. martedì 8 marzo 2011
2. martedì 15 marzo 2011
3. martedì 22 marzo 2011
“Bronx”
di Robert De Niro
“Le chiavi di casa”
di Gianni Amelio
“Big Fish – Le storie di una vita incredibile”
di Tim Burton
1
martedì 8 marzo 2011 ore 20:45
verrà proiettato, in sala audiovisivi dell’oratorio, il film
“Bronx”
di Robert De Niro
SCHEDA
titolo Bronx (tit. orig.: A Bronx Tale)
distribuito da Penta Distr.
Robert De Niro (Lorenzo Anello)
[dopp. da Ferruccio Amendola], Chazz
Palminteri (Sonny LoSpecchio) [dopp.
da Michele Gammino], Lillo Brancato
(Calogero 'C' Anello a 17 anni) [dopp.
da Fabrizio Manfredi], Francis Capra
(Calogero 'C' Anello a 9 anni) [dopp. da
Simone Crisari], Taral Hicks (Jane
Williams) [dopp. da Francesca
Fiorentini], Kathrine Narducci (Rosina
Anello) [dopp. da Sara Fontana], Clem
Caserta (Jimmy Whispers) [dopp. da
Angelo Nicotra], Alfred Sauchelli Jr.
(Bobby Bars) [dopp. da Nino D'Agata],
interpreti Frank Pietrangolare (Danny K.O),
Joe Pesci (Carmine) [dopp. da Manlio
De Angelis], Fred Fischer (JoJo
Balena) [dopp. da Antonio Prester], Joe
D'Onofrio (Slick a 17 anni) [dopp. da
Sandro Acerbo], Luigi D'Angelo (Aldo
a 17 anni) [dopp. da Francesco Meoni],
Louis Vanaria (Crazy Mario a 17 anni)
[dopp. da Corrado Conforti], Dominick
Rocchio (Ralphie a 17 anni) [dopp. da
Roberto Gammino], Patrick Borriello
(Slick a 9 anni), Richard DeDomenico
(prete), Domenick Lombardozzi
(Nicky Zero), Ida Bernardini (cliente
della pescheria).
fotografia Reynaldo Villalobos
musiche Butch Barbella
sceneggiatura Chazz Palminteri
regia Robert De Niro
produzione
USA,
1993
genere drammatico
durata 2h 01'
È la storia di Calogero Anello, un bambino di nove anni, che diventa amico
di un gangster di nome Sonny. Il padre di Calogero, Lorenzo, contrasta
questa amicizia. Tutta la vita ha lottato per impedire al figlio di venire
trama
travolto dall'ambiente corrotto del Bronx. Ma gli eventi precipitano:
Calogero è l'unico testimone di un omicidio e, quando viene messo a
confronto con Sonny, rifiuta di identificarlo ...
Concorsi e premi
Questo film ha partecipato a:
•
15 edizione Young Artist Awards (1994) concorrendo nell* categori* giovane attore (a
Francis Capra).
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Recensioni.
ACEC.
ACEC.
Soggetto: Calogero Anello, un ragazzo di nove anni, vive nel Bronx col padre Lorenzo, conducente
d'autobus, e la madre Rosina. Il suo idolo è Sonny, un gangster che aspira ad essere il boss del quartiere.
Quando lo vede uccidere un uomo con la pistola, interrogato dalla polizia non denuncia il fuorilegge, che lo
prende in simpatia. Questi offre invano un lavoro extra (scommesse clandestine) all'onesto Lorenzo, che giunge
ad affrontare apertamente Sonny, quando vede che il figlio stravede per lui e ne subisce l'influsso. Trascorsi otto
anni Sonny (ormai divenuto un boss) dà anche molti consigli a Calogero, tra cui quello di prendere una strada
diversa dalla sua, di non dar peso ai piccoli crediti e non maneggiare mai pistole. Mentre il rapporto col padre si
fa teso a causa dell'influenza di Sonny, Calogero incontra Jane, una ragazza di colore: il padre lo sconsiglia ad
avere un rapporto, invece Sonny gli presta addirittura l'automobile per portarla a spasso. Frattanto i compagni di
Calogero pestano a sangue dei ragazzi del ghetto negro, tra cui il fratello di Jane, il quale accusa anche
Calogero che in realtà si era opposto al pestaggio e lo aveva protetto. Offeso ed umiliato, Calogero sale in
automobile con gli amici che vogliono fare un raid incendiario contro i neri: ma interviene Sonny che fa scendere
Calogero dall'automoibile che poco dopo esplode. Mentre va a cercarlo per ringraziarlo, Calogero vede Sonny
ucciso dal figlio dell'uomo assassinato da questi otto anni prima. Davanti alla salma Calogero rifiuta l'offerta di
aiuto del boss subentrato a Sonny e si riconcilia col padre, che si rende conto della sincerità dell'affetto che il
defunto aveva per il figlio
Valutazione Pastorale: Robert De Niro, trasforma, coadiuvato dal talento di Palminteri, autore del dramma
originale nonchè efficace interprete, il palcoscenico in schermo, facendo dimenticare l'origine teatrale del film.
Questo scorre via con estrema scioltezza, con una sobria ed efficace caratterizzazione dei personaggi, dai due
attori De Niro e Palminteri al bravo esordiente Lillo Brancato, ma non trascurando gustose figure di contorno. La
morale integerrima del vero padre, povero ma onesto fino allo scrupolo, e quella sui generis del "saggio" boss
ritma la vita e modella le aspirazioni di Calogero piccolo e adolescente. Esperienze determinanti e tragiche
(come l'assistere da piccolo ad un omicidio o guardare, da adolescente, i cadaveri carbonizzati dei ragazzi con i
quali era seduto in automobile poco tempo prima, o la salma di Sonny composta nella camera ardente) fissano
per sommi capi la maturazione di Calogero, che rifiuta di prestare ascolto al boss, subentrato all'amico
tragicamente scomparso, che gli offre la sua "protezione", e capisce finalmente tutta la menzogna insita nel detto
della malavita (che da piccolo lo aveva plagiato e che aveva lanciato al padre che lo rimproverava) "un uomo che
lavora è un fesso". Calogero capisce solo ora che il vero eroe non è Sonny, che onestamente gli ha sempre
detto: "non devi imitarmi", ma il padre Lorenzo, fedele al suo umile ed onesto posto di lavoro sul vecchio autobus,
tra le difficoltà di ogni giorno.
Mereghetti 2011.
Nel quartiere italiano del Bronx, nel 1960, il piccolo Calogero (Capra) subisce il fascino del boss del quartiere
Sonny (Palminteri), nonostante il padre Lorenzo (De Niro), un modesto guidatore di autobus, cerchi di educarlo
all’onestà e al rispetto della legge. Diciassettenne, Calogero (Brancato) ascolta Sonny più di suo padre, ma
dovrà fare i conti con la violenza che circonda la malavita. Per il suo esordio nella regia, Robert de Niro sceglie
una pièce di Chazz Palminteri chiedendogli di sceneggiarla oltre che interpretarla: storia di un’educazione alla
maturità, il film è una riflessione sull’inevitabile complessità della vita e del ruolo paterno (entrambe le figure
adulte trasmettono a Calogero lezioni importanti: insegnamenti morali il padre, consigli esistenziali il padrino).
Anche se debitrice di Scorsese e Leone, la regia di De Niro dimostra qualità non disprezzabili: il gusto per le
atmosfere di quartiere, la cura nello scegliere i volti per i ruoli secondari, la direzione dei protagonisti. E un
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mattatore come lui sceglie significativamente toni e personaggi smorzati, senza tentazioni di gigioneria.
Indimenticabili i due modi per scoprire se una ragazza è “quella della vita”.
Luigi Paini (“Il Sole-24 Ore”).
Il Bronx non è un bel posto, ce lo hanno ripetuto decine di film. Eppure, per chi vi ha trascorso i primi anni di
vita, può trasfigurarsi in un luogo da ricordare con nostalgia, quasi con tenerezza. Così è per Calogero Anello, il
giovane protagonista di Bronx, prima regia di Robent De Niro (anche interprete, nel ruolo dell’autista di autobus
Lorenzo, padre di Calogero). Il ragazzo trascorre lunghe ore seduto sul mezzo pubblico condotto dal genitore,
sentendo musica jazz e cercando di far tesoro dei suoi consigli. Ma appena arriva a casa, eccolo
immediatamente e immancabilmente conquistato dal fascino ambiguo di Sonny (Chazz Palminteri), il boss della
zona. Lo guarda mentre dà ordini agli scagnozzi, ammira i suoi gesti, il rispetto che tutti sembrano mostrargli.
Finché un giorno capita il fattaccio. Una banale lite per un parcheggio - così almeno la interpreta Calogero finisce con un brutale omicidio, e a sparare è proprio l’idolo del ragazzo. Che cosa dire alla polizia? Semplice,
nulla. E così fra i due inizia un lungo e strano rapporto: il giovane, ora soprannominato “C” per brevità, vorrebbe
seguire le orme del fuorilegge, mentre quest’ultimo - contrariamente a quanto pensa Lorenzo - è prodigo di buoni
consigli per toglierlo dalla cattiva strada. Passano gli anni, “C” è ora un adolescente a rischio. Insofferente del
padre, frequenta compagni sbandati, violenti e razzisti. Toccherà proprio al “cattivo” Sonny toglierlo da una
situazione di estremo pericolo. Bronx, tratto da un lavoro teatrale dello stesso Palminteni, è una pellicola legata a
doppio filo all’opera di Martin Scorsese. Tribù metropolitane, territorialità esasperata, vizi e virtù degli
italoamenicani: tuttavia, rispetto a Mean Streets, Toro scatenato, Quei bravi ragazzi, De Niro sceglie una chiave
meno violenta ed estrema. C’è profondo amore per i personaggi, non mancano lunghe pause distese, si può
sorridere. Senza dimenticare di lanciare un “messaggio” (“C” si innamora di una ragazza nera) che, al Bronx
come in molti altri posti, resta di una forza dirompente.
Roberto Escobar (“Il Sole 24 ore”).
«La cosa più triste è un talento sprecato. Non sprecare il tuo»: è questo che Lorenzo Anello (Robert De
Niro), italoamericano di seconda generazione, dice al figlio Calogero. Ed è un’esortazione che ci piace pensare
profondamente italiana. Già in «talento» c’è un’eco di quel “far bene” che la nostra immagine di noi stessi - ogni
cultura ha la propria - si attribuisce da sé. Che sia una realtà o che sia un’illusione, in quella parola di sapore
mediterraneo, un po’ greca e un po’ latina, avvertiamo come simbolizzata l’anima di un popolo che ha sa-puto
inventare, plasmare forme belle. Da moneta di grande valore che era al tempo dei Romani, talento è poi
diventato sinonimo delle doti migliori della mente e dello spirito: abilità, ingegno, grazia creativa. Sprecare tutto
questo è il più radicale e crudele degli errori. Robert De Niro non l’ha compiuto. Arrivato a cinquant’anni, al
vertice di una carriera d’attore grandissima - colma di abilità, ingegno, grazia creativa, e con pochi errori dovuti a
un eccesso di talento-, ora passa alla regia. E il risultato? La risposta è nel piacere dei nostri occhi, mentre in
platea seguiamo la storia che si sviluppa all’inizio e alla fine degli anni Sessanta nella 187” strada di New York.
Bronx sta tutto lì, in un mondo che sta chiuso in una strada. Calogero passa l’infanzia ammirando il carisma da
guappo di Sonny (Chazz Palminteri), mentre il tempo sembra indeciso tra un passato che ancora è vivo e un
futuro nel quale non si riesce a gettare lo sguardo. De Niro e Palminteri (che ha scritto il monologo teatrale da cui
il film è tratto) raccontano quel che altri autori italoamericani hanno già raccontato: lo sradicamento
dell’emigrazione e la ricerca di nuove radici, che non neghino del tutto quelle antiche. Lorenzo ha la solida
determinazione e l’umile coraggio di andare verso il futuro per la strada più lunga e faticosa, guidando un
autobus attraverso New York. Sonny percorre invece quella che caratterizza ogni minoranza che tenti di
affermarsi, fatta di prevaricazione nei confronti in primo luogo della propria gente. Un sociologo sarebbe tentato
d’accennare alla mafia paternalistica e “buona” che ancora non era entrata nel traffico di droga. In ogni caso,
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Bronx non è interessato alla sociologia. E piuttosto interessato alla memoria, al momento nel quale gli
italoamericani stavano per mettere in America nuove radici. Il tema conduttore dei film sono i padri (quello di
Lorenzo viene solo accennato, ma lo si intuisce dietro tutte le sue scelte). I padri hanno fatto il grande salto,
hanno deciso di tagliare antiche radici. Il loro coraggio ora - negli anni Sessanta - è messo alla prova nei figli, e
nei figli dei figli. Entrambi, Lorenzo e Sonny, vivono a loro volta questa paternità nei confronti di Calogero. Nel
primo, essa è carnale, riboccante di tenerezza. Con tenerezza, appunto, si prende in braccio il piccolo Calogero
dopo averlo picchiato per allontanarlo da Sonny. Se lo stringe addosso, circondandolo con le braccia, per
comunicargli un amore solido e silenzioso. De Niro - l’attore e il regista - dà a quell’abbraccio una dolcezza
intensa che non ha nulla di retorico, e che somiglia a un ricordo lontano, a una nostalgia (il film è dedicato a
Robert De Niro Sr., scomparso da poco).Nel secondo - un guappo che legge e comprende Machiavelli - quella
paternità è più mediata, più “intellettuale”, ma quasi altrettanto profonda. In Calogero, Sonny vede un futuro che
a lui è negato, ma che è in attesa. Quel futuro sta certo oltre i confini del Bronx, fuori dalle chiusure di una cultura
di minoranza, sciolto a pieno diritto nella nuova terra conquistata alle proprie radici. Anche per lui, pur tanto
diverso, vale il principio di Lorenzo: il talento che vada sprecato è la più triste delle cose. Nella seconda parte,
Bronx s’allarga anche ad altri temi, soprattutto a quello del razzismo. Italoamericani contro neri: come sempre
accade, le minoranze “escluse” cercano d’affermare la loro identità “escludendone” altre. Tuttavia, nemmeno qui
De Niro è interessato alla sociologia. Del film si può forse dire che, ora, perda un po’ della sua commozione
sommessa, cercando toni più programmatici. Certo però non si può dire che perda la sua sincerità di fondo. Il
talento di De Niro e degli altri continua a non essere sprecato. Per contrasto, semmai, più che mai sprecato
appare a noi, in platea, il talento del cinema italiano girato in Italia: crudelmente privo di abilità, ingegno, grazia
creativa. E allora fantastichiamo che quello di De Niro (e dei tanti altri autori italoamenicani) sia cinema italiano
girato in America. Si tratta solo di un’illusione, ma ci serve per liberarci dall’angoscia. Da noi, il talento - quello
cinematografico soprattutto - è una povera pianta malata. Una questione di radici? O forse la pianta avrebbe
bisogno di un’altra terra?
Tullio Kezich (“Il Corriere della Sera”, 30 gennaio 1994).
Viene un momento in cui gli attori non ne possono più dei registi e vogliono fare da soli. Accadde nel teatro
italiano nella seconda metà degli anni Sessanta, quando si fece un gran parlare della «rivolta degli attori»; e
succede anche nel cinema, dove non sono pochi i grandi nomi dell’interpretazione a rivendicare il diritto di
autogestirsi. Alla schiera si unisce ora De Niro, che esordisce a 50 anni dietro la macchina da presa con un film
simpatico e molto personale.Tratto da un monologo teatrale di Chazz Palminteri (è l’attore che assume
bravamente nel film la parte del Padrino), Bronx è un nido di memorie. Svolge sull’arco degli anni Sessanta il
Bildungsroman di Calogero, figlio di un onesto guidatore di autobus (cioè De Niro) e ammiratore di Sonny, il boss
del bar all’angolo. Siamo alla l87esima Strada, fra vita e malavita, impigliati in una rete di omertà alla quale non
sfuggono neanche i migliori: è in ballo la difesa del quartiere come roccaforte di certi valori ancestrali che
possono facilmente degenerare in criminalità e razzismo. Si gioca la morra all’italiana, si mangia la pizza, si
comincia a dare segni di intolleranza quando spunta qualche faccia nera. In un tale contesto gli insegnamenti
paterni fondati sul perbenismo non bastano al ragazzo Calogero (lo vediamo prima a 9, poi a 17 anni) che si
lascia sempre più incantare dal machiavellismo del guappo. Il tipo di patriarca sommesso e minaccioso, che sa
come stroncare le velleità dei motociclisti spacconi, non tollera armi in giro, insiste perché i giovani vadano a
scuola e perfino li consiglia nei primi passi della vita amorosa. Siamo di fronte all’incarnazione di quella «mafia
pulita» che secondo alcuni fu l’espressione paternalistica e illuminata di una difficile congiuntura sociale e
scomparve dopo l’entrata di Cosa Nostra nella droga.Nel film De Niro ce ne dà un quadro articolato e pittoresco,
fra bulli e pupe, situazioni grottesche (il boss che fa chiudere nel cesso quelli che gli portano sfortuna mentre
gioca a dadi) e improvvise impennate tragiche (Sonny ammazza a sangue freddo un automobilista, i 4 ragazzi
bruciati vivi nella sfortunata spedizione punitiva contro i neri). Si potrà obiettare che ci sono troppe scene
effettate, troppa musica pur scelta bene fra i classici dell’epoca, troppi buoni sentimenti che traboccano in finale.
All’esordio come autore, il divo si è preoccupato di tenere l’occhio ai gusti del pubblico, rivelandosi in tale
atteggiamento hollywoodiano. E tuttavia Io spettacolo c’è, tenuto su dal conflitto tra i due padri, quello vero e
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quello adottivo: De Niro sobrio e interiorizzato, Palminteri sempre sul punto di esplodere. Il primo che dice: il vero
eroe è il lavoratore; il secondo che ribatte: chi lavora è un fesso. Tutti e due tanto padroni della situazione che se
fossimo a teatro potrebbero scambiarsi i ruoli sera per sera. Nel gruppo di splendidi comprimari spicca
l’apparizione di Joe Pesci tra i fiori del funerale nei panni del Padrino subentrante.
Alberto Cassani (“FilmChips”, 5 ottobre 2003).
Prima, e finora unica, regia di Robert De Niro, Bronx è un film che stilisticamente deve quasi tutto a Martin
Scorsese, offrendo anche una situazione che ricorda da vicino "Quei bravi ragazzi". Ma De Niro è bravo a
controllare il materiale a sua disposizione e a presentarcelo con la giusta sensibilità, rendendo il film la storia di
due adulti che pensano di sapere quale sia il modo migliore di educare un ragazzo. Solo, uno dei due adulti è il
padre del ragazzo, l’altro è un criminale. Sono due uomini che, in maniera diversa, possono sembrare un eroe
agli occhi di un ragazzo di diciassette anni: uno si alza presto ogni mattina per dar modo a moglie e figlio di
mangiare carne una volta a settimana, l’altro è al di sopra di tutto e di tutti. Bronx non è un film di mafia, è un film
sui valori della vita. Basato su un atto unico scritto da Chazz Palminteri, che in teatro era solito interpretare tutte
le parti, è scritto per lo schermo dallo stesso Palminteri che dà poi vita in maniera memorabile a Sonny. Ed è
proprio questo newyorchese doc ad impressionare maggiormente sullo schermo, non il De Niro autista di
autobus e non il giovane Lillo Brancato, che dieci anni dopo ancora non è riuscito a scrollarsi di dosso l’influenza
dell’ingombrante Robert (vedere la sua recitazione ne Il nostro Natale di Abel Ferrara). A dir la verità lo script
esagera in alcuni punti nel voler inserire troppi temi, come i conflitti razziali che erano comunque all’ordine del
giorno nella Grande Mela del 1968, e mette insieme un finale che appare alquanto banale, ma ogni elemento è
trattato con la giusta attenzione e la giusta delicatezza. Il rapporto tra Calogero e Jane è il perfetto esempio della
mano felice che l’esordiente regista dimostra di avere. A prescindere dalle influenze stilistiche.
Arrivederci a martedì 15 marzo, per vedere
“Le chiavi di casa” di Gianni Amelio.
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