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SENTENZE IN SANITÀ – TAR PIEMONTE
TAR PIEMONTE – sentenza n. 2950/2006
La mancata timbratura del cartellino, giustifica il licenziamento del medico per responsabilità disciplinare.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte – 2^ Sezione – ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 2025/1997, proposto da Germana DE LEO, rappresentata e difesa dall’avv. prof.
Paolo Scaparone e dall’avv. Cinzia Picco ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in Torino, via San Francesco d’Assisi n. 14;
CONTRO
- l’Ordine Mauriziano, in persona del Presidente in carica prof.ssa Emilia Bergoglio Cordaro,
legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Torino, corso Galileo Ferrarsi
120, presso il prof. avv. Vittorio Barosio, che lo rappresenta e difende, con l’avv. Teodosio Pafundi;
per l'annullamento, previa sospensione,
della decisione del Collegio di Conciliazione, in data 27.06.1997, con la quale il Collegio medesimo, esperito il tentativo di conciliazione con esito negativo, ha respinto la domanda della dottoressa Germana De Leo per la revoca del provvedimento di recesso dell’Ordine Mauriziano dal
rapporto di lavoro instaurato con la medesima.;
Visto il ricorso con i relativi allegati.
Visto il rinvio della trattazione della sospensiva al merito del ricorso;
Vista la rinuncia al mandato da parte dell’avv. prof. Vittorio Barosio in data 12 febbraio 2004;
Visti tutti gli atti della causa.
Relatrice alla udienza pubblica del 16 marzo 2006 la dott.ssa Emanuela Loria e udito l’avv. Luciano Fuscà in sostituzione dell’avv. prof. Paolo Scaparone e dell’avv. Cinzia Picco per la parte
ricorrente, l’avv. Inserviente per l’amministrazione costituita;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
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TAR PIEMONTE - SENTENZA N. 2950/2006
FATTO
All’epoca dei fatti oggetto del ricorso, la ricorrente era dipendente dell’Ordine Mauriziano, in
cui ricopriva la qualifica di dirigente medico di I livello preposto al servizio di Neuropsichiatria
Infantile dell’Ospedale.
Il Direttore generale dell’Ordine Mauriziano con provvedimento in data 11.2.1997 prot. 243,
contestava alla stessa dott.ssa De Leo alcuni addebiti e la convocava per la formulazione delle
osservazioni a difesa per il giorno 28.2.1997.
Gli addebiti consistevano nella irregolarità nella bollatura del cartellino per il controllo della
presenza e nel mantenimento di tale comportamento anche dopo che l’Ammini-strazione le aveva già rivolto specifici inviti a attenersi alle modalità organizzative previste dall’Ospedale per il
controllo della presenza e dell’attività istituzionale svolta dai dipendenti.
La ricorrente presentava le proprie osservazioni, non negando di essersi sottratta alla bollatura
del cartellino, ma giustificando tali infrazioni con il fatto che l’attività da essa svolta sarebbe
stata incompatibile con l’uso di detto sistema formale di rilevazione delle presenza e anche con
l’eventuale richiesta di autorizzazioni all’Amministrazione a non seguire tale modalità formale
di rilevamento della presenza nella sede di lavoro. Arguiva la ricorrente che il proprio metodo di
lavoro, viste anche le peculiarità della disciplina medica esercitata (la neuropsichiatria infantile),
si basava sulla presentazione di progetti presentati ai suoi diretti superiori che indicavano e precisavano gli atti e le finalità della sua attività istituzionale, che ella intendeva svolgere – e di fatto svolgeva - sia all’interno che all’esterno dell’Ospedale.
Successivamente, con atto prot. n. 459/DG del 12.3.1997, il Direttore Generale dell’Ospedale
intimava alla ricorrente il recesso per giusta causa con decorrenza dal giorno immediatamente
successivo a quello di notifica dell’atto stesso.
Il recesso risultava motivato dai fatti e dai comportamenti evidenziati con la conte-stazione degli addebiti fatta con nota prot. n. 243/DG in data 11.2.1997 e ritenuti dall’Amministrazione di
gravità tale da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro. In particolare, si afferma in
tale atto che: “è emerso con chiarezza come Ella (la ricorrente) si sottragga volontariamente e
scientemente a tutti quegli obblighi gravanti in generale su ogni pubblico impiegato per consentire la verifica e la valutazione dell’ef-fettivo espletamento dell’attività dovuta.(…). In questa
situazione viene definitivamente a mancare il rapporto fiduciario era amministrazione e dipendente”.
La ricorrente presentava ricorso avverso detto provvedimento ai sensi dell’art. 37 CCNL dirigenza medica al fine di attivare la procedura di conciliazione.
Il Collegio di conciliazione riunitosi in data 30.5.1997, esperiva il prescritto tentativo di conciliazione con esito negativo e dichiarava non accoglibile la domanda della ricorren-te volta alla
revoca del provvedimento di destituzione, reputando che ricorresse la giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro.
Tale provvedimento del Collegio di Conciliazione è impugnato dinanzi al giudice amministrativo per i seguenti motivi:
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1) Violazione e falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 59, 68 e 69 del DLgs. 3.2.1993
n. 29 e all’art. 5 della l. 11.8.1973 n. 533.
Con tale motivo di ricorso si sostiene che l’articolo 59 comma 7 del DLgs. 29/1993 prevederebbe la possibilità di esperire procedure conciliative dinanzi a ad un apposito Collegio esclusivamente nel caso di impugnazione di sanzioni disciplinari, ma non nelle diverse ipotesi di recesso
dell’amministrazione dal rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 2118 e 2119 del codice civile:l’estensione effettuata dall’art. 37 del CCNL a tali distinte fattispecie sarebbe priva di copertura legislativa.
Infatti pur prevedendo gli articoli 68 e 69 del DLgs. n. 29/1993 e l’art. 5 della legge 533/1973 il
preventivo esperimento di un tentativo di conciliazione nelle controversie riguardanti i rapporti
di lavoro con la pubblica amministrazione, tuttavia tali norme non sarebbero direttamente applicabili al caso di specie, poiché l’art. 68 comma 3 come modificato dalla legge n. 59/1997) ne
differisce l’applicabilità al 1.7.1998. Pertanto, l’art. 37 del CCNL qualora si volesse sostenere
che desse applicazione agli articoli 68 e 69 del DLgs. n. 29/1993, sarebbe illegittimo perché deve ritenersi mantenuta, per il periodo per il quale è stata differita l’applicazione delle norme surrichiamate, la giu-risdizione dei Tribunali Amministrativi Regionali per le controversie di lavoro relative al personale dirigenziale medico.
2) Violazione di legge in relazione agli artt. 36 e 59 del CCNL per la dirigenza medica del
5.2.1996. Eccesso di potere sotto il profilo del difetto di istruttoria.
Con tale motivo è contestato il contenuto della decisione del 27.6.1997 del Collegio di conciliazione poiché, in primo luogo, il recesso intimato alla dott.ssa De Leo non avrebbe tenuto minimamente conto dei risultati da essa conseguiti e quindi sarebbe stato disposto in violazione
dell’articolo 36 del CCNL che recita: “In caso di recesso per giusta causa si applica l’art. 2119
del c.c.. La giusta causa consiste in fatti e compor-tamenti, anche estranei alla prestazione lavorativa, di gravità tale da non consentire la prosecuzione, sia pure provvisoria, del rapporto di lavoro (…). La responsabilità par-ticolarmente grave e reiterata, accertata secondo le procedure
dell’art. 59, costituisce giusta causa di recesso…”. Le procedure di cui all’art. 59 CCNL prevedono che si proceda ad una valutazione dei risultati conseguiti dai dirigenti, in relazione allo
svolgimento degli incarichi agli stessi affidati, previa definizione da parte delle Aziende o enti
dei sistemi o meccanismi di valutazione gestiti attraverso i servizi di controllo interno o nuclei
di valutazione e, inoltre, che nella valutazione predetta si consideri l’operato dei dirigenti in correlazione con gli obiettivi da perseguire, secondo le diret-tive ricevute.
3) Violazione di legge in relazione all’art. 17 del CCNL per la dirigenza medica del 5.12.1996.
Sulla base di tale motivo, l’Amministrazione avrebbe fondato la valutazione sul corretto svolgimento delle mansioni lavorative della dipendente solo in base al regolare uso della follatrice e
alla costante e puntuale permanenza della dipendente all’interno della struttura ospedaliera. E
ciò senza tenere conto della incompatibilità di tale sistema con un’attività caratterizzata da una
accentuata mobilità “extra moenia” e da un elevato numero di prestazioni assistenziali da svolgersi in ambiente scolastico e familiare.
4) Violazione di legge in relazione all’art. 3 della legge 7.8.1990 n. 241.
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La decisione del Collegio arbitrale non sarebbe congruamente motivata con riferimento ai presupposti di fatto e alle ragioni giuridiche che lo sostengono, infatti in esso non sono riscontrabili
le argomentazioni addotte dalla dott.ssa De Leo, limitandosi il provvedimento a evidenziare la
gravità dell’omissione dell’uso della bollatrice quale sistema di controllo.
DIRITTO
1. Con riferimento al I motivo di ricorso, concernente la violazione da parte del CCNL della dirigenza medica del 1996 dell’articolo 59 comma 7 del DLgs. n. 29/1993, si ritiene che il motivo
sia inammissibile sotto il profilo formale, in quanto, come rilevato nella memoria difensiva
dell’Amministrazione, il ricorso avrebbe dovuto essere notificato anche all’ARAN e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri (per il tramite dell’Avvocatura dello Stato), ossia alle istituzioni che hanno, l’una, sottoscritto il testo definitivo del contratto, l’altra, autorizzato la sottoscrizione medesima e che pertanto si presentavano come contraddittori necessari della ricorrente.
Sotto il profilo sostanziale, la ricorrente ritiene che l’art. 37 del CCNL sia in contrasto con
l’articolo 59 comma 7 del DLgs. n. 29/1993 perché quest’ultima norma prevede la possibilità di
esperire procedure di conciliazione dinanzi al Collegio esclusivamente in materia di sanzioni
disciplinari e non nelle diverse ipotesi di recesso dell’ente dal rapporto di lavoro ai sensi degli
articoli 2118 e 2119 c.c.
Tuttavia, appare evidente dal provvedimenti impugnato e dagli atti che lo hanno preceduto, come il recesso nei confronti della ricorrente abbia la natura di sanzione espulsiva disciplinare, la
cui applicazione è consentita nei confronti della dirigenza medica, in quanto ai sensi
dell’articolo 36 del CCNL sono escluse per i dirigenti medici solo le c.d “sanzioni conservative”, ossia quelle che non comportano una cessazione del rapporto di lavoro (come il rimprovero
verbale, la multa, la sospensione dal servizio o dalla retribuzione), ma non le c.d. “sanzioni espulsive”, quale è con ogni evidenza il recesso unilaterale dal rapporto di lavoro operato
dall’amministrazione nei confronti della ricorrente per ragioni disciplinari.
Nel caso di specie, il provvedimento impugnato ha, a proprio fondamento, il reiterato comportamento della ricorrente volto a non osservare le modalità stabilite dall’amministrazione per la
rilevazione della presenza sul luogo di lavoro e quindi una violazione del dovere di diligenza
che caratterizza anche il rapporto di lavoro della dirigenza medica.
Per quanto riguarda il rispetto delle garanzie e delle modalità procedimentali previste
dall’articolo 59 del DLgs. n. 29/1993 e dall’articolo 36 comma 3 del CCNL, queste appaiono
essere state rispettate da parte dell’amministrazione atteso che essa ha prima contestato specificamente gli addebiti alla ricorrente, quindi l’ha convocata per effettuare un’apposita audizione,
le ha assegnato un termine a difesa per presentare osservazioni per iscritto, e solo successivamente a tali fasi ha applicato la sanzione disciplinare, nel rispetto dell’articolo 59 del DLgs. n.
29/1993, che ha previsto che i contratti collettivi definiscano procedure conciliative in materia
disciplinare così coma ha fatto l’articolo 37 del CCNL della dirigenza medica.
Avendo quindi il licenziamento operato nei confronti della ricorrente, natura disciplinare, in
quanto derivante dalla violazione di specifici obblighi disciplinari, non può affermarsi la sua il-
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legittimità rispetto all’articolo 59 comma 7 del DLgs. n. 29/93, avendo il CCNL fatto applicazione proprio di tale disposizione.
Il motivo è pertanto, sotto questo profilo, infondato.
2. Per quanto concerne il II e il III motivo di ricorso, essi possono essere trattati congiuntamente
attesa la natura delle contestazioni tutte basate sul fatto che l’Ammini-strazione non avrebbe tenuto conto dei risultati raggiunti dalla dott.ssa De Leo e avrebbe valutato in modo meramente
formale il suo operato utilizzando un sistema meccanico quale l’uso della bollatrice, incompatibile con le esigenza del servizio a cui era preposta la ricorrente.
I motivi sono infondati, atteso che l’Amministrazione ha legittimamente contestato alla ricorrente una responsabilità di tipo disciplinare, del tutto distinta da quella “dirigenziale”, valutabile
sul piano dei risultati.
Il primo tipo di responsabilità non ha un rilievo inferiore, sul piano del rapporto di lavoro e del
dovere di diligenza, rispetto alla seconda e soprattutto la sua concreta valutazione può (ed anzi
deve, per la diversa natura dei doveri che vi sono correlati) essere effettuata con metodi diversi
rispetto a quelli utilizzati per la valutazione dei risultati.
Pertanto, risultano in conferenti i rilievi mossi con riguardo al non corretto utilizzo delle modalità di accertamento dei presupposti inerenti, invece, la responsabilità dirigenziale.
Ne consegue che la sottrazione, peraltro consapevole, come in questo caso, alle modalità stabilite dal datore di lavoro per verificare la presenza in servizio della ricorrente è stata legittimamente configurata dall’Amministrazione come un illecito disciplinare sanzionabile con il recesso unilaterale da rapporto di lavoro del datore di lavoro, poiché ai sensi dell’articolo 17 del CCNL
anche i dirigenti medici hanno l’obbligo di osservare l’orario settimanale di lavoro e di assicurare la presenza in servizio, secondo le modalità organizzative che l’amministrazione predispone
al suo interno.
Non si rinvengono, inoltre, specifiche e valide motivazioni che abbiano potuto comportare la
sottrazione totale della ricorrente all’obbligo del controllo formale della presenza o quanto meno
ad un regime di autorizzazioni che consentisse di controllarne la presenza in servizio.
I motivi si presentano pertanto infondati.
3. Con riferimento al IV motivo di ricorso, con cui viene in rilevo il difetto di motivazione del
provvedimento impugnato, esso appare infondato atteso che sia dalla lettura dell’atto impugnato
(verbale del Collegio di conciliazione del 27 giugno 1997), ma invero da tutto l’articolato iter
procedimentale a cui la ricorrente ha potuto ampiamente partecipare con audizione personale e
presentazione di memorie difensive scritte, emerge la motivazione della determinazione finale
dell’amministrazione di pervenire al recesso unilaterale e dell’amministrazione. Poiché la motivazione dell’atto amministrativo ha la funzione di rendere il destinatario edotto delle ragioni di
fatto e di diritto che hanno condotto l’Amministrazione a determinarsi in quel senso e poiché nel
caso di specie esse sono chiaramente ravvisabili, non si rinviene la violazione dell’articolo 3
della legge 7.8.1990 n. 241.
Il motivo pertanto è infondato.
Il Collegio ritiene che, per queste ragioni, il ricorso debba essere rigettato.
Si ravvisano giusti motivi per disporre la compensazione tra le parti delle spese di lite.
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P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, Sezione II, pronunciandosi sul ricorso in
epigrafe, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Torino, nella Camera di consiglio del 16 marzo 2006, con l'intervento dei sigg.
magistrati:
Giuseppe Calvo
Presidente
Ivo Correale
Referendario
Emanuela Loria
Referendario, est.
Il Presidente
L’Estensore
f.to Calvo
f.to Loria
Il Direttore Segreteria II Sezione
f.to Ruggiero
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Depositata in Segreteria a sensi di
Legge il 19 Luglio 2006
Il Direttore Segreteria II Sezione
f-to Ruggiero
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