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COMUNICAZIONE POCO SOTTILE
Se la controcultura
DIVENTA
MARKETING
ALLORA IL MITO È
obey
Ecco un’intervista all’outsider diventato guru planetario e corteggiato
consulente, ovvero all’inventore degli sticker underg round che oggi lavora
con le g randi corporation. Uno che ha venduto l’anima al diavolo? O un
artista che sa perfettamente manipolare la manipolazione, anzi, ogni
manipolazione? In ogni modo è un contestatore precursore di tendenze.
Come ogni manager della comunicazione oggi deve ammettere.
DI ROB CROSS
onvenient store, Starbucks e supermarket. Mezzanotte.
Arriva un’auto. Parcheggia. Escono un paio di ragazzi, uno armato di telecamera, l’altro di colla e scopino. Sotto
al braccio fogli di carta. Camminano sicuri, spediti, senza
parlare. Si fermano davanti a uno degli edifici e, senza perder tempo,
uno applica colla e skizzi, mentre l’altro filma. E poi via col cuore in
gola per non farsi sorprendere dalla polizia. Che, cosa peggiore dell’arresto, può impedirti di completare la missione. «Arte urbana,
post-graffiti, tagging, art terrorist. Chiamatela come volete: prima
era una cosa segreta, fuorilegge, adesso è diventata invece un’installazione. Yeah, Rob, il mio primo stick-bombing è andato proprio così, a Providence». Chi ci parla, comodamente seduto nella lobby dell’Hotel Des Art di San Francisco (dove deve dipingere una delle camere) è Shepard Fairey. Più comunemente conosciuto da milioni e
milioni di terrestri come Obey, l’uomo che ha cominciato, da skateboard addict, nonché studente della Rhode Island School of Design,
la sticker revolution con il personaggio di André the Giant. E che ora
gestisce un piccolo impero di mass comunication a Los Angeles.
Andiamo per ordine. Era il 1989 e, quando ancora si cercava di rimuovere i graffiti dai muri di tutta New York, un ventottenne originario di Rhode Island iniziava la sua prima campagna di sticker “O-
1995-1996:
nasce il Giant
Immagini dal volume
“Obey. Supply & Demand.
The art of Shepard
Fairey”, Gingko Press
(49,90 euro,
www.ginkopress.com).
322 velvet
SHEPARD FAIREY AND GINGKO PRESS
C
COMUNICAZIONE POCO SOTTILE
Guerra
e pace
SHEPARD FAIREY AND GINGKO PRESS
Alcune opere su carta.
Sopra, “Obey Vicious
Subversion”, 2001. A destra,
“Obey Iraq”, 2005. Nella
pagina accanto. Obey the
Giant invade le città.
bey the Giant”; ovvero un esperimento fenomenologico che, come
definisce nel suo manifesto, citando nientemeno che il filosofo Heidegger, “è il processo che fa sì che le cose si manifestino da sole e che
permette alla gente di riscoprire cose che sono date per scontate, che
sono parte della nostra quotidianità, ma che sono in un certo senso
occulte perché estranee a un certo tipo di contesto”. Niente male per
uno che è stato arrestato 12 volte. E che, odiando la scuola, preferiva lo skateboard. L’uomo dietro la campagna è dunque Shepard Fairey, e la faccia esibita dalla campagna “Obey the Giant” è quella di
André Roussimoff, star e gigante indiscusso della wrestler-mania,
noto per il film “La storia fantastica”. «“André the Giant” è essenzialmente il marketing del nulla. Quando ci penso mi rendo conto
che questi adesivi mi hanno cambiato la vita, è incredibile la forza
che può avere un pezzo di carta. Mantenerli “vivi” in una città è una
lotta costante, la gente tende a staccarli pensando che siano espressione di un atto vandalico invece che di arte. I graffiti diffondono la
libertà di parola e aiutano la democrazia del libero pensiero». Sono
poche infatti le città rimaste prive di un suo adesivo, sembra sia arrivato a stamparne più di 15 mila al mese, regolarmente circolati grazie anche alla posse che si è creata attorno a questo movimento. «Sticker e poster, ci tengo a sottolinearlo, si possono scaricare gratuitamente dal mio sito, in modo da attaccarli liberamente ai muri della
propria città. Spread the virus».
Dopo qualche anno di fama underground, Frank Shepard Fairey si
associa con lo street artist Dave Kinsey; insieme fondano BLK/MRKT Inc., un’agenzia di comunicazione visiva che propone design
alternativo, quasi sempre con intenti di coscienza sociale, al mondo
delle corporation. I clienti sono Apple, Virgin Records, il network
Maverick Street di Madonna, Nike, Levi’s, Pepsi Cola e altri ancora.
«Mi piace il concetto espresso con l’immagine, così come lo sosteneva il grande Andy Warhol. E come oggi lo sostengono altri artisti
underground della mia generazione, vedi Dave Arron, Phil Frost, Arron Rose, Twist, Mike Mills, Adam Wallacavage, Misha Hollenbach
e Ken Sigafoos, tutti a cavallo tra arte, regia, graphic design, fotografia... La gente spesso mi chiede come sia possibile sposare il mio animo underground al lavoro mainstream che faccio con l’agenzia.
Credo che non possa esistere un pensiero alternativo se non sponsorizzato da una fonte di denaro. Guarda il Sundance Film Festival. I
film indipendenti, per essere realizzati e rimanere tali, hanno bisogno di denaro. Che, se arriva, arriva da chi ce l’ha. Nessuno ti obbliga a bere Coca Cola, il capitalismo è un concetto interessante proprio perché stimola la creazione di altre fonti di informazione. Penso
che l’impatto dei miei poster, anche quelli famosi con Nixon, Lenin,
Patty Hearst, Fidel Castro, Joe Strummer, Noam Chomsky, Bob
Marley, che comunque finanzio anche coi soldi che prendo dalle corporation, sia maggiore di quello di una campagna contro un deter-
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COMUNICAZIONE POCO SOTTILE
Skateboard
& sticker
La creatività onnivora
e “sotterranea” di Obey. Sopra,
sticker all’insegna dell’impegno
ecologico (1999-2005). A fianco,
skateboard datati tra il 2000
e il 2003. Nella pagina accanto,
“Lenin Stamp”, 2000.
minato tipo di prodotto. Anche se coi miei poster e i miei sticker faccio la parodia della propaganda, io non attacco il sistema di queste
corporation: semmai attacco il processo d’assorbimento passivo che
la gente instaura nei confronti di queste immagini».
Wow! Mai conosciuto un filosofo vivente, che in più riesce a fare soldi e a essere soddisfatto quando va a dormire la notte. A questo punto voglio saperne di più sulle icone politiche dei suoi poster, vedi Che
Guevara, Saddam Hussein, Bush... «Ho usato la foto più famosa del
Che, quella di Alberto Korda degli anni Sessanta, ormai diventata il
cliché sulla ribellione più efficace al mondo. L’ho rubata non tanto
per sostenere il suo messaggio politico-rivoluzionario, quanto per
dimostrare che i simboli sono facili da manipolare, dopo che hanno
assunto vita e significato propri. Con il ritratto di Saddam Hussein
invece mi sono divertito. In quella foto è sorridente e sembra felice,
quasi una brava persona, anche se con ciò non voglio far credere che
lo sia stato. Mi piace questo contrasto, il mio lavoro si basa proprio
su questo conflitto, gli americani vedevano Saddam solo come un
bastardo, così come credo che gli iracheni vedano George W. Bush.
Ho semplicemente illustrato un altro punto di vista. La stessa cosa
che voglio fare adesso con il mio nuovo libro, con la sponsorizzazione del film “Iraq for Sale” e con la mia nuova linea di abbigliamento. Immaginatevi una nuova posse composta da milioni di persone
che indossano “Obey The Giant” sui treni, sugli autobus, in metrò,
in giro per le strade, e tutti in continuo movimento... ».
QUANDO L’ARTE DIVENTA SLOGAN
Il bacio
della pubblicità ragno
STICKER SUGLI SCOOTER IN CITTÀ. MANIFESTI DI TORNEI
CHE NON ESISTONO. BLOG TRUCCATI DALLE
MULTINAZIONALI. IL MARKETING ATTACCA. COME UN VIRUS
S
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di comune utilizzo per promuovere bevande
alcoliche, scarpe sportive e giochi elettronici. Perdendo per strada il valore di ribellione per centrare, al contrario, il portafoglio dei consumatori. L’ultimo caso di questa guerra sono i flog, neologismo che unisce “fake-falso” a “blog”: si tratta di siti fittizi che le agenzie specializzate aprono con
forum di consumatori inesistenti per promuovere i prodotti.
Nell’ottobre 2006, il colosso americano WalMart ha dovuto chiudere due flog incriminati e a dicembre la Federal Trade Commission (FTC) statunitense si è pronunciata in
merito imponendo una maggiore trasparenza nel marketing “virale”. Ci sono poi marchi che usano apertamente l’arte come
mezzo di comunicazione: ne è un esempio
Absolut Vodka che ha affidato negli anni le
proprie campagne pubblicitarie ad artisti e
creativi con un risultato estetico interessante. Ma attenzione: il virus-pubblicità resta il
punto di non ritorno per ogni corrente artistica che gli si avvicini.
Invisibili
Star del calcio usate
come testimonial
di una campagna Nike
per un torneo fittizio.
Con la grafica che
ricorda l’arte di Obey.
Visibili
Opere d’arte per
prodotti che esistono:
l’illustrazione di
Pedro Torrent Peret per
Ballantine’s e i graffiti
di Oscar Marine
per Absolut Vodka.
SHEPARD FAIREY AND
cena: una spiaggia bianca con
mare turchese e palme piegate
verso l’orizzonte. Sulla battigia,
una ragazza mora raccoglie una
grande conchiglia e ne apre le valve. Dentro,
al posto della perla, trova un biglietto con la
scritta: “Voglia di frutti di mare? Vieni al ristorante Spar!” Non è una candid camera,
ma l’ennesimo esempio di “Guerrilla Marketing”, la comunicazione aggressiva che usa
la réclame come un’arma da guerra. La battaglia per raggiungere nuovi consumatori è
infatti a tutto campo: un sito (www.spotanatomy.info) ne studia i nuovi mezzi, dagli sticker sugli scooter alle installazione effimere,
dai decori all’interno di club e discoteche all’invasione dei luoghi pubblici (Promocard).
La pubblicità si serve oggi di tutti i mezzi di
comunicazione esistenti, ma è dall’arte che
pesca le strategie di conquista più seduttive.
Con una sola controindicazione: come la vedova nera, dopo l’accoppiamento uccide il
partner. Così, per esempio, i messaggi urbani e dirompenti di Obey sono oggi diventati
SHEPARD FAIREY AND GINGKO PRESS0/PROMOCARD
DI SIMONE MARCHETTI