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SCHEDE G ianfranco Faina, Lotte di classe in L i guria dal 19 19 al 1922. Istituto Sto rico della Resistenza in Liguria, 1965, pp. 10 1. sione generale della storia della classe operaia italiana dal ’ 17 al ’22. Sergio Bologna. Jacques F auvet, Histoire du Parti Com Di fronte a dei saggi come questo la maggioranza degli storici rimane stupita. Innanzitutto perchè la visione è coscien temente « parziale », in quanto esamina il problema esclusivamente dal punto di vista dei rapporti tra sviluppo capitali stico industriale e movimento di lotta operaia. Il piano delle istituzioni orga nizzative di classe (governo e partito so cialista) è subalterno a quel rapporto. E ’ questo uno dei primi motivi d’imba razzo della storiografia tradizionale, che esamina soltanto lo sviluppo del movi mento operaio organizzato (partito e sin dacato) di fronte all’ atteggiamento go vernativo. In secondo luogo perchè con sidera come categoria storica quella del la « spontaneità » dei movimenti di clas se ed anzi assegna ad essa il valore di verifica di tutti gli avvenimenti. In ter zo luogo, e nel caso specifico, perchè modifica notevolmente la periodizzazione di quella fase della storia politica ita liana che riguarda l’ occupazione delle fabbriche, la formazione del movimen to dei consigli operai e la costituzione del partito comunista. In una recensio ne-articolo pubblicata recentemente sul la Rivista Storica del Socialismo un altro giovane studioso, proveniente dallo stes so nucleo politico cui appartiene Faina, Emilio Soave, contribuiva a modificare la visione tradizionalmente accettata per cui l ’occupazione effettiva delle fabbri che torinesi del settembre del 1920 avrebbe rappresentato il momento di mas sima ascesa ed espansione politica del l’ondata rivoluzionaria italiana del pri mo dopoguerra e la caratterizzava in vece come momento di già avanzato de clino e d ’incipiente sconfitta. In un al tro punto il Faina concorda con il Soa ve e cioè nell’assegnare al movimento anarchico un’ importanza determinante nell’organizzazione dell’ondata di lotte del 1920. La discussione su questi punti non si è ancora aperta pubblicamente nell’ambito della storiografia contempo ranea italiana. Forse è giunto il mo mento di farlo, soprattutto estendendo lavori come quelli del Faina ad una vi muniste Français. I De la guerre à la guerre, 1917-1939. Fayard, 1964. Una cronistoria diligente della storia della nascita, della formazione e delle principali lotte de) PCF che ignora i problemi essenziali di questa storia stes sa. La scissione di Tours è un fatto for male, per il Fauvet. Forse Jo fu effetti vamente, ma bisognava dirlo. Infatti, se si accetta questa ipotesi, si vede che la debolezza fondamentale del PCF dalla sua nascita fu quella di non mettersi in rapporto diretto con un movimento reale di classe contenente caratteristiche nuove, come avvenne per esempio in Italia tra movimento dei consigli-occu pazione delle fabbriche e scissione di Livorno, o come avvenne in Germania tra movimento spartachista-operaio e for mazione della K PD . Risulta da questa partenza, a nostro avviso, la caratte ristica — registrata ma non analizzata dal Fauvet — di scaricare la sua azione sui problemi della solidarietà comunista internazionale (lotta contro l’occupazio ne della Ruhr e campagna in favore di Abd-el-Krim) e di far diventare la pre dicazione internazionalista e la pratica solidaristica una componente tradiziona le della vita del partito, che darà i suoi frutti migliori nella guerra di Spagna. Poiché la nascita del partito non coinci se con un salto nel livello della lotta di classe, il problema dei rapporti tra partito e classe fu posto quando il PCF, sotto la guida di Thorez, aveva assunto la fisionomia tipica del partito populista proprio dell’epoca dei fronti popolari: i conti con la classe il partito dovette saldarli quando non era più partito di opposizione ma partito di governo, nel 1936, quando cioè effettivamente, con l’occupazione delle fabbriche, c’ era sta to un salto nello sviluppo del movimen to direttamente operaio. I conti si chiu sero con un largo passivo. A nostro av viso se c’è un « problema » nella storia del PCF è questo, anche se schematica mente espresso. Fauvet non ha schemi o problemi da proporre, più che di sto ria possiamo dunque parlare di croni storia e come tale è appena sufficiente. Sergio Bologna. ii 6 Schede Scritti scelti di Camillo Berneri, Pietrogrado 19 17 - Barcellona 1937. A cura di Pier Carlo Masini e Alberto Storti. Sugar ed., 1964. Lodigiano, allievo di Salvemini, Berneri fu assassinato dai comunisti a Bar cellona nel maggio del 1937. Finì così per verificare con la vita le sue previ sioni sull’ involuzione bolscevica. Berneri cominciò la critica al bolsce vismo nel 1920, dopo aver esaltato il soviettismo. Ma tanto la critica quanto l’ esaltazione non riuscirono a capire la natura nè del soviet nè del partito bol scevico. Berneri previde il terrore con l ’istinto, un .po’ paranoico, del liberta rio, ma non ebbe la capacità di con trapporre al modello leninista e bolsce vico alcun altro modello rivoluzionario nè alcun altro modello di strumento ri voluzionario. Critico degli aspetti for mali più che sostanziali dell’ anarchia, Berneri forse dà il meglio di sè — da quanto risulta da questa raccolta di scritti — nel felice accostamento tra riformismo corporativista fascista e ri formismo sovietico e pianismo socialde mocratico. In nessuno di questi scritti c’è un programma politico, anche gli scritti politici più intensi, come quelli sulPanarco-sindacalismo, restano privi di proposte sia tattiche che strategiche. Ri sulta chiarissimo l ’insegnamento salveminiano, dove però la sensibilità cri tica verso i fenomeni della moralità, i fenomeni giuridici e istituzionali del Sal vemini diventa sensibilità critica ispira ta all’umanesimo anarchico. Se lo sforzo di Berneri fu quello di sottrarre l’anar chismo all’ipoteca ottocentesca, questo sforzo non è riuscito. Egli dunque ap pare piuttosto un figura isolata che un personaggio politico. Comprensibile, ma altrettanto negativo sul giudizio che si deve dare a proposito delle proposte po litiche anarchiche, è il suo rapporto con l’umanesimo rosselliano. Mancando le proposte politiche, ci si aspetterebbe una capacità di analisi cri tica, ma anche questa, sia che riguardi il bolscevismo, lo stalinismo, la socialdemocrazia o lo stesso fascismo, è de cisamente inferiore a quella — discuti bile fin che si vuole —• che Borghi die de del dopoguerra italiano e del mussolinismo. Tolto il politico, resta l’eroe, il mar tire, cui va Ja nostra ammirazione. Sergio Bologna. F ranco Catalano, Storia dei Partiti -po litici italiani. Torino, Eri, 1965, pp. 378, L . 900. Sono raccolte in questo volume le sedici lezioni tenute dal Catalano nella trasmissione di classe unica alla Radio. L ’ autore parte dall’esame delle correnti politiche, dalla fine del ’ 700 al i860 ed, attraverso le varie fasi della storia italiana, giunge fino al 1926, l’ anno che segnò la morte dei partiti, soppressi dal la legislazione fascista. Alle esplicite e tracotanti dichiara zioni di Mussolini che ponevano le con dizioni per il ritorno a Montecitorio dei deputati dall’Aventino, fanno eco le amare, ma dignitose parole di Filippo Turati a commento della vanità di ogni tentativo di libera azione politica, ormai resa impossibile dal regime trionfante. Pochi furono allora gli spiriti chiaroveggenti che seppero guardare fino in fondo la dura realtà, disposti ad ini ziare, senza speranza, quella lunga aspra via di lotte e di sacrifici mortali, che fu il prezzo che il popolo italiano do vette pagare per potersi riscattare un giorno come popolo civile, in quella li bera competizione dei partiti politici, che è la vita stessa della nazione. Il libro è corredato, capitolo per ca pitolo, da una ricca bibliografia, che ne fa un prezioso strumento di consulta zione e di guida. B. C. C esare R ossi , Il delitto Matteotti. Mi lano, Ceschina, 1965, pp. 59 1, L . 3000. L'autore fa qui un’ ampia ricostruzio ne dell’assassinio di Giacomo Matteotti; episodio nel quale, come è noto, il Ros si ebbe parte attiva. Il libro comincia col testo dell’ultimo discorso che Ton. Matteotti tenne alla Camera dei Deputati, dieci giorni prima della morte. Segue una serie di docu menti relativi alle vicende successive, dalla ricostruzione del delitto secondo la sentenza della sezione istruttoria del la Corte d ’Appello di Roma, al famoso memoriale di Cesare Rossi pubblicato sul Mondo. Si tratta di materia già pubblicata ed ampiamente nota, articoli, giudizi, testimonianze, che il Rossi raccoglie qui a documentare le diverse fasi di quella vicenda che più di tutte determinò il Schede corso degli avvenimenti nel ventennale fascista. L ’appendice si chiude con l ’elenco dei Democratici, Liberali, Popolari e In dipendenti inclusi nel cosiddetto « L i stone » nelle elezioni politiche del 1924. 117 menti che riguardano i provvedimenti razziali, compreso il manifesto degli scienziati razzisti del 14 luglio 1938, del quale sarebbe stato bene anche ri portare i nomi dei sottoscrittori. B. C. B. C. LU IG I P r e t i , I miti dell’ Impero e della raZZfl nell’Italia degli anni ’30. Ro ma, Ed. Opere N uove, 1965, pp. 140, L . 700. Con questo titolo, che è il tema di una conferenza tenuta dall’autore a Bo logna nel gennaio del 1965 e successi vamente in altre città, Luigi Preti trac cia un quadro dei motivi fondamentali del fascismo e della politica del regime, richiamandoli a due punti caratteristici, il sogno imperialista ed i provvedimenti razziali. La vivacità della trattazione, che ha naturalmente carattere discorsivo, pone in evidenza alcuni punti interessanti co me nel capitolo intitolato: « Gli eccessi verbali della stampa contro gli Ebrei », dove si ricorda ad alcuni scrittori e gior nalisti ancora oggi quotati, quello che hanno scritto e detto allora : « A co minciare dal 1938, scrive l'autore a pag. 84, diventa di moda per chi scri ve sui giornali gettare fango sopra gli ebrei. Nessuno chiede per essi castighi di tipo tedesco, nessuno, in definitiva, negherebbe ad essi aiuto, se li trovasse per la strada; ma quasi tutti, per se guire la moda o per ’ cupidigia di ser vilismo ’ , pronunciano con leggerezza pa role di dileggio e di disprezzo nei con fronti di questa minoranza derelitta ». Dopo aver considerato il risultato di sastrosamente negativo di tutta la poli tica del ventennio, il breve scritto con clude affermando che Mussolini aveva intrapreso fin dall’inizio una battaglia contro il progresso e contro la storia, quando « la strada dei popoli andava nella direzione della giustizia, della li bertà e della pace » valori estranei « allo spirito di lui e alla dottrina del fa scismo ». U n ’interessante appendice documen taria contiene il testo di alcuni discorsi di Mussolini, dal Discorso di Eboli del giugno 1935 a quello tenuto al Consi glio Nazionale del P N F il 25 ottobre 1938. Sono citati, inoltre, alcuni docu P ercy E . S c h r a m m , Hitler capo mili tare. Firenze, Sansoni, 1965, pp. 281. Raccolta di scritti di diversa origine, di diverso argomento e diverso interes se, con risultato assai dispersivo. Lo Schramm fu compilatore del giornale di guerra dell’OKW dai 1943 al 1945 ed ebbe la fortuna di salvare la massa delle sue annotazioni, pubblicate in un’opera documentaria del più alto interesse; il libro in esame non ha però nulla a che fare con queste annotazioni, ma vi gira attorno, presentando diversi scritti mar ginali rispetto alla maggiore opera. Una quarantina scarsa di pagine sono dedi cate ad estratti di stenogrammi di con ferenze e colloqui del Führer, distribuiti nell’arco di un anno ed estremamente lacunosi e riassunti; da livello docu mentario si passa così a livello di curio sità. Seguono pagine sulle peripezie del le carte dell’autore, sulla sua vita all’ O KW , sull’ atmosfera di quel coman do: tutti dettagli di scarsissimo interes se se presi a sè, indipendentemente dall’opera maggiore. Poi l’autore allinea una serie di brevi giudizi sulle doti mi litari di Hitler, traendole da volumi già pubblicati in Germania ed in Italia: nulla di nuovo, quindi, ma un appe santimento della lettura. In questa disordinata miscellanea di scritti gli unici che molto imperfetta mente non tradiscono le promesse della copertina sono due memoriali dello Schramm del 1945 (sulle divergenze di pensiero tra Hitler ed i suoi generali) e de) i960 circa (sulla figura di Hitler come capo militare, un centinaio di pa gine già edite) ed uno del gen. Jodl del 1946 sull’influsso di Hitler sulla condotta della guerra. Quest’ ultimo è assai interessante come testimonianza dell’ atteggiamento di uno tra i mag giori esponenti delle gerarchie militari tedesche verso il Führer e come tenta tivo autorevole di scindere le grandi de cisioni strategiche, riservate naturalmen te al capo politico, dalla condotta delle operazioni, in cui i militari non pote vano che ubbidire e di cui quindi non i8 Schede possono essere considerati responsabili. Argomentazioni che non salvarono lo Jodl dalla condanna del tribunale di N o rimberga. Anche gli scritti dello Schramm sono tesi all’assoluzione dei comandi mi litari da ogni responsabilità nella cata strofe. Naturalmente quello del i960 è assai più esplicito nel suo filonazismo : ad Hitler si rimprovera solo di non es sersi sparato nel 1944, quando la guerra apparve irrimediabilmente perduta, ma non gli si nega la qualifica di genio ed eroe, pur lasciando l’ultimo giudizio al la storia, che se lo sarebbe preso co munque. La discussione delle capacità militari di Hitler ci sembra comunque assai più confusa delle brevi pagine del lo Jodl: in particolare lo Schramm non distingue tra sfera politica e sfera mili tare e ciò ben si capisce, perchè com porterebbe un giudizio più esplicito sul nazismo, che si preferisce invece sfu mare nella mistica della guerra da vin cere a tutti i costi. In conclusione, un’opera infelice co me impostazione, confusa e dispersiva per il lettore, concepita come comple mento della serie di volumi del giornale di guerra non apparsi in italiano, ed intrisa di filonazismo nelle poche pagine in cui il discorso si allarga. Alcune lievi imprecisioni di traduzione. Giorgio Rochat. C onstantine F itz G ibbon, Il blitz sul l’Inghilterra. Firenze, Sansoni, 1965, pp. 313. Traduzione non esente da impreci sioni di un volume del 1957 sui bom bardamenti tedeschi deU’inverno 1940-41 su Londra. Pur dando un quadro ge nerale della battaglia d ’Inghilterra nel suo complesso, il libro mira a ricostrui re gli avvenimenti come li vide il co mune cittadino di Londra: è quindi con cesso largo spazio a testimonianze trat te dalla memorialistica o più sovente re gistrate per la radio. N e risulta un re portage giornalistico molto ampio, assai vivo (pur con qualche lungaggine) e di un certo interesse per Ja conoscenza del l ’organizzazione della difesa civile bri tannica e del comportamento della po polazione. Il titolo italiano non è esatto, poiché il volume si riferisce solo a Lon dra, nè felice, poiché il termine blitz per gli inglesi significherà i bombarda menti tedeschi, ma per noi è legato alle campagne dell’esercito tedesco del 1940-41. G. Ro. A ngelo D el Boca, La guerra d ’Abissinia 1935 - 1941- Milano, 1965, pp. 284, L . 1400. Feltrinelli, « Il conflitto italo-etiopico fu appro vato, caldeggiato e seguito dalla mag gioranza del popolo italiano. Ma esso non ebbe, di questa guerra combattuta a migliaia di chilometri dalla madre pa tria, che le relazioni e le immagini per messe dalla censura fascista, mentre nei successivi cinque anni alcune centinaia di scrittori e giornalisti s’incaricavano di farla entrare nel mito, dipingendola come la più perfetta e brillante campa gna coloniale di tutti i tempi e per di più condotta con metodi umani e per fini di civilizzazione. Dopo questo dilu vio di libri, per un quarto di secolo si è fatto sull’argomento il più assoluto si lenzio. Cosicché buona parte degli ita liani è ancora, suo malgrado, sotto l ’in fluenza della propaganda del defunto re gime ». Togliamo queste frasi dal ri svolto della copertina del volume in esame : purtroppo la situazione che de scrivono va riferita non solo alla guer ra d’Abissinia, ma a larga parte della storia italiana più vicina. Un esempio deirimpostazione fascista anche della re cente produzione è fornito appunto dal volume del Pignatelli sulla guerra italoetiopica (recensito sul n. 81 di questa rivista), che in nulla si differenzia dal le pubblicazioni di allora. A trent’anni di distanza dall’aggres sione fascista, il volume di Angelo Del Boca rompe questo muro di complice silenzio, muovendo da un’ ampia in chiesta pubblicata dalla « Gazzetta del Popolo » di Torino. Le sue fonti sono varie ed ottime, non si fermano cioè alla produzione propagandistica italiana (pur studiata dall’autore), ma compren dono anche la produzione meno nota o non destinata alla pubblicazione (come vari rapporti sulle operazioni di repres sione degli anni posteriori alla conqui sta) e soprattutto la produzione stranie ra, etiopica o filo-etiopica o semplicemente non fascista. Per la prima volta uno scrittore italiano prende in esame la pubblicistica e memorialistica di bat taglia, per così dire, contrapposta nel Schede l'Europa 1935-36 a quella di ispirazione fascista, e consulta la documentazione abissina e quella della Società delle N a zioni. Inoltre .l’autore ha intervistato protagonisti e testimoni degli avveni menti, specialmente italiani residenti in Abissinia, ed ha potuto interrogare am piamente il Negus stesso ed alcuni tra i maggiori esponenti della resistenza ar mata etiopica. Naturalmente il libro non è comple to nè perfetto; non bisogna però dimen ticare che buona parte degli argomenti vengono affrontati per la prima volta oppure da un angolo del tutto nuovo. Sono appena accennati gli antecedenti del conflitto, non ne sono prese in esa me le ripercussioni sulla situazione in terna dell’ Italia, le complicazioni inter nazionali sono riassunte brevemente; an che le operazioni delle truppe italiane sono trattate rapidamente, reazione più che legittima alle innumerevoli tirate dei capi fascisti, da Badoglio a Graziani. La parte migliore e più originale del libro è invece la narrazione degli avve nimenti come furono visti e vissuti da gli abissini stessi, dall’organizzazione del la campagna ai disperati combattimenti. Acquista così grande rilievo la denuncia delle atrocità italiane, dall’uso dei gas per lo sfondamento delle linee nemiche ai massacri spaventosi della conquista e delle successive repressioni. La gloriosa spedizione coloniale, ul tima pagina lieta e serena prima degli orrori e delle sconfitte della guerra mon diale, diventa così attraverso le parole del Del Boca il primo atto di una tra gedia che doveva insanguinare il mon do e che ancora oggi lo travaglia. L ’uso indiscriminato dei gas asfissianti e ve scicatori contro truppe e popolazioni as sume significato di tragico simbolo, il telegramma di Graziani anticipa le glo rie della guerra nazista e di quelle colo niali attuali ; « Nella giornata di oggi aviazione compia rappresaglia at gas asfissianti di qualsiasi natura su zona dalla quale presu mesi Uondeuossen ab bia tratto armati senza distinzione tra sottomessi e non sottomessi. Tenga pre sente V . E . che agisco in perfetta iden tità vedute con S. E. Capo Governo » (11 settembre 1936). Il nostro autore non si limita a de scrivere la guerra dalla parte degli abis sini, ma traccia anche un altro capitolo, ancora più sanguinoso e vergognoso, fi 119 nora evitato con cura dagli italiani: la storia della resistenza etiopica dopo il termine delle operazioni su larga scala. Una guerriglia mai sopita, con un sus seguirsi di massacri cosi vasti e selvaggi da far tramontare per sempre la leg genda di un fascismo più umano del na zismo. L ’eroe di questa guerra è il ge nerale Graziani: « Tutti i ribelli fatti prigionieri dovranno essere passati per le armi ». E dopo l’esecuzione somma ria di trecento dignitari, il viceré tele grafa a Roma : « Non posso escludere che alcuni abissini giustiziati abbiano prima di morire gridato ’ viva Etiopia indipendente ’ . Faccio però presente che esecuzioni ordinate di conseguenza noto attentato vengono fatte in località ap partate e che nessuno —• dico nessu no — può assistervi ». N ell’elenco dei danni di guerra, di cui l ’Etiopia chiese riparazione all’Italia {l’ indennizzo venne accordato a patto che assumesse l’ano dino nome di assistenza tecnica) figura no le vittime della guerra, 760.000 morti in combattimento, nei campi di concen tramento, nelle rappresaglie oppure di fame, in seguito alle distruzioni provo cate dalle truppe italiane. Citiamo an cora un telegramma, scelto a caso tra cento e cento, dice il Del Boca : « Co lonnello Garelli comunica azione rappre saglia et repressione completamente riu scita per oltre dieci chilometri di fronte. Località combattimento 18 et 19 est sta ta rasa al suolo e migliaia tucul di strutti. Centinaia indigeni conniventi con ribelli sono stati passati per le armi ». Su queste scene di lutti campeggia la figura del Negus, di cui il Del Boca traccia un ritratto assai complesso, in sistendo soprattutto sulla sua volontà di pace ed attribuendogli il merito della condotta civile tenuta dagli abissini ver so gli italiani dopo il 19 4 1, senza per questo celare gli aspetti paternalistici e conservatori della sua politica. E ’ veraramente interessante il rifiuto di coin volgere in un’unica condanna italiani e fascismo: subito dopo il conflitto il N e gus diceva ad un esule antifascista ita liano, che pochi mesi dopo sarebbe ca duto in Spagna : « Il fascismo ha im piegato per distruggere l’indipendenza dell’Etiopia gli stessi violenti metodi che ha usato e usa ancora per distruggere le libertà in Italia ». Su questa base fu condotta la pacificazione del dopoguerra. Speriamo che queste pur brevi note possano dare qualche idea della ricchez 12 0 Schede za e dell’interesse dell’opera del Del Boca, che apre una nuova prospettiva agli studi sulla guerra italo-etiopica : prospettiva certo non gloriosa per noi, ma infinitamente più vera e fruttuosa di quella ancor oggi viva. Non ci rimane che augurare al libro successo di •lettori e continuazione adeguata. Giorgio Rachat. S alvatore F rancesco R omano, Antonio Gramsci, Torino, U .T .E .T ., 1965, pp. 606, L . 4800. Legata alla pubblicazione delle let tere e dei quaderni del carcere con la quale ha proceduto di pari passo, la « scoperta » di Gramsci negli anni dopo la fine della guerra (a partire dal 1947), il graduale processo di assimilazione del la sua opera attraverso un dibattito cul turale che, indipendentemente dal gra do di consenso raggiunto, significava pur sempre un fare i conti con essa, tutto ciò è avvenuto soprattutto sulla base di quegli scritti postumi che se da un lato dovevano rappresentare la fase più ma tura del pensiero di Gramsci, dall’ altro, per il loro carattere frammentario e pro babilmente lacunoso, rischiavano anche di condurre ad interpretazioni erronee o forzate. Perciò, e per la imprescin dibile necessità anche ai fini di una va lutazione dell’ ultimo Gramsci di cono scerne in modo non superficiale il pe riodo di formazione e di lotta, mi sem bra da accogliersi con il massimo fa vore una più recente tendenza di studi che dell’opera di Gramsci si propone so prattutto di illuminare i momenti pre cedenti alla data del suo arresto (no vembre 1926) e alla susseguente reclu sione, dedicando quindi maggiore atten zione al periodo della sua diretta par tecipazione alla lotta politica, tra guerra e dopoguerra. A tale tendenza appar tiene sostanzialmente anche questa bio grafia di Gramsci, di Salvatore France sco Romano, apparsa di recente nella benemerita collana della U .T .E .T . « La vita sociale della nuova Italia », diretta da Nino Valeri. Seguendo un ordine strettamente cro nologico, la vita di Gramsci viene in queste pagine raccontata puntualmente, dalla nascita alla morte, ponendo una particolare cura nel cogliere in essa il rapporto tra biografia esterna e pensie ro, e cercando a tal fine di far parlare soprattutto i testi : le molte testimo nianze disponibili, ma specialmente gli scritti dello stesso Gramsci, sia nei mol ti passi che contengono ricordi e note personali, sia negli scritti del tempo in cui può cogliersi il farsi del suo pen siero; e tutto questo materiale viene spesso ordinato all’ interno del testo in un sapiente montaggio di citazioni let terali, scelte mi pare non tanto secondo un intento genericamente documentario, quanto più ambiziosamente cercando in esse quelle più rare qualità evocative, capaci in qualche misura di restituire al lettore odierno ij senso del passato e ricreare per lui un po’ di quella ten sione morale e intellettuale che tanto intensamente percorse la vita di Gramsci. I primi due capitoli di quest’opera trattano il periodo dell’ infanzia e della giovinezza, sino al 19 14; in essi, giu stamente mi pare, Romano sottolinea le precoci esperienze di miseria e di do lore sofferte dal giovane Gramsci, sia nell’ambiente della natia Sardegna co me più tardi nella vita studentesca a Torino, le quali ripercuotendosi su di un animo di eccezionale sensibilità e ca pacità affettiva, lo portavano a rinchiu dersi in se stesso condannandolo ad una solitudine particolarmente penosa. Come lo stesso Romano sembra suggerire (cfr. spec. p .. 39, 55, 73-75) e pur senza esa gerare in rischiosi esercizi di psicolo gismo, non appare forzato ricondurre a questi dati di origine alcuni dei carat teri fondamentali della personalità di Gramsci: il suo radicale pessimismo sul lo stato della società in cui egli si tro vava ad agire e sulla sua intrinseca ca pacità di riformare se stessa, e insieme una profonda ed istintiva sete di giu stizia alimentata dalla coscienza dei torti che le classi subalterne continuavano a patire; ancora, quella rigida vocazione moralistica, rafforzata dal lungo eserci zio alle meditazioni solitarie, la quale conferiva al fondo del suo pensiero e della sua azione un tono « di severo ri gore e di intransigenza impietosa » : doti, queste e quelle, da cui sembrano spontaneamente scaturire sia il suo estre mismo politico, sia il suo astrattismo intellettuale. Ciò doveva in qualche modo predi sporlo all’incontro con quelle particolari forme di reazione culturale e politica antipositivistica, che furono rappresen tate dall’idealismo e dal sindacalismo Schede rivoluzionario. In verità, l ’influenza di Croce e di Sorel sul giovane Gramsci sembrano essere state per molti aspetti determinanti di tutto il suo successivo indirizzo di pensiero e di azione. Ma, mentre con l ’eredità di Croce egli stes so seppe fare i conti superandola alme no in parte criticamente, l ’eredità di Sorel sembra aver agito in Gramsci, come in molte altre figure minori di militanti socialisti, più per suggestioni emotive che per forza di pensiero, riu scendo così a sfuggire l ’antidoto di una valutazione critica e prolungando quin di la durata dei suoi effetti ben oltre quel limite che un controllo intellettua le avrebbe potuto imporgli. Che effet tivamente Gramsci, sulla linea di Sorel, abbia scorto nel socialismo soprattutto lo strumento per fondare una nuova moralità nel rifiuto di tutti i valori del le « democrazie borghesi », mi sembra emergere assai chiaramente dalle pagine di Romano (cfr. spec. pp. 177 sgg., 198 sgg., 214). Non si creda tuttavia che que sta linea interpretativa finisca in alcun modo per appiattire ij pensiero di Gram sci; al contrario, pur nel quadro di una immutata prospettiva finale — un « or dine nuovo » che, espulso dal corpo so ciale il « focolaio della corruzione, la libera concorrenza del regime capitali sta », sanate le menti dalla « illusione della democrazia liberale », organizzi la società secondo la nuova moralità socia lista {« in modo che ogni uomo dia il massimo del suo rendimento e la sua attività sia coordinata all’ attività univer sale in una armonia che elimini ogni sofferenza inutile ») — Romano coglie poi molto bene il progressivo orientarsi politico di questo pensiero, cioè la scel ta dei mezzi che si ritengono via via i più atti a conseguire il proprio ideale; in particolare, egli giustamente pone l’accento sulla fase di trapasso in Gram sci dai propositi di azione rivoluziona ria attraverso l ’ attuazione di una « ri forma intellettuale e morale », del tutto compatibile con lo svolgimento di « ci vili competizioni » politiche (quindi nel l’accettazione del « metodo democrati co »), all’adozione invece della « solu zione di forza » nella quale la funzione rivoluzionaria viene assunta dall’opera di « coercizione e di disciplina » attuata dallo stato attraverso la dittatura del proletariato. Questa svolta decisiva vie ne individuata tra la fine del 1918 e la prima metà del 1919, in coincidenza 21 certo non casuale da un lato con la fon dazione della Terza Internazionale, dal l ’altro con la fondazione de « L ’Ordine Nuovo »; si tratta del momento più im portante del pensiero e della vita di Gramsci, e ad esso Romano dedica quel lo che a me sembra ij capitolo centrale della sua opera (Cap. V I : Prospettive e teoria della lotta rivoluzionaria dopo la prima guerra mondiale), dove si af frontano e si mettono a fuoco alcuni dei temi più vivi della storia del movi mento operaio italiano : lo sviluppo del massimalismo, le ripercussioni della R i voluzione russa, l’esempio del lenini smo; sono i temi legati alla fondazione del Partito comunista. Purtroppo non è possibile dare conto in queste brevi note dei risultati particolari a cui l’in dagine di Romano direttamente condu ce o delle conclusioni che essa impli citamente invita a trarre. A me sem bra, in generale, che venga in gran parte confermata l’ipotesi secondo la quale l’ accettazione letterale del modello russo rispetto alla situazione italiana, costituì un grave errore politico, di cui Gramsci ebbe la sua parte, gravido di effetti funesti l’eco dei quali perdura ancor’oggi in non lieve misura. Ma, in dipendentemente dalle valutazioni che si ritenga di trarre dalla lettura di que ste pagine, indipendentemente dal gra do di consenso come dalle riserve che molti giudizi particolari di Romano pos sono suscitare, mi pare che questo la voro rappresenti un’occasione e un in vito alla riflessione e alla eventuale di scussione, che non dovrebbero andare perduti data l’importanza e anche la permanente attualità dei temi in que stione. La rimanente parte del libro segue soprattutto la parte avuta da Gramsci nel preparare la scissione di Livorno, e ne descrive poi la vita di combattente comunista, rincontro con Giulia Schucht, l’ultimo doloroso periodo del carcere. M a, a partire circa dal 1921 la narra zione di Romano si fa molto più rapi da, come di chi in sostanza abbia già dato fondo ai problemi che soprattutto aveva in animo di indagare. Che ciò renda in tutto e per tutto giustizia a Gramsci non direi; non solo si sarebbe desiderato sapere di più sull’attività po litica di Gramsci dal 1923 (anno in cui assunse la guida del P.C.I.) sino alla data del suo arresto (e credo che in proposito si sarebbe potuto trovare moi- 122 Schede to materiale inedito e di grande inte resse presso l’Archivio Centrale dello Stato); ma, soprattutto, rispetto ai qua derni del carcere, che pure rappresen tano un eccezionale sforzo intellettuale inteso anche ad approfondire e giustifi care precedenti scelte politiche, il deli berato silenzio di Romano non appare giustificabile. E tuttavia, parlare per questa bio grafia di un Gramsci « senza testa », come hanno suggerito alcuni precedenti recensori, non mi par giusto. Il valore intellettuale di Gramsci, che volle so prattutto essere uomo politico militante, emerge con estrema evidenza da quel l’azione politica, tra guerra e dopoguer ra, che Romano analizza con tanta cura e di cui l’attività giornalistica fu parte sostanziale e spesso preponderante; e anche se, per avventura, i quaderni del carcere non fossero giunti a noi, Gram sci rimarrebbe ugualmente una delle per sonalità più ricche di pensiero che il socialismo italiano abbia saputo espri mere. Roberto Vivarelli. A . D e G a speri , Lettere dalla prigione, 1927-28, Milano, Mondadori, 1965, pp. 182. Nel generale dima di reazione che seguì alla vittoria del fascismo sull’ultimo tentativo dell’opposizione democra tica raccolta, dopo il delitto Matteotti, nell’Aventino, anche Alcide De Gaspe ri, ex segretario del partito popolare, venne arrestato, nel 1927. Fu quello il periodo in cui si ebbero il processo con tro Rosselli-Parri-Pertini per l ’espatrio di Turati dall’Italia e, poco dopo, l’al tro grande processo — il processone, come è stato detto — contro i dirigenti comunisti. Erano i gesti con cui il fa scismo intendeva dimostrare sia al Pae se sia all’opinione pubblica internazio nale che teneva ormai ben saldamente il potere e che aveva vinto ogni resi stenza e piegato gli avversari. Così, in tale clima anche un esponente dei vec chi partiti democratici, come De Ga speri, fu imprigionato, senza un motivo apparente, almeno così risulta dalle let tere che egli scrisse alla moglie e che (ora è uscita la seconda edizione, Mon dadori) questa ha voluto pubblicare per chè si possa meglio « apprezzare lo spi rito cristiano e la grande fede di lui, che non hanno mai vacillato, neanche nei momenti più tristi della vita ». Senza un motivo apparente, abbia mo detto, ed infatti si scorge la sua alta meraviglia per l’arresto, per la « sventura immeritata » che l ’aveva col pito. Evidentemente, non voleva ancora rassegnarsi alla logica ineluttabile della dittatura, profondamente diversa da quel la dei regimi democratici. Ma, alcuni mesi più tardi, quando una certa ras segnazione era scesa ne) suo animo, trovava che l’ arresto era stato dovuto al fatto che aveva resistito 0 fino al l’ultimo, sulla trincea avanzata, alla quale mi aveva chiamato il dovere », la trincea che gli avevano imposto le sue convinzioni, « la dignità, il rispetto di [se] stesso, la fedeltà alla [sua] bandiera e alla [sua] vita ». Ed affer mava con vigore di rimanere sempre un « popolare », « il De Gasperi dei suoi giovani o dei suoi anni maturi, come un chirurgo rimane un chirurgo, anche se muta ospedale, e un ingegnere un ingegnere ». La sventura immeritata, co sì, invece di piegarlo lo rendeva ancor più consapevole di ciò che era stata la sua vita, intessuta del programma che gli « aveva imposto di lavorare per l’e levazione degli umili e per la giustizia e per j diritti, diritti relativi, lo so, popolari ». Da questa vicenda dolorosa, pertanto, usciva con una fede più inten sa negli ideali ai quali aveva dedicato la sua esistenza e con la ferma volontà di non « giocare la propria coscienza e riputazione ». Nelle seguenti parole è tutta la sua esperienza, resa più consa pevole dal fascismo, che spingeva non pochi ad abdicare alla propria dignità, ma che educava in altri una vita mo rale più alta, preparazione, come diceva lo stesso De Gasperi, alla futura vita democratica : « Voi che mi siete congiunti da tan ta solidarietà spirituale, ricordatevi di me presso il Signore, affinchè se così debba essere, affronti con coraggio il mio destino, faccia cioè nè più nè me no del mio dovere. Perchè questo cam mino della Croce è pur anche un cam mino e quest’ inerzia io mi lusingo che possa essere azione. Se soffrendo digni tosamente e virilmente darò buon esem pio, se portando il peso che pur tocca a tanti, meno sorretto da forze morali, io porterò più in alto anche la fama della nostra idea, non è vero, che an- Schede che tale servizio, umile ma tenace, sarà pure un servizio utile? ». Giungeva, in tal modo, a risentire ancor di più il valore della sua prece dente fedeltà all’idea e l’importanza di aver difeso questa idea con accanimento di fronte a « coloro che si dicono catto lici come me e spesso con maggior ve ste di rappresentare tale pensiero », ma che avevano troppo facilmente applau dito « al successo » e che avevano « col loro contegno lasciato credere che la Chiesa abbandonasse i vinti: accusa con tro la quale era insorto tutta la vita ». « Qui sta la tragedia — soggiungeva — del nostro, del mio sacrificio », cioè nella presenza di « uomini di preda, uo mini del piacere » che avevano grave mente compromesso la fermezza e la resistenza degli uomini di buona fede. Questi sono i soli accenni alla pre cisa responsabilità dei clerico - fascisti nella vittoria della dittatura, in queste lettere che sono volte piuttosto ad una acuta ricerca dei propri stati d’animo, con brevi accenni alla sua ansia di ri manere in contatto con il mondo ester no e di non venire tagliato fuori ( « de scrivetemi ■—- scriveva alla moglie il io giugno ’27 — i particolari della vo stra vita ch’io possa tenervi compagnia almeno con la memoria » : è la stessa ansia che traspare chiaramente dalle let tere dal carcere del Gramsci), oppure con qualche sorridente ironia sul nuovo regime, come nella lettera dell’ n giu gno ’ 28 : « Esprimendomi sinteticamen te, com’ è lo stile imperiale deH’anno V I, posso dire che la battaglia contro i pi docchi delle rose procede serrata e vit toriosa. Vedo già spuntare il giorno in cui, non essendoci più rose, saranno sterminati anche i pidocchi. Più ardua è la battaglia delle lumache [ ...] . Per ciò, quando le scovo, le tiro fuori al sole e, mancandomi l’animo di ammaz zarle, decido tuttavia di mandarle al confino, il quale, non avendo isole a disposizione, si espia... nell’orto dei vi cini. Nel qual proposito ho veramente dei dubbi, prima dal punto di vista del la coscienza e secondo anche dal punto di vista della riuscita, perchè i fuo riusciti possono sempre tentare di rien trare, come i Neri ai tempi di Dante ». La speranza si infiltrava anche in que ste osservazioni in apparenza scherzose e ironiche, la speranza che anche ai fuoriusciti politici o agli esuli in patria fosse un giorno concesso di ritornare 123 nel pieno possesso del proprio paese, in cui tutti i cittadini fossero democra ticamente eguali e non classificati se condo l’avvilente distinzione messa in voga dal fascismo, fra cittadini con tutti i diritti e cittadini con nessun diritto perchè considerati anti-nazionali. Ma, come abbiamo detto, queste let tere si dilungano soprattutto nella de scrizione di stati d ’animo, e fra questi ci pare interessante quello relativo alla sua religiosità che si ricollega alla sua concezione della vita e della realtà: infatti, quando era entrato nel carcere era disposto a rimettersi del tutto alla Provvidenza: « Cara Francesca — di ceva alla moglie il 26 aprile ’27 — quando si fa ogni sforzo per capire ciò che succede, e non si riesce, vuol dire che la Provvidenza per suoi disegni im perscrutabili ha disposto così e preghia mola, perchè ne ricavi il bene per noi e per gli altri ». Era stato, quello, il periodo in cui, come scrisse più tardi, il 18 giugno ’28, pensava che il centro fosse lui solo e tutto il resto si trovas se sulla circonferenza: « Dio, la fami glia, gli amici. Iddio? Perchè mi aveva lasciato trattare così? La famiglia, che cosa farà senza di me? Gli amici, che cosa diranno di me? ». La dedizione alla Provvidenza, perciò, una dedizione assoluta e senza riserve, aveva nasco sto, come deve avvenire in chi si sente sempre sorretto da una grande forza soprannaturale, una certa esaltazione di se stesso, come se egli vedesse le cose « dal centro del proprio io ». Ma, poi, a poco a poco, una fiducia così concreta nella Provvidenza si era rivelata vana, ed allora, « lentamente, faticosamente, gemendo e sospirando sotto la pressura dell’esperienza », il suo centro si era spostato : « al centro ora stava Dio ed io mi trovavo sulla periferia, col resto del mondo; un pulviscolo in un vortice inesplorabile. Mi provai allora a spie gare gli avvenimenti dal Suo punto di vista [ ...] . La vita di quaggiù... un breve tratto di una traiettoria lunghis sima che si perde in un disegno eterno, che si prolunga al di là di ogni nostro orizzonte e di ogni nostra esperienza ». De Gasperi, perciò, aveva superato lo stato d’animo in cui, ritenendosi in diretto contatto con la Provvidenza, si credeva anche superiore agli altri, per chè prediletto da quella, ed era entrato in un nuovo stato d ’animo in cui la sua esistenza si immergeva « nel resto del 124 Schede mondo» e in «un vortice inesplicabile». Ora veramente poteva realizzare un con tatto sereno e proficuo con la vita, sen tire, con la « fantasia viva » o con « il senso acuto », « il rigoglio dell’erba ma tura o, più in basso, il profumo del l’erba che secca ». L e notazioni politi che si fanno meno frequenti nella se conda parte di questo carteggio, forse perchè egli si sente immerso in una esperienza più vasta di cui non è che un piccolo momento, ma, in compenso, si avverte che è sceso nel suo cuore un maggior spirito di rassegnazione, una rassegnazione che non è tanto attesa passiva della giustizia divina quanto con sapevolezza della utilità umana e so ciale anche di una modesta esistenza, quale poteva essere quella da lui con dotta nel carcere. Ecco perchè si im merse nel lavoro, dimenticando i la menti per la sua triste sorte, e, quasi meravigliandosi di tale sua nuova e pa ziente attività, scriveva, alla fine di feb braio del ’28, che « il vecchio polemi sta s’è abituato ad inquadrare ed irregimentare anche le idee, le reminiscen ze della storia e le conclusioni dei sa pienti ». Era il nuovo stato d ’animo, più sereno e meno affannato, che gli dava anche una più profonda fiducia nella vita, da vivere rendendosi ragione di tutto quanto avviene e non mitica mente, come forse faceva quando ri portava ogni cosa alla Provvidenza. Franco Catalano.