La nuova nozione di terreno edificabile nella disciplina dei diversi

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La nuova nozione di terreno edificabile nella disciplina dei diversi
La nuova nozione di terreno edificabile
nella disciplina dei diversi tributi
La nuova nozione di terreno edificabile
nella disciplina dei diversi tributi *
La nuova nozione di area edificabile a fini tributari come conseguenza
dell’esistenza di uno strumento urbanistico generale solamente adottato
di Paolo Puri
La scelta del legislatore fiscale è dunque quella di anticipare il momento dell’edificabilità alla mera
adozione dello strumento urbanistico generale da parte del Comune. Prima di esaminare gli effetti
di tale disposizione con riferimento alle singole imposte interessate è opportuno valutare se la
scelta sia compatibile con il procedimento che a livello urbanistico definisce l’edificabilità di un
terreno.
Associato di Diritto Tributario Università della Tuscia
Premesse
Il comma 2 dell’art. 36 del D.l. n. 223/2006 convertito con modifiche nella L. 4 agosto 2006, n. 248
interviene sulla nozione di area fabbricabile ai fini dell’Iva, dell’imposta sui redditi, di registro e
dell’Ici.
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La funzione della disposizione è evidentemente quella di risolvere l’annosa questione - oggetto di
un contrasto giurisprudenziale recentemente portato all’attenzione delle Sezioni Unite della Corte
di Cassazione - della definizione di area fabbricabile. In particolare l’intervento normativo sembra
in qualche modo superare il “dibattito giurisprudenziale”1 sfociato nel confronto fra la tesi c.d.
binaria (che adotta una concezione di edificabilità come qualità risultante esclusivamente da un
piano urbanistico perfezionato) e quella c.d. ternaria (che considera edificabili anche quei terreni
inseriti in una zona edificabile da un Prg non ancora perfezionato)2 attraverso l’individuazione di
una nozione unitaria che di fatto prescinde dalle definizioni contenute nelle singole leggi
d’imposta per identificare un unico momento temporale a partire dal quale l’area possa definirsi
come edificabile.
In conseguenza di ciò si avranno, ai fini fiscali, solo 2 categorie di terreni: quelli edificabili e quelli
non edificabili. Intendendo per i primi quelli per i quali vi sia uno strumento urbanistico generale
adottato (che per le Regioni3 che prevedono sia i piani strutturali che operativi deve intendersi
come piano strutturale) e per i secondi quelli agricoli o quelli privi di qualsiasi utilizzabilità per la
presenza di vincoli di inedificabilità.
Singolare è però la tecnica legislativa utilizzata per raggiungere l’obiettivo: il legislatore non
interviene, infatti, sulle singole disposizioni ma si limita ad indicare che «ai fini dell’… un’area è da
considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio sulla base dello strumento urbanistico
generale adottato dal Comune indipendentemente dall’approvazione della Regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo».
Proprio il tenore della norma che ne fa supporre la natura interpretativa, impone un’analisi che già
in sede di primo commento non si esaurisca nella descrizione degli effetti sostanziali nel sistema
delle singole imposte, ma ne valuti anche l’efficacia temporale con particolare riguardo ai limiti
alla sua retroattività.
Rispetto a questo obiettivo esigenze espositive suggeriscono un intervento che anteponga il
profilo descrittivo a quello sulla natura (interpretativa o meno) e sull’efficacia temporale della
disposizione in commento.
L’attività amministrativa di governo del territorio coinvolgendo interessi pubblici e privati4 si
concretizza in un’attività che, in quanto tale, deve perseguire l’interesse pubblico (attraverso la
conformazione dell’esercizio del diritto di proprietà dei privati) ed assicurare nel contempo (ed in
quanto possibile) il conseguimento da parte dei privati degli interessi sostanziali di cui sono
titolari. E’ dunque la risultante del contemperamento di differenti situazioni giuridicamente
rilevanti5: quelle, da un lato, scaturenti dagli articoli 3, 41 e 42 della Costituzione (che tutelano
l’uguaglianza sostanziale dei cittadini, la libertà di iniziativa economica e la proprietà) e, dall’altro,
dagli articoli contenuti nel Titolo V della Costituzione attraverso i quali vengono definite le
competenze legislative ed amministrative degli Enti Locali nella materia dell’urbanistica.
Il superamento di qualsivoglia carattere “concessorio” nel procedimento che attribuisce l’edificabilità si rinviene nell’evoluzione stessa del concetto di “pianificazione del territorio”, evoluzione che
può assurgere a paradigma dell’evoluzione “ideologica” della concezione stessa del diritto urbanistico. Se infatti il sistema originario (L. 17 agosto 1942, n. 1150) si fondava sul principio della
gerarchia tra piani collegata alle dimensioni territoriali di questi ultimi, di modo che, da un lato, le
Regioni e le Province - e prima di loro il Ministero dei Lavori Pubblici - ponevano dei veri e propri
vincoli all’azione del Comune nella redazione dei Prg e dei loro strumenti attuativi, e dall’altro, le
prescrizioni contenute a livello più generale (il c.d. piano territoriale di coordinamento) assumevano carattere cogente (e, quindi, prevalente) sulle disposizioni contenute nel livello di pianificazione secondaria (costituito dai piani regolatori generali e dai programmi di fabbricazione) e
questi ultimi, a loro volta, incidevano sugli strumenti urbanistici di terzo livello (piani particolareggiati di attuazione) che non potevano discostarsi dalle disposizioni dettate ai livelli superiori6,
la successiva evoluzione normativa7 è contrassegnata dalla progressiva erosione del principio
gerarchico della pianificazione urbanistica e dalla proliferazione di strumenti urbanistici, per così
dire, “speciali”, che hanno introdotto nuove possibilità di modificazione del Prg al di fuori del
normale iter procedimentale disciplinato dalla legge urbanistica fondamentale. Processo che la
dottrina amministrativistica ha definito come «passaggio dalla gerarchia dei piani alla gerarchia
degli interessi».
In questo sistema il Prg ha comunque mantenuto la funzione centrale di suddivisione del
territorio comunale in zone - precisando al contempo quali di esse sono destinate all’espansione
dell’aggregato urbano, nonché determinando i vincoli ed i caratteri che ciascuna zona deve
assumere - pur collocandosi ad un livello intermedio (o secondario) della piramide gerarchica il
cui vertice è rappresentato dai piani territoriali regionali e la cui base è costituita dai piani di
attuazione. Tuttavia se l’elemento caratterizzante dei piani territoriali di coordinamento (siano
essi di competenza regionale o provinciale) è ancora quello di prevedere le direttive generali e di
indirizzo nei confronti della pianificazione sottordinata, di modo che le prescrizioni ivi contenute
incidono solo in via mediata sulla conformazione del territorio, è proprio al Prg che viene
demandato il compito di recepire le indicazioni ivi formulate e quindi di incidere sulle situazioni
giuridiche dei privati8. Il ruolo centrale di tale momento conformativo è altresì enfatizzato dalla
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Novità e problemi
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relativa agli immobili
ridotta influenza dei piani attuativi che - se nello schema procedimentale originario, dovevano
sviluppare nel dettaglio le prescrizioni contenute nel Prg (in modo tale da preservare una certa
flessibilità di tale strumento di pianificazione) ed erano condizione imprescindibile per il rilascio
della concessione edilizia - hanno nella pratica una ridotta operatività essendo considerata
superflua la pianificazione di dettaglio allorquando l’area offre già un adeguato livello di urbanizzazione, ovvero quando le norme del Prg vigente presentano un sufficiente grado di specificazione.9
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E’ questo un primo importante elemento a favore della centralità del Prg che trova conferma anche
nel procedimento formativo del Prg laddove quest’ultimo da un punto di vista strettamente procedimentale, si configura come un “atto soggettivamente complesso ineguale”, alla cui approvazione
partecipano, con ruoli e funzioni diverse, sia il Comune, sia la Regione (o la Provincia nei casi di
delega di tale funzione prevista dalla legislazione regionale). Più precisamente, il Comune è tenuto
ad adottare lo strumento urbanistico ed a trasmetterlo alla Regione che, una volta verificata la sua
conformità agli indirizzi generali (nonché alle altre prescrizioni di cui si dirà fra poco), approva
definitivamente il piano.10 La nuova disciplina tributaria prescinde però dagli esiti di tale verifica
(oltre che dall’adozione di strumenti attuativi) anticipando gli effetti dell’edificabilità all’adozione
dello strumento urbanistico. Peraltro si tratta di una scelta in qualche modo coerente con l’affermazione della migliore dottrina amministrativistica del superamento del rapporto tra pianificazione regionale e quella comunale; laddove l’esercizio delle rispettive competenze ha assunto
contorni più sfumati ed elastici, che, da un lato, escludono la facoltà, da parte della Regione, di
apporre modifiche d’ufficio in ambiti che non siano di sua competenza (ma, anzi, siano devoluti al
Comune), dall’altro, accrescono la necessità e l’importanza dei procedimenti (conferenze) e degli
istituti (accordi) volti ad agevolare la partecipazione e le intese degli enti esponenziali delle
differenti categorie di interessi coinvolti dalla pianificazione territoriale.11 Coerenza che appare
mantenuta anche alla luce dell’evoluzione del rapporto tra Prg e pianificazione di dettaglio:
laddove il primo (Prg) a seguito della sempre maggiore specificazione delle prescrizioni ivi
contenute può prescindere dal successivo livello di pianificazione per il rilascio della concessione
edilizia e la pianificazione attuativa più che eseguire le prescrizioni del Prg ha assunto una
vocazione spiccatamente settoriale.
Appare dunque corretto che almeno per taluni tributi la semplice adozione del Prg valga ad
attribuire la qualificazione come edificabile di un terreno lasciando alla fase della pianificazione
attuativa il luogo delle disposizioni di natura agevolativa che facilitino la realizzazione dell’interesse pubblico settoriale.12
Ciò che scaturisce da queste sommarie indicazioni è dunque che, almeno sul piano del sistema,
l’intervento del legislatore che collega l’edificabilità di un terreno alla sua previsione come tale in
uno Prg semplicemente adottato appare coerente con l’ormai indubbia centralità del Prg, inteso
come strumento per eccellenza di pianificazione del territorio e di conformazione della proprietà,
potendo - almeno per taluni tributi (come meglio vedremo in seguito) - prescindere tanto dalla
fase della verifica regionale13 (che appare come un passaggio formale raramente suscettibile di
apportare reali modifiche, salvo forse il caso del sopraggiungere di “prescizioni eteronome”)
quanto dalla pianificazione attuativa che concerne un livello di specificazione settoriale non
incidente sulla edificabilità tout court del terreno. Conclusione che non sembra superabile neppure
se traguardata alla luce dell’istituto delle c.d. “misure di salvaguardia”,14 poichè di là del loro effetto
sostanziale (che, a fini cautelari “paralizzano” il rilascio di concessioni edilizie nelle more tra
adozione ed approvazione del Prg per gli interventi che non siano conformi sia alla pianificazione
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in vigore, sia a quella approvanda), presentano un’incidenza limitata nel tempo e dunque suscettibile di incidere sul valore del terreno, ma non sul carattere (edificabile o meno) dello stesso.
Gli effetti della nuova disposizione nel sistema
dei diversi tributi interessati
Preliminarmente è appena il caso di ricordare che il legislatore utilizza diverse nozioni di area
fabbricabile nell’ambito delle diverse leggi d’imposta senza che tale differenza comporti necessariamente un insuperabile contrasto.15 Anzi la differenziazione sembrava rispondere a ragioni sistematiche e lessicali.
Così mentre per registro e successioni era proprio la particolare funzione nell’ambito di una
norma procedurale sui criteri di valutazione che poteva giustificare il richiamo ad un’edificabilità
“generica”, in quanto prevista da un qualsivoglia strumento urbanistico, per l’Iva e per le imposte
sui redditi la scelta normativa - inserita nella definizione della fattispecie imponibile - sembrava
presupporre quella maggiore specificazione riscontrabile nell’uso della formula della edificabilità
in base alle “vigenti disposizioni”; così limitando l’imponibilità alle sole ipotesi ove fosse consentito
un immediato intervento di natura edificatoria.
Più complessa invece la questione per l’Ici dove, pur nei limiti di un’imposta di natura patrimoniale, la nozione di terreno edificabile non funge tanto da discrimine fra ciò che è imponibile o
meno (poiché sia le aree fabbricabili che i terreni agricoli sono entrambi soggetti ad imposta)16,
quanto piuttosto da criterio per l’applicazione di una diversa base imponibile (il valore venale
invece che l’ammontare del reddito dominicale risultante in catasto applicando un moltiplicatore
pari a settantacinque). Per tale imposta, peraltro, l’intervento normativo appare di non agevole
lettura in quanto deve interpretarsi anche alla luce di un precedente provvedimento di analogo
tenore (cfr. il successivo paragrafo).
Vediamo, dunque, gli effetti rispetto a tale scenario della disposizione contenuta nel D.l. n.
223/2006. Nell’ambito del tributo di registro la disposizione interessata (l’art. 52, comma 4) è
quella che esclude dal criterio del c.d. criterio automatico di valutazione i terreni per i quali gli
strumenti urbanistici prevedono genericamente “la destinazione edificatoria”. La nuova disposizione
ha l’effetto di stabilire che per tale destinazione deve intendersi l’utilizzabilità «a scopo edificatorio
sulla base dello strumento urbanistico generale adottato dal Comune indipendentemente dall’approvazione della Regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo». E’ dunque evidente
che, tanto più a seguito della nuova disposizione,17 il criterio automatico non potrà essere
applicato per i soli terreni per i quali esista uno strumento edificatorio generale adottato dal
Comune. Nessun rilievo invece per concetti e nozioni diverse - quale quella dell’edificabilità di
fatto - che pure una recente giurisprudenza della S.C. aveva avanzato.18
La scelta appare tutto sommato condivisibile alla luce del rilievo che un Prg, anche solo adottato,
ormai sembra assumere nell’ambito del procedimento di conformazione dei terreni e per l’inserimento di tale previsione in una norma di tipo procedimentale. E’ appena il caso di ricordare,
infatti, che nel sistema del tributo di registro per i trasferimenti di beni immobili il criterio di valutazione c.d. automatica19 rappresenta una deroga all’ordinaria determinazione della base imponibile sul «valore venale in comune commercio» (art. 51, comma 2 D.P.R. n. 131/1986). Criterio
automatico che è escluso per quei beni dove è di fatto impossibile applicare un automatismo valutativo e necessita un accertamento diretto, come i terreni per i quali gli strumenti urbanistici
prevedono la destinazione edificatoria (cfr. art. 52, comma 4, ultimo periodo, D.P.R. n. 131/1986).
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Ebbene non vi è dubbio che proprio nell’ambito di una norma volta a disciplinare l’adozione o
meno di un tipo procedimento valutativo, la rilevanza di un fatto-indice come la mera adozione di
uno strumento urbanistico generale può essere pienamente apprezzata. Il maggior valore del bene
in quanto suscettibile di edificabilità vale infatti ad escludere quell’automatismo valutativo, qui
palesemente inadeguato, risolvendosi nell’obbligo di individuare quel valore “di mercato” che
comunque costituisce il criterio ordinario di valutazione. Non impedendo, peraltro, che proprio in
sede valutativa possano essere apprezzati altri elementi quali la differenza fra un’edificabilità in
itinere ed un’edificabilità di diritto (nel senso di aver completato il suo iter).
La sovrapposizione fra la prima norma e quella qui commentata appare pressochè totale con la
sola aggiunta del termine “adottato”. In considerazione di ciò e della diversa natura della nuova
disposizione (innovativa piuttosto che interpretativa), potrebbe allora chiedersi se la norma del
D.l. 223/2006 non abbia abrogato implicitamente quella del D.l. n. 203/2005 e così facendo
eliminato anche per l’Ici quell’efficacia retroattiva tipica delle disposizioni di interpretazione
autentica.
Discorso diverso per gli altri tributi. Il ruolo di tale definizione nell’ambito delle Iidd e dell’Iva è
quello di incidere sulla stessa fattispecie, individuando il presupposto d’imposta (nel senso che c’è
imposizione solo se il terreno è edificabile), e riducendo la questione circa la sua ammissibilità ad
una scelta di politica tributaria sottoposta al solo giudizio di compatibilità con il principio di
capacità contributiva.
In realtà la ricostruzione che scaturisce dalla successione delle norme è probabilmente diversa. Ai
fini Ici, infatti, sono imponibili in base al loro valore in comune commercio le aree per le quali l’utilizzabilità a scopo edificatorio, dipenda da una edificabilità diretta in base Prg26 ovvero all’esistenza di successivi strumenti attuativi27 ovvero, infine, alle possibilità effettive di edificazione
esistenti al momento dell’emanazione del decreto di esproprio28.
Così per le imposte dirette, nell’ambito dei redditi diversi, l’art. 67, comma 1, lett. b) del T.U.I.R. fa
discendere l’assoggettamento ad imposizione proprio dalla circostanza che si tratti di plusvalenze
realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria
«secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione». Pertanto a seguito dell’introduzione della nuova disposizione il riferimento agli strumenti urbanistici vigenti al momento
della cessione deve ora essere inteso come ad uno strumento edificatorio generale adottato dal
Comune senza necessità - come invece riteneva la precedente tesi prevalente20 - che lo stesso sia
perfezionato. Nessun dubbio peraltro che la realizzazione di una plusvalenza su di un terreno che
anche solo abbia avviato il procedimento per l’edificabilità possa costituire un indice ricchezza
tale da determinare il concorso alle spese pubbliche.
Pertanto la novella legislativa contenuta nel D.l. n. 223/2006 ha solo l’effetto di ampliare la portata
della prima previsione della disciplina Ici: quella che fa coincidere l’edificabilità con la previsione
in tal senso nel Prg e quest’ultimo, in forza della novella, potrà essere anche uno strumento solo
adottato29.
E ad identiche conclusioni si può pervenire per l’Iva dove l’art. 2, comma 3, lett. c) D.P.R. n. 633/1972
stabilisce che non costituiscono operazioni imponibili le cessioni aventi per oggetto terreni non
suscettibili di utilizzazione edificatoria a norma delle vigenti disposizioni21. Si realizza così anche
un migliore coordinamento con l’imposta di registro di cui l’imposta è alternativa22, poiché la
cessione di un terreno escluso da Iva in quanto non edificabile sarebbe comunque tassato ai fini del
registro come tale (non edificabile) e, dunque, fruendo del regime del c.d. criterio automatico.
L’utilizzo della nuova nozione di terreno edificabile
nell’ambito di un’imposta patrimoniale come l’Ici
Più complessa la questione dell’Ici. Va in primo luogo ricordato che il legislatore aveva per certi
versi anticipato23 l’intervento del D.l. n. 223/2006 adottando una nozione (art. 2, comma 1, lett. b)
del D.lgs. n. 504/1992) che già definisce area fabbricabile quella utilizzabile a scopo edificatorio in
base agli strumenti urbanistici generali o attuativi o comunque in base alle possibilità effettive di
edificazione determinate secondo i criteri previsti agli effetti dell’indennità di espropriazione per
pubblica utilità. Disposizione successivamente ulteriormente chiarita dall’art. 11-quaterdecies,
comma 16 del D.l. n. 203/2005 che ha interpretato autenticamente la citata disposizione nel senso
che un’area è da considerarsi comunque edificabile se è utilizzabile a scopo edificatorio in base allo
strumento urbanistico generale, indipendentemente dall’adozione di strumenti attuativi del
medesimo24 («ai fini dell’applicazione del D.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, la disposizione prevista
dall’art. 2, comma 1, lett. b), dello stesso decreto si interpreta nello stesso senso che un’area è da
considerare comunque fabbricabile se è utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento
urbanistico generale, indipendentemente dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo»),
sollevando dubbi di costituzionalità collegati alla natura espropriativa di una simile fattispecie
nell’ambito di un’imposizione di natura patrimoniale25.
Ciò posto, sotto un altro punto di vista, non va dimenticato che la disposizione Ici è comunque più
ampia laddove accanto al criterio dell’esistenza di uno strumento urbanistico presenta anche il
parametro individuato «in base alle possibilità effettive di edificazione determinate secondo i
criteri previsti agli effetti dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità»30.
E tale diversificazione di criteri con il richiamo al rigido meccanismo indennitario previsto dall’art.
5-bis appare non privo di rilievo, e talvolta foriero di incertezze.
Così, ad esempio, sembra doversi escludere ogni prerogativa edificatoria - e quindi l’esclusione da Ici
- alle aree destinate a verde pubblico attrezzato (come quelle ricadenti in zona “F”): infatti
applicando il rilevato criterio della conformazione si può ritenere che la destinazione urbanistica
impressa dal Prg abbia qui la caratteristica di creare un «vincolo così incidente sull’area» tale da
comportare «inedificabilità, trattandosi di un vincolo specifico (non assimilabile ad un vincolo
conformativo di semplice zonizzazione, non suscettibile di indennizzo), direttamente incidente sul
diritto di proprietà limitandone grandemente il godimento e l’utilizzazione»31. Interpretazione
confortata, oltre che da una prima giurisprudenza tributaria32, anche dall’orientamento della
Suprema Corte secondo cui « … non può essere considerato edificabile un fondo compreso in zona
destinata a verde pubblico attrezzato per il gioco e lo sport …»33.
Soluzione che però verrebbe capovolta se si pone l’accento sulla tipologia di intervento da
realizzare e sulla possibilità che lo stesso possa essere realizzato dal privato34.
Resta peraltro inteso che le valutazioni circa tale estensione dell’edificabilità di un terreno
possono essere applicate solo ai fini dell’imposta Ici: ed, in effetti, l’art. 2 del D.lgs. n. 504 del 1992
consente la particolare ricostruzione del concetto di edificabilità in quanto è preordinato allo
specifico scopo di individuare i criteri per la determinazione dell’indennità d’esproprio, mentre, al
contrario, le altre disposizioni in materia si ricollegano esclusivamente alle disposizioni in materia
urbanistica, ovvero ai soli strumenti urbanistici adottati.
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Novità e problemi
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Alcune questioni problematiche.
L’applicabilità alle altre imposte non espressamente richiamate
Una prima questione che sembra discendere dalla natura e dal tenore letterale della disposizione
commentata è se la stessa possa avere una sorta di “forza espansiva” anche al di là dei tributi espressamente richiamati.
Una prima risposta, negativa, discenderebbe dalla configurazione come norma interpretativa e
dunque per il suo carattere eccezionale priva di forza espansiva35. Se tuttavia si ritiene, come chi
scrive, che non si sia in presenza di una norma interpretativa, ma di una norma innovativadescrittiva (cfr. l’ultimo paragrafo) la sua automatica estensione dovrebbe escludersi, valendo al
più come criterio ermeneutico di tipo sistematico.
Sul piano pratico ciò significa che mentre per le imposte ipotecarie e catastali opera comunque la
nuova definizione di terreno edificabile in forza del rinvio «alla base imponibile determinata ai fini
dell’imposta di registro» ex art. 3 D.lgs. n. 347/1990, resta dubbia la sorte per l’imposizione sulle
donazioni.
Per queste ultime, infatti, esiste una disposizione - l’art. 34, comma 5 del D.lgs. n. 346/1990 - che
dovrebbe essere ancora in vigore malgrado l’abrogazione dell’imposta sulle successioni e che non
è interessata dall’intervento normativo del D.l. 223/2006. Peraltro anche se si ritenesse applicabile
a tale fattispecie il nuovo concetto di area edificabile ciò non significherebbe applicare anche
all’imposizione sulle donazioni il procedimento di valutazione ed i limiti alla rettifica propri
dell’imposta di registro.
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Gli effetti del mutamento delle condizioni di edificabilità
Nei precedenti paragrafi abbiamo rilevato che ai fini tributari per l’edificabilità di un terreno è
sufficiente la delibera del Consiglio Comunale (e non della Giunta) che recepisca il Prg, poiché è
detta delibera a costituire formalmente lo “strumento di adozione” del piano. Tuttavia non si può
trascurare che si tratta comunque di un piano esistente in astratto, ma non operativo, poiché in
mancanza dell’approvazione del piano da parte della Regione (o della Provincia se delegata) il
piano non è certamente operativo in concreto36. Non può inoltre escludersi che successivamente,
per la mancata approvazione regionale, per una modifica al Prg o per l’adozione degli strumenti
attuativi, l’edificabilità “astratta” non divenga mai concretamente tale.
Ci si deve dunque chiedere quali effetti discendano dall’eventuale mutamento delle condizioni di
edificabilità.
In primo luogo non sembra dubbio che, malgrado il suo tenore, la disposizione non sia tale da
“congelare” gli effetti dell’edificabilità al momento dell’adozione dello strumento generale indipendentemente dalle successive evoluzioni. In sostanza non si può sostenere che un terreno edificabile in base allo strumento generale, che poi non sia più tale, per l’adozione degli strumenti
attuativi, rimanga edificabile perché la norma fa riferimento all’adozione del Prg.
Ciò posto in termini generali il problema presenta nel particolare sfaccettature diverse.
Si è detto, infatti, che il Prg costituisce il nucleo fondamentale della pianificazione urbanistica: sia
che il Prg provveda direttamente, sia che demandi tale compito alla successiva pianificazione
attuativa, la conformazione del territorio (e della proprietà) non può prescindere delle
prescrizioni ivi contenute (salve eventuali deroghe apportate dai piani attuativi speciali di cui si è
detto). E’ bene rammentare, del resto, che la destinazione impressa nel Prg alle singole “zone” non
La nuova nozione di terreno edificabile
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avviene in ragione delle caratteristiche “geografiche” dei terreni, bensì in forza di scelte eminentemente discrezionali dell’Amministrazione circa il miglior perseguimento degli interessi
pubblici secondo un sistema pianificatorio articolato sulle c.d. “zone miste” (ovvero sulla facoltà di
imprimere contemporaneamente alla stessa zona più destinazioni: ad esempio, residenziale e
commerciale). Sotto un’altra visuale non si può trascurare che il Prg, nella sua qualità di strumento
di pianificazione di secondo livello, assume un rilievo programmatico, che, può essere modificato
nell’ambito delle prescrizioni della pianificazione attuativa o di dettaglio.
Così pare potersi concludere nel senso della inedificabilità relativamente alle aree incluse nel Prg
in zona edificabile che la pianificazione esecutiva rende inedificabile per la destinazione a verde o
a spazio di transito37.
Invece nel caso in cui i vincoli d’inedificabilità derivino dal rispetto delle regole riguardanti le
distanze o l’indice di edificabilità, ovvero dal regolamento edilizio, la qualificazione “generica”
fiscale (ovvero da previsione di Prg) come terreno edificabile non può essere esclusa38.
Ancora diversa la questione per l’ipotesi di mancata approvazione del Prg da parte dell’ente territoriale sovraordinato. In questo caso, infatti, mi sembra di poter ritenere - pur con le precisazioni
in termini di legittimità costituzionale fatte a propoisito dell’Ici - che il terreno rimanga edificabile
fino a quando il Comune non recepisca le modifiche richieste dalla Regione in un nuovo Prg
adottato. La soluzione coerente con l’impostazione che considera comunque una scelta insindacabile del legislatore quella di “anticipare” gli effetti dell’edificabilità in sede di definizione della
fattispecie imponibile (come accade per le imposte sui redditi e per l’Iva) o nell’individuazione del
procedimento valutativo (come accade per l’imposta di registro), laddove tali scelte non risultino
irrazionali poiché nelle more dell’approvazione del nuovo piano la situazione di incertezza si
rifletterà certamente nella minor valutazione del terreno.
E’ quanto specularmente accade per il caso in cui i vincoli apposti nel Prg incidano su particolari
beni determinati, ovvero presentino natura sostanzialmente espropriativa, poiché qui l’inedificabilità che ne discende avrà carattere solo temporaneo e strumentale alla definizione del sottostante procedimento espropriativo; altrimenti, le aree in questione (ri)acquisteranno vocazione
edificatoria nei limiti previsti dalla L. n. 10 del 1977, fino all’eventuale nuovo assetto del Prg
operato dall’Amministrazione comunale.
Mutamento delle condizioni di edificabilità e clausole negoziali
che prevedono la integrazione/restituzione del prezzo
Dal nuovo regime tributario dei terreni edificabili potrebbe discendere l’introduzione in atto di
clausole negoziali che collegano il pagamento o la restituzione del prezzo al mutamento della
situazione di edificabilità. E’ infatti probabile che se la compravendita del terreno interviene
quando un Prg è stato solo adottato, ma non ancora efficace, le parti si cauteleranno circa il
possibile mutamento delle sorti del terreno, prevedendo un’integrazione del prezzo o la restituzione di parte di questo.
L’ipotesi dell’integrazione del prezzo non sembra presentare particolari problemi né ai fini dell’imposizione sui redditi, dove - per i redditi diversi - vige il principio di cassa (art. 68 T.U.I.R.), nè ai fini
dell’Iva laddove la base imponibile è comunque commisurata all’ammontare del corrispettivo
dovuto e dunque impone di assoggettare ad imposta l’integrazione del prezzo solo quando il
diritto ad esso venga giuridicamente in essere.
Invece ai fini dell’imposizione di registro il combinato disposto degli artt. 19, 35 e 43 del D.P.R. n.
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Novità e problemi
nell’imposizione tributaria
relativa agli immobili
131/1986 fa ritenere che l’imposta debba essere applicata in base al valore dichiarato in sede di
registrazione (dunque senza integrazione di prezzo), salvo obbligo di denunciare l’integrazione
del prezzo ex art. 19 con conguaglio di imposta.
Più complessa l’ipotesi inversa (restituzione del prezzo). Se infatti ai fini dell’imposizione sui
redditi è possibile considerare onere deducibile ex art. 10, comma 1, lett. d-bis del T.U.I.R. «le somme
restituite al soggetto erogatore, se hanno concorso a formare il reddito in anni precedenti», ai fini
Iva la possibilità di recuperare la maggiore imposta versata si scontrerà con le limitazioni, anche di
tipo temporale, contenute nell’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972.
Ai fini del registro dovrebbe invece applicarsi comunque l’art. 35, comma 3 con imposta applicata
sul valore minimo e obbligo di denunzia e di integrazione dell’imposta quando la condizione della
restituzione non potrà più verificarsi.
Risoluzione per mutuo dissenso
Non può infine escludersi che la mancata conclusione del procedimento relativo all’edificabilità
del terreno induca le parti del contratto di compravendita a risolverlo attraverso il negozio
giuridico del mutuo dissenso. Quest’ultimo, come noto, è il contratto mediante il quale viene
estinto con efficacia ex tunc un preesistente contratto stipulato tra gli stessi soggetti.
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Tale figura - espressamente menzionata nell’art. 1372 del codice civile - possiede una sua autonomia
funzionale così da assurgere a contratto tipico, dotato di un suo proprio nomen iuris, di una sua causa
tipica (risoluzione di un precedente contratto), di un suo oggetto tipico (il precedente contratto che
si intende risolvere nella sua interezza) e di suoi effetti tipici (effetti estintivi e non traslativi), oltre
ad essere caratterizzato da una puntuale disciplina in tema di pubblicità immobiliare (annotazione,
e non già trascrizione)39. La fattispecie del mutuo dissenso è invero caratterizzata dallo scopo di
rimuovere ed annientare un contratto dal mondo giuridico, e non già da quello di alienazione
contro corrispettivo. In esso non ricorre alcuna alienazione o trasferimento di bene e pertanto la
nozione di retrocessione è assolutamente estranea alla figura del “mutuo dissenso di un atto di
compravendita” e non ne costituisce né un effetto giuridico tipico, né un effetto collegato o
secondario.
Da ciò consegue che al mutuo dissenso, stante la sua tipicità normativa, non si può applicare la
disciplina della “retrovendita”, la quale costituisce ed è riconducibile al diverso schema legale caratterizzato da efficacia traslativa (art. 1470 e non art. 1372 del codice civile). Vero è che il bene oggetto
del contratto di vendita si intende - dopo la stipula della convenzione risolutiva - non più in
proprietà dell’acquirente, bensì del venditore originario; ma ciò discende esclusivamente dall’operare del meccanismo risolutorio frutto del principio della retroattività, in virtù del quale l’originario contratto traslativo si intende tamquam non esset, vale a dire come mai stipulato; di guisa che
l’originario titolare del bene si considera come se mai avesse alienato il bene e dunque come se il
bene non fosse mai uscito dalla propria sfera di disponibilità giuridica. Così unitamente a tali effetti
eliminativi, conseguono effetti ripristinatori o restitutori.
Tale negozio, pertanto, potrebbe essere efficacemente utilizzato per risolvere quelle situazioni
nelle quali per cause indipendenti dalla volontà delle parti, non si è raggiunto lo scopo dell’originario contratto di compravendita ovvero il trasferimento non già di un terreno tout court, ma di
un terreno edificabile.
Le conseguenze di tale negozio differiscono, solo in parte da quelle enunciate a proposito delle
clausole di restituzione del prezzo.
La nuova nozione di terreno edificabile
nella disciplina dei diversi tributi
Infatti dal punto di vista delle Iidd e dell’Iva l’effetto risolutorio oltre a riportare il bene nella disponibilità giuridica dell’originario alienante determina la restituzione del prezzo.
Conseguentemente anche la plusvalenza non può più dirsi realizzata: nulla quaestio se ciò avviene
nello stesso periodo d’imposta (perché in tal caso non andrà evidenziata alcuna plusvalenza imponibile), mentre se la risoluzione avverrà in un diverso periodo d’imposta per le imposte a suo
tempo pagate residuerà il solo rimedio di cui all’art. 10, comma 1, lett. d-bis del T.U.I.R. Le
conclusioni avanzate in occasione della restituzione parziale del prezzo valgono ai fini Iva anche
per la risoluzione (anche in questo caso si avranno le limitazioni e i vincoli previsti dall’art. 26 del
D.P.R. n. 633/1972).
Diversa è invece la situazione ai fini dell’imposizione di registro e ipotecaria e catastale.
L’Amministrazione ritiene infatti che tale negozio giuridico debba scontare l’imposta di registro,
nonché quelle di trascrizione e catastale, in misura proporzionale, dal momento che la sua natura
di atto risolutivo di un precedente accordo ad effetti reali, qual è una compravendita immobiliare,
comporterebbe la retrocessione dei beni ceduti e la restituzione del prezzo corrisposto.
Conclusione non condivisibile40 ove si osservi che l’art. 28 del T.U. del registro prevede che nei casi
previsti dal comma 1, l’imposta è dovuta in misura fissa, ma non dice che in ogni altro caso l’imposta
sia dovuta in misura proporzionale. E’ peraltro vero che il omma 2 stabilisce che «in ogni altro caso»
l’imposta si applica secondo le prestazioni derivanti dalla risoluzione e dunque secondo l’intrinseca
natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione. Inoltre, non può trascurarsi che in
entrambi i primi 2 commi dell’art. 28, si statuisce che l’imposta proporzionale si applica soltanto
sull’eventuale previsione di un corrispettivo per la risoluzione. Dunque, l’imposta proporzionale è
dovuta solo se sia stato stabilito un corrispettivo per la risoluzione (fenomeno da non confondersi
con la restituzione del prezzo, che invece è un effetto naturale della risoluzione contrattuale). Se,
dunque, dal mutuo dissenso di una compravendita immobiliare non conseguono effetti traslativi, è
illegittima ed iniqua una tassazione con le imposte proporzionali previste per i trasferimenti.
La conclusione in favore della tassazione in misura fissa appare inoltre in linea con quanto stabilito
dall’ art. 8 lettera e) della Tariffa, parte prima, del D.P.R. n. 131/1986 laddove è previsto che le
sentenze (ivi comprese quelle che, ad esempio, dichiari la risoluzione di un contratto di compravendita immobiliare) che dichiarano la nullità o pronunciano l’annullamento di un atto o la risoluzione di un contratto, debbano scontare la sola tassa fissa.
Irrilevanza del nuovo regime ai fini delle imposte dirette delle donazioni di immobili
per le donazioni di terreni edificabili
Ai fini delle imposte dirette è poi importante evidenziare che la nuova definizione di terreno edificabile imponibile non sembra avere punti di contatto con la disposizione contenuta nei commi 38
e 39 dell’art. 37 del D.l. 223/2006 che apportano modifiche alla disciplina della tassazione delle
plusvalenze immobiliari di cui all’art. 67, comma 1, lettera b), prima parte del D.P.R. n. 917/198641.
Per effetto di tali disposizioni anche la cessione a titolo oneroso di immobili ricevuti per
donazione genererà una plusvalenza imponibile ai fini delle imposte sui redditi, salvo che dalla
data di acquisto da parte del donante e la successiva rivendita da parte del donatario non siano
trascorsi più di cinque anni. Nel caso si verifichi un’ipotesi di plusvalenza imponibile fini del
calcolo della anzidetta plusvalenza si assumerà come valore iniziale il prezzo di acquisto o costo di
costruzione sostenuto dal donante medesimo.
La funzione della disposizione è comunque chiara essendo diretta a colpire pratiche elusive42
come quella che attraverso la donazione - generalmente ad un familiare - “affrancasse” di fatto la
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27
Novità e problemi
nell’imposizione tributaria
relativa agli immobili
plusvalenza latente sull’immobile; plusvalenza che sarebbe stata realizzata in occasione della
successiva rivendita da parte del donatario.
pretarsi nel senso di y”). Ebbene - venendo al caso di specie - nulla di tutto ciò si rinviene nell’art.
36, comma 2, caratterizzantesi per un silenzio formale e per l’assenza di formule interpretative.
Tuttavia si tratta di una previsione che non tocca il regime proprio delle plusvalenze sui terreni
edificabili. Per queste ultime, infatti, la tassazione era comunque già prevista in forza dell’inciso «in
ogni caso» (e quindi a prescindere dal titolo di provenienza) contenuto nell’ art. 67, comma 1, lett.
b) ult. periodo T.U.I.R.; resterà pertanto in vigore il criterio di determinazione specifico previsto
dall’ultimo periodo dell’art. 68, comma 2 del T.U.I.R. che fissa un valore iniziale pari a quello
dichiarato nell’atto di donazione.
A dimostrazione di ciò si osservi il diverso tenore rispetto, ad esempio, al comma 34-bis dello stesso
art. 36 che introducendo un’altra disposizione (a proposito della tassazione dei proventi illeciti) questa sì di interpretazione autentica - utilizza la formula «la disposizione … si interpreta». Ma si
rifletta anche sul precedente intervento che aveva interessato per lo stesso oggetto l’imposta
comunale sugli immobili (Ici). In tal caso la disposizione (l’art. 11-quaterdecies, comma 16 del D.l. n.
203/2005) aveva utilizzato la formula canonica delle interpretazioni autentiche («ai fini dell’applicazione … si interpreta nello stesso senso che un’area è da considerare comunque fabbricabile se è utilizzabile
a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale, indipendentemente dall’adozione di strumenti
attuativi del medesimo») che invece manca nell’ultimo intervento normativo.
Norma interpretativa, tutela dell’affidamento e limiti alla retroattività
Nella circolare ministeriale di primo commento43 l’Amministrazione finanziaria afferma con
formula anodina che «si tratta, in definitiva, di una norma recante disposizioni di natura interpretativa».
I primi commenti oscillano invece fra la tesi dell’interpretazione autentica e non innovativa44 ed
invocazioni a carattere vagamente votivo45 per escludere l’effetto tipico della retroattività che è
proprio di questa tipologia di norme.
In realtà contro l’affermazione che si tratti di norma di interpretazione autentica militano varie
argomentazioni.
28
La nuova nozione di terreno edificabile
nella disciplina dei diversi tributi
E’ noto che attraverso lo strumento dell’interpretazione autentica il legislatore «non disciplina
immediatamente una fattispecie, ma indirettamente, imponendo che una certa disposizione
(anteriore) vada interpretata in un certo modo»46; oggetto della legiferazione non è - come di
consueto - l’integrazione o la modificazione della disciplina in relazione ad una fattispecie, ma il
senso stesso della regola preesistente. Per tale funzione metodologica - che per taluno47 sarebbe
espressiva della natura procedimentale della norma di interpretazione autentica - l’effetto
retroattivo sarebbe una conseguenza convenzionale, quasi un’applicazione della regola di diritto
intertemporale del tempus regit actum. Anzi a ben vedere non sarebbe neppure corretto assegnare
efficacia retroattiva «alle leggi interpretative emanate al fine di dirimere incertezze sorte sul significato di una norma pregressa, dal momento che esse provvedono semplicemente a fissare come
vincolante uno dei molteplici significati alla (medesima) attribuibile; significato di cui dunque, la
norma oggetto di interpretazione autentica è suscettibile fin dall’inizio, talchè è naturale e inevitabile che i suoi effetti si dispieghino a decorrere dalla sua entrata in vigore»48.
Ebbene anche in ragione di questo “automatismo” degli effetti retroattivi, l’emanazione di norme
di interpretazione autentica è circondata da cautele volte ad evitare aspetti patologici ed abusivi
del fenomeno. Tanto più che proprio le conseguenze della retroattività possono rivelarsi abnormi
nell’ambito tributario ove il ricorso all’interpretazione autentica, incidendo su rapporti e obbligazioni in corso, può comportare l’imposizione di fatti verificatisi anteriormente all’emanazione
della norma interpretativa, all’epoca non considerati espressivi di capacità contributiva e, dunque,
produrre un effetto analogo a quello di qualsiasi disciplina impositiva retroattiva.
Le cautele adottate per fronteggiare fenomeni di abuso dell’interpretazione autentica sono in
primo luogo di tipo formale.
Si deve, d’altra parte, rilevare che tradizionalmente per norma interpretativa deve intendersi
quella che si affermi come attributiva di un significato alle disposizioni di una legge precedente,
sia attraverso il titolo della legge (ad esempio “legge di interpretazione”, “norma di interpretazione
autentica” ecc.) sia per mezzo di una chiara formulazione sintattica (sullo schema “x deve inter-
Nei casi sopra citati di interpretazione autentica “l’oggetto” della norma è appunto il senso della
regola preesistente come dimostra chiaramente il riferimento alla disposizione precedente
espresso dalla formula verbale «si interpreta». Nell’art. 36, comma 2, invece, l’oggetto coincide con la
definizione della fattispecie stessa (quando un’area debba considerarsi fabbricabile) come esprime
chiaramente l’uso della formula «un’area è da considerare». Pertanto ciò che induce a qualificare la
norma come innovativa-descrittiva (e non interpretativa) è proprio la circostanza che essa
prescinde dalle singole definizioni contenute nelle singole leggi d’imposta interessate e, tutto
sommato così facendo, le ridefinisce. Norma dunque che esplicherebbe i suoi effetti non tanto in
termini di interpretazione, ma sostituendo le definizioni contenute nelle leggi d’imposta a
proposito delle aree fabbricabili. La funzione della norma non è dunque interpretativa, ma innovativa-modificativa di disposizioni precedenti che in virtù di essa risultano non abrogate, ma
parzialmente modificate.
Conclusione coerente con le previsioni dello Statuto del contribuente. Non va infatti dimenticato
che una lettura in termini interpretativi sarebbe in palese contrasto con il principio generale - non
derogabile o modificabile se non espressamente - dello Statuto del contribuente per il quale il
ricorso alle norme interpretative in materia tributaria è ammesso solo in casi eccezionali «e con
legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica» (art. 1, comma
2 L. n. 212/2000). Ne discende che sia lo strumento utilizzato (il decreto legge)49 sia la mancanza di
autoqualificazione, sia infine il dubbio circa l’esistenza di un’eccezionalità50, fanno dubitare della
qualificabilità di tale disposizione come effettivamente di interpretazione autentica, con efficacia
retroattiva. Pertanto mancando - come dimostrato sopra - qualsiasi riferimento normativo al
carattere interpretativo si deve concludere nel senso che nessun effetto retroattivo possa attribuirsi alla disposizione in questione51.
Una volta esclusa - per la carenza di qualsivoglia elemento formale a sostegno e per l’evidente
contrasto con le prescrizioni introdotte dallo statuto del contribuente - la configurazione come
norma di interpretazione autentica si potrebbe argomentare della configurazione dell’art. 36,
comma 2 come norma innovativa con efficacia retroattiva. Anche in questo caso, peraltro, occorrerebbe preliminarmente intendersi sui termini di riferimento ravvisando se il carattere della
retroattività possa comunque ravvisarsi nella rubrica della norma di legge, dal significato della
fattispecie di riferimento, dall’indicazione specifica della decorrenza della nuova norma o
comunque da altri elementi espressivi di una retroattività.
Nulla di tutto questo sembra sussistere inducendo, allora, alla conclusione che si tratta di un
precetto innovativo e non espressamente retroattivo52 che, in quanto tale, non può retroagire in
via interpretativa in base al noto principio sancito dall’art. 11 delle preleggi.
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29
Novità e problemi
nell’imposizione tributaria
relativa agli immobili
Peraltro anche ipotizzando che un qualche effetto retroattivo discenda dal richiamo alle fattispecie di riferimento in quanto quest’ultima notoriamente oggetto di un contrasto giurisprudenziale, i limiti di tale effetto sarebbero, nel caso di specie, evidenti53.
Affermazione che discende non già dall’accoglimento delle tesi più datate che conferivano solo alla
norma veramente interpretativa l’efficacia retroattiva, né all’isolato orientamento della Corte
Costituzionale54 (che dichiarò l’illegittimità ex art. 3 Cost. di una norma dichiarata come di interpretazione autentica, ma in realtà di contenuto innovativo, a motivo della «inequivoca irrazionalità in cui è incorso il legislatore», disponendo un effetto di retroattività non voluto in maniera
autonoma), ma piuttosto dall’adesione alle tesi della dottrina più recente che limita gli effetti della
retroattività.
Tale effetto, infatti, andrà comunque sottoposto al sindacato della Corte che assicurerà la salvaguardia «oltre che dei principi costituzionali, di altri fondamentali valori di civiltà giuridica posti
a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il
rispetto del principio generale di ragionevolezza che ridonda nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento, la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale
principio connaturato allo stato di diritto, la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico e il
rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario»55.
30
Ora tralasciando il profilo della salvaguardia del principio di capacità contributiva che nel caso di
specie non sembra decisivo, non possono trascurarsi quegli spunti che emergono dal richiamo al
profilo dell’indipendenza e dell’autonomia del potere giudiziario (laddove in presenza del rinvio
alle Sez. Un. della S.C. la norma in questione finirebbe per interferire nei giudizi in corso o su quelli
già formati) e dell’eguaglianza di trattamento dei contribuenti anche sotto il profilo della tutela
dell’affidamento legittimamente sorto56.
Quest’ultimo, alla luce della scelta operata nello Statuto dei contribuenti, che all’art. 3 vieta la
retroattività delle norme tributarie, disponendo che «l’adozione di norme interpretative in
materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica», assurge come vera e propria chiave
di lettura della regolazione ex tunc dei rapporti tra fisco e contribuente.
Pertanto anche nella denegata prospettiva di configurazione dell’art. 36, comma 2 del D.l. n.
223/2006 come norma innovativo-interpretativa si potrà costruire sul principio dell’affidamento
una efficace tutela della buona fede oggettiva del contribuente dinanzi ad un evidente abuso della
norma di interpretazione autentica almeno in termini di efficacia retroattiva.
Ed allo stesso risultato può vieppiù giungersi per le sanzioni eventualmente applicabili in forza
della retroattività della norma. Infatti pur non sussistendo un’esclusione espressa contenuta nello
Statuto - a meno di non interpretare estensivamente l’art. 10 - alla inapplicabilità delle sanzioni si
può però arrivare utilizzando i principi generali dello Statuto e soprattutto quelli in tema di
sanzioni contenute nell’art. 3 D.lgs. n. 472/1997. Se infatti al momento del fatto (cessione del
terreno) non c’era fattispecie imponibile non poteva esserci neanche l’illecito e dunque la sanzione.
La nuova nozione di terreno edificabile
nella disciplina dei diversi tributi
* Nella redazione della presente relazione per la parte
relativa alle questioni di diritto urbanistico mi sono
avvalso dei suggerimenti e delle indicazioni del Prof.
Aristide Police. Tale nota valga dunque come ringraziamento e come citazione generale per molte affermazioni contenute nel paragrafo “La nuova nozione
di area edificabile a fini tributari come conseguenza
dell’esistenza di uno strumento urbanistico generale
solamente adottato”, attribuendo al sottoscritto tutte
le imprecisioni eventualmente ivi contenute.
1 E’ appena il caso di osservare che il tenore letterale
della disposizione sembrerebbe prescindere dalla
mera edificabilità “di fatto” o potenziale del terreno,
dal momento che il riferimento agli «strumenti urbanistici vigenti» presuppone come rilevante la sola
edificabilità “di diritto” del terreno ceduto. In linea
con questa interpretazione si è prevalentemente
schierata la giurisprudenza di legittimità che con
numerose sentenze (Corte di Cassazione, 18 gennaio
1994, n. 391; 3 dicembre 1994, n. 10406; 11 febbraio
1997, n. 1256; 28 gennaio 2000, n. 974; 12 novembre
2001, n. 13969; 27 dicembre 2001, n. 16202; 15
gennaio 2003, n. 467; 18 febbraio 2003, n. 2416; 26
marzo 2003, n. 4426; 24 agosto 2004, n. 16751) ha
adottato una nozione di edificabilità come qualità
risultante esclusivamente da un piano urbanistico
perfetto. A questo orientamento della Corte di
cassazione se ne è, tuttavia, affiancato uno ulteriore
[Corte di Cassazione, Sezioni Unite., 10 luglio 1997,
n. 5900; Sez. V civ., 4 settembre 2001, n. 11356; 22
marzo 2002, n. 4120; 27 marzo 2002, n. 4381; 9
dicembre 2002, n. 17513] che può essere così sintetizzato: l’area è fiscalmente edificabile perché, indipendentemente dal perfezionamento del piano che la
inserisce in una zona di edificazione, ha una natura
diversa da quella dell’area non urbanistica e non edificabile, in quanto considerata dalla generalità dei
soggetti dell’ordinamento giuridico come dotata di
una qualità che ne aumenta il valore di mercato (e
dunque suscettibile di attribuire al proprietario un’aspettativa fondata sulla probabilità della futura edificabilità).
2 Con l’ordinanza n. 3504 del 24 novembre 2005 (dep.
il 17 febbraio 2006), la Sezione V, Tributaria ha
segnalato al primo presidente della Corte di
Cassazione l’opportunità di devolvere alle Sezioni
Unite il contrasto esistente, all’interno della giurisprudenza della Sezione Tributaria, in ordine alla
qualificazione di un’area come edificabile ai fini
dell’imposta di registro chiedendo indicazioni sulla
controversia se sia sufficiente l’indicazione come
edificabile in uno strumento urbanistico generale
approvato dal comune ovvero se occorra anche l’ap-
provazione regionale dello strumento urbanistico
stesso e ancora se sia necessario che lo strumento
urbanistico generale sia integrato dagli strumenti
attuativi.
3
Lombardia, Veneto, Liguria, Emilia-Romagna,
Toscana, Basilicata, Umbria e Lazio.
4
Si pensi, ad esempio, al procedimento di redazione
dei piani regolatori generali da parte dei Comuni, alla
localizzazione delle aree destinate ad accogliere opere
ed impianti di pubblico interesse ed all’apposizione
dei relativi vincoli.
5 Un vero e proprio bilanciamento che se si supera la
concezione tradizionale dell’amministrazione come
“potere sovrano”, identifica nell’agire amministrativo
un’attività strumentale al perseguimento dei fini
della collettività, ivi compresi quelli dei singoli (ove
non confliggenti con l’interesse pubblico).
6
Rapporto gerarchico efficacemente espresso da
D’ANGELO, Diritto dell’edilizia e dell’urbanistica, Padova,
2003, p. 59 con l’osservazione che introducendo tre
livelli di pianificazione è stato stabilito tra loro un
rigoroso rapporto gerarchico «nel senso che le disposizioni contenute nel piano di un determinato livello
devono essere rispettate dal piano di livello inferiore,
senza alcuna possibilità di deroga». In altri termini, se
nella formazione di un piano a livello inferiore,
risultasse necessaria la modifica di una disposizione
del piano sovraordinato, bisognerebbe provvedere
preventivamente ad una variante del piano di livello
superiore (salvo casi eccezionali espressamente
previsti da leggi speciali, come la legge 219 del 1981
per la ricostruzione e lo sviluppo dei territori colpiti
dal terremoto del novembre 1980).
7 Evoluzione che parte dalla L. n. 765 del 1967 (c.d.
legge Ponte), attraverso i diversi interventi legislativi
succedutisi (riassuntivamente, e senza pretese di
completezza, si ricordano la L. 19 novembre 1968, n.
1187, la L. 28 gennaio 1977, n. 10, la L. 28 febbraio
1985, n. 47, la L. 8 giugno 1990, n. 142, la L. 4 dicembre
1993, n. 493, la L. 23 dicembre 1996, n. 662, il D.lgs. 31
marzo 1998, n. 112 e la L. 30 aprile 1999, n. 136, tutte
trasfuse nel D.P.R. 2001, n. 380, contenente il nuovo
Testo Unico sull’edilizia).
8
La funzione del Prg consiste nell’assicurare «la
migliore composizione urbanistica dei singoli insediamenti e nell’indicare la futura configurazione del
territorio comunale fissando le direttive necessarie
per attuarla in relazione alle peculiari condizioni
dell’ambiente ed alle esigenze della popolazione».
Rispondendo a tale funzione avrà un contenuto vasto
e articolato che va dalla rete viaria principale «alla
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31
Novità e problemi
nell’imposizione tributaria
relativa agli immobili
suddivisione del territorio in zone con la precisazione
di quelle destinate all’espansione dell’aggregato
urbano e la determinazione dei vincoli, delle destinazioni d’uso e dei caratteri da osservare in ciascuna
zona (residenziali, intensive o estensive, industriali,
agricole, turistiche, commerciali, direzionali ecc.); le
aree destinate a speciali servitù, cioè quelle che
devono essere utilizzate per la creazione di zone di
svago, sport, verde pubblico ecc.; l’indicazione delle
aree destinate ad impianti pubblici ossia a scuole,
chiese, ospedali, pubblici uffici ecc.; i vincoli che
devono essere osservati nelle zone di pregio storico,
ambientale e paesistico; le norme per l’attuazione del
piano, che, talvolta subordinano ogni nuovo
intervento edilizio in una determinata zona alla
previa approvazione di un piano particolareggiato».
(D’ANGELO, op. cit., p. 132, 136-137).
9 Si veda in tal senso, Cons. St., Sez. IV, 15 maggio 2002,
n. 2592.
10 Secondo Cons. S\t., Sez. IV, 1° giugno 1989, n. 356
l’approvazione regionale del piano adottato dal
Comune «non è un atto di controllo esteso al merito,
ma un’autonoma e conforme manifestazione di
volontà».
32
11 Secondo POLICE si deve ritenere in generale che le
prerogative del Comune in materia di formazione del
Prg non possano essere totalmente escluse dall’intervento regionale, in quanto l’autonomia comunale
non può essere compressa dalle leggi regionali «fino a
negarla», anche se ciò «non implica una riserva intangibile di funzioni e non esclude che il legislatore
regionale possa, nell’esercizio della sua competenza,
individuare le dimensioni della stessa autonomia
comunale, valutando la maggiore efficienza della
gestione a livello sovracomunale degli interessi
coinvolti» (così, Corte Cost., sentenza 27 luglio 2000,
n. 378); il che equivale a dire che il Comune, indipendentemente dall’iter procedimentale disposto dalla
Regione, deve comunque essere in grado di «partecipare, in modo effettivo e congruo, al procedimento
di approvazione degli strumenti che abbiano effetti
sull’assetto del proprio territorio» (in tal senso, si veda
anche Corte Cost., sentenza 26 giugno 2001, n. 206). La
necessaria collaborazione tra i diversi livelli di pianificazione ed il coordinamento con i c.d. “piani
settoriali” (di cui si dirà infra) ha trovato espressione
nell’art. 20 del D.lgs. n. 267 del 2000, già art. 15 della L.
n. 142 del 1990, (rubricato “compiti di programmazione”), a tenore del quale la Provincia «ferme
restando le competenze dei comuni ed in attuazione
della legislazione e dei programmi regionali,
predispone ed adotta il piano territoriale di coordi-
La nuova nozione di terreno edificabile
nella disciplina dei diversi tributi
namento che determina gli indirizzi generali di
assetto del territorio e, in particolare, indica: a) le
diverse destinazioni del territorio in relazione alla
prevalente vocazione delle sue parti; b) la localizzazione di massima delle maggiori infrastrutture e
delle principali linee di comunicazione; c) le linee di
intervento per la sistemazione idrica, idrogeologica
ed idraulico-forestale ed in genere per il consolidamento del suolo e la regimazione delle acque; d) le
aree nelle quali sia opportuno istituire parchi o
riserve naturali. I programmi pluriennali e il piano
territoriale di coordinamento sono trasmessi alla
Regione ai fini di accertarne la conformità agli
indirizzi regionali della programmazione socioeconomica e territoriale. La legge regionale detta le
procedure di approvazione, nonché norme che assicurino il concorso dei comuni alla formazione dei
programmi pluriennali e dei piani territoriali di coordinamento. Ai fini del coordinamento e dell’approvazione degli strumenti di pianificazione territoriale
predisposti dai comuni, la provincia esercita le
funzioni ad essa attribuite dalla Regione ed ha, in ogni
caso, il compito di accertare la compatibilità di detti
strumenti con le previsioni del piano territoriale di
coordinamento. Gli enti e le amministrazioni
pubbliche, nell’esercizio delle rispettive competenze,
si conformano ai piani territoriali di coordinamento
delle province e tengono conto dei loro programmi
pluriennali». Secondo quanto stabilito dalla Corte
costituzionale nella sentenza 15 luglio 1991, n. 343,
l’adozione da parte della Provincia del Pctp non
esclude la sua subordinazione rispetto alla pianificazione regionale, con la conseguenza che le
prescrizioni contenute nel piano regionale (ove
adottato) incidono sulla pianificazione di coordinamento in considerazione del fatto che tale materia
è attribuita ex art. 117 Cost. alla competenza
concorrente delle Regioni. Tenuto anche conto dell’intervento del D.lgs. n. 112 del 1998 che ha provveduto
ad una riallocazione delle competenze tra Stato,
Regioni e Province, appare evidente la funzione del
Ptcp quale “collettore dei piani di settore”, ovvero quale
sede per realizzare la composizione dei diversi
interessi nella prospettiva di un esercizio delle
funzioni amministrative sempre più orientato verso
l’utilizzo di strumenti di semplificazione come
accordi e conferenze dei servizi.
12
Ed in effetti, i ripetuti interventi del legislatore
hanno condotto all’introduzione di diversi tipi di
pianificazione attuativa: dal Piano per l’Edilizia
Economica e Popolare (Peep) al Programma di
Recupero Urbano (Pru) per le zone degradate delle
città, ai più recenti Programmi di Riqualificazione
Urbana, ai Piani per l’Insediamento delle aree
Produttive (Pip) ed, infine ai Programmi di
Riqualificazione Urbana e di Sviluppo Sostenibile del
Territorio (Pursst).
13
Sintomatica in tal senso la circostanza per cui
alcune leggi regionali stanno ampliando drasticamente i poteri comunali. Così, ad esempio, per la L.r.
Marche 16 agosto 2001, n. 19 che all’art. 2 prevede
soltanto che, sul Prg approvato dal Consiglio
comunale, la giunta provinciale si limiti ad esercitare
un mero un controllo di conformità con la normativa
vigente ed i piani sovracomunali.
14 Introdotte con riferimento ai soli centri abitati
dalla c.d. legge Ponte (n. 765/67) e poi generalizzata
dalla successiva legge Bucalossi (n. 10/77).
15 Sul tema e più in generale sulla opportunità di una
nozione unitaria di terreno edificabile si veda BASILAVECCHIA, «La nozione di terreno edificabile nelle
imposte sui trasferimenti», in Rass. Trib., 1996, p. 181 e
ss.
16 Resterebbero peraltro fuori dall’imposizione i
terreni non agricoli per i quali però esiste un vincolo
di inedificabilità assoluta. Ed in questo senso la disposizione commentata ha una funzione di definizione
della fattispecie imponibile.
17 Sull’interpretazione della “destinazione edificatoria” si aveva infatti una giurisprudenza che,
almeno ai fini delle imposte indirette, era oscillante in
quanto divisa fra la tesi della rilevanza del solo Prg
approvato e quella che invece riteneva sufficiente la
mera adozione. Per il primo orientamento si veda
sentenza Cass., Sez., I, 3 dicembre 1994, n. 10406 per la
quale: «l’espressione terreni per i quali gli strumenti
urbanistici prevedono la destinazione edificatoria di
cui all’art. 52 quarto comma, del D.P.R. 26 aprile 1985
n. 131, concernente l’imposta di registro, si riferisce ai
terreni resi edificabili da strumenti urbanistici già
perfezionati, cioè da strumenti urbanistici che siano
stati completati in tutto il loro iter … quanto agli
effetti prodromici del piano adottato e non ancora
approvato … sembra irrilevante ai fini dell’interpretazione della norma». A questa sentenza hanno fatto
seguito numerose altre pronunce, tutte accomunate
dalla configurazione dell’iter tendente all’edificabilità
come “atto complesso”, che non si perfeziona - con le
relative conseguenze anche tributarie - sino all’approvazione regionale. Riproponendo le parole di un’altra
sentenza: «da un lato … le norme tributarie, in quanto
non contengono alcuna ulteriore specificazione, non
possono che fare riferimento agli strumenti urbanistici già perfezionati ed il completamento dell’iter
di un piano regolatore generale non può prescindere
dall’approvazione del provvedimento adottato dal
comune da parte della regione … Dall’altro, la tipicità
degli effetti prodromici derivanti dall’adozione di un
piano non ancora approvato e la loro funzione
meramente cautelare e conservativa del territorio a
garanzia dell’immutazione dello status quo ante nelle
more dell’approvazione dello strumento urbanistico
non consentono di trarre per analogia da questi la
possibilità di anticipare, invece, ai fini fiscali l’applicazione di disposizioni dettate per la determinazione
della base imponibile nei trasferimenti di terreni
edificabili in relazione a suoli che non abbiano ancora
assunto e, in caso di mancata approvazione
potrebbero anche non assumere, una tale qualità». La
tesi della efficacia di un Prg solo adottato si rinviene
invece nelle seguenti sentenze: Cass., Sez. Trib. 27
marzo 2002, n. 4381, in Banca Dati Big, Ipsoa; Cass. 18
settembre 2003, n. 13817, ivi; Cass. 9 dicembre 2002 n.
17513, ivi; Cass., 27 febbraio 2003, n. 2971, in Corr. Trib.
n. 17/2003, p. 1397, con commento di MARIOTTI, e in
GT - Riv. Giur. trib. n. 5/2003, p. 421, con commento di
IANNIELLO, «Terreni edificabili e valutazione automatica: continuano i contrasti all’interno della
Cassazione»; Cass., 22 marzo 2002, n. 4120, in Banca
Dati Big, Ipsoa; Cass. 4 settembre 2001, n. 11356, in GTRiv. Giur. Trib. n. 3/2002 p. 243 con commento di DA
MONTE, «L’efficacia del piano regolatore nel valutazione dei terreni». In sede di merito cfr. Comm. Trib.
Reg. Emilia Romagna, Sez. XII, 18 dicembre 2001, n.
226.
18 Cass., Sez. Trib., sentenza 19 aprile 2006, n. 9131.
19 Non sono sopposti a rettifica il valore o il corrispettivo degli immobili per i quali sia dichiarato un
valore non inferiore a quello scaturente dal c.d. valore
automatico (cfr. art. 52, comma 4 T.U. registro).
20
In tal senso Comm. Trib. Prov. Reggio Emilia, 18
gennaio 2000, n. 144 (con nota di BELLINI); Comm.
Trib. prov. Bologna, 13 luglio 2005, n. 162; Comm. Trib.
prov. Bologna, 9 febbraio 2006, n. 234; Comm. Trib.
prov. Bologna, 18 marzo 2006, n. 72; Comm. Trib. Reg.
Emilia-Romagna, 24 marzo 2006, n. 39, 40, 41 e 42; da
ultimo Comm. Trib. Reg. Emilia-Romagna, 5 giugno
2006, n. 101 e 102. In dottrina lo Studio n. 714/720 bis
del Consiglio Nazionale del Notariato aveva affermato
che «si ritiene suscettibile di utilizzazione edificatoria
secondo gli strumenti urbanistici vigenti, un terreno
che sia dichiarato edificabile dal piano regolatore
generale, integrato da un piano particolareggiato di
attuazione o da una valida convenzione per la lottizzazione, e per il quale sia possibile in concreto il
rilascio di concessioni da edificare. Deve trattarsi di
P. Puri
33
Novità e problemi
nell’imposizione tributaria
relativa agli immobili
terreno direttamente ed immediatamente utilizzabile
ai fini edificatori, per il quale si deve solo richiedere la
concessione».
21
In tal senso la stessa Amministrazione finanziaria
(Ris. min. 18 marzo 1982, n. 350797 e Ris. min. 6
dicembre 1990, n. 431291) e la giurisprudenza
(Comm. Trib. centr., 10 novembre 1998, n. 5518;
Comm. Trib. centr., 15 settembre 1990, n. 5747;
Comm. Trib. centr., 18 febbraio 1992, n. 1361; Comm.
Trib. centr., 9 giugno, 1992, n. 3935).
22 In questo caso l’alternatività fra le due imposte
opererà non in ragione dell’oggetto (il terreno edificabile), ma della qualificazione del soggetto cedente
(se opera come imprenditore la cessione sarà soggetta
ad Iva, altrimenti sconterà l’imposta di registro).
34
23 Ed infatti la Circ. n. 28/E del 4 agosto 2006 non senza
un qualche imbarazzo è costretto ad affermare implicitamente l’inutilità del richiamo all’Ici laddove
riconosce che: «in sostanza, la disposizione sopra
richiamata estende alle imposte sui redditi, all’I.V.A. e
al registro, il concetto di area fabbricabile contenuto
nell’art. 11-quaterdecies, comma 16, del D.l. 30
settembre 2005, n. 203, convertito con modificazioni
dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, il cui ambito
applicativo era riservato alla sola imposta comunale
sugli immobili di cui al D.lgs. 30 dicembre 1992, n.
504».
24 E’ appena il caso di segnalare che la nuova disposizione non tocca i terreni agricoli per i quali resta
invariato il criterio di determinazione della base
imponibile (reddito dominicale per i coefficienti di
rivalutazione annualmente aggiornati) secondo la
definizione che a questi viene data dall’art. 2, comma
1, lett. c), del D.lgs. n. 504/1992.
25
In sostanza nelle more della concreta edificabilità
del terrreno, e nel rischio che i successivi strumenti
attuativi la eliminino o la riducano, l’applicazione
della maggiore Ici finirebbe per espropriare di fatto il
proprietario del terreno. Sul punto amplius COMELLA,
«Dubbi di costituzionalità sulla recente normativa per
le aree edificabili in tema di Ici e sulla natura interpretativa della norma medesima», Il fisco, 2006, p. 1626 e ss.
26 Si tratta del caso in cui il Prg definisca gli interventi
diretti, ammissibili in ciascuna zona in assenza di un
piano urbanistico attuativo in modo che siano
possibili quando si tratti di intervento a carattere
edilizio che necessita della sola viabilità di accesso e
degli allacciamenti ai pubblici servizi.
27 E’ il caso di quelle aree che il Prg non ha identificato
come utilizzabili a fini edificatori in via immediata e
La nuova nozione di terreno edificabile
nella disciplina dei diversi tributi
diretta, ma sono divenute tali in base agli strumenti
attuativi. Pertanto - osserva correttamente GEMMA
BRENZONI («Ici e area edificabile», in Boll. Trib. 2006, p.
1441) «essendo le prime due ipotesi dell’art. 2, lett. b)
del D.lgs. n. 504/1992, alternative, laddove non è
possibile applicare la prima (edificabilità diretta
derivante dal Prg), come ribadisce la norma interpretativa, poiché il piano regolatore non si è espresso, si
applica la seconda, con la conseguenza che, in questo
secondo caso, si deve attendere, come dispone la
Suprema Corte, il compimento dei piani o strumenti
attuativi (piani particolareggiati o piani di lottizzazione) affinchè l’area acquisti il carattere di essere
utilizzabile a scopo edificatorio».
28
L. GEMMA BRENZONI, «La tripartizione delle aree
fabbricabili soggette all’Ici», in Arch. Locaz., 6, 2004, p.
681 e ss.
29 Tale conclusione è criticata da L. GEMMA
BRENZONI, «Ici e area edificabile» cit., p. 1443 per il
quale: «indipendentemente dalla possibilità edificatoria che un Prg può prevedere espressamente per
aree già urbanizzate, edificabilità c.d. diretta, ove il
piano non sia perfezionato con l’approvazione
regionale, è da ritenere - anche in queste limitate
ipotesi - che non possa essere rilasciata dal Comune la
concessione ad edificare, perché questa non può
trovare fondamento in un atto in fieri, comunque non
perfetto, né vincolante. Tant’è che la legge n. 248/2006,
oltre all’inciso qui criticato, non ha saputo stabilire
alcun criterio estimativo per questa nuova sub ipotesi.
In definitiva, deve comunque prevalere, qualsiasi
interpretazione si voglia dare all’inciso contenuto
nella novella divenuta legge nell’agosto 2006, il
principio che non può essere considerato utilizzabile
a scopo edificatorio un suolo sul quale una utilizzazione, anche virtuale, a quelo scopo, verrebbe non
solo non concessa, ma sarebbe sanzionabile».
30 In particolare, secondo il combinato disposto dei
commi 3 e 4 del precitato comma 5-bis «per la valutazione dell’edificabilità delle aree, si devono considerare le possibilità legali ed effettive di edificazione
esistenti al momento dell’apposizione del vincolo
preordinato all’esproprio … per le aree agricole e per
quelle che, ai sensi del comma 3, non sono classificabili come edificabili, sia applicano le norme di cui al
titolo II della L. n. 865 del 1971».
31 Cons. di Stato, Sez. IV, Sent. 17 luglio 2002, n. 3999.
Indirizzo ormai consolidato avendo altra sezione
dello stesso Consiglio affermato che «la … destinazione di zona a parco pubblico non è suscettibile di
edificazione» (Cons. di Stato, Sez. V, Sent. 28 giugno
2002, n. 3570; in senso analogo Cons. di Stato, Sent. 26
novembre 2002, n. 11225).
32
Comm. Trib. Reg. Abruzzo, Sez. n. 4, n. 2/4/2004
emessa il 22 gennaio 2004, e depositata il 12 febbraio
2004. Infatti sulla base della lettura del piano regolatore i giudici hanno affermato che «secondo l’invocato art. 29 delle norme tecniche di attuazione del
piano regolatore generale la zona a verde pubblico
attrezzato è destinata ‘alla conservazione e creazione
di parchi pubblici … è ammessa soltanto la
costruzione di attrezzature ricreative, sportive e
culturali di uso pubblico ed a completamento del
parco’, con esclusione dunque di qualsivoglia attività
edificatoria da parte del privato proprietario. Quanto
alla zona di rispetto stradale, il successivo art. 70
esclude qualsiasi nuova costruzione». Partendo
quindi dall’analisi del piano regolatore che impedisce
di edificare nel parco pubblico ma che consente
soltanto di attrezzare lo stesso, pertanto, i giudici di
secondo grado hanno coerentemente ritenuto che «le
aree in oggetto, comprese nello strumento urbanistico vigente, risultano destinate in parte a verde
pubblico e in parte a zona di rispetto stradale e
dunque non edificabili». Ciò anche in considerazione
del fatto che «proprio in materia di Ici, peraltro, la
stessa amministrazione finanziaria (ris. min. 17
ottobre 1997 n. 209/E con richiamo a precedenti
circolari emesse per altre imposte prima dell’entrata
in vigore del D.lgs. 504/1992), e in più occasioni il
Consiglio di Stato (da ultimo sentenze n. 3999, 3570,
11225 del 2002), hanno chiarito che non possono
essere definite fabbricabili le aree suscettibili di sfruttamento edilizio, come quelle destinate a verde
pubblico, e a maggior ragione a strade o rispetto
stradale».
33 Con riferimento peraltro a casi diversi da quello Ici
cfr. Cass. n. 7258/2001; nello stesso senso Cass. n.
2272/1999; Cass. n. 4921/1998. Invece con espresso
riferimento alla non edificabilità dei terreni destinati
a verde pubblico l’Amministrazione finanziaria ha
sempre sostenuto che «è infine appena il caso di
precisare che sono invece da assoggettare all’imposta
di registro le cessioni di aree non suscettibili di utilizzazione edificatoria, fra le quali sono da annoverare,
come precisato dalla scrivente con circolare
25/364695 del 3-8-1979, quelle destinate a verde
pubblico … » (Ris. min. 18 febbraio 1983, prot.
354968; nello stesso senso Circ. min., 3 agosto 1979, n.
25/364695; Ris. min. 27 novembre 1989, prot. n.
400756). Inoltre si è anche affermato che l’area
destinata «a zona … di rispetto della viabilità, nonché
a verde pubblico attrezzato, non ha idoneità ad essere
utilizzata come edificatoria» con conseguente, nel
caso allora esaminato, non assoggettabilità della
compravendita ad imposta sul valore aggiunto (Ris.
min. 10 settembre 1991, n. 430065).
34
La ricostruzione sostenuta nel testo non tiene
conto, sotto altra angolatura, della particolare natura
delle opere ricomprese nella zona “F”, dal momento
che la dotazione del territorio di infrastrutture e
servizi (scuole, ospedali, parcheggi, ecc.) può essere
realizzata anche attraverso il convenzionamento con i
privati; di qui il dubbio sulla sanzione di inedificabilità conseguente alla destinazione urbanistica nella
predetta zona “F”. In questo senso, potrebbe essere
illuminante l’intervento della Corte Costituzionale,
nella più volte citata sentenza n. 179 del 1999, laddove
ha riconosciuto che «sono al di fuori dello schema
ablatorio-espropriativo con le connesse garanzie
costituzionali (e quindi non necessariamente con l’alternativa di indennizzo o di durata predefinita) i
vincoli che importano una destinazione (anche di
contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata
o promiscua pubblico-privata, che non comportino
necessariamente espropriazione o interventi ad
esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili
anche dal soggetto privato e senza necessità di previa
ablazione del bene»; con il che si deduce agevolmente
come «parcheggi, impianti sportivi, mercati e
complessi per la distribuzione commerciale, edifici
per iniziative di cura e sanitarie o per altre utilizzazioni quali zone artigianali o industriali o residenziali; in breve, a tutte quelle iniziative suscettibili
di operare in libero regime di economia di mercato»
non possono essere oggetto di vincoli preordinati
all’esproprio, con le intuibili conseguenza anche in
ordine alla valutazione sull’edificabilità dell’area.
Parimenti utile il contributo offerto da una pronuncia
delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (n. 172
del 23 aprile 2001), in cui è stato affermato che «la
destinazione (di zona) non esclude la vocazione edificatoria. Atteso che l’edificabilità non si identifica né si
esaurisce in quella residenziale abitativa, ma ricomprende tutte quelle forme di trasformazione del suolo
- in via di principio non precluse all’iniziativa privata che siano riconducibili alla nozione tecnica di edificazione e che siano, come tali, soggette al regime autorizzatorio ex art. 1 L. n. 10 del 1977». Secondo la
Suprema Corte, infatti, fermo restando che «ai fini
della determinazione dell’indennità di espropriazione, un’area è da considerare edificabile per il
solo fatto che risulti classificata come tale dallo
strumento urbanistico», la vocazione edificatoria non
può essere desunta solo in base a tale parametro,
atteso che la destinazione ad infrastrutture o
parcheggi, ad esempio, è indice di una capacità
edilizia esercitabile anche da privati ed assoggettata
P. Puri
35
Novità e problemi
nell’imposizione tributaria
relativa agli immobili
alle regole di cui all’art. 1 della L. n. 10 del 1977.
35 Un richiamo ad una supposta forza espansiva delle
norme di interpretazione autentica ancorchè relative
ad altre imposte (in questo caso l’art. 11-quatordecies
del D.l. 30 settembre 2005, n. 203 conv. nella L. n.
248/2005) si rinviene, in maniera peraltro non troppo
chiara, nella sentenza n. 194 del 23 febbraio 2006 della
Comm. Trib. Reg. del Lazio.
36 Ed infatti il Comune, attraverso i suoi uffici tecnici,
non rilascerà nelle more alcuna concessione edilizia.
37
I vincoli di dettaglio, in questo caso, pur rappresentando la concreta attuazione del vincolo conformativo posto dal Prg alla zona interessata, ne possono
stravolgere la concreta destinazione; in via residuale,
infine, si potrebbe ipotizzare che la pianificazione
attuativa in questione sia quella prevista da istituti
speciali (come i piani di recupero o quelli per
l’edilizia economica e popolare, o per l’insediamento
delle attività produttive).
36
38 A tal fine appare sufficiente rinviare a quanto
stabilito dalla Corte Costituzionale nella citata
sentenza n. 179 del 1999, laddove è stato riconosciuto
che sono «normali e connaturali alla proprietà, quale
risulta dal sistema vigente, i limiti non ablatori posti
normalmente nei regolamenti edilizi o nella pianificazione e programmazione urbanistica e relative
norme tecniche, quali i limiti di altezza, di cubatura o
di superficie coperta, le distanze tra edifici, le zone di
rispetto in relazione a talune opere pubbliche, i
diversi indici generali di fabbricabilità ovvero i limiti
e rapporti previsti per zone territoriali omogenee e
simili» (in termini sostanzialmente analoghi si veda,
da ultimo, anche la sentenza del TAR Toscana, Sez. III,
11 marzo 2004, n. 680).
39
E infatti che il mutuo dissenso non abbia effetto
traslativo lo si evince anche dal combinato disposto
degli artt. 2643, n. 1), e 2655 del codice civile. Per i
contratti che trasferiscono la proprietà, il codice
prevede infatti la formalità principale della
trascrizione [art. 2643, n. 1), del codice civile]; mentre
la convenzione da cui risulti la risoluzione di un
contratto traslativo (ad esempio: mutuo dissenso di
compravendita immobiliare) è soggetta alla
pubblicità secondaria ed accessoria della “annotazione” (art. 2655, ultimo comma del codice civile).
40 In tal senso anche Commissione tributaria
provinciale di Matera, 14 ottobre 2005, n. 157 (in Il
fisco, 2006 con nota adesiva di CASINO e RONDINONE,
«La natura e gli effetti estintivi del contratto di mutuo
dissenso di una compravendita immobiliare giustificano imposte di trasferimento in misura fissa») nella
La nuova nozione di terreno edificabile
nella disciplina dei diversi tributi
cui motivazione testualmente si legge: «il mutuo
dissenso è un contratto tipico, estintivo, con un suo
nomen iuris, con una sua causa tipica (risoluzione del
preesistente contratto), con un suo oggetto tipico (il
precedente negozio che si vuole ‘annientare’), con
suoi effetti giuridici tipici (che sono sempre e soltanto
effetti distruttivi-estintivi e mai traslativi), con una
peculiare forma di pubblicità immobiliare (annotazione e non trascrizione), qualora abbia attinenza a
diritti su beni immobili. Nell’art. 2655, ultimo
comma, del codice civile, si statuisce a chiare lettere
che la pubblicità prevista per la ‘convenzione da cui
risulta la risoluzione di un contratto traslativo’ è l’annotazione e non già la trascrizione; ed è noto che, nel
nostro ordinamento giuridico, tutti i contratti
‘traslativi’ devono essere ‘trascritti’ (art. 2643, comma
1, del codice civile)».
41 Norma correttamente definita come innovativa e
dunque applicabile alle sole cessioni effettuate a
partire dalla data di entrata in vigore del decreto. Cfr.
Circ. min. n. 28/E citata.
42
Con la nuova disposizione l’operazione elusiva
risulta
efficacemente
contrastata
e
per
l’Amministrazione non è più necessario ricorrere alla
norma antielusiva generale - peraltro di dubbia applicabilità nel caso di specie poiché l’art. 37-bis del D.P.R.
600/1973 non comprende le donazioni fra le
operazioni la cui esistenza ne condiziona l’applicazione e la stessa L. 21 novembre 2000 n. 342 non
sembra consentirne l’applicazione stante l’eliminazione dell’imposta sulle successioni e donazioni nè ricorrere alla strada, irta di ostacoli, dell’interposizione (art. 37, comma 3 del D.P.R. n. 600/1973),
imputando, in sede di accertamento, al contribuentedonante i redditi di cui apparivano titolari altri
soggetti (i donatari poi alienanti), provando sulla
base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che il
primo ne era l’effettivo possessore per interposta
persona.
Milano, 2002, p. 65.
49
Nella sua natura effimera vi è infatti un evidente
elemento di contraddizione con la finalità chiarificatrice che l’interpretazione autentica si propone. Cfr.
GARDINO CARLI, Il legislatore interprete, Milano, 1997,
p. 86.
50 Pur nel silenzio del legislatore sul punto adottando
la prospettiva della tutela dell’affidamento l’eccezionalità consisterebbe nella possibilità di salvaguardare
valori tali da prevalere su quello dell’affidamento. Tale
impostazione si coglie in MARONGIU, «Statuto del
contribuente: primo consuntivo ad un anno
dall’entrata in vigore», in Corr. Trib. 2001, p. 2069;
MELIS, L’interpretazione nel diritto tributario, Padova,
2003, p. 509.
51 Così GAVELLI, «Nozione univoca (ma discutibile) di
area edificabile», in Corr. Trib., 2006, p. 2584.
52 E tale conclusione consente di non affrontare la
questione circa l’equiparazione di fatto tra norme di
interpretazione autentica e norme innovative interpretative. Secondo parte della dottrina, infatti, si
potrebbe equiparare l’efficacia retroattiva disposta
dal legislatore mediante le suddette diverse modalità
e considerare l’eventuale violazione non come vizio
autonomo dell’interpretazione autentica, ma di
qualsiasi legge retroattiva.
53 Più in generale sul tema della retroattività nel
diritto tributario MASTROIACOVO, I limiti alla retroattività nel diritto tributario, cit.; F. AMATUCCI, L’efficacia nel
tempo della norma tributaria, Milano, 2005.
54
Corte Cost., sent. n. 620/1988, n. 233/1988, e n.
155/1990.
55 Corte Cost. 23 novembre 1994, n. 397.
56
Centralità del principio di affidamento peraltro
ribadita anche dalla S.C. (Sez. Trib., 10 dicembre 2002,
n. 17576) la quale ha ritenuto che il principio in
quanto riconducibile ai principi costituzionali degli
artt. 3, 53 e 97 potesse comunque essere annoverato
tra i principi immanenti del diritto tributario anche
prima dell’introduzione dello Statuto del contribuente.
37
43 Circ. n. 28/E del 4 agosto 2006.
44
D’ORSOGNA, «Definitivamente chiarito dal legislatore il concetto di area edificabile», in Il fisco, 2006.
45
GAVELLI, «Rischio retroattività per i contribuenti»,
in IlSole24Ore, 7 agosto 2006, p. 24.
46 MODUGNO, Appunti dalle lezioni di teoria dell’interpretazione, Padova, 1998, p. 32.
47
MASTROIACOVO, I limiti alla retroattività nel diritto
tributario, Milano, 2005, p. 157.
48
RUSSO, Manuale di diritto tributario - parte generale,
P. Puri