Esma Redzepova, la più popolare cantante rom, lancia un
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Esma Redzepova, la più popolare cantante rom, lancia un
[IL PERSONAGGIO] DI EUGENIO ARCIDIACONO LA REGINA DEGLI ZINGARI Esma Redzepova, la più popolare cantante rom, lancia LA STORIA 씰 I rom (“uomini” nella loro lingua) sono un popolo di origine indiana. Nel V secolo d.C., a causa di una persecuzione si incamminarono verso 20 SETTEMBRE 2008 CLUB3 Persia e Armenia diretti nel territorio bizantino. Tra X e XVI secolo le mete preferite furono l’Africa settentrionale e l’Europa. Raggiunsero Germania, Italia, Francia e Spagna con carri e accampamenti. E dedicandosi ora alla vendita di cavalli ora alla chiromanzia, si diffusero in tutto il mondo. Ma non trovarono mai vita facile. Schiavi in Romania fino al 1850, durante la seconda guerra mondiale furono vittima dello sterminio nazista: circa 500.000 i rom uccisi nei lager. L.L. un messaggio (musicale) L o scorso 24 luglio al parco Stura di Torino, che tutti in realtà chiamano Tossic Park per la presenza di tossicodipendenti a ogni ora del giorno e della notte, è avvenuto un piccolo miracolo. Quella sera in programma c’era un concerto del World Music Meeting, una manifestazione che il Comune ha voluto proprio per riqualificare il parco. Dai due campi nomadi della zona sono arrivati decine di rom che si sono mischiati agli spettatori italiani e per tutta la sera hanno cantato e ballato insieme. Il merito è stato della “Regina degli Zingari”: Esma Redzepova, la più popolare cantante rom del mondo, che in quarant’anni di carriera ha tenuto più di 15.000 concerti, cantando in 20 lingue diverse. È nata a Skopye, la capitale della Macedonia, 65 anni fa, città dove vive e lavora ancora oggi. La convivenza e il rispetto delle diverse culture e tradizioni ce l’ha nel Dna, avendo avuto una madre musulmana turca, un padre serbo-albanese, un nonna ebrea irachena e un nonno rom cattolico. Sposata con il musicista Stevo Teodosievski, il leader del gruppo che l’accompagna durante i suoi tour, non ha avuto figli naturali. In compenso ha adottato cinque bambini e ne ha cresciuti altri 47, strappandoli dalla strada. Ha costruito una scuola di musica, un museo d’arte e tradizioni locali e vari centri d’assistenza, soprattutto per bambini. Per l’impegno a favore del suo popolo è stata candidata nel 2002 al premio Nobel per la Pace. Cosa significa per lei essere una rom? «Vuol dire essere una persona di buona indole. I rom sono l’unico popolo che non ha mai dichiarato guerra a nessuno e per il quale le frontiere non hanno ragione di esistere». Perché gli abitanti di Skopye la chiamano “la Madre Teresa dei Balcani”? «Madre Teresa di Calcutta è irraggiungibile, il paragone mi mette in seria difficoltà. Io sono una donna troppo piccola al confronto. La grande madre albanese ci appartiene, ma è molto più in alto di noi. Quanto a me, direi che ho sempre seguito la regola di dividere quello che ho. Se ho due cose ne regalo una. Mi basta una stanza, un letto, una cucina e due o tre pasti. Il resto è superfluo. Madre Teresa invece ha dato tutto». Che cosa insegna ai suoi figli? «Tutti i miei 47 figli sono istruiti e fanno i musicisti. Dei miei 117 nipoti, invece, otto sono già laureati e molti stanno per farlo. Tutti continuano a studiare musica presso il mio istituto. Sono fiera di loro. Ogni volta che qualcuno ottiene il massimo dei voti organizzo una grande festa». Che cosa dovrebbe fare il Governo italiano per i rom? «Per prima cosa, non alimentare i pregiudizi, come invece sta facendo con la decisione discriminatoria di prendere le impronte digitali ai bambini. Non credo che prendere le impronte digitali dei politici risolverebbe il problema della corruzione. La strada giusta è lavorare in direzione della piena integrazione, puntando sull’istruzione dei bambini e sull’emancipazione delle donne». Molti italiani pensano che i rom siano tutti ladri. Cosa si può fare per cambiare quest’immagine? «Non diamo agli italiani colpe che appartengono in primo luogo ai mezzi d’informazione. Siete voi a formare e influenzare ciò che gli italiani pensano. Il popolo italiano è quello più ricco di umanità a livello europeo: parlo per esperienza personale e per l’aiuto che l’am왎 basciata italiana ci ha sempre dato». A sinistra: Esma Redzepova durante uno dei suoi concerti. Sopra: donne e bambini in un campo rom della capitale “ ” Basta venire a un mio concerto e vedere come ballano i ragazzi italiani, come cantano in coro le mie canzoni. La musica può fare tanto per avvicinarci CLUB3 21 SETTEMBRE 2008 [IL PERSONAGGIO] NONNA ZLATA SI SFOGA Una visita nel campo rom di Corbetta (Milano) dove la normalità non fa notizia S Zlata Jovanovic, 55 anni, davanti alla sua casetta nel campo di Corbetta enti parlare di nomadi e pensi a vecchie roulotte ammassate ai margini della città. Immagini bambini che scappano dietro abiti stesi al sole come topolini inseguiti dal gatto. Poi vai a Soriano, in uno dei villaggi rom di Corbetta, nell’alto milanese, e devi ricrederti, anche se non tutti gli accampamenti sono così. Il cancello è per metà aperto. Sul lastricato sorgono alcuni prefabbricati con un piccolo giardino. Ad attenderci c’è una coppia di rom serbi: Zlata Jovanovic e il marito Miomir Dracutinovic, 55 e 56 anni. IL SOGNO? UNA CASA E UN LAVORO U na casa, un lavoro, l’integrazione. È a questo che mirano Marcello Aflat, 36 anni, e sua moglie Lia Daniela Radulescu di 32, insieme ai figli Marius e Fabio, 10 e 9 anni, nati e cresciuti a Milano. In Romania Marcello era operaio in una fabbrica di asciugamani, «ma guadagnavo poco. E siamo venuti qui». Fuori da un container di via Triboniano da loro stessi arredato, i coniugi Aflat abbassano lo sguardo: «All’inizio stavamo in un furgoncino senza acqua, gabinetto, né cucina. 22 SETTEMBRE 2008 CLUB3 Vivevamo di elemosina». Marcello ha lavorato in nero: «Scaricavo camion, facevo traslochi. Ho fatto anche il muratore. Ho smesso quando mi sono ferito e ho scoperto che guadagnavo la metà degli altri». Oggi vendono il mensile Scarp ’de tenis, della Cooperativa Oltre, promossa dalla Caritas: «Sabato e domenica nelle parrocchie lombarde, di settimana in metropolitana». Serve per tirare avanti in attesa di un lavoro, che chissà se arriverà. Fabrizio Alfano Sono loro il riferimento di questo campo. Da otto anni sono residenti in provincia di Milano: «Abbiamo comprato questo terreno e costruito questa baracca con il sudore. Non abbiamo mangiato per tenere da parte i soldi», racconta Zlata. Hanno fatto richiesta di condono, dicono. Si mantengono con il lavoro di Miomir, detto Michele, che vende fiori: «Paghiamo le bollette e facciamo la dichiarazione dei redditi», precisano subito. Temono che la loro immagine possa essere associata a quella dei nomadi delinquenti visti in Tv: «Non andiamo contro la legge. In paese tutti sanno che siamo bravi. Non diamo fastidio a nessuno», afferma Dracutinovic. E la signora Zlata rompe gli indugi: «Non mi piace che si dica che tutti i rom rubano nelle case o fanno cose brutte. Non siamo tutti uguali. C’è chi lavora, chi va a scuola. Come gli italiani: non sono tutti uguali». I vigili sono già passati di qui, per alcuni controlli e prendere i loro nomi. «Nessuno si è mai lamentato di quello che ha fatto uno dei miei figli o un nipote», racconta orgogliosa. Inevitabile parlare di censimento e impronte digitali: «Per me non ci sono problemi. Ma perché devono prendere le impronte ai bambini? Loro non sanno niente». Ecco i nipotini: circondano la nonna, scambiano qualche battuta in slavo. Qualcuno le salta in braccio con dei giochi: «Con loro non sono mai sola». Come non crederle? Al campo sono in 21, ci dice nonno Michele: «Noi due, i nostri figli maschi con le mogli e tredici nipoti». Il più piccolo ha 7 anni, il più grande 15. Ogni giorno Miomir li accompagna a scuola. Puntuali. Rientrano nel pomeriggio con il bus e la nonna prepara loro da mangiare, se hanno fame. Come tutti i nonni sono fieri dei piccoli di casa: ci mostrano foto di feste di famiglia e pagelle. «L’importante è che vadano a scuola e prendano il diploma per lavorare», interviene Zlata. Laura La Pietra