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FOTO SA N T E D’O R A Z I O E MOGLI A RT IST I Pablo PICASSO & Françoise Gilot 10 COVER IRINA.indd 1 UOMO ROCCIA O UOMO POETA? di S I M O N A S PA R A C O «Hanno inventato il rispetto per nascondere il posto vuoto dove dev’esserci l’amore» Lev Tolstoj, Anna Karenina SHAYK CHRISTO & Jeanne-Claude Nicolas & Liv WINDING REFN 07/03/16 13.50 U N P O S T A Vanity/2 LOOK UP, PEOPLE A Stoccolma sono comparsi alcuni cartelli, degli artisti Jacob Sempler & Emil Tiismann, che mettono in guardia contro il pericolo di passeggiare senza guardare la strada. E SI CHIAMANO SMOMBIE E SONO TRA NOI «Così non devo pensare». «Sono più tranquillo». «Lei è troppo vecchio per capire». È il popolo dei CAMMUNICANTI, zombie che camminano con lo sguardo sugli smartphone, mettendo a rischio se stessi e gli altri. E non pensate di fermarli di M I C HE L E NE R I 16.03.2016 FOTO JACOB SEMPLER da tempo che i cammunicanti sono tra noi. Sere fa, mentre guidavo, ho rischiato d’investirne uno. Un trentenne che ha attraversato all’improvviso la strada davanti a me. Io ho frenato di colpo; lui, continuando a scrivere qualcosa e a non guardarmi, arrivato a metà della carreggiata, a pochi centimetri dal mio parafango, ha fatto dietrofront, per tornare da dove era venuto. Soltanto a quel VANITY FAIR I 149 punto ha alzato gli occhi dallo smartphone, e mi ha fatto un gran sorriso. Lì, mentre gli rivolgevo un «perché!?» mentale e stizzito, ho intuito che il mondo era cambiato per sempre. Ed era necessario capire cos’è che costringe le persone a camminare senza smettere di leggere, giocare, chattare, mentre si aggirano per strade e incroci della città. Anche a costo della vita o di una caduta; insensibili al fastidio, all’odio altrui. Qualche anno fa, quando vedevo i primi, caracollanti come missili ubriachi verso di me, gli occhi giù (la look down generation), ero convinto fosse una moda passeggera. Illuso: il fenomeno sembra riguardare il 70% della popolazione dotata di smartphone. Si moltiplicano le città – Stoccolma, la cinese Chongqing, San Francisco – che corrono dentro grate, precipita dalle scale? Saranno le app a proteggerci dalle app? Con Type n Walk nello schermo su cui stai giocando appare il paesaggio davanti. Lo specchietto ante-visore. In attesa di sapere cosa arginerà questa invasione, ho chiesto a qualche cammunicante perché non riesce a limitarsi ad andare da qua a là e basta. È di spalle davanti a me. Un gomito più basso dell’altro, il passo rallentato. Accelero e lo blocco: un ventenne. Chiedo. Risponde stizzito: «È un problema suo perché ha 50 anni. Io sono anni che cammino e scrivo, e non mi sono fatto mai niente». Auguri. Che cosa scrive di così urgente? Lo chiedo a una donna sulla quarantina, che stropicciava lo schermo. «È UN PROBLEMA SUO, PERCHÉ HA 50 ANNI. IO SONO ANNI CHE CAMMINO E SCRIVO, E NON MI SONO FATTO MAI NIENTE» ai ripari, riservando corsie dei marciapiedi ai cammunicanti (in inglese petextrians oppure intexticated, interessante perché dà l’idea di una dipendenza dal texting). All’inizio la preoccupazione era evitarli, accennare zigzaganti danze di cortesia. Adesso la questione è diventata più seria. C’è chi è morto, marciando con lo sguardo dentro lo smartphone: una 28enne cinese è caduta in un torrente che l’ha portata via. Ci sono migliaia di feriti: 3.000 negli Stati Uniti nel 2014. Sono ormai più i feriti causati da chi scrive mentre cammina che da chi è alla guida e compulsa lo smartphone. Le tentano tutte. In alcuni quartieri di Londra avevano coperto con gommapiuma i lampioni. A Fort Lee, New Jersey, hanno usato la carta della repressione. Multa di 85 dollari a chi è sorpreso a scrivere camminando. Non è bastato. Se non saranno le città a occuparsene, forse lo faranno i privati. Un garage di San Francisco ha assunto un uomo per avvisare i cammunicanti dell’arrivo di un’auto. Dobbiamo arrenderci ai momenti farseschi di chi sbatte contro cartelli, s’incastra 150 I VANITY FAIR Mi guarda come fossi matto. «Stasera c’è un’asta alla scuola di mia figlia, per comprare lavagne digitali nelle classi dove mancano, e mi sono accorta che sul sito manca soltanto il mio annuncio». Quale? «Metto in palio un chilo di pesto. Sa, sono genovese». Annuisco. Uomo elegante che attraversa sulle strisce. «Sto controllando le mail». Non poteva aspettare? «Così sono più tranquillo». Lo sa che può farsi male? «Sì, ma…». Altro manager, lavora per una multinazionale: mi accorgo troppo tardi che sta anche parlando al cellulare. «Da casa al taxi sono cinque minuti a piedi. Per quando salgo a bordo, devo aver ricevuto un documento da leggere: lo sto chiedendo al mio assistente. E i messaggi sono l’unico modo per comunicare quando sto telefonando». La donna cammina spedita verso di me, al centro del marciapiede, capo chino. In dieci metri avrà scritto cento parole. Avanza e ride. È sulla trentina. Posso disturbarla? Si blocca, mi gela con uno sguardo blu. «Sto lavorando». È così urgente? «Sì, se no perdo il turno». Di cosa? Se ne va. Non sembra tanto quel messaggio particolare a trasformarli in smombie (smartphone zombie), quanto un’abitudine, nemmeno consapevole. «Se no, mi dimentico di scrivere quello che mi viene in mente mentre cammino». (Il paradosso per cui si usa ciò che ci distrae per non distrarci). «Per guadagnare tempo». E poi che ne fa? «Niente: resta comunque qualcosa indietro». Bancario, trentenne: «Mi annoio: tutte le mattine la stessa strada». Uno studente, lapidario: «Così non devo pensare». E se si fa male? Mi squadra: «Non la insulto soltanto perché non ha la mia età». Non tutti hanno accolto con un sorriso la mia intromissione. Contavo però sul fatto che, di fronte a statistiche o ricordi d’imbarazzanti esperienze, qualcuno avrebbe abbozzato se non un pentimento, l’inizio di una conversazione onesta con se stesso. Niente. Mi sono fermato, ero sul corso, il più lungo e affollato di Milano. Stavano tutti digitando, leggendo, sorridendo a qualcosa che non era lì: eppure conteneva il senso della loro esistenza, anche sensoriale, di quel momento. Quando un’idea stravagante, pericolosa o incivile diventa appannaggio della maggioranza, che succede? Non si tornerà indietro. Le donne interpellate non sospenderanno il piacere di scorrere il feed su Instagram soltanto perché si devono spostare. Nessuno si crede nel torto. Fanno parte di un fenomeno più ampio. Forse il bisogno è alzare barriere, proteggerci dalle intrusioni altrui, sempre più «spiacevoli», ora che si può scegliere con chi e quando interagire. Sperimentano le automobili che si guidano da sole. Noi lo siamo da sempre. Adesso hanno complicato il nostro viaggio: abbiamo bisogno d’aiuto. Meglio comunque di altre rischiose abitudini. Lo chiamano Texting during Sex. Non credo ci sia bisogno di traduzione, o neologismi. Che cosa avrebbe dovuto rispondere il cammunicante dell’inizio al mio «perché»? Forse questo: «Ha presente il futuro? Io sto andando di là». TEMPO DI LETTURA PREVISTO: 7 MINUTI 16.03.2016