Quelli che prendono la crisi per il bavero
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Quelli che prendono la crisi per il bavero
7 Corriere della Sera Giovedì 22 Novembre 2012 BS Economia Focus VERTENZA MAC LICENZIAMENTI SEMPRE PIÙ CONCRETI I l rischio che la vertenza Mac sia ormai giunta su un binario morto assume ogni giorno che passa maggiore concretezza. Dai contorni drammatici per gli 84 lavoratori dello stabilimento di via Volturno, che dal prossimo primo dicembre potrebbero ricevere le lettere di licenziamento dopo che l’azienda di Chivasso ha deciso di dismettere gli impianti di assemblaggio che ancora resistono nel bresciano. Una partita sindacale e insieme una sfida che investe l’intera politica industriale di Fiat Industrial in corso di ridefinizione. La Mac di via Volturno non è altro che uno dei frutti del processo di esternalizzazione condotto da Iveco, che si è servita di Mac dal 1999 al 2009 per la formatura delle lamiere degli Eurocargo e negli ultimi tre anni ha lasciato che le lavorazioni core tornassero in Piemonte. Dallo scorso luglio sindacati, Aib e Prefettura hanno cercato di raggiungere un compromesso fra le due aziende che permettesse, in base agli accordi firmati coi lavoratori nel 2009, il reintegro delle maestranze eccedenti nel gruppo Fiat. La proposta della Fiom era quella di creare un ponte che facilitasse, attraverso l’utilizzo della cassa straordinaria, il passaggio graduale (30 mesi) degli 84 della Mac in Iveco (non solo a Brescia ma anche negli altri stabilimenti del nord Italia). Ieri la Prefettura ha tuttavia preso atto «della distanza delle posizioni espresse dalle parti» e non ha potuto far altro che rendersi disponibile per la riconvocazione del tavolo prima della fatidica data del primo dicembre. Ma intanto fra i lavoratori è l’incertezza a farla da padrona. Tanto che da martedì è stato riattivato il blocco dell’ingresso merci che impedisce la fornitura alle linee di Iveco. Indicativo l’atteggiamento di Fiat Industrial, che dopo aver abbandonato il tavolo prefettizio, ha da ieri pomeriggio messo in libertà la maggioranza dei lavoratori di Brescia. La giustificazione ufficiale è che il blocco dei dipendenti Mac impedisca il normale svolgimento delle lavorazioni. Diversa l’analisi del segretario della Cgil, Damiano Galletti, secondo cui l’azienda «sta deliberatamente mettendo i dipendenti l’uno contro l’altro, dato che chi viene messo in libertà non percepisce salario e i bassi ritmi produttivi delle ultime settimane non giustificano l’esaurimento delle scorte». Una guerra «fra poveri», insomma, che rischia di lasciare sul campo le vittime di una crisi infinita. M. Del Barba © RIPRODUZIONE RISERVATA 7% 80% La percentuale dei ricavi che ogni anno la Ziche Il Marmo destina alla ricerca e allo sviluppo di prodotti e processi innovativi La quota del fatturato della Cinzia Rocca che proviene dall’export. L’azienda, fondata nel 1953, occupa 450 dipendenti, 250 a Dello Quelli che prendono la crisi per il bavero Ziche, Sanispira, Tuboden e Rocca. C’è una Brescia che compete e vince Roberto Ziche parte da una foto in bianco e nero. La cava di marmo di suo padre. Ha iniziato a lavorarci nel 1986, quando era l’unico operaio e insieme il contabile e il venditore. Aveva vent’anni, i clienti gli sbattevano la porta in faccia. Troppo giovane. «A un certo punto — spiega in parole spicce — mi sono stancato di tanta supponenza. L’azienda doveva fare un salto». Come? Con un investimento ciclopico: 5 miliardi delle vecchie lire, che su un fatturato di 187 milioni pesavano non poco. «All’epoca i direttori di banca erano come i preti del paese: stimavano mio padre, gran lavoratore. Così, con un’ipoteca, il ricorso al leasing e gli affidamenti sul conto corrente, ho ottenuto la somma che mi serviva per acquistare macchine all’avanguardia. Ho realizzato il primo impianto al mondo di resinatura automatica del marmo». Ha lavorato giorno e notte, Natale e Capodanno. I clienti supponenti hanno cambiato idea. Di quella foto sbiadita in bianco e nero è rimasto poco. Oggi la Ziche Il Marmo ha un sito produttivo avveniristico, emulato da competitors internazionali, una trentina di addetti, 10 milioni di euro di fatturato. «Quando, nel 2006, sono subentrati nel mercato Spagna, India, Cina e Egitto, mi sono trovato a un bivio: licenziare 20 persone e fermare la produzione o continuare a investire nella tecnologia. Ho scelto la seconda opzione. Abbiamo rimosso i vecchi telai, abbattuto i costi superflui, lanciato nuove linee, inventato una tecnica che consente di incidere disegni sul marmo. Produciamo venti lastre al secondo». Per clienti blasonati come Donald Trump, il Principato di Monaco, i più paludati studi di architettura del mondo. La storia di Ziche è una delle quattro proposte ieri agli studenti attoniti dell’Università di Brescia nel corso del convegno «Reagire. Storie di giovani imprenditori che resistono alla crisi», organizzato dai Giovani imprenditori di Aib e da Francesco Spinelli, direttore del Centro studi di economia monetaria e bancaria dell’ateneo cittadino. Negli anni Ottanta, Turboden era una so- cietà senza mercato fondata da un docente, Mario Gaia, e da qualche studente. È restata così per una quindicina d’anni, finché Svizzera, Austria e Italia e in seguito Germania hanno iniziato a interessarsi a energia rinnovabile e impianti turbogeneratori. È stato il boom: 40 milioni di fatturato l’anno e 90 dipendenti. «Poi — spiega il direttore Paolo Bertuzzi — abbiamo deciso di lanciarci tra i giganti. Con un partner come United Technologies (50 miliardi di dollari di fatturato) siamo riusciti a competere con colossi come Siemens e I protagonisti e il segreto del loro successo ❜❜ Il coraggio di credere in un’idea a sfruttare il innovativa cambiamento Gianpietro Rizzini Jacopo Rocca ❜❜ ❜❜ Tecniche nuove Mettersi sempre per battere i concorrenti Roberto Ziche in discussione è un obbligo Paolo Bertuzzi Alessandra Troncana © RIPRODUZIONE RISERVATA sondare nuovi mercati: Canada, Russia, Cina sopra tutti». Adesso l’azienda produce 250 impianti all’anno, i dipendenti sono arrivati a 193 (età media 34 anni), il 30% dei ricavi proviene da linee nuove, il 7% del fatturato (passato dai 36 milioni del 2009 ai 100 di quest’anno) viene investito in innovazione. «La prossima sfida è lanciarci in mercati che non prevedono sussidi. Bisogna sempre mettersi in discussione». Nel 2010, la Hds Europe ha lanciato Sanispira, prodotto usa e getta per combattere problemi respiratori: «Abbiamo creduto in un’idea nuova — dice l’ad Gianpietro Rizzini —. Tutto qui. Fatturiamo 500 mila euro l’anno, siamo presenti in Italia, l’anno prossimo ci estenderemo in Austria e Canada». Si dice che il mercato dell’abbigliamento, più che matu- Berlucchi Maxi bottiglia in onore di Obama Usa primo mercato d’esportazione Un decoro stars and stripes per la rielezione del presidente degli Stati Uniti. La Berlucchi di Borgonato, con la collaborazione dell’artista Chiara Foglieni, ha voluto dedicare ai four more years di Obama alla Casa Bianca un Jéroboam (tre litri) del suo Franciacorta linea ’61 (nella foto). Un rapporto, quello dell’azienda bresciana col presidente, che parte innanzitutto dall’età anagrafica di Obama, nato appunto nel 1961, lo stesso anno di nascita della prima bottiglia di Franciacorta. Marketing a ❜❜ La crisi insegna ro, sia saturo. Falso. Almeno per Cinzia Rocca. L’azienda è stata fondata nel 1953 e, da allora, assicura il presidente Jacopo Rocca, non ha mai subito una flessione. Non è una chimera. «Basta accorgersi che la crisi non è ciclica ma strutturale e assecondare i cambiamenti». Cioè passare da una produzione stagionale di 400 pezzi per capo a una produzione just in time, pari a un decimo della precedente. «Una decisione che ha suscitato contrasti, anche perché i risultati non sono stati immediati, ma è stata premiata. Abbiamo puntato tutto sul Far East e il web, wholsale e shop online. Gli ordini via etere, provenienti da tutto il mondo, dettano il programma produttivo della settimana successiva. I ritmi di crescita sono incredibili». Il prodotto resta old economy, ma muta il processo produttivo: «Abbiamo 450 dipendenti, di cui 250 a Dello e i restanti in giro per il mondo, siamo distribuiti in duemila retails e l’80% del fatturato proviene dall’export». parte, per Berlucchi gli States rappresentano un mercato di sbocco importante, a un anno dal suo esordio ufficiale oltreoceano dopo l’accordo di distribuzione firmato con Terlato Wines International. Bilancio più che positivo: 100 mila le bottiglie vendute da settembre 2011 in 35 stati con 850 clienti, tanto da trasformare gli Usa nel primo mercato d’esportazione seguito da Germania, Giappone, Austria, Svizzera e Inghilterra. © RIPRODUZIONE RISERVATA