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20 /Docenti per la buona scuola 72 /La storia di Samuel(l)e 74 /NYC Memorial 11/9 www.cittanuova.it Poste Italiane S.p.A. – Sped. in abb. pt. – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Aut. GIPA/C/RM/31/2012; “TAXE PERÇUE” “TASSA RISCOSSA” 5,00 euro contiene I.P. Anno LX-n.9 /Settembre 2016 DOPO IL TERREMOTO NEL REATINO E NELL’ASCOLANO SI COMINCIA GIÀ A RICOSTRUIRE Suonerà di nuovo la campana Avvenire per l’Anno Santo la PORTA RTAperta perta Il supplemento mensile di Avvenire che accompagna il tuo cammino nell'Anno Santo In edicola ogni seconda domenica del mese € 2,00 con la copia di Avvenire La Porta Aperta è il supplemento speciale di Avvenire dedicato ai temi e alle suggestioni dell'Anno Santo indetto da Papa Francesco, per cogliere questa opportunità di riflessione e rinnovamento. Mese dopo mese, le firme di Avvenire aiutano a compiere un cammino di riscoperta del significato della Misericordia nella vita personale e sociale. Per ordini multipli di parrocchie e associazioni Numero Verde 800 923056 Avvenire mezza pag DORSO 4 numero-PORTA APERTA 200x260.indd 1 21/06/16 15:21 il punto di Michele Zanzucchi Varietà è ricchezza In questo numero di Città Nuova, che ormai ha raggiunto una sua stabilità dopo il passaggio da quindicinale a mensile, alcuni articoli potrebbero essere classificati come “delicati”, nel senso che i lettori potrebbero ricavarne opinioni profondamente diverse: penso agli articoli sulla spinosa questione dei docenti delle scuole pubbliche italiane (pp.20-23), o ancora alla diatriba colombiana (pp. 32-34), per non parlare della questione islamica (pp. 102-104). Ma penso soprattutto alla testimonianza di “Samuele” che è diventato “Samuelle” (pp. 72-75), un giovane di Riva del Garda scomparso suicida un anno fa, passato attraverso un cambio di sesso dopo una vita di folgoranti successi e indicibili dolori. Quale la trama che soggiace a questi articoli così disparati, ma che sembrano avere l’unica “vocazione” di dividere chi li legge in due campi ben contrapposti? Semplicemente il Dna di Città Nuova: l’uno e il molteplice, il dialogo come sostanza e non solo come metodo, l’amore per l’altro come via all’unità. In parole semplici, la corrente di pensiero e di vita che sta alla base della nostra pubblicazione, e che ne indica la sua stessa ragion d’essere, è la fraternità universale, l’unità del genere umano. Fraternità e unità che non sono ideologia totalizzante, assicurazione per il futuro o istigazione a uniformare le opinioni. Sono l’orizzonte verso cui camminiamo. La varietà, è vero, può far paura. Può spingere a rifugiarsi nella propria identità personale o di gruppo per anestetizzare il timore di chi è “altro” da quello che io sono. È evidente, tale paura fa oggi proseliti per via della questione islamica e migratoria; ma lo fa anche per via della galassia delle teorie del gender e dell’identità sessuale delle persone; o per via del futuro educativo dei nostri figli. Ma la varietà ha anche una valenza risolutamente positiva, perché è segno della libertà della persona umana; è espressione della ricchezza delle relazioni umane; è quel qualcosa che ci fa dire: possiamo accettarci, rispettarci, addirittura amarci. Senza varietà tutto ciò non sarebbe possibile: l’amore ha in effetti bisogno della varietà per esprimersi, per manifestare la sua dirompente carica creativa che cambia l’esistente in meglio. Avrete notato che abbiamo usato la parola “varietà” e non “diversità”, perché il primo termine non pretende che vi sia una “normalità” con cui confrontarsi, ma semplicemente che siamo in una pluralità complessa di situazioni, di identità. Un esempio per spiegarci: nell’ecumenismo non si parla più di “diverse Chiese” (supponendo una differenza dalla Chiesa cattolica) ma di “varie Chiese”. Questo non è relativismo, ma la convinzione pura e semplice che solo partendo dalla varietà ci si può riconoscere fratelli, può nascere l’unità. cittànuova n.9 | Settembre 2016 3 Paolo Magrone/ANSA Chris Melzer/Ap 38 /INTERVISTA Daniele Garozzo, oro nel fioretto alle recenti Olimpiadi. 82 /REPORTAGE 11 settembre. Visita al Memorial Museum, tra testimonianze e reperti. 70 /MADRE TERESA Una vita tra i poveri, che continua nell’opera da lei fondata. Saurabh Das/AP Vincent Thian/AP 20 /SCUOLA Dibattito sulle polemiche per l’assegnazione delle cattedre e i bocciati al concorsone. CN EXTRA 20 /Docenti per la buona scuola 72 /La storia di Samuel(l)e 74 /NYC Memorial 11/9 www.cittanuova.it Poste Italiane S.p.A. – Sped. in abb. pt. – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Aut. GIPA/C/RM/31/2012; “TAXE PERÇUE” “TASSA RISCOSSA” 5,00 euro contiene I.P. Anno LX-n.9 /Settembre 2016 e In copertina 10 /Il dolore e la voglia di rinascita dopo il sisma. CN EXTRA Foto/Andrew Medichini/Ap DOPO IL TERREMOTO NEL REATINO E NELL’ASCOLANO SI COMINCIA GIÀ A RICOSTRUIRE Suonerà di nuovo la campana Opinioni 7 /PING PONG di Vittorio Sedini. 31 /OLTRE IL MERCATO di Luigino Bruni. 46 /PIANETA FAMIGLIA Barbara e Paolo Rovea. 67 /SE POSSO di Piero Coda. 79 /PENSARE L’UNITÀ di Jesús Morán. 101 /GIBI E DOPPIAW di Walter Kostner. sommario Il punto 3 /Varietà è ricchezza. Pagine internazionali Cantiere Italia 32 /La pace con le Farc. 47 /Cultura delle relazioni. di Alberto Barlocci di Rosalba Poli e Andrea Goller 35 /AMU Notizie. Come i primi cristiani. 48 /Dopo l’accoglienza. di Gianni Bianco di Stefano Comazzi /Un dicastero per gli ultimi. 36 /Flash dal mondo. 52 /L’impegno riparte dalle periferie. di Michele Zanzucchi Editoriali 8 /Terremoto e media. di Giulio Albanese 9 /Il sale della terra. di Luigi Butori, Javier Rubio, Armand Djoualeu, Ambra Maniace di Fabio Ciardi Famiglia e società Le regioni 42 /Poveri di Dio, poveri dell’uomo. 15 /Trasporto locale, serve una svolta CN EXTRA di Ezio Aceti a cura di Sara Fornaro Politica lavoro economia 44 /Domande & risposte. di Marina Gui, Marco D’Ercole, Federico De Rosa, Maria e Raimondo Scotto, don Paolo Gentili di Maria Chiara De Lorenzo 59 /Non sono un pesce rosso. di Aurelio Molè Spiritualità 61 /Parola di vita – Ottobre. di Fabio Ciardi di Giuseppe Arcuri e Raffaele Natalucci 62 /Odissea (ed epopea) dei braccialetti arancioni. Storie di Mara Randazzo 54 /Vedrai come sarai contenta! 68 /Verso l’unità dei popoli. di Michele Genisio di Chiara Lubich 53 /Storie brevi. Idee e cultura di Oreste Paliotti, Marco Fatuzzo, Giosito Ciampa 72 /Ciao, Samuelle. di Giulio Meazzini SEGNALIAMO SU 24 /Da noi l’hot spot funziona. a cura di Aurora Nicosia 28 /Yemen. Le nostre responsabilità. di Maurizio Certini POTERI E DEMOCRAZIA Caso Apple e l’Europa dei popoli. BRASILE La sconfitta di Dilma Rousseff. TENDENZE Dal Giappone il giornale che fiorisce. di Gennaro Iorio di Alberto Barlocci di Giulia Martinelli 88 /CINEMA Lo statP dell’arte della commedia BMMhitaliana. Mensile di opinione del Movimento dei focolari fondato nel 1956 da Chiara Lubich con la collaborazione di Pasquale Foresi. Direttore responsabile: Michele Zanzucchi Caporedattore: Aurelio Molè Redazione: Carlo Cefaloni, Sara Fornaro, Maddalena Maltese, Giulio Meazzini, Aurora Nicosia Progetto Grafico: Humus Design Impaginazione: Umberto Paciarelli Segreteria di redazione: Luigia Coletta Abbonamenti: Antonella Di Egidio, Desy Guidotti, Marcello Armati Promozione: Marta Chierico Ufficio stampa/ANSA Editore: Città Nuova della P.A.M.O.M. Via Pieve Torina, 55 | 00156 Roma T 06 3216212 F 06 3207185 C.F. 02694140589 P.I.V.A. 01103421002 76 /Obama e il senso della storia. a cura di Carlo Cefaloni 78 /Noi, gli animali e Dio. di Giovanni Casoli 80 /Il piacere di leggere. 92 /Musica e teatro. /Educazione sanitaria. di Elena D’Angelo, Mario Dal Bello e Giuseppe Distefano di Spartaco Mencaroni 93 /Musica leggera. /Diario di una neomamma. di Franz Coriasco di Luigia Coletta /Appuntamenti, cd, novità. 100 /Addio plastica. Fantasilandia di Lorenzo Russo Dialogo con i lettori a cura di Gianni Abba 94 /La baia dei giganti. (Tratto da Big). 81 /In libreria. di Vittorio Sedini a cura di Oreste Paliotti 103 /La nostra città. Pagine verdi di Marta Chierico Arte e spettacolo 90 /Televisione. di Eleonora Fornasari 96 /Il riscatto di Rio. di Mariano Conte 104 /Guardiamoci attorno. 98 /Buon appetito con… Penultima fermata 91 /Fumetti. di Cristina Orlandi di Davide Occhicone 99 /Alimentazione. 106 /Presidente e padre femminista. di Giuseppe Chella di Elena Granata Moda. di Beatrice Tetegan Questo numero è stato chiuso in tipografia il 2-9-2016. Il numero 8 di Agosto 2016 è stato consegnato alle poste il 4-8-2016. Direzione e redazione via Pieve Torina, 55 - 00156 ROMA T 06 96522200 - 06 3203620 r.a. F 06 3219909 [email protected] Ufficio pubblicità via Pieve Torina, 55 - 00156 ROMA T/F 06 96522201 [email protected] Ufficio abbonamenti via Pieve Torina, 55 - 00156 ROMA T 06 3216212 - 06 96522200-201 F 06 3207185 [email protected] Direttore generale: Stefano Sisti Stampa: Arti Grafiche La Moderna di Miliucci Marco e Floriana S.n.c. Via Enrico Fermi, 13/17 00012 Guidonia Montecelio (Roma) tel. 0774354314/0774378283 Tutti i diritti di riproduzione riservati a Città Nuova. Manoscritti e fotografie, anche se non pubblicati, non si restituiscono. 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Città Nuova aderisce al progetto per una Economia di Comunione Associato all’USPI Unione Stampa Periodica Italiana Autorizzazione del Tribunale di Roma n.5619 del 13/1/57 e successivo n.5946 del 13/9/57 Iscrizione R.O.C. n. 5849 del 10/12/2001 La testata usufruisce dei contributi diretti dello Stato di cui alla legge 250/1990 la vignetta anche i sassi parlano PING PONG di VITTORIO SEDINI editoriali Comunicazione Terremoto e media di Gianni Bianco Chiesa Un dicastero per gli ultimi di Giulio Albanese 8 cittànuova n.9 | Settembre 2016 «Luigi ha confermato che sta bene». Chi quella terribile scossa delle 3.36 ha avuto la fortuna di non sentirla perché lontano dall’epicentro, al mattino di quel 24 agosto è stato avvertito anche così dell’avvenuto terremoto in centro Italia. Safety check li chiama Facebook, messaggi per permettere a chi si trova in una zona colpita di far sapere agli amici di non essere in pericolo. Premessa social a un sisma che, dal punto di vista comunicativo, ha trovato il proprio centro proprio nella Rete. Come mai prima, la materia grezza – la notizia – tutti o quasi hanno potuto leggerla in tempo reale sul proprio smartphone. E così i giornali hanno preferito proporre storie personali, riflessioni, punti di vista e racconti empatici centrati sugli aspetti umani, piuttosto che solo la scarna cronaca dei fatti. Necessità diventata virtù, visto che proprio dai quotidiani sono arrivati alcuni dei resoconti migliori su quanto accaduto dalle parti di Amatrice. Allo stesso tempo le tv, con edizioni straordinarie e largo uso di mezzi, hanno provato a tenere il passo del frenetico flusso informativo scandito da Internet. E, a parte qualche caduta di stile, in generale tg e trasmissioni – con sensibili miglioramenti rispetto ai precedenti – sono riuscite a dar conto della tragedia senza calpestare il dolore di chi ha visto crollare la casa e morire i propri cari. Inoltre la grande gara di solidarietà che, partendo dal basso, ha trovato proprio sul web la sua cassa di risonanza, ha spinto pure la tv ad accendere i riflettori non più solo nei luoghi del dramma, ma anche in quelli della speranza, dando voce – molto più che in passato – alle vittime che tutto hanno perso, ma pure alle migliaia di volontari che, generosamente, tutto hanno lasciato per dare una mano. In un inedito controllo reciproco è stata poi proprio la tv a porre un argine all’aspetto meno edificante del mondo social: la diffusione di bufale senza verifiche. Il fantasioso complotto sulla magnitudo del sisma o le polemiche stucchevoli su profughi e sfollati sono state stoppate anche dalla battaglia guidata dal direttore de La7 Mentana, contro quelli che con un neologismo ha definito “webeti”. Poco per sancire la nascita, sulle macerie del cuore d’Italia, di un sistema informativo maturo, bilanciato e pienamente rispettoso della persona. Ma abbastanza per dire che, almeno su questo, un piccolo passo avanti è stato fatto. Papa Francesco non cessa di sorprendere istituendo un super dicastero in favore degli ultimi. La titolazione è altisonante – per il “Servizio dello sviluppo umano integrale” – ma la missione è davvero rivoluzionaria, dunque senza precedenti nella storia della curia romana. È quanto si legge nel “motu proprio” Humanam progressionem, in cui il vescovo di Roma spiega con chiarezza che nel nuovo dicastero confluiranno, dal primo gennaio 2017, 4 pontifici consigli: Giustizia e pace, Cor unum (coordina e organizza le azioni umanitarie e di aiuto della Santa Sede in caso di catastrofi o di crisi nonché l’attività caritativa della Chiesa cattolica), Pastorale migranti e Operatori sanitari. Si tratta, in sostanza, di un organismo ecclesiale poliedrico che esprime, in modo decisamente innovativo, la sollecitudine della Santa Sede, ispirata al magistero di papa Francesco, nei confronti di coloro che vivono nelle periferie del mondo. Se da una parte è evidente che l’architettura su cui si regge il nuovo dicastero è costituita dai valori della pace e della giustizia i quali rappresentano il fondamento delle relazioni umane, dall’altra emerge a chiare lettere la concretezza del pensiero di Bergoglio in riferimento ai temi della solidarietà, della salute, del rispetto Sono stato ancora una volta in Terra Santa. Questo angolo di mondo, così piccolo (più piccolo della Sicilia) eppure così rilevante per le sue implicanze, non sembra più al centro della geopolitica mondiale. L’attenzione si è spostata sui Paesi limitrofi. Il conflitto arabo-israeliano, considerato “madre di tutte le guerre”, è in letargo, dimenticato. Ha però generato, cattiva madre, figli e figlie che le somigliano: battaglie, attentati, genocidi, esodi di massa infiammano il Medio Oriente (o il centro del mondo, come preferiscono chiamalo gli arabi, che rifiutano la collocazione che assegnano loro gli occidentali: i “punti di vista” cambiano!). Al primo impatto, in Israele non si avverte il conflitto. Il muro di 700 km, che taglia fuori i territori palestinesi, ha portato una drastica diminuzione degli attentati, l’intifada è un ricordo lontano e Gerusalemme è diventata una delle città più sicure al mondo. Tuttavia basta poco per cogliere i segnali di una tensione latente, che può esplodere da un momento all’altro: per proteggere una famiglia ebraica insediatasi in un quartiere arabo si innalzano due torrette presiedute dai militari; l’attraversamento del muro ai checkpoint è fonte di umiliazioni e di malessere; il confinamento in territori angusti, avvertiti come prigioni, genera un odio sordo; l’esproprio di case e terre per nuovi insediamenti ebraici alimenta la fiamma della rivolta. Possiamo continuare a chiamarla Terra Santa? L’ho chiesto ai cristiani incontrati a Betlemme (erano il 75%, ne è rimasto il 28%, nonostante che il sindaco, per volere di Arafat, sia sempre un cristiano), a Nazareth (sono solo 19 mila su un totale di 74 mila abitanti). Questa terra è santa per ebrei, cristiani e musulmani. Per i cristiani, in modo particolare, è santa soprattutto perché l’ha resa santa Gesù. Ma oggi? «Siete voi – ho detto loro con convinzione – a rendere santa questa terra con la vostra presenza, mantenendo vivo in mezzo a voi Gesù risorto. Sempre meno numerosi, piccolo gruppo, siete “sale della terra”; ne basta poco per dare sapore, per fare di questa terra martoriata una Terra Santa». Tornato a Roma mi sono domandato se questa mia città è ancora la “città santa”, e ho capito ancora meglio che ovunque i cristiani sono chiamati ad essere sale della terra, a far diventare santa la loro terra. Fabio Frustaci/AP cristiano, nei confronti della persona umana. Un dato che certamente non andrà trascurato, in fase di studio, riguarda il futuro impegno delle Chiese locali nell’adeguare la loro pastorale al nuovo indirizzo impresso da papa Francesco. Questo in sostanza significa evitare, in futuro, che nelle attività di solidarietà a favore dei poveri vi sia un approccio parziale, parcellizzando gli interventi secondo dinamiche che non tengono conto della complessità dello scenario mondiale. Un palcoscenico segnato dall’esclusione sociale che acuisce a dismisura le sofferenze di coloro che vivono nei bassifondi della storia: gli ultimi. In Terra Santa Il sale della terra di Fabio Ciardi pavel wolberg/ANSA del creato e della mobilità umana. Da rilevare, in particolare, che il pontefice per il momento, ha stabilito che si occuperà personalmente, nell’ambito del nuovo dicastero, del dipartimento dedicato ai profughi. Una scelta legata all’emergenza che, forse più di altre, nel contesto della globalizzazione, mette in evidenza il bisogno di cooperazione tra le Chiese e solidarietà tra le nazioni. La pubblicazione del “motu proprio” non solo è avvenuta nell’Anno giubilare della misericordia, ma a pochi giorni dalla canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta, a riprova che la Buona notizia, per essere testimoniata efficacemente, non può prescindere da un approccio olistico, autenticamente cittànuova n.9 | Settembre 2016 9 l’inchiesta TERREMOTO per ricostruire il cuore d’italia Il 24 agosto un sisma di magnitudo 6.0 ha distrutto 4 comuni e provocato la morte di quasi 300 persone. Il dolore e la voglia di rinascita Nella cartina, l’epicentro del sisma del 24 agosto. /Map Data Google Quello che resta del sisma del 24 agosto che ha distrutto Accumoli, Amatrice, Arquata e Pescara del Tronto, ha gli occhi afflitti di Gabriele, 8 anni. Sotto le macerie ha perso mamma Letizia, papà Gianluca, la sorellina Martina. È tornato a Roma con i nonni e l’intera comunità si è stretta intorno a lui, subissandolo di amore per tentare di supplire a una perdita troppo dura da accettare, a qualsiasi età. L’Italia del dopo terremoto ha il battito del cuore rallentato di chi è stato schiacciato da muri e armadi, 10 cittànuova n.9 | Settembre 2016 Crocchioni/ANSA di Sara Fornaro e Aurelio Molè Un bambino di pochi mesi in braccio a una poliziotta di fronte a una casa crollata a Pescara del Tronto. con detriti sul viso e polvere nella bocca, il boato che rimbomba nelle orecchie e la paura nell’anima, e il ritmo accelerato dei soccorritori. Il sisma di magnitudo 6.0, capace di uccidere quasi 300 persone e sventrare interi edifici non antisismici, non è riuscito a fermare i volontari che per ore, con caschi e tute pesanti, hanno scavato sperando di ascoltare un gemito, di cogliere un segno di vita, come Umberto, grafico di Città Nuova e tecnico del Corpo nazionale del soccorso alpino e speleologico. Ad Amatrice ha eastratto 10 persone dalle macerie: solo una respirava ancora. «Mi raccomando, trattalo bene», ha detto un carabiniere a un operatore della Croce rossa, consegnandogli il cadavere di un bambino. Una delicatezza per la dignità della vita, anche quando è finita. «Per favore, mettili insieme», ha sussurrato un vigile del fuoco a chi ricomponeva nelle bare una mamma e il suo figlioletto. Un’attenzione che rispetta i legami, gli affetti più cari, nella speranza della resurrezione. Il Paese che non dimentica ha il corpo leggiadro e martoriato di Giulia, che ha dato la vita per la sorellina Giorgia, coprendola durante i crolli. «Scusa se siamo arrivati tardi… Quando tornerò a casa a L’Aquila, saprò che un angelo mi guarda dal cielo», le ha scritto il vigile del fuoco che l’ha estratta dalle macerie. La comunità che ama con i muscoli ha le braccia forti di Luis, il badante colombiano che ha aiutato Andrea, Gabriella, Giuliana, che ha salvato suor Mariana cittànuova n.9 | Settembre 2016 11 TERREMOTO e aiutato tanti altri ad uscire dalla casa delle Ancelle del Signore; e quelle di don Savino, che con i confratelli ha portato in salvo i 26 anziani della casa di accoglienza di Amatrice. E ancora, ha la stretta di mano gentile del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, le dita rugose degli anziani che lo hanno implorato di non dimenticare la loro terra ferita, la carezza dolce e l’affetto concreto di papa Francesco. È una umanità con tante mani: che porgono il pane e preparano migliaia di piatti di pasta, che distribuiscono gli aiuti e giocano a biliardino sotto le tende, “ Prevenzione: scelta obbligata Ufficio stampa/ANSA l’inchiesta Umberto Paciarelli (Soccorso Alpino), grafico di Città Nuova, durante i soccorsi. «Che facciamo ora per la ricostruzione dopo il terremoto?», ci chiediamo. Un proverbio cinese dice: «Anche un viaggio di mille chilometri inizia con un primo passo». L’importante è cominciare e continuare. L’impresa appare ardua perché su 32 milioni di edifici in Italia, 5 milioni sono ad alto rischio sismico. E prevenire, anche in questo campo, è meglio che curare. Occorrerebbero 36 miliardi di euro per mettere in sicurezza il territorio, e uno studio Usa indica che su ogni euro investito in prevenzione se ne risparmiano 4 di costi per la ricostruzione. «Uno strumento che già esiste e va potenziato – secondo il presidente di Eucentre Vincenzo Spaziante – sono le agevolazioni fiscali per l’adeguamento sismico delle case private». Ogni anno la legge di stabilità concede la detraibilità delle tasse fino al 65% delle spese di adeguamento. I limiti sono un regolamento complicato, rimborsi in 10 anni e validità solo per la prima casa su zone sismiche 1 e 2. «Si tratta di elevare la detraibilità portandola al 100%, di rendere strutturale l’agevolazione fiscale e non rinnovarla ogni anno e di alzare la possibilità di spesa che ora è solo di 90 mila euro. Non risolve il problema, ma sarebbe un’efficace e immediata soluzione». La prevenzione sismica in Italia si realizza attraverso l’utilizzo di due strumenti: la classificazione sismica e la normativa antisismica che riguarda i criteri per costruire una struttura in modo da ridurre la sua tendenza a subire un danno, in seguito a un terremoto. Dal 1° luglio 2009 la normativa sulla costruzione di nuovi edifici è efficace, il problema è l’esistente e va valutato caso per caso. Per l’ingegnere Fernando Lugli, che si occupa di progetti di ricostruzione delle strutture urbane, «la ricostruzione si esegue con la mappatura e la classificazione della vulnerabilità dei fabbricati lesionati per consentire di individuare le situazioni più critiche e indirizzare al meglio l’impiego delle risorse a disposizione per la prevenzione». Ma il nodo centrale resta l’obiettivo della sicurezza collettiva. «Come si potrebbe definire antisismico un edificio anche ben progettato se quello accanto minacciasse di rovesciarvisi sopra? Il terremoto si contrasta con un’azione sociale e i piani per la sicurezza sismica hanno senso se coinvolgono l’intera popolazione, se le normative inducono negli abitanti quello spirito di solidarietà e dedizione al bene comune». 12 cittànuova n.9 | Settembre 2016 che tagliano barbe e acconciano capelli, che strappano un sorriso a chi ha dimenticato come si fa. Ma sono anche mani che esaminano carte e fascicoli, muri e tetti, per individuare le responsabilità umane, per capire perché crolla una scuola ristrutturata, perché un ospedale diventa inaccessibile. Il Paese che non abbandona la sua gente ha il naso umido dei cani, diligenti e generosi, che hanno cercato i sopravvissuti o che, amici fedeli, hanno vegliato i corpi dei loro padroni. Ha le labbra di quanti hanno lanciato il grido che li ha fatti salvare, di chi pronuncia parole di speranza, di coloro che hanno dato l’ultimo, indimenticabile bacio a chi non ce l’ha fatta, come Elisa, 14 anni, bella e sorridente, così contenta di stare in vacanza con il cuginetto e le nonne, con sogni grandi nella mente e nel cuore. Sogni che i suoi genitori, i suoi amici, continueranno a far volare in alto, come i palloncini bianchi lanciati in aria dopo l’ultimo saluto. L’Italia di questa ennesima ricostruzione ha il pianto inarrestabile di chi ha perso tutto, quello commosso di Agnese Renzi ai funerali, quello liberatorio di chi è ancora vivo, come Lorenzo, di Ascoli Piceno, liberato dal coraggio del cugino Ottavio e degli amici Lorenzo e Leonardo da una trappola di travi insieme a nonno Emidio, nella casa di Villa San Lorenzo a Flaviano, ad Amatrice. Umberto Paciarelli La manutenzione necessaria ha bisogno di una mappatura della vulnerabilità dei fabbricati in Italia, dove si è costruito oltre il fabbisogno. Le macerie lungo il corso di Amatrice. La nazione che porge la mano a chi non ha più nulla ha tante facce, di tutti i colori: quelle scure dei richiedenti asilo che hanno Sicurezza sismica in Italia 24 milioni 63,8% di persone vivono in zone ad elevato rischio sismico gli edifici costruiti prima del 1971 5 milioni 36 miliardi sono gli edifici in aree soggette a possibili terremoti di euro necessari per mettere in sicurezza gli edifici cittànuova n.9 | Settembre 2016 13 l’inchiesta TERREMOTO scavato tra le macerie, quelle dai tratti asiatici dei cinesi arrivati da Firenze con furgoni sovraccarichi di aiuti, quelle abbronzate dei tanti cittadini in vacanza che hanno raccolto pacchi su pacchi per gli sfollati. Una solidarietà concreta, che è andata oltre le richieste, per consolare chi assisteva impotente a tanto dolore. Una vicinanza che come un’onda ha coinvolto lo sport, l’arte, lo spettacolo, il resto del mondo. «Ti amo, Amatrice», hanno scritto i Kennedy gustando, come tanti, un piatto di “amatriciana solidale”. Gli italiani tutti adesso devono occuparsi della ricostruzione, affinché non diventi infinita, come in Irpinia, e non disgreghi la comunità, come a L’Aquila, ma renda le case sicure, come a Norcia, dove la terra ha tremato, ma non ci sono state vittime. Una ricostruzione che deve interessare le case distrutte, ma anche quelle – milioni! – che possono crollare alla prossima scossa. Sulla ricostruzione il premier Matteo Renzi si gioca la credibilità. Una scommessa che nel 2009 a L’Aquila è stata persa. Ma anche noi cittadini abbiamo gravi responsabilità, quando edifichiamo cercando scorciatoie e non pensiamo alla salute nostra e di chi ci sta accanto, dimenticando le nostre responsabilità sociali. Tocca a ciascuno vegliare e puntare i piedi se qualcosa non va, come è avvenuto per i funerali, quando la gente è riuscita a salutare per l’ultima volta i propri cari ad Amatrice, lì dove erano vissuti. Nella loro amara, ma bellissima e sempre cara terra natia. È il momento di sperimentare la resilienza: la capacità, cioè, di reagire in maniera positiva alle tragedie, per migliorarsi, affinando empatia e sensibilità, senza perdere la propria identità, ma arricchendola e aprendosi agli altri. Contenuti aggiuntivi su cittanuova.it Il dopo terremoto. EXTRA www.cittanuova.it Crescere insieme, crescere bene. SAMUEL CASEY CARTER QUANDO LA SCUOLA EDUCA 12 progetti formativi di successo Cosa fa di una scuola un luogo formativo di successo? Attraverso la presentazione di 12 scuole eccellenti, selezionate tra molteplici altre degli Stati Uniti d’America, il testo indica nella comunità scolastica, - vista nella sua profonda dinamica relazionale tra docenti, studenti, personale amministrativo e dirigente - la vera risorsa formativa, capace di mettere intenzionalmente la persona e la formazione del carattere degli studenti al centro del proprio progetto educativo. Edizione italiana a cura di Michele De Beni pp. 200, € 15,00ca CONTATTACI T 067802676 - [email protected] le regioni MEZZI PUBBLICI a cura di Sara Fornaro trasporto locale, serve una svolta Lo scontro tra due treni in provincia di Bari, che a luglio ha provocato 23 morti e decine di feriti, alcuni dei quali ancora lottano per ritornare a una vita normale, ha riportato l’attenzione sui mezzi di trasporto locale. Un sistema collaudato e funzionale in qualche provincia, ma ancora molto precario in altre. Scopriamo le condizioni di Roma, Genova, Cagliari e Napoli. cittànuova n.9 | Settembre 2016 15 le regioni MEZZI PUBBLICI corsie preferenziali e vanno più veloci delle auto, allora le persone useranno i mezzi pubblici. lazio L’Atac e l’odissea dei romani Intervista a Enrico Stefano, presidente della commissione Trasporti di Claudia Di Lorenzi Per i romani è un’odissea quotidiana: spostarsi in città utilizzando il trasporto pubblico è un’impresa. Sotto accusa un sistema di infrastrutture carente e un trasporto su gomma mal distribuito e azzoppato da autobus lumaca, rotti e bloccati dal traffico. Sta di fatto che i romani per lo più usano mezzi privati e nell’ora di punta il trasporto pubblico assorbe solo il 28% degli spostamenti. Ma come portare Roma alla pari delle altre capitali europee? Ne abbiamo parlato con Enrico Stefano, per i 5stelle neopresidente della commissione Trasporti capitolina. Come pensate di aumentare il ricorso al trasporto pubblico? Da un lato si rende più efficiente il trasporto pubblico, dall’altro si opera per ridurre il ricorso all’auto privata. I problemi sono in buona parte dettati dal traffico, ma se gli autobus si spostano su 16 cittànuova n.9 | Settembre 2016 La rete del trasporto pubblico di superficie su gomma è mal distribuita rispetto alle esigenze dei cittadini. Come razionalizzarla? Serve uno studio sui percorsi e rimodulare le linee, integrarle dove sono più utilizzate e ridurle dove i mezzi viaggiano spesso vuoti: pensiamo a servizi a chiamata tramite taxi, che costano meno che far passare un autobus per sole 5 persone. Questo non significa che si riduce il servizio nelle aree periferiche, ma che lo si adatta a quelle zone. La metro sconta un grande ritardo infrastrutturale: serve 278 milioni di passeggeri l’anno con soli 53 km di estensione e sono frequenti i disservizi. Come pensate di intervenire? A Roma è stato accumulato un debito di manutenzione elevato, ma siamo riusciti a trovare i fondi destinati alla metro A che l’ex commissario Tronca aveva tolto. Si tratta solo di fare investimenti importanti. Diverso il discorso per la ferrovia Roma-Lido che è una struttura di proprietà regionale e per cui i fondi devono arrivare anche da lì. Serve un’opera importante di ammodernamento sia della rete che dei treni. liguria A Genova il bus lo spingono gli utenti I mezzi obsoleti provocano guasti quotidiani di Silvano Gianti Sestri Ponente, ora di punta di una mattinata lavorativa, e solita coda che paralizza il traffico. Con lo scooter cerco spazi tra un po’ di marciapiede e le auto. Dopo una lieve curva, l’ennesimo bus di Amt guasto: falliti tutti i tentativi di rimetterlo in moto, 4 uomini spingono il mezzo fino al capolinea. Sissignori, questo è il biglietto da visita della municipalizzata dei trasporti di Genova. Ogni giorno sono circa 700 gli autobus che escono dalle rimesse per trasportare cittadini e turisti, ma non è detto che tutti ci riescano. Lo stato di salute dei mezzi segnala una media di circa 5 mila guasti all’anno – queste le stime dei sindacati di settore –. Non passa giorno senza qualche intoppo, dai più banali a quelli più distruttivi, e tra questi spesso gli incendi. La causa di tutto ciò, che poi si riversa su un disservizio non indifferente per gli utenti, è l’anzianità dei mezzi. Genova ha i bus tra i più vecchi d’Europa. Nel 2013, a seguito dello sciopero del personale Amt che bloccò la città per diversi giorni, la Regione Liguria siglò un accordo per l’acquisto di 400 nuovi bus, di cui 200 destinati all’azienda genovese. A metà del mese di agosto sono entrati in servizio i primi 15 nuovi mezzi. Entro la fine dell’anno è previsto l’arrivo di altri 32 veicoli che consentiranno un ulteriore, seppur parziale, rinnovo del parco mezzi Amt. sardegna Stanziati i fondi per le infrastrutture Serviranno per rimediare alle carenze del trasporto pubblico di Roberto Comparetti Un’isola senza autostrade (solo una superstrada, cantiere perenne da oltre 20 anni), con una dorsale ferroviaria per la maggior parte a binario unico (costruita nella seconda metà dell’800) e una mobilità legata essenzialmente al trasporto su gomma. È la fotografia dei trasporti in Sardegna. Nelle scorse settimane è stata siglata un’intesa con il governo Renzi, grazie alla quale 2,9 miliardi di euro arriveranno per colmare i gap infrastrutturali che rendono ancora penalizzante l’insularità, trasporti compresi, per i quali ci sono 313 milioni e 600 mila euro. Accanto ai trasporti interni, quelli da e verso la Penisola vedono il sistema aereo contrassegnato dal regime di continuità territoriale assicurato ai nati e residenti in Sardegna, e i vettori low cost che stanno lasciando la Sardegna dopo che l’Unione europea ha ravvisato aiuti di Stato nel sostegno della Regione per assicurare voli nazionali e internazionali. Un capitolo a parte merita il trasporto marittimo da sempre croce e delizia dei sardi. È stata privatizzata la compagnia pubblica Tirrenia, finita sotto il controllo di un armatore privato che già operava sulle rotte da e per la Sardegna. In molti però lamentano il costo eccessivo dei biglietti nel periodo estivo, quando tanti sardi rientrano sull’isola per le ferie. Le zone interne vivono poi in una condizione particolare dato che, dopo la fine delle scuole, si riducono i collegamenti assicurati dall’azienda regionale trasporti e l’uso dell’auto privata è obbligatorio, per chi la possiede. Gli operatori turistici spesso lamentano l’impossibilità per i vacanzieri di visitare le zone interne con il trasporto pubblico. I residenti nelle isole minori, Carloforte e La Maddalena, hanno, invece, visto la privatizzazione della compagnia pubblica regionale e l’acquisizione delle rotte da parte di un armatore privato. Anche qui i non residenti lamentano rincari nei prezzi dei biglietti. Ci sono però anche aziende di trasporto che vedono riconosciuti gli sforzi per migliorare il servizio: è il caso della Ctm, che assicura i trasporti urbani a Cagliari e nell’hinterland. I manager e la Concessionaria sono stati premiati per il lavoro fatto e i servizi assicurati. Un settore, quello dei trasporti in Sardegna, che mostra più ombre che luci, sintomo di una infrastrutturazione che resta carente. cittànuova n.9 | Settembre 2016 17 le regioni MEZZI PUBBLICI campania Militari contro i vandali a Napoli Troppi disagi per i pendolari, per disservizi e guasti di Loreta Somma C’era una volta la Circumvesuviana, la società ferroviaria che univa Napoli alle diverse aree della provincia: la fascia costiera fino a Sorrento; la zona vesuviana, al confine con la provincia di Avellino, e altri comuni dell’interno verso la provincia di Salerno. Le sue caratteristiche erano la puntualità 2016 e la presenza dei controllori, che scovavano i malcapitati senza biglietto. Negli ultimi 30 anni ha subìto un declino inarrestabile con la chiusura di stazioni minori; i ritardi cronici, la scarsa manutenzione e l’insufficiente controllo su persone e cose. Passata sotto la gestione dell’Ente Autonomo Volturno, che comprende anche altre linee quali Metro Campania Nordest e Sepsa (Circumflegrea e Cumana), in tempi recenti, alcune problematiche sono state superate. Ma, soprattutto d’estate, scioperi, guasti, ritardi si succedono senza fine. Se intorno al Vesuvio non si viaggia facilmente, nel resto della provincia e nel capoluogo la situazione non è molto diversa. Quest’estate, contro il perdurare del vandalismo, è stato richiesto l’intervento dell’esercito per presidiare le stazioni della CumanaCircumflegrea, che collega Napoli con Pozzuoli e le zone limitrofe. La città e la provincia sono servite da bus che combattono con un traffico a volte insostenibile; metropolitane abbastanza funzionanti e funicolari in perenne manutenzione. Il problema principale è la mancanza di fondi dovuta alle spese eccessive e ai mancati introiti per una smisurata evasione tariffaria. Unica novità è la possibilità di viaggiare gratis per gli studenti di tutta la Campania. Per quest’anno scolastico ci sono i fondi, speriamo che possa ripetersi in futuro. Serve però un deciso cambio di rotta. Contenuti aggiuntivi su cittanuova.it Roma e Napoli, la sfida del trasporto locale EXTRA LOPPIANO (FI) 30 settembre - 2 ottobre Info e prenotazioni alloggi: 055 9051102 - [email protected] 2016 POWERTÀ Istituto Universitario University Institute La povertà delle ricchezze e la ricchezza delle povertà Loppiano 30 settembre – 2 ottobre Convegno centrale 1° ottobre - Auditorium di Loppiano Un variegato mosaico di eventi a copertura di tutto il week end: focus, forum, laboratori. Per i pasti, punti ristoro e snack veloci. Frontiere, risorse energetiche, idee di civiltà e di economie contrapposte prefigurano un futuro legato a doppia mandata allo schema vincitori e vinti. La settima edizione di LoppianoLab punta tutto su un cambio di prospettiva radicale: quella delle povertà. Un punto d’osservazione che si mette al fianco di chi l’indigenza la vive sulla propria pelle. Uno spazio di condivisione per scorgere e offrire le tante forme di ricchezza di cui spesso la povertà è portatrice per i singoli, il corpo sociale e popoli interi. Perché tutti possono “dare”. FOCUS: LABORATORI: Innovazione tecnoscientifica, modelli di sviluppo e povertà La povertà delle ricchezze e la ricchezza delle povertà I 25 anni del Progetto Economia di Comunione SCENARI DI POVERTÀ E RICCHEZZA - ecologia e povertà - stare nelle periferie - rifugiati e migranti - dialogo interreligioso - dis-Abilità - giornalismo e migrazioni - arte come riscatto Nella cornice di Loppiano, laboratorio di convivenza interculturale, LoppianoLab dà voce a quanti – cittadini attivi, imprenditori, comunicatori, giovani, educatori – cercano di costruire un’Italia migliore. L’Italia di domani che è già l’Italia di oggi. FORUM: I pionieri e i giovani nell’Economia di Comunione ARTE: Povertà di partecipazione e democrazia Performance letterarie Povertà e scuola Performance artistiche Musica Workshop Info e prenotazioni alloggi: 055 9051102 – [email protected] Cesare Abbate/ANSA politica lavoro economia 20 cittànuova n.9 | Settembre 2016 EDUCAZIONE a cura di Carlo Cefaloni docenti per una scuola buona L’anno scolastico è iniziato con nuove polemiche sull’assegnazione delle cattedre e sull’alta percentuale di bocciati nei concorsi per insegnanti La scuola è la chiave di volta per abbattere le diseguaglianze ed esercitare la democrazia, come sapevano bene coloro che hanno guidato, nel dopoguerra, il lungo passaggio da un’istituzione posta a servizio del totalitarismo a una più egualitaria. La scuola è un’opera collettiva (studenti, genitori, amministrativi, ecc.) che raggiunge comunque ottimi risultati anche con carenza di mezzi a condizione di avere dei veri educatori. Un pessimo insegnante può marcare, invece, la vita di qualsiasi studente. L’ennesima riforma, proposta dal governo Renzi, con il nome di “Buona scuola”, illustrata nel sito labuonascuola.gov.it, è stata approvata nel luglio 2015 con il voto definitivo della Camera (277 sì, 173 no e 4 astenuti). Tra le misure, definite strutturali, la previsione di un finanziamento aggiuntivo di 3 miliardi di euro, un piano straordinario di assunzioni di docenti e il nuovo ruolo dei “dirigenti scolastici” definiti “leader educativi” che possono, seguendo certe regole, scegliere e «mettere in campo la squadra» di «docenti con il curriculum più adatto a realizzare il progetto formativo del loro istituto». Il progetto, come era da attendersi e come è stato in passato, ha ricevuto forti critiche, ad esempio dalla Cgil, che parla di una legge che «allarga le disuguaglianze sociali e territoriali» e risulta, perciò, «indifferente ai principi connettivi della Repubblica». Il nuovo ruolo dei dirigenti, con la «trasformazione delle scuole in aziende», è dal sindacato cittànuova n.9 | Settembre 2016 21 politica lavoro economia EDUCAZIONE giudicato contrario alla libertà di insegnamento. La rivista Tuttoscuola nel frattempo ha comunicato i primi risultati del “concorsone” svolto da oltre 175 mila docenti, ad aprile 2016. Il numero dei bocciati è così elevato (55%) da prevedere altri ricorsi che si andranno ad aggiungere a quelli degli insegnanti che contestano l’assegnazione della sede di lavoro avvenuta attraverso un automatismo informatico (un “algoritmo”). Che scuola ci attende quest’anno? Il dibattito è apertissimo. Partiamo da alcuni contributi per un dialogo destinato a continuare. Proteste di docenti per l’assegnazione delle cattedre. Nell’occhio del ciclone di Marco Fatuzzo, da 40 anni docente e dirigente d’istituto Docenti messi alla gogna per non essere riusciti a superare, per il 50%, le prove d’esame dell’ultimo concorso e per i numerosi ricorsi legati all’assegnazione di insegnamento lontano dalla propria residenza. Nel primo caso, i media hanno evidenziato impietosamente un’insufficiente o inadeguata preparazione culturale da parte di molti dei partecipanti alle prove concorsuali. Eppure si trattava di docenti tutti abilitati all’insegnamento (il concorso era riservato solo a loro) e magari con alle spalle una più o meno lunga attività di insegnamento maturata in anni di precariato. Può darsi che qualche pecca ci sia pure stata nella scelta dei contenuti delle prove selettive, oppure nel fiato sul collo delle commissioni per concludere le valutazioni entro una scadenza troppo ravvicinata al fine di consentire l’assunzione dei vincitori prima dell’inizio del nuovo anno scolastico: questioni non facilmente dimostrabili. Nel caso delle proteste DOCENTI 180 assunzioni entro il 2018 mila secondo la riforma 55% di bocciati al “concorsone” di aprile 2016 15 % di ricorsi accolti sui trasferimenti per le scuole primarie 22 cittànuova n.9 | Settembre 2016 sull’assegnazione di sede, pur comprendendo le ragioni di quanti dovranno trasferirsi in altre regioni, con le conseguenti complicazioni per la vita familiare, appare iniquo parlare di provvedimenti coatti (“deportazioni”, addirittura), essendo lampante, sin dall’inizio della procedura di immissione in ruolo, che le assegnazioni sarebbero avvenute sulla scorta delle sedi disponibili su scala nazionale, previa espressione di preferenze da parte degli stessi aspiranti (100 province, graduate dalla propria fino alla più lontana). Alcune lagnanze discendono dalla contestazione di possibili errori legati all’applicazione di un “algoritmo” basato sulla valutazione di alcuni parametri (titoli, servizio prestato, specifiche esigenze familiari) incrociati con la graduatoria delle province preferite. In questi casi, esaminati i ricorsi prodotti, si potrà eventualmente procedere a sanare eventuali errori del software utilizzato dal sistema. In tutti gli altri casi, purtroppo, occorrerà accettare la sede assegnata. In ogni campo (sanità, industria, sistema bancario, forze dell’ordine, ecc.), se si partecipa a un concorso, si è consapevoli, in anticipo, che la sede di lavoro potrebbe anche essere lontana dalla residenza del proprio nucleo familiare. Professionalità e passione di Silvio Minnetti, dirigente scolastico Stanno venendo al pettine i nodi di un precariato storico, a lungo tollerato finora dai diversi governi succedutisi alla guida del Paese. Non basta una legge che, mentre ha stabilizzato migliaia di docenti, un sogno per oltre 100 mila precari, ha finito poi per creare disagi comprensibili nell’attribuzione della sede di servizio, spesso lontana dalle famiglie di docenti ormai quarantenni. Ma cosa occorre prima di tutto? Innanzitutto è necessario rendere attraente per i migliori studenti universitari una professione complessa. Ciò non è possibile senza un riconoscimento sociale ed economico adeguato; ha invece prevalso quella logica del “ti pago poco ma ti chiedo un po’ meno” che ha attirato, accanto a una maggioranza di ottimi insegnanti, anche persone senza motivazione educativa. Non è mai stata attuata una vera carriera interna dei docenti. Non è stato apprezzato il lavoro d’aula, quello che davvero conta nel rapporto di insegnamentoapprendimento con gli studenti, rispetto a incentivi legati a ore di “progetti”, a volte discutibili. La legge sulla “buona scuola” introduce alcune novità positive ma è tutto il sistema Paese che deve scommettere sulla funzione docente con adeguati investimenti. Non è un lavoro di routine perché richiede passione educativa, lifelong learning, grande capacità psicologica e relazionale con bambini, adolescenti e giovani. Cambiare rotta di Daniela Scarlata, docente e sindacalista Cisl scuola Le ingenti risorse umane ed economiche messe in campo con la riforma avrebbero potuto migliorare la scuola, ma serviva una riflessione realmente condivisa e non l’imposizione dall’alto. Invece ci troviamo di fronte al caos più totale. Il piano di immissione in ruolo nonostante la valenza positiva, in quanto ha sistemato numerosi docenti precari, è avvenuto non tenendo conto delle esigenze reali delle scuole. È stato utilizzato un nuovo meccanismo per assegnare le sedi ai docenti, attraverso un “algoritmo” che doveva conciliare numerose esigenze: anzianità di servizio, titoli culturali, esigenze di famiglia e ordine di priorità degli ambiti espressi. Questo meccanismo si è rivelato fallimentare e sballato in moltissimi casi. Docenti che hanno alle spalle una lunga gavetta sono stati scavalcati da colleghi con punteggi inferiori solo grazie al caso fortuito. Svanite le legittime aspirazioni del riavvicinamento a casa di persone che si erano trasferite per ottenere un punteggio maggiore. Stesso destino subìto da coloro che, in base a criteri irragionevoli, vedono azzerati il valore di master universitari o perfezionamenti post diploma o laurea. Si prevedono valanghe di ricorsi amministrativi. Su tutto, nuoce poi un clima di inutile competitività scambiata per riconoscimento del merito. Il docente neo immesso in ruolo deve passare, infatti, dalle “forche caudine” della chiamata diretta dei presidi. Non si può immaginare un sistema che lascia l’insegnante alla mercé di dirigenti che, a prescindere dalla loro dirittura, possono per qualsiasi motivo non rinnovare l’incarico triennale ai loro insegnanti. Basta addurre, tra le motivazioni del rifiuto, alcune esigenze assenti nel curriculum dei docenti “contrastivi” o semplicemente “non accondiscendenti”. Contro questa procedura è stata eccepita, nel ricorso al Tar, l’eccezione di costituzionalità per la limitazione della libertà d’insegnamento. Senza condivisione non si forma quella comunità educativa orientata al successo formativo degli studenti. Contenuti aggiuntivi su cittanuova.it Scuola. Dialogo sul futuro a EXTRA cittànuova n.9 | Settembre 2016 23 OLTRE L’EMERGENZA SBARCHI da noi l’hot spot funziona Mike Palazzotto/ANSA politica lavoro economia Intervista con Leopoldo Falco, già prefetto di Trapani, vicedirettore dell’ufficio Affari legislativi e relazioni parlamentari degli Interni L’appuntamento in prefettura a Trapani è per le 17 di un pomeriggio assolato d’estate. Penso che al massimo il prefetto, Leopoldo Falco, mi concederà mezz’ora del suo tempo, impegnato com’è a gestire l’ondata di sbarchi che è continua. Ma quando abbiamo finito, mi rendo conto che è trascorsa 1 ora e 23 minuti. Esco arricchita da quanto mi racconta: una persona determinata e con un carico di umanità notevole. Napoletano di origine, sposato e padre di 3 figli, laureato in Giurisprudenza, ha un curriculum di rilievo: l’ultimo incarico prima di assumere la responsabilità della prefettura di Trapani, nell’agosto 2013, è stato quello di Commissario straordinario del Comune di Salemi, sciolto per mafia. Lo scorso 10 agosto il Consiglio dei ministri lo ha trasferito a Roma, in qualità di vicedirettore dell’Ufficio Affari 24 cittànuova n.9 | Settembre 2016 legislativi e relazioni parlamentari degli Interni. «Quando sono arrivato a Trapani – mi racconta – mi sono trovato subito a far fronte a numeri enormi di migranti che sbarcavano sulle nostre coste. Nei primi 8 mesi abbiamo avuto 3 mila presenze sulle 25 mila che registrava l’Italia». Come si fa a gestire nel miglior modo possibile un problema vasto quanto quello dell’immigrazione? Io non ho mai voluto occupare palazzetti dello sport, stadi, organizzare tendopoli. Siamo sempre riusciti a trovare altre soluzioni, innanzitutto perché c’è stata una straordinaria partecipazione del mondo del volontariato, il grande protagonista, a iniziare dall’arrivo nei porti: se non ci fossero stati loro, saremmo stati travolti subito, il nostro dispiegamento di forze non sarebbe stato sufficiente. Teniamo presente che, quando arrivano navi con 800 persone a bordo, di solito il sabato e la domenica, le operazioni di sbarco durano anche 24 ore, sotto il sole torrido o la tempesta, anche durante le notti gelide. Croce rossa, Libera, Protezione civile e altri sono stati un “esercito” sempre presente. Lo stesso mondo che ho trovato nei porti l’ho ritrovato poi nel mondo dell’accoglienza. L’accoglienza, appunto. Come è cambiata in questi anni? Abbiamo iniziato con gli affidamenti diretti perché le persone arrivavano il giorno e il posto serviva per la sera; ma nel giugno 2014 ci è stato detto di indire una gara, quindi ne abbiamo indetta una per 600 posti. È arrivato un soggetto prepotente che l’ha stravinta: siamo riusciti a escluderlo grazie a un collega prefetto che ha fornito una certa documentazione. Respinti i monopolisti è rimasta l’organizzazione enorme – fino al 2015 gestivamo più immigrati di a cura di Aurora Nicosia «Il mondo del volontariato, il grande protagonista. Senza, saremmo stati travolti subito, il nostro dispiegamento di forze non sarebbe stato sufficiente». Migranti soccorsi nel Canale di Sicilia. Napoli e Roma – distribuita su 35 centri, poi ridotti a 27. Da giugno 2014 è iniziata la seconda fase: i nostri centri erano tutti pieni, gli sbarchi continuavano e quindi siamo diventati vettori, cioè portavamo queste persone, che andavamo a prendere anche in altre province siciliane, nel resto d’Italia, specialmente al Nord, in collaborazione col ministero dell’Interno. Non è stato semplice organizzare, fino a tutto il 2015, vere e proprie batterie di pullman (immaginiamo 600 persone per volta da distribuire), ma alla fine il sistema ha funzionato. Il 22 dicembre 2015 è iniziata la terza fase, con l’apertura degli hot spot. Un po’ controversa questa vicenda degli hot spot… Ogni hot spot ha una storia diversa. Siracusa, Ragusa e Agrigento hanno quasi dell’eroico come porti di sbarco; molto meno hanno potuto fare per l’accoglienza, perché non si può arrivare a far tutto. Noi siamo impegnati meno di loro negli sbarchi, anche perché più lontani. Io ho fatto la “guerra” per avere l’hot spot perché a me serviva un luogo di prima accoglienza. Avere sempre a portata di mano i pullman quando le persone arrivavano e sottoporle subito a un altro viaggio fino al Nord Italia, non era una procedura soddisfacente. A Trapani avevamo un Centro di espulsione (Cie), una struttura di per sé molto bella e ampia (la nostra è la più grande delle 6 presenti in Italia) che era però destinata a 50-60 persone e quindi sprecata, oltre che molto triste. Abbiamo così creato una struttura da 400 posti che a volte diventano più di 500 dove si svolgono le varie operazioni nei 3 giorni previsti. L’hot spot ci ha cambiato la vita, perché il porto dopo appena 5 ore è sgombro, non stiamo più 24 ore sulla banchina, ed è meglio sia per chi sbarca che per chi accoglie; c’è molta più sicurezza medica con un’infermeria seria; l’informativa, che sul porto era veloce e confusa, qui è fatta bene; anche il fotosegnalamento a cui l’Europa tiene tanto. Tutto questo non si può fare sotto il sole a picco a 40 gradi. Dentro l’hot spot, poi, hanno sede i vari soggetti che devono fornire l’informativa a tutti quelli che sono arrivati: li vanno a trovare, li conoscono, spiegano quanto è necessario. Questa è una fase fondamentale, da cui dipende il buon esito del successivo fotosegnalamento. Ci sono inoltre le sedi delle associazioni cittànuova n.9 | Settembre 2016 25 OLTRE L’EMERGENZA SBARCHI Ci sono collaborazioni a livello regionale, nazionale e internazionale, che potrebbero migliorare l’organizzazione e che non vengono ancora messe in atto? Coi prefetti siciliani da sempre siamo una squadra, ci aiutiamo concretamente nell’affrontare le situazioni più disperate. La Regione, però, non ha mai fatto nulla e le prescrizioni calate dall’alto si sono rivelate negative. “Roma” è un po’ lontana, non sempre capisce. Io penso che con questi numeri solo l’Europa insieme possa dare una risposta. A parte la cattiveria di chi alza barriere, è chiaro che vanno stabilite delle quote serie, dobbiamo dare il massimo tutti, far partire accordi internazionali. La mia grande speranza è che si faccia un passo avanti sostanziale da questo punto di vista. C’è poi il tema dei minori stranieri non accompagnati, la criticità maggiore, anche perché sono in continuo aumento. Di questi o l’Italia si fa carico – attualmente è un problema solo siciliano – o la Sicilia scoppia. Direi quindi: sui minori una risposta nazionale, sul complessivo una risposta europea più generosa, più seria, più omogenea. Tutti compatti, da Nord a Sud. Come prefetto e come uomo, ha un sogno nel cassetto? Se proprio devo sognare, io sono convinto che ci siano delle possibilità di integrazione, realtà rurali dove si possano attivare comunità composte da italiani e non, in tanti paesini, dove semmai gli italiani sono più anziani e gli 26 cittànuova n.9 | Settembre 2016 Il personale della Marina Militare Italiana getta giubbotti di salvataggio verso un gommone pieno di migranti nel canale di Sicilia. /AP umanitarie, i medici, la ludoteca, il luogo di culto. A quel punto dopo 3 giorni tutti sono in grado di uscire in condizioni psico-fisiche diverse ed essere distribuiti nei centri segnalati dal ministero. Una volontaria aiuta una mamma nella palestra di Linosa che ospita alcuni degli immigrati arrivati dalla Libia. Venezia Filippo/ANSA politica lavoro economia altri sono più giovani. Non è che sono entusiasta all’idea che il filippino, ad esempio, debba fare per forza il badante: fra i migranti ci sono pure persone laureate. C’è poi il problema di proteggerli perché in queste zone la criminalità assolda, non possiamo ignorare il problema. Si potrebbero creare cooperative, avviare ricettività turistica, avviare progetti: questa è una terra che ha molte potenzialità inespresse, possiamo immaginare di tutto se partiamo dall’umiltà e dalla voglia di lavorare. Qui c’è tanta bella gente… Sì, c’è anche la mafia, ma è una terra felice. Trapani ha spazi, anche chi è povero vive con poco, quindi è terra ideale per accogliere. Bisogna essere ottimisti sulla Sicilia e sulla sua capacità di accoglienza e di integrazione. I prefetti, però, non devono sognare, devono essere concreti. Ma non posso negare che a me, come a tanti volontari, questa storia ha cambiato la vita. www.cittanuova.it Dove ve c’è c’è solidarietà noi ci siamo Da sessant’anni Città Nuova promuove una cultura fondata sull’unità della famiglia umana, per edificare una civiltà basata sulla conoscenza e l’accoglienza. Il Gruppo editoriale si ispira al pensiero di Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, e propone uno sguardo sul mondo inclusivo e rispettoso della verità e della dignità umana. Perché ciascuno torni a vedere con occhi nuovi un futuro di pace. CULTURA E INFORMAZIONE EVENTI E IDEE PER IL MONDO CHE VERRÀ. politica lavoro economia GUERRA DIMENTICATA yemen. le nostre responsabilità Dall’Italia (e da altri Paesi europei) partono bombe usate dalla coalizione saudita anche contro ospedali di Medici senza frontiere, contro quanto dice la nostra Costituzione A Sanaa (Yemen). Il papà con i resti della bomba che ha ucciso il figlio Youssef di 10 anni. Incontro quasi ogni giorno alcuni carissimi amici yemeniti. Con il loro lavoro contribuiscono al bene dell’Italia e si sentono costruttori di un Paese che è ormai anche il loro. Ma il cuore, trepidante, è rivolto allo Yemen, ai familiari e ai conoscenti, bersaglio di bombe anche made in Italy, inserite in un giro d’affari miliardario. Quello dello Yemen è un conflitto troppo poco evidenziato dai nostri media, che si caratterizza 28 cittànuova n.9 | Settembre 2016 per attacchi indiscriminati che non escludono quartieri abitati, ospedali e scuole. Dall’inizio dello scontro (poco più di un anno), che si inserisce in una situazione complicatissima tra “guerra civile” e interventi esterni, si contano quasi 26 mila vittime tra la popolazione, 17 mila feriti, 2 milioni e mezzo di sfollati. Eppure, nonostante le gravi responsabilità e la violazione dei diritti umani per le azioni di guerra in Yemen da parte della di Maurizio Certini* coalizione guidata dall’Arabia Saudita, l’Italia continua a essere uno dei maggiori fornitori di ordigni e sistemi militari alle monarchie del Golfo; tra cui, appunto, il regime di Ryad, accusato dal segretario generale dell’Onu di gravi violazioni delle convenzioni internazionali. Molte associazioni umanitarie come Amnesty International e Rete Disarmo, premono sul nostro governo, ritenendo disattesa la legge 185 del 1990 che vieta l’importazione e l’esportazione di armi a Paesi belligeranti, in ottemperanza dell’articolo 11 della Carta costituzionale, per il quale «L’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Lo stesso Parlamento europeo ha adottato quest’anno una risoluzione sulla situazione umanitaria dello Yemen, perché si ponga fine con urgenza al conflitto, chiedendo di bloccare il flusso di armi verso la regione. Riuscirà il governo italiano a farsi promotore del percorso indicato dal Parlamento europeo? Sappiamo bene che la realtà internazionale è molto complessa e che si pagano oggi gravi errori del passato, ma occorrono alternative all’inevitabile tendenza alla guerra; una guerra infinita quando la produzione e il commercio delle armi rispondono alla stessa logica del mercato. Sappiamo bene che nessuna guerra pone fine alle guerre, e che la pace presuppone una permanente opera di negoziato e di dialogo, delicata, intelligente, lungimirante; opera che promuova percorsi di giustizia e di liberazione. Si vis pacem, para pacem. * Direttore Centro Giorgio La Pira di Firenze www.cittanuova.it Il viaggio della vita, Tra responsabilita’ e stupore. LIBRO + DVD. PER GENITORI ED EDUCATORI. 6 lezioni sullo sviluppo evolutivo del bambino e del preadolescente: le sfide educative di oggi, lo sviluppo del bambino dalla nascita alla scuola materna, la scuola elementare, gli aspetti psicologici della preadolescenza, gli stili relazionali, l’educazione al sacro e molto altro. pp. 120, € 16,00 CONTATTACI T 067802676 - [email protected] DA CATTOLICA, UNA BUSINESS UNIT PER GLI ENTI RELIGIOSI E NON PROFIT Qualità del servizio. È il concetto forte intorno al quale ruota la Business Unit Enti Religiosi e Non Profit, dedicata da Cattolica Assicurazioni al mondo della Chiesa e del Volontariato. Offrire consulenza, formazione e presenza agli eventi organizzati da queste due realtà Paolo Bedoni, presidente di Cattolica, e mons. Galantino è l’obiettivo specifico della struttura, all’Auditorium Verdi di Veronafiere lo scorso aprile. implementata di recente con lo scopo non secondario di assistere la rete agenziale sul territorio. Unica nel suo genere in tutto il panorama assicurativo italiano, questa funzione aziendale può essere intesa come un laboratorio progettato tanto per gli agenti già attivi nei settori quanto per quelli che guardano ad essi come ad una nuova possibilità di lavoro. La Business Unit Enti Religiosi e Non Profit opera mediante un sito interno, visitabile all’indirizzo www.osservatorioentirnp.it, pensato nell’ottica di dare una chiave di accesso alle dinamiche e ai mutamenti della Chiesa e del Volontariato, con particolare attenzione a quegli aspetti amministrativi e giuridici che interessano il lavoro anche pratico degli agenti; altro canale diretto per la formazione, poi, è l’organizzazione di workshop e seminari di formazione mirata. All’aspetto di assistenza specificamente agenziale, la Business Unit Enti Religiosi e Non Profit affianca un lavoro di consulenza ad uso diretto delle altre Direzioni del Gruppo nello sviluppo di percorsi progettuali riferibili all’ambiente di sua competenza. Oltre alla progettazione dei prodotti ideati da Cattolica per andare incontro alle esigenze manifestate dai clienti, una seria attività di relazione con l’ambiente ecclesiastico e del volontariato garantisce una conoscenza approfondita del panorama e, quindi, delle sue esigenze. Sempre nella logica di offrire il miglior servizio possibile, infine, la Compagnia ha disposto la creazione di un nuovo Polo Liquidativo del tutto dedicato, che si occupa di gestire esclusivamente le pratiche di rimborso in favore del clero. «Da quasi trent’anni offro i miei servizi assicurativi a tanti membri del Movimento dei Focolari, al quale aderisco con la mia famiglia, così come a diverse altre realtà presenti nella Cittadella di Loppiano. Considerato l’impegno di Cattolica Assicurazioni verso gli enti e i movimenti ecclesiastici, espresso attraverso la “Business Unit Enti Religiosi e Non Profit”, ho accettato di buon grado la proposta della Compagnia di entrare a far parte della sua rete di Agenti. Sei anni fa, dunque, ho aperto una nuova Agenzia presso il Polo Lionello Bonfanti – una delle realtà all’interno della Cittadella – con lo scopo di offrire ai singoli appartenenti al Movimento e alla stessa Loppiano un servizio migliore, fatto di disponibilità, presenza stabile sul luogo, professionalità e consulenza». Luca Bozza, Agente Generale - Polo Lionello Bonfanti oltre il mercato LUIGINO BRUNI Il tempo della terra Luigino Bruni è professore di Economia politica all’Università Lumsa di Roma ed editorialista di Avvenire. È tra i riscopritori della tradizione italiana dell’Economia civile e coordinatore del progetto Economia di Comunione. Insieme a Stefano Zamagni, è promotore e cofondatore della Scuola di Economia Civile. Dopo il vento, un terremoto, ma Dio non era nel terremoto» (1 Re, 19). Quel campanile della chiesa di Amatrice, che segna le 3.36, è un’immagine forte per dire che cosa è accaduto questa notte. Quel minuto è stato l’ultimo per le tante vittime, sarà un minuto ricordato per sempre perché inciso nella carne e nel cuore dei loro famigliari, e sarà ricordato dal nostro Paese, la cui storia recente è anche una serie di orologi fermati per sempre dalla violenza degli uomini o da quella della terra. Anch’io lo ricorderò per sempre, perché questo urlo della terra ha raggiunto anche la casa dei miei genitori di Roccafluvione, a una ventina di km da Arquata del Tronto, dove quella notte mi trovavo per visitarli. Pensavo a quei paesi di pietra, costruiti con immensa fatica dai nostri nonni, con il travertino delle cave delle montagne circostanti. Il mio bisnonno Benedetto visse emigrato per lunghi anni in America, da solo senza moglie e figli che erano rimasti in paese. Tornò e investì i sudati dollari guadagnati nella casa di pietra, la sua eredità per noi. Pensavo che quel tempo misurato fino alle 3.36 dall’orologio del campanile, che era lì bloccato, morto, era solo una dimensione del tempo, la superficie, il suolo del tempo. Nel mondo c’è il nostro tempo gestito, addomesticato, costruito, usato per vivere. Ma al di sotto di questo c’è un altro tempo: il tempo della terra, che comanda il tempo degli uomini, delle mamme, dei bambini. E pensavo che non siamo noi i padroni di questo tempo altro, più profondo, abissale, primitivo, che non segue il nostro passo, a volte è contro i passi di chi gli cammina sopra. E quando in queste notti tremende avvertiamo quel tempo diverso sul quale noi camminiamo e costruiamo la nostra casa, nasce tutta nuova la certezza di essere erba del campo, bagnata e nutrita dal cielo, ma anche inghiottita dalla terra. La terra è assieme madre e matrigna. L’umanesimo biblico lo sa bene, e per questo ha lottato molto contro i culti pagani dei popoli vicini che volevano fare della terra e della natura una divinità. E così, in quella notte lunghissima la mente andava ai libri splendidi e tremendi di Giobbe e di Qohelet, che si capiscono forse solo durante queste notti. Quei libri dicono che nessun Dio, nemmeno quello vero, può controllare la terra, perché anche Lui, una volta che entra nella storia umana, è vittima della misteriosa libertà della sua creazione. Neanche Dio può spiegarci perché i bambini muoiono schiacciati dalle antiche pietre dei nostri paesi, e non può spiegarcelo perché non lo sa, perché se lo sapesse sarebbe un idolo mostruoso. Dio può solo farsi le stesse nostre domande: può gridare, tacere, piangere insieme a noi, scavare a mani nude. E magari ricordarci con le parole della Bibbia che «tutto è vanità delle vanità»: tutto è soffio, vento, nebbia, spreco, nulla, effimero. Vanità in ebraico si scrive Habel, la stessa parola di Abele, il fratello ucciso da Caino. Tutto è vanità, tutto è un infinito Abele: il mondo è pieno di vittime. Questo lo possiamo sapere. Lo sappiamo, lo dimentichiamo troppo spesso. Queste notti e questi giorni tremendi ce lo fanno ricordare. Questo scrivevo il 24 agosto, all’indomani del sisma. A distanza di qualche giorno, e alla luce delle tante vittime, dei funerali, dei primi dati sui crolli, si possono dire molte altre cose. Questo terremoto è anche un’immagine della nostra Italia, la splendida terra dei paesini-presepi arroccati sulle pendici dei monti. Una terra ferita da cui è emersa una stupenda solidarietà, che resta ancora il nostro grande tesoro, un paese ancora capace di migliaia di abbracci veri ed eterni, che sa ancora mischiare le lacrime. Ma è anche la terra delle strutture molto fragili, delle regole rispettate a metà nella speranza che non arrivino mai i controlli, dei soldi che finiscono troppo spesso nei posti sbagliati. Il dolore di queste tragedie infinite non sarà passato invano se non lasceremo più cadere i campanili sulle famiglie, se ricostruiremo case dove i nostri bambini potranno addormentarsi più sereni. COLOMBIA Mauricio Duenas Castaneda/ANSA pagine internazionali La gioia popolare per l’accordo che ha messo fine a un conflitto iniziato nel 1964. di Alberto Barlocci la pace con le farc Conclusi il 25 agosto i negoziati e decretato il cessate il fuoco definitivo tra il governo e la guerriglia, il Paese si polarizza intorno al referendum che seguirà: sarà approvato o no il patto? Quali le priorità per il post-conflitto? Da mesi si attendeva la conclusione dell’accordo di pace tra il governo e la guerriglia delle Farc, che è avvenuto a Cuba, lo scorso 25 agosto. Oggi il dibattito nel Paese non è tanto sull’accordo di pace quanto sul referendum che dovrà approvarlo popolarmente, fissato per il 2 ottobre. Una guerrigliera delle Farc. Rodrigo Abd/AP La campagna per il sì o il no ai negoziati di L’Avana, durati quasi 4 anni, è già iniziata e sta polarizzando i colombiani. La maggioranza di governo guidata dal presidente Juan Manuel Santos è già al lavoro per il sì. Vi si oppone strenuamente, e con miopia politica, l’ex presidente conservatore Alvaro Uribe. Nei centri rurali, più vicini al conflitto, c’è meno scetticismo e più speranza. In effetti si è immersi nelle incertezze. Il governo ha insistito per una consultazione popolare che legittimasse gli accordi di pace. Avrà fatto bene i calcoli? O piuttosto lo scetticismo rimarrà elevato fino alla firma? Cosa avverrà se trionfasse il no? Le Farc sono disponibili a sostenere egualmente la pace, ma su quale base? Per i settori di una destra in crescita appare intollerabile l’applicazione di una giustizia di transizione nel punire i crimini di guerra. Nei casi più gravi si applicheranno le pene correnti, ma in molti altri si attuerà un percorso basato sull’ammissione di colpa e il ripudio dei delitti commessi. Ricorrere alla giustizia ordinaria avrebbe aperto la porta al giustizialismo, con risultati e tempi imprevedibili, senza la garanzia che i crimini di militari e paramilitari avrebbe ricevuto lo stesso trattamento. I dubbi sono legittimi. Ma, per fare un esempio, se in Sudafrica si fosse applicato il codice penale, Mandela sarebbe morto in carcere. L’altro rifiuto assoluto della destra è l’inserimento nel sistema politico delle Farc. Ma sarebbe realista azzerare politicamente un gruppo che, pur facendo una scelta intollerabile come cittànuova n.9 | Settembre 2016 33 COLOMBIA Desmond Boylan/AP pagine internazionali Le sigle della guerriglia colombiana ELN - Esercito di liberazione nazionale: è nato nel 1964 ispirato alla rivoluzione cubana e alla Teologia della liberazione per il particolare approccio con i poveri. Diffuso nelle zone minerarie e petrolifere del Paese, ha rifiutato di finanziarsi con il traffico di droga, preferendo i sequestri di lavoratori di multinazionali che avevano in concessione miniere e pozzi di petrolio. Numerosi gli attacchi alle imprese straniere che sfruttano le risorse naturali del Paese. FARC - Forze armate rivoluzionarie della Colombia: sono state fondate nel 1964 e si sono subito articolate come organizzazione guerrigliera, di ispirazione bolivariana e comunista, in aperto conflitto con il governo. Di base contadine, si ponevano come rappresentanti delle masse indigenti in opposizione ai ricchi, ai monopoli delle multinazionali straniere, all’influenza statunitense. Si finanziano attraverso l’applicazione di una sorta di imposte locali alle attività commerciali e industriali, sequestri di persona ma anche la produzione e la commercializzazione di cocaina. 34 cittànuova n.9 | Settembre 2016 Soddisfazione per l’accordo di pace del 25 agosto (al centro Raúl Castro). quella della lotta armata, risponde a una visione della realtà colombiana? La storia insegna che non esiste la pace perfetta, ma solo quella possibile. Per il gesuita Francisco De Roux, economista e teologo, legato a settori della società civile impegnati in progetti di sviluppo locale, prima di tutto occorre rompere il circolo vizioso di una violenza politica che si è portata via la vita di 27 suoi compagni. De Roux ripete spesso che in Colombia non è in gioco il futuro dei politici, «ma la possibilità di vivere come esseri umani». La pace sarà dunque solo il primo passo, necessario, per chiudere anni di violenza che hanno provocato 260 mila morti, 45 mila desaparecidos e 6 milioni e 800 mila tra evacuati e rifugiati. Un passo che potrà aprire la strada anche alla pace con la guerriglia dell’Esercito di liberazione nazionale, per poi neutralizzare le nuove bande criminali, molte costituite da ex paramilitari, responsabili dell’uccisione di gran parte dei 4 mila leader sociali e politici assassinati negli ultimi 25 anni. Aldo Civico, antropologo ed esperto internazionale in risoluzione di conflitti, che conosce da vicino la realtà colombiana, conferma che «la violenza urbana e il controllo territoriale del crimine organizzato nelle città, la presenza di gruppi armati illegali che continuano a uccidere leader della società civile» saranno le principali priorità da affrontare insieme alla «piaga di uno dei più alti indici di disuguaglianza». Non va dimenticato che la guerriglia è sorta storicamente dalle gravi situazioni di ingiustizia sociale degli anni ’50 e ’60. Costruire la pace significherà dunque promuovere cambiamenti strutturali per ridurre la povertà che oggi affligge il 27,8% della popolazione, di cui il 7,9% vive nell’indigenza. Il 10% più ricco guadagna 4 volte di più del 40% più povero. L’indice Gini, che misura le sperequazioni del reddito, mette la Colombia al secondo posto in America Latina. Il valore è di 0,535 (dove 0 indica la massima uguaglianza e 1 la massima disuguaglianza): ma, quando si analizza la proprietà terriera, il tasso sale a 0,86. Pertanto, il banco di prova non è stata la conclusione dell’accordo, né lo sarà il susseguente referendum, quand’anche la polarizzazione tenderà a semplificare i dilemmi: contro o a favore della pace; contro o a favore della giustizia. Il vero banco di prova sarà quello di innescare un processo di cambiamento che faccia di questo Paese un luogo dove tutti possano vivere, senza bisogno di imbracciare un’arma. pagine internazionali AMU NOTIZIE di Stefano Comazzi come i primi cristiani Progetti e azioni sociali nel mondo, con lo stile della fraternità. Come in Burundi e in Argentina Posiamo insieme, uno dopo l’altro, i mattoni del mondo unito Scena di lavoro grazie all’azione di microcredito dell’AMU nella Provincia di Ruyigi, in Burundi. Non è certo una novità, per chi legge Città Nuova, la proposta di una vita radicale e piena come quella delle prime comunità di cristiani. Una vita che a tanti pare oggi solo un’utopia del passato, non più replicabile, soprattutto nei nostri Paesi dove forme di individualismo estremo hanno contagiato la vita sociale e comunitaria. Eppure questa profezia, più necessaria e attuale che mai, è viva, anche se nascosta e confusa nelle pieghe della società. L’associazione Azione per un Mondo Unito - Onlus (AMU), nella sua azione trentennale, ha fatto e continua a fare da catalizzatore per tante esperienze di questo tipo, adattandosi ai tempi mutati ed esplorando vie e relazioni innovative. Sono una piccola ma significativa conferma di questa profezia, le lacrime di commozione di un anziano imprenditore venuto a conoscenza che con gli utili delle imprese dell’Economia di Comunione, a cui egli aveva aderito fin dagli inizi, l’AMU sostiene un progetto di Turismo per lo sviluppo delle comunità rurali e indigene nel Nord Ovest dell’Argentina. Anche da una piccola nazione posta sulle verdi colline e montagne che scendono verso il Lago Tanganica, il Burundi, arriva un’esperienza che ha il sapore delle prime comunità cristiane: si tratta dell’azione “Microcredito comunitario e rafforzamento del sistema cooperativo in ambito rurale”, in corso di realizzazione nella Provincia di Ruyigi, con la collaborazione di Casobu e un cofinanziamento della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia (vedi inserto AMU allegato a questo numero di Città Nuova). Due semplici esempi, a cui si possono aggiungere, in Italia, le molte azioni per l’educazione alla mondialità, e per l’integrazione di immigrati e richiedenti asilo. Non servono chiacchiere, ma progetti concreti, capaci di creare legami di solidarietà, dove lo scambio di idee, proposte, bisogni, porta a un vero arricchimento, e dove insieme si posano, uno dopo l’altro, i mattoni che costruiscono un mondo unito. cittànuova n.9 | Settembre 2016 35 pagine internazionali MYANMAR Il governo di Aung San Suu Kyi di LUIGI BUTORI SPAGNA La strategia del no di JAVER RUBIO Una terza elezione aggraverebbe la situazione politica interna e il profilo internazionale del Paese e questa non è la soluzione auspicata né dai politici né dai cittadini, come confermano i sondaggi del Centro di ricerche sociologiche, secondo i quali i votanti sono sempre più distanti dalle strane vicende elettorali che li hanno richiamati costantemente alle urne. 36 cittànuova n.9 | Settembre 2016 FLASH DAL MONDO Anche i suoi avversari politici, i militari, lo sanno bene: solo Aung San Suu Kyi può garantire l’unità della nazione. Da aprile, dopo che il suo partito, la Lega democratica, ha stravinto le elezioni, è lei la leader indiscussa. In giugno fondamentale è stata la visita ufficiale in Thailandia, dove vivono diversi milioni di migranti che hanno cercato fuori dal Myanmar una possibilità di vita migliore: ad oggi il Paese non è in grado di riaccogliergli. Serviva questo viaggio per rinsaldare un legame col governo thailandese, tenuto anch’esso dai militari. Ad agosto è toccato alla Cina. I rapporti commerciali con la potenza asiatica rappresentano, da soli, la prima risorsa d’investimento straniero nel Paese, ma i legami con Pechino sono sempre stati buoni, fin dal 1948 quando è iniziata in Myanmar la guerra civile più lunga della storia. La Cina si è mostrata favorevole a una soluzione pacifica dei conflitti interni che hanno causato circa 250 mila morti e più di un milione di sfollati. Il 31 agosto, nella capitale, si è svolto un incontro di pace con tutti i gruppi etnici, alcuni dei quali antagonisti dei militari da ben 67 anni. A 68 anni dalla morte del padre, il generale Aung San, assassinato dopo aver ottenuto l’indipendenza del Paese, la figlia sta riprendendo le redini del governo con un lavoro di mediazione difficilissimo, tra gli esponenti politici e le oltre 14 fazioni in conflitto. Resta ancora aperto il problema della minoranza rohingya, musulmana, ma solo la “Signora” ha il carisma necessario per garantire la pace. Dopo 7 mesi con un governo provvisorio in funzione e due tornate elettorali, sembra che i partiti politici spagnoli non sappiano pronunciare che il monosillabo “no”. No a un governo guidato da Mariano Rajoy. No a un governo del Partito popolare con un altro leader. No a una coalizione delle forze di sinistra (Psoe e Podemos). No all’astensionismo nella fase d’investitura per facilitare la formazione del governo. A cosa può condurre una tale strategia se non a una terza convocazione elettorale, il prossimo novembre? Lo ha ammesso lo stesso Rajoy, sottolineando che tale scenario non si verifica in Europa da più di 60 anni. Come mai tanta incapacità nel trovare un accordo di governabilità? Forse perché si è troppo abituati a maggioranze assolute e a leader solitari? Forse si fatica a trovare soluzioni plurali o capi di governo indipendenti in grado di far uscire il Paese dall’emergenza? «I partiti non sanno adattarsi a una mappa politica più frazionata e plurale – scrive Il Mundo –, ma è intollerabile che l’intransigenza e i personalismi siano al di sopra degli interessi generali». Serve rigenerare la classe dirigente: pesano troppo sulle spalle della classe politica i numerosi casi di corruzione e i milioni di euro che danzano delittuosamente nelle tasche dei politici. UGANDA L’incertezza del domani di ARMAND DJOUALEU Prosperano i movimenti di ribellione attivi nel Paese e nel vicino Congo. Tra questi si distinguono, per arruolamento di bambini soldato e crimini contro l’umanità, Lra (esercito di Resistenza del Signore) e A4C (Attivisti per il Cambiamento), gruppo musulmano ostile al presidente. CANADA A Montreal il Social Forum di AMBRA MANIACE È difficile per gli ugandesi sbarazzarsi dell’instabilità sociale e politica che regna da vari decenni malgrado i progressi in campo economico e diplomatico. L’ultima elezione presidenziale dello scorso febbraio, sotto lo sguardo di osservatori internazionali e in mezzo a tensioni tra opposizione e governo, ha confermato per la quinta volta il presidente uscente, Yoweri Museveni. Il principale oppositore, Kizza Besigye, durante la campagna elettorale è stato in prigione e ai domiciliari e nel giorno dello scrutinio anche i media sono stati limitati nella loro attività di informazione da parte delle autorità governative. Il risultato è stato quello di un presidente rieletto al primo turno con il 60,75% delle preferenze, mentre il suo oppositore ha totalizzato appena il 35% dei voti, risultato non disprezzabile dati gli impedimenti alla sua candidatura. La verità è che Museveni vuole assicurarsi un duraturo potere per sé, per i membri della sua famiglia e per i tanti amici originari della sua regione che occupano posti di rilievo nella pubblica amministrazione: un vero capoclan. Ogni contestazione della società civile viene zittita dai militari come è accaduto in giugno quando 30 persone e un deputato dell’opposizione sono stati fermati con l’accusa di voler rovesciare il governo. La storia dell’Uganda è segnata dalla successione di colpi di Stato e dittature militari e da una permanente corruzione che usa fondi pubblici per fini privati. Museveni preparava la sua ascesa già nel 1980, quando da ministro della Difesa fondava il movimento di resistenza nazionale e la sua branca armata composta da combattenti esiliati in Ruanda. È riuscito a prendere il potere nel 1986 e a ristabilire lo stato di diritto, cancellato dal suo predecessore Amin Dada che aveva instaurato un regime di terrore ed espulso più di 40 mila indù-pakistani accusati di controllare l’economia del Paese. Il nuovo presidente ha autorizzato gli asiatici a tornare e ha incoraggiato investimenti stranieri e turismo, instaurando una democrazia senza partiti per evitare le divisioni tribali, etniche e religiose che da sempre contraddistinguono l’Uganda. Nonostante le divergenze tra Nord e Sud del Paese e le varie religioni, dal 2000 l’Uganda cresce economicamente al ritmo del 7% annuo e lo stesso accade in campo demografico, che con il 3.2% è tra i tassi più alti al mondo. Non mancano le potenzialità anche per le cospicue risorse naturali e petrolifere; manca però la coesione nazionale, il reale fattore di successo per qualunque nazione africana che vuole affrancarsi dal suo passato. Fondato a Porto Alegre, in Brasile, nel 2001 in risposta al Forum economico tenuto dai potenti della terra a Davos, questo laboratorio mondiale dà spazio alla società civile e a chi, dal basso, prova a imprimere un cambiamento nell’ambito dei diritti umani, dell’ambiente, delle economie alternative, delle energie rinnovabili, della democrazia partecipativa, attraverso workshop autogestiti e assemblee che decidono ambiti di intervento e azioni internazionali di pressione su governi e autorità locali. Quello tenutosi a Montreal lo scorso agosto è stato il primo ospitato in un Paese del Nord del mondo, con 25 mila attivisti che attraverso progetti, studi, azioni sociali, performance artistiche hanno lavorato per “un altro mondo possibile”. Anche il Movimento dei Focolari è stato presente con 4 laboratori. cittànuova n.9 | Settembre 2016 37 ” /ANSA Dedico questa vittoria anche alla mia terra. Se un siciliano è sul podio davanti a un americano e a un russo, vuol dire che ce la possiamo fare. INTERVISTA A daniele garozzo intervista a cura di Mario Agostino 24 anni e un fresco oro alle Olimpiadi per il fiorettista di Acireale (Ct), dove ha iniziato nel Club scherma a 7 anni. Per gli esperti il suo primato a Rio non è una sorpresa: era già medaglia d’oro ai Mondiali di Mosca lo scorso anno. Racconta della sua terra, dei suoi sacrifici come sportivo e del suo futuro da medico. Lo incontriamo finalmente spensierato e rilassato nella sua “città dei 100 campanili”, che lo ha accolto trionfalmente, come del resto tutto il Paese. Non a caso Daniele ricorderà questo mese di settembre per essere stato al fianco del presidente Mattarella a Sondrio, in occasione della cerimonia di inizio dell’anno scolastico (giorno 19), come anche di essere stato onorato dal suo corpo militare di appartenenza, quello delle Fiamme Gialle, insieme al presidente del Coni, Giovanni Malagò (giorno 14), non solo per la sua vittoria sportiva. Gli chiediamo perciò conto di tanti sacrifici e apprezzamenti, ma non solo… Daniele, prima di tutto la tua vittoria più grande: perché donare in beneficienza l’intero premio di 150 mila euro indetto dalla Fondazione Giovanni Agnelli alla medaglia olimpica giudicata più emozionante dagli italiani attraverso i voti su Gazzetta.it? Ho maturato l’idea valutando di avere ricevuto davvero tanto da questa Olimpiade: aggiudicatomi la fama della vittoria e il premio di 150 mila euro per il primo posto, mi sembrava inopportuno prendere anche quello della Fondazione Agnelli, così ho giudicato doveroso donare quanto avevo ricevuto. So bene quanto l’idea abbia fatto notizia e sia stata probabilmente decisiva nel farmi avere tanto consenso: sono davvero felice di avere diviso l’intera quota a Medici senza frontiere, per la loro missione (rivelatasi poi importante anche nei confronti dei terremotati, ndr) e alla comunità Madonna della tenda di Cristo di Acireale, che offre sostegno alle ragazze madri. Immagino che se tutti facessero la loro parte anche nel mondo dello sport, potremmo sopperire meglio a tante sofferenze. A proposito della tua dedica ai coetanei tua terra: sono stati ben 6 i siciliani su 17 schermidori qualificatisi a Rio… La densità di siciliani in squadra è stata enorme, ma tutti sono ad ora emigranti: a parte Rossella Fiamingo, nessuno è presente in Sicilia. Ho voluto dire quella frase per quelle che possono essere le difficoltà nel nostro territorio: è risaputo come per trovare il modo per emergere, purtroppo, spesso si debba ancora andare fuori dalla Sicilia. Personalmente ho dovuto farlo a 18 anni: sono I passi verso le Olimpiadi 2008 vince il Cadet World Championship di Acireale 2011 2012 argento al Campionato mondiale Junior 2013 bronzo all’Universiade 2014 2015 argento alla Coppa del Mondo di fioretto 2015 argento al Campionato europeo di Montreux e oro ai Mondiali di Mosca cittànuova n.9 | Settembre 2016 39 intervista a... DANIELE GAROZZO Daniele Garozzo (a sin.) contro Alexander Massialas durante la finale di fioretto individuale a Rio. sponsor scarseggiano ed è difficile per i club di paese sostenere queste spese. I russi ad esempio sono sostenuti da sponsor come Gasprom… Vincent Thian/AP E il limite principale? Noto troppa tendenza a lamentarsi rispetto alla voglia di fare: genericamente tante persone che hanno voglia di cambiare le cose dovrebbero a mio avviso prodigarsi in più atti e meno parole. È sempre più costruttivo che stare seduti e lamentarsi dei problemi che abbiamo. andato a Frascati perché reputato il centro migliore per il fioretto maschile in Italia, oltre a trovarvi il maestro Fabio Galli che avevo già avuto modo di apprezzare tanto durante i ritiri nazionali in cui lo avevo incontrato: cominciammo a lavorare insieme 7 anni fa… Sono entusiasta della scelta fatta: a Frascati sto bene. Ovviamente emigrando ho avuto dolore e dispiacere ma ho trovato evidentemente un equilibrio che mi ha permesso di raggiungere obiettivi importanti. Quanta strada a ripensarci: da Acireale all’oro olimpico… Già… A 7 anni ho cominciato col maestro Domenico Patti: ci allenavamo in via Kennedy ad Acireale. Eravamo una quindicina ma, di quel gruppo, in ben 3 siamo arrivati alle Olimpiadi: io, mio fratello Enrico e Marco Fichera, entrambi recenti argenti olimpici. Devo dire che il lavoro del maestro Patti è stato fondamentale: ci ha plasmati dal punto di vista caratteriale. Se siamo molto tenaci come carattere e inclini al sacrificio, lo dobbiamo 40 cittànuova n.9 | Settembre 2016 in particolare al suo senso dell’etica del lavoro. In Sicilia non è mai stato facile: perché? Il primo problema in Sicilia è che le distanze con la sede delle gare sono ampie: fare gare a Roma, Milano, come in fondo nella stessa Cosenza, una delle tappe più vicine, richiede notevoli spese tra albergo e incontro. L’altro limite è il costo dell’attrezzatura sportiva, che è oneroso per tante famiglie. Mi piacerebbe restituire qualcosa alla Sicilia: creare una scuola di scherma sembrerebbe bello ma molto impegnativo: mio fratello Enrico forse lo vorrà, ma ad ora sono ambizioni lontane. Vi sono esempi di sostenibilità “popolare” di questo sport nell’isola? Ad esempio Stefano Barrera (fiorettista due volte campione del mondo a squadre) al club Scherma Siracusa paga le trasferte fuori regione agli iscritti (una cinquantina). Ma è chiaro che è sostenibile quando ci sono risorse: il problema è che gli A proposito di avversarie, oltre ai russi, chi segnali a mediolungo termine e quanto ti ritieni soddisfatto del movimento azzurro? Nelle ultime 5 edizioni, l’Italia ha sempre vinto il medagliere, centrando con costanza 7 podi, con la sola eccezione di Sidney 2000, dove furono solo 5. Guidiamo la classifica all-time dei Giochi (con 121 medaglie, davanti alla Francia a 115, ndr). Questa è stata la prima Olimpiade con “sole” 4 medaglie di cui una d’oro: direi che siamo davvero in ottima salute anche se la scherma è molto più globalizzata rispetto almeno a 8 anni fa. Ora gli Usa sono in grande crescita, ma sta emergendo la Cina, che nel fioretto è sempre stata valida, oltre ai grandi avversari francesi, come abbiamo visto. Credo comunque che il movimento italiano non abbia nulla da invidiare ad altri. Hai affermato di volerti dedicare alla medicina, che studi anche da iscritto universitario: perché e… a che punto sei? Coltivo da anni questo desiderio: se avessi studiato dopo la scuola superiore, avrei voluto studiare medicina. Ho parlato con papà (angiologo) dopo le superiori: ricordo che la prima scelta grossa è stato il test da superare dato che il tempo, visti gli allenamenti, era poco. Comunque dare esami è stato possibile: la carriera accademica non va avanti come quella sportiva ma spero di dare qualche esame in più a breve. A motivarmi è sempre stato il fatto di poter aiutare le persone: in fondo, il mio sogno sarebbe proprio quello di lavorare con Medici senza frontiere. Comunque ad ora sono ancora al terzo anno fuoricorso: dopo i 6 anni mi piacerebbe specializzarmi in ortopedia. Potenzialmente hai le carte in regola, per lo meno stando all’anagrafe, per affrontare altre due Olimpiadi da protagonista: tecnicamente che margini di miglioramento pensi di avere? Personalmente credo di non avere ancora espresso il meglio di quanto posso fare: ho trionfato, è vero, ma credo soprattutto perché in gara sono riuscito a dominare la tensione che magari ha fiaccato altri grandi avversari. Sono riuscito a dare il meglio, ma credo di avere passi avanti da fare: sulla difensiva non mi reputo tra i migliori e intendo lavorare per migliorarmi. Cosa diresti a uno sportivo agli inizi? Prima di tutto di credere in sé stesso senza preoccuparsi di risultati quasi fossero un obbligo. «Puoi smettere quando vuoi», mi diceva mio padre fino a poco prima delle gare: «L’importante è che continui a studiare…». Direi perciò di divertirsi, dando il meglio di sé in ogni occasione ma continuando a studiare perché comunque ne sfonda uno su un migliaio, soprattutto nella scherma dove, a fronte di una preparazione molto esigente, non si fanno i milioni come nel calcio… La scherma sarà ancora nel tuo futuro, dopo il ritiro? “Da grande” mi piacerebbe insegnarne le basi ai piccolini, anche se non mi vedo ad oggi come maestro. Non lo farei a tempo pieno, ma non mi dispiacerebbe essere ancora in qualche modo presente nel mondo della scherma. Cosa ti ha colpito dell’esperienza al villaggio olimpico? Il villaggio olimpico è come avere il mondo in un fazzoletto: come ha fotografato il mio amico Andrea Baldini, vedere a mensa un nordcoreano e un sudcoreano fa pensare... Ma credo che questa capacità di unire i popoli più insospettabili oltre qualsiasi problema pubblico sia anche il senso stesso delle Olimpiadi. Onestamente non ho avuto molto tempo: quando sei lì, sei molto concentrato sulle gare. Pensate che non ho neanche visitato il Pan di zucchero… Una vita con la scherma: hai mai avuto ripensamenti? E cosa ti ha sostenuto? Tantissime volte ho pensato di studiare medicina all’estero, ma questo non mi ha mai limitato perché comunque mi allenavo sempre. Fa parte della carriera avere momenti di caduta o ripensamento: in questo senso non posso non citare mio fratello Enrico, di fatto il mio migliore amico, che è stato il primo a correre ad abbracciarmi a Rio dopo la vittoria, e la psicologa Chiara Santi di Frascati, che mi ha permesso in due anni di fare un bel salto di qualità. Ero imbottigliato nelle retrovie del ranking e non riuscivo a emergere: questo talvolta sembrava bloccarmi, ma sono riuscito ad andare avanti in questo sport pensando da sportivo che dare il meglio di me era già il reale successo. Credevo di avere un talento importante e non riuscire a sfondare rischiava di pesarmi, ma è stato invece bello e importante comprendere che quando stai dando il meglio di te hai già vinto: questo è lo sport per me. La medaglia è bellissima, certo, ma se pensi che senza vincerla non vali niente, sei del tutto fuori strada: a mio avviso ciò che più conta sono i valori che lo sport ti costringe a esercitare come il sacrificio, l’amore e il rispetto per ciò in cui credi, il rispetto per l’avversario e le diverse culture, la lealtà. Tante persone che hanno voglia di cambiare le cose dovrebbero a mio avviso prodigarsi in più atti e meno parole. cittànuova n.9 | Settembre 2016 41 famiglia e società ATEISMI PRATICI poveri di dio, poveri dell’uomo La vera emergenza mondiale: chiacchiericcio invece di relazioni. Chi parla ancora ai bimbi di Dio amore? Il mondo abitato dagli uomini presenta al suo interno disuguaglianze talmente grandi che nessuna persona sana può accettarle. L’assurdità deriva non tanto da un discorso morale, etico o religioso, quanto da ragioni profondamente umane. È questione di intelligenza: le condizioni di squilibrio si ripercuotono contro l’uomo. Dobbiamo quindi evitare che l’uomo si tiri la zappa addosso, ma agisca dando il meglio di sé, che poi è il vero di sé e anche il bello di sé. L’uomo è un essere sociale. Non può vivere senza l’altro. Perfino chi sceglie una vita di solitudine, come l’anacoreta o il monaco o la suora di clausura, lo fa attratto da una relazione più profonda con Qualcun Altro: Dio. La stessa costituzione fisica di ogni persona manifesta in modo evidente l’essere sociale come verità antropologica. Se pensiamo agli organi interni del corpo, fra loro interdipendenti per permettere la vita, o agli apparati esterni come occhi, braccia, gambe, con la funzione di rapportarsi col mondo e le altre creature, è evidente che la vera essenza dell’uomo non è l’individuo come creatura a sé stante, ma la “persona” come creatura dialogica, relazionale, con l’altro che è costitutivo di sé. Anche dal punto di vista pedagogico constatiamo come la crescita del bambino sarebbe impossibile senza la presenza costante dell’adulto 42 cittànuova n.9 | Settembre 2016 di Ezio Aceti (madre, padre, educatore). Anche nel momento della vecchiaia e della morte abbiamo bisogno del dialogo amoroso e del conforto di qualcuno che ci aiuti e ci sostenga. Quindi pronunciare la parola “uomo/donna” equivale a dire relazione, incontro, reciprocità. Termini co-essenziali per la vita stessa. Emmanuel Lévinas (19061995), filosofo francese di origine ebraica, scriveva: «Non c’è più l’Io, perché è l’altro che mi fa esistere». La relazione è ontologicamente presente in ciascuno di noi, e solo tramite essa ci realizziamo. Essere poveri di relazioni significa allora essere poveri dell’umano. Eppure siamo in un’epoca dove sembra che le relazioni siano molteplici, e che gli strumenti relazionali si siano diffusi a dismisura. Come si può parlare di povertà di relazioni quando i social sono pieni di comunicazioni, scambi, interazioni, tanto che si è costretti a strutturare regole sulla privacy per impedire ad altri di relazionarsi con noi? La relazione è diventata quasi una ossessione, tanto che il valore di una persona si misura dai contatti in Facebook o dai follower su Twitter. Ma se siamo così ricchi di relazioni, come mai non siamo «Educare alla fede significa educare l’uomo alla profondità della vita». (Da Crescere è una straordinaria avventura, Città Nuova) in grado di costruire reti che aiutino gli esseri umani nella loro fratellanza? Bisogna intendersi su cosa significa relazione. La maggioranza dei contatti virtuali o degli scambi non sono relazioni, ma chiacchiericcio, diffusione di notizie, manifestazioni di opinioni. Anche se manifestano qualcosa di positivo, sono relazioni superficiali, seppur vorrebbero manifestare qualcosa di profondo, il bisogno di donarsi, di respirare la bellezza del vivere insieme. Questo proliferare di rapporti è in realtà un bisogno disperato di incontrarsi, di vivere con gli altri. Ma non ci si riesce perché manca il fondamento, il punto focale che rende lo scambio vero e autentico. Manca il fulcro che rende l’umano veramente umano. L’uomo è relazione perché proviene dalla relazione d’amore per eccellenza. L’uomo è dono ineffabile della relazione con Dio che, al suo interno, è amore del Padre col Figlio nello Spirito Santo. Questa verità è costitutiva di ciascuno di noi, che siamo in realtà il riflesso donato di amore da parte del Dio Trinità. Abbiamo dimenticato di dire ai nostri figli questa semplice verità: siamo creature donate per amore e destinate ad essere dono per gli altri. Il fondamento della relazione è l’amore. E l’amore si comprende a forza di viverlo, conoscerlo, sperimentarlo. Dimenticare di insegnarlo ai nostri figli ha come conseguenza l’ignorare, il non conoscere, il non sapere. Per questo i nostri figli manifestano in modo disperato il bisogno di relazione: provano a farlo, ma non hanno il fondamento, la luce. L’ateismo di oggi non deriva dalla scelta precisa di non riconoscere Dio, ma dalla disaffezione alla preghiera, dalla trascuratezza da parte di genitori ed educatori cristiani nel fare l’unica cosa necessaria: parlare ai figli della verità di Dio amore e della Sua presenza in ciascuno. Il fondamento è Dio amore. Occorre educare al rapporto con Gesù amore sin da piccoli, aprire il loro cuore alla verità in loro, perché l’identità vera è essere amore, illuminati dall’amore che c’è in noi. Questo Dio non impone nulla, non vuole nulla da noi, ma illumina le nostre relazioni, ci aiuta a sostanziarle d’amore. In questo modo scopriremo l’incanto di essere uomini e di stare insieme. La cosa più bella che possiamo desiderare per i nostri bambini e ragazzi è aprire il loro cuore e la loro mente alla bellezza dell’amore. E a Gesù, il più bello dei figli dell’uomo. cittànuova n.9 | Settembre 2016 43 Una nonna e un nipote (non della stessa famiglia!) si confrontano su uno stesso tema. Per imparare gli uni dagli altri. “ MARCO D’ERCOLE il nipote 44 cittànuova n.9 | Settembre 2016 i giovani rimane una scelta comoda, in attesa di tempi migliori. Per cui l’adolescenza dura fino a 40 anni, come mi testimoniava un amico che “si sentiva ancora un ragazzo”. Noi adulti dobbiamo aiutare i figli che non vogliono lasciare il nido. Ci sono molti ragazzi, però, che per intraprendenza o necessità si sono rimboccati le maniche e si sono dati da fare cercando nuove strade, inventandosi il lavoro o rivisitando creativamente quello dei genitori, diventando adulti che portano una ventata di freschezza in tutti i campi. Pensando ai nipoti, bisognerebbe non ripetere gli errori della nostra generazione e farli uscire presto con una vicinanza “lontana”, per il loro bene. La giovinezza si dice sia la fase più bella della vita. In effetti l’adolescenza è proprio una bella età. Si tratta di quel periodo in cui si inizia a diventare grandi, si continua la “scoperta del mondo” alla ricerca di ciò che ci piace fare, di ciò che ci diverte. Finalmente ci è permesso cominciare a fare certe cose. È come una sorta di rinascita. Ma non tutto è rose e fiori. Anzi, molte sono le preoccupazioni che assillano i giovani durante questa età. La giovinezza è un periodo che oscilla tra alti e bassi. Ci sono giorni in cui ci sentiamo a capo del mondo, mentre in altri ci paragoniamo a formiche. A volte lo specchio ci fa sentire il più bello del reame, altre volte ci fa vedere ciò che non vorremmo, per cui speriamo di cambiare quel fisico o quel modo d’essere che non ci piace. Poi ci sono i litigi con i genitori e con gli amici, la perenne stanchezza che ci terrebbe incollati a letto l’intero giorno avvolti dalla noia, la scuola che prende molto del tempo a disposizione, i 4 in una materia e gli 8 in un’altra. La massa che ti spinge e la moda che ti costringe. Le amicizie che possono diventare un arrivederci o addirittura degli addii, a cui si aggiunge il desiderio continuo di fare nuove conoscenze. Che strana età l’adolescenza! Ma forse è questo il motivo per cui non vogliamo diventare adulti. La cosa più assurda è sentire di continuo, dagli adulti, che poi tutto questo ci mancherà. Mi viene da pensare a quanto sia bello il rapporto tra un giovane e la giovinezza. Può sembrare come una relazione amorosa. A volte ci litighi, vuoi che finisca, mentre altre, la maggior parte, sei follemente innamorato. Certo è che il tempo passa in pochi secondi e della giovinezza non rimane che un bel ricordo. i MARINA GUI la nonna Questo sentimento, che provano molti giovani oggi, si discosta da quello che sentiva la mia generazione. Noi, cresciuti da famiglie severe, non vedevamo l’ora di uscire di casa per farci una vita, una famiglia, un lavoro a modo nostro. Volevamo diventare adulti e indipendenti presto, per dimostrare che avremmo agito diversamente dai nostri genitori, cercando di evitare i loro sbagli. E ora guardiamo questa generazione, facendo fatica a comprenderla. Forse abbiamo dato eccessiva attenzione ai figli, tenendoli lontani dal mondo reale, circondati dall’affetto, accontentandoli in tutto. I giovani, oggi, hanno in genere un buon rapporto con la famiglia di origine, che li aiuta. C’è stata la crisi economica, il lavoro è un miraggio, l’indipendenza economica si allontana e allora continuare a fare i “ Non voglio diventare adulto i li Nonni e nipoti DOMANDE & RISPOSTE i f ffamiglia i li e società i à Integrare la diversità FEDERICO DE ROSA [email protected] Handicap e normalità Ciao Federico, tu vorresti essere come tutti gli altri, cioè “normale”? Marco - Roma Non riesco a capire cosa voglia dire “normale”. Sembrerebbe che esista uno standard, per cui alcuni individui sarebbero giusti mentre altri sbagliati. È un’idea bizzarra: Vita di coppia MARIA E RAIMONDO SCOTTO [email protected] Non avrete il mio odio Un parente ci ha fatto del male. Approfittando della nostra mitezza, si è appropriato di un appartamento, che mia moglie avrebbe dovuto ereditare. Le nostre relazioni si sono alterate. Pasquale e Lucia - Campania Ci ha colpito il libro Non avrete il mio odio, scritto da un giovane giornalista francese, dopo la vicenda del Bataclan. Antoine Leiris è a casa col piccolo Melvil, quando la moglie muore nell’attentato; sconvolto dal dolore, trova il coraggio di scrivere la storia di quei se guardo agli autoproclamatisi normali, constato che sono tutti diversi. Ma allora, questa norma qual è? Il vostro cervello che funziona in modalità neurotipica sarebbe la norma e il mio che funziona in modalità autistica sarebbe anormale. Benissimo, comincio a capirci qualcosa. Scusate un attimo, però, ma dove sta scritto questo dogma? Non potrei ragionare che autistico è la norma e il vostro essere ipercomunicativi, spesso nella desolazione di contenuti, sia un handicap? Non voglio eccedere in ironia. La normalità credo sia la proiezione di paure ancestrali che ciascun essere umano tende ad avere verso chi è diverso da sé. Questa paura si proietta in una visione distorta della realtà, che ci illude di essere al sicuro perché siamo tra persone come noi. La realtà vera è che siamo tutti diversi, ciascuno unico con i suoi limiti, i suoi handicap. Quindi nessuno dovrebbe essere escluso. E per chi non arriva a capirlo ci vorrebbe una maestra di sostegno. Preferisco restare autistico e cercare di allargare il perimetro delle mie autonomie. Sono solo penalizzato dal vivere in una società poco adatta alle mie caratteristiche. Un saluto ai simpaticissimi normali. Non li svegliate. Ciascuno ha diritto di vivere come vuole. E c’è chi ha così tanta paura che preferisce dormire, sognare. giorni, senza cedere alla rabbia. L’odio è un veleno: prima che agli altri fa male a noi stessi, nuoce al nostro equilibrio psicofisico. In ogni famiglia accadono episodi simili; l’egoismo è sempre dietro l’angolo e spinge a possesso, maldicenza, abuso di potere. Così le relazioni familiari, che dovrebbero essere il migliore antidoto a stress e solitudine, si trasformano in catene soffocanti, in fabbriche di infelicità. Per uscire da queste situazioni, ci vuole il coraggio dell’amore che, pur denunciando con chiarezza il male, vuole interrompere la catena dell’odio. Ci vuole qualcuno che sappia guardare in alto, fissando lo sguardo in quei valori che possono migliorare la nostra umanità. Non sono le cose che ci donano la pace, ma la capacità di relazioni non violente, nutrite di perdono e dialogo. Possono esserci situazioni in cui il perdono non è facile, soprattutto quello del cuore. Allora bisogna avere pazienza con noi stessi e saper aspettare che si rimargini la ferita, tenendo presente che un atteggiamento di conciliazione di fronte a chi ci ha offesi spesso ci risana dentro e ci aiuta anche a trovare le parole giuste per spiegare le nostre motivazioni e far trionfare la giustizia. cittànuova n.9 | Settembre 2016 45 famiglia e società Popolo e famiglia di Dio DON PAOLO GENTILI (Direttore Ufficio Nazionale per la pastorale familiare della Cei) [email protected] La musica nuova dell’Amoris Laetitia Vorrei sapere se e come l’enciclica del papa è stata recepita nella Chiesa. Giorgio Recentemente papa Francesco mi ha chiesto: «Ti è aumentato il lavoro con l’Amoris Laetitia?». In questo testo la musica pianeta famiglia Stop ai matrimoni? Sì ma... DOMANDE & RISPOSTE è totalmente nuova: «Gesù vuole una Chiesa attenta al bene che lo Spirito sparge in mezzo alla fragilità» (AL 308). In quanti giovani c’è un desiderio di “fare famiglia” che non trova compimento per mancanza di stabilità lavorativa? Molti restano a lungo conviventi perché «sposarsi è percepito come un lusso» (AL 294). Per altri, il matrimonio è solo un pesante vincolo. I padri sinodali hanno sottolineato che è mancato un annuncio gioioso del sacramento delle nozze. Occorrono allora i nuovi occhiali che lo Spirito Santo ci offre per leggere con gioia la post-modernità, superando lo sgomento che ci intristisce. Siamo in grado di riconoscere «la brace che arde ancora sotto le ceneri» (AL 114)? Io l’ho vista in un uomo in cammino verso il diaconato permanente a Mazzara del Vallo che accogliendo profughi, insieme a sua moglie, profumava più di famiglia che di incenso. L’ho percepita nelle coppie della diocesi di Treviso che, dopo essersi preparate con il Master in matrimonio e famiglia, con le loro fragilità accompagnano ora le famiglie. L’ho vista risplendere in Benedetta, bimba down con occhi dolcissimi, al Convegno delle famiglie di AbruzzoMolise: abbandonata alla nascita, è stata accolta e ha fatto diventare la sua nuova famiglia «fabbrica di speranza». Questa è la musica nuova dell’Amoris Laetitia. BARBARA E PAOLO ROVEA Conclusione dello studio Censis (“Non mi sposo più”): intorno al 2030 sostanziale sparizione dei matrimoni religiosi, con crisi importante anche per i riti civili. E dal 1964 calano le nascite. Dati che ci interrogano, ma soprattutto stimolano. Non possiamo approfondire le tante ragioni possibili: aver presentato «un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità così come sono» (Amoris Laetitia); la mancanza di investimenti seri della politica sulla famiglia, che ci relega in Europa al fondo di una classifica umiliante (molte nazioni spendono in percentuale 2-3 volte l’Italia) e tanto altro. Eppure… il rapporto Toniolo riferisce: da 9800 giovani (18-33 anni) emerge che l’80% desidera una famiglia con almeno 2 figli. Dato confermato dalla sensazione di quanti, come noi, bazzicano da anni a contatto con giovani e coppie giovani. Eppure… proprio in questi mesi siamo circondati da non pochi amici dei nostri figli che si sposano, felici di farlo. Eppure… qualche mese fa abbiamo patecipato a un congresso a Loppiano: 3 giorni, più di 100 coppie di giovani innamorati, si son dovute chiudere le prenotazioni per eccesso di richieste. Coppie le più varie come estrazione, interessate a condividere esperienze e ascoltarne, soprattutto relative a dinamiche di coppia e tra coppie. Abbiamo richieste di “clonare” questa esperienza (annuale) fuori Italia, nell’Est e Ovest d’Europa. Sono tentativi orientati alla costruzione di una società – come scrive bene l’economista Becchetti – che soddisfi e aiuti la dimensione fondamentale del ben-vivere umano: quella delle relazioni interpersonali. Una società relation-friendly direbbero gli anglosassoni (amica delle relazioni), che tenga conto di questo fondamentale indicatore di benessere e che faccia un po’ di educazione sentimentale (ai beni relazionali, diremmo oggi). La sapienza delle relazioni non si insegna più e si testimonia poco! cantiere italia AZIONI NEL PAESE Iniziative avviate sul territorio italiano in campo sociale, politico, economico ed ecclesiale. in questo numero Amatrice (RI), Castel Gandolfo (RM), Siracusa cultura delle relazioni /un impegno comune Massimiliano Schiazza/AP Era il nostro dovere «Abbiamo fatto il nostro dovere». Questa la frase, e non di circostanza, che abbiamo sentito pronunciare da chi si è prodigato nelle operazioni di soccorso scattate subito dopo il terremoto dello scorso 24 agosto. Lo abbiamo letto da più parti, e non solo sulla stampa italiana: i volontari che hanno scavato, sottraendo alla morte 237 vite e restituendo alla pietà dei loro familiari e delle comunità le quasi 300 vittime del sisma, sono stati il volto confortante di questa tragedia, insieme a tutti quelli che si sono adoperati e si stanno adoperando per alleviare il dolore di chi ne è stato direttamente toccato. Senza esibizionismo, appunto, senza cercare pubblicità: semplicemente essendo lì, a fianco di persone sconosciute ma diventate prossime. Sentendo ripetere la frase citata all’inizio, davanti alle telecamere dei giornalisti, come di fronte ai rappresentanti delle istituzioni che ringraziavano i volontari a nome degli italiani, ci è venuto in mente quel passaggio del Vangelo dove Gesù suggeriva di imitare il comportamento dei propri sottoposti: «Dite: “Siamo servi inutili, abbiamo fatto quanto dovevamo fare”» (Lc 17, 10). Una lezione. Rosalba Poli e Andrea Goller cittànuova n.9 | Settembre 2016 47 cantiere italia INTEGRAZIONE CASTEL GANDOLFO (RM) Dopo l’accoglienza Franco Lannino/ANSA QUALI PROSPETTIVE E QUALE FUTURO PER UN MIGRANTE O UN RICHIEDENTE ASILO, UNA VOLTA TERMINATO IL PERIODO IN UN CENTRO DI ACCOGLIENZA? “FARE CASA INSIEME” È UN PROGETTO CHE MIRA ALL’INSERIMENTO SOCIALE A PARTIRE DA UNA RETE DI RELAZIONI Nansy e Said sono tra i 15 mila richiedenti asilo che hanno fatto domanda in Italia nel 2015. Mediorientali, due figli piccoli, Mercurius, un anno, nato in Italia, e Olivia, 3 anni. Sono cristiani della Chiesa copta, vissuti fino a dicembre in diversi centri di accoglienza di Roma e provincia. Ma cosa succede quando un numero diventa un volto? Quando dietro quel numero si scoprono storie e persone? Possono accadere miracoli sociali. Come quello che vi stiamo per 48 cittànuova n.9 | Settembre 2016 raccontare. Non un caso isolato, ma la prima esperienza di un progetto pilota che mira a “fare casa”, offrendo un’alternativa alla vita nei centri di accoglienza. «Fuggiti dal proprio Paese perché in pericolo di vita, Nansy e Said hanno lasciato tutto: patria, famiglie di origine, casa, lavoro, approdando in Italia con grande umiltà. Ma passare un anno nei centri di accoglienza li ha completamente disorientati. Adesso sono alloggiati in una delle nostre case e cerchiamo di prenderci cura di Maria Chiara De Lorenzo /ANSA La grande domanda è come favorire una reale integrazione nel Paese ospitante, una volta usciti dai centri: imparare davvero la lingua, conoscere il mondo all’esterno, poter affrontare un progetto di vita (cfr. Dossier Immigrazione CN aprile 2016). di loro finché non raggiungeranno un’autonomia economica». A parlare è un gruppo di famiglie di Castel Gandolfo, le prime a dire di sì a un progetto che sembrava ardito: prendersi cura in prima persona di una famiglia di migranti, fino a farli sentire a casa. Impossibile farlo da soli: «Appena ce lo hanno proposto, abbiamo detto di no», confessa candidamente Chiara Bell, tra i tutor della famiglia mediorientale. Ma non quando si crea una rete, e le persone coinvolte in questo percorso di sostegno e accompagnamento diventano una massa critica: chi si cura di insegnare l’italiano, chi di assolvere gli adempimenti burocratici, chi di inviare i curriculum per tentare un inserimento lavorativo, chi segue le pratiche mediche, chi fa da baby sitter… E la rete si estende: disponibilità da parte di pediatri, specialisti e dentisti per offrire cure gratuite. «In un’occasione la pediatra stessa ha fatto da autista per portare il piccolo Mercurius da un ortopedico amico», raccontano. L’amicizia tra la loro famiglia e queste famiglie italiane cresce e si approfondisce: a gennaio vengono procurate le cose più necessarie (passeggino, omogeneizzatore, seggiolone, tritatutto); a febbraio la famiglia è già in grado di orientarsi per la spesa nei posti più convenienti; a marzo un passo avanti con la predisposizione di uno schema per redigere un vero e proprio bilancio che li aiuti a capire il costo della vita in Italia. Due volte a settimana un’équipe d’insegnanti e baby-sitter si reca a casa loro per le lezioni d’italiano: «Ora riusciamo a comunicare anche telefonicamente, senza l’aiuto dei gesti come all’inizio. La strada, per gente che parla solo l’arabo, è lunga, ma ce la mettono tutta, perché sanno che la lingua è un ostacolo per entrare nel mondo del lavoro». Said faceva il calzolaio e ora, grazie a un artigiano della zona, sta facendo un po’ di pratica anche qui. Ma il lavoro non è sufficiente per mantenere entrambi, e la ricerca continua. Con Nansy realizzano borse, zaini, grembiuli, a partire da vecchi jeans: cuciono entrambi molto bene, e Nansy crea anche degli oggetti molto carini. A breve sarà disponibile la Linea Nansy e Said! E Nansy e Said non sono gli unici. Con loro anche Shayeste e Mohammed hanno trovato accoglienza con lo stesso sistema. Si tratta di un progetto pilota al quale anche altre comunità possono aderire, promosso dall’associazione Una città non basta Onlus, in partnership con AMU e AFN onlus, per un percorso di accoglienza e accompagnamento volto a favorire l’integrazione di rifugiati o richiedenti la protezione internazionale all’interno delle comunità territoriali del Lazio. La prima fase è stata avviata nel mese di gennaio scorso. I dati Eurostat registrano l’Italia al 3° posto in Europa per le domande di asilo, solo lo scorso anno 15 mila su 185 mila totali. Il lavoro non manca. cittànuova n.9 | Settembre 2016 49 cantiere italia INTEGRAZIONE Progetto Facciamo casa insieme Obiettivo: realizzare un percorso specifico e personalizzato di accompagnamento che condurrà i beneficiari al raggiungimento dell’autonomia economica e relazionale. Il lavoro è il vero problema. Il progetto prevede di accompagnare le famiglie fino al raggiungimento della loro completa indipendenza economica, oltre che relazionale. 50 cittànuova n.9 | Settembre 2016 Durata: il percorso di accompagnamento ha una durata di 19 mesi. Il progetto prevede di garantire un sostegno economico alle famiglie che progressivamente diminuirà nel tempo in modo da stimolare il contributo crescente da parte dei beneficiari stessi. In modo parallelo le famiglie saranno accompagnate in un percorso di inserimento sociale nei contesti locali in cui vivono. Fasi del progetto: Le attività saranno condotte in 3 fasi. Le tempistiche sono condivise con i beneficiari prima dell’inizio del progetto. Fase 1 - Accoglienza e inizio percorso: si identifica una comunità di accoglienza e una soluzione abitativa adatta. Il progetto si fa carico del pagamento dell’affitto e delle spese domestiche. Parallelamente inizia l’inserimento nella comunità. Fase 2 - Approfondimento integrazione: i beneficiari iniziano a contribuire al pagamento di alcune spese (es. bolletta luce). Sono sostenuti nella ricerca del lavoro attraverso il supporto nella stesura del CV, e l’accompagnamento presso strutture competenti. Continua l’assistenza nella gestione domestica e il sostegno allo studio della lingua italiana. Si provvede inoltre all’inserimento scolastico dei figli. Fase 3 - Raggiungimento autonomia: i beneficiari hanno trovato un lavoro e sono pronti per vivere in autonomia facendo a meno del sostegno economico della comunità. I beneficiari usciti dal progetto vengono inseriti nella rete comunitaria a sostegno di altre famiglie nella loro stessa situazione in modo da favorire lo scambio di informazioni e di buone pratiche in una logica di reciprocità. Coordinamento del progetto: l’équipe di progetto effettuerà il monitoraggio costante delle attività per garantire il pieno raggiungimento dei risultati attesi. Come aderire: l’Associazione Una città non basta ONLUS è in grado di operare anche al di là del suo specifico territorio di appartenenza. A partire dal progetto sarà possibile identificare altre comunità locali presso cui organizzare e gestire i percorsi di accoglienza. Come sostenere il progetto: c/c bancario n. 120434 presso Banca Popolare Etica - Filiale di Roma codice IBAN: IT16 G050 1803 2000 0000 0120 434 intestato a AMU - Ass. Azione per un Mondo Unito Onlus CAUSALE: Facciamo casa insieme. Dettagli del progetto: www.focolaritalia.it Contatti e info: tel. 348 8064931 Facebook: Una città non basta Curioso di natura Al Museo delle Scienze di Trento vi aspettano sei piani dedicati a scienza, natura, tecnologia e ai grandi temi del futuro del pianeta, come lo sviluppo sostenibile e il rispetto ambientale. E fino al 26 giugno 2017 la grande mostra “Estinzioni. Storie di catastrofi e altre opportunità”. MUSE - Museo delle Scienze Corso del Lavoro e della Scienza, 3 38122 - Trento www.muse.it cantiere italia CITTADINANZA ATTIVA SIRACUSA L’impegno riparte dalle periferie PER LA TERZA ESTATE CONSECUTIVA, I QUARTIERI AKRADINA E TIKE, E DA QUEST’ANNO ANCHE QUELLO DI GROTTASANTA, HANNO OSPITATO IL “SIRACUSA SUMMER CAMPUS”, ORGANIZZATO DAI GIOVANI PER UN MONDO UNITO D’ITALIA Dal 2 all’11 agosto i giovani dei Focolari hanno prestato servizio concreto alla periferia di Siracusa con attività per chi ha più bisogno, per gli ultimi e soprattutto per i bambini. 52 cittànuova n.9 | Settembre 2016 Diffondere una “cultura del noi” e creare un terreno fertile su cui far nascere uno “spirito di comunità”: questo era l’obiettivo per cui 120 giovani provenienti da 17 regioni italiane si sono dati appuntamento a Siracusa quest’estate. Per 10 giorni hanno tenuto vari laboratori (musica, danza, giornalismo, teatro, pittura) insieme a circa 130 bambini delle scuole Martoglio e Chindemi: ragazzi brillanti ma invisibili, che vivono ai margini della città, in assenza di spazi o strutture accoglienti, humus ideale per la malavita. In tale contesto un semplice litigio può diventare il pretesto per saldare i conti ricorrendo alle maniere forti. Attraverso il confronto con le mamme e i bambini, è stata ribadita dagli animatori l’importanza fondamentale di saper fare gruppo, coltivando il rispetto e il dialogo reciproco. Sorprendono le parole pronunciate l’ultimo giorno da un ragazzino: «Smettiamola di fare i mafiosi. Basta con la violenza e la vendetta. Siamo cambiati adesso». A conclusione del Campus, nel cortile delle due scuole e in presenza di genitori e abitanti del quartiere, sono stati realizzati due spettacoli, frutto dell’esperienza vissuta nei vari laboratori. Suggestiva la rappresentazione teatrale messa in scena dai ragazzi in cui l’eroe Guido, a bordo della sua mongolfiera, riesce nell’impresa di colorare Grigiolandia. I ragazzi del Campus hanno anche realizzato alcune opere concrete: di Giuseppe Arcuri e Raffaele Natalucci «L’esperienza di questi 3 anni – afferma Carmelina Morana, di Rosolini – è stata un’opportunità per essere ciascuno strumento di cambiamento alla scoperta della bellezza autentica che vive oltre le apparenze». «Il team della riqualificazione – spiega Maria Chiara Cefaloni di Ciampino – è stato un vero e proprio laboratorio creativo. Ci siamo messi a disposizione del quartiere, realizzando le insegne per il “Solarium Vaccamotta”, sistemando il campo di calcio della scuola e alcuni locali della “Casa del Cittadino”, una struttura diventata punto di riferimento per il quartiere. Un’esperienza che ci ha fatto sperimentare cosa significhi non temere di sporcarsi le mani». Nei pomeriggi ci sono stati vari momenti di approfondimento sui temi della legalità, azzardo e finanza etica, immigrazione e accoglienza, pace e disarmo. Significativa la testimonianza di Gregorio Porcaro, in passato giovane seminarista con il desiderio di impegnarsi per i poveri del terzo mondo, diventato poi viceparroco al fianco di don Puglisi, dopo aver toccato con mano la miseria nel quartiere Brancaccio di Palermo: «Puoi fare qualsiasi cosa se ti metti nella prospettiva di amare». Illuminante anche l’intervento di Keith Abdelhafid, imam della Moschea della misericordia di Catania e presidente dalla Comunità islamica di Sicilia: «Cambiare la società e abbattere i muri che alcuni stanno cercando di costruire è compito degli uomini della fede – ci ha detto –. Da musulmano il testo sacro mi indica che devo “dialogare”. Lo scontro è la fine, la distruzione. Lo scambio è la vita, è il futuro dell’uomo. La Sicilia oggi è un modello di dialogo». Parole, queste, pronunciate nella parrocchia Maria Madre della Chiesa di Bosco Minniti, dove don Carlo, il parroco, da anni ha aperto le porte della chiesa ai migranti, in larga parte musulmani. Colpisce l’invito rivolto da uno di loro: «Durante la nostra vita, nei rapporti con gli altri, lasciamo segni e non cicatrici». Al termine del campus, afferma Clara Anicito, di Paternò: «C’è bisogno di lottare, nella propria terra, ogni giorno, con la speranza che qualcosa cambi, con la necessità di farlo, con tutte le paure e il coraggio che questo comporta. Quel sogno chiamato libertà, chiamato cambiamento, chiamato speranza, non solo è reale ma è vivo e batte in quei 120 cuori, e chissà in quanti altri in tutta Italia e in tutto il mondo». cittànuova n.9 | Settembre 2016 53 storie TEMPO PER GLI ALTRI vedrai come sarai contenta! Un numero di telefono. Una ragazza molto timida. Un bambino col labbro leporino. Un racconto di gioia di Michele Genisio / illustrazione di Valerio Spinelli Seduti uno di fronte all’altra, Maddalena mi racconta. Era una ragazzina, allora, nel ’54, buona, timida, educata e lavoratrice, di famiglia povera, una ragazzina di provincia, nel cuneese. Nel cuore grandi aspirazioni: studiare, diventare medico, fare del bene, magari andare in Africa. Mi racconta che in quel periodo conobbe una certa Giusta. Le piaceva quella donna, col suo modo di fare aperto e luminoso. Giusta aveva appena conosciuto il Movimento dei Focolari che era animato da tanti ideali, entusiasmo, novità, attirava tante persone e suscitava la riprovazione di altre. Giusta scrisse su un biglietto un numero di telefono e lo diede a Maddalena raccomandandola di chiamare: «Vedrai che sarai contenta», le disse con una sicurezza che le fece tremare il cuore. Era un numero di Torino, la città dove Maddalena lavorava presso una famiglia benestante. Raggranellava così un po’ di soldi che, spendendo il minimo indispensabile, metteva da parte, anche se erano proprio pochi. La speranza era di averne un giorno abbastanza per poter studiare e, chissà, diventare medico. Nei giorni che seguirono, la frase le ronzava nella testa: «Vedrai che sarai contenta». Ma era timida, e il biglietto col 54 cittànuova n.9 | Settembre 2016 numero di telefono rimaneva lì, in una tasca. Passò parecchio tempo. Un giorno si fece coraggio. Infilando con trepidazione il dito nella rotella del telefono compose il numero. S’aspettava la voce dolce, incoraggiante di una donna, magari una suora o una maestra. Rispose invece un vocione di uomo: «Pronto, chi parla?». Maddalena si spaventò e mise giù la cornetta. Riprovò poco dopo, credendo d’aver sbagliato numero. Ancora quell’uomo. Mise giù di nuovo. Nelle settimane che seguirono era combattuta, se riprovare o stracciare il biglietto. Ma quella frase nella sua testa aveva il valore d’una promessa. Riprovò alcune volte. Sempre quel vocione, e lei che metteva giù la cornetta. Un giorno raccolse il coraggio e parlò. Disse che le aveva dato il numero la signora Giusta, che le aveva parlato dei Focolari. Il vocione dell’uomo risuonò di tutta l’affabilità d’un padre: «Ma certo, io sono Vittorio – le disse –. Ti passo la mia segretaria». Le passò una donna, che lei non riuscì a capire come si chiamava, Dirce o Desi. «Vieni a trovarci», le disse. Le diede appuntamento in un alloggio di corso Dante. Grande fu il suo stupore quando entrò in quella che era una delle prime comunità dei Focolari. In ” Era timida, e il biglietto col numero di telefono rimaneva lì, in una tasca. Passò parecchio tempo. Un giorno si fece coraggio. effetti – si chiese poi – perché aveva provato tanto stupore? Non c’era nulla in quella stanza, povera e senza mobili. Solo una persona seduta su una sedia e le altre per terra. C’era Desi-Dirce, alcuni uomini, alcune donne. Uno era in divisa da postino, Beppe si chiamava. Un altro era ferroviere. Uno garagista. C’era Vittorio, quello del vocione: lui era un pezzo grosso (anche fisicamente), un avvocato, era stato partigiano e politico, ma aveva gli occhi luminosi d’un bambino. C’era Mariuccia, una giovane donna con un passato comunista. C’era Tonino, studente di medicina. Pigiati in quella piccola stanza, parlavano. Raccontavano fatti della loro vita. Fatti semplici, ma pregni di vita. Fatti autentici, senza fronzoli, pulsanti di Vangelo. L’anima di Maddalena sussultava di gioia. Gliel’avessero detto che si poteva essere così contenti non ci avrebbe creduto. Ma contenta di cosa? Dei fatterelli che raccontavano quelle persone? No. Contenta per una presenza a cui non sapeva dare nome, ma che s’imponeva con evidenza in quella stanzetta. Esclamò dentro di sé: «Qui c’è un clima di paradiso!», ma non sapeva quello che diceva. A un certo punto parlò Antonietta, una giovane mamma. Con semplicità, quasi parlasse di cosa accadeva a un’altra, Antonietta raccontò del suo bambino di un anno, nato col labbro leporino e il palato aperto. cittànuova n.9 | Settembre 2016 55 storie TEMPO PER GLI ALTRI Avrebbero dovuto operarlo, ma la chirurgia plastica a quell’epoca era agli albori. Ci volevano soldi e loro non li avevano, lavorava solo il papà, operaio in un piccola fabbrica. Antonietta raccontò quello che più la lacerava in quel momento. Prima di uscire di casa, suo marito, in un momento di sconforto, le aveva rimproverato con amarezza: «Perdiamo tempo ad andare dietro ai preti, a quelli del Focolare, invece dovremmo lavorare di più per cercare i soldi per questo bambino, e lasciar perdere quelle cose lì». Dopo le parole d’Antonietta, un attimo di silenzio. E subito Beppe, il postino, si tolse l’orologio d’oro – un’eredità, l’unica cosa preziosa che aveva – e lo posò per terra: «L’ora la potrò chiedere a chi passa e potrò parlare con tanta gente». Tonino, lo studente: «Vado a vendere alcuni miei libri di medicina, che valgono tanto». Altri misero sul pavimento quello che avevano. Antonietta era contenta, ma il suo volto sembrava non fosse cambiato: era luminoso quando aveva raccontato il suo cruccio, era luminoso ora che vedeva quella provvidenza inaspettata, di fronte a lei sul pavimento. «Uscimmo – continua Maddalena – e tornando a casa non toccavo con i piedi per terra. Quella frase, “Vedrai sarai contenta”, era un giubilo nel mio cuore». Quella sera Maddalena volle fare qualcosa anche lei. Prese il suo libretto di risparmi e lo portò a Desi, nell’alloggio di corso Dante. Era tutto quello che aveva, poca cosa in realtà. Addio sogno di studiare! Aveva però trovato qualcosa che valeva molto di più. Oggi Maddalena ha 80 anni. Quando termina il racconto, sento un tuffo al cuore. Perché è un fatto stupendo. E anche perché quell’Antonietta del suo racconto è la mia mamma, morta alcuni anni fa. E quel bambino, che poi è stato operato, sono io. Cristiana Caricato DUE MADRI Marco Onofrio DIARIO DI UN PADRE INNAMORATO IN Salvatore D’Antona UN BACIO PRIMA PR RIMA DELL DELL’ALBA ALBA Due donne che hanno nno in comune il dolore della perdita, un’amicizia che le porterà a scoprire un nuovo modo di essere madri. Con un saggio di Giuseppe Di Nola Nascesti alle N 9.50 minuti. Eri tu: unica irripetibile... Trepidazioni, paura, gioia di un uomo che diventa padre. Con un saggio di Paolo Di Paolo. L’a L’alba L alba di un primo bacio, preludio del tempo bello che verrà. Due storie, due amori, due epoche diverse… Con un saggio di Loredana Petrone. Raccontare e. per comprendere. Racconti che parlano di noi. Passaparola è la collana dedicata alla famiglia e ispirata a storie vere. Ogni due mesi un volume di 120 pagine con un breve saggio sul tema in appendice. Abbonamento annuale carta (6 libri) 28 euro ABBONAMENTO ANNUALE DIGITALE 19 EURO Disponibile anche in libreria. CONTATTACI T 06 96522200-201 [email protected] www.cittanuova.it sognare… con i piedi per terra Sogni che poi si avverano sono quelli di Loris, insegnante crotonese il cui mix italotedesco si sta rivelando vincente in Calabria a cura di Oreste Paliotti Dieci anni fa la loro sede erano i bar. Squattrinati, con niente di concreto tra le mani, solo sogni nella testa. Oggi hanno un’associazione che fa corsi di lingua tedesca nella scuola dell’obbligo e gestisce a Crotone un centro di aggregazione per ragazzi, presso Cutro un ostello della gioventù, nel comune di Cropani un albergo diffuso e a Cropani Marina una casa vacanza. Ieri sollecitavano finanziamenti dalle istituzioni, oggi non riescono a soddisfare le offerte di beni comunali in gestione. Sono Loris e Lidia Rossetto. Lui insegna la lingua di Goethe a 250 ragazzi di una scuola media a Crotone. Lei fa sostegno scolastico. Tre figli: Cristian, Serena e Sara. «Da Crotone, appena sposati 15 anni fa – racconta Loris –, ci eravamo trasferiti in Trentino, dove avevo trovato lavoro come insegnante di sostegno. Pensavo: la Calabria è una bella terra, però l’economia non va. Se facciamo macchine, i tedeschi sono più bravi; se facciamo magliette, i cinesi ci battono. Sul turismo però possiamo essere concorrenziali. Chissà cosa potrebbe venir fuori coniugando la cordialità della nostra gente con l’efficienza tipica del mondo germanico…». Lo attirava l’idea di favorire lo Loris Rossetto (in piedi al centro) a San Leonardo di Cutro (KR). sviluppo del territorio attraverso la conoscenza della lingua tedesca e gli scambi culturali con i Paesi del Centro Europa. Quanto a Lidia, «io mi trovavo bene in Trentino – interviene –, lavoravo come Tagesmutter, una sorta di assistente all’infanzia che ospita a casa sua i bambini di altre mamme. In Calabria i nostri figli non avrebbero usufruito delle stesse possibilità che in Trentino. Loris ha dovuto convincermi». Dopo l’abilitazione, appena si apre per lui la possibilità di insegnare in Calabria, i Rossetto fanno ritorno a Crotone. È l’estate del 2005 e già il 2 luglio dell’anno seguente, col sostegno del GoetheInstitut, nasce l’associazione “Amici del tedesco”: «Molti mi dicevano: “Ma tu sei matto! Chi vorrà mai studiare il tedesco?”». Più tardi, a sorpresa, una Fondazione, riutilizzando beni confiscati alla mafia, finanzia il loro progetto di un centro di aggregazione giovanile. «Hanno creduto in noi che avevamo un bilancio di soli 500 euro! – osserva Lidia –. Tre anni dopo abbiamo vinto un altro bando per un nuovo progetto: un ostello della gioventù. Ci hanno sostenuto la Croce Rossa tedesca, un istituto culturale di Innsbruck, una cooperativa del Trentino, ma soprattutto il comune di Hamm, 180 mila abitanti». Quando il sindaco e un assessore di lì hanno avviato questa amicizia – precisa Loris –, si son sentiti dire: «Non potevate scegliere una regione più tranquilla come la Toscana?». Invece loro si erano innamorati di questa terra. Con difficoltà all’ordine del giorno da affrontare, saranno mai venuti dubbi ai Rossetto sulla scelta fatta? Loris sorride, rispondendo per entrambi: «Io sono per l’ordine, per le cose fatte bene, mentre qui spesso mi scontro con una realtà diversa. Tante volte verrebbe da dire: “Basta, torniamocene su in Trentino, là stavamo più tranquilli”. Cosa ci fa cambiare idea? Guardare le cose con gli occhi della fede. Tanti si lamentano che da noi in Calabria le cose vanno male: proprio questo è un incentivo per restare e dare l’esempio che è possibile un cambiamento. Un giorno il mio preside di Bressanone, sapendomi intenzionato a tornare in Calabria, mi ha detto: “Loris, non smettere mai di sognare”. E i sogni si stanno avverando». cittànuova n.9 | Settembre 2016 57 storie TEMPO PER GLI ALTRI amore condiviso 2.0 Giovanna è una giovane siracusana, sposata, ricercatrice con borsa di studio post-dottorale presso l’Università di Catania. Ha postato su Facebook una sua esperienza a cura di Marco Fatuzzo «Andavo da Siracusa verso Catania. Dentro la prima galleria, scorgo da lontano due figure nere come la pece che camminano al bordo della strada e che le automobili scansano. Passo accanto a loro e noto che si tratta di due giovanissimi extracomunitari. Li supero e procedo oltre. Ma all’uscita della galleria, mi fermo alla prima piazzola. Li aspetto. Quando si avvicinano, chiedo loro dove stanno andando. Non parlano né italiano, né inglese, né francese. Pronunciano la parola “Catania” e li faccio salire, tra lo stupore e anche un po’ di timore da parte loro. Mi fanno capire di voler raggiungere Milano, ma non sanno neppure con quale mezzo. Sembrano due cani bastonati, indossano vestiti vecchi e logori, sono magri e sporchi. Non hanno nessuna borsa, l’unica cosa che portano è mezza bottiglia d’acqua. Avranno circa 18, 20 anni. Giunti a Catania, mi fermo alla stazione ferroviaria, li faccio scendere e chiedo loro a gesti se hanno mangiato. Mi fanno cenno di no, e chissà da quanto. Do loro dei panini, i soldi che avevo nel 58 cittànuova n.9 | Settembre 2016 portafoglio, e loro mi guardano stupiti, mi dicono tante volte “grazie”. Li saluto, sperando in cuor mio che possano avverare i propri sogni. Un’automobile che avevo notato da un bel po’ di tempo dietro di me in autostrada, mi si affianca. L’autista è un signore gentile, che mi dice di aver visto la scena, decidendo di farmi da scorta “perché, non si sa mai…”. Aggiunge: “Si è trattato di un bel gesto. Dio ti benedica”, e poi è andato via. Molti ben pensanti avrebbero detto che sono una grande sprovveduta, che si tratta di situazioni pericolose da evitare... Ma io sono stata alla “scuola di padre Carlo” che nelle periferie di Siracusa da 20 anni si occupa di extra-comunitari. So guardare al di là di ciò che vedo. Riconosco oramai gli occhi spauriti di bambini di questi scarti del nostro tempo, costretti a lasciare le loro certezze, i propri affetti, senza portare nulla, quasi nudi e privati di una dignità che dovremmo garantire a ogni essere umano. Conosco lo sguardo basso di costoro, pronto però a incrociare i tuoi occhi per ringraziarti fino all’esasperazione anche solo per un tuo sorriso, perché sanno di essere indesiderati, sanno di essere rifiuti della nostra società, e una nostra piccola considerazione può ridestarli alla dignità di persona e dà loro una piccola speranza: la speranza che in noi, cittadini del benessere, ci siano ancora un seme di umanità e una piccola fiammella di fraternità». Fin qui il racconto di Giovanna. La sua condivisione su Facebook ha ricevuto numerosissimi commenti. «Grazie Giovanna! Ogni tanto una sveglia dal torpore che ci avvolge ci vuole». «Grande Giovanna, tanti di noi avrebbero esitato, anteponendo paure o esigenze personali». «Pensa Giovanna, ho visto anch’io quei ragazzi stamattina in autostrada, e non mi sono fermata. Tu sei stata veramente coraggiosa». squilla il telefono In Comune spesso nessuno risponde, ora ci penso io di Giosito Ciampa Lavoro presso il Comune della mia città, dove coordino un servizio. Un mese fa, ho preso una settimana di ferie. Da fuori ho avuto la necessità di contattare qualcuno dei miei collaboratori per presentare un problema e prospettare la soluzione. Nonostante abbia digitato 5 numeri telefonici, sono rimasto a lungo in attesa senza che nessuno mi rispondesse. Sono rimasto molto male e ho pensato ai cittadini che, telefonando in Comune, non ottenevano risposta facendosi così un’idea non proprio bella dell’andamento degli uffici. Da quando sono rientrato al mio posto di lavoro, nonostante i molteplici impegni e la certezza che il 90% delle volte chi chiama vuole passati altri uffici, ogni volta che squilla il telefono rispondo sempre, malgrado io non sia il centralinista. A volte mi verrebbe la tentazione di lasciare squillare l’apparecchio ma passa subito; i cittadini si sentono considerati e io mi sento gratificato di poter dare loro delle risposte. storie INCONTRI ROMANI non sono un pesce rosso Waris è del Pakistan. Sposa Pina, una coreana, e vive a Roma. Lavora per un’organizzazione umanitaria e incontra migliaia di giovani a cui racconta la sua storia di Aurelio Molè Waris con la moglie Pina e le figlie. Un eloquio dirompente. Una simpatia calamitata da un sorriso avvolgente. Una nuova storiella da raccontare sempre pronta: divertente e sapiente. Non è un comico, ma spesso strappa una risatina. Il suo nome deriva dal poeta Waris Shah, un sufi considerato lo Shakespeare del Punjab. Il nostro Waris è anch’esso pachistano, ma suo padre, anche se cattolico, gli diede il nome di un grande mistico musulmano della “terra dei cinque fiumi” perché sapeva cantare a memoria i suoi poemi mistici. Una caratteristica, il saper narrare “frammenti d’amore” che facevano bene al cuore, che è, evidentemente, caratteristica genetica, tramandata di padre in figlio. Chi lo ascolta rimane incantato per l’autenticità della sua vita e la sua storia, densa di gustosi episodi, narrata in Non sono un pesce rosso per CNx, si legge tutta d’un fiato. La sua originalità è lui stesso, nell’epopea della sua storia e nella sua famiglia, un vero meticciato di civiltà e culture. Slanciato, viso ovale, occhi scuri, portamento da principe orientale, dai modi gentili forma con la moglie Pina, una bella donna coreana, una coppia che non ti aspetti. Tanto più che, entrambi, dalla fine degli anni ’80 vivono, si sono sposati e hanno avuto due figlie a Roma. Un aneddoto dello scrittore Anthony De Mello ben si adatta alla storia di Waris: «Una signora, volendo cambiare l’acqua della vaschetta dei suoi pesci rossi, li trasferì nella vasca da bagno per alcuni minuti. Era convinta che i pesciolini gioissero di quello spazio maggiore. Ma quando tornò a riprenderli, enorme fu la sua sorpresa nel vedere che nuotavano in tondo in un angolo, proprio in uno spazio corrispondente alle dimensioni della loro vaschetta». Waris non è un pesce rosso. È l’assioma vivente che si può cambiare, e in meglio. Si possono modificare le proprie abitudini, allargare gli orizzonti, fare scoperte sempre nuove ed evidenziare la bellezza e la cultura del Belpaese che lo ha adottato senza perdere la propria identità. Nato nel Punjab da genitori contadini si trasferisce a Karachi perché il padre trova un impiego nella marina pakistana. Waris trascorre le sue giornate con i suoi amici in riva a un mare di un azzurro intenso, imparando a catturare i pesci intrappolati tra gli scogli, facendo amicizia con i pescatori che portavano in cuore il sapore del mare. «Nessuno di noi andava a scuola». L’incontro con un pescatore gli cambia la vita: il figlio è morto a 12 anni mentre giocava con gli amici sulla riva del mare. Trascinato a largo da un’onda anomala. «Quella cittànuova n.9 | Settembre 2016 59 storie INCONTRI ROMANI sera stessa ଫ racconta Waris ଫ ne parlai con mamma: “Voglio andare a scuola, perché ho sentito da un signore sulla spiaggia che chi non studia non ha futuro”». È una vita dura, percorre 12 chilometri a piedi ogni giorno per raggiungere la scuola elementare più vicina. Giunto alle scuole medie non può permettersi di pagare le tasse e così, per essere esentato, trasporta ogni sera due taniche d’acqua di 20 litri ciascuna per 2 chilometri a piedi per riempire la cisterna della sua scuola. È deriso dai suoi compagni, secondo i più classici schemi di un bullismo senza Waris ଫ gli occhi di una ragazza che salutava tutti sorridendo; mi disse semplicemente: “Aspetta un attimo, ti pulisco il sedile”. Un gesto davvero gentile e cordiale, fatto con tanta grazia e dolcezza che mi portò in cuore gioia ed entusiasmo. Guardavo i suoi occhi a mandorla pieni di luce. Vestiva in modo “fresco” e giovane e l’abbinamento dei colori lasciava trasparire l’armonia di un Oriente più lontano del mio». È colpo di fulmine da cui Waris cerca di ripararsi con un ombrello fatto di doveri, di studi, di impegni presi con la sua famiglia che lo attende Parenti e amici festeggiano il loro 25° di matrimonio. confini. Ma un professore gli disse una di quelle frasi che restano: «Non importa da dove vieni, non importa se a casa tua non hai tante cose firmate come i tuoi compagni. L’importante è dove vai nella vita e se hai uno scopo, una meta da raggiungere». Dopo il diploma, gli studi universitari e la grande svolta. Un sacerdote gli offre una borsa di studio biennale per studiare a Roma in una università pontificia. «Impossibile», è la sua risposta. Nel 1988 è a Roma. Pina la incontra subito, sul pullmino che lo porta in Questura per richiedere il permesso di soggiorno. «Incrociai ଫ ricorda 60 cittànuova n.9 | Settembre 2016 Waris lavora per la Onlus Gruppo India. perché lui è essenziale per il suo sostentamento. La famiglia di Pina, al contrario, dopo un trasferimento dal Nord al Sud della Corea per motivi di lavoro dopo la Seconda guerra mondiale, ha un grande e frequentato negozio di stoffe pregiate. Terminati gli studi, per entrambi, è ora di tornare a casa. Come sempre Waris si affida a Maria. Il 1° settembre è il suo compleanno. Veste l’abito tradizionale pakistano e con Pina organizza una festa. «Io non so ballare ଫ ricorda ଫ ma quella sera, insieme agli amici latino-americani, abbiamo ballato a lungo. C’era luna piena e le stelle spuntavano ovunque nel cielo». Lo scenario adatto per incoraggiare Waris. «Spero che la mia domanda non ti offenda. Mi vuoi sposare?». Dopo una lunga notte, il giorno seguente, la risposta di Pina: «Ho pensato alla tua proposta di matrimonio. Siamo molto diversi ma le nostre diversità possono diventare una grande ricchezza. Sì, Waris, anch’io sono innamorata di te e ti voglio sposare». La vera storia comincia dopo l’happy end, fatta di grandi scelte, piccoli sacrifici, gioie piene, tribolazioni. Una vita ancora in corso. Waris Umer, Non sono un pesce rosso Se voglio posso cambiare, e in meglio. CNx spiritualità PAROLA DI VITA di FABIO CIARDI «Perdona l’offesa al tuo prossimo e allora per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati» (Sir 28, 2) Ottobre In una società violenta come quella nella quale viviamo, il perdono è un argomento difficile da affrontare. Come si può perdonare chi ha distrutto una famiglia, chi ha commesso crimini inenarrabili o chi, più semplicemente, ci ha toccato sul vivo in questioni personali, rovinando la nostra carriera, tradendo la nostra fiducia? Il primo moto istintivo è la vendetta, rendere male per male, scatenando una spirale di odio e aggressività che imbarbarisce la società. Oppure interrompere ogni relazione, serbare rancore e astio, in un atteggiamento che amareggia la vita e avvelena i rapporti. La Parola di Dio irrompe con forza nelle più varie situazioni di conflitto e propone, senza mezzi termini, la soluzione più difficile e coraggiosa: perdonare. L’invito, questa volta, ci giunge da un saggio dell’antico popolo di Israele, Ben Sira, che mostra l’assurdità della domanda di perdono rivolta a Dio da una persona che a sua volta non sa perdonare. «A chi [Dio] perdona i peccati? – leggiamo in un antico testo della tradizione ebraica – A chi sa perdonare a sua volta»1. È quanto Gesù stesso ci ha insegnato nella preghiera che rivolgiamo al Padre: «Padre… rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori»2. Anche noi sbagliamo, e ogni volta vorremmo essere perdonati! Supplichiamo e speriamo che ci sia data nuovamente la possibilità di ricominciare, che si abbia ancora fiducia nei nostri confronti. Se è così per noi, non lo sarà anche per gli altri? Non dobbiamo amare il prossimo come noi stessi? Chiara Lubich, che continua a ispirare la nostra comprensione della Parola, così commenta l’invito al perdono: esso «non è dimenticanza che spesso significa non voler guardare in faccia la realtà. Il perdono non è debolezza, e cioè non tener conto di un torto per paura del più forte che l’ha commesso. Il perdono non consiste nell’affermare senza importanza ciò che è grave, o bene ciò che è male. Il perdono non è indifferenza. Il perdono è un atto di volontà e di lucidità, quindi di libertà, che consiste nell’accogliere il fratello così com’è, nonostante il male che ci ha fatto, come Dio accoglie noi peccatori, nonostante i nostri difetti. Il perdono consiste nel non rispondere all’offesa con l’offesa, ma nel fare quanto Paolo dice: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male”3. Il perdono consiste nell’aprire a chi ti fa del torto la possibilità d’un nuovo rapporto con te, la possibilità quindi per lui e per te di ricominciare la vita, d’aver un avvenire in cui il male non abbia l’ultima parola». La Parola di vita ci aiuterà a resistere alla tentazione di rispondere a tono, di ricambiare il male subìto. Ci aiuterà a vedere chi ci è “nemico” con occhi nuovi, riconoscendo in lui un fratello, anche se cattivo, che ha bisogno di qualcuno che lo ami e lo aiuti a cambiare. Sarà la nostra “vendetta d’amore”. «Dirai: “Ma ciò è difficile” – continua Chiara nel suo commento –. Si capisce. Ma qui è il bello del cristianesimo. Non per nulla sei alla sequela di un Dio che, spegnendosi in croce, ha chiesto il perdono a suo Padre per chi gli aveva dato la morte. Coraggio. Inizia una vita così. Ti assicuro una pace mai provata e tanta gioia sconosciuta»4. 1 Cf. Talmud babilonese, Megillah 28a.2. 2 Mt 6, 12. 3 Rom 12, 21. 4 Costruire sulla roccia, Città Nuova, Roma 1983, p. 46-58. testimoni del Vangelo Jozsef Mindszenty patì in Ungheria i totalitarismi del XX secolo. Fu arrestato nel 1919 sotto la Repubblica sovietica ungherese. Venne eletto vescovo nel 1944 e incarcerato di nuovo dai nazisti per un anno. Divenne primate d’Ungheria e poi cardinale. Arrestato per la terza volta nel 1948 venne liberato durante la rivolta di Budapest del 1956. Il suo discorso sulla libertà in Parlamento fu trasmesso in tutto il Paese. Ma la sera stessa dovette rifugiarsi nell’ambasciata americana di Budapest. Morì a Vienna nel 1975. È in corso la causa di beatificazione. cittànuova n.9 | Settembre 2016 61 spiritualità GMG A CRACOVIA odissea (ed epopea) dei braccialetti arancioni Reportage alternativo dalle periferie della Giornata mondiale della gioventù. L’avventura di 49 italiani provenienti da Lazio e Toscana Tutto è cominciato lì, davanti a quel box office. Fuori Cracovia, all’ingresso del Micura Tent Camp (leggi “tendopoli”). Sono ormai alle spalle le 20 ore di pullman per arrivare da Roma a Brno (Cechia) dove ci siamo concessi la prima sosta, con notte su un letto comodo, doccia e colazione. Sarebbe stata l’ultima prima del rientro, ma ancora non 62 cittànuova n.9 | Settembre 2016 lo sapevamo. È lontana anche Wadowice, visitata solo poche ore prima, con la casa museo di Giovanni Paolo II e una storia che parla di lui e scava segni profondi nell’anima, desiderio di eroismo e di santità. Una frase su tutte: «Solo l’Amore può impedire all’uomo di scivolare nell’abisso», inchiodando così nella mente l’unica arma di resistenza agli orrori del nazismo e della dittatura comunista. Braccialetti arancioni Sono quelli che ci vengono assegnati al momento della registrazione, a metà tra braccialetto da ospedale e da villaggio turistico, con una simpatica scritta in polacco. Fieri del nostro voucher che ci sta per di Mara Randazzo aprire le porte a tutti i servizi del pacchetto Gmg: alloggio a Cracovia, ticket per i pasti, zainetto del pellegrino, pass. Ma c’è un ma: il braccialetto che ci assegnano è arancione e non giallo come deve essere, perché i gialli... sono finiti! Solo che gli arancioni non li lasciano entrare. È una questione di sicurezza, dicono. Ok, aspettiamo che arrivi il responsabile. Il momento è un po’ critico. Dopo una lunga attesa: tutti in fila! A uno a uno i nostri braccialetti vengono segnati con un Uniposca nero (proprio così) e finalmente... Tra il fango e il buio, arriviamo a una tenda. È l’1.30. #pensapositivo dice qualcuno, almeno non ha piovuto! Naturalmente niente cena e domani colazione tra le 5 e le 7. Ma i ragazzi sono tutti felici, e anche noi. Anche questa è Gmg! La discesa a Cracovia Al mattino il responsabile non c’è più. Rimangono solo i volontari con le facce stanche che ci comunicano lapidari: «Potrete ritirare i ticket solo a partire dalle ore 14». Paolo, Lela e Doro si sacrificano ad attendere l’apertura del ticket office e col resto del gruppo ci incamminiamo verso Cracovia centro. Vedremo almeno qualcosa della Polonia, la cattedrale del Wawel, dove Giovanni Paolo II ha celebrato la prima Messa. Siamo già stanchi – l’assenza d’acqua domina su tutto –, ma allegri e fiduciosi nel metterci in cammino. E lungo la via, il primo regalo: papa Francesco passa davanti a noi diretto al santuario di Giovanni Paolo. Allora è vero, allora siamo alla Gmg. I giovani protagonisti dell’esperienza raccontata in queste pagine. Le disavventure vissute insieme ci hanno fatto vivere comunque il vero spirito della Gmg. nel frattempo hanno recuperato zaini, pass e buoni pasto. Da lì dovremmo dirigerci in treno a Wieliczka, avvicinandoci così al Campus Misericordiae, la nostra meta, per la veglia con papa Francesco. Sono le 4 del pomeriggio. Sotto il sole, un po’ cotti, ci avviamo ai binari e… sorpresa! I treni non partono più. Bisogna avviarsi a piedi o con altri mezzi. Sono solo 6 km, ci dicono. E qui ha inizio la parte La messa con papa Francesco al Campus Misericordiae. Treni bloccati Dopo la visita al Wawel e una breve sosta mangereccia a nostro carico ci avviamo alla stazione di Krakow Plaszow, luogo di ritrovo con i nostri amici che cittànuova n.9 | Settembre 2016 63 spiritualità GMG A CRACOVIA più “tragica” dell’odissea. Una camminata interminabile in cui i 6 km sono diventati quasi 16. Con 3 ore di sonno alle spalle, poca acqua a disposizione, zaini zavorra da portare, che per qualcuno, negli ultimi chilometri, sono raddoppiati. È stato necessario, infatti, farsi carico di chi lo zaino, a portarlo, non ce la faceva più. Per noi accompagnatori la domanda esistenziale cresceva a ogni istante, la preoccupazione per i ragazzi, il dispiacere per continuare a essere ai margini della Gmg e la stanchezza fisica che aveva davvero oltrepassato ogni soglia. Quando arriviamo alle porte del Campus Misericordiae è già buio. E il papa è andato via da un pezzo. Lo scoprirò solo una volta dentro, perché fino all’ultimo ho creduto di poter ascoltare le sue parole. Il risveglio La colazione la racimoliamo in qualche modo. In queste condizioni, l’incontro con Francesco nella messa finale diventa il nostro balsamo. I ragazzi, come spugne, assorbono ogni parola di un’omelia che è un discorso diretto, pronunciato con nostra grande gioia in italiano. Il papa parla degli ostacoli per incontrare Gesù. Come non rileggere quanto vissuto alla luce di queste parole uniche? «Dio fa il tifo per noi come il più irriducibile dei tifosi». E beati i misericordiosi, quei «sognatori che credono in una nuova umanità, l’unica famiglia umana che qui così bene rappresentate». E forse i chilometri percorsi, le difficoltà, i dubbi sono valsi la pena per far parte di quell’oceano di gente che vuole testimoniare con la sua sola presenza un ideale e una speranza comune. Sì, lo si legge nei volti dei ragazzi, e più di uno, commosso, lo esprime. 64 cittànuova n.9 | Settembre 2016 L’arrivo dei giovani per la veglia al Campus Misericordiae. Si torna a casa, forse Con il cuore carico di gioia, si riparte per l’ultimo tratto. Ma ancora una volta, il peggio deve ancora venire. Sulla via del rientro dal Campus Misericordiae ci sorprende la pioggia, che non cessa per un paio d’ore. Fradici e stremati aspettiamo senza crederci l’arrivo dell’autobus, che – bloccato dalla polizia prima in un parcheggio, poi per strada, poi in autostrada – riesce a recuperarci solo alle 22, quando a Cracovia erano rimasti ormai solo “pochi” pellegrini. È l’ora di un po’ di amarezza. Dubitiamo di riuscire a ripartire, ma la nostra stanchezza è sorretta da tante opere di misericordia, come i bambini che per strada escono ad offrire acqua e frutta, o la signora che in notturna gira con delle tazze di tè caldo e zuccherato. #eancheoggisidormedomani Alle 22 riusciamo a ripartire, siamo senza parole. Arriviamo a Vienna alle 5, all’hotel che ci aspettava per cena la sera prima. Chi si butta sul letto, chi sotto la doccia, chi cerca vestiti asciutti. Poche ore di sonno e si parte per la visita guidata per Vienna. E nella mezz’ora che ci separa dal centro, dall’appuntamento con la guida al castello di Schönbrunn, le parole dei ragazzi mi meravigliano, segnano un’esperienza indimenticabile. Sono un fiume in piena, sia al microfono del pullman, sia nel diario di bordo. «Sono sorpreso. Tutto quello che è successo è incredibile. Non si è smesso di amare, di aiutarsi, di tenerci su col morale». La parola più ricorrente è grazie, per le «disavventure vissute insieme che comunque ci hanno fatto vivere il vero spirito della Gmg». Come i ragazzi stessi hanno scritto a papa Francesco, nel regalargli il diario di bordo con un pezzo di vita di ciascuno: «Tutte queste difficoltà che ci hanno messo alla prova, ci hanno fatto comprendere cose che sul «divano» non si potevano capire. Dopo tutti gli sforzi siamo stati capaci di apprezzare ancora di più l›arrivo alla veglia il sabato sera. Ci siamo detti: “Ce l’abbiamo fatta, siamo qui, insieme ad altri 2 milioni di ragazzi che come noi hanno degli ideali in comune, hanno la voglia di cambiare il mondo”. E lì, fra tutta quella gente, abbiamo sentito la presenza di Gesù». www.cittanuova.it Dare voce a chi non ha voce Nelle grandi città, rimangono coperte le voci di tanti volti che non hanno “diritto” alla cittadinanza, non hanno diritto a far parte della città – gli stranieri, i loro figli (e non solo) che non ottengono la scolarizzazione, le persone prive di assistenza medica, i senzatetto, gli anziani soli – confinati ai bordi delle nostre strade, nei nostri marciapiedi in un anonimato assordante. Omelia di Papa Francesco a Madison Square Garden, New York, 25 settembre 2015 Tra autobiografia e cronaca Silvano Gianti racconta le storie di tanti che vivono ai bordi delle strade in un «anonimato assordante». pp. 112, € 12,00 CONTATTACI T 067802676 - [email protected] QUARTA EDIZIONE FESTIVAL DEL LIBRO & DELLA CULTURA GASTRONOMICA MONTECATINI TERME 14-16 OTTOBRE 2016 CUCINA | GASTRONOMIA LIBRI | LETTERATURA Dal 14 al 16 ottobre 2016 a Montecatini Terme si terrà la quarta edizione del festival “Food&Book, la cultura del cibo, il cibo nella cultura” con protagonisti scrittori che nei loro romanzi raccontano il cibo e grandi chef che lo presentano nelle loro ricette e spesso in libri di successo. Partecipa e prenota subito uno spazio espositivo nell'area delle specialità alimentari o nel bookshop Informazioni e prenotazioni spazi espositivi: [email protected] tel. 0644254205 www.foodandbook.it In collaborazione con COMUNE DI MONTECATINI TERME Leggere tutti associazione se posso PIERO CODA Il mondo come un arcobaleno Piero Coda, teologo, è preside dell’Istituto Universitario Sophia a Loppiano (Figline-Incisa Valdarno). Tra le sue tante opere ricordiamo “Dalla Trinità” (Città Nuova). Nei nostri precedenti appuntamenti ci siamo soffermati su due vie della “riforma” che papa Francesco con determinazione convinta propone alla Chiesa: camminare insieme (la sinodalità) e fare la verità nella carità (la misericordia). Questa volta spendiamo una parola sulla terza via che ritorna nel suo costante magistero dei gesti e delle parole: il dialogo. Può sembrare paradossale ed è senz’altro controcorrente indicare questa via come quella dell’annuncio e della testimonianza del Vangelo e, insieme, come la prospettiva culturale e sociale discriminante del nostro tempo. Soprattutto oggi: quando l’esplosione folle ed enigmatica della violenza e del terrorismo provoca la fuga protettiva dietro le fortificazioni sicure e difensive – almeno così si crede – della propria identità. Il dialogo va nella direzione opposta. È uscire disarmati per andare incontro all’altro sul terreno incognito della reciproca apertura. Anche, e soprattutto, quando si ha da fare il primo passo senza garanzia di una risposta positiva. Non è una tattica di addomesticamento del diverso, e neppure soltanto una strategia cortese per mostrare all’altro la propria superiorità. Ma l’espressione sincera della volontà di scoprire e imparare qualcosa dall’altro, che sempre ha qualcosa di vero e di buono da dire e da dare, a propria volta presentandogli con convinzione e insieme con umiltà le ricchezze della propria identità e della propria tradizione. Senza secondi fini. Gratuitamente. Per capire insieme come costruire fraternità e come vivere nella giustizia e nella libertà. Certo, non è facile. Anzi! Gli equivoci e i fraintendimenti, sino a sperimentare la durezza all’apparenza insormontabile dei differenti punti di vista e delle differenti posizioni che tali vogliono restare, sono all’ordine del giorno. Ma è proprio allora, di fronte all’oscurità e all’impervietà dell’ostacolo, che la decisione e la capacità di dialogo mettono alla prova la loro verità e la loro forza. Che sono in definitiva – se percorriamo la via stretta ma alla fine vincente del Vangelo – quelle della croce. Ovvero del martirio come intenzione a testimoniare col dono della vita – in tutte le sue espressioni, e costi quel che costi – che solo l’amore ha l’ultima parola. Non ha creduto Gesù nella verità e nella forza del dialogo sino a dare via tutto di sé, anche la cosa sua più preziosa: l’unione col Padre? Sì, questa è la via del dialogo. Non un’altra. Quella di Gesù abbandonato. Solo passando attraverso la cruna di quest’ago, i discepoli di Gesù possono oggi annunciare e testimoniare la gioia del Vangelo. E sarà, ogni volta, un nuovo inizio, un sentiero inesplorato che si apre, un orizzonte che inaspettatamente si rischiara. Questo stile di dialogo, oltre tutto, è ciò che di più proprio i discepoli di Gesù hanno la responsabilità urgente di mettere in gioco nella ricerca culturale e sociale più acuta e drammatica del presente e del prossimo futuro: vivere, crescere e camminare insieme nella logica della convivialità libera e arricchente delle proprie identità. Scriveva nel 1949 Chiara Lubich: «Ho sentito che io sono stata creata in dono a chi mi sta vicino e chi mi sta vicino è creato da Dio in dono per me… Sulla terra tutto è in rapporto d’amore con tutto: ogni cosa con ogni cosa. Bisogna essere l’Amore per trovare il filo d’oro tra gli esseri». cittànuova n.9 | Settembre 2016 67 spiritualità LA GRANDE ATTRATTIVA verso l’unità dei popoli Sto osservando la foto di un pompiere che regge tra le braccia una giovane vita tratta in salvo dal suo coraggio e dalla sua tenacia. Un volto segnato dalla fatica, coperto di polvere ma uno sguardo intensamente felice: ha salvato una vita umana. E quante vite umane possiamo salvare con la pace e l’unità tra i popoli! Occorre però attraversare piccole e grandi fiamme, pericoli di crolli, privazioni forse... Chiara Lubich ci avverte: nel fare questo non siamo mai soli, Dio è sempre presente e anche Maria, che è madre e come tale opera con noi il bene. 68 cittànuova n.9 | Settembre 2016 Chiara Lubich è stata fondatrice e prima presidente del Movimento dei Focolari, nonché scrittrice prolifica. I suoi testi sono un suo lascito e, ancora oggi, una fonte d’ispirazione per tanti. Ogni mese Città Nuova ne propone uno stralcio. ” Sentirsi un solo popolo, abbellito dalla diversità di ognuno e custode delle differenti identità. una Chiesa o ad una Religione: è universale e può in qualche modo essere vissuta da tutti. Per essa, infatti, si sono aperti fecondi dialoghi con tutti gli uomini: con cristiani di molte Chiese – come ho già detto –, con credenti di diverse religioni e con persone delle più varie culture, le quali trovano qui sottolineati i valori in cui credono. E insieme ci si avvia a quella pienezza di verità cui tutti tendiamo. Per essa, per questa spiritualità, oggi uomini e donne di quasi tutte le nazioni del mondo, lentamente ma decisamente stanno tentando di essere, almeno là dove si trovano, germi di un popolo nuovo, di un mondo di pace, più solidale soprattutto verso i piccoli, i più poveri, di un mondo più unito. Simposio alla Sede delle Nazioni Unite (New York), 28 maggio 1997 a cura di Donato Falmi Scena di guerra ad Aleppo (Siria). UGC/AP Non si fa nulla di buono, di utile, di fecondo al mondo senza conoscere, senza sapere accettare la fatica, la sofferenza, in una parola senza la croce. Non è uno scherzo impegnarsi a vivere ed a portare la pace! Occorre coraggio, occorre saper patire. [...] Ma, certamente, se più uomini accettassero la sofferenza per amore, la sofferenza che richiede l’amore, essa potrebbe diventare la più potente arma per donare all’umanità la sua più alta dignità: quella di sentirsi non solo un insieme di popoli uno accanto all’altro, spesso in lotta tra di loro, ma un solo popolo, abbellito dalla diversità di ognuno e custode delle differenti identità. Dio Padre inoltre col Suo amore ci aiuta sempre in questo arduo cammino. E vorrei ricordare Maria, la madre di Gesù e di ogni uomo della terra, amata, venerata, presente anche in altre religioni. A lei si può attingere ispirazione, conforto, sostegno: è compito di una madre comporre e ricomporre sempre la famiglia. Questa spiritualità comunitaria non è legata necessariamente ad cittànuova n.9 | Settembre 2016 69 spiritualità CHIESA la “madre” Il 4 settembre la canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta. Una vita fra i più poveri dei poveri, che continua nell’opera da lei fondata 70 cittànuova n.9 | Settembre 2016 Madre Teresa rappresenta, forse come pochi altri, l’immagine del cristianesimo del XX secolo. Con tutta probabilità la donna albanese-macedone di nascita, ma indiana di adozione e di scelta di vita, verrà ricordata nei secoli come un paradigma del Vangelo, al pari di un Francesco e di una Chiara d’Assisi, di una Teresa di Lisieux, di un Ignazio di Loyola o di una Caterina da Siena. Per l’opinione pubblica l’iter canonico per arrivare alla proclamazione della sua santità è apparso, come forse per nessuno dei santi proclamati negli ultimi decenni, una mera formalità. Quella donna dal volto sempre più grinzoso, avvolta nel suo sari bianco che, con il passare degli anni, pareva sempre più grande ad avvolgere quel corpo sempre più curvo, era per tutti già santa. Eppure è sempre rimasta semplicemente Madre Teresa o, come spesso la si chiama in India ancora oggi, mother, la madre. Ho avuto modo di incontrarla in 3 occasioni nella mia vita e sempre casualmente: momenti semplici e di grande intensità, soprattutto l’ultima volta, pochi mesi prima della morte. Ricordo quella stretta di mano che non accennava ad allentarsi con quello sguardo penetrante che cercava un rapporto diretto. Fu un momento, ma mi sembrò un’eternità, anche se ci scambiammo brevissime parole mentre la suora che spingeva la carrozzella su cui si trovava si era già mossa per arrivare alla cappella della sua casa madre nel cuore di Kolkata. Ma altrettanto intenso è stato un incontro successivo. Accompagnavo Chiara Lubich in viaggio in India e sostammo per alcuni minuti davanti alla tomba della “Madre”. Chiara la considerava una “sua grande amica”, come avrebbe di Roberto Catalano Gennaio 2001: Chiara Lubich nella casa madre delle Suore della Carità a Calcutta. detto, dopo pochi minuti, a 300 suore dell’ordine. Mai ho avuto l’impressione, come in quei minuti, che il silenzio parlasse. C’era un colloquio nascosto ma vivissimo fra le due donne: una viva e l’altra nell’eternità. Esperienze difficili da trasmettere a chi non le ha vissute, ma che penetrano nel più profondo delle fibre dell’essere. Un’impressione simile, altrettanto complicata da esprimere, l’ho sperimentata il giorno della sua beatificazione. Poco dopo l’alba ero già a Roma per arrivare sul sagrato di San Pietro dove avrei assistito alla cerimonia fra un gruppo di invitati speciali. Mi colpì la folla che ancora alle 7 della mattina affollava via della Conciliazione e la zona attorno a San Pietro. Era il popolo, un caleidoscopio di razze, età, etnie, lingue, colori che proclamavano quella donna “beata”. Fra la gente, quella mattina capii il famoso adagio classico: vox populi vox Dei. Dal giorno del suo funerale, dove Kolkata si fermò per rendere omaggio alla “madre”, delle sue suore e della sua opera si è parlato sempre meno. Il suo carisma, del resto, è sempre stato quello di arrivare agli ultimi, ma quasi senza che nessuno se ne accorgesse. In questi anni le sue suore e la congregazione arrivano a far notizia quando qualcuna di loro incontra una fine tragica, come lo scorso anno, nel Golfo Persico. Altrimenti, sempre discrete, il passo veloce, il volto sereno danno l’impressione di aver fretta di arrivare a coloro per i quali hanno lasciato tutto: gli ultimi, le periferie estreme per dirla con papa Francesco. La madre aveva anticipato anche lui; lei a quelle periferie era arrivata dal giorno in cui, sul treno fra Kolkata e Darjeeling, aveva sentito la chiamata a tornare sulle vie del mondo, fuori del suo convento nel cuore della Kolkata bene, per uscire dove nessuno voleva andare. Ora un papa ci sta conducendo, a fatica, tutta la Chiesa. Stranamente, forse c’è un solo aspetto che continua, almeno di tanto in tanto, a portare Madre Teresa sulle prime pagine. In India, il Paese che l’ha adottata, di tanto in tanto scoppiano, nei suoi confronti, accuse di proselitismo religioso. Era accaduto anche durante la sua vita e lei mai se ne era preoccupata: aveva da pensare ai suoi moribondi, commentava. In questi momenti, come era solita fare Madre Teresa, le sue suore tacciono. Sembrano non aver tempo per queste chiacchiere e continuano la loro opera in silenzio e con dedizione eroica, sempre pronte a cambiare la loro sede, come desiderava la Madre, nel giro di un’ora. In fin dei conti, per un miliardo e più di indiani, a qualsiasi religione appartengano, la canonizzazione del 4 settembre resta una formalità. Da sempre la santità della donna macedonealbanese è stata ovvia, come recita la tradizione indù del jivan-mukta, coloro che arrivano alla piena realizzazione dell’essere quando sono ancora in vita. In India, per milioni di indù e musulmani, la figura di Madre Teresa rappresenta l’immagine del cristianesimo cittànuova n.9 | Settembre 2016 71 idee e cultura A UN ANNO DALLA SCOMPARSA Samuele, a destra, col fratello Bruno. ciao, samuelle Famiglia, scuola, lavoro, cambio di sesso, suicidio. I genitori, Leonia e Mario Daves, e il fratello Bruno, di Riva del Garda, aprono lo scrigno dei ricordi «Bruno aveva 3 anni quando sono nati i gemelli: Samuele e Simone. Samuele è sempre stato inquieto, dormiva pochissimo. Allo stesso tempo era un bambino con una capacità speciale di vivere ed esplorare l’ambiente. Fin da piccolo è stato un entusiasta, non vedeva i pericoli, mentre il gemello era il suo angelo custode. A 4 anni la pediatra mi ha detto: “Questo è un bambino sfortunato”. Al mio stupore, ha ripreso: “Lo scoprirà nel tempo. Rispetti le 72 cittànuova n.9 | Settembre 2016 sue tendenze nel gioco e nelle relazioni”. All’asilo era amico di tutti, ma giocava soprattutto con le bambine. Aveva una vera passione per le bambole. A livello sportivo era molto competitivo, specie nel gioco del pallone. A scuola, poi, Samuele ha iniziato a percepire di essere diverso, perché i compagni lo chiamavano donnetta. Come reazione cercava di essere eccellente, perché nessuno lo potesse accusare di valere meno degli altri. Da grande ripeteva che nella vita aveva “dovuto” essere il migliore. Alle superiori ha avuto amiche e amici carissimi, anche se col tempo la problematica si è accentuata. Lui non ne parlava molto con noi, forse perché non sapevamo niente di queste cose, nella nostra cultura non se ne parlava, solo sussurri. Sembravano cose lontane. Durante il secondo anno di università (20 anni) un giorno mi ha detto, piangendo: “Mamma, sono omosessuale. Te lo devo di Giulio Meazzini dire perché mi hai insegnato che bisogna essere fedeli alla verità. Mi emoziono per un ragazzo, non per una donna”. Allora ho pianto tutte le mie lacrime e litigato col Padre Eterno, pregandolo: “Non farmi questo, si dice che siano peccatori incorreggibili, la rovina del mondo”. Ma poi ho trovato le parole del Vangelo: “Vi sono eunuchi che nacquero così dal seno della madre” (Matteo 19, 12) e ho riletto negli Atti degli Apostoli il battesimo dell’eunuco da parte dell’apostolo Filippo (Atti 8, 26-40). Allora, mi sono detta, Dio li ha creati e li ama così, per cui ho accettato: “Signore, tu me l’hai dato, insegnami ad accompagnarlo”. Simpatico e brillante, sapeva sempre tenere la scena: forza, entusiasmo, passione per la vita. La nonna, invece, ha subito riunito parenti, zii e nipoti, e ha ammonito: “Guai a voi se qualcuno si permette di prenderlo in giro”. Nelle feste Samuele era sempre il protagonista, il più allegro e spigliato. Con i cugini c’erano una complicità e un affetto assoluti. A volte mi diceva: “Quanto mi piacciono i bambini e pensa che non ne avrò mai”». Sono a Riva del Garda, a casa della famiglia Daves. Intorno al tavolo di cucina, la mamma Leonia, il padre Mario e il fratello maggiore Bruno mi raccontano qualcosa di Samuele, morto suicida il 14 settembre 2015. Al di là di lustrini e chiacchiere, sono qui per capire Samuele con i genitori Leonia e Mario. cittànuova n.9 | Settembre 2016 73 idee e cultura A UN ANNO DALLA SCOMPARSA qualcosa della sofferenza che c’è stata dietro la sua vita. Milano Riprende Mario: «Un giorno mi ha detto: “Papà, qui nel Trentino non riesco più a vivere, portami a Milano”. Soffriva dentro, ma non giudicava chi lo emarginava. Siamo partiti, nonostante avesse 38 di febbre. Ha fatto un colloquio di lavoro dal quale è uscito contentissimo, perché l’avevano preso nel mondo della moda. A 25 anni è dunque andato via di casa». Bruno spiega: «Sono cresciuto con i soliti luoghi comuni per cui l’omosessuale è una persona debole, fragile. Eppure il pregiudizio non coincideva col fratello reale che avevo davanti. Simpatico e brillante, sapeva sempre tenere la scena: le persone che hanno avuto rapporti con lui, in 20 anni di lavoro, hanno sempre colto forza, entusiasmo, passione per la vita. Dietro certi modi di fare, intuivo però il dolore perché non si sentiva accettato. Doveva per forza buttarsi in certi mondi, era la sola strada per eccellere. Nel mondo della moda milanese la sua diversità era un punto di forza. Anche l’approccio al femminile risultava facile: ha avuto amiche che l’hanno accolto, sostenuto, accompagnato, valorizzato. Scherzando mi diceva: “Vorrei un compagno come te, ma non lo trovo”. Ha avuto tante conoscenze, ma mai una relazione stabile. Non trovando un rapporto vero, a volte scivolava nella sessualità fine a sé stessa. Amava la bellezza. Ha viaggiato molto, sempre in nome della creatività, animando una scuola di moda; quando l’hanno chiusa, per lui è stata 74 cittànuova n.9 | Settembre 2016 una devastazione psicologica. Ha avuto molte sofferenze professionali. Sono stati 20 anni di vita intensa, in ambienti lussuosi dove giravano i soldi. Solo quando tornava a casa a volte cadeva la maschera». Donna «Samuele – continua Bruno – era perfettamente consapevole che la dimensione dominante in lui era quella femminile. Durante tutta la sua vita c’è stata una graduale rielaborazione e comprensione di sé stesso, con fatica, fino alla decisione di declinare il suo nome al femminile: Samuelle. Per noi è sempre stato “il” fratello, ma ultimamente ci siamo trovati “la” sorella. Era giusto riconoscere questo passaggio, parlare a “lei” al femminile, perché sentivi che aveva trovato La prima pagina del quotidiano del Trentino in occasione del funerale. il suo essere e quindi chiamarla con quel nome significava accoglierla fino in fondo». Interviene Leonia: «La decisione del cambio di sesso l’ha presa proprio perché pensava che in questo modo sarebbe stato accettato. Ma soprattutto lo faceva per gli altri. Mi diceva: “Pensa, mamma, a quelli che sono rifiutati, cacciati da casa perché i loro compagni non sono accettati, e vivono l’angoscia della solitudine. Io ho la forza di battermi per loro”. Ma nella mia cultura contadina il corpo è sacro, per cui ribattevo: “Dio ti ha fatto così, accettati, truccati e vestiti come vuoi, ma non farti operare”. Paventavo la possibile sofferenza e la devastazione del corpo. Naturalmente intorno a lui c’erano altri personaggi che invece lo spingevano a farlo. Non c’è stato niente da fare. Lui mi spiegava: “Mi sento donna e voglio vivere come donna. Se non ho il seno come metto un abito femminile?”. A 40 anni ha fatto la cura ormonale e poi l’operazione per il seno. In parallelo ha iniziato la battaglia legale per il cambio del nome al femminile. Secondo l’avvocato le perizie psicologiche che aveva fatto erano state positive e avrebbe vinto la causa. L’operazione al seno è stata comunque per lui devastante, sia a livello psicologico che fisico. Aveva dolori continui». L’ultimo anno È ancora Mario che riprende il filo: «L’anno scorso mi ha telefonato: “Papà, vieni a prendermi, torno a casa, sto malissimo”. Era scoppiato dentro, non ce la faceva più. Abbiamo pianto insieme tutto il viaggio. Gli ho proposto di venire con me a Medjugorie: sono stati giorni bellissimi, gli altri del “Il valore della persona deve prevalere sempre, a prescindere dalla sua sessualità”. Samuelle Samuelle Regina Daves. gruppo gli hanno fatto festa. Era generoso, aiutava chi era in difficoltà. Ha pagato anche per le persone emarginate come lui. Ha fatto colloqui con un frate francescano. A un amico morente di Aids, Samuele scriveva: “Dio è misericordioso. La Madonna ha braccia infinite e ci ama tutti. Ti voglio con me nel Paradiso”». Bruno precisa: «A Milano stava per farla finita, ma poi ha pensato che prima doveva prepararsi e prepararci. Per questo è tornato a casa. La sua fatica di vivere gli faceva dire: “Non ce la faccio più, la faccio finita”, ma il rimpianto era sempre lo stesso: “Avrei voluto innamorarmi di qualcuno con cui condividere la vita puntando su ideali alti”. Ha vissuto l’ultimo anno provando a rilanciare amicizie, lavoro, la causa in tribunale, un po’ di politica: essersi candidato alle elezioni ha fatto diventare di pubblico dominio il fatto che fosse transgender. Per il suo livello culturale è stato chiamato in tv come opinionista, da Chiambretti. Questo gli permetteva di impegnarsi per le persone come lui in difficoltà, e di rilanciare i valori che aveva condiviso in gioventù con i giovani dei Focolari, per esempio Omnia vincit amor. Finito il programma tv, c’è stato l’ultimo crollo psicologico. Dentro era spento, non aveva più voglia. La mattina del suo compleanno, il 14 settembre, si è chiuso in camera e si è gettato dalla finestra. Ha lasciato una lettera: “Mamma e papà: solo grazie, ma sono più serena così. La vita mi è troppo grave, la fede vi sarà di conforto”». Con gli occhi umidi, mamma Leonia ricorda che «è stata una creatura speciale, per sensibilità e amorevolezza. Dobbiamo ringraziare Dio di avercela donata, nella certezza che non può amarla meno di noi. Perciò ci ritroveremo nella Sua luce». Per il funerale hanno concelebrato 12 sacerdoti. La chiesa era gremita di persone, credenti e no, alcune arrivate da Paesi lontani. Tutti l’hanno chiamata e ricordata al femminile. Come nome nuovo aveva scelto Samuelle Regina Daves. Regina, in onore della Madonna, Regina della pace. cittànuova n.9 | Settembre 2016 75 idee e cultura VISIONI obama e il senso della storia Le radici del realismo politico del presidente che lascia la Casa Bianca. Il pensiero del teologo Niebuhr. Intervista a Giovanni Dessì (Istituto Sturzo) Dopo 8 anni trascorsi al comando della superpotenza Usa, Barack Obama lascia la presidenza. Facendo un bilancio, si può forse leggere un forte legame tra le azioni del primo presidente afroamericano e il pensiero di Reinhold Niebuhr, il teologo considerato il padre del realismo politico statunitense. Giovanni Dessì, professore di Storia delle dottrine politiche a Roma 2 e segretario generale dell’Istituto Luigi Sturzo, è tra i maggiori studiosi di Niebuhr. Quali sono le tracce del pensiero di Niebuhr in Obama? Già in un’intervista del 2007 il presidente Obama aveva ricordato 76 cittànuova n.9 | Settembre 2016 Reinhold Niebuhr come uno dei suoi autori di riferimento. L’idea centrale che Obama riprende dal teologo protestante morto nel 1971, riproposta nel suo discorso tenuto in occasione del conferimento del Nobel per la pace, è che il male, la fatica e il dolore non possano essere eliminati interamente dal mondo. Questa convinzione si radicava per Niebuhr nella consapevolezza, maturata negli anni delle due guerre mondiali che hanno segnato il ’900, che le migliori intenzioni dell’uomo moderno di sconfiggere totalmente il male avevano condotto a forme di idealismo politico incapaci di considerare la realtà storica nella sua complessità. In altre parole la pretesa di moralizzare interamente il mondo poteva condurre solo a una cecità nei confronti delle concrete dinamiche di potere, aumentandone la forza distruttiva. Come si legge questa visione nell’azione politica del presidente Usa? Nel realismo nei confronti della politica. Piuttosto che una politica intesa come realizzazione integrale di principi ideali, Obama ha espresso una politica che, seppure animata da forti ideali, può essere compresa come tentativo di rimedio, di limitazione del male. Egli ha evitato un certo prometeismo, che si esprime nella convinzione che il mondo possa essere totalmente rifatto dalla volontà e dall’impegno dell’uomo. D’altra a cura di Carlo Cefaloni Jacquelyn Martin/AP politiche sull’Impero del bene o del male… Bisogna tener conto che in Niebuhr la consapevolezza della complessità e drammaticità dell’azione politica scaturiva dalla sua concezione della libertà: riteneva che la libertà umana, come tendenza di autorealizzazione, trascendimento e aspirazione al significato, fosse all’origine delle più grandi conquiste umane. Pensava che questa stessa libertà potesse sbagliare identificando il proprio compimento in beni parziali. La posizione nei confronti della politica aveva quindi origine dalla complessità della natura umana, allo stesso tempo immagine di Dio e peccato. parte non ha rifiutato strade pericolose (e a volte aspre) per realizzare i propri intenti, soprattutto a livello di rapporti internazionali. Sebbene possa sembrare paradossale, si potrebbe parlare di umiltà: certamente non si tratta di scarsa considerazione del suo ruolo e dell’importanza globale delle sue scelte. Si tratta piuttosto sia della consapevolezza che il male non sarà mai eliminato dal mondo, perché non verrà mai rimosso dal cuore dell’uomo, sia dell’accettazione che la responsabilità, per coloro che sono chiamati a decidere, può comportare scelte che individualmente non sarebbero tollerabili. Tra queste due dimensioni, quella relativa alla necessità di raggiungere obiettivi concreti e quella delle convinzioni morali personali, non ci può essere una radicale separazione. La consapevolezza di questo legame e la percezione che agire politicamente può significare, in precise circostanze, favorire la prima dimensione, impedisce al politico di considerare la propria attività come una trasposizione in politica della lotta tra bene e male. Impedisce al politico di pensare a sé stesso come a un simbolo del bene contro il male nel mondo. Un bel passo avanti rispetto a certe rudimentali teologie E oggi, quale consegna da questa presidenza che termina? Oggi le posizioni niebuhriane non appaiono dominanti nella scena politica americana, al contrario caratterizzata da una polarizzazione tra posizioni che il teologo avrebbe probabilmente definito come fondamentalismo e progressismo. Nell’era della semplificazione mediatica, dell’imporsi della cultura del narcisismo e dello strapotere della finanza internazionale, il riferimento di Obama a Niebuhr, certamente limitato dalla necessità di tenere conto di precisi condizionamenti storici, appare comunque un atto di coraggio. D’altra parte uno degli insegnamenti meno richiamati di Niebuhr, è l’idea che la storia, proprio perché creata dalla libertà degli uomini, esprima non solo gli errori della libertà, ma anche le tracce della grandezza umana, segni che chi svolge un ruolo politico deve ascoltare e seguire. cittànuova n.9 | Settembre 2016 77 idee e cultura PARADISO TERRESTRE noi, gli animali e dio Un barbone, un cane abbandonato, una fedeltà senza limiti. Riusciamo a capire che c’è un’alleanza tra il creatore e ogni essere vivente? In Giappone il cane Achiko ritornò ogni giorno, fino alla sua morte, alla stazione ferroviaria dove arrivava sempre il suo padrone, anche dopo la morte di lui, né fu possibile convincerlo a smettere. Giustamente gli hanno 78 cittànuova n.9 | Settembre 2016 dedicato una statua e un film. A Catanzaro vivevano insieme da mesi un barbone e un cane abbandonato, che si erano adottati l’un l’altro. Giorni fa il “padrone” è morto e il cane ha abbaiato prima per risvegliarlo, poi per attirare di Giovanni Casoli l’attenzione dei passanti, poi per “difendere” l’uomo, e i poliziotti hanno faticato non poco per arrivare all’uomo morto. Noi crediamo di vivere nello stesso mondo degli animali, ma non è vero. Essi vivono nel paradiso terrestre, noi ne siamo stati giustamente allontanati per gli effetti della colpa originale di voler essere “come Dio”, e ne subiamo e facciamo subire anche agli animali tutte le conseguenze. Il grande poeta Rainer Maria Rilke dice che noi abbiamo la testa voltata indietro, gli animali vivono nell’“Aperto” e hanno davanti a sé solo Dio. Nel capitolo nono della Genesi Dio fa «alleanza tra me e voi e ogni essere vivente che è con voi»: dopo il peccato. Ma noi siamo ancora qui duri, durissimi a capire l’alleanza di Dio non solo con noi, colpevoli, ma anche con gli animali, innocenti. Dio disse: «Questo è il segno dell’alleanza, che io pongo tra me e voi e ogni essere vivente che è con voi, per tutte le generazioni future. Pongo il mio arco sulle nubi, perché sia il segno dell’alleanza tra me e la terra. (Genesi 9, 12-13) pensare l’unità JESÚS MORÁN Quale anima per l’Europa? Jesús Morán è copresidente del Movimento dei Focolari. Laureato in Filosofia, è specializzato in antropologia teologica e teologia morale. «Dio sta morendo. In Europa è persino già morto. […] Ci domandiamo: perché l’Europa? Perché solo l’Europa? L’unica, nello spazio planetario e nella storia dell’umanità, a produrre una civiltà senza Dio?». Queste parole del filosofo André Glucksmann, recentemente scomparso, lapidarie nella loro durezza, pongono una domanda ineludibile che richiede risposta, altrimenti difficilmente potremo far fronte alle sfide immani che ci interpellano, come persone e come comunità. Perché l’Europa ha dato vita negli ultimi secoli a una cultura che ha fatto di Dio non un mistero, ma un problema irrisolvibile? E, di conseguenza, ha fatto dell’uomo un problema inestricabile nel rapporto con sé stesso, con gli altri, con il cosmo, con l’Assoluto? La domanda è tanto più “scandalosa” se si pensa alla storia del continente europeo che ha elaborato, nei secoli, un forte e originale umanesimo spirituale, artistico, filosofico, scientifico, giuridico, politico. In piena Seconda guerra mondiale, un grande interprete della cultura europea, Bonhoeffer, si domandava: «Come parliamo di Dio senza religione, cioè appunto senza i presupposti storicamente condizionati della metafisica e dell’interiorità?». Nel 2004, l’allora card. Ratzinger si domandava se non fosse vero, come affermava Toynbee, che il destino delle società dipende in gran misura da minoranze creative. Forse – sosteneva – è questo il compito che spetta ai cristiani: concepire sé stessi come la minoranza creativa che porta l’Europa a riscoprire la sua eredità. Quale sia questa eredità ci viene ricordato da intellettuali del calibro di H.G. Gadamer e G. Steiner: da prospettive diverse vedono entrambi per l’Europa un compito “tanto spirituale quanto intellettuale”. Per Gadamer: «Vivere con l’altro, vivere come l’altro dell’altro, è un compito universale e valido, nel piccolo come nel grande. Come noi, crescendo ed entrando nella vita, impariamo a vivere insieme all’altro, lo stesso vale per i grandi gruppi umani, i popoli e gli Stati. Ed è probabilmente un privilegio dell’Europa il fatto di aver saputo e dovuto imparare, più di altri Paesi, a convivere con la diversità». Questo destino richiede la creatività, l’ingegno, la capacità di rialzarsi e superare i propri limiti che sono sempre stati parte dell’anima dell’Europa, come dimostra la sua storia, soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale. In quel momento, quando lo scenario di devastazione era sotto gli occhi di tutti, i Padri fondatori hanno manifestato l’audacia non solo di sognare un’altra idea di Europa, ma anche di incominciare a metterla in atto, puntando sull’integrazione di tutto il patrimonio del continente. Si tratta, quindi, di tornare a una cultura dei diritti umani che sappia legare la dimensione personale a quella del bene comune di tutti i gruppi intermedi che si uniscono nella comunità sociale e politica, senza perdere di vista la dignità trascendente dell’essere umano. In questo percorso, il ruolo delle comunità ecclesiali si presenta ancora una volta decisivo, perché questa è la loro missione: l’annuncio gioioso della buona novella. In un’epoca in cui sembra si sia spezzata “l’alleanza culturale” delle Chiese con la società circostante, si tratta di ritornare al Vangelo, di suscitare incontri significativi alla luce della Scrittura, dei racconti evangelici, onde generare la stessa vita generata da Gesù di Nazareth. Come ha sottolineato poche settimane fa papa Francesco, in occasione della consegna del Premio Carlomagno: «Dio desidera abitare tra gli uomini, ma può farlo solo attraverso uomini e donne che, come i grandi evangelizzatori del continente, siano toccati da Lui e vivano il Vangelo senza cercare altro. Solo una Chiesa ricca di testimoni potrà ridare l’acqua pura del Vangelo alle radici dell’Europa. In questo, il cammino dei cristiani verso la piena unità è un grande segno dei tempi, ma anche l’esigenza urgente di rispondere all’appello del Signore perché tutti siano una sola cosa (Gv 17, 21)». L’Europa ha una indiscussa vocazione all’incontro, all’unità nella diversità. Questa vocazione si declina come progetto culturale di fraternità vissuta, misticocontemplativa ed etica. Solo realizzando questo progetto l’Europa potrà ricuperare Dio e l’uomo. idee e cultura IL PIACERE DI LEGGERE giornalisti scrittori Il Ciclope PAOLO RUMIZ Feltrinelli, € 15,00 /recensione a cura di PIETRO PARMENSE Il valore dei valori GIUSEPPE ARGIOLAS Città Nuova, € 20,00 Quando si dice impresa, si pensa inconsciamente che non sia possibile portarla avanti mettendo al centro la persona e valorizzando i territori. Arriviamo così al caso dell’amministratore delegato che, in un incontro pubblico, ha postulato la necessità di terrorizzare i dipendenti per ottenere 80 cittànuova n.9 | Settembre 2016 Non è una novità che celebri giornalisti siano sospettati di aver “corretto” i loro reportage, e che non proprio tutto quello che viene raccontato sia veramente accaduto. Tra i sospettati, firme straordinarie come quelle di Kapuściński e della Fallaci, o penne meno belle ma più mediatizzate come quella di Bernard Henri-Lévy. In qualche modo li si accusa di aver dato una passata di belletto alla loro prosa, per renderla più avventurosa, spesso descrivendo le loro avventure come vere e proprie “imprese”. Anche questo Il ciclope, del giornalista e scrittore triestino Paolo Rumiz, apre un’infinità di sospetti sulla realtà di quanto da lui vissuto e soprattutto sulla localizzazione dell’isola dove avrebbe trascorso un mese. Sembra si tratti dell’isola croata di Palagruža, geologicamente legata al Gargano, da cui dista soltanto 53 km. Ma in fondo poco importa perché questo è un racconto, è fiction scritta su una base di realtà. Inutile cercare di capire se Rumiz sia stato colpito da un fulmine o meno, e francamente non ce ne importa. Perché il protagonista vero di questo racconto è il faro, non tanto il Faro del Ciclope, ma “l’eterno faro”, il faro ancestrale, la luce nella notte, il mare turbinoso, il vento, la natura al suo stato primordiale… Con una nota di “maschia poesia” e qualche affermazione filosofica un po’ gratuita. Ma la lettura è gradevole, con profusione di aneddoti e dati storici, geografici e marinari che rendono ricco il racconto. migliori risultati. Sono poi arrivate le scuse, ma vale l’onestà intellettuale di aver parlato chiaro per far comprendere la logica dell’azienda schiacciata sull’unica dimensione del profitto. Un dogma accettato, di fatto, da tante persone teoricamente per bene. Il libro dell’economista Argiolas è per coloro che vogliono capire i sistemi manageriali e passare dalle prediche alla vita reale. Con linguaggio comprensibile, ci fa entrare nei meandri dell’impresa moderna e delle sue sfide. Consigliato dall’Aipec, l’associazione degli imprenditori EdC che accoglie come soci anche lavoratori e disoccupati. Persone forse ingenue, ma libere, con i piedi per terra. /recensione a cura di CARLO CEFALONI Solo i malati guariscono. L’umano del (non) credente LUIGI MARIA EPICOCO San Paolo, € 10,00 È fresco di stampa il testo del giovanissimo Luigi Maria Epicoco, prete alla parrocchia San Giuseppe Artigiano nella diocesi de L’Aquila, evangelizzatore preparato e arguto (ascoltatelo su YouTube o tramite il suo blog “Orfeo Malato”). Quest’ultimo suo lavoro si rivolge a un pubblico di fratelli credenti e no, che desiderano camminare insieme. L’obiettivo è spiegare che la debolezza non è cosa brutta o sbagliata, ma è anzi lo stato d’animo di chi desidera guarire. D’altronde anche Dio si è fatto uomo, quindi fragile, venuto ad abitare la terra per salvare «non i sani a cura di Gianni Abba ma i peccatori». La forza della debolezza è nel testo portata alla ribalta anche da testimonianze fresche di vita e intrise di dubbi, a cui egli stesso non riesce a rispondere. Sarà la sua “umanità” a far trovare a un giovane ateo la via per la madre Chiesa. /recensione a cura di PATRIZIA CAROLLO 1946. La guerra in tempo di pace VICTOR SEBESTYEN Rizzoli, € 28,00 Può un libro emozionare e deprimere, amareggiare e avvincere? 1946 fa proprio in libreria questo (doppio) effetto. Scoprire con dovizia di dettagli, che l’immediato dopoguerra quanto a conflitti, violenze, tragedie, errori diplomatici, odio, disperazione sia stato quasi un sequel della Seconda guerra mondiale non è incoraggiante. D’altra parte il testo di Sebestyen è come un romanzo corale, la saga dell’Europa che si lecca le ferite. Sebestyen si è documentato benissimo e non trascura nulla. Va alle radici della Guerra Fredda, della Cortina di Ferro, della nascita di Israele; racconta la guerra civile in Grecia, il dramma di milioni di profughi nell’Europa orientale (non erano bastati i campi nazisti!), la contrastata denazificazione della Germania, il crollo degli imperi coloniali, ecc. Tutto in un anno, terribilmente denso, che aiuta a capire il nostro presente. /recensione a cura di MARIO SPINELLI a cura di ORESTE PALIOTTI San Paolo, € 16,00 Dario è un ragazzo Con linguaggio e studente difficile. divulgativo l’Autore Come punizione deve fare assistenza a un approfondisce compagno disabile… le conseguenze TESTIMONIANZE NARRATIVA NARRATIVA FAMIGLIA Il solenella fra letempesta dita Figli Gabriele AntonelloClima Vanni San Paolo, € 14,50 Ora ho due compleanni Francesca Sartorio Effatà ([email protected]), € 14,00 L’autrice, colpita da tumore, ha scelto di non arrendersi al male. Una storia vera. drammatiche del divorzio. Esperti a confronto sull’ideale d’una città concreta. Disagi, accoglienza, dialogo. MARIOLOGIA TESTIMONI SOCIETÀ FILOSOFIA Per una città interculturale e interreligiosa Aa.Vv. Morcelliana, € 18,00 TELEVISIONE BAMBINI I misteri La democrazia del Sacro del talk Bosco di Bomarzo show Antonello Vanni Edoardo Novelli, San Paolo, € 16,00 Carocci, € 18,00 Una guidache ha Storiainsolita d’un genere cambiato per la televisione, illustrata presentare la l’Italia. ai politica, più piccoli un Da luogo Jacobelli a Santoro, incantato. l’evoluzione di un modo di far politica in tv che EPISTOLARI tanti danni (e qualche ha portato Ibeneficio) misteri del Sacro nel nostro (p.p.) BoscoPaese. di Bomarzo MEDIA STORIA I misteri del Internet, i nostri Sacro diritti Bosco di Bomarzo A. Masera/G. Scorza Antonello Vanni Laterza, € 12,00 San Paolo, € 16,00 Una giornalista e un avvocato, docente Una insolita guida di diritto, cercano di illustrata per presentare investigare il terreno ai più piccoli un luogo sdrucciolevole dei diritti incantato. nella Rete, tra garanzia di libertà di chi vi partecipa, e dei diritti di chi ne LETTERATURA usufruisce. (p.p.) I misteri del Sacro Antonello Vanni FILOSOFIA/TEOLOGIA San Paolo, €della 16,00 La filosofia Bibbia Una insolita guida Sergio Quinzio, illustrata per € presentare Morcelliana, 18,50 ai più piccoli un luogo Il grande pensatore ligure incantato. Bosco di Bomarzo STORIA E RELIGIONE Antonello Vanni Amore senza fine. San Paolo, € 16,00 Amore senza fini Una insolita guida Alberto Melloni illustrata presentare il Mulino, per € 12,00 ai più piccoli un luogo Una lettura dell’istituzione incantato. Edb, € 24,00 ci offre con questo testo una visione assai originale ISLAM della Scrittura ebraicoporta in Icristiana, misteri che del Sacro ogni suadiriga le tracce Bosco Bomarzo dell’elezione del popolo Antonello Vanni ebraico. (p.p.) Approfondito studio Con linguaggio esegetico che mette in divulgativo l’Autore luce l’eccezionale portata storico-salvifica del Cantico approfondisce di Maria. le conseguenze San Paolo, € 16,00 San Paolo, € 16,00 Una insolita guida illustrata per presentare ai più piccoli un luogo incantato. Una insolita guida illustrata per presentare ai più piccoli un luogo incantato. IFigli l Magnificat nella tempesta Alberto Valentini Antonello Vanni San Paolo, € 16,00 matrimoniale alla luce dei cambiamenti epocali SCIENZA portati nella società modernità e nella Idalla misteri del Sacro Chiesa dalla novità del Bosco di Bomarzo papa argentino. Molto Antonello Vanni stimolante. (p.p.) drammatiche. cittànuova cittànuovan.9 n.1| |Settembre 1 gennaio 2016 2015 81 reportage NEW YORK 15 ANNI DOPO Il Memorial museum custodisce nelle fondamenta delle Torri gemelle le testimonianze e i reperti del giorno che ha cambiato la storia degli Stati Uniti e di tutto l’Occidente Christina Horsten/AP di Maddalena Maltese dentro le viscere dell’11 settembre reportage NEW YORK 15 ANNI DOPO Chris Melzer/AP Un gruppo di visitatori nel museo dell’11 settembre davanti a “l’ultima colonna” lasciata intatta tra le macerie dopo il crollo. 9/11. Nine eleven. Bastano due numeri per ricordare agli statunitensi uno dei giorni più tragici della loro storia: l’11 settembre 2001. Non bastano invece i 7 piani sotto terra del Memorial museum a contenerne il lutto. E non espiano il dolore i 2983 nomi incisi sulle balaustre delle due vasche, che disegnano il perimetro di quelle che fino alle 8.46 e alle 9.03 di 15 anni fa erano le Torri gemelle. Quel mattino due aerei di linea dirottati da un commando di terroristi di origine mediorientale si schiantarono sulle Torri. Oggi sono due voragini, su cui si riversa una cascata d’acqua di migliaia di metri cubi, a dare le proporzioni delle fondamenta e dell’altezza. Al tramonto le pareti di questi abissi si colorano di arancio e giallo, effetto del riflesso delle migliaia di luci sulla lega d’alluminio e rame di cui 84 cittànuova n.9 | Settembre 2016 Un mazzo di fiori sui nomi delle vittime incisi sulle balaustre di una delle due vasche. sono forgiati. Qui sorgevano i due grattacieli più alti della Grande mela, quelli delle cartoline e delle foto ricordo, luogo di lavoro di 50 mila persone: il World trade center, il centro d’affari della città e non solo. Dopo 15 anni il cantiere è ancora aperto: si lavora a una stazione della metro e alla chiesa greco-ortodossa sventrata dai crolli. New York esorcizza la tragedia edificando del nuovo. Ci si scopre ad accarezzare quei nomi con le dita, quasi che il contatto fisico possa restituire, per qualche secondo, una sorta di consolazione alle vite spezzate Bebeto Matthews/AP Attorno alle enormi vasche si ergono 400 querce bianche disposte in filari ordinati. Ognuna celebra il coraggio dei poliziotti, pompieri, medici, volontari che persero la vita nelle operazioni di salvataggio: il Memorial plaza, la piazza della memoria, è dedicata a loro. Intanto qualche rosa bianca o rossa viene appuntata sui nomi delle vittime incisi sul parapetto delle vasche. I giocatori del Bayern Monaco vi depositano fiori e qualcuno infilza una bandiera americana. Ci si scopre ad accarezzare quei nomi con le dita, quasi che il contatto fisico possa restituire, per qualche secondo, una sorta di consolazione alle vite spezzate dei Ragusa, Fazio, Ricciardelli. Tanti gli italoamericani, ma ci sono pure russi, coreani, irlandesi e poi buddhisti, musulmani, ebrei, cristiani. Questa è la tomba di un pezzo di umanità. Resti delle colonne perimetrali del World Trade Center installate nel museo dell’11 settembre. Ho perso un amico George e Lucille sono due volontari che in questa piazza custodiscono la memoria di quel giorno e del periodo seguente. Ben 16 milioni di persone hanno finora visitato questo luogo. Lucille ha visto il crollo dalle finestre del suo ufficio: una volta in pensione ha deciso di accogliere chi arriva qui a conoscere, a capire. «Dopo avergli raccontato dell’albero della cittànuova n.9 | Settembre 2016 85 NEW YORK 15 ANNI DOPO Craig Ruttle/AP reportage Andraya Croft/AP Un’immagine dell’ex World Trade Center riflessa sul vetro del 9/11 Memorial Museum. Il caschetto da vigile del fuoco del tenente David Halderman, morto durante i soccorsi. memoria e mostrato le foto, i volti e gli atteggiamenti cambiano. Nascondono bibite e panini. Le loro scarpe poggiano su un suolo ancora dolente». L’albero della memoria è un pero chanticleer, con fiori dal profumo intensissimo. Riemerse ancora vivo quando 1.8 milioni di tonnellate di macerie furono rimosse dalla piazza. Curato nel giardino botanico del Bronx, è tornato nella sua sede. Incrocio anche scettici e polemici: «Leggi i prezzi per l’ingresso al museo: gli americani sanno far soldi anche dalle tragedie»… 86 cittànuova n.9 | Settembre 2016 «Hanno creato un cimitero a pagamento». E qui è George a prendere la parola con le sue foto consumate dal tempo. Lui ha perso un amico, un pompiere. Non discute. Racconta della polvere che per giorni sovrastava la città e che oggi si pensa sia causa di oltre 5 mila tumori. Racconta di chi scavava a mani nude tra il ferro rovente. Mostra ragazze con in mano la foto del fratello, del marito, del padre. Chiedevano ragione o un corpo o almeno uno di quei 1900 brandelli umani ritrovati tra gli scavi. Il suono dei ricordi L’attesa concitata all’ingresso del Memorial museum diventa silenzioso raccoglimento man mano che ci si avvicina alla cupola in vetro. Il rituale dei controlli smorza la tensione e appena dentro il vociare riprende. Ma non si ride. E non si salgono scale. Si scende. Si fa una gimkana tra i pannelli virtuali su cui i visitatori, in forma sonora e scritta, incidono la loro memoria di quel giorno. «C’è un tempo prima e un tempo dopo l’11 settembre», commenta Robert De Niro, aprendo la app che funge da audio guida. Non c’è spazio neppure per la sua voce suadente. Si ha bisogno di silenzio mentre si scende la scala in cemento grezzo, costruita sulla rampa che i soccorritori scavarono per individuare i primi seppelliti dalle macerie. Si continua a scendere a fianco del tridente, la colonna d’acciaio piegata dall’urto dell’aereo tra il 93° e il 96° piano della Torre sud. Dall’altro lato ci sono i 38 gradini di Vesey street, la via di fuga per gli impiegati della Torre nord, la differenza tra chi ce l’ha fatta e chi no. La penombra è costante, fino alle fondamenta in granito che reggevano i 110 piani. Qui una parete di mattonelle dall’azzurro al cobalto, al celeste, al color lavanda ti si para innanzi con un’enorme scritta: No day shall erase you from the memory of time (nessun giorno vi cancellerà dalla memoria del tempo). A Virgilio viene affidato il senso di questa tragedia e il dovere di non dimenticarla: non archiviare i colori del cielo di quel mattino riprodotti dalle piastrelle e neppure i resti d’acciaio della Torre con cui sono state forgiate le lettere della frase. Appena dietro, un muro raccoglie le foto delle vittime. Primi piani. Scatti di festa o in uniforme. Mentre le osservi, ascolti voci che ne pronunciano il nome e il legame d’affetto. Tutti nella sala registrazione possono incidere la loro memoria, mentre in un cubo nero si ascoltano i racconti di queste vite spezzate. /AP Il calvario di Ground zero L’antenna di teletrasmissioni situata sulla Torre nord si para innanzi in tutta la sua imponenza ferita. C’è poi il primo camion dei pompieri che accorse e fu travolto dai crolli. E lei, l’ultima colonna in acciaio a essere stata rimossa. da udire e vedere. Gli schermi all’ingresso e lungo il percorso trasmettono le immagini delle tv di tutto il mondo con lo schianto, i crolli delle Torri, l’attentato al Pentagono e l’abbattimento (o la caduta) del volo United 93 in Pennsylvania. Quasi nascoste sono le riprese di chi si è lanciato nel vuoto. Non si possono trattenere le lacrime, osservando i 23 secondi che li hanno separati dalla morte. In una teca in vetro si slancia verso l’alto la croce ritrovata da Frank Silecchia: l’operaio la Foto e filmati sull’attacco aereo nel 9/11 Memorial Museum. Densa di scritte e messaggi, ricorda operai, fabbri, volontari, assistenti spirituali sacerdoti, ristoratori e forze dell’ordine che si spesero per la bonifica di Ground Zero. Il numero 37 che spicca in alto è l’omaggio al sacrificio di 37 agenti della polizia portuale. Infine una porta a vetri si apre sul museo vero e proprio, che espone oltre 2900 reperti. Scarpe rosa impolverate, Clark consumate dalle fiamme, mostrine e berretti d’ordinanza, autoambulanze e macchine della polizia; e anche qui parole, individuò in un atrio sotterraneo formato dai detriti. È il calvario di Ground zero ai cui piedi, per mesi, si sono celebrate messe e funzioni religiose. Dopo l’11 settembre, le indagini che portarono a individuare in Osama Bin Laden il mandante dell’attentato concludono il percorso storico, non senza interrogativi. Perché, se i terroristi erano in prevalenza sauditi, si dichiarò guerra all’Iraq di Saddam e non all’Arabia Saudita? Perché non si fa memoria del recente rapporto Chilcot in cui Toni Blair, tra i fautori del conflitto, dichiara di essersi sbagliato e non si fa lo stesso con le dichiarazioni di Colin Powell che confessava di essere stato costretto a mentire all’Onu sul possesso di un arsenale nucleare da parte di Saddam? Quanto questa scelta armata ha influito sulla formazione dell’Isis e sull’odierna strategia terrorista? Questo è l’angolo più scomodo del museo, perché vi si incrociano le vicende di ieri e di oggi, quella dell’Occidente e del Medio Oriente, senza happy end. Si risale dalle viscere di Ground zero sulle scale mobili e si vede la luce, ma ci si volta indietro spesso perché in quell’oscurità ciascuno ha capito qualcosa di sé, del dolore e della speranza che continuano a scrivere la Storia. 16 milioni di persone hanno visitato questo luogo dalla sua inaugurazione. Difficile definirsi turisti in quello che è un sacrario. cittànuova n.9 | Settembre 2016 87 arte e spettacolo il reale scrive le storie CINEMA La commedia all’italiana è il genere principale della cinematografia nazionale. Cresce la capacità espressiva. Mancano ancora grandi personaggi «È tornata la commedia all’italiana», esulta uno. «Andiamoci piano», lo stoppa prontamente un altro. «Ma come – ribatte infastidito il primo –, e Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese dove me lo metti? E Smetto quando voglio di Sidney Sibilia non ha fatto morir dal ridere toccando il doloroso Scena da “Quo vado”, con Checco Zalone. “Perfetti sconosciuti” di Paolo Genovese. 88 cittànuova n.9 | Settembre 2016 tema del lavoro? E dell’ultimo Zalone che mi dici? Il suo Quo vado non ha divertito milioni di italiani con intelligenza e genialità?». «Sediamoci – sospira l’interlocutore cauto, lasciando intendere che la questione è articolata e le va dedicato tempo –. È vero – risponde con pazienza all’entusiasta –, i titoli che citi hanno sbancato al botteghino senza vendersi alla farsa e senza rifugiarsi nella baia delle crisi sentimentali; raccontano i problemi del presente e appartengono a una nuova generazione di registi. Ciò fa ben sperare per il futuro». Questo accenno di dialogo tra due appassionati osservatori di cinema italiano è ovviamente immaginario, ma aiuta a dipingere il complesso momento attraversato dalla nostra commedia, oggi. Lo spettatore entusiasta continua ad ascoltare l’altro per scovare l’origine della sua diffidenza. «Come i registi di cui parli – prosegue ancora l’osservatore scettico –, ce ne sono anche degli altri: Edoardo Leo, le cui più recenti commedie, La mossa del pinguino e Noi e la Giulia, sono legate nuovamente al tema del lavoro; Massimiliano Bruno, che con Gli ultimi saranno ultimi ha completato il suo crescendo espressivo e ha parlato di crisi economica e di contratti di lavoro non rinnovati; Pif, che con preziosa leggerezza ha raccontato addirittura la storia della mafia siciliana: il suo La mafia uccide solo d’estate è stato l’esordio più apprezzato degli ultimi anni e c’è attesa per il secondo film del regista siciliano, in sala dal 27 ottobre con In guerra per amore, di nuovo miscela di commedia, mafia e Storia d’Italia, visto che si parlerà dello sbarco degli americani in Sicilia, nell’estate del ’43. Ci metto pure Roan Johnson – aggiunge l’osservatore prudente Il regista Paolo Virzì. Alberto Sordi e Vincenzo Crocitti in “Un borghese piccolo piccolo”. Vittorio Gassman e Jean-Louis Trintignant in “Il sorpasso”. – che a Venezia ha presentato da pochissimo la sua terza commedia, Piuma, e ancora una volta ha parlato (con realismo) di giovani e del presente non semplice che li circonda». Lo spettatore soddisfatto adesso è in confusione. Continua a non capire dove sia il problema. «Ma insomma – chiede seccamente all’altro –, il momento per te è positivo o negativo?». La risposta è la seguente. «La principale caratteristica della commedia all’italiana è sempre stata quella di attingere dalla realtà, e da questo punto di vista il presente è migliore del passato recente, quando le nostre commedie, concentratissime sui sentimenti, furono ribattezzate con sarcasmo “telefonini bianchi”. Fu Citto Maselli a definirle così, paragonando gli amori giovanili di Moccia e Brizzi al lontano cinema fascista dei “telefoni bianchi”, ovvero commedie servite dal regime per distrarre lo spettatore con turbolenze amorose di ragazzi che in zona cesarini afferravano il lieto fine. Oggi il presente è tornato nella commedia, e questo è un bene. Ma basta? Prendiamo Perfetti sconosciuti, la più strutturata ed elegante commedia dell’ultimo periodo, capace di portare tanta gente al cinema e di guadagnare i complimenti della critica. Per carità, un film scritto bene, come si dice in gergo e messo in scena ancora meglio. Ma dopo la pregevole tensione della proiezione, stringi stringi, cosa ti porti a casa? Quali profonde verità hai ascoltato dai tanti protagonisti? Il respiro della vita lo hai sentito? È questo il punto. Una generale crescita espressiva è evidente, ma mancano ancora i grandi personaggi che ti fanno male perché ti somigliano, che ti fanno pena e tenerezza perché pensi che esistano davvero. Silvio Magnozzi di Una vita difficile, Gianni Perego di C’eravamo tanto amati, Bruno Cortona de Il sorpasso, Giovanni Vivaldi di Un Borghese piccolo piccolo. Ecco, allora, che prontamente, di fronte a tanta nostalgia, l’unico che ci viene in soccorso solitario continua ad essere Paolo Virzì, l’erede ancora unico della grande commedia all’italiana e dei suoi sorrisi amari. Manca ancora questo – conclude l’interlocutore con riserve – ai giovani e bravi registi italiani di commedia». L’ottimista resta in silenzio. Ha compreso, finalmente, la posizione dell’altro. E forse è un pizzico meno entusiasta. Edoardo Zaccagnini cittànuova n.9 | Settembre 2016 89 arte e spettacolo una mamma per amica TELEVISIONE L’ottava e inedita stagione della serie “Gilmore girls”, sbarcherà in 4 nuovi episodi a novembre prossimo su Netflix Lauren Graham (nei panni di mamma Lorelai) e Alexis Bledel (la figlia Rory). Le ragazze Gilmore stanno per tornare, per la gioia di tutti i fan: l’ottava e inedita stagione di Gilmore Girls, conosciuta in Italia come Una mamma per amica, sbarcherà in 4 nuovi episodi da 90 minuti l’uno, sulla piattaforma Netflix, a partire dal 25 novembre 2016. Il titolo originale della serie rimanda al cognome delle due protagoniste, Lorelai e Rory Gilmore, rispettivamente madre e figlia, che vivono a Stars Hollow, paesino immaginario del Connecticut, popolato da personaggi divertenti e originali. La serie, andata in onda per la prima volta in America nel 2000 e conclusasi inaspettatamente nel 2007 dopo 7 stagioni e 157 puntate, ha rappresentato un vero e proprio cult nel decennio passato, soprattutto grazie ai dialoghi super veloci e spesso 90 cittànuova n.9 | Settembre 2016 nonsense tra madre e figlia. Lorelai e Rory sembrano quasi sorelle: si divertono insieme, condividono gioie e dolori e soprattutto hanno solo 16 anni di differenza. Lorelai ha avuto Rory in giovanissima età e l’ha cresciuta come una ragazza studiosa, responsabile e determinata. La serie ha inizio proprio quando Rory viene ammessa all’interno della prestigiosa Chilton School, un college che le garantirà quasi sicuramente l’ingresso ad Harvard, il suo sogno da sempre. La Chilton è però una scuola molto costosa e Lorelai, suo malgrado, si trova a chiedere un aiuto economico ai suoi ricchi genitori, Emily e Richard Gilmore, ancora scottati dall’onta di una figlia che è madre single e per di più non laureata. La serie si basa quindi sulle vicende personali e amorose che riguardano Lorelai e Rory, ma anche sul rapporto intergenerazionale che vede a confronto mamma, figlia e nonni. La serie, attraverso la cifra stilistica della commedia, affronta temi interessanti, come la determinazione nel portare avanti una gravidanza inattesa, divenuta in seguito motivo di gioia e di realizzazione personale, piuttosto che di impedimento al raggiungimento dei propri obiettivi, così come l’importanza dello studio e della preparazione nel conseguimento dei propri scopi professionali. La nuova serie sarà ambientata nel tempo presente, 9 anni dopo la conclusione della precedente narrazione televisiva. Ogni puntata rappresenterà una stagione diversa nella vita delle protagoniste ņ inverno, primavera, estate e autunno ņ, andando così a ricoprire l’arco temporale di un intero anno. In occasione del revival, Italia Uno sta mandando in onda le repliche della serie, mentre dal primo luglio, Netflix ha reso disponibili in contemporanea tutte le 7 stagioni precedenti, anche in versione originale e sottotitolati. Gilmore Girls è una serie divertente e brillante, che dà il meglio di sé proprio nella versione in lingua originale, che consente di apprezzare i dialoghi witty, ossia spiritosi e scanzonati, intelligenti e molto ironici. Grazie a queste sue caratteristiche, Gilmore Girls è stata citata nel tempo in diverse serie tv tra cui Scrubs, Gossip Girl, Veronica Mars, Ugly Betty e molte altre, testimoniando così il suo successo e forte impatto nella cultura pop del Paese. Eleonora Fornasari il viaggio di amal La Collezione estiva 2016 e il realismo crudo della Sicilia di Dolce & Gabbana rimandano al vocio, alla cantilena quasi araba, ai profumi e ai colori della Vucciria, di Palermo, al cinema italiano di De Sica, Visconti, Rossellini, alla poetica di Togliatti che fa esplodere il conflitto con l’Informale. Le parole di Cesare Brandi sono un omaggio alla Sicilia di Dolce & Gabbana, archetipo senza tempo, signum degli scarafaggi, pubblicato dall’editore patavino BeccoGiallo con un agile racconto illustrato dal titolo L’immigrazione spiegata ai bambini, il viaggio di Amal. Utilizzando un punto di vista caro ai piccoli, quello degli animali, i due autori siciliani affrontano con semplicità e in maniera diretta uno degli argomenti più spinosi del nostro tempo. La gatta Amal, il cane Joe, la capretta: i protagonisti della storia attraversano il Mediterraneo in un viaggio della speranza come migliaia di disperati profughi che affidano il proprio destino a questi veri e propri gusci di noce che sovente li tradiscono. L’approccio chiaro, le grandi illustrazioni, le reazioni forti degli animali agli eventi che si susseguono rapidamente: tutto viene narrato con un tono delicato, quasi sommesso, ma che non omette praticamente nessuna delle problematiche relative a immigrazione, razzismo, guerre e disperazione, i veri protagonisti della storia. Lettura indicata per iniziare a coinvolgere i propri figli in tematiche decisamente spinose. individuationis di attualità perenne di «quella consonanza segreta che lega alla madre, fluido che monta da terra e per le vene risale il corpo, irrora come altro sangue» e che fa riemergere miti mediterranei e mercati arabi, nell’impeto cromatico di gioiosa esaltazione sensuale come nell’affresco del Teatro Vittorio Emanuele di Messina. La Collezione Women’s Carretto 2016 evoca l’incanto e lo stupore di Renato Guttuso bambino mentre osservava dipingere i carretti siciliani, la musica di Marco Betta, il Nocturnes di Debussy, estasi immobile di una moltitudine di variabili, ritmo eterno da cui affiorano le voci e i rumori del mercato. Davide Occhicone Beatrice Tetegan cittànuova n.9 | Settembre 2016 91 MODA dolce & gabbana women’s carretto FUMETTI L’Italia vanta una importante tradizione nel campo della narrativa per l’infanzia: con nomi di spessore, da Collodi a Gianni Rodari, fino a fenomeni odierni come le storie di Geronimo Stilton. C’è inoltre un settore dell’entertainment, quello a fumetti, che ha visto nell’Italia la patria dei più grandi scrittori e disegnatori di storie Disney di paperi e topi (Romano Scarpa, Giovan Battista Carpi, per citarne solo un paio). Oggi, in una libreria, il settore dedicato a volumi illustrati e fumetti per l’infanzia riveste una grande importanza commerciale e culturale. Il tutto con la capacità di raccontare qualsiasi evento e aspetto della vita reale ma con il modo corretto per rendere il tutto fruibile in una età delicata come la prima infanzia. Lo scrittore (di fumetti come di libri di inchiesta) e giornalista Marco Rizzo e il disegnatore (di fumetti e illustrazioni) Lelio Bonaccorso danno un seguito ideale al loro volume La mafia spiegata ai bambini; l’invasione MUSICA E TEATRO arte e spettacolo monster allergy Al Teatro Sistina di Roma la stagione del musical riparte alla grande. Il fumetto Monster Allergy, nato dalla penna del dream team Centomo - Artibani Centucci - Canepa e già fortunato cartone animato prodotto dalla Rainbow, approderà sulle scene il 22 settembre in anteprima assoluta. Una trasposizione teatrale inedita: animazione, effetti speciali e canzoni composte ad hoc. Per l’occasione, poi, è stata fondata una compagnia di artisti composta esclusivamente di bambini e ragazzi tra gli 8 e i 12 anni. I Ciprix, così si chiama il gruppo, nonostante la giovane età, sono tutto fuorché dilettanti allo sbaraglio. La loro storia ha inizio nella Musical Weekend, scuola per giovanissimi fondata da Francesca Cipriani. Il progetto originale: preparare bambini e ragazzi ad affrontare il palcoscenico con gli strumenti giusti. Da veri professionisti. Si tratta in assoluto della prima compagnia stabile del musical composta solo da bambini provenienti da tutta Italia. Una bella occasione, quindi, per avvicinarsi al mondo del fumetto made in Italy e per godere di uno spettacolo adatto a tutta la famiglia. Elena D’Angelo michele mariotti il barone rampante Classe 1979, pesarese doc, ha respirato da sempre Rossini. Lo incontro dopo una splendida Donna del lago al Rossini Opera Festival. Un’opera “liquida” dice Mariotti, sorriso cordiale, tratto semplice e affabile. «È fatta di emozioni, sensazioni, ci scorre addosso». L’ha diretta a Londra e New York, ma con la “sua” orchestra di Bologna è altra cosa: «Ci conosciamo da 9 anni». E si vede: c’è un rapporto non solo artistico, ma umano. Mariotti è meticoloso: «L’orchestra deve cantare con cantanti». Lo si avverte, quando dirige Bellini Donizetti Verdi ma anche Bizet. «Io continuo a studiare: un direttore deve essere un uomo di cultura». E la lezione dei grandi del passato? «Bisogna, come loro, rinnovarsi di continuo, creare un proprio suono, non basta eseguire ciò che è scritto». Ci sono colori e sfumature: il New York Times l’ha notato, definendolo un direttore “eminente”. Stanziale a Bologna, gira però il mondo. «Stamane ho messo la sveglia – racconta – per studiare Gli Ugonotti di Meyerbeer per Berlino. Speriamo vada bene», sospira con naturalezza. Si riposerà questo ex sportivo? «Non posso più praticare il basket, ma almeno giro in bicicletta», sorride. La nuova creazione del genio del circo contemporaneo Mathurin Bolze, Baron Perchés, fonde danza, teatro e acrobazia. Il duo in cui Bolze dialoga con Karim Messaoudi è ispirato alla scelta del protagonista del romanzo di Italo Calvino Il barone rampante, di andare a vivere su un albero. Padronanza del corpo e sforzo reso invisibile trasformano la materia in astrazione poetica per far emergere il movimento nella sua purezza. L’abilità maschera la tecnica, rende leggero e sospeso ogni movimento. Ritroviamo Bachir nella casa sull’albero con le finestre, ma non più solo. Con lui c’è qualcuno che è un sé stesso più vecchio ma anche più Mario Dal Bello giovane. È un alter ego, un sogno o un incubo? La proiezione di un desiderio o di un fantasma burlone? Forse ha inventato un amico immaginario, oppure la vita sull’albero lo sta facendo impazzire e sta basculando, lui come la casa, verso la follia. Le acrobazie diventano quasi levitazione perché il pavimento elastico nel piccolo spazio vitale è un trampolino che sospende gesti e azioni ma soprattutto sospende giudizio, buon senso e luoghi comuni. Giuseppe Distefano Al Festival Torino Danza, dal 15 al 18/9 92 cittànuova n.9 | Settembre 2016 provvidenziali per i loro asfittici bilanci. Per quel che concerne i gusti, i prodotti poprock italiani tengono, e detengono attualmente un buon 44% del mercato, contro il 38% del repertorio internazionale che comunque sta dando chiari segnali di risalita. La nuova stagione ci dirà se i succitati trend si consolideranno, certo è che abbiamo a che fare con scenari G. Rossini: “Matilde di Shabran” Giuliano Palma: “Groovin’” (Universal) Tom Odell: “Wrong Crowd” (Sony Music) L’opera del Pesarese in una luminosa edizione del Rossini Opera Festival 2013 con i superbi Juan Diego Flçrez, Olga Peretyatko e Nicola Alaimo. Orchestra e coro del Teatro Comunale di Bologna sono diretti da Michele Mariotti, la regia è di Mario Martone. 2 dvd Decca. M.D.B. Fa il verso al reggae e allo ska, cita il Vasco con Fabri Fibra e strizza l’orecchio al pop italico anni ’60, passa con scioltezza da Pino Daniele ai Rascals: un disco di cover costruito mettendoci molto di suo, con la leggerezza stilosa e nostalgica di ogni sua produzione. F.C. Uno dei migliori cantautori dell’ultima generazione britannica. Un second-out all’altezza delle attese per questo giovanotto che fa sue le lezioni dei grandi della black-music e del pop bianco (Elton John in primis) con un prodotto insieme moderno e tradizionalista. F.C. MUSICA LEGGERA Crollano i cd, risorge il vinile, ma il botto vero lo fa lo streaming, ovvero il consumo musicale legato non più all’acquisto e dunque al possesso di un prodotto, ma al semplice ascolto e dunque all’accesso alla musica. I dati salienti sono eclatanti, tanto più che le ultime rilevazioni segnalano che per la prima volta nella storia la vendita dei prodotti audio digitali (tramite download o streaming appunto) ha sorpassato quella dei supporti convenzionali. Scendendo nello specifico, nella prima metà di questo 2016 lo streaming rappresenta ormai il 40% del consumo musicale globale, con un incremento superiore al 50%. Il mercato della musica fattura comunque molto meno dei tempi d’oro: per quanto riguarda l’Italia poco più di 65 milioni l’anno, con un misero 1% in più rispetto all’anno scorso. Merito anche dell’evoluzione dello streaming: se gran parte dei consumatori continua ad accontentarsi dell’ascolto gratuito online – sorbendosi una buona dose di spot pubblicitari che inframmezzano gli ascolti – è in forte incremento (+68%) il numero di coloro che preferiscono la formula dell’abbonamento – circa 10 euro al mese, e 15 per un abbonamento usufruibile da tutti i familiari. Spotify e Deezer sono ormai i nuovi colossi ai quali tutte le componenti del music-business non possono che genuflettersi, ricavandone del resto introiti sempre più inimmaginabili solo un paio di decenni fa. Eppure la musica è sempre lei, almeno nella sua essenza: quel che è cambiato sono i modi di farla e di fruirla. Ma il fatto che siano sempre di più i mercati a guidarla, e non il contrario, mi fa pensare che il termine artista sempre meno s’adatti a chi la produce. Franz Coriasco Poesia del reale Le fotografie di Toni Nicolini, dagli anni ’60 al 2000, testimoniano uno sguardo attento e partecipe ai mutamenti della società realizzando per anni le campagne fotografiche per i libri del Touring Club Italiano in Italia e in Europa. Milano, Forma Meravigli, fino al 23/10 (Cat. Contrasto). G.D. cittànuova n.1 | gennaio 2015 93 APPUNTAMENTI CD NOVITÀ il nuovo mercato A T R AT TG NOO -D L U G L I O - A G O S TO 2 0 1 6 n. 6 - GIU Testo e disegni di V. Sedini il giornalino dei bambini in gamba* LA BAIA DEI GIGANTI «Un posto così non è facile trovarlo!» diceva spesso il buon vecchio Pietro. E non aveva torto: era una piccola baia nascosta da rocce formidabili sormontate da un fantastico intrico di cespugli contorti e un po’ strani e comunque sempre profumatissimi: la “macchia mediterranea”. Così la chiamano gli uomini, ma in realtà si trattava… di capelli! Quelle rocce, infatti, erano nientemeno che le facce di enormi giganti. Il resto del loro smisurato corpaccione stava sottoterra ed era lì da qualche millennio. Le rocce se ne stavano sempre ben ferme perché non volevano spaventare i turisti, i bagnanti, i bambini che giocavano sulla sabbia e le signore che prendevano il sole. Ma verso sera, quando tutti se ne andavano e tornava la pace, la luce radente del tramonto svelava lineamenti di volti misteriosi e antichissimi. Però ci volevano occhi, per così dire, speciali e soprattutto bisognava conquistarsi la fiducia dei giganti, se no continuavano ad apparire semplici rocce. Il vecc vecchio Pietro, che era pescatore, la fiducia dei giganti se l’era certamente conquistata, perché amava il mare e la natura, e anche lui ce era er lì da tanto, tanto tempo. Abitava in una minuscola casetta di pietra al limitare della baia e tutte le sere, seduto a riparare le reti, scambiava quattro chiacchiere con i faccioni dei giganti, raccontava barzellette e qu loro ridevano agitando le capigliature. Gli uomini credevano che fosse il vento, ma spesso gli uomini credono a cose sbagliate. Per esempio: una notte, venne una furiosa mareggiata. Così dissero gli uomini; ma in verità si trattava di un’allegra e quanto mai chiassosa visita che i giganti del mare fecero ai giganti delle rocce. Non vi dico cosa successe in quella baia: il vecchio Pietro, pur essendo un tipo comprensivo, sgridò severamente i giganti, perché quando è troppo, è troppo! Dovette buttar fuori di casa secchiate e secchiate d’acqua, riparare la barca che era stata sbatacchiata malamente e lavorare come un matto per tirar fuori le reti semisepolte dalla sabbia. I giganti chiesero scusa e promisero che non sarebbe più successo e tutto finì lì. Ma la mareggiata aveva lasciato sulla sabbia una quantità di conchiglie. Alcune erano molto strane e tutte erano bellissime: il mare infatti sa fare cose piene di fantasia. La più grossa e la più bella, che era finita proprio dove la sera Pietro solitamente ripatava le reti, si mise a vantarsi: «Guarda come sono bella e che bei colori ho! Sai che in certi negozi mi vendono per un sacco di soldi?». Per un po’ lui la ascoltò pazientemente, ma poi prese a risponderle per le rime: «Ma va là che sei soltanto il guscio di un mollusco morto!» A questa battuta i giganti scoppiarono in una sonora risata e non la finivano più, tanto che i giganti del mare accorsero per sapere cosa succedeva… ed ecco un altro finimondo! «Allora! – disse il pescatore – Ricominciamo!?!?» Ma questi non la smettevano. «Ecco – diceva Pietro –, quando scoppia la ridarola non ci si ferma più», e si mise a ridere anche lui. pagine verdi SPORT il riscatto di rio Leo Correa/AP Rafaela Silva e Monica Puig, due giovani giunte all’oro olimpico perché capaci di non cedere a rassegnazione e disagio sociale La magia dell’atmosfera carioca, i suoi botti, i suoi colori, le medaglie, le performance di atleti più o meno noti di tutto il mondo hanno colorato di fascino l’estate 2016 di milioni di appassionati. Tra tante originali parabole evidenziate dalla rassegna, concentriamo il nostro mirino sulla tenacia di due donne che la storia delle Olimpiadi ha immortalato a modello di riscatto per tanti. La prima è Rafaela Silva, 24 anni, medaglia d’oro nel judo per la categoria 57 kg: nata e vissuta nel quartiere poverissimo di Cidade De Deus a Rio, ha raggiunto un traguardo per i più impensabile, date le umili origini 96 cittànuova n.9 | Settembre 2016 nella favela. Una corona dolorosa che avvolge grattacieli e splendori, come tante città del contraddittorio Brasile. È stata lei a vincere la prima medaglia d’oro del Brasile, concedendo alla comunità di Cidade De Deus un motivo per asciugare qualche lacrima, dato che proprio nella notte dell’8 agosto, quella della sua storica vittoria, questa favela è stata al centro di un’operazione di polizia costata cruente sparatorie. Dona Zenilda e Luiz Carlos ricorderanno la vittoria della propria figlia e la sparatoria davanti casa, ma solo la prima avrà fatto, purtroppo, notizia. Perché nella favela di La commozione di Rafaela Silva sul podio dopo la vittoria. /AP «Voglio solo essere felice», è scritto sulla maglietta mostrata da Rafaela Silva, festeggiata dalla suaw comunità. Cidade de Deus, resa famosa dal film City of God del regista Fernando Mereilles (uno degli autori della spettacolare serata di inaugurazione delle Olimpiadi allo stadio Maracanã), i Giochi erano arrivate più come minaccia che come gioia: le favelas hanno visto soprattutto espropriazioni forzate (circa 77 mila) in vista dell’evento olimpico la cui base, Rio de Janeiro, lamenta 19 miliardi di reais di debito che costringono lo Stato a non pagare molti medici, insegnanti e docenti. La sensazione, che solo i prossimi anni potranno smentire, è che gli enormi finanziamenti ricevuti per le Olimpiadi finiscano nelle mani di pochissimi, mentre diversi ospedali chiudono e le scuole pubbliche sono al collasso. Inoltre lo stipendio minimo in Brasile si aggira sui mille reais (circa 300 euro) e il biglietto per vedere un evento costa in media 2 mila reais: Rafaela abbracciava probabilmente tutti i moradores, eufemismo per definire gli abitanti delle favelas, per le disuguaglianze che non hanno trovato spazio sui media. La seconda storia è quella di Monica Puig, 23 anni questo settembre: numero 37 del tennis mondiale salita sul gradino più alto del Vadim Ghirda/AP di Mariano Conte Monica Puig sventola la bandiera del Portorico dopo l’oro di Rio. Purtroppo è stata eliminata al primo turno degli US Open 2016. podio di Rio quale prima atleta del Portorico a fregiarsi dell’oro olimpico. «Mi sono messa a pregare Dio e a chiedergli di aiutarmi…», ha confessato alla fine: ora, non sappiamo per chi Dio facesse specificamente il tifo ma, se non altro, il minuscolo Portorico, ultimo tra gli ultimi per tanti disagi sociali, ha messo in fila stavolta le grandi potenze del mondo, per lo meno sul campo da tennis. Una serie di partite straordinarie ha portato Monica al trionfo: battuta due volte persino la campionessa di Wimbledon, Kvitova. Un caso? No: fossero i Giochi centroamericani o panamericani, Monica è sempre andata a medaglia fin dal 2010, quando aveva solo 17 anni. Il Portorico ha festeggiato da eroina la sua Monica, che nonostante le lusinghe della Federtennis USA (di cui ha passaporto come tanti atleti), «si è sempre sentita troppo portoricana per giocare per un’altra bandiera». Monica non ha battuto solo la numero 2 del mondo, Angelique Kerber, in finale, né solo la numero 3 del mondo, Garbiñe Muguruza, ancora prima. Arrivata all’oro sconfiggendo 3 campionesse di Slam, ha dichiarato: «In ogni incontro che ho giocato sono migliorata e migliorata, sono diventata più potente, più veloce, ho iniziato a credere di più in me stessa». Grazie a lei e Rafaela, bellissime sorprese potrebbero diventare qualcosa di meno raro. JUDO (57 kg) Oro: Rafaela Silva (Brasile) Argento: Dorjsürengiin Sumiyaa (Mongolia) Bronzo: Kaori Matsumoto (Giappone) TENNIS Oro: Monica Puig (Porto Rico) Argento: Petra Kvitová (Repubblica Ceca) Bronzo: Angelique Kerber (Germania) cittànuova n.9 | Settembre 2016 97 pagine verdi BUON APPETITO CON... Semifreddo di fichi al marsala di Cristina Orlandi Un dessert veloce e semplice da realizzare da personalizzare modificando il quantitativo di fichi, oppure aggiungendo gherigli di noce, uva sultanina o altra frutta secca. INGREDIENTI › › › › › per 6 persone Per il semifreddo: 250 gr. di panna fresca 3 uova 1 bicchierino di marsala 12 fichi 230 gr. di zucchero semolato › › › › › Per la decorazione: 25 gr. di zucchero semolato 75 ml di acqua 4 fichi zucchero a velo 8 amaretti 98 cittànuova n.9 | Settembre 2016 cottura 5 min preparazione 30 min PREPARAZIONE Semifreddo: Far caramellare 80 gr. di zucchero con mezzo cucchiaio d’acqua. Distribuire il caramello (sarà color nocciola) in modo uniforme in uno stampo da plum-cake. Frullare la polpa di 12 fichi. Sbattere i tuorli con 150 gr. di zucchero e montare a neve gli albumi, aggiungere il marsala. Montare la panna e unirla al frullato di fichi e al composto con le uova. Versare la crema ottenuta nello stampo e porre in congelatore per qualche ora. Decorazione: Far sciogliere 25 gr. di zucchero con 75 ml di acqua. Portare a ebollizione e unire 4 fichi tagliati in 4 spicchi, farli caramellare per qualche minuto e farli freddare su carta forno. Sformare il semifreddo, sbriciolarvi sopra gli amaretti e decorare coi fichi caramellati. Zucchero a velo a piacere. Ricchi di fibre sono tra i migliori lassativi naturali. Hanno molti zuccheri, vitamine e sali minerali. Sono molto energetici. Possiedono diversi polifenoli che contribuiscono a mantenere giovani le cellule e secondo studi condotti specialmente in Giappone aiutano a prevenire diversi tipi di tumori e a EDUCAZIONE SANITARIA VACCINI: L’ORA DELLA CHIAREZZA di Spartaco Mencaroni Qualche organo istituzionale riesce a parlare chiaro sull’argomento? Col documento sulle vaccinazioni presentato l’8 luglio scorso, la Federazione nazionale degli ordini dei medici (Fnomceo) ha preso posizione: «La disinformazione sta minando il principio di sicurezza dei cittadini». Superando l’impostazione del “dibattito di opinioni”, il documento parte dal fatto che «la prevenzione e la scomparsa di malattie infettive, in passato tra i più terribili flagelli dell’umanità, costituiscono un successo senza pari e il più gran numero di vite salvate grazie alla scienza medica». E si rischia di dimenticarlo, inducendo «la cittadinanza a credere che il successo sulle malattie infettive fosse definitivo». A ricordarci quanto è pericoloso per sé e gli altri abbassare la guardia, sono i casi di morti o gravi DIARIO DI UNA NEOMAMMA SORA LUMACA E FRATE VERME rinforzare il nostro sistema immunitario. Contengono prebiotici che favoriscono la flora intestinale. Sono considerati antinfiammatori e un consumo regolare assicura salute anche per le ossa. Quelli freschi sviluppano per 100 gr. 47 calorie, quelli secchi circa 270. danni subiti anche dai pazienti che, per età o controindicazioni, non possono vaccinarsi. Un elemento che richiama «l’individualismo prevalente, che porta a dimenticare gli obblighi verso la collettività». Il documento mette a nudo una vera e propria sottocultura strisciante, sfruttata da chi, anche per interessi, diffonde stravaganti teorie di complottismo, contrarie a ogni evidenza e buon senso. di Luigia Coletta Irene ha un animo nobile e uno spirito aperto e disponibile. Anche con gli animali. Si dice che le mele non caschino mai lontano dagli alberi e così mio marito le avrà geneticamente trasmesso interesse e passione per il mondo degli animali, anche i più piccoli. Tradizione vuole che le mamme siano un po’ più restie allo studio e all’analisi ravvicinata di grilli o coleotteri, quindi il mio ruolo molto marginale in questi momenti mi spinge a voltare lo sguardo altrove con tanto di smorfia di disappunto. E questo è già un traguardo rispetto a quando le intimavo di mollare immediatamente il lombrico o la formica di turno. Così per noi è normale adottare coccinelle, lumache o gli animaletti che diventano una pallina quando li tocchi, per poi liberarli quando ci accorgiamo che l’adattamento in casa non funziona. E sono felice per questa educazione francescana che ricevo da lei. cittànuova n.9 | Settembre 2016 99 [email protected] Molti centenari attribuiscono ai fichi il segreto della loro longevità. Il prof. Angel Keys, lo studioso scopritore della dieta mediterranea morto a 101 anni, aveva l’abitudine di mangiare ogni sera alcuni fichi freschi o secchi. I fichi hanno un alto valore nutritivo e sono facilmente digeribili. [email protected] I FICHI di Giuseppe Chella [email protected] ALIMENTAZIONE pagine verdi AMBIENTE di Lorenzo Russo addio plastica L’imballaggio della birra che quando finisce in mare nutre gli animali invece che ferirli In Florida è nata un’idea geniale. Alcuni scienziati si sono chiesti come fare per non inquinare l’ambiente con gli anelli di plastica che tengono unite le lattine di birra e che uccidono migliaia di pesci, tartarughe e uccelli marini. E così sono stati realizzati gli anelli commestibili che non solo non inquinano, ma diventano cibo per gli animali. Nata negli stabilimenti della Saltwater Brewery, un’azienda di birra artigianale, l’idea sta spopolando sul web ed è pronta per essere esportata anche in varie aziende che producono altre bevande. L’imballaggio è prodotto dai sottoprodotti della birra, come orzo e grano. Sono biodegradabili e compostabili al 100% e totalmente sicuri per gli animali e per gli uomini. L’azienda americana ha tenuto a precisare che il prodotto è resistente ed efficiente come il vecchio imballaggio in plastica. L’unico inconveniente è il costo di produzione più elevato. Ma si spera nella generosità dell’utente che sia disposto a pagare qualcosina in più per aiutare gli animali e l’ambiente. 100 plastica. E non solo: nel 2015 l’elemento più comune tra la spazzatura, ingerito dalle tartarughe marine, è proprio la plastica. Lo afferma l’Ocean Conservancy’s 2015 Ocean Trash Index, che ha arruolato 561.895 volontari per raccogliere 16.186.759 chili di spazzatura. Inoltre i volontari hanno trovato 57 mammiferi marini, 440 pesci e 22 esemplari tra squali e razze incastrati nella plastica. Gli anelli commestibili potrebbero sicuramente risolvere questi problemi. «Speriamo di influenzare le grandi aziende», ha detto Chris Goves, presidente della Saltwater Brewery. «Speriamo di farle salire a bordo». «È un grande investimento per una piccola fabbrica di birra creata da pescatori, surfisti e persone che amano il mare», dice Agardy, responsabile del marchio Saltwater Brewery. Ma come abbattere questo costo aggiuntivo? Il prezzo di produzione cittànuova n.9 | Settembre 2016 scenderebbe se più aziende investissero negli anelli commestibili, mettendosi in competizione con quelli in plastica. In questo modo si potrebbe salvare la vita della fauna marina. Secondo un rapporto pubblicato sulla rivista Pnas, il 90% degli uccelli marini hanno mangiato Pacific Trash Vortex Isola di immondizia raccolta dalle correnti estesa tra lo 0,41 e il 5,6% del Pacifico la vignetta GIBI E DOPPIAW di WALTER KOSTNER Dialogo con i lettori Rispondiamo solo a lettere brevi, firmate, con l’indicazione del luogo di provenienza. INVIA A [email protected] OPPURE via Pieve Torina, 55 - 00156 Roma Terremoto/1 Stai dormendo e all’improvviso arriva un pugno nel sonno. Gira la testa, perdi equilibrio, poi capisci cos’è e ti chiedi come diavolo ci sei finito dentro. Respiri tufo, se respiri, quello delle piastrelle che cadono, prodotto dai muri della tua casa, dall’intonaco che precipita, dai piatti che si rompono. Dopo ti domanderai tante cose, ma in quel momento riesci solo a vedere il buio. I gesti, tutti, li guida l’istinto di sopravvivenza, le parole se le mangia la paura. Gridi solo i nomi delle persone che ti sono vicine, e aspetti rispondano dall’altra parte dell’incubo. Se riesci a uscire all’aperto, ti accorgi come sei grazie alle poche luci dei lampioni della strada. Ti specchi negli altri che si radunano al centro delle piazze. Ti vedi fragilissimo, di carta velina, che stropicciano le scosse nuove, quelle che chiamano d’assestamento ma accelerano di più il battito dei cuori. Passa molto tempo prima che possa accorgerti se hai un graffio addosso, neppure consideri le mani, le gambe. Se ricevi una botta non la senti. C’è altro che ho visto. C’è altro che ricordo, 102 ma non è importante la cronaca sanguigna: se la si incoraggia, si genera un inutile gusto per l’orrido, le carcasse, l’odio, le pietre… Che conforto può dare una pietra? Che sia amore quel che resta invece. Questo conta. Il tuo, adesso, oggi, per chi ti circonda. Lo grida chi muore (e io ne ho persi molti nel 2009). Tante disquisizioni sono inutili se sai che puoi ritrovarti a condividere con qualcuno la stessa coperta sulle spalle, con la fame e il freddo nella pancia, mentre il resto è andato perduto. Ama. › Alberto Zuccalà Quante testimonianze dirette questi giorni, quante immagini toccanti, quanta vita anche nella morte! Il “fattore umano” ad Amatrice e dintorni è stato esaltato, grazie a Dio. Terremoto/2 Amatrice è un posto facile da amare. Il nome comincia con quel verbo. La punta di quel triangolo scaleno che è la provincia reatina. Nome talmente noto ai palati di tutto il mondo, da suscitare aggettivi, diatribe sugli ingredienti di una ricetta solo apparentemente semplice. Il posto reatino più lontano da Roma cittànuova n.9 | Settembre 2016 eppure quello più vicino, soprattutto d’estate, quando il paese e le sue 69 frazioni si gonfiano di ritorni alle case di origine e di accenti trasteverini, quando le camere degli alberghetti sono contese, soprattutto in prossimità della sagra delle sagre, quella degli spaghetti con guanciale, pomodoro e pecorino che nel prossimo fine settimana avrebbe festeggiato il mezzo secolo di storia. Amatrice che «non c’è più», dice il suo sindaco Sergio Pirozzi. Amatrice è un paese sbriciolato, ma circondato e animato di speranza. L’emergenza, con i suoi sacrifici, ha suscitato ancora una volta unione e solidarietà, coraggio e dignità. › Stefano Mariantoni Amare Amatrice vuol dire certamente partecipare al grande movimento di solidarietà iniziato. Ma vuol dire anche ricostruirla. E impedire che vi siano altre Amatrice squassate dal terremoto, con quasi 300 persone morte sotto le macerie. Terremoto/3 Ho letto con interesse l’articolo di Luigino Bruni sul terremoto. Specialmente ha suscitato la mia attenzione il passaggio secondo cui neanche Dio può rispondere alle domande piene di angoscia che ci facciamo, perché «non lo sa, e se lo sapesse sarebbe un idolo mostruoso». Questa affermazione mi ha colpito, e ci ho riflettuto a lungo. Mi sembra di poter dissentire. La Scrittura ci dice che egli, «uomo dei dolori, ben conosce il patire» (Is 53, 3). Egli conosce profondamente la sofferenza, ne conosce le radici, e ha condiviso fino in fondo il dolore dell’uomo. Egli “lo sa”. E ci rivela nel suo mistero di morte e resurrezione che questo dolore non è la parola fine, che la morte non è la fine. Egli “lo sa”, e noi riceviamo sapienza in lui. Una sapienza del cuore, e non della mente, che ci fa certi della vita mentre contempliamo il mistero di tante morti che non capiamo. › Laura C. Paladino Il dubbio fa parte del Dio cristiano; Gesù stesso ha dubitato. Ma anche la certezza nell’amore di Dio fa parte del mistero cristiano. Dobbiamo tenerli assieme. Terremoto/4 A proposito della domanda apparsa oggi su Avvenire e relativa di Michele Zanzucchi risposta del prof. Luigino Bruni, premetto che proprio la notte del terremoto avevo appena letto su Civiltà Cattolica di agosto la stessa domanda provocatoria sentita alle spalle dall’ebreo Elie Wiesel di fronte all’impiccagione di un ragazzo nel lager: «Dov’è dunque Dio?». E io sentivo in me una voce che gli rispondeva: «Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca»... Quella sera la zuppa aveva sapore di cadavere. Questa mattina alla Caritas diocesana dove faccio il volontario al centro d’ascolto, dopo aver pregato insieme, abbiamo ricordato pure i morti, i feriti e i senzatetto del terremoto. Anch’io portavo in cuore questo dolore latente, ma subito dopo si presenta una mamma, straniera con 4 figli, con l’imminente stacco di luce, gas e acqua con una situazione debitoria assurda, il marito incapace di gestire la famiglia, i parenti che dall’Africa pretendono da lei il necessario per vivere... Di fronte a questa impotenza sento dentro di me una voce: «Perché ti commuovi per i terremotati, per la guerra in Siria per l’ingiustizia nel Sud-Sudan quando “io” ora sono qui davanti a te? Tu fa’ la tua parte e io penso al resto!». Ci lasciamo con la promessa di aiuto, ma subito dopo un paio di telefonate ecco arrivare tutto il necessario! › Lino Il mistero del dolore universale si riassume e viene sempre simboleggiato nel dolore di persone precise. Il lanciafiamme e l’appendino Leggo su La Stampa il “Buongiorno” di Gramellini, un corsivo sulla parabola politica di Renzi. Condivisibile, ineccepibile, gradevole e brillante come sempre. Peccato che Gramellini usi la sua ammirabile penna solo e sempre per lanciar sentenze e parlar male di chiunque. Preferisco i giornalisti che propongono e costruiscono a quelli che criticano sempre perché in fondo... gli viene sempre molto bene. › Roberto di Pietro La penna di Gramellini è acuta e spesso felice, indubbiamente. E anche le sue intuizioni estrose e originali lasciano talvolta a bocca aperta. Ma quel che Gramellini scrive non è Vangelo, per carità! Ad esempio, ha scritto un invito ai musulmani autentici, quelli non violenti, a uscire allo scoperto, a rifiutare l’amicizia degli islamici violenti. Uno scivolone, un testo francamente imbarazzante (leggete su Facebook l’acuta risposta di una giornalista italiana musulmana, Sabika Shah Povia), un’offesa per tutti quei musulmani che non sono violenti, che non sono certo né amici né complici di quei fanatici, e che soffrono delle loro pazzie come e più di chi non è musulmano. Sport ed eutanasia Mi ha colpito (tristemente) la storia dell’atleta paralimpica belga Marieke Vervoort, che dopo la sua partecipazione a Rio La nostra città. MARKETING UMILE Fa sorridere l’abbinamento. Marketing, sinonimo di sfacciataggine, convinzione di avere il prodotto giusto per ogni occasione, tutte le risposte a tutte le domande; e umiltà dal latino humus, terra. Anche la parola uomo ha la stessa radice: creatura generata dalla Terra. Fa bene ricordarlo in questi giorni in cui la terra ha tremato inghiottendo uomini e speranze. E sembra strano, inappropriato iniziare l’anno con i nostri lettori parlando delle nostre pubblicazioni (vedi pubblicità a pag. 2). Rifletto su questo quando mi arriva la telefonata di Amedeo, teramano tutto di un pezzo, uomo di profonda cultura dal cuore grande: «Anche oggi trema, il palazzo oscilla, ma bisogna farsene una ragione», sembra sdrammatizzare alla mia richiesta di notizie sulle scosse. Gli comunico le mie riflessioni sul marketing di Città Nuova centrato sull’amicizia che non può non comunicare le ragioni della propria speranza. Mi risponde con un fatto: «Alcuni giorni fa, mi trovavo nella saletta di attesa del mio dentista. Aspettando il mio turno, ingannavo il tempo leggendo una rivista di esplorazioni geografiche e viaggi. Tra i vari giornali non avevo scelto Città Nuova a cui il mio dentista è abbonato da tempo in quanto le copie sul tavolino le avevo già lette. Tra i pazienti ho riconosciuto un signore sulla trentina che sapevo sordo muto, in quanto spesso frequentava il centro giovani Kairos di Teramo, dove si incontrava con altri nelle sue stesse condizioni. Inaspettatamente mi tocca il braccio e, indicando una copia di Città Nuova che teneva in mano, mi dice con gesti e con espressioni tipiche che la rivista è veramente buona e mi invita a lasciare quella che stavo leggendo. Che fare? Semplice. Ho preso dalle mani del giovane Città Nuova e con sua grande soddisfazione ho cominciato a leggerla con attenzione». a cura di MARTA CHIERICO [email protected] cittànuova n.9 | Settembre 2016 103 Dialogo con i lettori di Michele Zanzucchi ricorrerà all’eutanasia. Mi chiedo come si possa essere simboli di morte e carica vitale allo stesso tempo. La sua decisione ci ricorda quanta solitudine possa nascondersi dietro al coraggio di una vita. › Cristina Tema inquietante, certamente. Eros e thanatos: già i greci consideravano l’amore (la vita) e la morte come due facce della stessa medaglia. Che poi si scelga la morte dopo tanta vita sportiva, lascia un po’ perplessi, perché solitamente gli sportivi non parlano d’eutanasia. Ma i tempi cambiano: è la testimonianza della vita altruistica che può convincere a non ricorrere alla morte procurata contro sé stessi. Ferragosto Ferragosto è una linea di demarcazione. All’inizio dell’anno, essendo degli inguaribili ottimisti, immaginiamo che i primi 225 giorni dell’anno saranno esaltanti, siamo convinti che ci attenda un grande futuro, siamo pieni di speranza, desideriamo che non ci siano guerre, che i terroristi islamici diventino buoni, che l’immigrazione si dia una regolata, che i rifugiati siriani vengano, e noi apriremo loro le nostre case, che il Pil cresca almeno di “uno virgola”. Via via che il Ferragosto si avvicina, le speranze lentamente si spengono. Superato il Ferragosto, mi attendono gli ultimi 140 giorni di questo 2016, che cosa leggere? I giornali stanno diventando tutti uguali, come tanti Big Mac, differenziati solo dal tipo di lattuga. D’altra parte è giusto così, ormai si limitano a mettere in bella le storytelling degli uffici stampa e degli spin doctor dei leader. Ho provato a leggere di tutto, parte fuffa, parte cipria. Meglio Città Nuova, almeno hai, in italiano, il meglio. › Giovanni Arletti Padre Jacques Non credo di essere il solo a pensare che la barbara uccisione del prete francese sia stata una provocazione, da parte dell’Isis, nei confronti dei cristiani per indurli a una guerra di religioni e bene ha fatto il papa a non cadere nel tranello. Infatti ha parlato di atto terroristico ma non islamico. Non possiamo fare di tutta l’erba un fascio e condannare un miliardo e 400 milioni di musulmani. Perché la maggior parte di loro non condividono il terrorismo, anzi loro stessi ne sono spesso vittime. La posizione di papa Francesco non è un cedimento all’Islam, ma un atto di saggezza. Anche Giovanni Paolo II non condivise la guerra in Iraq voluta dalle potenze occidentali, perché avrebbe incrementato il terrorismo. A distanza di anni e alla luce di quanto sta avvenendo oggi direi che il papa aveva ragione. › Alessio Nolan La facile profezia di Giovanni Paolo II e di tantissimi uomini e donne di buona volontà non è stata ascoltata dai potenti di questo mondo. E ancor oggi le grida che segnalano uno scoglio enorme sulla via delle relazioni tra fedeli di religioni diverse vengono poco ascoltate. Si continua a considerare le armi come la sola risposta possibile. Stupidità. Guardiamoci attorno a cura dell’associazione Progetto Sempre Persona IN CERCA DI LAVORO Si cerca aiuto per la famiglia di un detenuto (composta da moglie, figlia e nipotina) per fornire un lavoro alla moglie. Andrebbe bene qualunque mansione, come donna delle pulizie, cameriera o supporto in cucina. La famiglia è in chiara situazione di indigenza. 104 FAMIGLIA INDIGENTE Si cerca aiuto per la famiglia di un ex detenuto (moglie italiana al sesto mese di gravidanza e una figlia di due anni) per fornire un lavoro; vive con 200 euro al mese con un piccolo contratto di accompagnatore a uno scuolabus che fa servizio al campo nomadi dove vive. Lui sa svolgere lavori di giardinaggio, muratura e piccoli servizi di idraulica. cittànuova n.9 | Settembre 2016 UN SOSTEGNO FUORI DAL CARCERE Un detenuto agli arresti domiciliari, con moglie e 3 figli, cerca un aiuto perché la moglie possa trovare un semplice lavoro e dare sostentamento alla famiglia. Vivono in un appartamento con forte disagio ambientale in una periferia di Roma, come pure le due famiglie degli appelli qui accanto. Invia il tuo contributo tramite c.c.p. n. 34452003 oppure tramite bonifico bancario (Iban IT46R07601032000000 34452003) intestato a Città Nuova della PAMOM, specificando come causale “Guardiamoci attorno”. Oppure scrivi a Città Nuova, via Pieve Torina 55 00156 Roma. Le richieste di aiuto si accettano solo se convalidate da un sacerdote. Scrivete a [email protected] o all’indirizzo di posta. Verranno pubblicate a nostra discrezione e nei limiti dello spazio disponibile. STEREOTIPI DI GENERE Presidente e padre femminista penultima fermata di Elena Granata 106 cittànuova n.9 | Settembre 2016 Me lo immagino nelle lunghe sere invernali a cercare di raccapezzarsi nel fiume di racconti delle figlie alla madre. Perché parlano così in fretta e sembrano intendersi tra loro con pochi cenni? Perché se la prendono così tanto per una amicizia tradita, per un compito andato male? Me lo immagino provare apprensione alle prime uscite da sole, interrogarsi sul loro futuro, sentirle in pericolo in un mondo non sempre ospitale. Me lo immagino il presidente Barack Obama, cresciuto con una mamma sola e con la nonna, compagno di una donna forte e volitiva e poi padre di due figlie femmine, affinare dentro di sé, con il passare degli anni, il proprio spirito femminista. Lo ha raccontato il presidente stesso in una magistrale lettera-confessione a Glamour, forse la più bella e alta del suo mandato politico. «Quando diventi padre di due figlie – scrive –, sei molto più consapevole degli stereotipi di genere che pervadono la nostra società. Senti l’enorme pressione a causa della quale le ragazze sono portate a comportarsi, ad apparire e anche a pensare in un certo modo. È una responsabilità assoluta degli uomini combattere il sessismo». È il destino di molti padri, mariti, compagni, partner, diventare femministi. Non in astratto, ma alla scuola delle donne che amano. E la paternità di figlie femmine, quando vissuta con intensità e maturità, può diventare una grande scuola di consapevolezza. Ci vorrebbe un termine specifico per esprimere la paternità verso figlie femmine. «Abbiamo bisogno di cambiare la mentalità che ci porta a crescere le nostre figlie riservate e i nostri figli risoluti, che ci porta a criticare le nostre figlie quando dicono ciò che pensano a voce alta e i nostri figli quando piangono. Abbiamo bisogno di cambiare la mentalità che ci porta a “punire” le donne per la loro sessualità e, al contrario, ad ammirare gli uomini per lo stesso motivo. Abbiamo bisogno di cambiare la mentalità che insegna agli uomini a sentirsi minacciati dalla presenza e dal successo delle donne. Abbiamo bisogno di cambiare la mentalità che porta a congratularsi con gli uomini che cambiano un pannolino, che stigmatizza i papà a tempo pieno e che penalizza le mamme lavoratrici». I padri come Barack Obama imparano lo spirito femminile dalle figlie e al contempo possono, con la loro presenza, renderle immuni dalla subalternità, dalla sottomissione e dall’accettazione di ogni forma di violenza che, ahimè, è spesso all’origine di molti femminicidi. «È importante – conclude – che il loro papà sia femminista, perché adesso è ciò che si aspetteranno di trovare in ogni uomo che incontreranno». Sì, presidente, è proprio vero, una società giusta con le donne è generata da padri femministi. www.cittanuova.it Dove ve c’è c’è umanità noi ci siamo. E tu? RINNOVA IL TUO ABBONAMENTO đƫ 12 numeri l’anno đƫ 3 dossier allegati di approfondimento a cura di prestigiose firme đƫ 5 inserti allegati di cittadinanza e solidarietà đƫ Contenuti web in esclusiva per gli abbonati Il gruppo editoriale propone inoltre una serie di periodici specializzati per adulti, ragazzi e bambini con formule scontate per abbonamenti multipli. 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