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Padre Jan van Kilsdonk s.j. ADDIO Ragazzo di luce Per abbattere il muro dell’indifferenza Con una introduzione di Pierre Valkering Traduzione di David Santoro Armando editore Sommario Presentazione all’edizione italiana 7 di Gian Maria Fara Prefazione 11 di Laurent van der Maesen e Marco Ricceri Introduzione 15 di Pierre Valkering 1. La vita e l’opera di padre Jan van Kilsdonk s.j. 17 2. Esperienze con l’omosessualità avute esercitando la sua funzione di insegnante di religione e di cappellano 21 universitario 3. La pensione e l’interessamento per gli uomini affetti da AIDS 27 4. La concezione dell’omosessualità in van Kilsdonk 31 5. L’interpretazione teologica: un’invenzione del Creatore 48 6. Il significato della Bibbia rispetto all’omosessualità 56 7. I discorsi 73 Discorsi di addio agli uomini omosessuali Riflessioni – Sermoni – Omelie 89 1. Un nido nel verde. L’addio a Wim Berk 89 2. L’albero dell’ospitalità. L’addio a Max Graafland 93 3. In prima fila per l’Ajax. L’addio a Jonne Sipkema 96 4. Il più soave camuffamento di Dio. L’addio a Jan Brugman 102 5. Un animo straripante. L’addio a Berend Quint 107 6. Sopra le righe. L’addio a Harry Doenders 112 7. Io sono quel desiderio. L’addio a Frans Kellendonk 116 8. Come da un mare d’amore. L’addio a Bas van den Broek 121 9. Nell’oasi e nel deserto. L’addio a Jan Wouters 125 10. Senza diminutivi. L’addio a Henk Vlaar 130 11. Stabat Mater. L’addio a Philippe Morkens 141 12. Un angelo notturno ad Amsterdam. L’addio a Willem Kessels 143 13. Come un fiore sul davanzale. L’addio a Kees ten Bles 146 14. Un orfano. L’addio a Steven de Boer 149 15. Fiore selvatico. L’addio a Klaas ten Have 154 16. Lo splendore di una rosa. L’addio a Eric Jagerman 158 17. Un medievale. L’addio a Nico Warmerdam 165 18. Nessuno si è coperto il volto. L’addio a Gert-Jan Odekerken 168 19. Gemelli inseparabili. L’addio a Egbert Odekerken 172 20. Un principe del più bel Paese d’Europa. 176 L’addio a Salvatore Cavaliere 21. Indicibilmente vulnerabile. L’addio a Paul Bertrand 182 22. Non di solo alcol. L’addio a Jan Beenhouwer 188 23. Un angelo molto complicato. L’addio a IJsbrand Galama 196 24. Ancora più pazzo di quel che pensi. L’addio ad Albert Prins 203 25. Sono sostenuto e amato. L’addio a Peter van der Last 207 26. Gigolò. L’addio a Reint Koning 210 27. Un giusto. L’Addio a Ronald Heitkamp 215 28. Verso quella luce interiore. L’addio a Lode Belleman 221 29. Nascosto in Dio. L’addio a Michel Martens 226 30. Un tipo sfortunato. L’addio a Hennie Blaauw 230 31. Una rara purezza. L’addio a Marco Spada 232 Bibliografia 234 Presentazione all’edizione italiana di Gian Maria Fara (Presidente di Eurispes) Perché questo libro in Italia Ascolto e rispetto. Due parole chiave. Il perno su cui è costruito tutto il rapporto di un famoso sacerdote olandese, padre van Kilsdonk, con il mondo degli omosessuali. Un rapporto di grande attenzione, sensibilità, vicinanza, fino alla partecipazione alle sofferenze di quanti sono stati colpiti dalla malattia dell’AIDS e fino all’accompagnamento nell’ultimo saluto. Ascolto e rispetto, dunque, come condizione per comprendere bene; per elaborare, da un lato, una profonda riflessione teologica, morale, sociale sul complesso fenomeno dell’omosessualità e, dall’altro, per manifestare con i fatti di un comportamento concreto la più alta delle virtù civili: la solidarietà umana. È questa la principale lezione del libro che Eurispes contribuisce a presentare e diffondere in Italia. È nostro profondo convincimento che questo messaggio, proveniente dall’Olanda, per la ricchezza dei valori culturali e umani che esprime, con le sue riflessioni e il richiamo a esperienze precise, potrà contribuire ad agire al meglio in una fase storica della nostra società nella quale si registrano crescenti, generali tendenze alla chiusura in se stessi, all’indifferenza, alla superficialità nei pensieri e nei comportamenti. Una fase contraddittoria in cui la società italiana continua certo a esprimere valori e iniziative diffuse di grande solidarietà umana ma anche, all’opposto, pericolosi fenomeni di ostilità e di chiusura nei confronti dell’alterità. Anche in Italia, insomma, siamo di fronte al rischio reale di veder erigere quei “muri”, di lapiriana memoria, e quelle barriere che purtroppo si stanno costruendo ormai in molta parte d’Europa. È con riferimento a questo 7 processo involutivo che nel libro del padre olandese, come sintesi del suo pensiero e della sua esperienza, abbiamo scelto un preciso sottotitolo: “Per abbattere il muro dell’indifferenza”. Il primo Rapporto sulla condizione omosessuale in Italia realizzato da Eurispes risale al 1989. Ancora oggi quella indagine, svolta grazie all’analisi delle risposte fornite da 2.044 omosessuali, rimane un importante punto di riferimento nel trattare le problematiche legate a questo specifico universo. Un percorso di ricerca che è stato sviluppato dall’Istituto negli anni attraverso studi, il monitoraggio continuo delle evoluzioni del fenomeno con periodiche rilevazioni campionarie, consapevoli che, a oggi, la questione omosessuale rimane ancora un tema aperto non solo nel nostro Paese, ma anche in àmbito internazionale. Allora, nel 1989, si trattava della necessità di dare un primo, valido contributo conoscitivo a un fenomeno sociale che era spesso trattato con sufficienza, o con aperta ironia o, peggio ancora, con chiari intenti demonizzatori, comunque attingendo all’interminabile serbatoio di luoghi comuni che tutti si sentono autorizzati a citare. Il Rapporto, insomma, rappresentò un primo documento di studio approfondito contro la stupida stereotipia. E la sua importanza si affermò in pieno negli anni successivi quando, a causa delle drammatiche vicende collegate al diffondersi del virus dell’immunodeficienza acquisita (AIDS), emerse la necessità di lavorare su questo problema senza le lenti deformanti del pregiudizio; un modo, sottolineammo, per contribuire alla crescita civile della società italiana. Le ricerche e gli studi degli anni successivi hanno confermato un’evoluzione nella mentalità e nell’approccio degli italiani al mondo omosessuale. È un fatto che sono cambiati profondamente i valori culturali, etici, sociali di riferimento. Venti anni dopo quella prima ricerca, ad esempio, nel Rapporto Italia del 2009, un’indagine condotta su un campione altamente rappresentativo mise in evidenza che per la maggioranza degli italiani (52,5%) l’omosessualità era da considerarsi una forma di amore come l’eterosessualità, mentre un terzo (33,3%) dichiarava di poterla tollerare solo se non ostentata e soltanto un italiano su dieci (9,3%) la definiva una condizione immorale. Il riconoscimento dell’equiparazione tra le due forme di amore, omosessuale ed eterosessuale, può essere considerato un vero punto di svolta, nella mentalità degli italiani, che ha continuato a rafforzarsi, sia pure lentamente, negli anni successivi. È interessante notare che nel 2009, la maggioranza degli italiani (53,5%) arrivò a dichiarare la propria accettazione di fronte a un figlio che rivelasse di essere omosessuale e che una maggioranza ancora più ampia (il 58,9%) era favorevole a una forma di riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali (oltre 8 un terzo, pari al 35,9% dichiarò invece la propria contrarietà a qualunque tipo di riconoscimento). In sintesi, su questo fenomeno sociale, non vi è dubbio che il primo decennio del secolo che stiamo vivendo ha segnato un grande cambiamento nella nostra società. Un ulteriore approfondimento condotto con il Rapporto Italia 2015 ha comunque messo in risalto come questo genere di tematica, legata alla regolazione di alcune aree della sfera privata e della relazionalità tra gli individui, sia ancora oggetto di profondi contrasti. Le rilevazioni evidenziano, ad esempio, che rispetto agli anni precedenti, tutti i dati mostrano un segno di tipo regressivo, cioè attestano una diminuzione dell’apertura alle nuove sensibilità, che restano un patrimonio diffuso delle società più avanzate con cui l’Italia si confronta. “Oltre quelli economici e strutturali – è il commento di Eurispes – anche questo rischia di diventare un gap difficilmente sanabile”. Un caso per tutti che riguarda i diritti degli omosessuali: la percentuale degli italiani (50,7%) che nel 2014 si era dichiarata contraria alla possibilità di contrarre matrimonio tra persone dello stesso sesso è aumentata, nel 2015, fino al 59,2%, anche se un largo consenso si registra (64,4%) sull’opportunità di promuovere la tutela giuridica delle coppie di fatto, indipendentemente dal sesso. Una forte chiusura si registra anche riguardo alla possibilità di adozione da parte delle coppie omosessuali. È chiaro che questi orientamenti si intrecciano, ad esempio, con quelli relativi all’idea di famiglia che hanno gli italiani, all’organizzazione tradizionale della sua struttura e alla sua funzione sociale. È, dunque, in questo scenario italiano, ancora molto problematico, che Eurispes propone la riflessione e l’esperienza del sacerdote olandese: certi di contribuire quantomeno all’approfondimento conoscitivo del fenomeno e a promuovere in ogni caso, comunque e ovunque, l’etica della solidarietà tra gli uomini del nostro tempo. Il lavoro di ricerca ci ha insegnato a essere cauti nei giudizi e soprattutto a motivarli, per quanto possibile, con un’attenta documentazione. Il libro di van Kilsdonk, che presentiamo agli italiani, vuol essere uno stimolo per tutti a operare in questa duplice direzione, etica e conoscitiva. 9 «La verità vi farà liberi» Giovanni 8,32 «Benché morto, parla ancora» Lettera agli Ebrei 11,4 «Il Dio dell’aldilà sta in mezzo alla nostra vita. La chiesa non si trova ai limiti delle nostre capacità, ma nel centro del paese» Dietrich Bonhoeffer, Widerstand und Ergebung. Briefe und Aufzeichnungen aus der Haft, München (1951) Prefazione di Laurent van der Maesen e Marco Ricceri (Iasq-Eurispes) In questo libro sono riportati trentuno discorsi di padre Jan van Kilsdonk s.j. (1917-2008) che ha lavorato per la maggior parte della sua vita ad Amsterdam, dove inoltre è deceduto ed è stato sepolto. Essi sono stati pronunciati con solennità ed eloquenza durante i funerali di altrettanti giovani morti negli ultimi decenni del secolo scorso a causa dell’Aids, malattia all’epoca incurabile. Alla base di questi discorsi vi è la profonda comprensione e compassione per le sofferenze delle vittime che egli ha maturato grazie alla sua stretta e incondizionata vicinanza con esse durante la fase finale della loro vita. In realtà egli si è preso cura di più di duecento di questi pazienti, che vivevano ad Amsterdam ed erano tutti omosessuali. Van Kilsdonk respinge esplicitamente l’esistenza di un nesso causale tra il contagio e questo orientamento sessuale, spesso sostenuta alla vigilia del nuovo secolo. I discorsi affrontano molteplici aspetti: le circostanze legate alla vita di questi giovani, i loro rapporti familiari, le loro speranze e i loro dolori, il dibattito sui rapporti tra persone dello stesso sesso, la posizione ufficiale della Chiesa cattolica romana e le tradizioni musulmana ed ebraica a tale riguardo, le profonde sofferenze delle vittime e il modo di affrontarle nell’intento di salvaguardarne la dignità umana il più a lungo possibile. Durante i funerali egli ha elogiato ampiamente questi uomini e li ha benedetti solennemente, come principi terreni e figli di Dio. Nella sua introduzione Pierre Valkering illustra in modo coerente, con acutezza e precisione, tutti questi aspetti, l’immensa attività profusa da padre van Kilsdonk allo scopo di offrire giorno e notte conforto e sostegno, e come tutto ciò vada interpretato nel più ampio contesto, soprattutto sociale, filosofico e teologico, dell’Antico e del Nuovo Testamento. Questo libro, pubblicato in Olanda da Valkhof Press nel 2012, è stato ritenuto particolarmente 11 rilevante per un tema a esso collegato, quello della teoria e delle pratiche della “qualità sociale”, da due organismi che cooperano tra loro da anni, l’istituto Eurispes di Roma e lo IASQ (International Association of Universities on Social Quality) di Amsterdam. Essi hanno pertanto deciso di collaborare per favorire e sostenere la sua pubblicazione in Italia e, nello stesso tempo, per offrire un importante contributo anche alla riflessione dei padri sinodali chiamati periodicamente dalla Chiesa cattolica alla valutazione dei comportamenti sociali, dei problemi della famiglia, dell’etica sessuale. A questo proposito, va ricordato che di recente il Papa ha invitato anche soggetti della società civile esterni alla Chiesa a illustrare le loro esperienze, ipotesi e idee alla luce della vita quotidiana, nonché le loro convinzioni e le loro speranze. Questo libro presenta per l’appunto una panoramica impressionante di esperienze di questo tipo vissute ad Amsterdam all’alba del nuovo secolo e dei sentimenti a esse connessi. Inoltre, entrambi gli organismi ritengono che padre van Kilsdonk affronti implicitamente un aspetto essenziale del “pensiero sulla qualità sociale” che riguarda il modo in cui la vita quotidiana delle persone si è sviluppata nei decenni scorsi in diversi continenti. Gli esseri umani sono essenzialmente “esseri sociali”, e non “atomi” di grandi aggregati (paradossalmente definiti “società” dai sostenitori di questo secondo punto di vista) che mirano al profitto e a evitare le perdite. In un’occasione padre van Kilsdonk ha spiegato come il primo punto di vista – quello che considera gli esseri umani come esseri autenticamente sociali – rimandi al mito di Enea e il secondo a quello di Edipo. Gli uomini costruiscono continuamente “il sociale” e la sua qualità, e in molti luoghi e in tutte le epoche anche il suo contrario, mettendo a repentaglio la dignità umana, l’uguaglianza e la solidarietà1. Un aspetto essenziale di questo “pensiero sulla qualità sociale” riguarda le diverse condizioni che sono alla base di una effettiva promozione della dignità umana, come un maggiore riconoscimento sociale degli individui, la responsabilità sociale e il rispetto. Proprio questi temi occupano un posto centrale nei discorsi qui riportati. Essi illustrano il significato di queste condizioni con particolare riguardo alle circostanze moderne, in cui tanto spazio trovano le tendenze egocentriche ed edonistiche. Sia le idee contenute in questi discorsi che il pensiero sulla qualità sociale presentano molte affinità con le idee e le pratiche di San Francesco in quanto critica profonda alle forme di edonismo della sua epoca. Uno dei discorsi fa esplicito riferimento a Francesco, che ha inoltre costituito il 1 L.J.G. van der Maesen, A.C. Walker (eds), Social Quality: From theory to Indicators, Palgrave Macmillan, Basingstoke, 2012. 12 modello dello stile di vita di padre van Kilsdonk ad Amsterdam. Nel corso dei suoi ultimi quindici anni di vita van Kilsdonk ha goduto del sostegno e dell’assistenza della Congregazione dei sette cieli, costituita da suoi amici2, che tra l’altro attorno alla sua figura ha organizzato tre occasioni di festa molto partecipate dalla cittadinanza. Durante una di queste i suoi membri lo hanno solennemente proclamato di fronte a quattromila partecipanti “il sacerdote di Amsterdam”. La Congregazione ha accolto con favore l’iniziativa dell’Eurispes di pubblicare questo libro. L’editore olandese, Valkhof Press, ha gentilmente contribuito alla realizzazione dell’edizione italiana cedendo i diritti sull’opera. La Congregazione ha mobilitato amici, parenti, colleghi e sostenitori allo scopo di coprire i costi di traduzione, obiettivo che è stato raggiunto in breve tempo. Tutte queste persone sono profondamente legate all’opera svolta da padre van Kilsdonk e sono convinte che sia particolarmente importante portare alla ribalta internazionale le sue idee, espresse anche in questi discorsi, per fornire nuovi spunti al dibattito sulle relazioni familiari, i rapporti sessuali, il controllo delle nascite e molti altri temi a questi collegati – ad esempio la posizione della donna – sottraendoli al fondamentalismo e a una visione mentalmente ristretta. 2 Tra i quali: Laurent J.G van der Maesen (prevosto), Frits van der Ven s.j., (†) Harry van Mierlo, Jan Winkelhuijzen (†), Else-Marie van den Eerenbeemt, Dick Schlüter, Paul Beghe in S.J., Herman Rouw. 13 Introduzione di Pierre Valkering “Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla?”. E: “Il problema non è avere questa tendenza, no, dobbiamo essere fratelli…”. Queste sono le parole pronunciate da papa Francesco il 29 luglio 2013 nell’incontro da lui avuto con la stampa a bordo dell’aereo che lo riportava a Roma dal Brasile, dove aveva partecipato alla Giornata mondiale della gioventù. Perché sono parole importanti? Naturalmente perché è stato il papa a dirle. Ma questo papa è di per sé una persona affabile, comunicativa e accessibile. L’atmosfera della conferenza stampa a sorpresa da lui tenuta è stata, per definizione, informale e rilassata. Il papa ha fatto battute, ad esempio sulla “lobby gay” che infesterebbe il Vaticano: Be’ non l’ho mai visto scritto sui documenti di nessuno… Il papa ha utilizzato il noto termine inglese “gay” che gli uomini omosessuali preferiscono a quello assai più clinico di “omosessuali”1. Ciò che ha detto è stato apprezzato e ha colpito in quanto espressione di un atteggiamento di umiltà, modestia e rispetto (“chi sono io per giudicarla?”) e soprattutto di amorevole interessamento (“essere fratelli”) verso le persone in questione. Tale impressione è stata rafforzata nell’ottobre del 2013: è stato reso noto che nel mese di giugno il gruppo di lesbiche e gay cristiani Kairos di Firenze aveva inviato al papa una lettera con numerose firme in cui si esprimeva il desiderio “di venire riconosciuti come persone” e non come “categoria”, chiedendo apertura e dialogo da parte della Chiesa, e ricordando che “la chiusura alimenta sempre l’omofobia”2. Il gruppo ha ricevuto dal papa una risposta di suo pugno “in cui si legge che (…) ha apprezzato molto quello che gli avevamo scritto, definendolo un 1 Si veda la definizione di omosessualità secondo J. van Kilsdonk (1970) all’inizio del paragrafo 4 dell’introduzione. 2 M.C. Carratu, Papa, stupore dei gay cattolici, “Ha risposto alla nostra lettera”, “la Repubblica” online, ed. Firenze, 8-10-2013. 15 gesto ‘di spontanea confidenza’”. E che “il Papa ci assicurava anche il suo saluto benedicente”3. In un’intervista a «Civiltà Cattolica», pubblicata nel settembre 2013 il papa ha detto rispetto all’omosessualità: Dio nella creazione ci ha resi liberi: l’ingerenza spirituale non è possibile. Una volta una persona (…) mi chiese se approvavo l’omosessualità. Io allora le risposi con un’altra domanda: “Dimmi: Dio, quando guarda una persona omosessuale, ne approva l’esistenza con affetto o la respinge condannandola?” (…) Nella vita Dio accompagna le persone, e noi dobbiamo accompagnarle a partire dalla condizione4. Ciò potrà anche lasciare immutata la dottrina della chiesa in materia di omosessualità, ma come dicono i francesi è il ton qui fait la musique: il modo in cui papa Francesco tratta lesbiche e gay è enormemente diverso dal modo in cui siamo abituati a vederli trattare, e soprattutto non trattare, dai rappresentanti della gerarchia della Chiesa cattolica romana, più propensi a parlare di loro che con loro. La maniera in cui lesbiche e gay sono stati trattati in passato e, a volte, vengono trattati ancora oggi da cardinali e vescovi lascia molto a desiderare. Speriamo quindi e preghiamo affinché papa Francesco viva a lungo e sia in grado di stabilire in questo campo una nuova tendenza. In quanto gesuita papa Francesco non è il primo e unico esempio illuminante in questo campo, come testimonia il presente libro che raccoglie trentuno5 discorsi che il suo più anziano confratello olandese Jan van Kilsdonk (1917-2008) ha pronunciato tra il 1986 e il 2004 ai funerali di altrettanti uomini omosessuali, quasi tutti deceduti a causa delle conseguenze dell’AIDS. Si tratta di una selezione da me effettuata su un totale di settanta discorsi messimi a disposizione da van Kilsdonk nel quadro dei miei studi di dottorato. Presento i testi che seguono in considerazione dei loro riflessi sul tema dell’omosessualità dal punto di vista religioso, teologico e sociale. I discorsi sono preceduti da un’introduzione in cui in primo luogo illustro la vita e l’opera di van Kilsdonk in generale, per poi concentrarmi sulle sue esperienze con persone omosessuali e l’omosessualità, sia in senso generale che teologico, nonché sulla sua concezione del significato della Bibbia a tale proposito. Infine traccio un quadro del corpus completo dei settanta discorsi. In questo quadro elaborerò anche altri due temi sui quali quest’opera di van Kilsdonk offre materia di rifles3 Ibidem. 4 Intervista a Papa Francesco di Antonio Spadaro S.J., «Civiltà Cattolica», 3918, 19-9-2013, p. 463. 5 La presente edizione italiana contiene anche un breve discorso non inserito nell’edizione originale olandese, quello pronunciato al funerale dell’italiano Marco Spada. 16 sione, in particolare la preghiera e il modo di affrontare il termine della vita. Il motivo della presente edizione italiana risiede nella mia convinzione che l’esperienza e le riflessioni sviluppate da van Kilsdonk riguardo all’omosessualità siano potenzialmente preziose anche per l’Italia e per la chiesa mondiale. Sul sito web della casa editrice olandese, la Valkhof Pers di Nimega (www.valkhofpers.nl) sono inoltre riportati cinque discorsi tradotti in francese, tedesco, inglese, spagnolo, portoghese e polacco. Tutte le citazioni di J. van Kilsdonk non provenienti dai discorsi qui pubblicati sono tratte da appunti dell’autore, da discorsi non pubblicati, da articoli e interviste con l’autore. 1. La vita e l’opera di padre Jan van Kilsdonk Jan van Kilsdonk era un sacerdote molto noto in Olanda. Una citazione che caratterizza perfettamente il suo modo di essere pastore è la seguente: “Io ho una tendenza innata ad amare le persone. Mi commuovono moltissimo le loro gioie e le loro sventure. Se qualcuno mi racconta le sue pene d’amore, è come se quelle cose fossero accadute a me”6. Van Kilsdonk era originario del sud cattolico del Paese, il Brabante. A diciassette anni è diventato gesuita. A ventotto, poco dopo la fine della Seconda guerra mondiale, è stato ordinato sacerdote e inviato come elemosiniere nei campi dei criminali politici, quelli che durante la guerra avevano “sbagliato”. Ma come racconta nelle sue memorie: “Tra i membri dell’NSB7 ho incontrato delle persone d’animo nobile”8. Egli leggeva loro la Bibbia: E io sono bravo a leggere a voce alta. Poi, diciamo verso la quarta o quinta volta, gli ho detto: “Cari ragazzi, questo libro lo abbiamo ricevuto dagli ebrei. (…) Non hanno avuto sempre vita facile”. E niente altro. Non: e voi gli ebrei li avete… No. Non converti le persone colpevoli accusandole, ma rispettandole9. “Anche per quelli che avevano commesso crimini evidenti riuscivo a nutrire un tangibile rispetto. Se non ne fossi stato capace avrei fatto meglio a levarmi dai piedi”10. “Non ha senso che il cappellano di un carcere parli ai prigionieri dei loro errori. Solo se un criminale si sente ri6 Per le Memorie di van Kilsdonk, si veda A. Verburg, Pater van Kilsdonk, Raadsman in delicate zaken. Memoires, Atlas Contact, Amsterdam-Antwerpen, 2013. La citazione a p. 96. 7 Nationaal-Socialistische Beweging, partito collaborazionista olandese di ispirazione nazista; ndt. 8 A. Verburg, Pater van Kilsdonk, Raadsman in delicate zaken. Memoires, cit., p. 94. 9 Ivi, p. 56. 10 Ivi, p. 68. 17 spettato (…) può cambiare qualcosa nel suo intimo e inizia a rispettare gli altri e poi se stesso”11. Poi il superiore provinciale chiese a van Kilsdonk di continuare gli studi a Roma e di preparare un dottorato in teologia. Ma a van Kilsdonk non sembrava una scelta saggia perché temeva di restare facilmente coinvolto e impantanato in conflitti religiosi. Nel 1947 è stato mandato ad Amsterdam come insegnante di religione (fino al 1960) presso il Sint-Ignatiuscollege, vivaio dell’establishment e dell’intellighenzia cattolica. Dal 1948 al 1973 è stato anche docente di etica presso l’Academie voor Lichamelijke Opvoeding (Accademia di educazione fisica), sempre ad Amsterdam. Tra il 1959 e il 1975 ha guidato innumerevoli ritiri per sacerdoti in tutte le diocesi dei Paesi Bassi. Nel 1959 è stato nominato cappellano universitario, funzione che ha esercitato fino a quando non è andato in pensione nel 1982. A tale titolo, dal 1960, egli è stato anche moderatore (assistente spirituale) dell’associazione cattolica degli studenti di Amsterdam Sanctus Thomas Aquinas. Poco prima dell’inizio del Concilio vaticano secondo, nel 1962, van Kilsdonk ha tenuto un discorso dal titolo: “Libertà-coscienza-magistero” per la Sint Adelbertvereniging, un’associazione cattolica di laici con funzioni dirigenziali. La televisione, all’epoca un fenomeno ancora recente, ne ha trasmesso delle registrazioni. Ciò mi ha procurato per la prima volta una grande popolarità. Che un semplice prete dicesse che il papa può anche commettere errori e che il linguaggio era troppo pretenzioso, alla KRO12 non si era mai sentito. (…) Perché, per dirla in breve, questo era il mio messaggio: che era possibile dare un giudizio critico sui vescovi e che la storia papale forniva anche spunti di riflessione critica13. Grazie a questo discorso van Kilsdonk, con la sua sensibilità per “ciò che si stava muovendo”, con il suo senso della realtà, la sua brillante preparazione intellettuale e il suo grande talento oratorio, è diventato uno dei principali portavoce della popolazione cattolica olandese. A partire dagli anni Sessanta la società e la chiesa subiscono rapidi cambiamenti, di sicuro in un’Olanda all’epoca ancora molto ammodo. La Chiesa cattolica romana si trovava, dai tempi della Riforma nel XVI secolo, in una posizione repressiva. Al ripristino della gerarchia episcopale nel 1853 è seguito un periodo di notevole fioritura che è poi andato scemando. Nel 1960 van Kilsdonk ha fondato l’Amsterdamse Studentenekklesia, con lo scopo di presentare la Bibbia agli studenti, sulla base di seri studi, in modi che fossero per essi significativi e di celebrare la liturgia nella lingua comunemente 11 12 Ivi, p. 70. L’emittente radiotelevisiva cattolica. Verburg, Pater van Kilsdonk, Raadsman in delicate zaken. Memoires, cit., p. 104. 13 A. 18 usata dalla popolazione. All’iniziativa hanno partecipato anche altri giovani confratelli di van Kilsdonk, tra cui Huub Oosterhuis (1934-) poeta dedito soprattutto a testi liturgici. La Studentenekklesia ha conosciuto in breve tempo una grande fioritura. Sulla rivista dell’organizzazione van Kilsdonk scriveva articoli su argomenti che interessavano agli studenti, ad esempio sulla sessualità prematrimoniale, un peccato mortale per i cattolici, come ripetutamente confermato dal papa: Avevo bisogno di liberare le questioni della loro gravità con un linguaggio chiaro e semplice. Non volevo che un ragazzo di venti o venticinque anni la domenica in chiesa stesse lì a pensare: stanotte ho fatto l’amore con Annie, allora non posso fare la comunione. E la volta dopo: tanto vale che non ci vada proprio più in chiesa, da Roma arrivano solo delle assurdità14. Dopo il discorso alla Sint Adelbertvereniging citato in precedenza e l’apertura del Concilio, il Sant’Uffizio a Roma diede ordine di rimuovere van Kilsdonk dall’incarico di cappellano universitario. Ma il popolare vescovo di den Bosch, Bekkers, lo sostenne. Il cardinal Alfrink, arcivescovo di Utrecht, e Marga Klompé, la prima donna a diventare ministro nei Paesi Bassi, a sua volta cattolica, riuscirono a convincere Roma a tornare sui suoi passi. Verso il 1965 i sacerdoti della Studentenekklesia entrarono in conflitto con il vescovo Zwartkruis di Haarlem a proposito dell’eucaristia in relazione con il celibato obbligatorio. Oosterhuis e compagni vi misero fine e lasciarono l’ordine. Van Kilsdonk li appoggiò, ma rimase nell’ordine. Subito dopo la sua nomina a preposito generale dell’ordine dei gesuiti, lo spagnolo (basco) padre Arrupe (1907-1991; generale dal 1965 al 1981) lo invitò ad andare a Roma, perché prendendo spunto dagli articoli da lui scritti sulla rivista della Studentenekklesia erano sorti degli interrogativi circa le concezioni di van Kilsdonk, non sulla sessualità, ma nel campo della cristologia, in particolare per quanto riguarda la nascita di Cristo da una vergine. Come il nostro attuale papa Francesco, van Kilsdonk restò molto impressionato da Arrupe. Da questi, egli aveva ricevuto una lettera affettuosa, che diceva avrebbe avuto piacere di fare la mia conoscenza, e senza alcuna intenzione di formulare giudizi. Nessunissima. Me ne ero accorto già dalla lettera. In quel periodo ero talmente occupato che l’avevo lasciata da parte. Ma ben presto ne ricevetti una seconda in cui ribadiva di volermi vedere. Siamo stati accolti in modo eccezionalmente amichevole. Dovevamo semplicemente raccontargli le situazioni che ci tro14 Ivi, p. 84. 19 vavamo davanti ad Amsterdam. Arrupe mi ha davvero rubato il cuore. Era un uomo che aveva una grande sensibilità per le necessità umane. Non era affatto un funzionario. Era un vero uomo di Dio. Mi ha fatto una profonda impressione come persona, come persona alla ricerca. Era un leader spirituale di grande levatura15. “Aveva (…) qualcosa di un santo. Un uomo commovente”. Van Kilsdonk dovette comparire davanti a una commissione teologica per illustrare le sue concezioni e poi il caso venne archiviato, ossia: “Non ne ho mai più sentito parlare”16. Come cappellano universitario van Kilsdonk si è dedicato a partire all’incirca dal 1972 a visitare sistematicamente gli studenti a casa loro, cinque sere alla settimana, dalle sette di sera all’una o alle due del mattino, in particolare nei quartieri e negli edifici appositamente costruiti a quel tempo per essi: “Lì ho ascoltato migliaia di racconti”. Egli frequentava anche i ritrovi degli studenti. In un’intervista del 1987 indica in circa trentamila le persone, studenti e altro, conosciute in questo modo. Poco tempo dopo essersi incontrato con queste persone era solito scrivere una lettera, spesso ampia e circostanziata, in cui rifletteva sull’oggetto della conversazione. Sia nei colloqui che nella corrispondenza usava un linguaggio curato, sensibile, preciso, che esprimeva sostegno, sincero, ma anche solenne, “barocco”. Così padre Kilsdonk divenne, ad Amsterdam e dintorni, un autentico fenomeno. Molte volte, a sua detta venti o venticinque, è stato coinvolto nei funerali di un suicida17. Nel 1982 van Kilsdonk ha compiuto sessantacinque anni ed è andato in pensione. Sul Dam, in una Nieuwe Kerk affollatissima, l’evento è stato celebrato alla presenza del sindaco Polak e del primo ministro Lubbers. E ha inoltre ricevuto un’onorificenza regia. Sul piano pastorale è rimasto molto attivo. In occasione dei compleanni che coronavano un lustro o un decennio e dei cinquant’anni di sacerdozio è stato al centro di grandi festeggiamenti che si tenevano nella Oude Kerk e nel palazzo della borsa. Il 1° luglio 2008 padre van Kilsdonk è deceduto nel sonno ad Amsterdam all’età di novantuno anni. Il 6 luglio si è tenuta, con grande partecipazione del pubblico, una veglia nella Oude Kerk e il 7 luglio si sono svolti i funerali nella Dominicuskerk, di cui van Kilsdonk era assiduo frequentatore. Tra i presenti vi erano il sindaco di Amsterdam Job Cohen e il vescovo emerito Ronald Philippe Bär. 15 16 17 20 Ivi, p. 124. Ivi, p. 137. Ivi, p. 170. 2. Esperienze con l’omosessualità avute esercitando la sua funzione di insegnante di religione e di cappellano universitario Nelle sue memorie van Kilsdonk racconta: Prima di prendere i voti ho avuto innamoramenti giovanili, e anche dopo ho avuto una serie di esperienze affettive che avevano chiaramente importanza per me, ma che non mi hanno mai creato confusione. In questo campo ho una forte disciplina. (…). Essenzialmente sono terribilmente riservato, non tocco mai nessuno. Il mio affetto e la mia vicinanza si ravvivano tanto più con una chiara distanza. No, il celibato non mi ha tolto nulla. Per alcune persone è possibile viverlo in modo naturale. Lui stesso non era omosessuale. Nel 1994 un giornalista gli ha chiesto: “Lei una volta è stato definito ‘essenzialmente omofilo’, che vuol dire?”. Al che ha risposto: “È una stupidaggine. Era un giornalista che voleva, come si dice, fare clamore, e che non mi conosceva per niente”. Alla domanda “non si è mai innamorato in vita sua?” ha risposto: “Certo, più volte, ma mai di un ragazzo”. In una lettera inviata al settimanale «Amsterdams Stadsblad» (15 giugno 1994) in cui controbatte l’affermazione secondo cui sarebbe stato lui stesso omosessuale, van Kilsdonk scrive: “Mi manca, purtroppo, il talento di farmi turbare eroticamente dagli uomini”. Nel 1967 un giornalista (“De Tijd”, 14 ottobre 1967) gli ha domandato: “Quando parlo con delle persone che l’hanno avuta come insegnante all’Ignatiuscollege, mi dicono che all’epoca non mostrava traccia della flessibilità che ora la caratterizza. Lei era uno di quelli ‘severi’ Come è andata?”. La sua risposta è stata la seguente: Quello che dice è vero. Sì. Ho avuto un’educazione molto tradizionalista. Solida. Tomistica18. Ho letto l’intera Summa e conosco Denzinger19 come le mie tasche, sebbene nessuno mi abbia obbligato a farlo. Studiavo in modo estremamente serio e ligio al dovere. Ho una tendenza alquanto monastica. Con un retroterra del genere finché è stato possibile mi sono adoperato per il mantenimento della tradizione. Nei miei comportamenti pedagogici e anche nei miei sforzi intellettuali. Ancora otto anni dopo il 18 Secondo la dottrina di San Tommaso d’Aquino (1225-1274). Nella sua opera principale, la Summa Theologica, egli ha sistematizzato il pensiero teologico; ha esercitato ed esercita tutt’ora una grande influenza nella chiesa cattolica. 19 H.J.D. Denzinger (1819-1883) è il primo autore-curatore del libro Enchiridion Symbolorum (1854) in cui ha riunito tutte le dottrine religiose antiche e i documenti ecclesiastici più importanti per la teologia cattolica sulla fede e la morale. Nel 1963 è comparsa la trentaduesima e finora ultima edizione della sua opera, a cura di Adolf Schőnmetzer. 21 mio ordinamento – è stato nel 195020 – difendevo l’enciclica Casti Connubii21 con tutte le mie forze. L’ho difesa con tutti gli argomenti proposti da altri e perfino con argomenti intellettuali che non vi si trovavano, ma che avevo elaborato io stesso. L’ho difesa con le unghie e con i denti. Nella sua vita c’è stata una prima fase nella quale non conosceva degli omosessuali personalmente. Nelle sue memorie egli racconta: Al tempo della mia istruzione non si sentiva mai parlare di omosessualità. Sì, che come padre confessore dovevi segnalare a qualcuno la sua condizione di peccatore quando era necessario, ma anche confortare, non punire. Naturalmente sapevo di cosa si trattava, ma, cosa strana, non avevo alcun sentimento particolare al riguardo: esistevano gli omosessuali come esistevano i cinesi e i marocchini, non c’era mica da arrabbiarsi per questo22. Nel febbraio 2008 alla rivista «Ons Amsterdam»: “Avevo (…) trent’anni e sapevo ovviamente che esisteva una cosa del genere. Sembrava assai comune tra i poeti inglesi. Ma per me restava una cosa molto astratta e come insegnante di religione esitavo a parlarne”. E in un’intervista del maggio 1987 alla rivista mensile per gay «G.A.»: “Prima dei trent’anni non avevo mai visto consapevolmente un uomo omosessuale, (…) vivevo come uno studioso, appartato (…). E poi all’epoca gli omosessuali si nascondevano, non li riconoscevi e nemmeno li incontravi”. In relazione alla sua esperienza di guida nei ritiri dei sacerdoti, in una nota per il rettore del Collegio Teologico Cattolico di Amsterdam – K.T.H.A., prof W.G. Tillmans (Rettore negli anni 1985-1987 e 19891991), egli ha scritto: In quegli anni non ho avuto l’impressione che tra quegli uomini le tendenze omosessuali fossero rappresentate in modo più marcato. Ma al riguardo non ho un’immagine molto chiara. Tanto più che non so quanto fosse alta la soglia che richiedeva una confessione a questo proposito. Forse molto alta. A quel tempo, continua, a suo avviso gli impulsi di natura implicitamente omosessuale di solito venivano sublimati: “La vita religiosa, intrisa di calore liturgico o devozionale, dava a numerose persone una soddisfazione affettiva che non spingeva molti altri bisogni a emergere”. Probabilmente i candidati in cui questa problematica era consapevole e fortemente presente venivano scartati, da loro stessi o dai responsabili 20 La data non corrisponde. Nel 1950 van Kilsdonk era sacerdote solo da cinque anni. (1930) di Papa Pio XI (1922-1939) sul matrimonio. Verburg, Pater van Kilsdonk, Raadsman in delicate zaken. Memoires, cit., pp. 78-79. 21 Enciclica 22 A. 22 della formazione: “Penso che fino agli anni Sessanta, nei seminari, nei conventi o nelle canoniche non solo l’espressione, ma anche solo la consapevolezza fosse molto scarsa”23. A questo proposito, egli sapeva che la maggior parte dei preti che tra il 1965 e il 1970 avevano abbandonato il sacerdozio si erano sposati con una donna, e non erano in cerca di un compagno. Quando van Kilsdonk era “insegnante da circa quattro anni, un ex studente si suicidò. Nel diario che dopo la sua morte mi è stato affidato dai genitori era descritta la lotta che conduceva con la sua tendenza omosessuale. Egli vi si lamentava amaramente della scarsa attenzione ricevuta dagli insegnanti e anche da me. Questo mi ha fatto una profonda impressione”. “In tutti quegli anni non avevo mai notato niente in lui, e lui non aveva mai osato parlarne”. “Mi ha scosso enormemente. Non mi ero accorto dei segnali che mi mandava. (…) E poi mi si sono aperti gli occhi, in senso pedagogico”. “Da allora presto attenzione a tutti i processi di maturazione sessuale”. Van Kilsdonk è stato nominato cappellano universitario ad Amsterdam nel 1959, un periodo in cui secondo persone non meglio specificate si viveva già un “rinnegamento della fede”, come egli ha dichiarato al quotidiano “De Telegraaf” nel 2007 per poi aggiungere: “Pensavano che Amsterdam sarebbe sprofondata come una specie di Sodoma e Gomorra”. L’uso di questa precisa espressione ovviamente può essere facilmente inteso come un riferimento all’omosessualità. L’intervistatrice notò sul viso di van Kilsdonk “un vago sorriso”, al che lui aggiunse: “Se uno la vede così, la vede così”. In un discorso tenuto nel 1979 alla Studentenekklesia, riportato dal giornale cattolico “De Tijd” (8 luglio 1977) van Kilsdonk ha raccontato i suoi primi contatti pastorali con uomini omosessuali: Nella mia attività di sacerdote mi è accaduto che dal 1947 al 1965, quindi per quasi vent’anni, quasi ogni mese ricevessi una visita da parte di qualche giovane laureato omofilo, sui venticinque o ventisei anni, che in prossimità del dottorato, o subito dopo, si trovava di fronte a delle decisioni difficili e inoltre sentiva, come molti dottorandi, la giovinezza sfuggirgli tra le dita. Erano quasi tutti un po’ a pezzi e intimoriti. Io cercavo di consolarli, con tanto impegno quanta incompetenza. Solo cinque anni fa – e io lo considero un punto di svolta nella mia vita, quasi una folgorazione sulla via di Damasco24 direi, se non suonasse troppo pretenziosamente biblico – ho incontrato per la prima volta una persona omofila felice, due a dire il vero. Soprattutto uno di quei due mi ha colpito profondamente per la sua personalità, il suo carattere, 23 Vedi la nota citata nel testo, scritta al rettore W.G. Tillmans, e le successive dichiarazioni contenute in interviste rilasciate alle riviste «XL» (1994), «Trouw» (10 febbraio 1996), «Ons Amsterdam» (febbraio 2008). 24 Riferimento alla conversione di Saulo, divenuto in seguito a questa esperienza l’apostolo Paolo, come narrato negli Atti degli apostoli 9,3-9 e 22,6-16. 23 la sua lucidità intellettuale, molto sportivo, eccezionalmente integrato a livello sociale, ed eticamente irreprensibile. Siamo diventati così amici che la loro gioia è un po’ anche la mia, e il loro dolore, anche e specialmente per quanto riguarda i loro problemi di relazione, è anche un po’ il mio. Da quel momento questo aprirsi di nuovi orizzonti è diventato quasi automatico. Nello stesso discorso, egli racconta inoltre: Tre anni accademici fa degli studenti omofili di Amsterdam hanno dato vita a un gruppo di lavoro per uscire dal ghetto e dall’anonimato, o forse per rompere il guscio del loro mondo e vivere la propria identità in mezzo a tutti gli altri compagni di studi. Ciò significava che oltre alle feste in cui ragazzi e ragazze si abbandonavano alle danze e alle affettuosità alcuni di loro esprimevano la loro allegria tra ragazzi e ragazzi o tra ragazze e ragazze. Tutti sanno il disagio25, ossia un senso di minaccia, che ciò suscita in noi che non siamo abituati a questa vista. A una di quelle prime feste, al circolo Salve26 (…) ero stato invitato insieme al medico Dikkenberg e allo psicologo Bruggeman, che si prendevano cura degli studenti. Armato del mio bicchiere di birra, me ne stavo da parte a osservare, con sguardo incerto, tutti quei ragazzi che ballavano e a volte amoreggiavano. Poi a un tratto è spuntato accanto a me un ragazzo dai capelli un po’ lunghi e la barba ben curata. Lo conoscevo vagamente, ma non ne ricordavo esattamente il nome né il club. Mi ha detto: “Mio padre è di origini ebraiche, ma assolutamente non credente, e mia madre è estranea alla religione fin dalla nascita27. A me piace leggere le antiche scritture. Ho letto il Corano, ho letto la Bibbia. Una serie di testi indiani. La mia impressione è che tutti quei canti e tutte quelle antiche meditazioni siano una ricerca della stessa cosa. Lo chiamano Tutto o Nulla. O Dio. Sono entrato ora con la mia ragazza. Sono scappato da una festa che era diventata noiosa e quasi senza volerlo sono finito qui da Salve. Ci sono alcuni miei amici di cui sapevo che avevano tendenze omofile e li vedo ballare per la prima volta. Guarda che espressione rilassata, che libertà, per la prima volta sono se stessi. Mi sembra di vedere qualcosa di divino nei loro occhi, Dio stesso, quella realtà di cui parlano tutti quei libri”. Non si tratta solo del fenomeno in lento sviluppo dell’integrazione sociale dei compagni di studio omofili, si tratta dell’esperienza di Dio attraverso un volto umano che da quel ragazzo con il padre ebreo ateo e la madre estranea alla religione si trasmetteva a me. Non c’è altro luogo in cui Dio si rivela se non nell’essere umano, nel volto di un 25 Nel 1987 dice van Kilsdonk in un’intervista al giornale “Rotterdams Nieuwsblad” (21 marzo 1987): “Le gerarchie cattoliche di fronte agli omosessuali non hanno paura dei propri pensieri. L’inclinazione verso l’amore omosessuale è anch’essa una crezione di Dio (sic). Le gerarchie cattoliche non sono consapevoli del loro disgusto, della loro avversione per gli omosessuali, ma il fatto è che provano disagio alla vista di due uomini che si amano”. Con “disagio” van Kilsdonk sembra quindi indicare una sensazione inconsapevole, non ragionata, da cui non ci si deve lasciar dominare. 26 Circolo studentesco. 27 Questa frase ricorda Giovanni 9,1: “Passando, vide un uomo cieco dalla nascita”. 24 essere umano28 che passa dalla paura alla libertà. Dio non sta da nessun’altra parte. Dio non è proprio da nessun’altra parte. È degno di nota come qui, da un lato, la creazione del gruppo di lavoro in questione venga descritta come un’attività legittima e inevitabile e, dall’altro, come l’organizzazione (e l’osservazione) di “serate aperte” con la possibilità di “esprimere la propria allegria” per persone dello stesso sesso susciti “imbarazzo in noi”. Van Kilsdonk descrive qui la propria avversione (“armato del mio bicchiere di birra” – corsivo aggiunto) e quella dei suoi ascoltatori, dei suoi lettori o delle persone con cui egli si identifica, ma poi si lascia trasportare dall’intuizione di quell’anonimo studente eterosessuale molto interessato alla religione proveniente da un ambiente ebraico ed estraneo alla religione (corsivo aggiunto) che mette in relazione le parole strettamente collegate tra loro “libertà”, “se stessi” e “Dio” con l’esperienza dei ragazzi che ballano. Si ha l’impressione che l’insieme di tali termini combinati tra loro rendessero lo studente in questione interessante agli occhi di van Kilsdonk e, a giudizio di quest’ultimo, anche a quelli del suo pubblico della Studentenekklesia, e sette anni dopo anche a quelli dei lettori del suo articolo apparso sul giornale cattolico “De Tijd”. Il 10 luglio 1968 van Kilsdonk scrive una lettera allo Studentencorps, associazione degli studenti di Amsterdam in occasione di un incidente avvenuto nei locali dell’organizzazione. Alcuni ragazzi che vi avevano ballato insieme “come omofili” erano stati invitati ad andarsene dalla direzione. Da questa lettera si evince che van Kilsdonk, insieme al dottore e allo psicologo degli studenti di cui si è detto in precedenza, era strettamente coinvolto nella creazione dell’Amsterdamse Studenten Werkgroep Homosexualiteit (ASWH; Gruppo di lavoro sull’omosessualità degli studenti di Amsterdam). Nella lettera, a questo riguardo, egli scrive: L’intenzione dell’ASWH è quella di favorire in modo pacato e civile l’integrazione degli studenti omofili ed eterofili; ciò significa che lo studente omofilo, secondo un codice di comportamento al quale è peraltro soggetto qualsiasi rapporto sociale, può esprimere e conservare la propria identità e che non viene da noi condannato alla situazione estremamente nevrotizzante di una doppia vita, quella clandestina che gli appartiene e quella ufficiale che non gli appartiene. L’ASWH in questo quadro aveva organizzato la suddetta festa e altre simili. Che van Kilsdonk facesse parte di coloro che avevano preso questa iniziativa emerge da un’intervista del 1996 al quotidiano “Trouw” in cui 28 Questa osservazione ricorda le idee di filosofi ebrei come Martin Buber (1878-1965), Franz Rosenzweig (1886-1929) ed Emmanuel Levinas (1906-1995). 25 egli dice: “All’inizio degli anni Sessanta i giovani omosessuali minori di ventuno anni non avevano accesso al COC29. Noi abbiamo organizzato delle feste per questo gruppo di persone. Alla prima sono venuti cinquecento studenti”30. Nella lettera all’associazione degli studenti egli riflette sul fenomeno dell’omosessualità, in particolare nel mondo studentesco, e sulle possibili obiezioni a riguardo. Egli auspica che a questi studenti venga concesso spazio, anche all’interno delle associazioni degli studenti di cui fa parte “una chiara percentuale di studenti omofili che a volte in tali organizzazioni vedono schiacciata la loro legittima gioia di vivere”. Nell’ambito del suo lavoro di ricerca in qualità di cappellano universitario egli è entrato in contatto con molti studenti omosessuali e ne frequentava anche i luoghi di ritrovo. Nel 1987 ha detto in proposito alla rivista per gay «G.A.»: Vado nei locali solo da dieci o quindici anni, e per me è stato un passo molto grande. È cominciato sulla Rembrandtplein mentre mi recavo a casa di uno studente in Weesperstraat. Un ragazzo mi si è rivolto e mi ha chiesto: “Il mio amico mi sta aspettando, vuole venire anche lei?” Ho accettato e sono finito nella Amsteltaverne, dove ho incontrato sicuramente una decina di persone che conoscevo. Sono stato accolto con un applauso. Per dirla con Wim Sonneveld31: e così è accaduto. Nella stessa intervista egli parla dell’atmosfera che regnava in questi incontri e sulle sue intenzioni a riguardo: I locali sono una mostra di malinconia, ma anche di allegria, spesso vi aleggia un’ebbrezza affettuosa e carnevalesca. Dietro vi si cela quasi sempre qualche dolore. Se uno si sente felice a casa, la sera non va in un locale. Ovviamente quando si va a bere un bicchiere è diverso, e poi si esce anche, ma allora lo si fa con amici e amiche. Io non mi rivolgo a nessuno, se non succede niente me ne vado. Di solito mi metto in un angolo, perché lì si parla meglio, una specie di angolo della confessione. Quando qualcuno mi confida le sue preoccupazioni spesso il giorno dopo gli scrivo anche una lettera. Mi ci impegno molto, anche se ci sto con piacere, lavoro molto seriamente, senza perdere neanche mezz’ora. Questo tipo di lavoro è la mia boccata d’aria fresca, mi è sempre piaciuto molto. 29 Cultuur en Ontspanningscentrum – COC (circolo culturale e ricreativo). Sigla con cui viene identificata l’Associazione olandese per l’integrazione dell’omosessualità. 30 Nelle sue memorie (2013) egli cita tra gli altri fondatori “colleghi sacerdoti, decani degli studenti e psicologi della Vrije Universiteit della Università di Amsterdam” e indica in trecento il numero dei partecipanti alla prima festa. 31 Cantante e cabarettista olandese (1917-1974). La citazione è tratta da uno dei suoi personaggi, Frater Venantius. 26 Per dare un’idea dell’atmosfera di questi luoghi di ritrovo e della loro frequentazione da parte di van Kilsdonk, ecco alcune citazioni. In una lettera (non pubblicata): “Ci siamo incrociati almeno venticinque volte nel chiasso e nell’oscurità del circolo Akhnaton, durante quasi due anni”. In un discorso non pubblicato: “Ricordo come se fosse ieri che, circa sei anni fa, ho fatto un salto al Traffic alle due del mattino”. “Io la conosco solo”, mi ha detto Henk, “per averla vista nella penombra delle sale da ballo dopo la mezzanotte”. Van Kilsdonk non ha paura di niente. La seguente citazione tratta da un discorso non pubblicato è una testimonianza di come non evitasse nemmeno i luoghi più duri: “Avevo conosciuto Marcel anni prima in una discoteca notturna in Reguliersdwarsstraat 45, che ormai non esiste più. Stava invariabilmente seduto sotto un televisore mentre sopra la sua testa passavano sullo schermo immagini che non avevano intenzione di essere edificanti”. Van Kilsdonk in un’intervista del 1987 smentisce di essere diventato in particolare il “cappellano degli omosessuali”: “Nei locali degli omosessuali quei ragazzi pensano a volte che prendersi cura delle loro anime sia una mia specializzazione. Ma io ho anche celebrato circa quattrocento matrimoni”. In un’altra intervista del 1987, rilasciata al giornale “Rotterdams Nieuwsblad”, egli racconta di aver benedetto anche venticinque unioni tra persone dello stesso sesso: Conosco molte più relazioni omosessuali, ma lì non avevano bisogno di una benedizione. Ho sempre celebrato quei riti con la massima commozione. Secondo la gerarchia cattolica non è ammesso, ma questo è un problema mio. La questione non è se si possa o meno. Si deve, se lo chiedono delle persone sincere e vulnerabili. Nelle sue memorie32 egli comunica anche di avere benedetto sette unioni tra due donne. “Ho (…) visto quelle donne piangere di commozione e solo allora ho capito davvero cosa significava che un sacerdote benedicesse con le parole più religiose che si possano pensare il loro stare insieme, il loro futuro, sì, in breve, tutto quello che erano e sono”. 3. La pensione e l’interessamento per gli uomini affetti da AIDS Nello stesso periodo in cui van Kilsdonk è andato in pensione, negli Stati Uniti e subito dopo in Europa e in Olanda è cominciata l’epidemia di AIDS. In particolare il virus HIV che provoca l’AIDS può essere facil32 A. Verburg, Pater van Kilsdonk, Raadsman in delicate zaken. Memoires, cit., p. 180. 27 mente trasmesso attraverso rapporti anali non protetti. Gli uomini omosessuali attivi sessualmente costituivano pertanto in questa prima fase in cui la malattia era ancora sconosciuta il più vasto gruppo a rischio. Anche molti dei conoscenti di van Kilsdonk, studenti ed ex studenti, si ammalarono gravemente in breve tempo. Ben presto – racconta al quotidiano “Trouw” nel 1996 – nell’AMC33 un ex studente ha creato un reparto per l’AIDS34. I primi contingenti di pazienti affetti da AIDS erano costituiti quasi interamente da ex studenti. Veniva da chiedersi se il virus avesse una preferenza per i laureati. Era un’illusione ottica. Di gente con l’AIDS che venisse da un paesetto non ce n’era ancora lì. Molti laureati erano stati in America e avevano contratto lì il virus. Io sono stato letteralmente chiamato da loro a svolgere questo lavoro. Gli effetti della malattia nella prima fase dell’epidemia, quando i medici erano ancora del tutto impotenti, erano estremamente devastanti. Si moriva in breve tempo. Le conseguenze mentali per il malato e il suo ambiente erano come è ovvio estremamente profonde. Van Kilsdonk indica delle cifre relative ai malati di AIDS di cui si è occupato a livello pastorale: 11 (1987), 16 (1988), 17 (2007), 100 (2005), 150 (1994), 170 (1995), 200 (2003), 90 (2013), 230 e “centinaia”. Queste cifre rispecchiano la progressione dell’epidemia, ma in parte indubbiamente sono espressione di un’esperienza. A volte egli visitava i singoli malati anche trenta volte. Per loro, i loro partner, i familiari e gli amici, egli ha spesso significato molto. A questo riguardo egli preferisce non parlare di “accompagnamento alla morte”, che in un’intervista riportata nel libro Vivere con l’AIDS? di van den Boomen (1989), definisce “una delle più disgustose e presuntuose espressioni della nostra cultura”. Van Kilsdonk in quanto sacerdote era già abituato a visitare malati terminali. Nel frammento di un discorso senza data, dal titolo “Vicino alla morte” preparato per la Studentenekklesia, egli descrive la sua “filosofia” della visita pastorale in circostanze del genere: Credo che il sacerdote che ha qualche familiarità con il moribondo debba visitarlo molto spesso, a giorni alterni ad esempio, per due o tre mesi, e non mancare mai di farlo, ovviamente se la persona in questione ne ha piacere. A giorni alterni per due mesi o più. Perché? Si crea serenità nella comunicazione, forse si diventa amici. Niente di più. Non c’è niente di peggio della lo33 Academisch Medisch Centrum, ospedale di Amsterdam. 34 Dr Sven Danner (1946), dal 1984 direttore del reparto AIDS dell’AMC; dal 1995 professore di medicina interna, in particolare per quanto riguarda la cura dell’AIDS, presso l’università di Amsterdam, e dal 2000 fino al suo pensionamento nel 2011, presso la Vrije Universiteit. 28 quacità, della conversazione forzata in cui tutti i sentimenti finiscono per disperdersi. Stare semplicemente lì seduti, un po’ di conversazione non verbale con lo sguardo, a volte negli ultimi giorni mano nella mano, e a volte tra una visita e l’altra un paio di lettere per trovare un’altra lingua un po’ più intima. Visitava i malati di AIDS a casa, in ospedale o in una casa di cura: “Passo quasi settimanalmente alla Flevo-huis35, dove a una serie di pazienti vengono prestate le ultime cure in clinica e poi nell’ultima fase di vita, quando non sono più curabili, vengono seguiti a casa con il massimo dell’affetto e della pazienza”. Grazie ai suoi buoni rapporti con il direttore, egli era un visitatore assiduo (all’apice della sua attività anche fino a tre volte alla settimana) e privilegiato dello speciale reparto AIDS del Medisch Centrum di Amsterdam: Quando gli ho manifestato questa intenzione, – riferisce in un discorso alla Mozeshuis (Casa di Mosè), non pubblicato – Sven Danner36 (…) ha proposto lui stesso di dare disposizione alla sua segretaria di comunicarmi settimanalmente quanti malati di AIDS venivano assistiti nell’AMC, i loro nomi e i numeri delle rispettive stanze. Quindi anche al di fuori del policlinico. Credo che questo accordo a vantaggio dell’attività pastorale violi in realtà le regole della privacy. Ma un rapporto di fiducia consolidato negli anni a quanto pare fa sì che nessuno abbia paura di abusi o indiscrezioni. Faccio visita, esattamente come prima, solo ai pazienti che conosco o che spontaneamente mi fanno un cenno di riconoscimento o di saluto. Che le circostanze in cui ciò avviene non siano sempre facili e che van Kilsdonk potesse infastidirsi anche di se stesso è testimoniato dalle seguenti parole in una lettera non pubblicata: La ritrosia e una sensazione di impotenza che nei miei incontri “da anima ad anima” non mi abbandonano mai sono rese ancora più intense dal fatto che gli incontri a volte sono improvvisi, e dall’inadeguatezza del luogo. Nella camera c’era anche un altro paziente che medici e infermieri hanno visitato ripetutamente. Egli frequentava settimanalmente anche il cosiddetto HIV-café del COC, ogni tanto anche il pranzo-HIV settimanale della Fondazione Schorer, che costituiscono entrambe occasioni di incontro per le persone affette da HIV. Anche a seguito di queste occasioni egli era solito scrivere molte lettere: “Dopo la morte di un paziente di AIDS, – afferma nel citato 35 36 Clinica di Amsterdam. Si veda la nota 34. 29 discorso alla Mozeshuis – ho l’abitudine di chiedere la restituzione delle mie lettere, soprattutto se erano una certa quantità, per distruggerle assieme a quelle ricevute da lui. Quelle che avevo scritto a Ronald erano trentaquattro”. Nell’ambito delle sue visite in ospedale egli ha incontrato anche vittime provenienti dall’Africa. Così continua: Un paio di volte ho incontrato nell’AMC o altrove anche degli immigrati clandestini provenienti da qualche paese africano che avevano portato con sé il virus senza saperlo dalla terra di origine. Questi giovani neri, spesso con scarse conoscenze dell’inglese o del francese, sulle prime sono chiusi e spaventati quando compaio sulla soglia della loro stanza, perché temono che sia un qualche investigatore. La settimana dopo, la croce sul risvolto della mia giacca fa miracoli. Nella Casa di Mosè – Mozeshuis, il centro per l’educazione degli adulti ubicato accanto e all’interno della ex chiesa francescana di Sant’Antonio da Padova (popolarmente nota come Mozes e Aaronkerk), van Kilsdonk ha partecipato tra il 1987 e il 2004 a circa sessantacinque giornate di studio e dialogo sulle tematiche dell’AIDS/HIV, organizzate assieme al Gruppo di lavoro sull’AIDS della sezione operativa del Consiglio delle Chiese di Amsterdam. Van Kilsdonk faceva parte di questo gruppo di lavoro. Nel quadro di tali corsi e di altre occasioni analoghe, all’interno e all’esterno della Mozeshuis, egli illustrava la sua esperienza nel campo dell’AIDS/HIV. Col passare degli anni la scienza medica è riuscita a intervenire maggiormente sulla malattia, con tutte le conseguenze del caso per le persone infettate dall’HIV e per il coinvolgimento pastorale di van Kilsdonk, come scritto nella Rivista Teologica Pastorale del 1989: L’attività pastorale al di fuori dell’ospedale e di una fase acuta è molto più complessa. E partecipa della opacità di tutte le vite e attività pastorali in un ambiente urbanizzato. Conosco dei giovani con un elevato livello di istruzione che tre anni fa mi hanno rivelato in maniera improvvisa e scioccante: ho l’AIDS. Agli occhi dei familiari e degli amici, a parte quelli più vicini, alcuni di essi presentano ancora per qualche anno un aspetto florido, non hanno necessità di estraniarsi del tutto dal mondo professionale, e possono fruire in abbondanza di piacevoli viaggi attorno al mondo anche sulle tracce rassicuranti del circuito37. Ma si aspettano che il sacerdote, tenendosi al momento disinvoltamente a distanza, starà loro vicino quando inizierà l’irreversibile distruzione. Vicinanza, non troppo presto né troppo tardi. Meglio apparentemente troppo tardi che sfacciatamente troppo presto. La prudenza è la caratteristica più sacra e creatrice dell’attività pastorale. Di certo nei momenti più delicati. 37 30 La movida omosessuale.