IN TIME - mitoag

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IN TIME - mitoag
IN TIME
Cosa succederebbe se, nel futuro, la moneta degli scambi fosse il “tempo”? Niente banconote o
assegni, soltanto un orologio digitale tatuato sul braccio che indica gli anni, le ore, i minuti e i
secondi a nostra disposizione e con cui possiamo fare la spesa, comprare il giornale, pagare
l’affitto, i pedaggi e le tasse.
“In Time” si svolge in un futuro… forse non troppo lontano… in cui il gene dell'invecchiamento è
stato isolato e sconfitto. La gente è programmata per raggiungere i venticinque anni e, in seguito,
deve affannarsi a guadagnare del tempo extra. La gente è costretta a vivere alla giornata ed è
abituata a svegliarsi la mattina sapendo di avere a disposizione un’ora, un giorno, magari un mese
se è fortunata. Come in tutte le società, il costo della vita continua ad aumentare e gli abitanti si
ritrovano sempre più spesso in bolletta. Allora ecco anche i ladri che uccidono senza pietà per
avere un’ora in più. Quando il tempo finisce, la persona muore nel punto in cui si trova, senza
alcuna possibilità di salvezza.
Per evitare la sovrappopolazione, il tempo è diventato la moneta con cui la gente paga per
acquistare beni di prima necessità o di lusso. I ricchi possono vivere per sempre, tutti gli altri
cercano di negoziare per la loro immortalità. Quando Will si ritrova in possesso di un secolo,
donatogli da un uomo ricco di tempo che intuisce la sua sensibilità, entra nel mondo straordinario
degli “aspiranti immortali” e incontra Sylvia, un’ereditiera bella e annoiata a caccia di qualcosa che
dia un senso a ogni singolo giorno. Dall’incontro tra i due, nasce un’avventura dove la posta in
gioco è la vita.
Davvero l’uomo sarebbe felice, se fosse immortale? Se avesse più tempo? L’uomo ha da sempre
accarezzato l’idea di sconfiggere la morte. Scrittori come Goethe e Oscar Wilde hanno dato la loro
interpretazione del tema nel Faust e nel Ritratto di Dorian Gray. A suo modo, In Time sembra
riprendere la frase del filosofo latino Seneca, “non è vero che abbiamo poco tempo, abbiamo
troppo tempo che non riusciamo a utilizzare”, rivelando che non si può dominare il tempo. Se non
sappiamo farne buon uso, finirà per dominarci. Il migliore amico di Will spreca un decennio
bevendo fino a morire, incapace di gestire quella che, ai suoi occhi, è una ricchezza immensa. Il
padre di Silvia rinchiude la famiglia in una gabbia dorata, terrorizzato dalla morte accidentale. E un
ladro finisce vittima della propria avidità.
Il film In Time divide il mondo in due classi, i mortali e gli immortali, gli eletti e gli schiavi, e
presenta un eroe che lotta per liberarsi dal ghetto e per offrire agli uomini un’occasione di
giustizia. Il regista Andrew Niccol imposta la storia sulle logiche che dominano il mondo
contemporaneo, dove il denaro può comprare tutto e si identifica con la vita, portando alla perdita
del senso e dei valori più autentici.
Nel film “Signore degli Anelli”, Tolkien, afferma: “Non tocca a noi scegliere. Tutto ciò che possiamo
decidere, è come disporre del tempo che ci è dato”.
In conclusione Il tempo è denaro? Molto di più, in In Time il tempo è vita. Alla fine del film il
protagonista, avendo appena acquisito 24 ore nel proprio orologio di vita personale, afferma che
in un giorno “Si possono fare tante cose”.
Will Salas (Justin Timberlake)
"Quanto tempo ti è rimasto?"
"Solo un giorno!"
"In un giorno si possono fare tante cose!"
Will Salas (Justin Timberlake)
"Cosa faresti se avessi tutto questo tempo su quel orologio?"
"Smetterei di guardarlo. Ma se avessi tutto quel tempo non lo sprecherei."
Will Salas (Justin Timberlake)
"Non mi interessano le ore della giornata, ma che non mi sfugga il tempo dalle mani…"
Will Salas (Justin Timberlake)
Ho poco tempo. Non ho tempo per capire come sia successo, funziona cosi. Siamo
geneticamente progettati per smettere di invecchiare a venticinque anni. Il problema? È che
viviamo solo un altro anno… se non guadagniamo altro tempo, il tempo è la valuta in corso.
Lo guadagniamo e lo spendiamo. I ricchi posso vivere per sempre, invece noi. Voglio solo
svegliarmi senza che il tempo mi sfugga dalle mani..."
Henry Hamilton (Matthew Bomer)
''Per pochi immortali la maggioranza deve morire''
Sylvia Weis (Amanda Seyfried)
"Non siamo destinati all'eternità."
Will Salas (Justin Timberlake)
"Nessuno dovrebbe essere immortale, anche se costasse una sola vita!"
Sylvia Weis (Amanda Seyfried)
"I poveri muoiono, i ricchi non vivono"
«La vita fugge, et non s'arresta una hora,/et la morte vien dietro a gran giornate».
Con queste parole Francesco Petrarca iniziava uno dei più bei sonetti della letteratura italiana. La vita fugge
inesorabilmente, in quanto il tempo inghiotte tutte le cose, segnando la nostra vita come un ineluttabile
dirigersi verso l'appuntamento ultimo al quale nessuno può sottrarsi: la morte. Il tempo è implacabile,
crudele. È la sua missione. È cieca. Impietosa. Crudele. Tempo, vita e morte sono così indissolubilmente
legati in una corsa che nessuno può arrestare.
Ogni uomo fa esperienza del tempo. Anche se ha difficoltà a capire in cosa consista. «Se nessuno me lo
chiede, lo so. Se dovessi spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so», diceva Agostino d'Ippona. Il "tempo"
sembra sottrarsi a qualunque definizione. Potremmo dire infatti che è una strana realtà, in quanto il
passato non è più, il futuro non è ancora e non è possibile identificare il presente nell'istante attuale,
perché questo è subito trascorso. Nel momento stesso in cui ci concentriamo sull'istante che stiamo
vivendo, quello stesso istante è già passato. È nella nostra memoria. Non ritornerà mai più come
"presente". Ci è sfuggito.
Qual è allora il senso del tempo?
Quello di ricordare il carattere effimero della vita, che siamo esseri destinati alla morte? Fare esperienza del
tempo vorrebbe solo dire prepararsi a quel momento di fronte al quale tutti noi vorremmo fuggire? Certo,
l'esperienza del tempo non è separabile da quella della morte. Non a caso nella mitologia greca il tempo è
un dio (Kronos) rappresentato come un gigante mostruoso, colto nell'atto di mangiare i suoi figli, essendogli
stato predetto che sarebbe stato spodestato da uno di loro. E’ l'immagine di Kronos , inscritta nella
coscienza umana. Quel mostro abita il cuore dell'uomo, da sempre. Kronos è un dio che divora ciò che
genera. Stritola ogni cosa. Incute paura, angoscia. È un tiranno che non vuole condividere con nessuno il
proprio potere. È come un predatore in ricerca perenne di una vittima che, una volta identificata, non può
sfuggire. Incapace di condividere, riconduce tutto a se stesso, per soffocarlo e annientarlo. Il tempo è
nemico. È questa una visione del tempo tipicamente umana. Perché – si chiede l'uomo –, se da un lato ci è
donata la vita, dall'altro dobbiamo restituirla? È come se gli fosse stato fatto un dono che in realtà non gli
può appartenere.
La chiesa dei primi secoli ha riflettuto a lungo sul senso del rapporto tempo-morte. Il battesimo, con
l'immersione/emersione del neofita nelle acque del fonte battesimale, segna il passaggio dalla morte alla
vita, dalle tenebre alla luce. L'uomo si immerge nelle acque del non senso, della morte, per diventare una
creatura nuova. È questo il tempo per eccellenza del passaggio della grazia, del tempo opportuno, del
Kairos, termine con il quale i greci indicavano il tempo di Dio, il momento giusto, propizio, che ci fa
interpretare in modo diverso l'esperienza di Kronos.
Ciò grazie al fatto che come S. Paolo scrive nella Lettera ai Galati: "quando venne la pienezza del tempo, Dio
mandò il suo Figlio, nato da donna … perché ricevessimo l’adozione a figli" [Gal 4,4]. La "pienezza del
tempo" ossia il tempo corre verso un fatto, accaduto il quale esso ha raggiunto il suo traguardo. Il tempo
era come un’attesa, l’invocazione di una Presenza, di qualcosa/qualcuno che venisse. Questa Presenza è
arrivata: il tempo è compiuto.
E così il cristiano veniva chiamato «colui che non ha paura della morte», perché la propria morte non stava
davanti a sé, ma era dietro di sé, nel proprio battesimo. Davanti a sé sta la vita, rivolta verso la casa del
Padre. Il tempo che segue il battesimo è dunque quello della gioia, in quanto la "vera" morte è già
avvenuta. La fiducia nella buona morte apre all'epifania della vita, all'incontro faccia a faccia con Dio. È la
fiducia che la vita assume pienezza di senso, nella gioia di questo incontro definitivo. Questo tempo non
distrugge quindi ogni cosa, quanto piuttosto prende per mano, per accompagnare l'uomo verso l'origine
stessa della vita, verso un Dio pronto ad abbracciarci. Il tempo si fa amico. In questo senso, il battesimo
invita a guardare alla morte di Gesù sulla croce, per proclamare che la vita dell'uomo non finisce con la sua
esistenza terrena. Perché quell'uomo è risorto! Vivere l'esperienza del tempo diventa allora attendere la
risurrezione. Il tempo diventa quello della fiducia che ci conduce verso qualcuno che ci ama.
Se, invece, la nostra vita è la somma di tanti istanti slegati fra loro, se alla nostra vita manca al suo interno
di un "filo conduttore"; se lo scorrere del tempo non va verso nessun fine, non ha alcuna direzione, la vita
della persona è "sconclusionata".
Quale è il segno di questa condizione? Il bisogno di "evadere". Poiché una vita così è veramente
insopportabile, da essa bisogna uscire almeno qualche volta. E’ stata così costruita una grande "industria
dell’evasione". Com’è il sabato sera o le serate d’estate di tanti giovani? E’ l’atteso momento in cui
finalmente si dimentica la vita di ogni giorno; il riposo festivo non è il momento per capirne il senso e
viverla più intensamente. Ed infatti quando si ricomincia al lunedì, si aspetta con ansia la sera del sabato
seguente, quando finalmente si potrà "dimenticare". In questo modo, si entra in un annoiato e/o disperato
ritorno del sempre uguale: evasione per "sopportare" il vivere settimanale; vivere settimanale che aspetta
l’evasione del fine-settimana. Non ha importanza che spesso si arrivi alla domenica sera molto più stanchi
che riposati: l’essenziale è evadere, dimenticare. Quale significato ha lo scorrere del tempo per chi pensa e
vive così?
E così si giunge a due semplici constatazioni. La prima: l’essere nel tempo in senso pieno (prigionieri di esso
senza via di uscita) è un "peso" insopportabile per l’uomo. La seconda: l’unica redenzione dal tempo e del
tempo che l’uomo abbia saputo progettare e vivere, è stata la fuga, l’evasione da esso. Una fuga ed una
evasione che costa un prezzo molto alto: la perdita di se stesso.
"La vita per noi" ha scritto il filosofo Plotino "è come in frammenti, anzi abbiamo una moltitudine di vite"
[Plotino, Enneadi V, 3,9; ed. Rusconi, Milano 1982, pag. 837].
Ma quando il tempo della nostra vita ha un compito, perché la nostra persona è stata chiamata da quella
Presenza a realizzarlo, allora il passare del tempo, l’essere dentro al tempo ha un senso, che si trasforma in
realizzazione di un disegno che a ciascuno di noi è stato dato di compiere. Il tempo cessa di essere un
girovagare senza meta: diventa un cammino verso la pienezza del proprio essere. Il tempo così inteso, non
sarà comunque come l’opera di Penelope: fare e disfare una tela senza che mai nessun disegno si compia. Il
tempo diventa la progressiva costruzione della completezza della propria vita: una vita piena.
La visione biblica e cristiana del tempo e della storia non è ciclica, ma lineare, è un cammino che va verso
un compimento. Un anno che è passato, quindi, non ci porta ad una realtà che finisce ma ad una realtà che
si compie, è un ulteriore passo verso la meta che sta davanti a noi: una meta di speranza una meta di
felicità, perché incontreremo Dio, ragione della nostra speranza e fonte della nostra letizia».