La co-‐produzione innovativa in agricoltura sociale

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La co-‐produzione innovativa in agricoltura sociale
La coproduzione innovativa in agricoltura sociale La co-­‐produzione innovativa in agricoltura sociale: sentieri, organizzazione e collaborazioni nelle nuove reti locali Francesco Di Iacovo, Stefania Fumagalli, Martina Sabbadini, Silvia Venturelli1 Abstract: Il lavoro affronta il tema della co-­‐produzione di servizi alla persona tra attori del privato sociale, di impresa profit e del mondo pubblico, a partire da pratiche innovative di agricoltura sociale. L’agricoltura sociale sta acquistando grande attenzione, in Italia e in Europa. Elemento di innovazione riguarda, tra e altre cose, il modo in cui i diversi portatori di interesse si riorganizzano nel co-­‐produrre valori pubblici e privati, sociali ed economici. Il tema della co-­‐produzione, dei servizi come dei valori, assume un peso paradigmatico nella fase di transizione dei sistemi economici, delle politiche pubbliche e del welfare e favorisce la costruzione di resilienza alle crisi. Il dibattito sulla co-­‐produzione affronta centralmente la crisi del welfare pubblico guardando alla nuova progettazione dei sistemi distributivi e di organizzazione dei servizi alla persona per innalzare l’efficacia dell’uso delle risorse pubbliche e modificare il modo di costruire relazioni economiche e sociali. Nella realtà italiana, il tema della co-­‐
produzione si innesta su riflessioni teoriche legate al tema dell’economia civile e, nelle pratiche di campo, sulla costruzione di solide reti locali. Queste ultime mostrano, nella realizzazione di valori pubblici e privati, una capacità evidente di realizzare i significati dell’economia per progetto e di impresa a movente ideale. In particolare, in agricoltura sociale, si registrano azioni coordinate tra privato di impresa, impresa sociale, associazionismo, servizi pubblici, fruitori dei servizi e cittadini che modificano in profondità, allo stesso tempo, logiche settoriali e mono-­‐competenti, sistemi di rappresentanza, processi di creazione e distribuzione di valori. Nelle pratiche inclusive e dei servizi, la convergenza di ingenuità professionale e competenza tra attori appartenenti a mondi e settori diversi, innalza le capacità inclusive secondo logiche attive di giustizia sociale. Nella creazione di valore economico le nuove reti intersettoriali contribuiscono a costruire mercati innovativi dei prodotti realizzati dalle imprese for profit in alleanza con il terzo settore, affermando nuove etiche di responsabilità e reputazione del modo di fare economia. La co-­‐produzione in agricoltura sociale si realizza a seguito di percorsi di innovazione sociale nei quali la mobilizzazione delle risorse locali avviene mediante la capacità collettiva di ridefinire, conoscenze, regole e senso comune tra una pluralità di portatori di interesse. Il paper, partendo da percorsi di ricerca e di azione, prende spunto dalla lettura di una dinamica in atto sul territorio della provincia di Torino, per affrontare il tema della co-­‐produzione nei rapporti tra imprese sociali e aziende for-­‐
profit, tra questi e interlocutori pubblici e cittadini nella definizione di partenariati e di sistemi di co-­‐governance locale, analizzando le risorse e le competenze mobilizzate, i metodi di promozione dell’innovazione sociale, i modelli organizzativi e di business realizzati, gli strumenti e le logiche di valutazione che ne scaturiscono. Parole chiave: Co-­‐produzione, agricoltura sociale, welfare, economia civile, SOMMARIO INTRODUZIONE LA CRISI DEI SISTEMI PRODUTTIVI E DI WELFARE RIPENSAMENTO DEL WELFARE PUBBLICO E RAFFORZAMENTO DELLA SUSSIDIARIETÀ LA CO-­‐PRODUZIONE DEI SERVIZI ECONOMIA CIVILE E COLLABORAZIONE TRA PROFIT E NON PROFIT INNOVAZIONE E TRANSIZIONE: PERCORSI METODOLOGICI L’AGRICOLTURA SOCIALE LA METODOLOGIA DI RICERCA E IL CASO DI STUDIO LA MAPPATURA LE LEZIONI E I SENTIERI DI LAVORO RIFORMA DEL WELFARE E SUSSIDIARIETÀ CO-­‐PRODUZIONE ED ECONOMIA CIVILE LA GESTIONE DELLA TRANSIZIONE. CONCLUSIONI BIBLIOGRAFIA 1
2 2 3 4 5 6 7 10 13 15 16 17 20 23 23 Francesco Di Iacovo, Dipartimento di Scienze Veterinarie, UniPisa ha curato la stesura del testo, Stefania Fumagalli, Coldiretti Torino, ha partecipato alla co-­‐progettazione delle azioni di ricerca intervento e supportato la progettazione di territorio, Martina Sabbadini, “Cavoli nostri” coop agricola sociale e Silvia Venturelli, “Cavoli nostri” coop agricola sociale hanno partecipato alla gestione di progettualità specifiche e collaborato alla gestione del processo di transizione. 1 Bozza non corretta da non citare senza il consenso degli autori. La coproduzione innovativa in agricoltura sociale Introduzione Questo articolo rappresenta un momento di riflessione rispetto ad un percorso di ricerca e di azione avviato, nel territorio di Torino, da circa 4 anni e avente come attenzione il ruolo delle risorse agricole nella partecipazione alla costruzione di nuovi modelli di produzione di valore economico e sociale. Il percorso è stato realizzato da Coldiretti Torino in partenariato con l’Università di Pisa e ha visto progressivamente crescere sul territorio il coinvolgimento attivo, in iniziative di informazione, formazione, produzione, inclusione, di un numero crescente di attori del mondo privato d’impresa, della società civile, del privato sociale (associazioni e cooperative sociali) del mondo pubblico. L’uso sociale dell’agricoltura per organizzare servizi di comunità e per rafforzare le reti di protezione sociale nelle aree rurali e periurbane non è nuovo in assoluto. Ciò che invece assume interesse è la possibilità di organizzare nuove formule collaborative nella co-­‐produzione di beni alimentari e servizi, tra attori diversi, per competenze e appartenenze, settoriali, sociali e territoriali. Per operare in questa direzione, l’AS tende a superare steccati e specialismi e valorizzare in modo nuovo le risorse locali a sostegno della vitalità delle comunità di riferimento. Il caso di Torino, in questa prospettiva condensa in se una quantità di esiti concreti e di utili spunti di riflessione teorica, gettando le basi per modi concreti di affrontare le sfide che la contemporaneità ci consegna. Nelle aree rurali il welfare sta subendo processi di arretramento considerevoli che mettono in discussione la stessa vitalità dei processi economici e la loro natura etica, dal punto di vista sociale e ambientale L’indebolimento delle comunità rurali si traduce, qui, nella difficoltà di assicurare ricambio generazionale e nell’abbandono del territorio che ne consegue. Ovvero, in sostituzione di economie di comunità, con il rischio progressivo di penetrazione di sistemi economici di rapina, che puntano ad estrarre valore dalle risorse locali – anche in economie agricole relativamente ricche-­‐ mediante l’uso illecito di lavoro migrante o l’uso improprio dell’ambiente, anche per smaltimenti di reflui. D’altra parte, appare chiaro che lo stesso cibo, come altre risorse necessarie per la vita delle persone nelle aree urbane, saranno sempre più dipendenti in futuro dalla capacità di trovare un nuovo radicamento nel sistema locale, mediante una ri-­‐territorializzazione dei modi di creare e distribuire valori e, nella produzione dei beni pubblici e privati. In questa prospettiva, molto della discussione sul futuro, sulle risorse per ridisegnarlo, sui percorsi da attivare, implica la capacità di costruire, quasi per intero, nuove relazioni e ipotesi di lavoro nel modo di produrre valore economico e sociale. Il nostro contributo, partendo dal caso di studio della provincia di Torino, si inserisce in questa dimensione, cercando di costruire un filo rosso che, partendo dalla crisi dei sistemi di produzione e distribuzione basati sul binomio stato/mercato, passa, attraverso il dibattito sulle ipotesi di welfare relazionale e sui temi della sussidiarietà, verso la co-­‐produzione di servizi e di valore economico secondo le logiche dell’economia civile. In questa prospettiva, la transizione verso modelli operativi nuovi si realizza attraverso sentieri di innovazione sociale capaci di sviluppare nuova collaborazione allargata tra settori, competenze, attori del privato d’impresa, del privato sociale, del pubblico. Per fare questo, metteremo a fuoco le fasi e gli esiti del percorso avviato a Torino in agricoltura sociale per co-­‐produrre cibo e reti inclusive. La lettura del caso di Torino fornisce spunti di riflessione utili circa possibilità e modi utili per costruire modelli operativi concreti basati su modelli di lavoro collaborativo, capaci di mobilizzare le risorse del territorio e formulare risposte, necessariamente parziali, alle crisi in atto. La crisi dei sistemi produttivi e di welfare Nel dibattito italiano i temi del welfare, della crisi ecologica e dei sistemi produttivi, sono tanto rappresentati nel dibattito culturale e teorico, quanto difficili da trovare nelle agende di decisione. Il tema della globalizzazione, consumato dal punto di vista ideologico su più fronti, restituisce oggi i suoi frutti, non tutti semplici da interpretare e, ancor peggio, da ricomporre in una risposta coerente e capace di formulare nuove equità tra aree geografiche, attori, generazioni. In campo produttivo, la creazione di valore e la sua distribuzione è appannaggio di filiere produttive sempre più de-­‐
territorializzate e controllate da attori privati meno inclini all’appartenenza a un Paese o a una comunità (Di Iacovo et all, 2012). Lo spostamento dei processi di creazione di valore e la rottura del patto hobbesiano tra individui e Stato mette in discussione i fondamenti della produzione di beni pubblici, non solo attraverso l’elusione della leva fiscale, quanto, attraverso una continua forzatura dei diritti 2 Bozza non corretta da non citare senza il consenso degli autori. La coproduzione innovativa in agricoltura sociale individuali, sociali e ambientali. In questa prospettiva, le evidenze empiriche delle connessioni globali si leggono nella volatilità del controllo finanziario dei mercati, ma anche nell’emergere di un’asimmetria geografica nel rispetto dei diritti delle persone coinvolte in processi produttivi, nel diffondersi di offese incisive nei confronti dell’ambiente naturale. Tendenze che, associate a una crescente concentrazione del potere di mercato in pochi attori, afferma modelli produttivi estrattivi nei confronti dei valore dalle località. Peraltro, fenomeni che, apparentemente, trovavano spazio nei cosiddetti paesi in via di sviluppo, frutto di un baratto tra la progressione economica e l’uso delle risorse tutte nei processi produttivi, in realtà, oggi, si estendono in alcuni Paesi del vecchio continente, attraverso l’uso improprio del lavoro -­‐migrante ma non solo-­‐ e della natura, cui non sono estranei fenomeni corruttivi. Nel panorama nazionale, la crisi del debito pubblico cumulato, e la complessità della rappresentanza nelle sedi di decisione, condizionano l’intervento dello Stato e bloccano le riflessioni su prospettive di breve periodo piuttosto che su soluzioni di più largo respiro, generando, così, una sorta di strabismo tra le domande e i bisogni delle persone e l’azione di guida politica. Oggi, il modo in cui creare valore e distribuirlo nel rispetto delle comunità e delle risorse dei territori sta diventando cruciale, in termini quanti-­‐qualitativi. La individuazione di ipotesi innovative di lavoro, però, necessita di poggiare su uno spazio nuovo di riflessione e di azione concreta che, per fortuna, già oggi, le pratiche di campo sembrano offrire. Ripensamento del welfare pubblico e rafforzamento della sussidiarietà L’Europa sta ridiscutendo la propria impalcatura e il corso delle proprie azioni politiche, mentre i singoli Paesi, in misura diversa, in funzione della loro capacità o difficoltà di assicurare la crescita della ricchezza nazionale, si trovano a ripensare la propria azione pubblica nei meccanismi di distribuzione della ricchezza, in particolare attraverso i sistemi di welfare. Questi, a loro volta, si confrontano con una diversa disponibilità di risorse, ma anche con fenomeni di continuo spostamento dei fenomeni di inclusione/esclusione conseguenti al mutare dei sistemi economici come delle domande e dei cambiamenti sociali. Secondo Donati “il nuovo welfare deve affrontare un dilemma di fondo: deve permettere più differenziazione sociale, ma anche assicurare una maggiore integrazione sociale. Deve de-­‐statalizzare la società, ma deve offrire anche più coordinamento e indirizzi politici volti al bene comune dell’intera società interessata. In breve deve adottare corsi di azione che implicano delle scelte etiche” Donati, 2007, pag 30-­‐31). Sempre secondo Donati di fronte al rischio di apertura di nuove barbarie generate dalle pressioni interne ed esterne ai Paesi Europei, la soluzione del modello europeo di welfare, basato sull’individualismo del mercato e della ricerca individuale del profitto e sull’azione dello Stato a supporto della proiezione dei diritti degli individui, non sembra essere in grado di fornire risposte utili ed esaustive. Al contrario, di fronte alle complessità esistenti e all’emergere di una società civile più informata, altruistica e umana, può costituire una base di lavoro per il nuovo welfare, capace di valorizzare intrecci plurali di relazioni formali e informali esistenti nelle reti sociali. Un welfare relazionale capace di dare spessore alla cifra etica delle relazioni e che, aggiungiamo noi, non può che mettere in discussione anche l’individualismo atomistico delle relazioni di mercato nella creazione di valore economico. La riduzione del ruolo di intervento diretto dello Stato non ne alleggerisce le responsabilità ma ne modifica la natura dell’azione. In particolare, riduce l’intervento diretto, universalistico e standardizzato, ma ne accresce il ruolo in termini di supporto all’azione dei privati nell’avvicinarsi, in una logica di sussidiarietà, alla comprensione e alla soluzione di specifiche problematiche che i diversi territori evidenziano. Va da se che la sussidiarietà riguarda l’azione dei singoli individui, ma anche il rapporto tra questi nell’organizzazione di formule associative di diversa ampiezza e capacità di azione (Carrozza, 2007) capaci di esprimere libertà nel corso delle proprie azioni. Il principio di sussidiarietà, se da una parte limita l’azione dello Stato per lasciare spazio alle organizzazioni e alle azioni dei singoli e delle organizzazioni tra queste, dall’altra richiama a una sussidiarietà positiva dello Stato, a supporto del pieno sviluppo delle potenzialità degli individui e delle loro associazioni, specie dove queste possono incontrare limitazioni o ostacoli. Il tema della sussidiarietà 3 Bozza non corretta da non citare senza il consenso degli autori. La coproduzione innovativa in agricoltura sociale nell’orizzonte di un nuovo welfare possibile, ridisegna i confini tra il pubblico nella produzione di beni pubblici e nel privato nella sola produzione di beni economici e apre spazio a modelli ibridi di lavoro (Quadro-­‐Cursio, 2007). Questi modelli possono seguire una logica di esternazionalizzazione (esplicitamente vista come forma di riduzione dei costi pubblici di intervento mediante l’appalto al privato sociale o di impresa); della sussidiarità per progetto, dando luogo a iniziative innovative di intervento su specifici campi di intervento; la valorizzazione di Enti o strutture dotate di creatività sociale con l’intento di avviare soluzioni innovative; la sussidiarietà senza apparato di gestione, con la regolazione della competizione di mercato sviluppata con l’introduzione di sistemi di voucher, detrazioni e deducibilità fiscale da parte degli utenti dei servizi mediante la creazione dei cosiddetti quasi-­‐mercati (Violini e Vittadini, 2007). Le formule attraverso cui si organizza l’azione sussidiaria dello Stato forniscono delle piste tecniche di lavoro utili, sebbene non esaustive, della utilità di promuovere la sussidiarietà, anche tramite la valorizzazione dell’azione etica degli individui. Esse fanno riferimento all’organizzazione di quasi-­‐mercati che, da soli, non sembrano rispondere completamente alla necessità di stimolare soluzioni più profondamente innovative nella generazione di un welfare sussidiario e relazionale, come Donati auspica, e ridisegnare nuovi patti per la cittadinanza del futuro. In questa scia, nel dibattito sul nuovo welfare si inserisce il confronto che, specie nel Regno Unito, il gruppo NEF sta portando avanti e che, partendo dalla crisi del sistema di welfare keynesiano-­‐
beveridgiano, riflette sul tema dell’idea di coproduzione nella organizzazione dei servizi alla persona (Boyle et all, 2009, 2010). Il tema della co-­‐produzione dei servizi appare fecondo da più punti di vista e su questo concentreremo la nostra attenzione nel successivo paragrafo. La co-­‐produzione dei servizi Il tema della co-­‐produzione non è nuovo e ha trovato larghe applicazioni (Boyle et all, 2009). Il termine indica un processo attraverso cui più input, messi a disposizione da attori non appartenenti a una medesima organizzazione, consentono di realizzare beni e servizi attraverso modalità congiunte di operare (Olstrom, 1996, 1999). Il tema della co-­‐produzione trova applicazioni tanto nella produzione di beni privati, attraverso il coinvolgimento dei consumatori nel disegno dei prodotti che troveranno nei mercati di consumo, quanto in ambito pubblico, nel disegno, nell’organizzazione e nell’erogazione di diverse tipologie di servizio e di beni pubblici, di natura ambientale e sociale (Pestoff, 2009, Alford, 2002, Brandsen et all, 2008, Parks et all, 1981)). In quest’ultimo caso, implica un ruolo attivo della cittadinanza nel produrre beni pubblici e servizi che hanno conseguenze dirette per loro stessi e per le comunità di appartenenza (Cahn, 2001). La co-­‐produzione: • sposta l’attenzione dal singolo fornitore pubblico responsabile di un servizio verso il coinvolgimento attivo di attori pubblici e privati nella loro organizzazione ed erogazione tramite percorsi di partecipazione, formazione condivisione di visioni, regole e politiche; • motiva nella progettazione e nell’erogazione delle attività esponendole al dibattito, alla continua revisione e adattamento alla domanda di servizio espressa dai potenziali fruitori; • introduce il punto di vista del fruitore e dei suoi bisogni nella progettazione e nell’erogazione di un servizio o di un prodotto; • consente di mobilizzare risorse nuove e non sempre usuali nella erogazione dei servizi mediante la partecipazione attiva di una pluralità di interlocutori. La co-­‐produzione valorizza risorse complementari, o input sostitutivi a un più basso costo, che gli attori coinvolti mettono a disposizione in una logica condivisa. Il successo dei percorsi di co-­‐produzione deriva da: la natura dei servizi; dagli incentivi –economici, morali-­‐ messi in gioco dai diversi attori, pubblici e privati; il riconoscimento del ruolo e dell’azione dei privati; la motivazione che si sviluppa in un ambiente non coordinabile in via gerarchica; la definizione di un set di regole e di accordi nei quali possa essere resa disponibile la partecipazione e la condivisione di risorse materiali e immateriali. La co-­‐produzione guarda all’efficacia del servizio e, in un contesto di risorse scarse, alla possibilità di poterne valorizzare di nuove, sebbene non necessariamente specialistiche, disponibili su scala locale. L’organizzazione di processi di co-­‐produzione nei servizi alla persona richiama al tema dell’innovazione sociale (EU2020, Murray 2010, Laville et all, 1999, Wenger et all, 2011) e richiede luoghi e percorsi nei quali la nuova progettazione dei servizi possa avere luogo con il contributo di molti. Percorsi che 4 Bozza non corretta da non citare senza il consenso degli autori. La coproduzione innovativa in agricoltura sociale ridisegnano il modo di costruire le relazioni sul territorio, ma anche di produrre innovazione radicale nell’organizzazione delle comunità locali ridefinendo visioni, ruoli, conoscenze, attitudini, modelli organizzativi, ruoli, procedure di lavoro, regole. Il tema della co-­‐produzione richiama la partecipazione attiva dei cittadini e, in particolare, di quanti hanno più controllo e disponibilità del proprio tempo di lavoro mettendolo a disposizione del sostegno alla vita di comunità. Da questo punto di vista la co-­‐produzione si lega intimamente all’idea di core -­‐
economy che pone accento sulla rilevanza, specie in fasi di crisi del sistema di welfare, del ruolo che può acquisire un corretto uso delle risorse umane presenti nelle comunità per dare supporto alla vita sociale (Boyle et all, 2009, Stephen et all, 2008). Queste risorse sono immerse nella vita di ogni giorno di ogni individuo (tempo, attitudini, esperienza, energia, conoscenze, capacità operative) e in relazione tra questi (amore, empatia, responsabilità, attenzione, reciprocità, capacità di accompagnare e insegnare, di apprendere). Le risorse della core-­‐economy, di fatto, supportano la vita della società, lo stesso funzionamento dell’economia di mercato, assicurando la crescita dei ragazzi, la cura di adulti e anziani, delle persone fragili, creando le basi per reti di relazione capaci di assicurare legami sociali, connessione tra reti formali e informali di servizio, accoglienza sociale e amicizia, e limitare i fenomeni di esclusione sociale. Il tema della co-­‐produzione, peraltro, non riguarda la sola partecipazione di attori diversi, pubblici e privati come richiamato anche nel principio di sussidiarietà nei sistemi di welfare, ma apre la possibilità di legare insieme la produzione di valore pubblico e di valore privato, collegare i fruitori ai provider di servizi e di prodotti, attivando nuove opportunità di funzionamento del sistema di creazione e distribuzione di valore. Il tema della co-­‐produzione apre interrogativi rispetto agli stessi attori coinvolti, non solo per coloro che vestono i panni dell’attore pubblico secondo quanto previsto dal tema della sussidiarietà, ma anche del modo in cui la co-­‐produzione coinvolge gli individui, le associazioni di volontariato, le imprese del privato sociale e del privato responsabile d’impresa, singolarmente ed insieme tra di loro. Economia civile e collaborazione tra profit e non profit Il tema della sussidiarietà nella organizzazione dei servizi alla persona e quello della co-­‐produzione dei servizi apre una riflessione profonda rispetto alle modalità attraverso cui i diversi interlocutori possono interagire sui territori all’interno di progettazioni innovative. Questo è particolarmente vero quando nelle reti locali è prevista la partecipazione, non solo del privato sociale, della cosiddetta società civile e degli attori pubblici, ma quando è prevista anche la collaborazione del privato d’impresa. L’azione del privato d’impresa nella produzione di beni pubblici poggia le basi su premesse che non trovano fondamento nella sola razionalità individuale e nell’etica del profitto. Al contrario, essa introduce al tema di una responsabilità più allargata nella creazione di valori pubblici da parte di attori privati. Questo tema è stato già affrontato dalla vasta letteratura sulla Responsabilità sociale d’impresa (Molteni M, 2004; Rusconi et all, 2004, Di Iacovo et all, 2005, Di Iacovo, 2007; Sena, 2009) che, in una logica di aperta competizione delle imprese nei mercati aperti, guarda ai valori di reputazione come elemento di distinzione e, di conseguenza, attraverso una migliore visibilità, anche di migliore stabilità economica delle imprese. La responsabilità, in questo caso, si manifesta attraverso azioni di rispetto che, al di la delle norme di legge, contribuiscono a salvaguardare valori pubblici di natura sociale o ambientale o, viceversa, attraverso specifici investimenti capaci di aumentare le dotazioni di beni pubblici disponibile. Accanto a questi filoni di ricerca, che pure restano in una logica di separazione tra Stato e Mercato, la letteratura ha esplorato i rapporti tra impresa e comunità di riferimento. Da una parte, leggendo l’evoluzione dei sistemi locali –imprese e comunità-­‐ in aree e fasi di forte penetrazione dell’economia di mercato all’interno di economie tradizionali per analizzarne le trasformazioni (Fafchamps, 1992, Thompson, 1971, Tsuruta, 2004), d’altra parte, in aree già caratterizzate da una forte penetrazione dell’economia di mercato, sono stati indagati i legami possibili tra le imprese, il cosiddetto terzo settore, i bisogni di comunità, l’azione del soggetto pubblico. In realtà, quest’ultima riflessione, da una parte fa riferimento in ambito comunitario al dibattito sulla social economy e in particolare al rafforzamento del terzo settore (non stato e non mercato) e della sua capacità di legare la produzione di valore sociale e di valore economico tramite progetti capaci di includere attivamente persone con disabilità e/o di erogare 5 Bozza non corretta da non citare senza il consenso degli autori. La coproduzione innovativa in agricoltura sociale servizi. Questa logica trova una storica declinazione in Italia a partire dagli anni ’90 con la diffusione della cooperazione sociale. Una storia e un’evoluzione oggi sotto dibattito da parte di varie scuole di pensiero (Bruni, 2012, Bruni et all, 2004, Zamagni, 2008), specie a seguito della riduzione delle risorse che lo stesso intervento pubblico ha messo a disposizione delle imprese sociali attraverso logiche di public procurement sociale (tipico il caso della gestione del verde pubblico dato in appalto a cooperative sociali di tipo B). Sempre in Italia, una lunga tradizione di studi economici dell’800 sull’economia morale è stata più di recente ripresa e ampliata da studiosi che hanno esplorato l’idea di economia civile. I fondamenti dell’economia civile (Zamagni, 2011; Bruni, 2012) guardano all’idea di competizione nella sua versione latina del cum-­‐petere, ovvero collaborare, attraverso l’organizzazione di un’”economia per progetto” dove la capacità di creare valori pubblici – sociali e ambientali – è frutto di una collaborazione allargata nella comunità, tra attori privati, cittadinanza attiva, consumatori e gestori dei servizi pubblici ed è sottoposta al vincolo di sostenibilità economica. Secondo questi autori, l’economia civile passa attraverso la costruzione di un’impresa a movente ideale allargata e attiva all’interno di reti locali, volta a coinvolgere progressivamente una pluralità di attori e interlocutori e a ridisegnare il modo in cui dare risposte e continuità ai bisogni delle comunità locali, pur partecipando a processi di natura economica. La forma e l’organizzazione di questa impresa a movente ideale può variare in funzione delle situazioni e delle aree di lavoro. Resta in ogni caso evidente la necessità di contenere al suo interno le diverse anime, competenze e relazioni, utili per assecondare la costruzione di processi produttivi veri, capaci di assicurare sostenibilità economica e, allo stesso tempo, attori capaci di negoziare e controllare il rispetto di valori etici entro i quali assicurare la riuscita del progetto. Assetti questi, che ben si adattano, come vedremo di seguito, al tema dell’agricoltura sociale innovativa, dove la collaborazione aperta tra il mondo dell’impresa profit, dell’associazionismo, della cooperazione sociale, si sviluppa intorno alla dimensione di una sostenibilltà economica basata su un forte imprinting di relazionalità, all’interno dei portatori di progetto e all’esterno con i consumatori e con la cittadinanza attiva. L’economia civile, per la sua impostazione concettuale e per le implicazioni organizzative, richiede una profonda revisione dei valori di fondo di una comunità e dei suoi partecipanti, la costruzione di una razionalità basata sul noi e sulla fiducia reciproca, la capacità di organizzare logiche win win nelle quali la stessa idea di co-­‐
produzione e la sussidiarietà trovano spazio in un’ottica di razionalità più complessiva ed aperta. Percorsi che si realizzano dove si costruiscono progressivamente fiducia e capacità collaborativa estesa tra una pluralità di attori, ma che possono essere anche attivamente promossi secondo logiche proprie della gestione della transizione. Innovazione e transizione: percorsi metodologici Ragionare sulla riforma dell’azione del pubblico e del privato nella creazione di valore economico e sociale significa introdurre percorsi di innovazione capaci di generare risposte nei tempi e nei modi adeguati a sollecitazioni che i bisogni di una società in cambiamento di fatto pone. In questa prospettiva, ragionare di adeguamento del modo di creare e distribuire valori implica la gestione di un profondo processo di transizione capace di coinvolgere e modificare il modo di operare di un’ampia platea di attori, pubblici e privati. Il dibattito sulla transizione ha preso spunto dall’emergere sempre più evidente di crisi ambientali per poi estendersi ad altri temi, compresi quelli della riforma del welfare e dell’evoluzione dell’agricoltura (Elzen et al., 2004; Wiskerke and Van der Ploeg, 2004; Van den Bergh and Bruinsma, 2008 Loorbach and Rotmans, 2010). Si tratta di questioni che non trovano una soluzione specifica nell’adozione di una nuova tecnologia quanto, piuttosto, richiedono di riformulare l’ambiente socio-­‐tecnico, i riferimenti di mercato, le soluzioni, le politiche e i significati culturali nei quali, tanto i problemi quanto le stesse soluzioni sono definite (Geels, 2010, Geels, 2004). Gli studi sulla transizione si sono caratterizzati per un profondo taglio interdisciplinare e applicativo, volto a legare tra loro temi e settori, ma anche ricerca e iniziativa politica, seguendo una logica co-­‐evolutiva tra teoria e pratica (Loorbach and Rotmans, 2010). L’intento è quello di leggere meglio, in una prospettiva multilivello (Geel, Geel and Schot, 2007), i passaggi di cambiamento che si realizzano a partire dallo sviluppo di soluzioni innovative puntuali, solitamente presenti o sviluppate all’interno di nicchie (a livello micro), verso la modifica dei regimi socio-­‐tecnici esistenti (meso) e degli scenari di riferimento (macro). Al centro della riflessione, c’è il fatto che il cambiamento è spesso bloccato dai regimi socio-­‐tecnici esistenti che, 6 Bozza non corretta da non citare senza il consenso degli autori. La coproduzione innovativa in agricoltura sociale attraverso la presenza di routine cognitive, regole, standard, attitudini e comportamenti consolidati, investimenti esistenti, infrastrutture e competenze, condizionano il modo di operare di una comunità di attori pubblici e privati mettendo freno ai processi di cambiamento (Geel and Schot, 2007). In una prospettiva multilivello, l’emergere di novità all’interno di specifiche nicchie locali e, in parallelo, il formarsi di nuovi riferimenti macro, relativi agli scenari di riferimento, che modificano i riferimenti usuali, determinano l’opportunità per le novità di svilupparsi e dare luogo a nuovi regimi socio-­‐tecnici (Geels and Schot 2007). In realtà il modo in cui il processo di cambiamento avviene, varia in funzione della gravità e della continuità temporale dei fattori di cambiamento derivanti dal socio-­‐technical landscape (shock parziali, venir meno progressivo di condizioni di mercato o di risorse, disegno di nuove regole generali di comportamento), del grado di maturità delle novità sviluppate nelle nicchie e delle relative alleanze create tra gli attori innovatori (più o meno mature e solide dal punto di vista della funzionalità e della possibilità di essere rappresentate con convinzione all’esterno), del modo in cui gli attori che presidiano il regime esistente interpretano l’innovazione e leggono il cambiamento (adattando i loro comportamenti o subendoli). Il tema della transizione porta a pensare all’uso del concetto in chiave positiva, come ipotesi utile per comprendere e accelerare i processi di innovazione sociale a fronte di crisi urgenti. La gestione della transizione trova codifica tramite 4 stadi: (i) l’organizzazione di un’area per la transizione, nella quale si strutturano i problemi in possibili questioni e sentieri di lavoro; (ii) la definizione di una agenda di transizione con la costruzione di scenari condivisi ed immagini di sostenibilità sulle quali costruire sentieri di transizione; (iii) la costruzione e la gestione di esperimenti di transizione e l’organizzazione di reti di transizione (iv) a partire dagli esperimenti realizzati generare riflessioni e aggiustamenti nelle visioni, nell’agenda e nelle coalizioni” (Loorbach and Rotmans, 2010, 238, Loorbach 2007, Loorbach e Rotmans 2006). L’impatto delle azioni di TM hanno una natura: strategica, di lungo periodo volta ad agire sulla cultura di un sistema sociale; tattica, volta ad accompagnare con specifiche politiche il cambiamento delle strutture (istituzionali, normative, procedurali) che caratterizzano il funzionamento di un sottosistema di riferimento; operativa, di breve periodo, mediante l’induzione di specifici esperimenti utili per testare innovazioni e sviluppare conoscenza condivisa a partire dai loro esiti e modificare l’operare quotidiano; riflessiva, volta a valutare le azioni esistenti, ad apprezzarne i limiti per ridefinire questioni e comportamenti sociali (Loorbach, 2010). Al centro della gestione della transizione ci sono gli attori portatori di innovazione e la loro capacità di costruire strategicamente processi capaci di accompagnare, anche dal punto di vista politico, il coinvolgimento progressivo di una pluralità di interlocutori e, allo stesso tempo, salvaguardare i principi e i contenuti dell’innovazione sperimentata. In questa sede non ritemiamo opportuno approfondire questi aspetti che, pure, sono centrali nel disegnare le caratteristiche dei diversi sentieri di transizione e l’affermazione/alterazione delle caratteristiche dell’innovazione al centro dello stesso percorso. Per la sua natura le teorie della TM ben si prestano ad affrontare la revisione dei sistemi di welfare e, in particolare la diffusione delle pratiche di agricoltura sociale. L’agricoltura sociale Il tema dell’agricoltura sociale si colloca all’interno del dibattito sulla multifunzionalità e sulla diversificazione delle attività agricole (Biblio) pur avendo trovato uno spazio più limitato rispetto ad altri temi legati alla creazione di servizi di natura ambientale o ad attività di diversificazione del reddito (OECD, 2001, 2003, 2005, 2008), se non tra gli addetti ai lavori (Di Iacovo, 2007; Di Iacovo et all 2009, Hassink et al 2006, Dossein, 2012, Dossein et al, 2010). La disattenzione al tema della produzione di servizi alla persona, in effetti, risente della più generale scarsa considerazione nei confronti del ruolo delle risorse umane e dei servizi alla persona nelle aree rurali. Più di recente anche in vista della nuova programmazione 2014/2020 dell’EU sullo sviluppo rurale, i riferimenti all’agricoltura sociale hanno preso corpo in ambito comunitario (CESA), mostrando una nuova consapevolezza sul tema e, più in generale, all’opportunità di riservare maggiore attenzione alla questione dei servizi alla persona nelle aree rurali. In campo socio-­‐sanitario l’AS prova a rispondere a domande di giustizia sociale, di 7 Bozza non corretta da non citare senza il consenso degli autori. La coproduzione innovativa in agricoltura sociale riformulazione delle ipotesi di servizio tali da essere più coerenti con le specificità dei bisogni delle persone e territoriali (aree rurali e urbane), mediante la possibilità di mobilizzare nuove risorse e disegnare servizi innovativi. Proprio per le sue caratteristiche l’AS si pone in una zona intermedia tra più domini operativi (del mondo agricolo, sociale, sanitario, dell’educazione, della giustizia, del lavoro) e il processo di evoluzione risulta fortemente condizionato dai discorsi esistenti, dagli attori coinvolti nei processi di innovazione, dalle dinamiche di scambio che si realizzano tra di questi. L’agricoltura sociale è un uso retro-­‐innovativo dell’agricoltura, di solito introdotto mediante pratiche dal basso realizzate da nuovi e vecchi imprenditori agricoli. Al di là di logiche comunitarie di inclusione proprie delle forme pre-­‐moderne di agricoltura, esiste documentazione formale in Italia di accordi tra strutture manicomiali ed aziende agricole risalenti all’inizio del ‘900. Più di recente, similmente a quanto avvenuto altrove in Europa, negli anni ’70, anche a seguito di fenomeni di contro-­‐urbanizzazione e di contestazione rispetto alle pratiche e ai modelli di produzione convenzionali, anche in agricoltura si sono sviluppati, in alcuni territori, formule innovative nelle aziende agricole, volte ad associare la produzione primaria con iniziative di inclusione sociale. Negli anni ’90, l’emergere delle cooperative sociali ha visto entrare nel settore agricolo nuove imprese – in questo caso cooperative sociali di tipo B – volte a promuovere l’inclusione sociale e lavorativa in agricoltura. Queste, si sono affiancate alle molte aziende che, mediante accordi locali e in modo spesso implicito e poco evidente, operavano in accordo con diversi servizi di territorio (solitamente per affidi di minori, per persone con dipendenza, per persone con disabilità). Negli ultimi dieci anni, tutte queste attività e iniziative hanno cominciato ad emergere sotto il termine ombrello dell’agricoltura sociale rendendo il tema di dominio pubblico e attirando l’attenzione dei legislatori e delle politiche regionali e nazionali. L’AS riguarda attività che fanno uso del contatto con i cicli biologici – piante ed animali-­‐ ma anche un determinato uso degli spazi e dei tempi propri dei processi agricoli e della costruzione di iniziative all’interno di piccoli gruppi di persone – famiglie, associazioni, cooperative sociali-­‐ per promuovere o generare co-­‐terapia, interventi di abilitazione, di formazione, educazione, inclusione sociale e lavorativa servizi alla vita civile, nelle aree rurali e periurbane (dagli agri-­‐asili, all’accoglienza per anziani, servizi di prossimità, supporto a persone in percorsi di terapia per patologie legate ai tumori). L’AS adotta una visione multifunzionale dell’agricoltura, secondo cui l’avvio o l’esistenza di un processo produttivo agricolo consente di avere output multipli, non solo legati alla realizzazione di beni e prodotti alimentari collocabili sui mercati ma anche di diverse tipologie di beni sociali per persone a bassa contrattualità. Le pratiche di AS restituiscono un’ampia gamma di potenziali fruitori tra i gruppi che vivono svantaggio sociale, persone con dipendenze da droghe, persone vittime di tratta, rifugiati politici, disoccupati di lunga durata, giovani con difficoltà di apprendimento, minori in fase di educazione, servizi per le famiglie e il sostegno alla genitorialità, la possibilità di facilitare percorsi di vita attiva per adulti anziani. Per una discussione più approfondita sul tema e sulle implicazioni rimandiamo alla bibliografia esistente, in questa sede è opportuno ricordare alcuni elementi. (Di Iacovo, 2005, 2008, 2008, 2010, 2011, 2012, Di Iacovo et al 2012, Di Iacovo et all, 2012, Di Iacovo e O’Connor, 2009). L’agricoltura sociale fornisce alcune possibili risposte alla crisi dei servizi nelle aree rurali e nelle aree periurbane e mobilizzando in modo innovativo le risorse del territorio (quelle agricole) per contribuire allo sviluppo di un welfare nel quale i temi della sussidiarietà, del valore della relazione, della co-­‐
produzione, trovano molteplici significati e applicazioni. L’agricoltura sociale è una forma specifica di co-­‐produzione dei servizi alla persona nella quale le risorse non specialistiche dell’agricoltura sono usate per organizzare servizi innovativi alla persona. L’organizzazione di servizi in agricoltura sociale richiede modifiche da parte delle imprese profit, tra queste e le imprese non profit e le associazioni e, su scala locale, nella costruzione di legami tra settore agricolo e aree di competenza delle politiche socio assistenziali, sanitarie, della formazione e della giustizia. In termini di co-­‐produzione le aziende agricole che decidono di organizzare servizi alla persona mettono a disposizione risorse complementari –spazio, tempo di lavoro, processi produttivi, strutture eventualmente dedicate-­‐ rispetto a quelle disponibili da parte dei servizi pubblici. L’organizzazione di tali servizi, nelle aree rurali, vede tutte le famiglie – e quindi potenzialmente anche quelle agricole -­‐ come potenziali fruitrici dei servizi (agriasilo per bambini, servizi per anziani e per altri utenti dei servizi). I servizi di AS si realizzano necessariamente in accordo con i responsabili pubblici dei servizi di welfare, sebbene, secondo modi coerenti con i sistemi di welfare di ciascun Paese (Esping Andersen, 1995). Nel 8 Bozza non corretta da non citare senza il consenso degli autori. La coproduzione innovativa in agricoltura sociale modello di AS Nord-­‐europeo, sviluppatosi nel sistema di welfare socialdemocratico, le aziende agricole offrono servizi in una logica di diversificazione economica delle proprie attività (Hassink et al, 2006; Di iacovo 2008; Di Iacovo et all, 2009). Le aziende sono chiamate ad assicurare standard precisi in termini di strutture, capitale umano e competenze sociali nelle aziende, che gestiscono servizi remunerati, in modo diretto o indiretto, dallo Stato. Come conseguenza di questo processo di diversificazione le aziende si specializzano sull’attività più remunerativa (quella dei servizi alla persona) e fanno venire progressivamente meno la rilevanza dell’attività agricola. Questo modello di AS trova spazio dove il welfare pubblico è solido, conta su risorse specifiche e risponde, a una domanda di flessibilità e personalizzazione dei servizi alla persona all’interno di standard e requisiti qualitativi ben definiti per soddisfare il fruitore–cliente-­‐ dei servizi. Nelle aree mediterranee (in Italia, ma anche in Francia, in Spagna e in Portogallo), le pratiche di AS si diffondono in un sistema di welfare dove il ruolo delle cure parentali e della core economy ha uno spazio rilevante e, di contro, la disponibilità di risorse pubbliche per il welfare è in costante declino. In questo quadro le pratiche di AS sono impostate diversamente, non tanto per le tipologie dei servizi resi e per le caratteristiche delle risorse valorizzate, quanto, piuttosto, per i principi valoriali, organizzativi e relazionali alla base delle pratiche avviate. Nel caso italiano, le pratiche di AS, tendono a fare riferimento –specie per alcune tipologie e servizi-­‐ ai temi dell’economia civile, dove, l’impegno dell’azienda agricola –sia essa gestita da un’impresa profit o da un’impresa del privato sociale-­‐ non trova necessariamente una diretta remunerazione da parte dei gestori dei servizi o delle famiglie quanto, piuttosto, trova affermazione e spazio all’interno di reti locali di relazioni che travalicano i settori di appartenenza, contagiano i consumatori e ridefiniscono forme di economia per progetto. Nello specifico, è possibile distinguere tra tre tipologie di attività (Di Iacovo 2012): • servizi che fanno leva esclusiva sulla multifunzionalità dei processi produttivi agricoli e che rìchiedono un uso limitato di risorse dedicate da parte delle aziende agricole che si prestano ad accompagnare percorsi di formazione, inclusione sociale e lavorativa, solitamente in accordo con attori del terzo settore e gestori dei servizi pubblici all’interno di progetti individualizzati volti a formare e favorire l’inserimento lavorativo di soggetti a bassa contrattualità. Nel caso di aziende agricole, gestite da imprenditori agricoli individuali o cooperativi, non sono richiesti specifici attributi giuridico-­‐amministrativi, né, tanto meno, riconoscimenti monetari diretti (fatta eccezione per l’azione di tutoraggio aziendale ove riconosciuto dagli strumenti della formazione). L’impegno aziendale nel sociale, specie per le aziende agricole, deriva da una specifica motivazione dell’impresa e può trovare apprezzamento attraverso una migliore riconoscibilità dei prodotti agricoli offerti. Al riguardo anche la collaborazione tra sistema profit e dell’associazionismo (ad esempio degli utenti dei servizi) è in grado di sviluppare utili rapporti di co-­‐produzione in senso economico e sociale mediante la costruzione di partenariati strutturati. • Queste attività, in aree rurali e periurbane, valorizzano alcune strutture e risorse disponibili in azienda (spazi, strutture, partecipazione alle attività aziendali) parzialmente utilizzate nel corso dell’anno e che sono messe a disposizione della comunità locale per usi sociali (es-­‐ agriturismo per emergenza abitativa, servizi leggeri di prossimità, centri diurni per anziani in sale di degustazione del vino o di ristorazione già presenti nelle aziende agricole) per diverse tipologie di persone (anziani, persone con disabilità temporanee, malati di cancro in fase di ripresa da cicli di terapia), dietro compensazione e copertura dei costi di uso delle strutture (ad esempio organizzazione di attività diurne in spazi di aziende agricole o di supporto all’emergenza abitativa all’interno di strutture di accoglienza turistica già esistenti; per l’organizzazione di servizi diurni di accoglienza, oppure per alloggi di emergenza per persone con difficoltà abitativa o per l’erogazione di servizi di prossimità. Queste attività più che servizi ben codificati, rappresentano delle opportunità integrative e socializzanti, a volte avviate in modo temporaneo e non continuativo, che valorizzano strutture esistenti e che generano costi di gestione (riscaldamento, pulizia, tempo di lavoro, eventualmente pasti) che devono in ogni caso trovare una copertura economica diretta tramite compensazioni dirette o indirette da parte delle amministrazioni locali. • servizi specifici e dedicati che richiedono una remunerazione diretta da parte dei gestori dei servizi pubblici o delle famiglie (es agriasilo, attività di terapia assistita con animali, etc) (es ippoterapia o 9 Bozza non corretta da non citare senza il consenso degli autori. La coproduzione innovativa in agricoltura sociale pratiche orti-­‐colturali mirate), di norma gestite tramite forme associative, anche in aziende agricole; è questo un campo dove le aziende agricole non trovano esplicito riconoscimento da parte degli interlocutori dei servizi. Dove dotate delle necessarie competenze e strutture, le aziende definiscono formule giuridiche utili ai fini del riconoscimento e dell’affidamento delle prestazioni. Le formule più frequenti sono quelle associative, senza motivazione diretta di lucro. I servizi richiedono risorse umane e investimenti dedicati e specialistici che devono trovare remunerazione diretta dall’offerta del servizio. Accanto alle pratiche co-­‐terapeutiche trovano spazio anche servizi civili dedicati (agriasili, agritate, campi solari/estivi, didattica). Queste pratiche rappresentano una forma di diversificazione aziendale che deve trovare riconoscimento tra le attività connesse a quelle agricole nel caso siano da queste realizzate. Le pratiche di AS in Italia, nelle diverse forme, operano molto spesso in alternativa alla divisione dei ruoli tra Stato e Mercato, richiedono ad agricoltori e operatori del mondo agricolo, ma anche a quelli del privato sociale di uscire da una logica assistenziale e di etica del profitto diretto, così come richiede agli organizzatori dei servizi pubblici di uscire da una logica di intervento standardizzato e paternalistico dello Stato, per provarsi in una logica di aperta co-­‐produzione dei servizi alla persona e nel disegno di sentieri di giustizia sociale. La logica della co-­‐produzione, in AS, si manifesta a diversi livelli: • nella collaborazione tra attori pubblici, del privato d’impresa, dell’associazionismo del privato sociale, dei consumatori e della cittadinanza attiva. • Nella condivisione delle competenze, del pubblico del privato agricolo del privato sociale; • Nella valorizzazione di alcune risorse disponibili sul territorio, in termini di modelli organizzativi, strutture, consistenza dei processi di impresa, mercati; • Nella creazione, allo stesso tempo, di valori economici, attraverso imprese economiche che hanno una loro sostenibilità economica, e sociali, attraverso l’azione del terzo settore e degli attori pubblici; • Nella complementarietà tra le risorse pubbliche immesse nel sistema e la valorizzazione delle risorse economiche dei processi di impresa; • Nella costruzione condivisa di nuove regole e procedure di lavoro, capaci di riconoscere e valorizzare le risorse immesse nel sistema non sempre, e non necessariamente, attraverso la costruzione di mercati o quasi mercati dei servizi. In sintesi, nel panorama mediterraneo, l’agricoltura sociale si inserisce in un quadro di co-­‐produzione dei servizi che punta alla valorizzazione delle risorse locali secondo una logica di economia civile e di collaborazione aperta tra una pluralità di attori sociali. Da questo punto di vista, dopo anni di modernizzazione dell’agricoltura, di forte penetrazione dell’economia di mercato e di altrettanto forte e strutturata azione del welfare pubblico, affrontare il tema dell’agricoltura sociale significa incamminarsi in un vero e proprio processo di transizione multiattoriale e multisettoriale. L’intento è quello di fornire alle aree rurali servizi alla persona equivalenti a quelli disponibili in aree periurbane (OCDE), sostenibili dal punto di vista economico-­‐finanziario e capaci di rivitalizzare le comunità locali e rinsaldarne i legami interni e, allo stesso tempo, nelle aree periurbane, andare incontro a ciò che l’OMS prevede essere la costruzione di ambienti capaci di sostenere preventivamente condizione ambientali e relazionali utili per un innalzamento della qualità della vita per le persone. La metodologia di ricerca e il caso di studio Il Gruppo di ricerca dell’Università di Pisa ha iniziato a occuparsi del tema dei servizi nelle aree rurali nel 1999 con una ricerca azione che ha interessato più territori rurali montani. Uno degli esiti di quel lavoro di ricerca, terminato nel 2003, considerava l’opportunità di valorizzare le risorse presenti nelle aziende agricole per riorganizzare le reti di protezione sociale presenti nelle aree rurali e anticipare la crisi dei sistemi di welfare oggi tanto evidente. A seguito di quel processo, nel 2004, fu avviata una prima ricognizione, con la metodologia della palla di neve, per capire quali fossero le esperienze di aziende agricole già attive in modo volontario nell’erogazione di servizi. Al tempo, il termine AS non era in uso e fu introdotto dall’Università di Pisa nelle attività di animazione e confronto avviate con le circa 60 10 Bozza non corretta da non citare senza il consenso degli autori. La coproduzione innovativa in agricoltura sociale esperienze già presenti sul territorio regionale. Si trattava di pratiche nate, spesso, intorno agli anni ’70 durante i primi movimenti di contro-­‐urbanizzazione che all’epoca avevano interessato in modo cospicuo la Regione Toscana. Pratiche che coinvolgevano aziende agricole, comunità di persone, cooperative agricole, cooperative sociali e associazioni di volontariato attive in campo agricolo. Oggi il numero di quelle esperienze è salito a circa 150 progetti. A partire dal 2004, quindi, il gruppo di ricerca ha avviato una ricerca azione sul tema del SF in alcuni territori della Regione Toscana e della Regione Piemonte. L’intento era comprendere opportunità e vincoli legati all’adozione delle pratiche di SF, verificarne i percorsi di riconoscimento e formalizzazione, analizzare il processo di diffusione della SF dal punto di vista dell’innovazione e della transizione nelle aree rurali. Il coordinamento di un progetto di ricerca europeo sul tema (http//:sofar.unipi.it) ha consentito di approfondire e confrontare le pratiche di SF in uno scenario comunitario. La partecipazione ad altre esperienze e iniziative regionali e nazionali ha consentito di leggere dall’interno dinamiche su scala sovra regionale dell’agricoltura sociale, in Italia e all’estero, conoscenze di cui faremo uso nella nostra analisi. Il caso di studio che viene qui presentato riguarda l’area di Torino. L’intervento di ricerca azione nell’area di Torino fa seguito a una prima iniziativa che, a partire dal 2003, Coldiretti Torino (associazione di agricoltori rappresentativa di 18.000 imprese agricole nella Regione Piemonte e con forte capacità di pressione sulle politiche regionali e nazionali) per il tramite del proprio ufficio progetti, ha sperimentato nel campo dell’agricoltura sociale, organizzando i primi agri-­‐asili in Italia e azioni di inclusione di persone vittime di tratta mediante la valorizzazione di risorse del FSE. Dopo le prime pratiche, condividendo una visione di drammatica erosione dei servizi nelle aree rurali con UniPisa, si programma l’avvio di un’azione di respiro sul tema volta a costruire un modello di AS e testarlo sul campo mediante il progressivo coinvolgimento di una pluralità di attori locali. Intento condiviso, era rappresentato dall’interesse di verificare la costruzione di un sistema complesso, capace di coinvolgere aziende private, del privato sociale e attori pubblici, in una logica di sussidiarietà, di co-­‐
produzione e di economia civile alla luce della gestione di percorsi di transizione e innovazione sociale. La ricerca intervento viene avviata nel 2009, dopo la verifica della convergenza di obiettivi e di modalità di lavoro tra UniPi e Coldiretti Torino. Il Lavoro è stato organizzato secondo della ricerca-­‐azione (Lewin, 1946) ponendo attenzione alla gestione e all’analisi del processo di transizione con riferimento al tema dell’Agricoltura sociale. Gli attori locali sono stato coinvolti in un processo di apprendimento collettivo che è proseguito nell’arco temporale del percorso e attraverso fasi e momenti diversi di co-­‐formazione, discussione e confront (Gibbons et all 1994). Ruolo dei ricercatori è stato, oltre quello di partecipare al disegno del processo di ricerca e ad individuare gli strumenti da usare volta volta nella gestione del percorso di transizione, anche quello di codificare gli avanzamenti, organizzare sistemi di valutazione e di riflessione rispetto agli esiti del processo e alla loro interpretazione produrre reportistica e di facilitare la mediazione tra gli attori coinvolti. L’obiettivo è stato anche quello di velocizzare il percorso di cambiamento. La natura transdisciplinare dell’agricoltura sociale si è dimostrata fortemente esigente riguardo il processo di produzione di nuova conoscenza . Questa si è andata realizzando, e non poteva essere diversamente, attraverso un processo di continua negoziazione, confronto, costruzione di nuovi codici condivisi, tra attori appartenenti a domini culturali, operativi, scientifici e politici, differenti (Hansen, 2009); Hessel et al 2008). Per I ricercatori la partecipazione ai processi di transizione è stata intensa e impegnativa ma, evidentemente, anche molto produttiva in termini di esiti. La raccolta di dati ha avuto un taglio quantitativo (sui singoli progetti, le caratteristiche delle strutture, dei progetti, riguardo il tipo degli attori coinvolti, del tipo di servizi realizzati e offerti) e qualitative (il punto di vista degli interlocutori, le fasi di lavoro, i colli di bottiglia nella costruzione del processo e delle principali acquisizioni, il ruolo dei differenti attori, il ruolo delle component politiche). Il ciclo di apprendimento è stato reiterato nel corso del progetto (Riel et al, 2011). La ricerca ha trovato validazione con riferimento ai seguenti elementi: credibilità, in termini di coinvolgimento in un arco temporale lungo di un numero crescente di interlocutori (qualche centinaio nel corso del percorso), l’uso di tecniche di triangolazione grazie anche al supporto di ricercatori esterni che hanno osservato il processo, l’allargamento della tematica e il progressivo coinvolgimento di un numero più esteso anche di attori istituzionali, coinvolti nella gestione e nel disegno di strumenti di intervento e di politica; la trasferibilità delle acquisizioni, mediante il coinvolgimento e la trasmissione delle informazioni ad altri attori operanti in altri territori anche attraverso la reportistica, l’uso di materiali foto-­‐video; iniziative di conferma: mediante momenti di auditing esterno. I risultati del processo sono osservabili a diversi livelli: a livello locale, analizzando la 11 Bozza non corretta da non citare senza il consenso degli autori. La coproduzione innovativa in agricoltura sociale crescita di consapevolezza rispetto al tema da parte di un numero crescente di interlocutori –aziende agricole, cooperative sociali, associazioni di volontariato, Consorzi dei servizi, enti locali, consumatori -­‐, la modifica dei processi di creazione di valore, il numero delle persone incluse o fruitrici di nuovi servizi; a livello universitario, riguardo al miglior livello di comprensione della tematica, e dei percorsi di transizione, ma anche per la crescente reputazione acquisita su scala locale, regionale, nazionale; più in generale, per la crescente rilevanza che la tematica, anche grazie alle attività di ricerca, ha acquisito a livello nazionale, accrescendo l’intervento da parte pubblica a sostegno dell’agricoltura sociale e nella normazione. La definizione di un percorso di ricerca azione di lunga durata ha fatto la differenza nell’affermare il tema di fronte ad una pluralità piuttosto estesa di interlocutori. Nello specifico, con la Provincia di Torino si è concordato un percorso istituzionale, tramite la formazione di un tavolo tecnico provinciale tra diversi dipartimenti (agricoltura, formazione, lavoro) e l’articolazione di iniziative di natura territoriale volte a coinvolgere enti ed istituzioni locali e ad ingaggiare aziende (arene di transizione). Coldiretti ha mostrato grande capacità di interazione con il proprio sistema imprenditoriale, organizzando incontri pubblici con metodiche diverse (world cafè, EASW, Open space), azioni di co-­‐formazione tra agricoltori, operatori sociali, operatori dei servizi pubblici, promuovendo progettualità condivisa con altri enti e organizzazioni, spendendo il proprio nome sul tema nel confronto con le istituzioni socio-­‐sanitarie e con le amministrazioni comunali del territorio, offrendo supporto alle aziende che iniziano pratiche di SF coinvolge associazioni del volontariato ed imprese sociali. In questo modo sono state lette, allo stesso tempo, le modifiche di scenario in atto e le prime pratiche di agricoltura sociale già presenti sul territorio, sono stati analizzati gli spazi di lavoro utili per fare emergere modelli operativi innovativi nel campo della produzione alimentare e dei servizi, sono stati condotti percorsi di progressiva apertura nei confronti di interlocutori operanti nel mondo dei servizi e delle pubbliche amministrazioni. Le arene, i momenti di confronto e di co-­‐formazione organizzati, hanno contribuito a definire visioni di cambiamento condivise con gli attori coinvolti e a costruire/rafforzare alleanze indispensabili per promuovere esperimenti di AS sui territori, a condividere prassi di lavoro, protocolli di lavoro e a impostare nuove regole e principi di lavoro (nuove ipotesi di regime). L’attivismo sul tema ha creato consenso trasversale tra operatori dei servizi, imprese private, del privato sociale e dell’associazionismo. D’altra parte, non sono mancate difficoltà e tensioni specie tra organizzazioni di rappresentanza operanti in diversi domini. Su scala nazionale, infatti, il mondo della cooperazione sociale, inizialmente poco interessato al tema, in una fase di forte contrazione delle risorse pubbliche in campo socio-­‐sanitario, ha iniziato a guardare l’agricoltura sociale come aree di sviluppo dell’azione dei propri associati. Questa percezione, del tutto ragionevole, è coincisa con una posizione per certi versi poco aperta al confronto, volta a cercare di fare affermare lo sviluppo ex-­‐novo di sistemi di imprese sociali in campo agricolo, ovvero, di intercettare risorse disponibili nelle politiche agricole in una fase di scarsità di quelle messe a disposizione da parte delle politiche sociali. Questo modo di operare si basa su una visione dell’agricoltura sociale, ma più in generale del modo di operare delle rappresentanze del mondo del sociale, basato su una logica competitiva tra imprese sociali e imprese del privato agricolo. Partendo da questa visione, sul territorio di Torino, l’intraprendenza di Coldiretti, benché, o forse perché, aperta al mondo del terzo settore viene vista come potenzialmente conflittuali, anche per la capacità che mostra di avere nel fare uso, a sua volta, di risorse del Fondo Sociale Europeo. A fronte di questo potenziale punto di attrito, è il modello di riferimento adottato dai diversi interlocutori, però, a fare la differenza nel lungo periodo. Coldiretti, infatti, agisce con segnali di apertura al confronto e con una riflessione profonda sul tema dell’economia civile volta a costruire imprese a movente ideale allargate sul territorio. Logiche, queste, capaci di attivare logiche win-­‐win e di valorizzare, così, le risorse disponibili in campo agricolo e sociale, senza surrogare saperi e competenze ma, piuttosto, promuovendone l’integrazione collaborativa. La risposta sul campo del terzo settore è stato positivo al messaggio che, in una fase di crisi rofonda, facilitava l’attivazione innovativa di reti e generare soluzioni – economiche ed inclusive – più rapidamente stabili. Al contrario, da parte delle rappresentanze organizzative la risposta iniziale è quella di un iniziale tentativo di contrapposizione, cercando di coinvolgere le amministrazioni in logiche di lavoro basate sull’aiuto pubblico e a un’idea per certi versi ancora assistenziale e poco imprenditoriale rispetto alla concezione delle nuove iniziative, con l’intento di attrarre risorse pubbliche. Il mondo delle istituzioni, da parte propria, di fronte ad una forte scarsità di risorse economiche, ha finito per leggere come più coerente alla fase storica, la proposta di cui il percorso di Coldiretti si fa portatore, per i contenuti e per 12 Bozza non corretta da non citare senza il consenso degli autori. La coproduzione innovativa in agricoltura sociale la capacità di attivazione di nuove risorse, quelle delle aziende agricole, ma anche per la capacità di coinvolgere rapidamente un grande numero di interlocutori in un percorso di co-­‐produzione. Infatti, da subito e con una progressione piuttosto rapida per la novità della tematica, Coldiretti, continua a coinvolgere aziende (circa 50 attive tra queste anche della cooperazione sociale, e altrettante che si avvicinano al tema con crescente attenzione) organizza una rete di agricoltori consapevoli per la valorizzazione dei prodotti di agricoltura sociale che veicola anche attraverso i propri farmer markets (Campagna amica), di recente, supporta l’apertura di un negozio di prodotti di agricoltura sociale in centro città a Torino (negozio gestito da un’associazione di persone utenti psichiatrici come bottega di “Campagna amica”), favorisce la nascita di nuove imprese realizzate attraverso la formazione di partenariati stabili tra imprese profit e non profit, accresce il potenziale di impatto, sociale e economico dell’iniziativa, avviando anche percorsi e strumenti innovativi di valutazione delle pratiche di agricoltura sociale. La presentazione, di recente, di un patto sul cibo civile su scala locale viene accolto con favore da parte di amministrazioni locali, associazioni di consumatori, imprese. L’interesse del progetto coinvolge Coldiretti Piemonte (livello regionale) e gli uffici delle politiche sociali e agricole della Regione Piemonte. Alcune pratiche innovative sono premiate dal livello nazionale di Coldiretti attraverso un “oscar green” e lo stesso tema inizia ad interessare Coldiretti Nazionale che organizza iniziative di riflessione e diffusione, dando proprio segnale alle aziende agricole circa l’opportunità di guardare in modo positivo alla tematica. Peraltro, nella sua manifestazione annuale, Coldiretti presenta una carta con dieci punti al mondo politico nazionale, in cui, i principi dell’economia civile vengono in parte fatti propri come carta di lavoro per l’agricoltura nazionale. All’interno di questi principi l’agricoltura sociale trova il proprio spazio. Nello schema che segue proponiamo una prima ricostruzione della mappa di imprese del profit, del non profit del mondo pubblico coinvolto nella rete. La mappa restituisce un’idea di impresa a movente ideale estesa ed aperta sul territorio al confronto tra diversi interlocutori. Si tratta di una prima sintesi grafica che dovrà necessariamente trovare momenti di miglioramento e di capacità di integrare in modo dinamico la sua stessa evoluzione, ma che, allo stesso tempo, restituisce abbastanza bene la consistenza di un modello di lavoro praticabile nella definizione di percorso di transizione. La mappatura Nel grafico 1 è riportata una mappatura che rappresenta una parte delle realtà delle pratiche di agricoltura sociale attive nel territorio della Provincia di Torino. Si tratta di iniziative che hanno preso avvio dal 2006, 2008 in modo isolato, per poi progredire fino ad oggi mediante azioni che fanno registrare una progressiva espansione e rafforzamento delle relazioni esistenti, nel numero degli attori come nel tipo e nell’entità delle relazioni tra di questi. Grafico 1: la mappatura dell’evoluzione delle pratiche di agricoltura sociale in Provincia di Torino 13 Bozza non corretta da non citare senza il consenso degli autori. La coproduzione innovativa in agricoltura sociale In particolare, le iniziative nate in modo precoce, operano su specifici aspetti della diversificazione (sperimentazione di agri-­‐asilo) o offrono servizi realizzati in accordo con le strutture pubbliche del territorio in una logica molto tradizionale (il periodo formativo in uscita dal servizio diurno o similari). Nel tempo, allargando i momenti di confronto, di discussione e di co-­‐formazione all’interno della rete, il tema dell’agricoltura sociale, quello della collaborazione tra attori del privato economico e sociale, oltre che con il mondo dei servizi, prende forma e sperimenta soluzioni anche molto innovative. In particolare, il supporto offerto dall’ufficio progettazioni Coldiretti nella gestione di un progetto sull’emersione della tratta portato avanti dall’ufficio “Politiche del lavoro” della Provincia di Torino porta a esiti duraturi dei percorsi di vita delle persone incluse, tramite la realizzazione di inclusioni sociali e lavorative che si concludono con delle assunzioni, peraltro tuttora attive nelle imprese agricole. La dinamica significativa, però, viene da due eventi: l’ingresso della rete di una cooperativa agricola (una micro-­‐rete che conta oggi rapporti tra 25 aziende agricole) e, successivamente, l’attivazione, con l’ingresso di altre due aziende, una cooperativa sociale agricola e due imprese agricole, di una rete di commercializzazione di produttori agricoli “consapevoli” che favorisce un processo di razionalizzazione nella commercializzazione condivisa dei prodotti agricoli realizzati e, allo stesso tempo, generano nuove possibilità/opportunità per l’approfondimento degli esiti sociali delle pratiche. Anche in questo caso, però, è l’ufficio progetti di Coldiretti che riesce ad attivare, attraverso la partecipazione attiva nei tavoli ordinari della governance locale e la condivisione della tematica dell’agricoltura sociale, di due bandi finanziati dal fondo regionale disabili che coinvolgono la partecipazione di aziende agricole e di cooperative sociali ed associazioni. Il bando porta alcuni esiti con sé: consolida la tematica in un ambito – quello delle politiche per la disabilità -­‐ che fino a quel momento l’aveva guardata con limitata attenzione; mette a disposizione risorse per lo start-­‐up di iniziative ed il consolidamento in campo di agricoltura sociale di quelle esistenti, rafforzando ipotesi e progettualità avviate; facilita l’interazione, il confronto e, in alcuni casi, anche il disaccordo, tra portatori di progetto. La prima micro-­‐rete della cooperazione agricola di 25 aziende finisce per divenire una sorta di pivot territoriale, grazie alla forte determinazione del gruppo conduttore nella gestione delle iniziative nel sociale, ma anche dal punto di vista della capacità imprenditoriale che porta ad una diversificazione 14 Bozza non corretta da non citare senza il consenso degli autori. La coproduzione innovativa in agricoltura sociale delle attività aziendali esistenti (la produzione nelle aziende socie, la trasformazione e la vendita congiunta tra socie e conto-­‐terzi per aziende della rete, una struttura di ristorazione, la consegna ai gruppi di acquisto, e, di recente la prima bottega di prodotti di agricoltura sociale a Torino gestita da una neo-­‐costituita Cooperativa sociale tra aziende agricole e utenti della psichiatria). Questa capacità plurima di lavoro finisce per divenire un valore aggiunto sia per le aziende direttamente aderenti alla cooperativa, sia per le altre aziende che fanno uso di parte dei servizi e delle opportunità che questa mette a disposizione (in primis la struttura di trasformazione). E’ proprio la forte diversificazione nelle fasi a valle della produzione primaria che, tra le altre cose, allo stesso tempo, rappresenta area di espansione della cooperativa agricola e area nella quale è più facile avviare rapporti utili con il mondo della cooperazione sociale e dell’associazionismo, con l’avvio di percorsi di inclusione e la realizzazione di nuove collaborazioni estese. Peraltro il nascere e il rafforzarsi della tematica del’agricoltura sociale (Coldiretti con la Provincia di Torino avvia tavoli tecnici aperti sul tema, ai quali prendono parte le strutture delle ASL e dei Consorzi dei servizi, oltre che i Comuni del territorio), accresce il numero delle aziende interessate e rafforza la costituzione di nuove reti. In particolare, come si evidenzia anche dalla mappa, ogni azienda organizza le proprie reti satelliti con il terzo settore mediante rapporti che, quasi sempre, sono di co-­‐progettazione delle pratiche sociali e che, in molti casi si riversano sulla condivisione di parti di iniziative e economiche e commerciali. In aggiunta, essendo la valorizzazione dei prodotti realizzati, spesso, il motore attraverso cui assicurare la sostenibilità economica, non solo delle aziende agricole, ma anche dei rapporti di inclusione che si generano, prendono avvio iniziative congiunte per la valorizzazione dei prodotti che finiscono per rafforzare la capacità economica ed inclusiva dei progetti e delle reti realizzate. Complessivamente, ad oggi, il circuito coinvolge 74 attori tra imprese agricole (38), imprese sociali (13), associazioni (8), strutture dei servizi (6), organizzazioni e enti pubblici (5). La sola parte delle attività realizzate nel circuito dell’agricoltura sociale –quindi escludendo le attività e i bilanci delle strutture pubbliche, ovviamente, ma anche quelle delle associazioni e delle cooperative sociali per le loro attività ordinarie, mette in evidenza una produzione di valore economico agro-­‐alimentare che oscilla intorno ai tre milioni di euro. Nel campo della creazione diretta di valore sociale realizzata nelle pratiche di agricoltura sociale sono state prodotti in 5 anni di attività –indipendentemente dal lavoro agricolo tradizionale-­‐ 28 assunzioni stabili, cui si aggiungono 9 a tempo determinato, borse lavoro, tirocini formativi e altre forme di rapporto con i servizi per circa 70 persone cui si aggiungono servizi educativi e di supporto alla genitorialità per altre 90 persone. Con riferimento al numero delle aziende agricole è come se ognuna di esse avesse prodotto un’assunzione più o meno stabile e fornito opportunità temporanee, anche lunghe, per altre due persone. Oltre a questi ci sono i servizi, realizzati prevalentemente da due delle aziende agricole della rete. Questi ultimi, solitamente remunerati dalle famiglie, concorrono direttamente alla formazione del reddito delle aziende coinvolte (2 di quelle inserite nella rete). Per la restante parte del valore sociale creato, invece, eccezion fatta per la corresponsione delle borse alle persone inserite da parte dei servizi, nessuna remunerazione diretta va a finanziare le iniziative aziendali. Si tratta di numeri ancora parziali, che meriterebbero di essere maggiormente approfonditi ma che, pur nella loro parzialità, restituiscono un’idea molto concreta degli esiti operativi di quello che si configura come un modello operativo innovativo nella creazione di valore economico e sociale. Le lezioni e i sentieri di lavoro L’esempio di Torino non è unico in Italia, ma è significativo per la sua dinamica organizzativa e, dal punto di vista della transizione, per il supporto che un attore operante nell’attuale regime socio-­‐tecnico è in grado di offrire supporto al cambiamento, accelerandolo. Il caso di Torino evidenzia bene quelli che sono gli attori, i processi di cambiamento, i meccanismi organizzativi, le fasi di lavoro, entro le quali è possibile progettare e realizzare soluzioni operative nuove basate su evidenze teoriche ma capaci, allo stesso tempo, di generare in tempi brevi, risultati concreti. Modelli volti a ripensare, anche in modo profondo, tramite reti collaborative e l’attivazione di nuovi processi relazionali, il modo di generare e distribuire valori economici e sociali all’interno di una comunità di persone fatte da cittadine/i utenti dei servizi, imprese del privato d’impresa e del privato sociale, associazioni, corpi intermedi organi dell’amministrazione pubblica e dello Stato. 15 Bozza non corretta da non citare senza il consenso degli autori. La coproduzione innovativa in agricoltura sociale Lo scopo dichiarato era quello di ridisegnare, in tempi di crisi profonda, soluzioni utili per coinvolgere gli attori esistenti in percorsi di cambiamento volti a produrre, in modo durevole, stabilità economica e sociale. Forse una cifra evidente della crisi oggi, oltre che materiale e quantitativa, è ancor più quella che riguarda l’isolamento e di perdita di riferimenti sui quali è possibile contare per affrontare i problemi quotidiani. In questa direzione, un modello di regolazione basata sull’atomismo individuale e sul soddisfacimento dei bisogni dei singoli via mercato, o tramite l’intervento dello Stato, è venuto meno e per più motivi: perché i mercati e le filiere – dell’agroalimentare come di altri prodotti – vedono concentrare il potere di mercato su attori sempre meno legati ai destini delle comunità di riferimento; perché lo Stato non appare in grado di fronteggiare la complessità che risulta dai nuovi scenari, anche economici e fiscali di riferimento, seguendo solamente logiche di intervento dall’alto. L’esempio di Torino racconta una storia in parte diversa, di come gli apparati pubblici possano operare di concerto con gli attori locali, ma anche, di come la creazione di valore economico può essere vissuta in modo congiunto con la partecipazione attiva alla vita e ai destini della comunità e, come, l’attivazione di nuove reti basate sui principi di relazione e collaborazione, possano aumentare la capacità di tenuta di un sistema locale. L’esito più evidente di questo percorso, peraltro breve dal punto di vista temporale, è dato dal fatto che sul territorio si sono generate opportunità economiche e inclusive, non irrilevanti in entrambi i casi, in assoluto e per le persone coinvolte, opportunità che era possibile attivare mobilizzando in modo nuovo le risorse disponibili e che sono il frutto della perseverante volontà di trovare soluzioni basate sul noi e capaci di creare vantaggi complessivi. Partendo da queste prime riflessioni generali il caso consente di fornire alcune lezioni rispetto ai temi che introdotti e, in particolare sulla: • riforma del welfare e sul tema della sussidiarietà; • co-­‐produzione e sul tema dell’economia civile • sulla gestione della transizione. Di seguito, in sintesi cercheremo di passare in rassegna le tre aree tematiche. Riforma del welfare e sussidiarietà Nel dibattito avviato sul territorio di Torino, la riforma del welfare e il tema della sussidiarietà hanno rappresentato lo sfondo di riferimento di uno scenario in profondo cambiamento che coinvolge elementi concettuali e organizzativi del modo di operare delle strutture pubbliche, delle municipalità e degli attori sul territorio. In questa prospettiva l’agricoltura sociale è stata vista come capace di operare a vantaggio di un welfare più flessibile, partecipato e relazionale, mediante l’articolazione di una rete, via via più definita, di rapporti tra servizi del territorio (ASL Sert, ASL psichiatria, UEPE, Consorzi dei servizi), le politiche del lavoro (nella fattispecie la Provincia di Torino) associazioni, cooperative sociali ed aziende agricole. L’esito, in una fase di crisi delle risorse pubbliche e senza accrescere la spesa, è stato quello di una saldatura nuova, tra reti formali e informali, i cui esiti sono rilevanti in termini di attori coinvolti, di opportunità alternative rese alle persone a più bassa contrattualità del territorio, di consolidamento economico del sistema produttivo. L’azione di sussidiarietà si legge: • in alcuni Enti che, in assenza di risorse da investire direttamente, mettono a disposizione le proprie strutture e competenze per favorire la riarticolazione sul territorio di nuove modalità di lavoro. Nella fattispecie, la Provincia di Torino che-­‐ tramite la costituzione di un tavolo inter-­‐assessorile tra agricoltura, politiche sociali e del lavoro-­‐ ha gettato le condizioni per favorire il progressivo avvicinamento delle stesse strutture del territorio (centri per l’impiego, UEPE, ASL e Consorzi dei servizi) al tema dell’agricoltura sociale, creando, così, le coordinate per adottare nuovi modelli di lavoro, meno direttamente attivi, ma più supportivi nei confronti delle reti che nel frattempo si andavano costituendo tra privato d’impresa e terzo settore. Questo passaggio ha rappresentato, e rappresenta più in generale, una modifica operativa del modo di progettare e gestire gli interventi sul territorio da parte degli Enti locali, non più attraverso l’esclusiva programmazione di azioni dotate di propria copertura finanziaria, quanto, piuttosto, mediante la valorizzazione delle risorse e delle competenze umane interne – oltre che dell’autorevolezza istituzionale – utili per dare supporto a processi di innovazione che coinvolgono direttamente altri attori privati del territorio, fornitori questi ultimi di risorse umane e materiali necessarie per l’attivazione di azioni di sussidiarietà; 16 Bozza non corretta da non citare senza il consenso degli autori. La coproduzione innovativa in agricoltura sociale nel modo di operare delle imprese private agricole che riflettono sulla utilità più generale, e non più esclusivamente produttiva, delle strutture aziendali e delle competenze professionali, per metterle a disposizione di persone a più bassa contrattualità della comunità. Ciò non sempre –o quasi mai – con chiari ed evidenti ritorni dal punto di vista economico ma, piuttosto, con l’intento di ampliare il proprio campo di azione dalla sola produzione di prodotti agricoli per i mercati agricoli anonimi, verso la fornitura di cibo e di relazioni inclusive a supporto delle comunità e degli abitanti locali. IN questo caso, gli incentivi morali, del riconoscimento formale nella comunità, si accompagnano a riconoscimenti economici indiretti, di ricostruzione di nuova visibilità e considerazione economica da parte dei mercati locali di consumo. La sussidiarietà delle imprese si traduce, a volte in modo molto semplice, attraverso la condivisione di un pasto o di un momento di riposo, oltre che di lavoro, assicurando, in tal modo, una proiezione del sostegno informale delle reti di comunità a quello formale proprio dei servizi. Il contributo che si realizza risulta difficilmente sostituibile da altri servizi formali e concorre non poco alla realizzazione di percorsi inclusivi e di giustizia sociale per le persone a più bassa contrattualità dell’area (anziani, persone con disabilità psichiatrica, giovani con difficoltà di apprendimento, ex detenuti, etc); • nel modo di operare del terzo settore e del volontariato che canalizzano la loro volontà e carica etica nella partecipazione a percorsi capaci di valorizzare, oltre che le loro risorse interne, altre solitamente poco evidenti presenti nel territorio – quelle delle strutture agricole – mettendole in relazione con il mondo dei portatori di bisogno e con le strutture di servizio: • nelle famiglie degli utenti e i consumatori, che vedono nel consolidamento delle reti di territorio un’opzione e una motivazione in più per indirizzare scelte di consumo abituale che possono avere ricadute non irrilevanti sulla qualità della tenuta sociale ed economica del sistema locale; • della stessa Confederazione provinciale della Coldiretti la quale, in modo sussidiario sul territorio rispetto all’azione degli Enti locali, ha svolto azioni di animazione sociale ed economica volta a costruire relazione che hanno dato poi vita operativa alla rete di agricoltura sociale, offrendo supporto all’aione dei privati, come delle pubbliche amministrazioni. La lezione più generale che il caso ci consegna, però, è che la sussidiarità rappresenti l’esito di un processo capace di ricostruire con continuità visioni e collaborazioni allargate, contaminando progressivamente attori privati e pubblici in modelli operativi di successo. Un processo che richiede una accorta regia per essere supportato e reso rapidamente concreto. •
Co-­‐produzione ed economia civile La sussidiarietà si organizza attorno a nuovi principi capaci di attestarne la sostenibilità, specie in una fase di forte contrazione delle risorse pubbliche. Alcuni di questi hanno una natura relazionale e prevedono la riorganizzazione dei compiti e delle responsabilità degli attori locali e istituzionali nella modalità di agire a supporto della produzione di beni pubblici, nella fattispecie dei servizi alla persona. Nel caso dell’agricoltura sociale di Torino il principio della co-­‐produzione emerge in modo nuovo, non solo nella collaborazione tra una pluralità di attori pubblici e privati che scelgono di co-­‐progettare le loro attività, ma anche per la capacità dei progetti di generare opportunità mediante la messa a valore di risorse non completamente valorizzate (ad esempio strutture e processi presenti nelle aziende agricole) ovvero, riarticolando in processi nuovi l’amalgama delle competenze utili (del sociale e del mondo agricolo). In realtà, nei grafici che abbiamo presentato, gran parte delle realtà mappate erano presenti anche prima e indipendentemente dai progetti di agricoltura sociale avviati. Alcune, significative, sono nate successivamente all’avvio di iniziative di collaborazione avviate tra aziende agricole e associazionismo (La cooperativa sociale 180 che gestisce la bottega Asociale). Ciò che i progetti hanno modificato, però, e spesso in profondità, è il modo in cui le risorse sono messe in circolazione e i tempi attraverso cui questo si è potuto realizzare. In particolare, la co-­‐produzione si realizza a diversi livelli: • nelle aziende agricole nell’uso e nell’organizzazione dei processi e delle attività quotidiane: in questo caso, la presenza di persone a bassa contrattualità nelle aziende – inserite con la supervisione ed il tutoraggio dei servizi pubblici e delle strutture del volontariato o della cooperazione sociale-­‐ accompagna, alla gestione ordinaria dei processi produttivi, l’opportunità di rafforzare le capacità personali e l’inclusione delle persone inviate dai servizi. Si tratta di processi produttivi e strutture normalmente non dedicate, che anche grazie alla loro informalità e al senso di concretezza che le contraddistinguono, sollecitano le risposte individuali, accrescendo l’autostima e la partecipazione 17 Bozza non corretta da non citare senza il consenso degli autori. La coproduzione innovativa in agricoltura sociale •
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attiva delle persone a più bassa contrattualità all’interno di un mondo concreto, reale e non medicalizzato; nella organizzazione dei servizi alla persona: che si prolungano nel territorio, con un inizio che solitamente parte dalla struttura pubblica di servizio (il centro diurno, il sert il servizio della psichiatria) per estendersi -­‐per il tramite delle associazioni e delle cooperative sociali, o secondo accordi diretti -­‐ nelle aziende e nelle attività agricole, secondo modalità e caratteristiche innovative, personalizzate e dal forte contenuto relazionale/professionale. Il disegno dei nuovi servizi è normalmente il frutto di un percorso di co-­‐progettazione che si realizza all’interno delle arene della transizione tra una pluralità di competenze che si aprono al confronto e alla messa in discussione del loro operato come singoli attori, per proiettarsi in una dimensione più allargata, definita previo vaglio delle potenzialità e delle risorse disponibili da parte dei diversi attori; nella erogazione dei servizi da parte dello stesso terzo settore che, anche in funzione dei propri orizzonti, delle proprie risorse, dei propri tempi di crescita, può decidere se creare impresa autonoma (e sostenere i relativi costi di investimento e di avviamento), ovvero, affiancare la propria azione a quella di imprese agricole esistenti, inserendosi nell’organizzazione delle strutture aziendali esistenti e facendone espandere le capacità organizzative e di mercato, in funzione delle proprie risorse e competenze. Questa seconda circostanza è quella che emerge nella rete di Torino e che, di fatto, ha consentito di velocizzare gli esiti prodotti dalla rete, minimizzando i rischi dei partecipanti. Peraltro la creazione di impresa, in forma singola o associata, è spesso un esito conseguente all’evidente affermarsi di nuove opportunità economiche maturate in accordo con il sistema dell’impresa privata (come il caso della Cooperativa Sociale 180 nella gestione della bottega Asociale); nella gestione delle stesse attività commerciali: l’incontro del mondo agricolo con quello del mondo sociale ha una grande potenzialità che nasce proprio: dalla rottura degli steccati settoriali e specialistici, dalla fusione di competenze utili nell’organizzazione di percorsi capaci di creare, al contempo, valore economico e sociale, ma anche dalla possibilità di fondere reti di relazioni che sono poi alla base della costruzione e distribuzione del nuovo valore economico creato. Da questo punto di vista, infatti, molte delle opportunità che si presentano nella ricostruzione di mercati del cibo improntati sulla fiducia, sulla trasparenza, sulla qualità, sulla coerenza con le risorse del territorio, prevedono un forte investimento in relazioni e comunicazioni, risorse che spesso sono meno presenti all’interno del mondo agricolo dove la conduzione dei singoli processi e la loro progressiva complessità tende a esaurire le risorse umane disponibili in aziende, spesso, di piccole dimensioni. L’organizzazione di meccanismi di co-­‐produzione in questa prospettiva, consente di riappropriarsi di fasi indispensabili per tenere il valore creato nelle aziende e nel territorio, attraverso la trasformazione e la distribuzione diretta o mediante esperienze molto connotate dal punto di vista della comunicazione (agricoltori responsabili, la bottega Asociale) che, oltre che assicurare sbocchi fisici di commercializzazione, in realtà, contribuiscono a definire un ambiente di scelta innovativo in materia di consumo alimentare, capace di sostenere un modello alternativo di relazioni; nella co-­‐produzione dei saperi che ruotano intorno ai processi agricoli, ai propri contenuti etici e alle scelte dei consumatori. Ciò riguarda: o la costruzione di significati, obiettivi, visioni e nuova conoscenza collettiva, tra operatori del sociale e del mondo agricolo, rispetto ai significati e ai temi che le attività di agricoltura sociale portano con sé: si tratta di processi complessi che ristrutturano le competenze disponibili nei diversi domini, i principi di riferimento, le attitudini degli operatori coinvolti fino a definire nuove ipotesi di lavoro che sono , poi, sottoposte a definizione di procedure e norme (formule di accordo, criteri di selezione delle aziende e dei partecipanti, strumenti pattizi, etc); o la costruzione di una nuova consapevolezza, anche e forse specie in una fase di crisi rispetto ai contenuti, alle caratteristiche qualitative e produttive del cibo consumato, è parte di un processo complesso che prevede una continua e ripetuta interazione tra interlocutori (consumatori-­‐ produttori o co-­‐produttori). La realizzazione di luoghi, momenti di 18 Bozza non corretta da non citare senza il consenso degli autori. La coproduzione innovativa in agricoltura sociale •
apprendimento, di confronto e di scambio definiscono nuovi modi per apprendere, in modo collettivo, i significati, molteplici, che il cibo solitamente è capace di trasportare con se. Nella attivazione di una co-­‐governance: gran parte del lavoro di co-­‐progettazione, di co-­‐produzione di nuovi significati, di intelaiatura di nuovi principi di sussidiarietà, trovano unico spazio concreto di lavoro in nuovi luoghi autorizzati a sviluppare decisioni autorevoli. Il principio della co-­‐governance, a questo riguardo, rappresenta un ambito organizzativo nuovo nel quale diversi interlocutori, anche appartenenti a domini operativi distanti, possano condividere conoscenze e processi, fino all’attivazione di nuovi strumenti operativi e di politica. Nella fattispecie, i tavoli di agricoltura sociale rappresentano abbozzi embrionali, dove la co-­‐governance prende forma e la sussidiarietà si realizza dal punto di vista decisionale. Sulla base degli elementi descritti, la co-­‐produzione genera sostenibilità, anche economica, a più livelli: • attiva risorse locali disponibili in una fase di crisi di trasferimenti di risorse esterne; • consente ai servizi pubblici di ampliare, rendere flessibile e personalizzare, la gamma di offerta mediante servizi che possono non avere un costo diretto, o che, diversamente, possono avere un costo più contenuto rispetto a quelli ordinari, e non sempre con esiti peggiori (ovviamente in funzione delle tipologie di utenza); • accresce l’efficienza nell’impiego delle risorse della società civile, ma anche della cittadinanza presente nelle imprese private, nell’assicurare sostegno a reti e percorsi di un welfare relazionale (in altre occasioni abbiamo parlato, a tale proposito, di welfare rigenerativo di relazioni di comunità) e sussidiario. I principi della co-­‐produzione, a loro volta, trovano una loro sponda nell’idea di economia civile. Nel caso di Torino, la mappa restituisce il progressivo formarsi di un’impresa a movente ideale allargata, e nella fattispecie: • la crescita continua nel tempo, e l’ispessimento delle relazioni all’interno delle pratiche, restituisce l’idea dell’apertura del processo e della capacità di contaminare e includere sempre nuove parti del sistema locale secondo il principio di mutualità allargata, adattandolo alle nuove visioni progettuali che nascono dal confronto tra gli interlocutori che al tema si avvicinano, ma, allo stesso tempo, preservandone i valori innovativi mediante azioni di continua socializzazione nei confronti dei nuovi attori che si avvicinano; • in molti dei progetti avviati il movente si impernia sull’idea di cum-­‐petere, cioè di collaborare per accrescere i risultati complessivi ottenuti dai partecipanti alle iniziative, attraverso la costruzione, allo stesso tempo, di valore sociale ed economico, di beni relazionali e di mercato. In questa prospettiva l’insieme restituisce un potenziale d’impatto di gran lunga superiore all’iniziativa dei singoli; • i mercati dei prodotti di agricoltura sociale che, progressivamente, si stanno definendo, risultano fortemente immersi nella relazionalità e nell’appartenenza/conoscenza dei valori contenuti nei progetti e nei prodotti di agricoltura sociale, senza per questo attivare meccanismi propri del pietismo. In questo senso, le pratiche di agricoltura sociale e la creazione di valore inclusivo sono fortemente condizionati da un approccio meno individuale e più socializzato alla costruzione delle opzioni che gli stessi mercati sono in grado di assicurare; • riguardo questo ultimo punto, la reciprocità -­‐ in senso esteso e non necessariamente diretta-­‐ diviene un meccanismo fondativo del funzionamento dei mercati locali, capace di dare piena sostenibilità economica ai progetti di inclusione sociale realizzati; • la governance dei progetti diviene plurale e diversamente articolata nelle fasi e nei livelli di lavoro, nelle singole esperienze, nei rapporti tra attori satelliti tra di loro, nella configurazione complessiva del sistema locale, come già indicato anche in precedenza; • le motivazioni e i rinforzi a queste giocano un ruolo fortissimo che non può essere disatteso e che deve trovare continuo monitoraggio e attenzione. In questa direzione il collegamento diretto tra impresa privata e del terzo settore consente di assicurare un giusto equilibrio tra competenza imprenditoriale, attenta conduzione dei processi e dei mercati, ma anche in termini di trasparenza, accompagnamento, discussione continua sui valori fondanti le iniziative di cui le 19 Bozza non corretta da non citare senza il consenso degli autori. La coproduzione innovativa in agricoltura sociale •
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diverse anime culturali della compagine si fanno portatori e che consentono di assicurare equilibrio tra componenti economiche e sociali. In questa direzione la compresenza nei progetti dell’impresa privata e del privato sociale, costringe ad una mediazione continua dei moventi e dei principi, generando meccanismi interni di controllo ed evitando sempre possibili derive verso fenomeni di opportunismo; l’impresa a movente ideale, allargata sul territorio di Torino, mostra una grande efficacia in termini di realizzazione di valore inclusivo, indipendentemente dalle formule giuridiche che i diversi attori –specie quelli del privato d’impresa e del privato sociale – finiscono per adottare (Cooperative sociali agricole-­‐IAP, formule societarie temporanee o meno tra i due mondi, accordi di collaborazione diversamente formalizzati, creazioni di nuove imprese a partenariato congiunto tra privato e privato sociale); il vero motore delle iniziative il cui costo è soprattutto relazionale è rappresentato dalla capacità di fare emergere decisioni assunte nel segno del noi, riuscendo ogni volta a trovare soluzioni che risultano vincenti per tutti gli attori privati e pubblici presenti. Chiaramente, rispetto al dibattito plurale che si è attivato intorno all’economia sociale, quello dell’economia civile è un modello che ha caratteristiche non sempre da tutti condivise. Ciò che appare evidente, però, è che, diversamente dal passato, all’economia sociale si vanno chiedendo esiti – in termini occupazionali, di sostenibilità economica, di supporto alla vita di comunità, di capacità di innovazione – che richiedono, specie con il progressivo contrarsi delle risorse dei quasi mercati pubblici, capacità manageriali e gestionali sempre più elevate, i cui tempi di acquisizione non sono semplici e che, in alcuni casi, rischiano di generare conflitto rispetto alle stesse missioni di cui l’economia sociale è portatrice. Allo stesso tempo, la necessità di rilocalizzare le imprese private sul territorio, mette in moto un dibattito rispetto al modo in cui ciò possa avvenire. Nel caso del mondo agricolo, anche a seguito del dibattito sulla multifunzionalità, appare chiaro che il legame con il territorio non è un incidente dal punto di vista fisico, ma una realtà che può trovare spazio di sostenibilità economica solo attraverso un’opera di attenta ricostruzione di rapporti con i consumatori locali. Nel campo dell’agricoltura sociale, e seguendo le piste di lavoro dell’economia civile, ciò che la lettura che il caso di Torino restituisce è che l’attivazione delle risorse locali esistenti mediante la loro riarticolazione in una logica di collaborazione e la co-­‐produzione tra mondo del privato sociale, del pubblico e del privato d’impresa: • accelera i tempi della trasformazione e riduce i rischi degli insuccessi connessi con la creazione ex-­‐
novo di nuove imprese, operazione solitamente assai complessa nel caso delle attività agricole; • consente di accrescere la diffusione del capitale delle competenze tutte presenti all’interno del territorio di riferimento, facendo leva sull’ìspessimento e l’allargamento dei rapporti di rete sulla base degli esiti progressivamente raggiunti e delle opportunità che si vengono a determinare (il caso della bottega Asociale o degli agricoltori responsabili); • riduce enormemente i costi finanziari di investimento per il pubblico e per il privato sociale favorendo la valorizzazione delle strutture del privato d’impresa; • assicura una migliore stabilità del sistema economico esistente consentendogli un ingresso nei mercati della relazionalità e della socialità accrescendo enormemente il potenziale d’impatto di nuovi principi di lavoro. La gestione della transizione. L’esperienza di Torino mostra come la realizzazione di modelli operativi di co-­‐produzione di valore economico e sociale può realizzarsi in tempi relativamente brevi se viene data adeguata attenzione ad una gestione attiva dei processi di transizione. In fasi critiche quali quelle attuali, lo spreco dei tempi consuma vite ed opportunità, come la cronaca tristemente insegna. Per questo motivo, la ricerca delle soluzioni complesse, di transizione verso modelli di lavoro profondamente innovativi, non può essere lasciata alla casualità e, viceversa, necessità di essere perseguita in modo razionale, avendo ben presente la necessità di assicurare risposte concrete in tempi ragionevoli. In questa prospettiva, l’azione di Coldiretti Torino può essere letta criticamente, tanto nei suoi aspetti positivi, quanto in quelli più problematici. Anche in questo caso passeremo in rassegna alcune delle lezioni emerse con riferimento al caso torinese e alla teoria sulla TM: 20 Bozza non corretta da non citare senza il consenso degli autori. La coproduzione innovativa in agricoltura sociale •
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l’adozione e il lancio della tematica dell’AS, la costruzione di un’idea: come detto, il tema dell’AS era stato già fatto proprio, seppur non esplicitamente, da Coldiretti Torino con riferimento alla progressiva rarefazione dei servizi alle persone nelle aree rurali e all’opportunità di procedere con azioni di innovazione a supporto della conciliazione dei tempi e delle politiche di genere. L’esito era stato la definizione di progetti di agriasili volti ad assicurare supporto alla vita delle giovani famiglie mediante il coinvolgimento delle aziende agricole. A quel progetto, più di recente, è stato affiancato dalla Coldiretti Piemonte, un progetto sulle Agritate. L’ufficio progetti di Coldiretti Torino, nel frattempo ha maturato riflessioni profonde sul tema agricoltura sociale, le sue possibili implicazioni, il modo attraverso cui avviare la proposta sul territorio, nella propria compagine, ma anche all’esterno, tenendo conto, sì del dibattito sulla multifunzionalità e la diversificazione agricola, ma anche di altri temi collegati, tra cui quelli presentati relativi all’economia civile, alla crisi del modello economico di riferimento, del welfare pubblico. In questa direzione la proposta e la visione Coldiretti sul tema AS si è fatta portatrice di valori collettivi e non semplicemente corporativi, delineando un modo nuovo di fare sindacato sul territorio, particolarmente utile, specie in una fase di profonda difficoltà e cambiamento. Ragionamenti e ipotesi che hanno saputo fare breccia nei tavoli ordinari della governance delle politiche agricole, ma anche in quelli delle politiche socio-­‐
assistenziali e del lavoro, cui l’organizzazione è solita partecipare, con esiti positivi in termini di linee di intervento messe in campo a livello provinciale e regionale per tutti i portatori di pratiche in AS, del privato d’impresa e del privato sociale; la costruzione dell’arena per la transizione (tavolo agricoltura sociale): è stata avviata da Coldiretti nella sua interlocuzione con i riferimenti istituzionali, in primo luogo l’amministrazione provinciale che ne ha raccolto il testimone, aprendo al confronto ad altri settori e ad altre rappresentanze. Il compito del tavolo è stato quello di produrre nuova conoscenza condivisa rispetto al tema tra i partecipanti, grazie anche al contributo di conoscenze di ciascuno dei membri. In particolare, la partecipazione alle attività del tavolo dei portatori di progetto sul territorio ha avuto il compito di mediare, tra i partecipanti, la competenza operativa con quella normativa e procedurale, favorendo la messa in discussione di alcuni dei principi posti alla base dell’azione pubblica come del privato; la partecipazione al tavolo è stata progressivamente ampliata, sebbene non senza attriti con altre rappresentanze, in particolare del mondo sociale. In questo campo, la dimensione politica delle rappresentanze ha registrato momenti di tensione nei rischi di demarcazione dei campi di influenza che ciascuna organizzazione ha con riferimento al proprio dominio di riferimento. Fatto questo, abbastanza comprensibile per un’innovazione tanto interstiziale com’è l’agricoltura sociale, che mette in discussione profonda i modi e i campi di agire di molti. Il lavoro del tavolo è stato quello di codificare e condividere la nuova conoscenza, renderla trasferibile all’esterno e ciò, grazie anche agli esperimenti che progressivamente sul territorio si andavano realizzando. Il fatto che il portatore di innovazione e di proposta fosse un’organizzazione molto radicata sul territorio torinese, che si assumesse direttamente il rischio dell’innovazione e che la rappresentasse nei tavoli ordinari della governance esistente, ha consentito di velocizzare il processo di socializzazione e la costruzione della stessa arena della transizione. Aspetto che in altri luoghi ha richiesto tempi assai più lunghi rispetto a quanto registrato nel caso di Torino; la definizione dell’agenda e delle visioni condivise di cambiamento (con le imprese, con le istituzioni): il tavolo è stato anche il luogo in cui il tema dell’AS è stato sviluppato per costruire visioni attese di cambiamento e costruire l’agenda di lavoro. Nell’agenda, oltre che la realizzazione e il supporto a specifici esperimenti (l’emersione delle donne vittime di tratta, le azioni a supporto delle disabilità, la creazione di modelli di economia civile, il coinvolgimento dei consumatori responsabili, l’avvio di nuovi progetti sempre più complessi e tra loro legati, sono stati individuati momenti in cui continuare a favorire la condivisione di conoscenza (mediante incontri, iniziative di co-­‐formazione, predisposizione di materiali di comunicazione) e assicurare la co-­‐progettazione estesa. Anche in questo caso molta dell’attività di animazione è stata realizzata dall’Ufficio progetti della Coldiretti Torino in partenariato con l’UniPisa e con altri attori pubblici e privati del territorio. In questo senso, Coldiretti ha svolto un’azione sussidiaria rispetto all’azione del pubblico, assicurando e supportando e attività di animazione necessarie ad assicurare e facilitare la gestione 21 Bozza non corretta da non citare senza il consenso degli autori. La coproduzione innovativa in agricoltura sociale •
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della transizione. Ovviamente questo non poteva che accrescere autorevolezza dell’organizzazione sul tema, anche in antitesi rispetto ad altre organizzazioni del mondo agricolo o del mondo sociale; gli esperimenti e la loro lettura: l’assunzione dell’azione di innovazione da parte di un’organizzazione molto radicata sul territorio, il peso speso sulla tematica anche di fronte agli occhi dei propri associati, non era scontato, ma ha avuto un ruolo determinante per accrescere la portata d’impatto del processo, sia nei confronti pubblici sia nei confronti delle imprese agricole e delle imprese sociali. Per quanto riguarda le imprese agricole, il legame con l’organizzazione ha facilitato il superamento delle remore legate a un’innovazione dalle caratteristiche molto particolari rispetto al regime socio-­‐tecnico agricolo vigente (fortemente condizionato dal mercato, dalla specializzazione). In questo senso la posizione di Coldiretti già assunto su temi come quelli delle produzioni locali, della filiera corta, l’attivazione di mercati dei contadini, ha aperto un sentiero di cambiamento che consente di introdurre più facilmente al proprio interno organizzativo e presso i propri associati, tematiche anche molto nuove e distanti, come quella dell’economia civile e dell’agricoltura sociale produttiva. Temi che, di fronte a cambiamenti di scenario in atto, però, possono consentire di definire modelli di lavoro alternativi che potranno progressivamente consolidare la loro ragion di essere in prospettiva. Rispetto ad altri territori, l’impegno dell’organizzazione ha facilitato enormemente il reclutamento di imprese agricole e, la fattività operativa della proposta, anche alla luce degli esiti riscontrati, ha permesso di dare alla tematica e all’organizzazione una spendibilità anche presso altri mondi, quelli delle istituzioni pubbliche (Provincia, Comuni, ASL, CPI, Consorzi dei servizi) e delle imprese del privato sociale, interessate a condividere progettualità esecutive con il mondo della produzione primaria; il monitoraggio e la valutazione: azioni di riflessione sugli esiti delle attività sono stati costantemente fatti oggetto di attenzione, nei tavoli e nei territori, accrescendo la costruzione di una nuova narrativa sul tema e favorendone la penetrazione presso nuovi interlocutori. Peraltro la Coldiretti Torino, insieme ad uniPisa, hanno approntato, mediante una modalità partecipativa, un modello valutativo delle pratiche di agricoltura sociale con l’intento di restituire in modo esteso gli esiti di quanto stava avvenendo sul territorio, accrescendo maturità, comprensibilità e affidabilità della realtà operativa che si va costruendo. Questo stesso articolo muove nella stessa prospettiva. In definitiva, rispetto al tema della transizione, la lettura del caso di Torino fornisce alcune indicazioni utili, tra cui: • la costruzione di modelli operativi di co-­‐produzione di valore economico e sociale può essere realizzata, anche in tempi relativamente brevi e con esiti significativi, per gli interlocutori coinvolti. Perché ciò avvenga è necessario introdurre tra le proprie azioni di cambiamento iniziative specificamente proiettate alla promozione di innovazione sociale, come la Coldiretti Torino ha fatto mediante la costituzione di un ufficio progettazione dedicato; • La gestione della transizione diventa un’attività specifica sulla quale orientare risorse disponibili – umane prevalentemente, ma non solo-­‐ nelle stesse strutture pubbliche oltre che nelle organizzazioni intermedie, la corretta pianificazione e conduzione di queste iniziative po’ fare la differenza nell’intercettare bisogni di cambiamento e definire soluzioni condivise; • la partecipazione dei portatori di innovazione ai processi di transizione acquista un ruolo centrale, indipendentemente dal ruolo e dal peso politico che questi hanno. Anzi elemento chiave della transizione e dei tempi in cui si realizza il cambiamento sta proprio nella capacità di realizzare una pronta saldatura tra i portatori di innovazione e coloro che hanno posizioni di rilevo negli schemi organizzativi e decisionali del regime esistente. Questa saldatura, però, deve avvenire in assenza di fenomeni di strumentalizzazione e traslazione dell’innovazione a vantaggio dei soggetti dotati di potere in ambito territoriale e a danno dei contenuti dell’innovazione. Strumentalizzazioni e traslazioni necessariamente generano le condizioni per un affievolimento della portata innovativa delle pratiche e, nel lungo periodo, per una mancata risoluzione delle problematiche che la gestione della transizione intende affrontare e risolvere; • La partecipazione attiva di soggetti intitolati nella gestione della governance ordinaria nei processi di transizione – come nel caso della Coldiretti -­‐ porta a valutazioni contrastanti: 22 Bozza non corretta da non citare senza il consenso degli autori. La coproduzione innovativa in agricoltura sociale Da una parte, facilita enormemente il processo di transizione grazie alla possibilità di portare direttamente il dibattito sui modelli innovativi all’interno delle sedi di discussione politica e nelle sedi ordinarie della governance; o Dall’altra, espone l’innovazione al rischio della translazione verso gli interessi di un solo attore presente nell’arena, a meno che l’interesse generale non riesca a prevalere, o a contenere, l’interesse dell’organizzazione stessa. Nel caso di Torino, il ruolo di Coldiretti a tale riguardo è stato lungamente discusso, anche nel partenariato con l’UniPisa, cercando in ogni caso di assicurare l’apertura necessaria alla corretta conduzione di un processo di TM, anche lì dove l’organizzazione privata, ha, di fatto, sussidiato l’azione pubblica e anche quando, posizioni di altre organizzazioni si sono poste in modo concorrente. L’esito finale di questo processo rispetto al modello operativo che si sta realizzando è ragionevolmente positivo, come i dati presentati restituiscono, ma non può essere dato per scontato senza un attento e continuo presidio della presenza di un’idea di bene comune nei processi di negoziazione, anche politica. o
Conclusioni Nel nostro paper abbiamo cercato di riflettere sulle coordinate del cambiamento che investe oggi il mondo della creazione di valori economici e sociali. Per seguire il filo rosso che lega la transizione verso modelli operativi capaci di gettare le basi per risposte innovative abbiamo affrontato il tema dell’agricoltura sociale per come sta trovando sviluppo nel territorio di Torino. Un percorso iniziato in tempi relativamente recenti ma che, pur nei suoi limiti, fornisce molti spunti che riguardano la formulazione di un nuovo modello di welfare più relazionale e sussidiario, il tema della co-­‐produzione di valori e servizi da parte degli attori locali, in risposta alla crisi del modello di funzionamento basato sulla divisione tra Stato e Mercato, la realizzazione di principi e pratiche di economia civile, un diverso modo di intendere la produzione della conoscenza e dei valori. Il caso dell’agricoltura sociale nel territorio di Torino, però, fornisce utili spunti di lettura anche con riferimento al tema della transizione, alla sua gestione attiva, alla responsabilità irrimandabile di farsene carico con metodo e impegno. Tutti elementi che richiamano, di fatto, al tema della rilocalizzazione dei processi di produzione e distribuzione, di consumo e di decisione, che devono essere opportunamente analizzati e ripensati dalle stesse politiche in una chiave meno romantica e più fattiva, non come ammortizzatore sociale rispetto a fenomeni incontrollabili di crisi, ma come ipotesi possibili di riacquisizione del controllo sulle proprie risorse e del proprio modo collettivo di operare e decidere. Bibliografia Abreu, M., Grinevich, V., Kitson, M., & Savona, M. (2010), Policies to enhance the “hidden innovation” in services: Evidence and lessons from the UK. Service Industries Journal, 30(1), 99–118. Alford, John, 2002; Why do Public Sector Clients Co-­‐Produce? 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