La ricerca dell` “oltre” e dell`assoluto nel romantico dramma della

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La ricerca dell` “oltre” e dell`assoluto nel romantico dramma della
La ricerca dell’ “oltre” e dell’assoluto nel romantico dramma della “Lucia”
di Rosanna Di Giuseppe
Il romanticismo italiano degli anni Trenta incarnato dai due musicisti Bellini e Donizetti che per
primi ereditano lo stile formalizzato e fiorito di Rossini, un romanticismo che rispetto a quello
francese e tedesco si manifesta mediante e a dispetto di una tradizione operistica standardizzata
dominata dal virtuosismo vocale e da ritmi artigianali frenetici, si esprime appieno nella Lucia di
Lammermoor di Gaetano Donizetti, prototipo dell’opera romantica, ma anche miscuglio di vecchio
e di nuovo nel suo svolgersi tra le spinte complementari verso un lirismo intenso e la strutturazione
drammaturgica di pretto marchio rossiniano. L’opera, la cinquantaduesima dell’autore, andò in
scena trionfalmente al San Carlo di Napoli, il 26 settembre 1835, sul riuscito libretto di Salvatore
Cammarano, segnando uno dei vertici della storia operistica. I primi interpreti furono Fanny
Tacchinardi Persiani(Lucia), Teresa Zappucci (Alisa), Gilbert Duprez (Edgardo), Domenico
Cosselli (Enrico), Carlo Ottolini-Porto (Raimondo Bidebent), Balestrieri (Artuto Bucklaw),
Anapesto Rossi (Normanno). L’ambientazione è scozzese, con soggetto tratto dal romanzo “The
bride of Lammermoor” di Walter Scott del 1819, ispirato ad un fatto realmente accaduto nel 1668.
Vari altri lavori teatrali, operistici e non, erano già stati ricavati dalla stessa fonte (citiamo almeno i
libretti Le nozze di Lammermoor di Giuseppe Balocchi, musica di Michele Carafa, Parigi 1829, La
fidanzata di Lammermoor di Callisto Bassi, musica di Luigi Rieschi, Trieste, 1831, La fidanzata di
Lammermoor di Pietro Beltrame, musica di Alberto Mazzucato, Padova 1834), ponendo la scelta di
Donizetti e Cammarano in perfetta consonanza con le nuove tendenze del gusto letterario e
musicale dell’epoca che vedeva nell’Inghilterra storica il luogo ideale del nuovo filone romantico.
Attenuata l’importanza dell’elemento politico molto più consistente nel romanzo scottiano, qui il
tema è prevalentemente quello dell’amore impossibile, per ragioni politiche e familiari, di Lucia ed
Edgardo appartenenti alle due famiglie rivali degli Ashton e dei Ravenswood, destinati quindi a
consumare in solitudine, a parte l’unico duetto che li vede insieme nel primo atto, l’esito tragico di
quest’amore in due grandi arie solistiche finali che si succedono nel terzo atto conducendo entrambi
all’annientamento di sé. Esse segnano il culmine della tensione emotiva secondo un procedimento
perseguito sia da Bellini che da Donizetti, consistente nello spingere anche verso il finale dell’opera
quei momenti clou che Rossini concentrava prevalentemente nel finale centrale. Oltre che il ritmo
incalzante e l’immediatezza drammatica, tratti romantici sono il senso dell’oltre, l’ombra dell’ava
uccisa per gelosia che appare quale presagio funesto a Lucia nella fontana del parco nel primo atto
(Regnava nel silenzio), paesaggi sepolcrali e lunari, un medioevo torvo dominato da faide, una
natura partecipe dello sconvolgimento dell’animo dei personaggi come nell’uragano del terzo atto,
raro brano sinfonico del musicista bergamasco realizzato con un tremolo in fortissimo di tutta
l’orchestra che decresce progressivamente in effetti sonori suggestivi, il delirio mentale della
protagonista quale fuga dal mondo di violenza psicologica cui deve sottostare, in primis la
prevaricazione del fratello Enrico che la costringe ad un matrimonio forzato portandola alla pazzia e
all’uccisione dello sposo indesiderato. Si è voluta vedere un’influenza dei Puritani di Bellini
sull’opera, in quanto Donizetti aveva avuto modo di ascoltarla al Théâtre Italien sei mesi prima a
Parigi, dove si era recato per rappresentare il suo Marin Faliero. Di lì a poco sarebbe morto il
grande collega, soltanto qualche giorno prima della ritardata andata in scena della Lucia che
incontrò dei rallentamenti sia nell’approvazione del libretto da parte della Società dei Teatri che a
causa di una crisi economica di quest’ultima, per cui l’andata in scena programmata per luglio slittò
in settembre. In realtà le analogie con i Puritani, a parte le comuni convenzioni dell’epoca, sono
epidermiche: entrambe prevedono una scena di follia, entrambe sono ambientate nella Gran
Bretagna del sec. XVII, ma la Lucia è una tragedia, mentre i Puritani ha un lieto fine, e inoltre i
personaggi donizettiani sono molto più concretamente drammatici rispetto a quelli belliniani che
sfociano in una sorta di astrazione attraverso il melos assoluto che li trascende.
Il dramma di Cammarano-Donizetti è invece straordinariamente concentrato sulle personalità della
vicenda e sulle passioni che le animano e in questo squisitamente romantico perché pone l’accento
sull’individuo con la sua libertà di scelta, non a caso rispetto al romanzo scottiano il libretto risulta
epurato di tutti quegli elementi di “induzione esterna” della tragedia come le superstizioni, le
predizioni delle streghe, la profezia di Caleb, personaggio che scompare nel libretto, così come
vengono eliminati del romanzo i personaggi di Lord Ashton e della terribile Lady Ashton, genitori
di Lucia, in modo che la ribellione di quest’ultima, risulti legata al suo essere. Non a caso Emma
Bovary, nel famoso acuto passo del romanzo di Flaubert, ricordando le sue letture scottiane, potè,
assistendo all’opera, identificarsi appieno nella forza trasgressiva di quell’amore. Nel romanzo di
Walter Scott inoltre il personaggio di Arturo è solo ferito, in Donizetti muore e se Edgardo in Scott
annega nelle sabbie mobili nel tentativo di raggiungere il luogo del duello, in Donizetti e
Cammarano si uccide consapevolmente, e infine mentre la follia della Lucia inglese è di tipo
depressivo, quella della Lucia “napoletana” è di un tipo “visionario” e “creativo”. Per questa
tragedia in cui tutti i personaggi ricevono un compimento tragico, Donizetti usa uno stile già maturo
che riesce a utilizzare le convenzioni approfondendole, ampliando i pezzi ecc., si veda ad esempio
come l’Introduzione della Lucia, vale a dire il brano o i brani che seguono l’alzata del sipario
introducendo all’azione secondo la convenzione ottocentesca, è costruita su un aumento progressivo
della tensione drammatica dal coro iniziale alla conclusione della scena o ancora, il celeberrimo
sestetto con coro del Finale primo, pezzo esemplare della scrittura d’assieme, è un brano di grande
fascino in cui Donizetti affronta la convenzione del finale concertato assimilato da Rossini,
espandendo le melodie in modo da “coinvolgere le emozioni stesse del pubblico”. Tutto ciò che
segue dipende da questo ampio finale centrale, secondo Della Seta uno “tra i più estesi dell’intera
storia dell’opera italiana”, tipico esempio dell’integrazione di azione e contemplazione scaturienti
l’uno dall’altra in questi organici pezzi d’assieme che l’opera seria aveva ereditato dall’opera buffa.
In esso i personaggi dopo un variegato tempo d’attacco esprimono il loro stupore, nel tempo lento
del concertato, per l’arrivo di Edgardo nel bel mezzo della festa di nozze di Lucia e di Arturo, e,
dopo la ripresa dell’azione nel tempo di mezzo (usando il gergo operistico dell’epoca) in cui si
minaccia di sguainare le spade, di fronte all’evidenza del contratto di nozze firmato da Lucia e
perfidamente mostrato da Enrico ad Edgardo, si trapassa, nel vivace, all’esplosione incontrollata
dell’innamorato tradito contemporaneamente alla costernazione degli altri personaggi e alla
compromissione definitiva della ragione di Lucia da cui deriva tutto il restante svolgimento della
vicenda. L’ampliamento invece da parte di Donizetti della “Scena e Aria finale”, si vedano le due
grandi arie solistiche riservate a Lucia ed Edgardo alla fine del terzo atto, veniva incontro
all’interesse dell’autore per la descrizione dello stato di sofferenza dei protagonisti, presentati in
una condizione di isolamento.
Tra i pregi musicali dell’opera vanno segnalati l’alto livello dell’ispirazione melodica che emerge
da brani come “Verranno a te sull’aure”, le arie rispettivamente di Lucia e di Edgardo “Soffriva nel
pianto” e “Fra poco a me ricovero”, il colorito romantico dell’orchestrazione affidato al timbro dei
corni (ad es. nel preludio) o all’impiego solistico e “personalizzato” dei legni, si notino tutti gli “a
solo” che accompagnano le risposte della terrorizzata Lucia ad Enrico, nell’incontro con lui
all’inizio del secondo atto.
Su tutto domina la figura diafana di Lucia con la sua pura cantabilità che ha il suo vertice nella
scena della follia, la più celebre di tutta la storia del melodramma, preannunciata dal suono del
flauto lontano e abilmente costruita da Donizetti privilegiando una discontinuità formale attraverso
il passaggio da un’idea melodica ad un’altra in una dimensione sognante e con l’ideazione di una
vocalità straordinaria in cui la difficile tecnica di coloratura (quanto di più irrealistico) volge alla
rappresentazione realistica dell’uscita di senno del personaggio avvolto dalle sue visioni di follia.
Lucia che, come fa notare Giovanni Morelli in una bellissima pagina critica, si trasforma nel
fantasma di sé stessa, anche un fantasma che uccide per recuperare la sua libertà, si punisce per non
essere riuscita, con un atto di determinazione personale a mantenere la fede promessa. È Raimondo,
l’educatore e confidente di Lucia, ad annunciare il suo ingresso: <<Eccola>>, in preda al delirio,
individuandola per sempre come “altra immagine dell’infinito”.