riserva naturale monte rufeno

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riserva naturale monte rufeno
COMUNE DI ACQUAPENDENTE
RISERVA NATURALE MONTE RUFENO
Piani di Gestione
e
Regolamentazione sostenibile
di SIC e ZPS assegnati alla Riserva Naturale
Monte Rufeno
Servizi di assistenza tecnica
A.T.I.
Dream Italia scrl – Lynx Natura e Ambiente srl - Temi srl
arch. Nicolò Savarese
Settembre 2004
INDICE GENERALE
PARTE I – QUADRO CONOSCITIVO
1.
SIC E ZPS
2.
AMBIENTE FISICO
2.1.
ASPETTI GEOLOGICI
2.1.1.
2.1.2.
2.2.
2.3.
3.
IDROGRAFIA E GEOMORFOLOGIA
CLIMA
VEGETAZIONE
3.1.
INQUADRAMENTO GENERALE
3.2.
METODOLOGIA DI ANALISI
3.2.1.
3.2.2.
3.2.3.
3.3.
3.3.2.
3.3.3.
3.3.4.
3.3.5.
3.4.
Rilevamenti
Cartografia
Bibliografia
PRESENZA E DISTRIBUZIONE DEGLI HABITAT
3.3.1.
4.
Cenni di tettonica
Cenni di geologia
Pratelli rupicoli calcicoli o basofili dell’Alysso-Sedion
albi
Stagni temporanei mediterranei con pratelli anfibi a
dominanza di piccoli giunchi e micropteridofite (IsoetoNanojuncetea)
Pratelli di erbe graminoidi ed annuali (TheroBrachypodietea)
Formazioni Formazioni erbose secche seminaturali su
substrato calcareo (Festuco-Brometalia)
Foreste di versanti, valloni e ghiaioni del Tilio-Acerion
STATO DI CONSERVAZIONE DEGLI HABITAT
FAUNA
4.1.
INQUADRAMENTO GENERALE
4.2.
METODOLOGIA DI ANALISI
4.2.1.
4.2.2.
4.2.3.
4.3.
Rilevamenti
Cartografia
Bibliografia
ARTROPODOFAUNA
4.3.1.
Gambero di fiume (Austropotamobius pallipes)
2
4.4.
ITTIOFAUNA
4.4.1.
4.4.2.
4.4.3.
4.4.4.
4.4.5.
4.4.6.
4.4.7.
4.4.8.
4.5.
ERPETOFAUNA
4.5.1.
4.5.2.
4.5.3.
4.5.4.
4.5.5.
4.5.6.
4.5.7.
4.6.
Premessa metodologica
Nibbio bruno (Milvus migrans)
Falco pecchiaiolo (Pernis apivorus)
Biancone (Circaetus gallicus)
Succiacapre (Caprimulgus europaeus)
Tottavilla (Lullula arborea)
Averla piccola (Lanius collurio)
Magnanina (Sylvia undata)
MAMMOLOFAUNA
4.7.1.
4.7.2.
4.7.3.
5.
Premessa metodologica
Salamandrina dagli occhiali (Salamandrina terdigitata)
Tritone crestato italiano (Triturus carnifex)
Ululone a ventre giallo (Bombina variegata)
Testuggine di Hermann (Testudo hermanni)
Testuggine palustre europea (Emys orbicularis)
Cervone (Elaphe quatuorlineata)
ORNITOFAUNA
4.6.1.
4.6.2.
4.6.3.
4.6.4.
4.6.5.
4.6.6.
4.6.7.
4.6.8.
4.7.
Premessa metodologica
Barbo (Barbus plebejus)
Cavedano dell’Ombrone (Leuciscus lucumonis) e
Cavedano (Leuciscus cephalus)
Rovella (Rutilus rubilio)
Vairone (Leuciscus souffia muticellus)
Lasca (Chondrostoma genei)
Cobite (Cobitis taenia bilineata)
Ghiozzo di ruscello (Gobius nigricans)
Lontra (Lutra lutra)
Lupo (Canis lupus)
Chirotteri
AMBIENTE ANTROPICO
5.1.
DEMOGRAFIA
5.2.
SCUOLA E ISTRUZIONE
5.3.
STRUTTURA ABITATIVA
5.4.
POPOLAZIONE ATTIVA E MERCATO DEL LAVORO
5.5.
STRUTTURA ECONOMICO PRODUTTIVA
5.5.1.
5.5.2.
5.5.3.
5.6.
Agricoltura
Industria e servizi
Turismo
ATTIVITÀ ANTROPICHE E USO DEI SUOLI
5.6.1.
5.6.2.
5.6.3.
Pesca
Attività agricole
Raccolta funghi
3
5.6.4.
5.6.5.
5.6.6.
5.6.7.
5.6.8.
5.6.9.
5.7.
Attività estrattive
Attività zootecniche
Caccia
Attività turistiche
Attività artigianali
Gestione forestale
IL PATRIMONIO STORICO CULTURALE
5.7.1.
5.7.2.
5.7.3.
Cenni storici
Caratteristiche economiche storiche
Beni culturali nel territorio di Acquapendente
PARTE II - PIANO DI GESTIONE
6.
QUADRO PIANIFICATORIO E NORMATIVO
6.1.
QUADRO PIANIFICATORIO
6.2.
VINCOLI ESISTENTI
6.2.1.
6.2.2.
6.2.3.
6.3.
IL PIANO DELLA RISERVA NATURALE DI M. RUFENO
6.3.1.
6.3.2.
6.3.3.
6.3.4.
6.3.5.
6.4.
7.
Inquadramento ambientale e territoriale
Perimetrazione e zonizzazione
Istituzione delle zone contigue
Dotazioni funzionali e infrastrutturali
Modalià di attuazione
IL PIANO DI GESTIONE
FATTORI DI MINACCIA E STRATEGIE DI GESTIONE PER
LA CONSERVAZIONE DEGLI HABITAT
7.1.
FATTORI DI MINACCIA
7.1.1.
7.1.2.
7.1.3.
7.1.4.
7.2.
8.
Vincolo idrogeologico
Vincolo paesaggistico
Vincolo archeologico
Tilio Acerion
Praterie dei Festuco-Brometalia
Pratelli del Thero-Brachypodion e cenosi dell’AlyssoSedion
Mosaico vegetazionale lungo i corsi d’acqua
STRATEGIE DI GESTIONE
FATTORI DI MINACCIA E STRATEGIE DI GESTIONE PER
LA CONSERVAZIONE DELLE SPECIE
8.1.
ARTROPODOFAUNA
8.2.1. Gambero di fiume (Austropotamobius pallipes)
4
8.2.
ITTIOFAUNA
8.2.1.
8.2.2.
8.2.3.
8.2.4.
8.2.5.
8.2.6.
8.3.
ERPETOFAUNA
8.3.1.
8.3.2.
8.3.3.
8.3.4.
8.3.5.
8.3.6.
8.4.
Nibbio bruno (Milvus migrans)
Pecchiaiolo (Pernis apivorus)
Biancone (Caircaetus gallicus)
Strategie di gestione relative ai Rapaci forestali
Succiacapre (Caprimulgus europaeus)
Tottavilla (Lullula arborea)
Averla piccola (Lanius collurio)
Magnanina (Sylvia undata)
MAMMOLOFAUNA
8.5.1.
8.5.2.
8.5.3.
9.
Salamandrina dagli occhiali (Salamandrina terdigitata)
Tritone crestato italiano (Triturus carnifex)
Ululone a ventre giallo (Bombina variegata)
Testuggine di Hermann (Testudo hermanni)
Testuggine palustre europea (Emys orbicularis)
Cervone (Elaphe quatuorlineata)
ORNITOFAUNA
8.4.1.
8.4.2.
8.4.3.
8.4.4.
8.4.5.
8.4.6.
8.4.7.
8.4.8.
8.5.
Barbo (Barbus plebejus), Cavedano dell’Ombrone
(Leuciscus lucumonis) e Cavedano (Leuciscus
cephalus)
Rovella (Rutilus rubilio)
Vairone (Leuciscus souffia muticellus)
Lasca (Chondrostoma genei)
Cobite (Cobitis taenia bilineata)
Ghiozzo di ruscello (Gobius nigricans)
Lontra (Lutra lutra)
Lupo (Canis lupus)
Chirotteri
CRITERI E MODALITA’ D’INTERVENTO
9.1.
ESECUZIONE E GESTIONE DIRETTA DEGLI INTERVENTI
9.1.1.
9.1.2.
9.2.
REGOLAMENTAZIONE
INDIRETTA
COMPATIBILI/INCOMPATIBILI
9.2.1.
9.2.2.
9.3.
9.4.
Interventi di ingegneria naturalistica
Interventi riguardanti le componenti biotiche
DELLE
ATTIVITÀ
Normative tecniche di attuazione degli strumenti
pianificatori
Normative e vincoli di natura legislativa
INCENTIVAZIONE DI ATTIVITÀ ED INTERVENTI DESIDERABILI
MONITORAGGIO PERMANENTE DEGLI HABITAT E DELLE
SPECIE
9.4.1.
9.4.2.
9.4.3.
Tilion Acerion
Praterie perenni e terofitiche
Artropodofauna
5
9.4.4.
9.4.5.
9.4.6.
9.5.
9.6.
9.7.
Erpetofauna
Ornitofauna
Mammolofauna
INFORMAZIONE, FORMAZIONE, EDUCAZIONE AMBIENTALE
MODELLO TERRITORIALE PER LA TUTELA E LA GESTIONE
DELLE RISORSE AMBIENTALI
MODIFICHE ALLA PERIMETRAZIONE DEI SITI
Allegato ‘A’ BOZZA DEL REGOLAMENTO DI GESTIONE
Allegato ‘B’ SCHEDE DEGLI INTERVENTI PROPOSTI
TAVOLE fuori testo:
1.
2.
3.
CARTA DELL’USO DEL SUOLO E DELLA VEGETAZIONE
CARTA DEGLI HABITAT DI INTERESSE COMUNITARIO
CARTA DELLE STAZIONI DI PRESENZA E DELLE
4.
5.
SEGNALAZIONI DELLE SPECIE FAUNISTICHE DI INTERESSE
COMUNITARIO E CONSERVAZIONISTICO
MOSAICO URBANISTICO
CARTA DEI VINCOLI GRAVANTI SUL TERRITORIO
6
CREDITI
I Piani di Gestione dei SIC e ZPS assegnati alla Riserva Naturale Monte Rufeno
sono stati elaborati da:
Alessandro Bardi
Enrico Calvario
Nicolò Savarese
Guido Tellini
con il coordinamento generale di Nicolò Savarese
e con la supervisione di Massimo Bedini (Direttore della Riserva)
Gli studi di settore sono stati svolti da:
ASPETTI VEGETAZIONALI: DREAM Italia scrl
con il coordinamento del Dr Guido Tellini
Botanica:
Dr.ssa Claudia Angiolini
Aspetti gestionali:
Dr. Antonio Gabellini
ASPETTI FAUNISTICI:
Artropodofauna:
Ittiofauna:
Erpetofauna:
Ornitofauna:
Mammolofauna:
ASPETTI SOCIO
ECONOMICI:
LYNX Natura e Ambiente srl
con il coordinamento del Dr. Enrico Calvario
Dr.ssa Rachele Venanzi (Gambero di Fiume)
Dr.ssa Anna Rita Taddei, Dr. Eugenio Stabile, Dr.ssa
Raffaella Berera (coop. GAIA), Federico Fapperdue,
Manuel Bombelli
Prof. Marco Bologna (coord. scientifico), Dr. Leonardo
Vignoli
Francesca Zintu (Rapaci forestali), Dr. Alberto Sorace
(altre specie di Uccelli)
Dr. Mino Calò (Carnivori), Dr.ssa Stefania Biscardi
(Chirotteri)
Aspetti gestionali:
Aspetti paesaggistici:
Aspetti infrastrutturali:
TEMI srl
con il coordinamento del Dr. Alessandro Bardi
Ph.D. Fulvio Cerfolli, Ing. Alessandro Musmeci
Arch. Donatella Violante
Ing. Massimo Iacobini
PIANIFICAZIONE
TERRITORIALE:
Arch. Nicolò Savarese
EDITING CARTOGRAFIA:
Sig.ra Paola Bassi e Dr. Emanuele Turrini (Dream
Italia scrl)
7
Ringraziamenti
Si ringrazia la Direzione ed il personale della Riserva con particolare riferimento
a Roberto Papi, Massimo Bellavita e Luca Colonnelli, che hanno assicurato un
prezioso supporto tecnico e logistico per la realizzazione delle indagini di
campo e fornito numerosi dati di presenza relativi a specie di interesse
comunitario. Si ringraziano inoltre il Dr. Sergio Zerunian per la disponibilità al
confronto sulle problematiche relative all’ittiofauna, la Dr.ssa Alessandra
Tomassini per il supporto sul campo durante il survey speditivo sui Chirotteri, la
Dr.ssa Silvia Sebasti per il supporto al coordinamento delle attività relative alla
Fauna.
8
PARTE I
QUADRO CONOSCITIVO
1.
SIC E ZPS
Si riportano nel seguito le schede relative ai 5 SIC e alle 2 ZPS ricadenti nel
Comune di Acquapendente ed assegnati alla Riserva Naturale di Monte
Rufeno.
Denominazione SIC / ZPS
ZPS IT6010003
SIC IT6010004
SIC IT6010005
SIC IT6010006
SIC IT6010001
SIC e ZPS IT6010002
Superficie
2339,2 ha
1677,2 ha
140,1 ha
521,8 ha
161,3 ha
60,9 ha
N° habitat
11
4
2
7
4
2
N° Specie
14
10
2
2
9
2
ZPS IT6010003 Monte Rufeno
Habitat:
130: Formazioni a Juniperus communis su lande o prati calcioli
9180*: Foreste di versanti, ghiaioni e valloni del Tilio-Acerion
9260: Foreste di Castanea sativa
6210: Formazioni erbose secche seminaturali e facies coperte da
cespugli su substrato calcareo (Festuco-Brometalia) (*stupenda
fioritura di orchidee)
3290: Fiumi mediterranei a flusso intermittente con il PaspaloAgrostidion
6431: Bordure erbacee alte dei corsi d’acqua e aree boscate
6420: Praterie umide mediterranee con piante erbacee alte del
Molinio-Holoschoenion
3260: Fiume delle pianure e montani con vegetazione di
Ranunculus fluitantis e Callitriche- Batrachion
3140: Acque oligomesotrofe calcaree con vegetazione bentica di
Chara spp
6110*: Formazioni erbose rupicole calcicole o basofile dell’AlyssoSedion albi
3132: Acque oligotrofe dell’Europa centrale e perialpina con
vegetazione annuale su argini esposti (Nanocyperetalia)
Specie:
Mammiferi: Canis lupus, Lutra lutra
Uccelli: Pernis apivorus, Milvus migrans, Circaetus gallicus,
Caprimulgus europaeus, Lullula arborea, Lanius collurio, Sylvia
undata, Charadrius dubius
Rettili: Testudo hermanni, Elaphe quatorlineata, Emys orbicularis
9
Anfibi: Bombina variegata
SIC IT6010004 Monte Rufeno
Habitat:
5130: Formazioni a Juniperus communis su lande o prati calcioli
9260: Foreste di Castanea sativa
6210: Formazioni erbose secche seminaturali e facies coperte da
cespugli su substrato calcareo (Festuco-Brometalia) (*stupenda
fioritura di orchidee)
6110*: Formazioni erbose rupicole calcicole o basofile dell’AlyssoSedion albi
Specie:
Mammiferi: Canis lupus
Uccelli: Pernis apivorus, Milvus migrans, Circaetus gallicus,
Caprimulgus europaeus, Lullula arborea, Lanius collurio, Sylvia
undata
Rettili: Testudo hermanni, Elaphe quatorlineata
SIC IT6010005 Fosso dell’Acqua Chiara
Habitat:
9180*: Foreste di versanti, ghiaioni e valloni del Tilio-Acerion
6431: Bordure erbacee alte dei corsi d’acqua e aree boscate
Specie:
Rettili: Emys orbicularis
Anfibi: Bombina variegata
SIC IT6010006 Valle del Fossatello
Habitat:
5130: Formazioni a Juniperus communis su lande o prati calcioli
6210: Formazioni erbose secche seminaturali e facies coperte da
cespugli su substrato calcareo (Festuco-Brometalia) (*stupenda
fioritura di orchidee)
3290: Fiumi mediterranei a flusso intermittente con il PaspaloAgrostidion
6420 Praterie umide mediterranee con piante erbacee alte del
Molinio-Holoschoenion
3260: Fiume delle pianure e montani con vegetazione di
Ranunculus fluitantis e Callitriche- Batrachion
3140: Acque oligomesotrofe calcaree con vegetazione bentica di
Chara spp
3132: Acque oligotrofe dell’Europa centrale e perialpina con
vegetazione annuale su argini esposti (Nanocyperetalia)
Specie:
Rettili: Emys orbicularis
Anfibi: Bombina variegata
SIC IT6010001 Medio corso del Fiume Paglia
Habitat:
3280: Fiumi mediterranei a flusso permanente con il PaspaloAgrostidion e con filari ripari di Salix e Populus alba
91F0: Foreste miste riparie di grandi fiumi a Quercus robur, Ulmus
laevis, e Ulmus minor, Fraxinus excelsior o Fraxinus angustifolia
(Ulmenion minoris)
6431: Bordure erbacee alte dei corsi d’acqua e aree boscate
10
Specie:
92A0: Foreste a galleria di Salix alba e Populus alba
Mammiferi: Lutra lutra
Uccelli: Milvus migrans, Alcedo atthis, Tringa glareola,
Caprimulgus europaeus, Egretta garzetta, Charadrius dubius
Rettili: Emys orbicularis
Pesci: Leuciscus lucumonis, Barbus plebejus
SIC e ZPS IT6010002 Bosco del Sasseto
Habitat:
9180*: Foreste di versanti, ghiaioni e valloni del Tilio-Acerion
9210*: Faggeti degli Appennini con Taxus e Ilex
Specie:
Uccelli: Milvus migrans, Lullula arborea
11
2.
AMBIENTE FISICO
2.1.
ASPETTI GEOLOGICI
2.1.1. Cenni di tettonica
L'area è caratterizzata da due stili tettonici, il primo, più antico, è formato da
tutta una serie di pieghe, pieghe-faglie, faglie inverse e sovrascorrimenti, che
interessano le formazioni flyschoidi del Creta-Eocene. Il secondo, relativamente
più recente, è di carattere distensivo con risposte alle sollecitazioni di tipo
rigido, e quindi formato da una serie di faglie dirette. Queste ultime hanno
tagliato tutte le strutture precedenti (formate sia dal Complesso flyschoide che
da quel Neoautoctono) e dando luogo a motivi ad "Horst-Graben".
L'area interessata dai SIC e dalla ZPS si trova lungo l'allineamento della
dorsale (horst) Rapolano-Monte Cetona- San Casciano dei Bagni, quest'ultima
separa due grandi bacini (graben) colmati da sedimenti argillosi pliocenici,
quello ad Ovest di Siena-Radicofani e quello ad Est della Val di Chiana. Questo
sistema di faglie distensive, che hanno interessato tutto lo spessore della
crosta, ha permesso la risalita del magma dal mantello creando centri di
emissione vulcanici allineati secondo direttrici ben definite del nuovo assetto
tettonico che si è andato a determinare.
2.1.2. Cenni di geologia
Nell'area d’indagine sono presenti sia rocce sedimentarie appartenenti a tre
unità stratigrafiche, che vulcaniti del distretto vulsino. Pertanto la stratigrafia
della zona è la seguente:
• Alluvioni recenti
• Complesso vulcanico
• Complesso neoautoctono
• Complesso delle Liguridi
Complesso delle Liguridi. Questo complesso è presente nella Riserva per oltre
l’80% della superficie interessata dai SIC, e costituisce una coltre alloctona
formata da sedimenti flyschoidi depositatisi tra il Cretaceo inferiore e l'Eocene
medio-superiore. Quest’unità torbiditica è rappresentato da due gruppi
sedimentari distinti, quello delle "argille con calcari palombini" e quello delle
"argille calcaree di Santa Fiora". Secondo alcuni autori questi due gruppi, in
parte coevi, farebbero parte di due bacini deposizionali attigui, quello Ligure e
quell’Australpino interno. Questi sedimenti flyschoidi sono stati trascinati nella
posizione attuale dagli eventi dell'orogenesi appenninica.
Gruppo di Santa Fiora. Questa unità è stata a sua volta distinta in quattro
formazioni, dalla più recente alla più antica sono:
12
•
•
•
•
San Pietro Aquaeortus
Poggio Belvedere
Santa Fiora (s.s.)
Villa la Selva
Formazione di Villa la Selva. Questa formazione, del Cretaceo inferiore, è
caratterizzata da una successione torbiditica di calcari, calcari marnosi, marne,
siltiti quarzose con mica bianca e argilliti. Verso l'alto la formazione passa
gradualmente ad alternanze regolari di argilliti, siltiti e calcari silicei di tipo
"palombino". La formazione in generale non è presente nell'area interessata dal
piano.
Formazione di Santa Fiora. La formazione, del Cretaceo superiore, è costituita
da una sequenza torbiditica di argille (dominanti sulle altre litofacies), arenarie e
calcari siltitici. Questa formazione è quella arealmente più presente nell’area,
affiora dalla zona della Monaldesca fino al Fiume Paglia, e sul versante di
destra è presente su tutta l'area a Nord ed ad Est di Torre Alfina fino al fiume
sopra citato.
La frazione argillosa è formata da strati di argilla vera e propria di colore
giallastro e da strati di argilliti di colore grigio piombo, grigio verde e rossastre.
Le stratificazioni di arenaria possono presentarsi, a volte, in forma lenticolare e
dare origine a corpi di discreta potenza quale il Membro di Monte Rufeno. Le
arenarie presentano prevalentemente un cemento siliceo-argilloso ed inglobano
clasti poligenici di rocce metamorfiche, vulcaniche e carbonatiche giurassiche;
sono correlabili con le arenarie "pietraforte" pur presentando un minore sviluppo
della frazione pelitica e siltosa
Formazione di Poggio Belvedere. Questa formazione, del Paleocene inferiore, è
rappresentata da una sequenza torbiditica molto simile a quella di Santa Fiora,
ma rispetto a questa è più rappresentata la frazione calcarea. La formazione
non è presente nell'area.
Formazione di San Pietro Aquaeortus. Anche questa formazione è di origine
torbiditica, datata Eocene medio-Eocene superiore. E' composta da strati più o
meno spessi di calcari marnosi a differente contenuto di argilla alternati a strati
di marne e livelletti di arenaria a cemento calcareo, nonché di argilliti varicolori.
Questa formazione affiora nell’area in due zone: a sinistra del Fiume Paglia
presso il Podere Vecchio della Monaldesca e sul versante destro presso il
Podere di Monte Crocione.
Gruppo delle argille con calcari Palombini. Questa unità, del Cretaceo inferiore,
è composta essenzialmente da:
• formazione delle argille con calcari palombini s.s.
• olistoliti di rocce ofiolitiche.
Formazione delle argille con calcari palombini. Questa formazione è formata da
alternanza di strati di forte spessore di argille e di calcari silicei grigi (palombini),
13
dove l'argilla è nettamente dominante sulla frazione calcarea. Questa ultima si
presenta molto compatta, a frattura concoide, poco alterabile. La formazione è
caratterizzata da una forte caoticità e disturbo degli strati, tale che a volte non
sono più riconoscibili, e gli ammassi del calcare prendono l'aspetto di
olistostromi. Nell’area, le argille con calcari palombini, sono presenti sulla
sponda sinistra del Fiume Paglia ed occupano la parte centrale estendendosi
lungo l'asse Podere Vitabbieti, Podere Marzapalo, Podere S. Anna; sulla
sponda di destra del Fiume Paglia affiorano tra l'abitato di Torre Alfina e
Poderenovo
Olistoliti di rocce ofiolitiche. Nella massa caotica delle "argille con calcari
palombini" sono inclusi corpi (olistoliti) di rocce ofiolitiche di dimensioni molto
variabili; dal punto di vista petrografico spesso hanno l'aspetto di una breccia
formata da clasti di serpentina e di gabbro, subordinatamente di diabase.
Nell’area queste rocce affiorano in diversi punti, ma quello più importante si
trova lungo il Fosso del Mandrione.
Complesso Neoautoctono. Questo complesso è costituito da sedimenti
pliocenici, che hanno riempito il bacino formato dal graben di Radicofani, ed è
caratterizzato da tutta una serie di passaggi eteropici fra le diverse facies
deposizionali; attualmente diversi contatti tra i terreni del Neoautoctono e quelli
delle Liguridi è dato da faglie dirette. Il Complesso neoautoctono comprende la
seguente successione di litofacies (dalla più recente alla più antica):
• Conglomerati di Trevinano
• Arenarie e sabbie con intercalazione di brecce e livelli argillosi
• Argille ed argille sabbiose
• Sabbie ed argille sabbiose con olistostromi del Complesso delle liguridi
Alcuni di questi terreni sono presenti nell'area interessata, in particolare le
arenarie e sabbie con intercalazione di brecce e di livelli argillosi affiorano tra il
Torrente Tirolle ed i poderi Palombaro e Tirolle.
Complesso vulcanico. Nell'area sono presenti piccoli lembi di materiale
piroclastico proveniente dall'apparato vulcanico di Bolsena, nonché piccole
colate laviche fuoriuscite dal cratere di Torre Alfina. Queste vulcaniti fanno parte
della provincia magmatica "alcalino-potassica" romana.
Le lave di Torre Alfina (datate circa 0,8 M. di anni) sono composte da latite
olivinica di colore grigio, talora con sfumature rossastre o brune, la tessitura è
prevalentemente porfirica con massa di fondo tendenzialmente vetrosa in
subordine equigranulare; la struttura è massiccia con passaggi a fluidale.
Queste lave poggiano direttamente sul complesso alloctono delle Liguridi.
Queste lave caratterizzano il substrato del SIC “bosco del Sasseto”. In questa
area, più precisamente, il materiale lavico, a causa di fenomeni di frana e
conoide, si interseca con il flysch sottostante, determinando una morfologia ed
una pedologia estremamente complesse e diversificate.
Alluvioni recenti. Lungo il Fiume Paglia e nel tratto finale del Torrente
Fossatello, nonché all'incrocio tra il Torrente Tirolle ed il Fosso dell'Acquachiara
14
sono presenti depositi alluvionali recenti (olocenici); in particolare le alluvioni del
Fiume Paglia presentano due ordini di terrazzi con un gradino di circa un metro.
In generale questi depositi sono costituiti da ciottoli, ghiaia e sabbia eterogenei
con dominanza del materiale calcareo, quest'ultimo derivante prevalentemente
dalla erosione delle Liguridi.
2.2.
IDROGRAFIA E GEOMORFOLOGIA
Il territorio interessato dai SIC s’inserisce in un ambiente collinare di tipo
preappenninico. L’andamento morfologico si presenta abbastanza dolce, con
pendenze medie dei versanti che si aggirano intorno a valori del 30-35% e
forme tipiche di versante complesso con alternanza di ripiani di versante e
sommitali, bordi di scarpata, cigli di erosione, versanti convessi e
subordinatamente concavi.
Sotto il profilo orografico il nucleo settentrionale è caratterizzato dall’andamento
dello spartiacque principale, che da Monaldesca si dirige verso Sud
interessando Vill’Alba Tigna e che nei pressi di Vitabbieti si biforca in due rami
(verso M.Rufeno a sud-ovest, verso Marzapalo a sud-est), formando l’ampio
bacino del Mandrione. Dalla direttrice principale si dipartono verso est una serie
di valli e vallecole secondarie fino al Fossatello, mentre ad ovest è il vallone
dell’Acquachiara che delinea con andamento semicircolare l’orografia del
territorio. Il bosco del Sasseto occupa invece un versante caratterizzato da
notevoli pendenze in alto (in vicinanza del cratere), per poi discendere su
posizioni di medio e basso versante.
Le quote medie si aggirano intorno ai 500-550 m.s.l.m. con minime e massime
rispettivamente di 250 e 750 m.s.l.m.
La morfologia è comunque condizionata anche su estese superfici da intensi ed
imponenti fenomeni franosi. Notevole il dissesto presente presso Vitabbieti, una
frana di scoscendimento rotazionale, causata da scalzamento al piede per
l’attività erosiva del torrente Fossatello. Caratterizzata da una superficie di
distacco profonda e quindi dalla movimentazione di una massa detritica di
enormi dimensioni, essa presenta numerose nicchie di distacco e scarpate
secondarie, fratture e crepe trasversali, con alternanza di conche e dossi sul
corpo della frana, che nelle aree in contropendenza a bassa permeabilità danno
luogo alla formazione di laghetti di frana stagionali o permanenti detti
localmente “trosce”. Fenomeni franosi simili per dinamica ed estensione si
rinvengono anche nel versante del Mandrione (Troscia del Porcino).
Oltre a questi elementi macroscopici di dissesto il territorio è interessato da altri
fenomeni di dissesto ed instabilità in corrispondenza dei torrenti principali. Si
osservano frane di varie dimensioni, versanti interessati da soliflusso e soil
creep, movimenti gravitativi di massa molto lenti, aree con più o meno intensa
erosione superficiale diffusa (sheet erosion) e localmente fenomeni di erosione
incanalata (rill e gully erosion).
15
Il reticolo idrografico nel complesso è di tipo sub-dendritico, soprattutto sui
litotipi meno permeabili e passa a pinnato e sub-parallelo nei litotipi
maggiormente permeabili presenti soprattutto nell’area di Torre Alfina (Bosco
del Sasseto).
I torrenti principali che affluiscono al Paglia sono: il Fossatello, il Tirolle,
l’Acquachiara, l’Acquacalda, il Mandrione nell’area di Monte Rufeno; solo il
fosso del Piscino interessa il Bosco del Sasseto.
Il regime è a carattere nettamente torrentizio, con i massimi di portata in
autunno, in corrispondenza dei massimi di precipitazione.
2.3.
CLIMA
Per procedere all’inquadramento climatico dell’area interessata dai SIC e dalla
ZPS presa in esame può essere opportuno inquadrare l’area di studio nel
contesto climatico regionale. Il clima del Lazio appare alquanto variabile sia
nell’ambito stagionale che con il mutare delle condizioni orografiche. Due sono i
fattori che si contrappongono nel determinare le condizioni climatiche della
regione: da una parte la presenza di un sistema di rilievi che delimita nel settore
orientale tutto il territorio regionale, dall’altro il grande sviluppo della fascia
costiera. L’influenza marina si manifesta con un abbassamento delle escursioni
termiche e con un continuo apporto di umidità da parte dei venti occidentali,
verso l’interno della regione. I rilievi dell’interno intercettano le correnti umide in
ragione di 50 mm/anno di aumento della piovosità ogni 100 metri di incremento
nell’altitudine. La morfologia pianeggiante della costa centro settentrionale del
Lazio e la sua relativa distanza dai rilievi abbassa fortemente i valori della
piovosità annua in questo settore, che si attestano sui 750 mm/anno, tali valori
aumentano sensibilmente nel Lazio costiero meridionale. Procedendo dalla
costa verso est, nella stessa direzione delle correnti atmosferiche apportatrici di
umidità marina, la quantità delle precipitazioni aumenta molto progressivamente
nei tratti pianeggianti o collinari dove raggiunge valori attorno agli 8-900
mm/anno, come ad esempio lungo la valle del Tevere o nelle basse colline della
Tuscia marittima; tale aumento è molto più brusco nelle aree meridionali. La
distribuzione delle precipitazioni registra un massimo autunnale per le zone di
pianura e collina; valori elevati di piovosità si prolungano invece a tutta la
primavera nelle aree più rilevate. lì minimo assoluto si registra normalmente nel
mese di luglio. Il carattere ‘mediterraneo" dell’andamento climatico è
evidenziato anche dalla sua estrema variabilità da un anno all’altro.
In generale le temperature medie raggiungono il minimo nel mese di gennaio,
per salire rapidamente nei mesi primaverili sino al massimo termico nel mese di
luglio. L’effetto mitigante del mare è evidente nell’andamento dei valori di
temperatura media mensile che, almeno nella fascia costiera, collinare e
pedemontana subiscono oscillazioni contenute nel corso dell’anno. Più si
procede verso l’interno della Regione e più le caratteristiche del clima
tipicamente mediterraneo della costa (escursioni termiche contenute, aridità
16
estiva prolungata) evolvono verso forme a carattere più "continentale" con
marcate differenze stagionali, intense precipitazioni, forti minimi invernali e
temperature estive non elevate. Sintetizzando si possono individuare tre tipi
climatici:
• uno costiero e della pianura, con temperature medie annue attorno ai 16°C
precipitazioni tra 750 e 830 mm/anno, marcata aridità estiva;
• uno delle colline più interne e dei rilievi preappenninici, con media annua
attorno ai 14°C e precipitazioni medie annue che giungono a 1100
mm/anno;
• uno dei rilievi montani con media annua di 12º e valori di precipitazione
superiori ai 1300 mm/anno.
Volendo inquadrare in questo contesto la particolare situazione dell’area di
Monte Rufeno, si possono utilizzare le informazioni disponibili sulle stazioni
termopluviometriche più prossime: Acquapendente (425 m.s.l.m.) e San
Casciano dei Bagni (582 m.s.l.m.), rispettivamente per il periodo 1964-1993 e
1955-1974. Sebbene infatti le informazioni disponibili risultino datate, e siano
influenzate dalle caratteristiche orografiche specifiche dei siti di localizzazione
delle stazioni, crediamo sia comunque possibile giungere ad una definizione
climatica sufficiente per gli scopi del piano.
Combinando i dati termici con quelli pluviometrici si possono costruire numerosi
tipi di diagrammi che riassumono le caratteristiche termo-pluviometriche delle
stazioni considerate e nello stesso tempo forniscono alcune informazioni sul
regime idrico dei suoli, che a sua volta influenza la vegetazione. Gli elaborati
che abbiamo ritenuto opportuno compilare, a partire dai dati disponibili, per
definire le condizioni climatiche dell’area sono:
• valori medi mensili e annuali delle precipitazioni e delle temperature;
• istogrammi in cui si riportano i dati pluviometrici mensili;
• diagramma di Bagnouls e Gaussen, nel quale le piovosità sono raffrontate
con le temperature a scala doppia di quella della piovosità (sono considerati
aridi i periodi in cui la curva delle precipitazioni si trova sotto quella delle
temperature P/T=2), in quanto ritenuto in grado di definire sinteticamente il
clima di un’area.
Analisi climatica delle stazioni di Acquapendente e S. Casciano Bagni
Precipitazioni. Nelle tabelle e negli istogrammi che seguono sono riportati i
valori medi delle precipitazioni mensili (espresse in mm di pioggia), registrati
rispettivamente per Acquapendente e San Casciano dei Bagni.
Stazione di Acquapendente - precipitazioni medie del periodo 1964-1993
Mesi
G
F
M
A
M
G
L
A
S
O
N
D
Anno
P.mm
82
91
75
72
76
49
38
54
81
115
130
87
950
17
Stazione di S. Casciano Bagni - precipitazioni medie del periodo 1955-1974
Mesi
G
F
M
A
M
G
L
A
S
O
N
D
Anno
P.mm
89
105
82
73
78
49
55
55
86
105
131
113
1021
AGO
SET
OTT
NOV
DIC
AGO
SET
OTT
NOV
DIC
LUG
GIU
MAG
APR
MAR
FEB
140
120
100
80
60
40
20
0
GEN
piovosità in mm
Acquapendente
LUG
GIU
MAG
APR
MAR
FEB
140
120
100
80
60
40
20
0
GEN
piovosità in mm
San Casciano dei Bagni
La distribuzione mensile delle piogge ha un andamento tipicamente
mediterraneo, presentando il massimo autunnale nel mese di novembre e
l’altrettanto tipico minimo estivo in luglio. La piovosità registrata nei mesi
autunnali (ottobre-dicembre), raggiunge per le due stazioni 332 mm e 349 mm,
pari rispettivamente al 35% e 34% del totale annuo. Anche nei mesi primaverili,
comunque, le precipitazioni appaiono significative, caratteristica che permette di
inquadrare l’area nel contesto climatico regionale “delle colline e dei rilievi
preappenninici”.
18
Temperature dell’aria. Nelle tabelle che seguono sono riportate le temperature
medie registrate dalle stazioni di Acquapendente e San Casciano dei Bagni.
Stazione di Acquapendente - temperature medie del periodo 1964-1993
Mesi
G
F
M
A
M
G
L
A
S
O
N
D
Anno
T.C°
4,6
5,6
7,7
10,5
14,8
18,8
21,8
21,7
18,6
14,0
8,8
5,7
12,7
Stazione di S. Casciano Bagni - temperature medie del periodo 1955-1974
Mesi
G
F
M
A
M
G
L
A
S
O
N
D
Anno
T.C°
2,5
5,4
9,1
12,6
14,7
18,6
20,3
19,4
18,4
13,8
8,6
5,6
12,4
Dall’analisi dei dati, la temperatura media annua delle due stazioni di
Acquapendente e San Casciano dei Bagni raggiunge rispettivamente 12,7 e
12,4 °C; il mese più caldo è luglio con una temperatura media diurna di 21,8 °C
e 20,3 °C, mentre il mese più freddo è gennaio con una temperatura media
diurna di 4,6 e 2,5 °C.
Per cinque mesi l’anno, da novembre a marzo, in entrambe le stazioni, la media
delle minime si mantiene inferiore ai 10 °C, mentre nel resto dell’anno la
temperatura media diurna è superiore ai 10 °C. La presenza di giorni di gelo
(gelate tardive) nel periodo vegetativo è piuttosto infrequente, come del resto le
gelate precoci.
Nel contesto regionale, quindi, si tratta di temperature medie annue
relativamente basse, anche considerando la zona climatica dei rilievi
antiappenninici. A fronte, comunque, di temperature medie annue relativamente
basse, si notano alcuni caratteri tipici dei climi mediterranei, quali la già citata
scarsità di gelate tardive, e la limitata escursione termica annua (differenza tra
la media diurna del mese più caldo e di quello più freddo) che con 17,2 °C per
Acquapendente e 17,8 °C per San Casciano dei Bagni, è inferiore ai 20 °C,
considerati come soglia di passaggio tra climi marittimi e continentali.
I venti che più frequentemente spirano nell’area sono di provenienza
meridionale apportatori di piogge locali, mentre moderato è l’afflusso dei venti
settentrionali. Le nebbie compaiono spesso nelle porzioni più basse, lungo la
valle del Paglia.
Diagrammi climatici. Combinando i dati termici con quelli pluviometrici, si
possono costruire il diagramma termopluviometrico di Bagnouls e Gaussen e il
diagramma di Thornthwaite (supponendo una AWC di 150 mm) per la
determinazione del bilancio idrico.
Per Acquapendente entrambi i diagrammi evidenziano che mediamente, da
giugno ad agosto per Bagnouls e Gaussen e da maggio a settembre secondo
Thornthwaite, esiste per questa stazione un periodo arido (curva delle
precipitazioni al di sotto di quella delle temperature nel diagramma di Bagnouls
e Gaussen, curva AE, evapotraspirazione reale sotto la curva PE
19
evapotraspirazione potenziale nel diagramma di Thornthwaite) con utilizzo e
successivo esaurimento della riserva idrica del suolo.
Diagram m a di BAGNOULS E GAUSSEN Stazione di Acquapendente
P( mm )
T (°C)
DIC.
NOV.
OTT.
SET.
AGO.
LUG.
GIU.
MAG.
APR.
MAR.
FEB.
80
70
60
50
40 T °C
30
20
10
0
GEN.
160
140
120
100
P m m 80
60
40
20
0
Diagram m a di BAGNOULS E GAUSSEN Stazione di San Casciano dei Bagni
P( mm )
T (°C)
DIC.
NOV.
OTT.
SET.
AGO.
LUG.
GIU.
MAG.
APR.
MAR.
FEB.
80
70
60
50
40 T °C
30
20
10
0
GEN.
160
140
120
100
P m m 80
60
40
20
0
20
Bilancio idrico della stazione di Acquapendente
150
deficit
100
ricarica, surplus
Piovosità in m m
50
surplus
utilizzazio
0
GEN. FEB. MAR. APR. MAG. GIU. LUG. AGO. SET. OTT. NOV. DIC.
m esi dell'anno
P = piovosità media men. in mm
PE= Evapotraspirazione potenziale mm
AE= Evapotraspirazione reale mm
Bilancio idrico della stazione di San Casciano dei Bagni
150
deficit
100
ricarica, surplus
Piovosità in m m
50
surplus
utilizzazio
0
GEN. FEB. MAR. APR. MAG. GIU. LUG. AGO. SET. OTT. NOV. DIC.
m esi dell'anno
P = piovosità media men. in mm
PE= Evapotraspirazione potenziale mm
AE= Evapotraspirazione reale mm
In realtà l’esaurimento della riserva idrica, in cui la sezione di controllo del suolo
è completamente secca, ha durata variabile in funzione della capacità di acqua
disponibile del suolo; per la maggior parte dei suoli rinvenuti nell’area si osserva
21
quindi un regime di umidità xerico, ad eccezione dei suoli con A.W.C. uguale o
superiore a 180 mm. per i quali si è considerato un regime di umidità udico.
Per la stazione di San Casciano dei Bagni il diagramma di Thornthwaite
segnala un periodo arido da giugno fino a settembre, meno prolungato rispetto
alla stazione di Acquapendente; al contrario del diagramma di Bagnouls e
Gaussen, che non evidenzia un periodo arido estivo.
A proposito di questa differenza, va considerata però la grande variabilità
interannuale, sia nelle temperature, ma soprattutto nelle precipitazioni che
caratterizza, come detto, in generale il clima del Lazio, ed in particolare il clima
dell’area mediterranea della regione. In base a questa considerazione, quindi, si
può immaginare che la situazione ora presentata, riferita ad una annata media,
non permetta di evidenziare le annate particolarmente siccitose (es. 2003), la
cui ricorrenza, anche se relativamente sporadica, condiziona pesantemente la
vegetazione e le attività agro-zootecniche.
22
3.
VEGETAZIONE
3.1.
INQUADRAMENTO GENERALE
La vegetazione dei SIC della Riserva Naturale di Monte Rufeno ha risentito e
risente tutt’oggi di passati interventi antropici sull’ecosistema. Infatti fino agli
anni ’50 queste aree erano abitate da famiglie di contadini distribuite nei casali
sparsi nella zona, i quali attualmente rappresentano una delle peculiarità della
Riserva stessa. Già nel 1952, in seguito all’abbandono di alcuni casali, vennero
eseguiti rimboschimenti con conifere (per lo più del genere Pinus) nei coltivi
abbandonati. L’abbandono delle campagne proseguì fino agli anni ’60 e
contemporaneamente continuò l’opera di rimboschimento, protrattasi fino al
1972. I boschi di latifoglie, prevalentemente a dominanza di Quercus cerris (le
cerrete rappresentano la formazione vegetale predominante nell’area), furono
governati a ceduo e ciò ha influito profondamente sullo stato attuale di
conservazione e ricchezza floristica delle aree boschive. Tuttavia accanto a
boschi fortemente degradati a causa della pregressa azione antropica, si
rinvengono cenosi boschive che, pur avendo subito gli effetti negativi della
presenza umana, mostrano segni di ripresa che fanno presagire un’evoluzione
positiva di queste cenosi. Le principali tipologie vegetazionali note per la
Riserva sono le seguenti.
Cerreta, che occupa quasi il 50% della superficie totale ed è, nonostante la
contrazione del cerro nell’area in oggetto a favore delle coltivazioni agricole, la
formazione più estesa. Dal punto di vista fitosociologico la maggior parte di
queste cerrete sono state attribuite all’associazione Asparago tenuifoliiQuercetum cerridis, che caratterizza le cerrete termofile dei litotipi
prevalentemente argillosi del complesso flyschoide affiorante nell’alto Lazio.
Castagneto, poco esteso ad occupare le pendici più estese e fresche di Monte
Rufeno, tra 640 e 750 m s.l.m.; deriva dalla conversione di un vecchio
castagneto da frutto, del quale sono ancora evidenti le ceppaie delle piante del
vecchio ciclo.
Bosco misto mesofilo, che occupa il 15% della superficie della Riserva e si
sviluppa essenzialmente in corrispondenza degli avvallamenti naturali, lungo gli
impluvi dei fossi, in esposizioni fresche. Oltre al cerro, in genere con coperture
relativamente basse, sono osservabili Fraxinus ornus, F. oxycarpa, che si
concentra nelle depressioni insieme ad Ulmus minor, Ostrya carpinifolia,
Carpinus betulus, Quercus petraea e varie altre specie del genere Quercus. La
presenza di elementi subacidofili e mesofili, ne permettono l’inserimento negli
aspetti mesofili dell’alleanza Teucrio siculi-Quercion cerridis.
Macchia di tipo mediterraneo, che occupa poco più del 5% della superficie
totale e la cui origine è strettamente legata alle passate vicende antropiche
della zona; infatti queste aree furono utilizzate per il pascolo in bosco, pratica
23
che alterò l’originario bosco deciduo con sottobosco di entità mediterranee,
favorendo la costituzione della macchia. Lo strato arboreo è costituito
essenzialmente da Quercus ilex, Quercus pubescens, Arbutus unedo, Acer
monspessulanum, A. campestre.
Lo strato arbustivo è composto
essenzialmente da sempreverdi quali Erica arborea, Viburnum tinus, Phillyrea
latifolia, Pistacia lentiscus.
Rimboschimenti a conifere, effettuati negli ex-coltivi e dunque presenti
esclusivamente nelle aree circostanti i casali. Le specie maggiormente
utilizzate, singolarmente o a dar vita ad aspetti misti, sono Cupressus arizonica,
Pinus nigra, P. halepensis, P. pinaster, P. radiata, P. pinea, P. strobus.
Vegetazione igrofila ripariale, particolarmente sviluppata sui greti del fiume
Paglia, dei torrenti Tirolle e Fossatello e nelle trosce (depressioni umide dove
permane una lama d’acqua per tutto l’anno). Vi dominano Salix alba, S.
elaeagnos, S. purpurea, S. capraea, Populus nigra, P. alba, Alnus glutinosa.
Sui terrazzi fluviali ciottolosi, soprattutto di Paglia e Fossatello, a mosaico con i
saliceti pionieri è presente una vegetazione erbacea xerofila rappresentate da
garighe a Santolina etrusca, Satureja montana, Helichrysum italicum attribuibili
al Santolino-Saturejetum montanae.
Pascoli e prati, che coprono poco più dell’1% della superficie totale e si
insediano prevalentemente su terreni incolti non rimboschiti o in aree in cui i
rimboschimenti sono falliti o lungo i terrazzi fluviali di paglia ed altri corsi
d’acqua. Vengono attribuiti a due classi distinte, Agropyretea intermedii-repentis
e Festuco-Brometea, quest’ultima oggetto di approfondimenti in quest’ambito in
quanto raccoglie cenosi d’interesse comunitario.
Nei 5 siti presi in esame e nel territorio strettamente contermine non risulta
presente, allo stato attuale delle conoscenze, nessuna specie vegetale di
interesse comunitario secondo il regolamento 92/43 CEE. Vi si rinvengono
invece 5 habitat d’interesse comunitario peculiari per specie vegetali e animali:
a)
b)
c)
d)
e)
Pratelli rupicoli calcicoli o basofili dell’Alysso-Sedion albi;
Stagni temporanei mediterranei con pratelli anfibi a dominanza di piccoli
giunchi e micropteridofite (Isoeto-Nanojuncetea);
Pratelli di erbe graminoidi e erbe annuali (Thero-Brachypodietea);
Formazioni erbose secche seminaturali e facies coperte da cespugli su
substrato calcareo (Festuco-Brometalia);
Foreste di versanti, valloni e ghiaioni del Tilio-Acerion.
24
3.2.
METODOLOGIA DI ANALISI
3.2.1. Rilevamenti
Nel periodo maggio-luglio 2004 sono stati realizzati 27 rilievi originali, cercando
di indagare in modo particolare le aree fuori dalla Riserva non oggetto dello
studio di Scoppola (1998), tenendo conto delle situazioni di vegetazione a
mosaico frequenti e normali in seno alla maggior parte delle cenosi rilevate.
Il rilevamento ha interessato gli habitat indicati come prioritari per i SIC relativi
alla Riserva di Monte Rufeno:
• Formazioni erbacee secche su substrato calcareo con stupende fioriture di
orchidee (Festuco-Brometalia) (11 rill.);
• Foreste dei valloni del Tilio-Acerion (6 rill.);
• Pratelli rupicoli calcicoli o basofili dell’Alysso-Sedion albi (4 rill.);
• Pratelli di erbe graminoidi e erbe annuali (Thero-Brachypodietea) (6 rill.);
• Stagni temporanei mediterranei con pratelli anfibi a dominanza di piccoli
giunchi e micropteridofite (Isoeto-Nanojuncetea).
Per quest’ultimo habitat sono state effettuate numerose esplorazioni per fare
rilievi di questa comunità sia alla confluenza tra Fossatello e Paglia che lungo il
Paglia nella zona a valle di Monte Procione, ma la comunità non è stata rilevata
come non si sono rilevate, neppur in modo isolato, le specie che la
compongono – Juncus gr. bufonius, Cyperus sp. pl. annuali.
Per il rilevamento della vegetazione è stata seguita la metodologia
fitosociologica, che si basa sull’elenco delle specie presenti in un’area
omogenea e sull’attribuzione a ciascuna di esse di un valore di copertura come
riportato:
Copertura percentuale
valore
Individui rarissimi
r
Individui rari
+
Individui in grado di coprire meno di 1/20 della superficie del rilievo
1
Individui numerosi ma in grado di coprire meno di 1/4 della superficie del rilievo
2
Grado di ricoprimento tra ¼ e ½ della superficie del rilievo
3
Grado di ricoprimento tra ½ e ¾ della superficie del rilievo
4
Grado di ricoprimento superiore ai ¾ della superficie del rilievo
5
Per ogni rilievo inoltre si sono registrati numerosi parametri ambientali e
caratteristiche vegetazionali: altitudine (metri s.l.m.), inclinazione (°),
esposizione, rocciosità (%), pietrosità, superficie rilevata (mq.), copertura e
stratificazione della vegetazione, copertura dei licheni e briofite, ecc.
I campioni di specie raccolti per l’identificazione in laboratorio, dopo essere stati
sottoposti ad essiccazione, sono stati determinati utilizzando le principali Flore
nazionali ed europee disponibili (Fiori, 1923-29; Pignatti, 1982; Castroviejo et
25
al., 1986-88; Tutin et al., 1964-1980, 1993). Gli exsiccata delle specie raccolte e
determinate sono depositati presso l’Herbarium Universitatis Senesis (SIENA)
I sopralluoghi ed i rilievi effettuati permetteranno una caratterizzazione più
precisa nel comprensorio per tutti gli habitat, ma in particolare per AlyssoSedion albi, Thero-Brachypodion e boschi del Tilio-Acerion, dei quali esisteva la
segnalazione ma mancava una descrizione floristica più precisa poiché non
erano stati indagati tramite rilievi vegetazionali. Essi permetteranno inoltre di
aggiornare la cartografia della distribuzione degli habitat d’interesse
comunitario.
La realizzazione della parte analitica del lavoro, basata sull’analisi
fitosociologica tramite valutazioni qualitative e quantitative e confronti con la
letteratura, ha permesso di attribuire i rilievi a singole associazioni o
aggruppamenti e di definire le esigenze ecologiche delle comunità rilevate.
Quest’analisi ha permesso inoltre di valutare con maggior precisione le cause di
minaccia, livelli di fragilità ed eventuali criteri da adottare per la gestione a fini di
conservazione delle comunità oggetto di interesse.
3.2.2. Cartografia
Le due carte tematiche allegate alla presente relazione (scala 1:15.000),
relative ad uso del suolo-vegetazione (Tavola 1) e habitat (Tavola 2), sono
state realizzate utilizzando le fonti ed il metodo di lavoro elencati di seguito:
• ortofotocarte;
• carta della vegetazione realizzata da Scoppola e Filesi (1997);
• carta dell’uso del suolo del piano forestale della Riserva;
• uscite in campagna per delimitare ex-novo sulle ortofoto fornite le tipologie
nelle aree dei SIC esterne alla Riserva, o per integrare e/o ricontrollare i dati
disponibili sulle carte della vegetazione ed uso del suolo, poiché si tratta di
documenti datati e la vegetazione è in evoluzione; tali uscite hanno
permesso di raccogliere informazioni sia per quanto riguarda l’uso del suolovegetazione che relativamente agli habitat;
• impiego del software ArcGIS 8.2 per la delimitazione a video (editing) delle
entità poligonali identificate in campo o tramite banche dati esistenti e per la
creazione del database associato, tramite attribuzione dei codici
corrispondenti ad ogni tipologia. Per la carta dell’uso del suolo-vegetazione
sono stati appositamente creati dei codici ed una legenda secondo la realtà
considerata mentre per legenda della carta degli habitat ci siamo attenuti alle
diciture della Direttiva 92-43 CEE.
3.2.3. Bibliografia
La zona dei SIC risulta per lo più ben esplorata dal punto di vista floristicovegetazionale. Gli studi censiti in quest’ambito e riportati in bibliografia,
riguardanti la flora vascolare e la vegetazione dei SIC del comprensorio di
26
Monte Rufeno, sono numerosi (26) e con buona probabilità costituiscono la
quasi totalità dei contributi recenti sui territori oggetto d’indagine.
La flora è stata indagata sia tramite contributi puntuali come segnalazioni
floristiche (Rossi, 1981; Scoppola 1991; Scoppola & Picarella, 1992), che
tramite uno studio estensivo relativo alla Riserva Naturale di Monte Rufeno che
ha permesso di stilare un elenco floristico di oltre 1000 specie (Scoppola,
2000).
Le numerose indagini sulle comunità vegetali effettuate dalla Prof.ssa Scoppola
e collaboratori tramite la realizzazione di rilevamenti fitosociologici, hanno
permesso di individuare, descrivere e cartografare i principali tipi di vegetazione
presenti (Scoppola & Filesi, 1997; Scoppola, 1998). Tra questi sono stati
oggetto di analisi più approfondite gli aspetti forestali a dominanza di querce
(Scoppola & Filesi 1995, 1998), le garighe di greto (Scoppola & Angiolini, 1997
a, 1997b; Angiolini et al. 1998) e le praterie perenni (Scoppola & Pelosi, 1995;
Angiolini & De Dominicis, 2001).
A nostro avviso gli studi sopra citati forniscono un buon quadro floristicovegetazionale dei SIC del comprensorio di Monte Rufeno ai fini di una corretta
gestione ambientale. E’ comunque da notare che riguardano essenzialmente
l’area compresa entro il limite della Riserva, lasciando scoperte le parti di SIC
non ivi incluse. Queste sono rappresentate per lo più da lembi di territorio poco
estesi ed affini dal punto di vista floristico-vegetazionale con quanto rinvenuto
in Riserva; l’eccezione più rilevante è rappresentata dal bosco del Sasseto,
un’area estesa che raccoglie un ambiente originale, interessante dal punto di
vista naturalistico e fitogeografico e molto bello anche a livello paesaggistico.
Inoltre sono quasi del tutto assenti studi specifici relativi alla maggior parte delle
comunità che rappresentano habitat di interesse prioritario secondo la Direttiva
92/43/CEE, quali le formazioni camefitiche rupicole calcicole o basofile
dell’Alysso-Sedion albi, i pratelli di erbe annuali (Thero-Brachypodietea), i
pratelli anfibi a dominanza di piccoli giunchi e micropteridofite (IsoetoNanojuncetea) e le foreste di versanti, valloni e ghiaioni del Tilio-Acerion. Tali
aspetti meriterebbero un’analisi vegetazionale, sintassonomica ed ecologica più
puntuale ed estensiva nell’area dei SIC sia a fini scientifici che
conservazionistici; in questo contesto particolare attenzione dovrebbe essere
riservata alle relazioni tra comunità vegetali e parametri ambientali.
Per questi motivi si è condotta una serie di indagini esplorative e
susseguentemente una serie di rilievi fitosociologici nelle località si sono
rinvenuti gli habitat d’interesse, contribuendo pertanto a integrare e completare
le conoscenze sugli habitat d’interesse situati nei SIC.
1.
Angiolini C., Scoppola A., De Dominicis V. (1998) - The stream beds in
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Laurea, Università degli Studi di Roma "La Sapienza", Corso di Laurea in
Scienze Biologiche.
29
3.3.
PRESENZA E DISTRIBUZIONE DEGLI HABITAT
3.3.1.
Pratelli rupicoli calcicoli o basofili dell’Alysso-Sedion albi
Cod. Corine 34,11
Cod. Natura 2000 6110
All’interno delle praterie, in particolare in corrispondenza di dossi e linee di
espluvio (per es. nel tratto sommitale delle Greppe della Maddalena), e in modo
molto più frammentario sulle alluvioni terrazzate del fiume Paglia con substrato
ricco in ciottoli e ben drenato, gli aspetti emicriptofitici possono essere sostituiti
da cenosi camefitiche a dominanza di specie della famiglia delle Crassulaceae,
a cui appartengono la maggior parte delle piante grasse di climi temperati,
soprattutto del genere Sedum (Sedum sexangulare, S. rubens, S. acre, S.
album); ad esse si aggiungono con buona frequenza e copertura terofite come
Alyssum alyssoides e Saxifraga tridactylites. Si tratta per lo più di aspetti
paucispecifici in cui sono frequenti poi le ingressioni di specie effimere del
Trachynion (Arenaria leptoclados, Minuartia hybrida, Catapodium rigidum). Tali
cenosi, presenti nell’area solo in modo limitato e discontinuo, sono legate a
substrati più compatti e a litosuoli sempre basici e sono frequenti in
corrispondenza di affioramenti rocciosi; possono essere considerate come
frammenti dell’Alysso-Sedion albi.
Tabella 1 - Cenosi camefitiche dell'Alysso-Sedion (rilievi originali 2004)
N. ril.
Località
1
2
3
4
Sotto Monte
Rufeno
Sotto Monte
Rufeno
Sotto Monte
Rufeno
Tigna
630
0
/
35
40
25
60
10
670
/
/
90
45
30
40
10
600
5
SW
80
/
40
60
5
1
1
3
2
+
1
4
+
1
+
Quota
610
Incl.
0
Esp.
/
Rocciosità
Pietrosità
75
Cop. Lichenico-muscinale
20
Cop. Totale
65
Altezza veg.
15
Specie di Alysso-Sedion e ordini superiori
Sedum sexangulare
2
Alyssum alyssoides
1
Saxifraga trydactyletes
3
Sedum rubens
+
Erophila verna
Contatti con i Trachynietalia dystachiae
Arenaria leptoclados
+
Catapodium rigidum
1
Minuartia hybrida
1
Trifolium scabrum
+
+
1
1
+
2
1
Freq.
4
3
3
1
1
4
3
3
2
30
Psilurus incurvus
Medicago minima
Syderitis romana
Euphorbia exigua
Altre
Cerastium ligusticum
Poa vivipara
Veronica persica
Crepis sancta
Sherardia arvensis
Trifolium stellatum
Erodium cicutarium
Geranium lucidum
Legousia falcata
Galium verum
Thymus longicaulis
3.3.2.
+
+
1
1
1
1
+
3
3
3
2
2
2
2
1
1
1
1
+
+
1
2
+
+
+
+
+
+
+
+
1
1
r
+
+
+
+
r
+
+
Stagni temporanei mediterranei con pratelli anfibi a
dominanza di piccoli giunchi e micropteridofite (IsoetoNanojuncetea)
Cod Corine 22,34
Cod Natura 2000 3170
Lungo il Fiume Paglia, in presenza di piccole depressioni umide laterali rispetto
all’alveo principale, su depositi fini oligo-mesotrofi, Scoppola (1998) segnala la
presenza di una formazione a dominanza di Juncus bufonius e Cyperus fuscus.
Si tratta di aspetti costituiti da terofite di piccola taglia tra cui sono frequenti
specie dei generi Juncus e Cyperus, che si sviluppano su substrati limosoargillosi verso l’inizio dell’estate; essi danno luogo a fitocenosi rade e
paucispecifiche attribuibili al Nanocyperion (Isoeto-Nanojuncetea). Tali cenosi
vengono indicate come piuttosto rare e localizzate lungo la sponda,
generalmente a mosaico con altre vegetazioni di taglia maggiore (per es.
aspetti a Typha minima) o in coincidenza con lembi di ontaneta. Allo stato
attuale, durante i sopralluoghi effettuati in questa primavera-estate, nonostante
si siano trovati habitat adatti per la cenosi, esse non sono state rinvenute. Vista
la frammentarietà di questi aspetti è probabile che sia molto difficile il loro
rinvenimento. E’ altrimenti probabile che l’abbondanza di piogge di questa
primavera e il regime di morbida del fiume non abbiamo permesso lo sviluppo di
queste cenosi, mantenendo sommerse fino a giugno inoltrato le stazioni dove
esse hanno l’optimum ecologico.
31
3.3.3.
Pratelli di erbe graminoidi ed annuali
(Thero-Brachypodietea)
Cod Corine 34,5
Cod Natura 2000 6220
Nei SIC, sia in corrispondenza dei substrati argilloso-calcarei o arenacei che
delle alluvioni ciottolose, uno degli stadi seriali più distanti da quello forestale
maturo è rappresentato dai pratelli a netta dominanza di terofite. Nei casi
rinvenuti nei SIC, la presenza di vegetazione terofitica al di fuori del suo
optimum climatico non è un fatto eccezionale poiché, come riscontrato anche in
altre aree dell’Italia centrale, è il substrato a determinare l’aridità stazionale
(determinismo edafico).
In corrispondenza di calcari-marnosi o arenarie, su litosuoli e nelle situazioni più
aride e aperte (suoli ben drenati, situazioni di dosso, esposizioni mediamente
più calde), spesso a contatto con fitocenosi erbacee perenni dello
Pseudolysimachio-Brometum, si sviluppano pratelli effimeri, talvolta discontinui,
in cui prevale la componente terofitica. Queste comunità, spesso con elevata
ricchezza floristica, sono a dominanza di Trifolium scabrum ed Hypochoeris
achyrophorus; vengono inquadrate in Trifolio scabri-Hypochoeridetum
achyrophori (Trachynion dystachii). L’azione del disturbo antropico, soprattutto
in aree vicine a strade e sentieri, sovrappongono alla cenosi in questione una
diffusa nitrofilia, che giustifica specie come Trifolium stellatum e Bromus rigidus
(contatti con i Brometalia rubenti-tectori).
Pratelli con composizione floristica simile si rinvengono anche nelle alluvioni
terrazzate, in corrispondenza di situazioni dove l’elevata presenza di sabbie
contribuisce ad accentuare le difficili condizioni ambientali per la vegetazione
dando luogo a suoli incoerenti e a bassa capacità idrica di ritenuta, si insediano
pratelli terofitici in mosaico con le cenosi camefitiche a Santolina etrusca e
Satureja montana. Sempre in alveo fluviale si sviluppano aspetti terofitici estivi;
si insediano nelle tasche di sabbia e, a causa delle condizioni di elevata aridità,
sono in genere poveri di specie. Vi dominano Micropus erectus e Vulpia ciliata
insieme a Medicago minima e Coronilla scorpioides (Trachynion dystachii).
Tabella 2 - Pratelli terofitici (rilievi 2004)
N. ril.
Località
Quota
Incl.
Esp.
Rocciosità
Pietrosità
Cop. Lichenico-muscinale
Cop. Totale
Altezza veg.
1
Sotto
Monte
Rufeno
670
7
2
A monte di
Pod.
Acerona
540
15-20
W
5
100
75
15
10
75
60
15-20
3
4
5
6
Loc.
Fornello
Torr.
Fossatello
Pod. S.
Anna
Presso il
Macchione
520
235
/
/
5
40
50
85
20
325
5
E
/
30
10
60
10
590
<5
SW
20
80
/
80
20
Freq
32
Specie di Trifolio scabri-Hypochoeridetum
Hypochoeris achyrophorus
2
1
Trifolium scabrum
2
Linum strictum
Specie di alleanza, ordine, classe
Catapodium rigidum
+
Medicago minima
1
Arenaria leptoclados
+
3
Minuartia hybrida
1
1
Syderitis romana
+
Euphorbia exigua
Trifolium campestre
Ononis reclinata
1
Linum trigynum
Polygala monspeliaca
Gaudinia fragilis
Scorpiurus muricatus
Acinos arvensis
Bupleurum baldense
Filago pyramidata
Contatti con i Brometalia rubenti-tectorum
Onobrychis caput-galli
+
Trifolium stellatum
2
2
Bromus sterilis
1
1
Sherardia arvensis
1
1
Trifolium cherleri
Vulpia ciliata
Urospermum dalechampii
Bromus madritensis
Aegilops geniculata
Reichardia picroides
Altre
Blakstonia perfoliata
Crepis sancta
+
+
Medicago orbicularis
+
Trifolium angustifolium
Astragalus hamosus
Trifolium tomentosum
Cerastium arvense
2
2
Cerastium ligusticum
Myosotis arvensis
+
1
Alyssum alyssoides
1
Erophila verna
Saxifraga trydactyletes
1
Sedum sexangulare
1
Sedum rubens
1
Arabis hirsuta
+
Capsella bursa-pastoris
Crepis zacintha
Dactylis glomerata
+
Euphorbia peplus
3
3
+
1
4
+
+
3
1
4
6
5
2
1
2
1
+
+
1
+
1
+
+
+
5
5
4
3
3
2
2
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
+
+
+
+
1
1
+
1
+
1
+
1
+
1
1
1
+
+
+
1
+
1
+
+
+
+
+
+
+
1
1
+
+
2
1
1
+
1
1
1
+
+
1
+
4
4
3
3
2
2
1
1
1
1
3
3
2
2
2
2
2
2
2
2
1
1
1
1
1
1
1
1
1
33
Geranium molle
Geranium purpureum
Hypericum perforatum
Lamium amplexicaule
Lathyrus sphaericus
Legousia falcata
Micropus erectus
Petrorhagia prolifera
Sanguisorba minor
Thymus longicaulis
Veronica persica
Vicia hybrida
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
+
+
+
1
+
1
+
+
+
+
+
Tab. 3 - Pratelli terofici (dati bibliografici)
Rilievo n.
Altitudine m.s.l.d.m.
Esposizione
Inclinazione in °
Ricoprimento in %
Numero di specie
Differenziali dell'aggruppamento
Cynosurus echinatus
Madicago mimina
Hypochoeris achyrophorus
Medicago sativa ssp. falcata
Galium verum
Linum strictum
Specie di Thero-Brachypodietea
Trifolium scabrum
Petrorhagia prolifera
Calamintha nepeta
Sideritis romana
Bupleurum baldense
Alyssum minus
carlina corymbosa
Catapodium rigidum
Althaea hirsuta
Tordylium apulum
Marrubium incanum
Coronilla scorpioides
Tragopogon crocifolius
Hippocrepis unisiliquosa
Trifolium incarnatum
Crepis zacintha
Pallenis spinosa
Trifolium cherleri
Onobrychis caput-galli
Euphorbia exigua
1
58
W
2
95
53
2
58
SW
2
70
41
3
64
SW
2
95
45
4
77
SE
2
75
45
5
75
S
2
90
56
6
77
SE
2
50
32
7
64
E
0
90
26
8
64
NW
0
75
35
1
2
+
+
1
+
1
2
1
+
2
+
1
+
2
1
2
1
1
+
1
+
+
+
+
+
+
1
+
+
+
1
+
+
2
1
+
2
+
1
1
2
+
1
1
1
+
+
3
+
+
+
+
1
+
1
1
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
1
+
+
+
2
1
3
2
+
+
+
+
1
+
+
+
+
+
r
+
+
+
+
1
2
+
+
+
+
+
34
Scabiosa maritima
Trifolium subterraneum
Vicica hybrida
Filago pyramidata
Trifolium leucanthum
Specie dei Brometalia, Festuco-Brometea
Eryngium campestre
+
1
Anthemis tinctoria
+
+
Sanguisorba minor
+
1
Trifolium campestre
1
+
Thymus longicaulis
+
1
Bromus erectus
+
Petrorhagia saxifraga
1
1
Teucrium chamaedrys
2
Campanula rapunculus
+
Galium corrudifolium
Lotus corniculatus
Potentilla hirta
Arabis sagittata
+
Dianthus carthusianorum
Anthyllis vulneraria
Achillea collina
Stachys salvifolia
+
+
Arenaria serpyllifolia
+
Hieracium piloselloides
Knautia purpurea
+
Poa bulbosa
Koeleria splendens
Festuca rubra
Himanthoglossum adriaticum
Centaurea bracteata
Leontodon villarsii
Odontites lutea
Ophrys sp.
Contatti con i Brometalia rubenti-tectorum e Alysso-Sedion albi
Trifolium stellatum
2
1
Avena barbata
1
1
Medicago rigidula
1
+
Aegilops neglecta
+
2
Carthamus lanatus
+
1
Astragalus hamosus
+
Sedum sexangulare
Urospermum dalechampii
+
+
Bromus madritensis
1
+
Bromus hordeaceus
1
Vulpia ciliata
+
+
Lathyrus sphaericus
+
Trifolium angustifolium
Phleum subulatum
1
1
+
+
+
+
+
1
+
1
2
1
4
+
+
+
+
+
+
+
+
2
+
1
3
1
3
1
1
1
1
+
+
+
+
+
1
+
1
1
+
3
+
+
+
1
+
1
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
r
+
+
1
+
1
+
+
1
+
+
+
+
+
+
1
1
+
1
+
+
+
+
+
1
+
2
+
+
+
1
+
+
+
1
+
1
+
1
+
+
1
+
+
+
+
1
1
+
1
+
+
2
+
1
+
+
35
Nigella damascena
Sedum rubens
Sedum acre
Echium vulgare
Carduus pycnocephalus
Bromus rigidus
Aegilops geniculata
Sedum album
Altre specie
Phleum bertolonii
Dactylis glomerata
Plantago lanceolata
Hypericum perforatum
Geranium columbinum
Sharardia arvensis
Convolvulus arvensis
Gaudinia fragilis
Xeranthemum cylindraceum
Knautia integrifolia
Geranium molle
Silene vulgaris
Lathyrus aphaca
Vicia sativa
Bromus sterilis
Crepis neglecta
3.3.4.
+
+
+
+
2
+
+
r
+
+
+
+
2
+
+
+
+
+
1
+
1
+
1
+
+
+
1
+
+
1
2
1
1
+
+
1
+
+
+
r
+
+
1
+
+
+
+
1
+
2
1
3
2
1
2
1
+
1
1
+
+
+
+
+
+
r
+
Formazioni erbose secche seminaturali
calcareo (Festuco-Brometalia)
+
+
1
+
su
1
+
substrato
Cod Corine habitat da 34,31 a 34,34
Cod Natura 2000: 6210
Nell’area dei SIC le praterie meso-xerofile, pur non ricoprendo aree estese, si
articolano in almeno tre tipologie prevalenti, in relazione prevalentemente alle
caratteristiche geologiche e morfologiche della stazione.
Gli aspetti prativi più naturali, in mosaico con lembi di cerreta o nuclei di
arbusteti con cui sono in relazione seriale, risultano presenti in substrati sia
acidofili che basofili nel piano collinare inferiore, mentre in quello collinare
superiore sono limitati ai substrati tendenzialmente argillosi. Si tratta di cenosi a
carattere semimesofilo con fisionomia caratterizzata soprattutto da Bromus
erectus, Carex flacca, Hippocrepis comosa, Dorycnium herbaceum, Polygala
flavescens; sono stati inquadrati in un’associazione descritta proprio nella
Riserva di Monte Rumeno e denominata Pseudolysimachio barrelieri–
Brometum erecti. Di questa all’interno dei SIC, oltre all’aspetto tipico, si
rinvengono due subassociazioni: globularietosum punctatae a carattere
pioniero, più xerofila, con cotico discontinuo, caratterizzata da Globularia
36
puntata e Fumana procumbens; brizetosum mediae a cotico pressoché
continuo e differenziata da Brachypodium rupestre, Briza media, Cruciata
glabra, Geranium sanguineum, che segna la transizione verso gli stadi più
maturi della serie ed è presente al margine dei lembi di querceto chiuso. Aspetti
con elevate coperture di Aster linosyris sono legati a suoli più argillosi e
sconnessi; in questi ambienti le comunità mostrano ingressioni di specie legate
alle praterie mesofile dei Molinio-Arrhenateretea come Dactylis glomerata e
Phleum pratense, che presentano anche coperture elevate.
In corrispondenza del piano collinare superiore, in stazioni da pianeggianti a
scarsamente acclivi, su suoli a reazione basica con una componente argillosa
abbastanza rilevante, si individuano praterie miste dove Bromus erectus è
accompagnato da Brachypodium rupestre e altre specie tipiche quali Ononis
spinosa, Daucus carota, Foeniculum vulgare ssp. piperitum, che ne indicano il
carattere subnitrofilo; queste si arricchiscono in terofite in corrispondenza di
dossi e linee di espluvio. Tali cenosi, con carattere di transizione verso le
praterie postcolturali, vengono inquadrate nel Polygalo-Brachypodietum
rupestris (Phleo-Bromion, Brometalia erecti) descritta per l’Umbria e il Lazio
interno.
Sulle alluvioni terrazzate del fiume Paglia, nei terrazzi esterni ormai quasi
sganciati dalla dinamica fluviale, a mosaico con la gariga a Santolina etrusca o
con gli arbusteti del Cytision, si insediano praterie semimesofile a dominanza di
Bromus erectus e caratterizzate da Aster lynosiris, legato all’abbondanza di
argilla nel suolo; Seseli tortuosum, che è presente anche nelle garighe ma più
abbondante in queste praterie di ambienti più freschi; Anacamptis pyramidalis,
tipica di praterie mesofile. Tali cenosi, molto più povere di specie rispetto agli
altri brometi dei SIC, sono state riferite ad una nuova associazione descritta
per le alluvioni consolidate dei greti di Toscana e Lazio e denominata Seselio
tortuosi-Brometum erecti (Bromion erecti, Leucanthemo vulgaris-Bromenalia
erecti).
Tabella 4 - Praterie dei Festuco-Brometea (rilievi 2004)
N. rilievo
Località
Quota (m.s.l.m)
Inclinazione (°)
Esposizione
Copertura
lichenico/muscinale (%)
Copertura totale
vegetazione (%)
Cop. Strato arbustivo
Cop. Strato erbaceo
1
2
3
4
600
7
W
610
5
W
235
/
/
220
/
/
5
Paglia
sotto
Mt.
Crocio
ne
200
5
E
20
30
40
60
70
65
70
5
70
/
65
/
60
Confl.
T.
Fossa
Tigna Tigna Fossa
tello/P
tello
aglia
6
7
8
9
Press
Sopra Pod.
o il
Tigna Vitabb S.
Macch
ieti
Anna
ione
10
11
Pod.
S.
Anna
Pod.
S.
Anna
600
<2
SSW
610
5
SW
590
2
NE
340
10
E
330
<5
ESE
330
2
SE
20
15
35
/
5
15
5
65
90
80
60
100
100
80
95
2
65
/
90
5
80
/
60
/
100
2
100
5
80
5
95
37
freq
Altezza vegetazione (cm)
30
40
40
50
40
Superficie rilevata (m2)
10
15
8.00
10
15
Caratt. e diff. di Pseudolysimachio barrelieri-Brometum erecti
+
1
+
Polygala flavescens
+
+
Plantago maritima
+
Scabiosa maritima
Dorycnium
1
penthaphyllum ssp.
herbaceum
Diff. della subass. globularietosum punctatae
2
2
+
+
Globularia punctata
1
+
Fumana procumbens
Diff. variante di suoli più argillosi e sconnessi
+
Aster lynosiris
Filipendula vulgaris
Urospermum dalechampii
Specie del Bromion
1
+
+
Blakstonia perfoliata
1
+
Leucanthemum pallens
+
Anacamptis pyramidalis
+
+
Oprhys apifera
Orchis coriophora
1
1
ssp.fragrans
Centaurea bracteata
+
Centaurium erytraea
+
Genista tinctoria
+
Ophrys bertolonii
Prunella laciniata
+
Lotus corniculatus
Specie dei Brometalia, Festuco-Brometea
3
3
3
3
4
Bromus erectus
1
+
+
Carex flacca
+
1
+
Linum tenuifolium
1
+
Potentilla hirta
+
+
1
1
Brachypodium rupestre
+
1
Sanguisorba minor
+
Dianthus carthusianorum
1
1
1
1
Galium corrudifolium
1
Serapias vomeracea
+
+
Hippocrepis comosa
2
2
Koeleria splendens
1
+
Thymus longicaulis
+
1
1
Euphorbia cyparissias
+
2
Hieracium piloselloides
1
Onobrychis viciifolia
1
Trifolium campestre
+
Campanula rapunculus
Linum tryginum
+
Odontites lutea
+
Anthemis tinctoria
Cuscuta epithymum
+
Eryngium campestre
Helianthemum
nummularium
Stachys sylvatica
+
Teucrium chamaedrys
Trifolium ochroleucon
+
Arabis collina
40
8
30
10
50
25
40
20
20
10
+
1
+
1
+
30
15
8
2
2
+
1
+
5
3
+
2
1
1
2
3
5
1
1
+
1
7
4
3
3
1
+
+
+
1
1
+
+
+
1
3
+
+
+
+
4
1
1
+
+
+
+
2
+
+
1
3
1
+
+
4
2
1
1
2
+
1
+
3
4
+
1
1
+
+
+
4
+
1
+
+
+
1
2
+
+
+
+
+
1
+
+
1
2
2
+
2
2
+
1
+
+
+
2
2
2
2
2
1
11
8
8
7
7
6
5
5
5
4
4
4
3
3
3
3
3
2
2
2
1
1
1
+
1
1
1
1
+
38
Contatti con gli Agropyretea intermedii-repentis, Molinio-Arrhenateretea
+
+
+
+
1
Dactylis glomerata
1
+
Phleum pratense
Daucus carota
+
+
Picris hieracioides
Plantago lanceolata
Achillea ageratum
Ranunculus bulbosus
Pulicaria dysenterica
Contatti con i Tuberarietea guttatae
+
+
Hypochoeris achyrophorus
+
Scorpiurus muricatus
+
+
+
Euphorbia exigua
+
Catapodium rigidum
Crepis zacintha
+
Filago germanica
Gastridium ventricosum
Gaudinia fragilis
+
Linum strictum
Sherardia arvensis
Foeniculum vulgare
+
Trifolium scabrum
Altre specie
+
+
+
+
Dorycnium hirsutum
+
Hypericum perforatum
+
+
Spartium junceum
Agrostis stolonifera
Oenanthe pimpinelloides
+
Quercus pubesccens
Xeranthemum
+
cylindraceum
+
Antoxanthum odoratum
Avena barbata
Bellardia trixago
Cistus creticus ssp.
+
+
eriocephalus
+
+
Juniperus communis
+
Lathyrus sylvestris
1
+
Melilotus neapolitana
Pallenis spinosa
+
Reichardia picroides
1
1
Santolina etrusca
+
+
Sedum sexangulare
+
Allium sphaerocephalon
Althaea hirsuta
Aristolochia rotunda
Briza maxima
Bromus hordeaceus
+
Clematis vitalba
+
Condrilla juncea
+
Convolvulus cantabrica
+
Cornus sanguinea
Crataegus monogyna
Cruciata glabra
Cynosurus cristatus
Fraxinus ornus
Gladiolus communis
+
Helichrysum italicum
2
1
+
2
2
+
1
1
1
1
+
+
+
1
1
+
+
+
+
1
+
1
1
+
+
+
+
1
4
4
3
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
+
5
5
5
3
3
3
+
2
3
2
+
+
1
2
2
2
+
+
+
+
+
+
+
+
+
9
6
2
2
2
1
1
1
+
+
2
2
+
+
1
+
+
+
+
1
+
+
2
+
1
39
2
2
2
2
2
2
2
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
Inula viscosa
Lolium multiflorum
Luzula campestris
Lycnis flos-cuculi
Melica ciliata
Ononis spinosa
Prunus spinosa
Pyrus amygdaliformis
Pyrus pyraster
Quercus ilex
Rosa sempervirens
Satureja montana
Silene vulgaris
Stachys germanica
Tanacetum corymbosum
Teucrium montanum
Tragopogon porrifolius
Ulmus minor
Veronica prostrata
Vicia bithynica
+
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
1
+
+
+
+
+
1
+
Tabella 5 - Praterie dei Festuco-Brometea (dati bibliografici)
Rilievo n.
1
Altitudine m.s.l.d.m.
490
Esposizione
SW
Inclinazione in °
4
Ricoprimento in %
40
Numero di specie
21
Caratt. e diff. di associazione
Dorycnium penthaphyllum ssp. herbaceum
Polygala flavescens
+
Pseudolysimachion barrelieri
+
Scabiosa maritima
Plantago maritima
1
Diff. subass. globularietosum punctatae
Globularia punctata
1
Fumana procumbens
+
Diff. Variante di suoli argillosi e sconnessi
Aster linosyris
Ononis spinosa
Filipendula vulgaris
Urospermum dalechampii
Senecio erucifolius
Parapholi strigosa
Hedysarum coronarium
Diff. subass. brizetosum mediae
Brachypodium rupestre
Briza media
Cruciata glabra
Geraniium sanguineum
2
3
4
5
6
490 290 290 290 290
NW NW S SW SW
5
0
2
0
8
60
60 75 90 95
40
25 46 36 43
1
+
+
+
2
1
1
2
+
1
1
7
8
520 650
NW
\
5
0
70
95
44
39
+
+
+
2
+
1
+
11
650
W
5
95
34
1
+
+
1
1
+
1
+
1
+
+
1
+
1
+
1
1
2
+
+
+
+
1
10
490
SW
10
80
37
1
+
2
1
+
+
+
9
520
W
5
80
36
1
3
+
+
2
3
+
+
+
+
+
+
1
2
1
4
2
+
+
+
+
1
+
+
2
+
+
1
2
+
40
Specie del Mesobromion
Centaurea bracteata
+
+
1
+
Blackstonia perfoliata
+
+
+
Prunella laciniata
+
+
+
2
1
Leucanthemum pallens
+
1
+
Anacamptis pyramidalis
Lotus corniculatus
+
+
Ophrys sp.
+
+
Genista tinctoria
Polygala vulgaris
+
+
Orchis coriophora ssp. fragrans
+
+
Centaurium erytraea
+
Phleum ambiguum
Specie di Brometalia, Festuco-Brometea
Bromus erectus
+
2
2
+
2
Carex flacca
1
1
1
2
1
Potentilla hirta
+
+
1
1
+
Sanguisorba minor
+
+
+
Thymus longicaulis
+
+
+
Leontodon villarsii
+
1
+
3
2
Galium corrudifolium
+
+
Hippocrepis comosa
1
+
Onobrychis viciifolia
+
1
Koeleria splendens
+
1
Thesium divaricatum
+
+
Trifolium campestre
+
+
Helianthemum nummularium
Odontites lutea
+
+
+
Serapias vomeracea
+
+
Linum tenuifolium
+
+
Hieracium piloselloides
+
Eryngium campestre
+
Cuscuta epithymum
+
Linum triginum
+
Agrimonia eupatoria
+
+
Stachys salvifolia
+
Dianthus carthusianorum
Trifolium ochroleucon
Euphorbia cyparissias
Teucrium chamaedrys
Achillea collina
Anthemis tinctoria
Hieracium pilosella
Knautia puropurea
Petrorhagia saxifraga
Campanula rapunculus
Carex caryophyllea
Specie di Agropyretalia intermedii repentis, Molinio-Arrhenateretea
Phleum bertolonii
+
2
1
Dactylis glomerata
1
1
Plantago lanceolata
+
2
+
+
+
+
+
1
+
+
+
+
+
+
+
+
+
1
+
1
+
+
+
1
+
+
+
+
+
+
1
+
+
+
+
2
1
+
1
3
1
3
2
+
1
+
+
1
1
3
2
+
1
+
3
1
+
+
1
1
+
2
+
1
+
+
+
2
+
+
+
+
1
+
3
+
+
+
+
+
+
2
+
2
1
+
+
+
1
2
+
+
1
+
+
1
+
+
1
+
+
+
+
+
1
+
+
+
+
+
+
+
+
+
1
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
1
1
+
+
+
41
Daucus carota
Picris hieracioides
Linum bienne
Convolvulus arvensis
Trifolium lappaceum
Allium vineale
Poa compressa
Festuca arundinacea
Ornithogalum umbellatum
Inula viscosa
Xeranthemum cylindraceum
Phalaris coerulescens
Pulicaria dysenterica
Agriopyron repens
Achillea ageratum
Carex distans
Bellis perennis
Galium album
Ranunculus bulbosus
Danthonia decumbens
Altre specie
Linum strictum
Euphorbia exigua
Scorpiurus muricatus
Hypericum perforatum
Anagallis arvensis
Dorycnium hirsutum
Cynodon dactylon
Brachypodium dystachium
Gastridium ventricosum
Aegilops geniculata
Juniperus communis
Vicia bithynica
Ornithogalum brevistilum
Trifolium echinatum
Knautia integrifolia
Geranium columbinum
Gladiolus communis
Carlina corymbosa
Avena barbata
Euphorbia falcata
Hypochoeris achyrophorus
Medicago minima
Kickxia spuria
Prunus spinosa
+
+
1
+
+
+
1
+
+
+
+
+
+
1
+
+
+
+
+
+
+
+
r
+
r
+
+
+
r
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
1
+
+
+
1
+
+
+
+
+
+
+
1
+
2
1
r
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
1
+
+
+
+
r
+
+
1
+
+
r
+
+
+
1
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
r
+
+
+
+
42
3.3.5.
Foreste di versanti, valloni e ghiaioni del Tilio-Acerion
Cod Corine 41,4
Cod Natura 2000 9180
Nel Tilio-Acerion sono inquadrati soprassuoli forestali a carattere pioniero,
densità irregolare e composizione variabile per la presenza contemporanea di
specie sia mesofile e nemorali, esigenti quindi di suoli fertili e freschi, che
nitrofile di orlo. Questi boschi sono da considerare un tipo di vegetazione
extrazonale
e
rappresentano
un
habitat
di
notevole
interesse
conservazionistico.
All’interno dei SIC le cenosi del Tilio-Acerion risultano ben rappresentate
esclusivamente all’interno del bosco del Sasseto e altrove distribuite in modo
puntiforme. Si insediano in corrispondenza di stazioni particolari come ambienti
di forra o di fondovalle con suoli fertili e profondi, ma interessati da frequenti
fenomeni di crollo o franamento che causano il parziale o totale disturbo della
vegetazione insediata; la morfologia interagisce con la litologia e deve avere
carattere di elevata ripidità. Nel bosco del Sasseto si rinvengono
prevalentemente in aree con ghiaioni a clasti molto grossi e pendici rupestri; la
loro peculiarità è legata al fatto che lo strato arboreo è particolarmente ricco in
latifoglie nobili quali Acer campestre, A. pseudplatanus, Tilia platyphyllos –
molto ben rappresentato -, T. cordata, Ulmus glabra, Carpinus betulus, Corylus
avellana e Fagus sylvatica, che può assumere il ruolo di specie dominante.
Anche gli strati arbustivo ed erbaceo risultano ricchi in entità di boschi mesofili
submontani quali: Tamus communis, Euonymus europaeus, Ilex aquifolium,
Galium odoratum, Melica uniflora, Mycelis muralis, Cardamine kitaibelii,
Festuca heterophylla, Primula vulgaris, Adoxa moschatellina, Campanula
trachelium. Tali popolamenti si ritiene possano essere attribuiti ad un tipo
appenninico dell’alleanza Tilio-Acerion (Fagetalia), definito prevalentemente su
base fisionomico-ecologica e non floristica.
Tabella 6 - Boschi del Tilio-Acerion (rilievi 2004)
N. rilievo
Località
Quota (m.s.l.m)
Inclinazione (°)
Esposizione
Rocciosità (%)
Pietrosità (%)
Copertura totale vegetazione
(%)
Cop. Strato arboreo
Cop. Strato arbustivo
Cop. Strato erbaceo
Altezza vegetazione (m)
1
Sasseto
subito
sopra
strada
420
20
NE
5
20
2
Sasseto
subito
sopra
strada
430
15
E
10
35
95
90
55
30
30
3
4
5
Sasseto in Sasseto in Sasseto in
alto
alto
alto
6
freq
Sasseto
sotto
castello
510
25
N
10
35
520
5
NE
5
85
525
10
NW
5
70
540
35
N
10
30
85
100
100
95
100
80
35
70
25
95
70
60
25
90
10
60
30
85
15
20
25
90
40
60
35
43
Superficie rilevata (m2)
250
250
Specie caratt. e diff. dell'alleanza Tilio- Acerion
Mercurialis perennis
+
+
Polystichum setiferum
Tilia platyphyllos
Cardamine kitaibelii
+
Geranium robertianum
1
Phyllitis scolopendrium
Ranunculus lanuginosus
1
Ulmus glabra
Tilia cordata
Juglans regia
Acer pseudoplatanus
Specie di Fagetalia, Querco-Fagetea
Carpinus betulus
3
3
Castanea sativa
1
1
Melica uniflora
1
2
Mycelis muralis
+
Ilex aquifolium
2
1
Cornus mas L.
+
+
Sanicula europaea
+
+
Scutellaria columnae
+
Brachypodium sylvaticum
+
+
Campanula trachelium
+
Cardamine bulbifera
1
Corylus avellana
2
1
Daphne laureola
Galium odoratum
Hieracium gr. murorum
+
Lathyrus venetus
+
Milium effusum
Primula vulgaris
+
Quercus petraea
+
Moehringia trinervia
+
Fagus sylvatica
Melittis melyssoophyllum
Altre
Acer campestre
2
1
Fraxinus ornus
2
1
Hedera helix
2
3
Asplenium onopteris
+
+
Quercus ilex
+
1
Ruscus aculeatus
+
+
Crataegus laevigata
+
+
Helleborus bocconei
1
1
Ostrya carpinifolia
1
2
Sorbus torminalis
+
Viola reichenbachiana
1
+
Alliaria petiolata
1
1
Asplenium trichomanes
+
Carex depauperata
+
300
200
200
300
+
1
3
+
1
2
4
+
4
+
1
2
2
1
1
2
+
2
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3
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2
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3
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1
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5
4
4
3
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2
1
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6
5
5
5
4
3
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1
6
6
6
4
4
4
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3
3
3
2
2
2
44
Clematis vitalba
Coronilla emerus L. subsp.
emerus
Euonymus europaeus
Fraxinus oxycarpa
Galium aparine
Glechoma hirsuta
Ligustrum vulgare
Lonicera caprifolium
Parietaria officinalis
Poa sylvicola
Polypodium vulgare
Prunus spinosa
Quercus cerris
Rubia peregrina
Rubus ulmifolius
Sambucus nigra
Symphytum tuberosum
Urtica dioica
Viola alba
Ajuga reptans
Arum maculatum
Athyrium filix-foemina
Cruciata glabra
Digitalis lutea
Festuca heterophylla
Fragaria vesca
Holcus lanatus
Luzula forsteri
Mespilus germanica
Monotropa hypopytis
Pteridium aquilinum
Rubus gr. sylvatici
Scrophularia nodosa
Senecio fuchsii
Tamus communis
Umbilicus rupestris
+
1
2
+
+
+
+
1
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
1
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1
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2
2
2
2
2
2
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2
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2
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1
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2
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1
+
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+
+
+
+
+
+
+
+
Tab. 8 - Tilio-Acerion (rilievi inediti A. Scoppola)
Rilievo n.
Altitudine m.s.l.d.m.
Esposizione
Inclinazione in °
Ricoprimento in %
Numero di specie
Specie caratt. e diff. dell'alleanza Tilio-Acerion
Tilia platyphyllos Scop.
Cardamine kitaibelii Becherer
Mercurialis perennis L.
1
540
NE
30
100
48
2
540
N
35
100
45
1
2
2
2
1
1
45
Phyllitis scolopendrium (L.) Newman
Polystichum setiferum (Forsskal) Woynar
Geranium robertianum L.
Ranunculus lanuginosus L.
Specie di Fagetalia, Querco-Fagetea
Campanula trachelium L.
Carpinus betulus L.
Corylus avellana L.
Castanea sativa Miller
Galium odoratum (L.) Scop.
Lathyrus venetus (Miller) Wohlf.
Melica uniflora Retz.
Sanicula europaea L.
Scutellaria columnae All.
Viola reichenbachiana Jordan ex Boreau
Daphne laureola L.
Moehringia trinervia (L.) Clairv.
Mycelis muralis (L.) Dumort.
Fagus sylvatica L.
Hieracium racemosum W. et K.
Digitalis micrantha Roth
Polystichum aculeatum (L.) Roth
Symphytum tuberosum L.
Adoxa moschatellina L.
Festuca heterophylla Lam.
Ilex aquifolium L.
Melittis melissophyllum L.
Primula vulgaris Hudson
Solidago virgaurea L.
Milium effusum L.
Altre
Quercus ilex L.
Fraxinus ornus L.
Acer campestre L.
Alliaria petiolata (Bieb.) Cavara et Grande
Allium pendulinum Ten.
Asplenium trichomanes L.
Coronilla emerus L.
Cyclamen repandum S. et S.
Euonymus europaeus L.
Hedera helix L.
Lonicera caprifolium L.
Polypodium interjectum Shivas
Ruscus aculeatus L.
Stellaria media (L.) Vill.
Anemone apennina L.
Cyclamen hederifolium Aiton
Dactylis glomerata L.
Luzula forsteri (Sm.) DC.
+
+
2
+
+
+
1
1
2
2
1
2
+
+
+
+
+
+
4
2
+
1
+
+
1
+
+
+
+
2
1
2
1
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
1
+
1
+
1
+
+
+
+
3
2
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+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
3
+
+
1
+
46
Poa sylvicola Guss.
Sorbus torminalis (L.) Crantz
Tamus communis L.
Arabis turrita L.
Chaerophyllum temulum L.
Cornus mas L.
Galium aparine L.
Helleborus foetidus L.
Orobanche hederae Duby
Poa nemoralis L.
Sambucus nigra L.
Umbilicus rupestris (Salisb.) Dandy
3.4.
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
STATO DI CONSERVAZIONE DEGLI HABITAT
Le aree interessate dai SIC presentano superfici con vegetazione spontanea
molto estese.
I sopralluoghi e le analisi effettuate hanno permesso di rilevare come elevata
importanza dal punto di vista floristico (un ricco corteggio di specie mesofile e
sciafile legate alla faggeta) e vegetazionale è rivestita dai boschi ricchi in
latifoglie miste mesofile del Tilio-Acerion che coprono porzioni di territorio anche
ampie in corrispondenza di stazioni particolari quali ambienti di forra o di
fondovalle con suoli fertili e profondi, prevalentemente all’interno del bosco del
Sasseto, fuori dal perimetro della Riserva. Si tratta di boschi molto belli dal
punto di vista paesaggistico, ma sicuramente di estrema bellezza è anche l’altra
parte del bosco del Sasseto, prevalentemente coperto da bosco di leccio. Il
bosco è ricco di esemplari arborei anche di dimensioni ragguardevoli, talvolta
secolari (alcuni da considerare anche alberi monumentali), e con un denso
sottobosco di edera, ciclamini, viburno, agrifoglio.
Prima delle nostre indagini, gli unici dati disponibili sulla presenza del TilioAcerion nell’area di Monte Rufeno si riferivano a due segnalazioni di Scoppola
per il rapporto inerente gli habitat prioritari della Dir. 92/43.
Durante i campionamenti effettuati al bosco del Sasseto si è rilevato che tali
boschi risultano piuttosto continui e con ampia distribuzione in corrispondenza
delle aree acclivi, con accumulo di clasti ed esposizioni fresche della porzione
meridionale del SIC (vedi carta degli habitat).
Il rinvenimento nelle cenosi rilevate di numerose delle specie che caratterizzano
floristicamente il Tilio-Acerion, quali Acer pseudoplatanus, molto raro nell’area
della Riserva, Tilia platyphyllos, Ulmus glabra, Polystychum setiferum, Phyllitis
scolopendrium, indicano che il Tilio-Acerion nel SIC non è da intendere
presente solo in senso fisionomico ma nel suo habitus tipico; le cenosi inoltre,
anche se isolate, sono in un buono stato di conservazione e in grado di
mantenersi, visto che risultano accantonati in aree scarsamente accessibili, con
corteggio pressoché inalterato.
47
I dati di letteratura riportano che questo habitat in Italia è attualmente distribuito
prevalentemente lungo l’arco alpino, ed in particolare nel settore orientale.
Poche sono invece le segnalazioni per l’Appennino, spesso genericamente
attribuite all’alleanza, ed ancora meno quelle relative a zone antiappeniniche;
per il Lazio ad oggi sono note solo la stazione di Monte Rufeno ed una stazione
sui Monti del Reatino. Tali cenosi risultano in generale alquanto localizzate e
spesso in contrazione a causa di locali interventi selvicolturali verificatesi nel
corso degli anni o modificazioni dell’habitat. I nostri dati sulla presenza ed
ampia distribuzione del Tilio-Acerion nel SIC Bosco del Sasseto assumono
quindi maggiore rilevanza se inquadrati in questo contesto generale. Inoltre
supportano ampiamente le auspicabili attività volte alla tutela di questo habitat
nel SIC limitando al minimo gli interventi selvicolturali e non realizzando affatto
opere sistematorie o di regimazione che abbiano per oggetto i versanti su cui
sono posti questi boschi.
La vegetazione spontanea lungo i tratti con depositi ciottoloso-sabbiosi del
fiume Paglia è poi rappresentata prevalentemente da cenosi non indicate tra
quelle di interesse prioritario secondo la 92-43 CEE, ma di elevato pregio
naturalistico. Esse costituiscono una tipologia vegetazionale davvero peculiare
per il Lazio, poiché in questa Regione hanno distribuzione limitata quasi
esclusivamente al territorio di Monte Rufeno; altrove sono frequenti in Toscana
meridionale e presenti in modo marginale in Umbria. Si tratta di garighe
dominate da due piante con odore aromatico, robuste e cespugliose (suffrutici):
l'elicriso (Helichrysum italicum), con fiori di un bel giallo carico e la santolina
(Santolina etrusca), con fiori di colore giallo citrino. Quest'ultima è una specie di
elevato interesse naturalistico perchè ha un areale ristretto a Toscana
meridionale, Lazio settentrionale e, solo marginalmente, Umbria; trova il suo
habitat primario lungo i letti fluviali sassoso-ciottolosi. Il mosaico vegetazionale
presente nei primi e secondi terrazzi ciottoloso-sabbiosi dell’alveo fluviale tra
garighe, praterie, cenosi a piccole camefite succulente, pratelli terofitici xerofili
ed igrofili, saliceti e formazioni elofitiche costituisce uno degli aspetti più belli e
ricchi di specie del SIC del torrente Paglia.
Durante i campionamenti lungo i corsi d’acqua non è stato possibile rinvenire gli
aspetti terofitici afferenti al Nanocyperion.
Di elevato valore naturalistico, come è testimoniato dal loro inserimento tra gli
habitat di importanza comunitaria nell’Allegato I della Direttiva Habitat
92/43/Cee (Codice habitat da 34.31 a 34.34, praterie aride seminaturali su
substrati calcarei dei Festuco-Brometea), sono poi le praterie da xerofitiche a
semimesofitiche a dominanza di graminacee perenni dei generi Bromus,
Brachypodium, Phleum.
Tale habitat mostra una distribuzione subatlantica-submediterranea occidentale
con areale che include la parte occidentale della regione medioeuropea,
compresa la zona submediterranea dell’Italia; nella parte meridionale del suo
areale è diffuso prevalentemente in concomitanza di catene montuose. Le
praterie appartenenti a quest’ordine occupano superfici piuttosto estese
dell’Italia peninsulare, poiché sono diffuse lungo tutto l’arco appenninico dalla
48
Liguria alla Calabria, in stazioni limitate dei settori meridionali delle Alpi oltre
che in una località in Sicilia. Da un punto di vista più strettamente
conservazionistico tali praterie, che nel contesto generale del Lazio
settentrionale sono da ritenersi di elevata valenza ecologica e fitogeografica,
sono oggetto di una progressiva regressione sia qualitativa che quantitativa
(spesso sono fortemente invase da arbusti), poiché risentono negativamente
delle condizioni di abbandono a cui sono state sottoposte negli ultimi 50 anni.
La loro distribuzione nell’area di Monte Rufeno risulta frammentaria, per lo più
con lembi di dimensioni limitate a mosaico con altre tipologie vegetazionali;
quindi, anche se sono distribuiti nella maggior parte dei SIC, escluso il Bosco
del Sasseto, il rischio di scomparsa a cui sono sottoposti può ritenersi
abbastanza elevato. I rilievi effettuati comunque ne dimostrano il buono stato di
conservazione ed il pregio naturalistico grazie all’elevata ricchezza di specie
che li caratterizza, spesso anche rare come varie Orchidacee,
Pseudolysimachion barrelieri, Plantago maritima, Polygala flavescens.
In corrispondenza di dossi, linee di espluvio o affioramenti rocciosi, ma anche
sulle alluvioni terrazzate del fiume Paglia con substrato ricco in ciottoli e ben
drenato, e, come rilevato nei sopralluoghi di questa primavera-estate, in aree
aperte dei rimboschimenti, ovunque il suolo sia ricco di scheletro e si verifichino
condizioni di aridità, gli aspetti emicriptofitici possono essere sostituiti da lembi
(al massimo di pochi metri quadrati) di cenosi dominate da piccole camefite
succulente (Alysso-Sedion). Tale habitat mostra distribuzione incentrata
nell’Europa continentale temperata, spingendosi solo in modo frammentario
nell’area mediterranea. Nel Lazio, dove è comunque rappresentata da cenosi
frammentarie e di estensioni limitate, ne sono note stazioni anche legate ai
substrati travertinosi. Nei SIC di Monte Rufeno, come indicato nella Carta degli
habitat, alla luce delle nuove conoscenze acquisite con le indagini recenti, le
cenosi dell’Alysso-Sedion risultano un po’ più diffuse di quanto noto in
letteratura. Si tratta comunque di aspetti per lo più paucispecifici (“fitocoenon
basale” sensu Poldini), con composizione floristica impoverita e differenziata
rispetto agli aspetti più tipici presenti per esempio in Italia settentrionale.
Inoltre nei SIC, sia in corrispondenza dei substrati argilloso-calcarei o arenacei
che delle alluvioni ciottolose, uno degli stadi seriali più distanti da quello
forestale maturo è rappresentato dai pratelli a netta dominanza di terofite,
favoriti dal substrato ad elevata aridità (determinismo edafico). Si tratta di
cenosi ampiamente distribuite nell’area mediterranea, che si rarefanno
estremamente passando in zone interne preappeniniche dove rappresentano
aspetti edafo-xerofili. La distribuzione dei pratelli terofitici non è ancora
sufficientemente nota nell’Italia peninsulare; essi, nonostante abbiano scarsa
incidenza sul paesaggio vegetale del Viterbese, assumono particolare
significato nelle serie edafofile calcicole del piano bioclimatico collinare (per es.
aree travertinose) e in quelle climatofile del piano mesomediterraneo. Queste
comunità a dominanza di Trifolium scabrum e Hypochoeris achyrophorus
risultano abbastanza ben rappresentate nel SIC, anche se sempre in forma di
lembi di limitate estensione spesso in mosaico anche stretto con altre tipologie.
49
Sono inoltre per lo più ben conservate, come dimostrato dall’elevata ricchezza
floristica. In alcuni casi tuttavia, per disturbo antropico soprattutto in prossimità
di sentieri, strade o rimboschimenti e altrove per leggera pressione da pascolo
ovino, la composizione floristica tipica risulta alterata, essendo arricchita in
specie sinantropiche quali Sherardia arvensis, Bromus sterilis, Trifolium
stellatum.
50
4.
FAUNA
4.1.
INQUADRAMENTO GENERALE
Nel presente rapporto sono proposti i risultati ottenuti dalle indagini di campo,
oltre che dalla raccolta di informazioni bibliografiche e documentali sulle specie
faunistiche di interesse presenti nei 5 siti di importanza comunitaria presenti nel
comprensorio di Monte Rufeno (Acquapendente).
Nei 5 siti presi in esame e nel territorio strettamente contermine risultano
segnalate 22 specie di interesse:
− 1 Artropode Crostaceo: il Gambero di fiume italiano Austropotamobius
pallipes
− 2 Pesci: il Barbo Barbus plebejus ed il Cavedano (o Cavedano
dell’Ombrone) Leuciscus sp.
− 3 Anfibi: la Salamandrina dagli occhiali Salamandrina terdigitata, il Tritone
crestato italiano Triturus carnifex e l’Ululone dal ventre giallo Bombina
pachypus
− 3 Rettili: la Testuggine comune Testudo hermanni, la Testuggine palustre
europea Emys orbicularis e il Cervone Elaphe quatuorlineata
− 11 Uccelli: l’Airone bianco maggiore Egretta alba, l’Albanella reale Circus
cyaneus, il Biancone Circaetus gallicus, il Corriere piccolo Charadrius
dubius, la Garzetta Egretta garzetta, la Magnanina Sylvia undata, il Martin
pescatore Alcedo atthis, il Nibbio bruno Milvus migrans, la Nitticora
Nycticorax nycticorax, il Pecchiaiolo Pernis apivorus, il Succiacapre
Caprimulgus europaeus e la Tottavilla Lullula arborea
− 2 Mammiferi: il Lupo Canis lupus e la Lontra Lutra lutra.
Di alcune specie tuttavia (Ululone dal ventre giallo, Testuggine comune,
Magnanina e Lupo) esistono solo segnalazioni piuttosto datate e la presenza
attuale nel comprensorio resta da accertare, in quanto non riconfermata dalle
indagini effettuate.
Inoltre dall’analisi della carta della distribuzione della fauna risulta abbastanza
evidente una distribuzione piuttosto frammentata e discontinua di alcune
specie. Esistono poche segnalazioni nelle porzioni più meridionali e in quelle
più settentrionali della Riserva, come sulla confluenza del Torrente Fossatello
col Fiume Paglia e nel Bosco del Sasseto.
Infine, nel corso delle indagini, è stata rilevata la presenza di ulteriori specie di
interesse comunitario tra artropodi, anfibi e pesci.
51
4.2.
METODOLOGIA DI ANALISI
4.2.1.
Rilevamenti
Per quanto riguarda i metodi di rilevamento utilizzati, si rinvia alla premessa
metodologica relativa ai singoli gruppi.
4.2.2.
Cartografia
E’ stata prodotta una cartografia GIS in scala 1:10.000 relativa alle segnalazioni
ed alle stazioni di presenza delle specie faunistiche di interesse comunitario e
conservazionistico (Tavola 3).
Sono state riportate informazioni sulle stazioni di presenza relative ai seguenti
gruppi faunistici: Pesci, Anfibi, Rettili, Uccelli, Mammiferi (Carnivori e Chirotteri).
Per quanto riguarda gli Anfibi ed i Rettili, sono state riportate anche le
segnalazioni di presenza disponibili per l’area di studio e non derivanti dalle
indagini di campo effettuate per il presente studio.
4.2.3.
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
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67
4.3.
ARTROPODOFAUNA
4.3.1.
Gambero di fiume (Austropotamobius pallipes)
Caratteristiche della specie e distribuzione nell’areale
Dal punto di vista morfologico A. pallipes si distingue da A. torrentium, entrambi
presenti in Europa, in quanto il primo possiede una serie di spine dietro il solco
cervicale, assenti nel secondo che presenta, invece, la parte ventrale
dell’esopodite antennale con margine denticolato, inoltre A. torrentium è
generalmente più piccolo (Laurent, 1988; Albrecht, 1982).
Mentre è possibile, in genere, distinguere A. pallipes italicus da A. pallipes
pallipes, le due sottospecie presenti in Italia, per il rostro, che nel primo ha una
lunghezza pari ad un terzo della sua lunghezza totale, mentre nel secondo è
pari ad un quinto, e la forma dei gonopodi che in A. pallipes pallipes hanno
punta simmetrica e sono dotati di un tallone moderatamente sviluppato, in A. p.
italicus sono asimmetrici e con tallone più sviluppato (Albrecht, 1982).
La necessità di attuare una strategia di tutela per il gambero di fiume
(Austropotamobius pallipes), deriva dal suo status di “specie vulnerabile” come
definito dall’IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) e
per questo inserita nell’Invertebrate Red Data Book. E’ una specie molto
importante, sia per il suo ruolo economico, che per il suo ruolo di indicatore
biologico della qualità delle acque: la sua presenza indica, infatti, uno stato di
buona salute dei corsi d’acqua.
Il genere Austropotamobius si estende in Europa occidentale (Francia, Isole
britanniche) e centromeridionale (Penisola Balcanica, Italia, Austria, Germania
meridionale, Svizzera). A. torrentium è distribuito in Germania
centromeridionale e Paesi Danubiani fino in Albania, Macedonia e Grecia
settentrionale. In Svizzera è presente una zona di parapatria tra A. pallipes e A.
torrentium (Buttiger, 1981; Albrecht, 1982).
A.pallipes è presente in Europa occidentale, in particolare nelle Isole
Britanniche, esclusa la Scozia, in Francia, in Germania sud occidentale, in
Dalmazia, in Austria (Corinzia), in Slovenia occidentale ed in Italia, presente
con le due sottospecie A. pallipes pallipes e A. pallipes italicus. In Spagna è
presente la sottospecie A. pallipes lusitanicus (Laurent, 1988).
Bisogna comunque notare che l’odierna distribuzione degli Astacidi è stata
anche influenzata dall’uomo che fin dal XVI sec. (Albrecht, 1983), per scopi
commerciali, ha introdotto popolazioni in luoghi dove non sarebbero mai
arrivate, come avvenuto in Corsica dove si è avuta una introduzione di A.
pallipes in tempi relativamente recenti (Arrignon 1991; Attard e Vianet, 1985) o
le popolazioni portoghesi di A. pallipes lusitanicus.
Distribuzione e stato di conservazione in Italia
In Italia A. pallipes è presente con le due sottospecie: A. pallipes pallipes e A.
pallipes italicus. L’areale di A. pallipes pallipes si estende nell’Italia nord
occidentale (Piemonte e Liguria occidentale), mentre A.pallipes italicus è
presente nell’Italia peninsulare dalle Prealpi alla Calabria settentrionale.
68
Gli studi condotti sulla specie Austropotamobius pallipes in Italia (Iaconelli,
1996; Nascetti et al., 1997) hanno mostrato che lo stato di conservazione della
specie “non è soddisfacente”.
L’inquinamento agricolo, industriale ed urbano dovuto all’antropizzazione,
infatti, ma anche altri eventi quali la spinta frammentazione degli habitat, il
bracconaggio, l’introduzione per motivi economici di competitori alloctoni che
sono stati in passato anche vettori di malattie, hanno purtroppo portato ad una
drastica riduzione dell’areale di questa specie e la scomparsa locale di
numerose popolazioni. Tutto ciò ha provocato, inoltre, una preoccupante
diminuzione della variabilità genetica delle popolazioni naturali di gambero
sopravvissute, che presentano valori prossimi allo zero (Nascetti et al., 1997).
Distribuzione e stato di conservazione nel Lazio
Il panorama mostrato per la distribuzione del gambero di fiume in Italia risulta
essere perfettamente calzante anche per quanto riguarda il Lazio. Lo stato di
conservazione risulta essere “non soddisfacente”: Sono infatti poche le
popolazioni di gambero sopravvissute, isolate con variabilità genetica del tutto
assente. La presenza della specie è stata segnalata soltanto in pochi siti, nelle
province di Rieti, Roma e Viterbo. In particolare nella Provincia di Viterbo è
presente nel territorio della Riserva Naturale Selva del Lamone (Farnese), nella
zona dei Monti Cimini (Viterbo), nella zona dei Calanchi di Civita di Bagnoregio
e nel territorio del Comune di Acquapendente.
Distribuzione e stato di conservazione nel sito
Studi sulla consistenza e sulla genetica sono stati condotti sulla popolazione
naturale di gambero di fiume del Fosso del Riso (Venanzi, tesi di laurea 2002).
Sono stati effettuati censimenti con il metodo della cattura-marcaggio-ricattura.
Il valore ottenuto con l’applicazione della formula di Chapman, per la stima della
dimensione della popolazione, ha mostrato che la popolazione studiata nel
Fosso del Riso, affluente del Torrente Subissone, è costituita da poche
centinaia di individui (200-300). Naturalmente questa stima ha potuto
individuare solo l’ordine di grandezza della popolazione, non il numero effettivo.
I censimenti effettuati con metodi indiretti, infatti, forniscono dati approssimati di
densità delle popolazioni animali, che risentono dell’influenza di diverse variabili
che intervengono nel corso di un ciclo annuale o di intervalli di tempo più ampi.
Nonostante questa popolazione si possa considerare “abbondante”, data
l’esigua lunghezza del corso d’acqua preso in esame, è da prendere in
considerazione il fatto che risulta essere l’unica popolazione residua in tutto il
bacino idrografico comprendente il Fosso del Riso.
Le analisi genetiche hanno mostrato inoltre l’assenza completa di variabilità
genetica. I bassi livelli di variabilità genetica, sebbene siano una caratteristica
tipica di tutti i crostacei decapodi specialisti (Nevo, 1978; Nevo et al., 1984), nel
gambero di fiume appaiono molto evidenti. La drastica riduzione demografica
delle popolazioni italiane ed europee del gambero di fiume, dovuta
all’alterazione e frammentazione del loro habitat, ha determinato un progressivo
isolamento delle popolazioni, con una conseguente riduzione del flusso genico
69
ed un forte aumento dell’inbreeding. Conseguenza di questi fenomeni è stata la
diminuzione del grado di polimorfismo e quindi della variabilità genetica, che
rende le popolazioni vulnerabili ed incapaci di adattarsi alle variazioni
ambientali. Per tutte queste considerazioni è possibile concludere che la
popolazione del Fosso del Riso è da considerarsi “minacciata”.
4.4.
ITTIOFAUNA
4.4.1.
Premessa metodologica
Il tratto del Fiume Paglia compreso nel SIC presenta caratteristiche di buona
diversità ambientale, con anse e irregolarità morfologiche dell’alveo, per la
presenza di raschi, buche e zone di sedimentazione adiacenti alle buche stesse
e di isolotti nell’alveo, e può essere considerato come zona dei Ciprinidi a
deposizione litofila. Le acque sono piuttosto limpide, soggette però a torbide di
breve durata, con corrente veloce alternata a zone dove l’acqua rallenta e la
profondità è maggiore; il fondo è costituito in prevalenza da ciottoli e ghiaia, ma
sono anche presenti massi e limitate aree sabbiose in alcune zone laterali.
Le stazioni per i campionamenti dell’ittiofauna sono state individuate durante dei
sopralluoghi condotti il 30 dicembre 2003 e il 5 gennaio 2004 insieme al
personale della Riserva. I siti di campionamento sono stati scelti in modo da
rappresentare le diverse tipologie ambientali e in relazione alla presenza di
possibili elementi di disturbo. Le stazioni, evidenziabili nella cartografia allegata,
sono di seguito riportate:
•
Stazione 1 Fiume Paglia, località “Le chiusarelle”, nei pressi di Ponte
Gregoriano
•
Stazione 2 Fiume Paglia, tratto in prossimità di una porcilaia e della
confluenza del Fosso Subissone
•
Stazione 3 Fiume Paglia, tratto in corrispondenza dei resti di un ponte
•
Stazione Fosso Subissone, tratto compreso tra la seconda briglia (a monte
della prima briglia in corrispondenza del guado sul fosso), fino alla
confluenza con il Fiume Paglia
•
Stazione Fosso Stridolone, in prossimità della confluenza con il Fiume
Paglia. E’ un tratto che ha caratteristiche di transizione tra la zona della
Trota e quella dei Ciprinidi a deposizione litofila. Il fondo è per la maggior
parte ciottoloso e in alcuni punti presenta anche grossi sassi, ghiaia e
sabbia; assenza di macrofite acquatiche.
Il Fosso del Riso non è risultato idoneo per la vita dei pesci, in quanto di portata
scarsa, non costante e caratterizzato da numerose discontinuità naturali
dell’alveo. Tali motivi ci hanno indotto a non effettuare campionamenti sulla
fauna ittica.
Per la elevata qualità ambientale del Fosso Stridolone e a seguito di alcune
segnalazioni sulla probabile presenza di specie ittiche d’interesse da parte di
pescatori e del personale della Riserva, abbiamo ritenuto importante effettuare
70
un campionamento anche su questo corso d’acqua, anche se esterno al SIC.
I campionamenti sono stati condotti il 30 aprile e 10 maggio 2004, utilizzando
un elettrostorditore ad impulso e dei coppi. In ciascuna stazione sono stati
percorsi circa 200 metri del corso d’acqua; i pesci catturati sono stati identificati,
misurati e pesati e poi rilasciati nello stessa zona in cui erano stati raccolti.
Durante i campionamenti sono state rilevate 9 specie di Teleostei (Tab. 4.4.1),
la maggior parte appartenenti alla famiglia dei Ciprinidi.
Tabella 4.4.1: elenco delle specie rilevate nel SIC e origine nel bacino
Barbo (Barbus plebejus)
Ciprinidi
indigena
Cavedano (Leuciscus cephalus)
Ciprinidi
indigena
Vairone (Leuciscus souffia muticellus)
Ciprinidi
indigena
Rovella (Rutilus rubilio)
Ciprinidi
indigena
Lasca (Chondrostoma genei)
Ciprinidi
introdotta
Carpa (Cyprinus carpio)
Ciprinidi
introdotta in tempi remoti
Cobite (Cobitis taenia bilineata)
Cobitidi
indigena
Ghiozzo di ruscello (Gobius nigricans)
Gobidi
indigena
Pseudorasbora (Pseudorasbora parva)
Ciprinidi
introdotta
In riferimento alle specie riportate nella Scheda Natura 2000, è stata
confermata la presenza del Barbo (Barbus plebejus), mentre per i risultati sugli
esemplari di “Cavedano” presenti sia nel Medio corso del Fiume Paglia che nel
Fosso Stridolone e sulla loro posizione sistematica si rimanda al punto 4.4.3.
Le altre specie ittiche di interesse comunitario rilevate nel SIC e riportate in
tabella non sono inserite nella Scheda Natura 2000, ma se ne tratterà
comunque nel presente capitolo.
Si allegano le foto riguardanti le stazioni di rilevamento nel bacino del F. Paglia
e del Fosso dell’Acquachiara.
4.4.2.
Barbo (Barbus plebejus)
Caratteristiche della specie,
conservazione in Italia
distribuzione
nell’areale
e
stato
di
L’areale di distribuzione del Barbo interessa tutta la Regione Padana (compresa
la Dalmazia) e la maggior parte dell’Italia peninsulare.
E’ una specie con discreta valenza ecologica tipica della zona dei Ciprinidi a
deposizione litofila, che predilige tratti con acque ben ossigenate, corrente
vivace, acque limpide e fondo ghiaioso che rappresenta il substrato per la
deposizione dei gameti. E’ un pesce gregario con abitudine bentoniche; si nutre
soprattutto di macroinvertebrati e occasionalmente anche di macrofite.
La maturità sessuale viene raggiunta a 2-3 anni nei maschi, mentre a 4-5 anni
nelle femmine; non c’è un evidente dimorfismo sessuale. Il periodo riproduttivo
va da aprile a luglio, quando la temperatura dell’acqua raggiunge 16-17 °C e
durante questo periodo i Barbi risalgono i corsi d’acqua, anche di piccoli
affluenti, alla ricerca di fondali idonei per la riproduzione.
71
SIC IT6010001 Medio corso del Fiume Paglia
1
2
Figure 1 e 2: Stazione 1 sul Fiume Paglia in
località “Le chiusarelle”
72
3
4
Figure 3 e 4: Stazione 2 sul Fiume Paglia nei pressi della
porcilaia e della confluenza del Fosso Subissone
73
5
5
6
Figure 5 e 6: Stazione 3 sul Fiume Paglia
74
7
7
Figure 7 e 8: Fosso
Subissone, tratto a valle
della seconda briglia (Fig.
7) e tratto in prossimità
della confluenza con il
Fiume Paglia (Fig. 8)
8
75
9
9
Figure 9 e 10: Fosso del Riso
10
76
11
12
Figure 11 e 12:
Fosso Stridolone,
tratto in
prossimità della
confluenza con il
Fiume Paglia
(Fig. 11) e
confluenza con il
Fiume Paglia
(Fig. 12)
77
13
14
Figure 13 e 14: campionamento con
elettrostorditore nella Stazione 1 sul Fiume Paglia
78
15
15
16
16
Figure 15 e 16: campionamento con
elettrostorditore nella Stazione 3 sul Fiume Paglia
79
17
18
Figura 17 e 18: esemplari di Barbo (17) e Cavedano
(18) catturati nella Stazione 1 sul Fiume Paglia
Fiume Paglia
stazione 1
11%
cavedano
barbo
rovella
cobite
ghiozzo di ruscello
8%
2%
8%
71%
Figura 19: percentuale numerica delle specie ittiche
catturate nella Stazione 1 del Fiume Paglia
80
Fiume Paglia
stazione 2
6% 1%
8%
7%
42%
11%
cavedano
barbo
rovella
lasca
vairone
ghiozzo di ruscello
pseudorasbora
25%
Figura 20: percentuale numerica delle specie ittiche
catturate nella Stazione 2 del Fiume Paglia
21
Figura 21: Speudorasbora catturata nella Stazione 2
sul Fiume Paglia
81
Fiume Paglia
stazione 3
lasca
22%
carpa
2%
cavedano
39%
rovella
35%
barbo
2%
Figura 22: percentuale numerica delle diverse specie
ittiche catturate nella Stazione 3 del Fiume Paglia
82
23
Figura 23: esemplari di Cavedano catturati nel Fosso
Stridolone
Fosso Stridolone
cavedano
barbo
rovella
vairone
ghiozzo di ruscello
lasca
19%
5%
47%
3%
17%
9%
Figura 24: percentuale numerica delle diverse specie
ittiche catturate nella Stazione sul Fosso Stridolone
83
25
Figura 25: esemplari 25
giovani di Ciprinidi, probabilmente
Vairone
26
Figura 26: briglia sul Fosso Subissone
84
27
28
Figure 27 e 28: esemplari di Ghiozzo di ruscello (foto di
Roberto Antonini, dall’ Archivio della Riserva)
85
29
29
30
Figure 29 e 30: escavazione nella zona
pianeggiante non molto lontana dal Fiume Paglia
86
SIC IT6010005 Fosso dell’Acqua Chiara
Figure 31 e 32: tratto a
valle della briglia in
corrispondenza del guado
sul Fosso dell’Acqua
Chiara; tipologia degli
ambienti in cui è stata
rilevata la presenza del
Vairone
31
1
32
2
87
33
Figure 33 e 34: cascata
dell’Acqua Chiara (Fig. 3)
e tratto a valle della
stessa (Fig. 4)
34
88
35
Figura 35: tratto in prossimità della
seconda cascata, localizzata a monte di
quella dell’Acqua Chiara
89
36
37
Figure 36 e 37: giovani esemplari di Vairone catturati
nel Fosso dell’Acqua Chiara
90
38
39
40
15
Figure 38-40: esemplari adulti di Vairone catturati nel
Fosso dell’Acqua Chiara
91
E’ una specie che riesce a tollerare un basso livello di inquinamento dato da
scarichi urbani, mentre risente particolarmente delle alterazioni degli alvei che
compromettono le caratteristiche ambientali e soprattutto i substrati per la
riproduzione, quali le canalizzazioni, i prelievi di ghiaia e i lavaggi di sabbia.
Potrebbero essere questi i motivi che hanno portato in Italia alla forte
contrazione numerica di alcune popolazioni e alla scomparsa di altre.
Un altro importante aspetto da considerare è l’attività di ripopolamento che
viene fatta per questa specie ittica poiché oggetto di pesca sportiva. Molto
spesso i ripopolamenti vengono effettuati con materiale non proveniente
dall’Italia ed in alcuni casi anche appartenente ad altre specie del genere
Barbus. La variabilità fenotipica osservabile nelle popolazioni italiane è
probabilmente aumentata negli ultimi 20-30 anni per fenomeni di ibridazione tra
gli individui indigeni e alloctoni, compromettendo le caratteristiche genetiche
delle popolazioni indigene (inquinamento genetico). In alcune aree del bacino
del Po si assiste al declino del Barbo in relazione all’introduzione del Barbus
barbus, una specie originaria dell’Europa centrale, più resistente al degrado
degli ambienti acquatici.
Barbus plebejus è citato negli Allegati II e V della Direttiva 92/43/CEE che lo
riportano rispettivamente tra le “specie animali e vegetali d’interesse
comunitario la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di
conservazione” e tra le specie animali e vegetali di interesse comunitario il cui
prelievo nella natura e il cui sfruttamento potrebbero formare oggetto di misure
di gestione. E’ anche indicato tra le specie protette nella Convenzione di Berna.
Tra le categorie di minaccia della Lista rossa dei Pesci d’acqua dolce in Italia, il
Barbo è considerato “a più basso rischio”.
Distribuzione e stato di conservazione nel SIC
Il Barbo è risultato presente in tutte le stazioni sul Medio corso del Fiume Paglia
e sul Fosso Stridolone (Figg. 17, 19, 20, 22 e 24). Sono stati catturati esemplari
giovani, di taglia compresa tra 6 e 9 cm di lunghezza totale, ed individui adulti di
taglia tra 13 e 26 cm. La stazione 2 è stata quella in cui il Barbo è risultato più
abbondante (18 esemplari catturati, contro 5 e 1 esemplare rispettivamente
nelle stazioni 1 e 3 sul Fiume Paglia e 9 individui sul Fosso Stridolone) (Fig.
20). Tutti gli individui presentavano la colorazione tipica del Barbus plebejus,
con le caratteristiche puntinature grigie che cospargono il corpo nella regione
latero-dorsale e le pinne (soprattutto quella dorsale e caudale) (Fig. 17);
soltanto 3 esemplari catturati nella stazione 2 avevano una colorazione
piuttosto omogenea, anche sulle pinne.
E’ possibile considerare questi ultimi come Barbus plebejus in relazione al fatto
che poteva trattarsi di adulti con un certo grado di variabilità nella colorazione;
la caratteristica puntinatura è infatti generalmente più evidente nei giovani ed è
possibile che in alcuni esemplari adulti possa non essere così marcata. Non è
però escluso che una variabilità fenotipica possa essere anche dovuta ad un
inquinamento genetico verificatosi in seguito a fenomeni di ibridazione tra
esemplari indigeni e alloctoni, questi ultimi introdotti nel bacino con i
ripopolamenti per la pesca sportiva. Questa specie è infatti oggetto di tale
attività nel Medio corso del Fiume Paglia e nel Fosso Stridolone e ogni anno
92
vengono effettuati dei ripopolamenti per questo scopo. L’Amministrazione
Provinciale di Viterbo ha previsto per il 2004 l’immissione di circa 5.500 Barbi di
3-5 cm di lunghezza, mentre nel 2003 sono stati rilasciati 7.000 esemplari.
Dai risultati ottenuti con la pesca mediante elettrostorditore e per le
caratteristiche dell’intero tratto del corso d’acqua esaminato, considerato come
zona dei Ciprinidi a deposizione litofila in cui la specie tipica è proprio il Barbo,
riteniamo che questa specie sia distribuita in tutto il tratto del Fiume Paglia in
oggetto e nel Fosso Stridolone, anche se con popolazioni numericamente non
molto consistenti.
La presenza di giovani e di adulti in riproduzione indica che nella popolazione
sono rappresentate varie classi di età e che è quindi ben strutturata,
garantendone la capacità riproduttiva nel corso d’acqua.
4.4.3.
Cavedano dell’Ombrone (Leuciscus lucumonis) e Cavedano
(Leuciscus cephalus)
Note sul Cavedano dell’Ombrone
Il Cavedano dell'Ombrone (Leuciscus lucumonis), segnalato nella scheda
Natura 2000 per il SIC "Medio corso del Fiume Paglia", è un piccolo Ciprinide
descritto nei primi anni ‘80 come specie endemica in un’area dell’Italia centrale
tirrenica comprendente sistemi idrografici della Toscana, Umbria e alto Lazio,
nei quali vive in simpatria con il Cavedano, Leuciscus cephalus.
Le conoscenze sulla sua biologia sono scarse. I dati disponibili indicano che
questa specie popola i corsi d’acqua di medie e piccole dimensioni, poco
profondi, con corrente moderata e fondo sabbioso o ghiaioso. Sembra essere
adattato alla vita in ambienti caratterizzati da forti escursioni stagionali di
temperatura e di portata, presentando una maggiore adattabilità rispetto al
Cavedano, con il quale spesso convive. Altre specie con le quali si trova
associato almeno in parte nel proprio habitat sono la Rovella, l’Alborella e il
Barbo.
Da tempo si discute sulla validità sistematica di questa specie (Gandolfi et al.,
1991; Zerunian, 2002). L’analisi dei dati a disposizione fa sorgere il dubbio che
non si tratti di una nuova specie, ma che possa esserci una variabilità
intraspecifica o essere il risultato di un processo di ibridazione tra L. cephalus e
L. souffia o Rutilus rubilio.
Gli elementi che separerebbero L. lucumonis da L. cephalus riguardano i valori
di pochi caratteri morfometrici e quelli di alcuni caratteri meristici quali ad
esempio:
•
numero delle scaglie lungo la linea laterale (38-43 e 41-48
rispettivamente)
•
numero delle branchiospine (6-9 su ciascun arco branchiale e 7-11
rispettivamente)
•
numero di raggi della pinna anale (7-8 e 7-10 rispettivamente)
•
numero di raggi della pina ventrale (6-8 e 7-9 rispettivamente)
93
Per tutti questi caratteri c’è una sovrapposizione parziale di valori, per cui
nessuno risulta avere un valore diagnostico certo. La colorazione di L.
lucumonis risulta lievemente diversa, essendo più scura; inoltre la taglia di L.
lucumonis è decisamente inferiore a L. cephalus.
Dati pubblicati recentemente, riguardanti aspetti biochimici e genetici di L.
cephalus e L. lucumonis (Manaresi et al., 1997; Keitmaier et al., 1998),
avvalorerebbero l'ipotesi della non esistenza di questa ultima specie.
Per quanto riguarda il SIC interessato, i dati sulla fauna ittica prodotti in seguito
alle indagini per il "Programma di realizzazione della fase conoscitiva della
Carta Ittica Provinciale per i sottobacini del Fiume Paglia, Mignone e Marta”,
Coop. GAIA, non indicano la presenza di questa specie, bensì riportano la
presenza del Cavedano (L. cephalus).
Dall’esame morfologico dei “Cavedani” catturati durante i campionamenti per il
presente Piano di Gestione, è emerso che la maggior parte degli esemplari
presentavano i caratteri morfologici del Cavedano (L. cephalus) (Figg. 18 e 23).
Alcuni individui di maggiori dimensioni mostravano una colorazione giallastra,
con le scaglie non contornate dalla caratteristica puntinatura che caratterizza il
Cavedano (si discuterà di tale variabilità nel seguito).
Considereremo quindi gli esemplari presenti nel SIC appartenenti alla specie
Leuciscus cephalus. Per analizzare in dettaglio la popolazione di Cavedano nel
Fiume Paglia e se questa presenti caratteristiche diverse dalle altre popolazioni
italiane sarebbe necessario condurre uno studio mirato.
Caratteristiche del Cavedano,
conservazione in Italia
distribuzione nell’areale e stato di
Il Cavedano è distribuito in quasi tutta l’Europa e parte del vicino Oriente. In
Italia è uno dei pesci d’acqua dolce maggiormente diffusi, ed è indigeno
nell’intera Regione Padana e in tutta quella Italico-peninsulare. Nel Lazio
questa specie è ampiamente diffusa ed è presente nella maggior parte dei corsi
d’acqua e dei bacini lacustri.
E’ un pesce che vive nel tratto medio dei corsi d’acqua di maggiori dimensioni,
dove spesso si trova associato ad altri Ciprinidi, quali il Barbo e la Lasca.
Predilige acque limpide e a fondo ghiaioso, ma per la sua elevata resistenza ed
adattabilità vive in una grande quantità di ambienti, anche nei laghi. E’ un pesce
gregario ed è un opportunista alimentare, caratteristica questa che contribuisce
al suo successo; la sua dieta è molto ampia e va da organismi acquatici, a
materiale di origine vegetale e anche una componente terrestre rappresentata
soprattutto da insetti alati, semi e frutti di piante.
La maturità sessuale viene raggiunta in genere a 2-4 anni di età e il periodo
riproduttivo va dalla seconda metà di maggio a tutto giugno, ma può protrarsi
anche di molto in funzione del regime termico dell’habitat. Durante questo
periodo, i maschi presentano tubercoli nuziali poco sviluppati diffusi sul capo e
sul tronco. Le uova vengono deposte prevalentemente su fondali ghiaiosi e in
acque basse.
Il cavedano è una delle specie ittiche d’acqua dolce indigeni in Italia più
tollerante ad alcuni tipi di alterazioni ambientali, quali l’inquinamento prodotto da
scarichi urbani e le canalizzazioni, e per questo non è in diminuzione nell’areale
94
di distribuzione, anzi attualmente sembra avere una più ampia distribuzione
rispetto al passato.
E’ oggetto di pesca sportiva e vengono effettuati a tale scopo ripopolamenti di
cavedani sia dalle amministrazioni provinciali che dalle associazioni di
pescatori, ed è probabile che in molte popolazioni possa essersi verificato il
fenomeno dell’inquinamento genetico, ovvero che ci siano oltre agli esemplari
indigeni, anche una componente di individui di origine alloctona ed ibridi.
Distribuzione e stato di conservazione del Cavedano nel SIC
Leuciscus cephalus è risultata la specie più diffusa e maggiormente presente
sia come percentuale numerica (Figg. 19, 20, 22 e 24) che ponderale nel Medio
corso del Fiume Paglia e nel Fosso Stridolone. I campionamenti hanno portato
alla cattura di numerosi esemplari in tutte le stazioni, sia di giovani che di adulti
sessualmente maturi.
L’esame morfologico degli esemplari ha messo in evidenza una lieve variabilità
morfologica per quanto riguarda un limitato numero di individui di taglia
maggiore, i quali presentavano una colorazione giallastra, con le scaglie non
contornate dalla caratteristica puntinatura che caratterizza il Cavedano.
Come per il Barbo, anche per il Cavedano gli esemplari appartenenti alla stessa
popolazione possono presentare una certa variabilità fenotipica. Differenze
morfologiche potrebbero essere anche dovute ad inquinamento genetico
verificatosi in seguito all’introduzione di individui alloctoni provenienti dai
ripopolamenti per la pesca sportiva. Per tale attività, l’Amministrazione
Provinciale di Viterbo ha previsto per il 2004 l’immissione di 16.000 Cavedani di
3-5 cm di lunghezza, mentre nel 2003 sono stati rilasciati 20.000 esemplari.
4.4.4.
Rovella (Rutilus rubilio)
Caratteristiche della specie,
conservazione in Italia
distribuzione
nell’areale
e
stato
di
La Rovella è endemica della Regione Italico-peninsulare ed è ampiamente
diffusa nella penisola. E’ segnalata anche in Dalmazia, Albania e Grecia anche
se è da verificare l’appartenenza allo stesso taxon delle popolazioni italiane. In
seguito ad immissioni accidentali legate a ripopolamenti per la pesca sportiva,
questa specie ittica è attualmente presente anche in alcuni corsi d’acqua
dell’Appennino romagnolo e della Sicilia.
La Rovella è una specie gregaria che vive in gruppi. Ha una discreta valenza
ecologica ed è in grado di occupare gran parte del corso d’acqua, dalla zona
dei Ciprinidi a deposizione litofila fino alla foce. Predilige però le acque con
corrente moderata e poco profonde, con fondo ghiaioso o sabbioso e con
modesta presenza di macrofite acquatiche. Si nutre principalmente di piccoli
invertebrati, ha un accrescimento piuttosto rapido e la maturità sessuale è
raggiunta in genere alla fine del primo anno. Il dimorfismo sessuale è evidente
soltanto durante il periodo riproduttivo (nei mesi di aprile e maggio), quando i
maschi presentano le pinne pari e anale di colore rosso più intenso e vistosi
95
tubercoli nuziali sul capo e a volte anche sulla regione dorso-laterale del corpo.
Per la sua discreta valenza ecologica, questo Ciprinide riesce a tollerare
modesti incrementi di eutrofizzazione dovuti ad inquinamento da scarichi
urbani, mentre è più sensibile alle alterazione del proprio habitat. In genere tutti
gli interventi sull’alveo, quali le canalizzazioni, il prelievi di inerti, ecc. producono
effetti negativi su questa specie poiché compromettono il substrato riproduttivo
con la conseguente diminuzione delle aree di frega.
Per quanto riguarda lo stato di conservazione della Rovella in Italia, in alcuni
bacini le popolazioni sono in forte contrazione numerica soprattutto in relazione
a fenomeni di competizione che si sono originati in seguito all’introduzione e
acclimatazione di specie alloctone, quali il Triotto (Rutilus erythrophthalmus).
Un esempio in merito è il Lago di Bracciano, in cui la presenza del Triotto ha
portato ad una forte rarefazione della popolazione autoctona di Rovella. In altri
ambienti in cui questa specie è stata introdotta, ad esempio in Sicilia, si è
diffusa ampiamente e costituisce in alcuni casi una delle specie ittiche
dominanti.
Rutilus rubilio è riportata nell’Allegato II della Direttiva 92/43/CEE tra le “specie
animali e vegetali d’interesse comunitario la cui conservazione richiede la
designazione di zone speciali di conservazione”. E’ anche indicata nell’Allegato
III della Convenzione di Berna. Tra le categorie di minaccia della Lista rossa dei
Pesci d’acqua dolce in Italia, la Rovella viene considerata ”a più basso rischio”.
Distribuzione e stato di conservazione nel SIC
La presenza di questa specie era stata segnalata in alcuni corsi d’acqua della
Riserva da pescatori e dal personale della Riserva stessa ed è stata rinvenuta
sul Fiume Paglia durante i campionamenti per una tesi di laurea ancora in
corso.
Le nostre indagini confermano la presenza della Rovella, la quale è stata
rilevata in tutte le stazioni di campionamento nel Medio corso del Fiume Paglia
e nel Fosso Stridolone, ed è risultata numericamente più abbondante in
quest’ultimo e nella stazione 3 sul Fiume Paglia (Figg. 19, 20, 22 e 24). Sono
stati catturati individui giovani (circa 6 cm) e adulti (12-13 cm), tra cui numerosi
maschi maturi in livrea riproduttiva, con tubercoli nuziali e pinne rosse. In base
ai dati ottenuti, possiamo asserire che la Rovella è distribuita in tutto il tratto del
SIC e nel Fosso Stridolone con popolazioni ben strutturate e capaci di
automantenersi.
4.4.5.
Vairone (Leuciscus souffia muticellus)
Caratteristiche della specie,
conservazione in Italia
distribuzione
nell’areale
e
stato
di
Il Vairone è un endemismo italiano ed ha un areale di distribuzione che
comprende l’Italia settentrionale; è presente principalmente nelle regioni
occidentali e centrali mentre tende a diminuire di frequenza verso est, e nelle
regioni peninsulari fino alla Campania e al Molise. La sua distribuzione è però
96
frammentata, poiché questa specie è piuttosto sensibile ed è legata ad una
buona qualità dei corsi d’acqua.
E’ una specie gregaria che vive in acque correnti, limpide e ben ossigenate e
con fondali ghiaiosi; è presente nel tratto medio-alto dei corsi d’acqua e va ad
occupare prevalentemente la Zona dei Ciprinidi a deposizione litofila. E’ una
specie sicuramente più esigente rispetto alla Rovella ed è legata ad una buona
qualità del corso d’acqua. Ricerca il cibo prevalentemente sul fondo e la sua
dieta è rappresentata per lo più da organismi macrobentonici. La maturità
sessuale è raggiunta al secondo-terzo anno e il dimorfismo sessuale è evidente
soltanto durante il periodo riproduttivo che va da aprile a luglio, quando i maschi
mostrano una livrea più accesa, con riflessi violacei nella banda scura che
percorre longitudinalmente i fianchi, le pinne pari ed anale di colore più intenso
e il capo si ricopre di piccoli tubercoli nuziali. La deposizione dei gameti avviene
in acque basse e correnti, su fondali ciottolosi e ghiaiosi.
Il Vairone è una specie in diminuzione nell’areale di distribuzione, sia in
relazione ad una contrazione numerica delle popolazioni che a causa di
estinzioni locali. Le popolazioni di questa specie, esigente per quanto riguarda
la qualità ambientale, sono consistenti nei corsi d’acqua non inquinati e che
conservano idonee caratteristiche ambientali. Oltre alle varie forme di
inquinamento, il Vairone è particolarmente sensibile ad alterazioni del proprio
habitat, soprattutto per ciò che concerne i substrati per la riproduzione.
Leuciscus souffia è riportato nell’Allegato II della Direttiva 92/43/CEE tra le
“specie animali e vegetali d’interesse comunitario la cui conservazione richiede
la designazione di zone speciali di conservazione”. E’ anche indicato
nell’Allegato III della Convenzione di Berna. Tra le categorie di minaccia della
Lista rossa dei Pesci d’acqua dolce in Italia, il Vairone è considerato ”a più
basso rischio”.
Distribuzione e stato di conservazione nel SIC
La presenza del Vairone è stata rilevata nella stazione 2 del Medio corso del
Fiume Paglia e nel Fosso Stridolone; il numero degli esemplari catturati è
esiguo, rispettivamente 6 e 3 (Figg. 20 e 24). Alcuni esemplari di Ciprinidi,
probabilmente di Vairone, lunghi pochi cm sono stati catturati sul Fosso
Subissone a monte della briglia in corrispondenza del guado sul fosso (Fig. 25).
Dai dati dei campionamenti sembrerebbe che la distribuzione di questa specie
sia più localizzata rispetto alla Rovella, probabilmente in relazione alle sue
maggiori esigenze ecologiche. Per le caratteristiche ambientali piuttosto
uniformi lungo tutto il tratto del Fiume Paglia compreso nel SIC, non è però
escluso che possa essere presente anche in altre zone.
4.4.6.
Lasca (Chondrostoma genei)
Caratteristiche della specie,
conservazione in Italia
distribuzione
nell’areale
e
stato
di
E’ una specie endemica in Italia ed è presente in Italia settentrionale e nel
97
versante adriatico di quella centrale, fino all’Abruzzo; nel versante tirrenico
esistono delle popolazioni in Liguria, Toscana e Lazio che si sono originate in
seguito all’introduzione di materiale alloctono con i ripopolamenti a favore della
pesca sportiva.
La Lasca vive nei tratti medio-alti dei corsi d’acqua con corrente vivace o
moderata, acque limpide e fondo ghiaioso e nella zonazione di corsi d’acqua
italiani è una delle specie tipiche della zona dei Ciprinidi a deposizione litofila.
Tende a localizzarsi nelle zone dove l’acqua è più profonda; si nutre sul fondo e
ha una dieta di tipo onnivoro che comprende sia invertebrati acquatici che
materiale vegetale, in particolare alghe epilitiche.
Il dimorfismo sessuale è evidente soltanto durante il periodo riproduttivo, in
primavera, quando il maschio presenta le pinne pari ed anale di colore più
acceso e piccoli tubercoli nuziali sia sulla testa che nella parte anteriore del
corpo. La riproduzione e la deposizione dei gameti avviene in acque poco
profonde, con corrente vivace e fondo ghiaioso.
Riguardo lo stato di conservazione in Italia, le popolazioni di Lasca sono quasi
ovunque in contrazione. Questa specie ha stretta valenza ecologica ed è
sensibile al degrado dei corsi d’acqua, sia per ciò che concerne la qualità delle
acque che per le alterazioni degli alvei e dei substrati. La presenza di
sbarramenti crea inoltre un ostacolo per il raggiungimento delle aree più idonee
alla frega. In alcune regioni inoltre ha risentito negativamente dell’introduzione
del Chondrostoma nasus, specie alloctona introdotta con la quale è entrata in
competizione.
Chondrostoma genei è riportata nell’Allegato II della Direttiva 92/43/CEE tra le
“specie animali e vegetali d’interesse comunitario la cui conservazione richiede
la designazione di zone speciali di conservazione”. E’ anche indicato
nell’Allegato III della Convenzione di Berna. Tra le categorie di minaccia della
Lista rossa dei Pesci d’acqua dolce in Italia, il Vairone è considerato
”vulnerabile”.
Distribuzione e stato di conservazione nel SIC
Durante i campionamenti per il presente Piano di gestione sono stati catturati
numerosi esemplari di Lasca in tutte le stazioni, ad eccezione della stazione 1
(Figg. 20, 22 e 24). La stazione sul Fosso Stridolone è stata quella in cui la
presenza di questa specie è risultata numericamente maggiore; sono stati
osservati giovani e individui adulti, molti caratterizzati da livrea riproduttiva.
Sebbene sia una specie di interesse comunitario, la Lasca non è originaria nel
bacino del Fiume Paglia. Poiché si è ben adattata, riproducendosi naturalmente
e raggiungendo una buona consistenza numerica e rappresentando una delle
specie dominanti in alcuni tratti del Medio corso del Fiume Paglia e nel Fosso
Stridolone, e non avendo evidenziato elementi di disturbo, non si ritiene di
dover mettere in atto misure di conservazione nel territorio del SIC.
98
4.4.7.
Cobite (Cobitis taenia bilineata)
Caratteristiche della specie,
conservazione in Italia
distribuzione
nell’areale
e
stato
di
E’ una sottospecie endemica in Italia. L’areale di distribuzione comprende tutte
le regioni settentrionali e parte di quelle centrali; nel versante adriatico è
presente fino alle Marche, mentre in quello tirrenico fino alla Campania. In
Abruzzo, Basilicata, Calabria e Sardegna esistono popolazioni originatesi da
materiale alloctono ed in alcuni bacini hanno raggiunto una elevata consistenza
numerica (ad esempio nei laghi della Sila). E’ probabile che anche alcune
popolazioni lacustri dell’Italia centrale abbiano avuto origine da materiale
alloctono.
Il Cobite è strettamente legato alle acque dolci, ha una discreta valenza
ecologica ed è in grado di occupare vari tratti del corso d’acqua dalla zona dei
Ciprinidi a deposizione litofila a quella dei Ciprinidi a deposizione fitofila.
Predilige le acque limpide e i tratti dove la corrente è meno veloce e il fondo è
sabbioso o fangoso, con una moderata presenza di macrofite in cui trova rifugio
e nutrimento. Vive anche nelle risorgive e nella fascia litorale di laghi.
E’ un pesce di piccola taglia che si nutre sul fondo e la sua dieta è
principalmente costituita da larve di Chironomidi, microorganismi e frammenti di
origine vegetale, materiale che filtra a livello della camera branchiale dai
sedimenti che aspira con la bocca; è attivo principalmente di notte mentre di
giorno trascorre la maggior parte del tempo infossato nella sabbia o nel fango,
lasciando fuoriuscire solo la testa. Presenta degli adattamenti morfologicofisiologici, quali una elevata superficie branchiale e la possibilità di svolgere una
respirazione di tipo intestinale, che gli permettono di sopravvivere anche in
acque povere di ossigeno.
La maturità sessuale è raggiunta al 1° o al 2° anno di età ed è presente un
dimorfismo sessuale che riguarda essenzialmente la forma delle pinne pettorali
che nei maschi sono più lunghe, strette e appuntite rispetto alle femmine; nei
maschi è inoltre presente una struttura ossea laminare alla base della pinna
pettorale (“paletta di Canestrini”) che nelle femmine è solo presente
eccezionalmente.
Il periodo riproduttivo va da aprile a giugno, o da maggio a giugno in relazione
alla temperatura dell’acqua. La deposizione dei gameti è preceduta da
comportamenti sessuali che culminano con l’attorcigliamento del maschio
intorno al corpo della femmina.
Questa specie, grazie alla sua discreta valenza ecologica. È in grado di
tollerare modeste compromissioni della qualità delle acque, come quella
provocata dall’inquinamento prodotto da scarichi urbani; risente negativamente
dell’inquinamento chimico, ad esempio da pesticidi. È inoltre minacciato dalle
alterazioni degli habitat.
Cobitis taenia bilineata è riportata nell’Allegato II della Direttiva 92/43/CEE tra le
“specie animali e vegetali d’interesse comunitario la cui conservazione richiede
la designazione di zone speciali di conservazione”. E’ anche indicata tra le
specie protette nella Convenzione di Berna. Tra le categorie di minaccia della
99
Lista rossa dei Pesci d’acqua dolce in Italia, il Cobite è considerato ”a più basso
rischio”.
Distribuzione e stato di conservazione nel SIC
Il Cobite, mai rilevato prima nel SIC, è stato rinvenuto soltanto nella stazione 1
del Medio corso del Fiume Paglia, in un tratto con fondo sabbioso e fangoso.
Sono stati catturati 5 esemplari di 6 cm di lunghezza totale, ma ne sono stati
avvistati in acqua un numero maggiore (Fig. 19).
Per la sua discreta valenza ecologica, è possibile ipotizzare la sua presenza
anche in altri tratti del corso d’acqua, limitatamente a zone con moderata
corrente e fondo costituito da sabbia e fango, che rappresentano l’habitat
preferito da questa specie.
Non sono state evidenziate potenziali minacce per questa specie. Per la tutela
del Cobite, molto importante è la conservazione degli habitat, in particolare del
tipo di substrato.
4.4.8.
Ghiozzo di ruscello (Gobius nigricans)
Caratteristiche della specie,
conservazione in Italia
distribuzione
nell’areale
e
stato
di
Il Ghiozzo di ruscello è endemico dei bacini idrografici del versante tirrenico
della Toscana, Lazio e Umbria. Il limite di distribuzione a nord è rappresentato
dal Fiume Serchio, mentre a sud dal Fiume Amaseno. Nella maggior parte
dell’areale le popolazioni risultano fortemente localizzate in seguito a estinzioni
locali verificatesi a causa di alterazioni degli habitat; solo nella parte alta del
bacino del Tevere è ancora presente con una certa continuità.
E’ un pesce di piccola taglia, bentonica, che vive nei corsi d’acqua di piccola e
media portata, caratterizzati da acque limpide e ben ossigenate e da substrati
con ciottoli o sassi che utilizza come riparo e per la deposizione delle uova. I
giovani occupano principalmente le aree ripariali dove l’acqua è poco profonda
e la corrente è moderata, mentre gli adulti preferiscono aree dove la corrente è
più vivace. Si nutre di piccoli invertebrati bentonici, come larve di insetti,
crostacei e oligocheti.
La maturità sessuale viene raggiunta al primo anno di età, alla lunghezza di 4-5
cm. Il dimorfismo sessuale riguarda la taglia che è più grande nel maschio, la
papilla genitale che è corta e tondeggiante nella femmina, mentre è allungata e
conica nel maschio, le dimensioni della testa (più grande e larga nel maschio) e
la livrea nel periodo riproduttivo quando il maschio assume una colorazione più
scura, tendente al marrone-bruno. La riproduzione ha luogo nei mesi di maggio
e giugno. Le abitudini comportamentali e riproduttive di questa specie sono
piuttosto curiose: il maschio mostra un territorialismo molto spiccato,
difendendo il riparo e l’area circostante con segnali di minaccia sia visivi che
sonori; segnali acustici e visivi vengono utilizzati anche per corteggiare la
femmina, che viene attirata nel riparo, generalmente una pietra appiattita, sulla
volta della quale entrambi depongono i gameti e le uova fecondate si
100
sviluppano.
E’ una specie che necessita di una buona qualità dell’acqua e più in generale
dell’ambiente e risente particolarmente delle artificializzazioni degli alvei. Anche
i prelievi idrici e l’inquinamento delle acque rappresentano degli elementi di
disturbo. In alcuni ambienti questa specie risulta minacciata dalla presenza di
un altro Gobide, il Ghiozzo padano (Padogobius martensii), introdotto
accidentalmente in Italia centrale durante ripopolamenti di Ciprinidi effettuati per
la pesca sportiva.
Gobius nigricans è riportato nell’Allegato II della Direttiva 92/43/CEE tra le
“specie animali e vegetali d’interesse comunitario la cui conservazione richiede
la designazione di zone speciali di conservazione”. E’ anche indicato tra le
specie protette nella Convenzione di Berna. Tra le categorie di minaccia della
Lista rossa dei Pesci d’acqua dolce in Italia, il Ghiozzo di ruscello è considerato
”in pericolo”.
Distribuzione e stato di conservazione nel SIC
Prima delle nostre indagini, gli unici dati disponibili sulla presenza di Gobidi nel
medio corso del Fiume Paglia e in alcuni fossi immissari si riferivano ad alcune
segnalazioni di pescatori sportivi e del personale della Riserva e osservazioni
sulla presenza di ovature tipiche di ghiozzi osservate sotto i sassi nel tratto del
Fiume Paglia in prossimità del Ponte Gregoriano. Prove più certe sulla
presenza del Ghiozzo di ruscello sono emerse invece dall’analisi del materiale
fotografico di archivio della Riserva che raffigura esemplari di questa specie nei
Fossi Stridolone e Subissone (Figg. 27 e 28), e da recenti ricerche condotte
nell’ambito di una tesi di laurea ancora i corso.
Durante i campionamenti nelle Stazioni 1 e 2 del Medio corso del Fiume Paglia
sono stati rinvenuti rispettivamente 7 e 4 esemplari di Ghiozzo di ruscello (Figg.
19 e 20). Alcuni individui sono stati catturati anche in alcuni immissari, quali i
Fossi Subissone e Stridolone (quest’ultimo non compreso nel SIC) (Fig. 24); nel
primo corso d’acqua è stata catturata con il coppo una femmina in riproduzione
a monte della briglia in corrispondenza del guado sul fosso e 3 individui a valle,
prima della confluenza con il Fiume Paglia, mentre sul Fosso Stridolone sono
stati catturati 5 esemplari con l’elettrostorditore. L’unico sito di campionamento
in cui non è stata rilevata la presenza di questa specie è la stazione 3, in
relazione probabilmente alle condizioni di piena del fiume e alle difficoltà nel
campionamento. Per le caratteristiche di elevata naturalità di questa parte del
corso d’acqua, la presenza di substrati idonei per le esigenze di queste specie e
l’assenza di impatto antropico e di elementi di disturbo, quali discontinuità
dell’alveo che avrebbero potuto limitare la sua distribuzione, consideriamo il
Ghiozzo di ruscello presente anche in questo tratto.
La cattura (seguita da rilascio) di esemplari giovani e di adulti in riproduzione e
l’osservazione di numerose ovature sotto i sassi con uova in sviluppo
embrionale indicano che il Ghiozzo di ruscello è distribuito ampiamente nel SIC
e nel Fosso Stridolone e che le popolazioni sono in un buono stato di
conservazione e in grado di mantenere la capacità riproduttiva della
101
popolazione.
Per le numerose discontinuità sul Fosso Subissone, l’esemplare rinvenuto nel
tratto a monte della briglia potrebbe far parte di una piccola popolazione isolata;
la presenza del Ghiozzo di ruscello è invece maggiore nel tratto in prossimità
della confluenza con il Fiume Paglia e gli esemplari catturati fanno sicuramente
parte della stessa popolazione presente in questo corso d’acqua.
I dati presenti in letteratura riportano che questa specie è attualmente distribuita
con continuità solo nella parte alta del bacino del Tevere, mentre in quasi tutto
l’areale di distribuzione le popolazioni sono in forte contrazione e risultano
alquanto localizzate a causa di estinzioni locali verificatesi nel corso degli anni. I
nostri dati sulla presenza ed ampia distribuzione del Ghiozzo di ruscello nel SIC
Medio corso del Fiume Paglia e in altri corsi minori del territorio della Riserva
assumono quindi maggiore rilevanza se inquadrati in questo contesto generale
e supportano ampiamente le auspicabili attività volte alla tutela di questa specie
nel SIC, attività che devono essere volte essenzialmente al mantenimento della
naturalità dei corsi d’acqua e al controllo dell’inquinamento.
4.5.
ERPETOFAUNA
4.5.1.
Premessa metodologica
La presenza degli Anfibi e dei Rettili all’interno del SIC è stata rilevata
utilizzando tre tipologie diverse di indagine:
•
è stata consultata la bibliografia disponibile inerente alla specie e il
database erpetologico del Lazio coordinato dal Prof. Marco A. Bologna
(Laboratorio di Zoologia, Dipartimento di Biologia Università di Roma Tre);
•
sono state condotte interviste al personale guardiaparco della riserva
"Monte Rufeno";
•
sono stati effettuati campionamenti diretti sul campo finalizzati al
rilevamento delle specie.
Dopo un'attenta osservazione della cartografia, in considerazione delle
conoscenze sulla biologia delle specie e dell’esperienza sul territorio dei
guardiaparco, sono stati effettuate due sessioni di campionamento nei mesi di
Marzo e Maggio nelle aree potenzialmente idonee ad ospitare le specie. In
particolare sono state sottoposte ad indagine erpetofaunistica:
•
i corpi idrici a facies lotica quali i fossi “Del Gambero”, “Tirolle”,
“Acquachiara” e “Sorgente delle Lame”,
•
i corpi idrici a facies lentica quali i fontanili “Vitabbieti”, “Campo del prete” e
“S. Vittorio” (questi ultimi due siti in un’area limitrofa alla ZPS)
•
stagni (trosce), fontanili, pozze nei pressi di ruscelli ed altre raccolte
d’acqua nel bacino del Fiume Fiora; “pozza Ottonia”, “pozza Fossatello”,
“troscia del porcino”, pozza non meglio identificata, prima dell’area
faunistica;
102
Pozza Hottonia. Tipologia di corpo idrico a carattere fortemente astatico in
bosco misto caducifoglio, ideale per le attività di foraggiamento e basking
della Emys orbicularis. Sono presenti cospicue popolazioni di Triturus carnifex
e Triturus vulgaris. Questa troscia in particolare è un ambiente a rischio in
quanto sta evolvendo piuttosto rapidamente verso l’interramento a causa del
progredire di Carex a scapito inoltre della popolazione di Hottonia palustris.
103
Troscia in bosco caducifoglio. Tipologia di corpo idrico in bosco misto
caducifoglio con copertura della vegetazione abbondante. E’ colonizzata da
Emys orbicularis, in particolare per l’attività di foraggiamento. Sono presenti
anche le due specie di Tritoni crestato e punteggiato. E’ minacciata dalla
frequentazione da parte degli ungulati selvatici (cinghiale e capriolo) che
costituiscono un disturbo soprattutto per la testuggine palustre europea.
104
•
ambienti misti (bosco e prati pascoli).
All’interno dei corpi idrici sono stati campionati a vista la vegetazione e gli altri
supporti utilizzati dagli animali per la ovodeposizione ed è stato utilizzato un
retino da gamberi per la cattura degli gli adulti e delle larve, che sono state
determinate ed immediatamente rilasciate.
4.5.2.
Salamandrina dagli occhiali (Salamandrina terdigitata)
Caratteristiche e distribuzione generale
Salamandrina terdigitata è una specie endemica dell’Appennino appartenente
ad un genere monotipico (Vanni & Nistri, 1997). Rispetto ad altri Salamandridi,
la salamandrina dagli occhiali ha un aspetto gracile con capo ben distinto dal
tronco, arti esili che, a sviluppo definitivo, presentano quattro dita su tutte le
zampe. Le dimensioni degli individui adulti, maturi sessualmente, variano in un
intervallo tra 60 a 111 mm compresa la coda (Vanni & Lanza 1978). La
colorazione appare uniformemente bruno-nerastra sul dorso. A livello del capo
vi è una macchia interoculare biancastra-giallo ocra dalla forma che ricorda
grossolanamente quella di un paio di occhiali. L’addome è variamente ed
irregolarmente pigmentato con alternanza di screziature rosse e macchie nere
su uno sfondo biancastro. La superficie della cute è finemente e uniformemente
granulosa e il rilevamento di costole e vertebre rende tale animale in apparenza
fortemente disidratato (Lanza, 1983).
Habitat elettivi sono principalmente valli ombrose, fresche e umide sebbene
viva anche in ambienti aperti e fortemente antropizzati quali parchi o terreni
coltivati; non mancano segnalazioni occasionali in grotta. Slamandrina
terdigitata è una specie decisamente terricola che si reca in acqua solo nel
periodo della deposizione. Di abitudini notturne ed elusive, vive nascosta tra i
sassi e nelle fessure del suolo, più di rado sotto i tronchi marcescenti (Vanni,
1980), comparendo all’aperto solo nel periodo degli amori o dopo piogge
abbondanti. L’accoppiamento avviene in un periodo compreso tra l’autunno e la
primavera (Lanza, 1983) mentre l’ovodeposizione ha luogo generalmente da
marzo a maggio (Della Rocca et al. , in stampa). Salamandrina terdigitata
presenta sviluppo indiretto. Il periodo di incubazione dell’uovo è correlato alla
temperatura dell’acqua (Della Rocca et al. , in stampa), e ad una temperatura di
14°C è di circa 20 giorni (Vanni, 1980).
Distribuzione e stato di conservazione in Italia
L’areale della salamandrina dagli occhiali si estende in modo continuo dalla
provincia di Genova all’estremità meridionale della Calabria (Aspromonte), con
maggiore frequenza di località del versante tirrenico, ma con recenti
segnalazioni anche in alcune località del versante adriatico (Zuffi, 1999). La
specie è diffusa dal livello del mare fino a ca. 1500 m di quota, più
frequentemente tra 200 m e 700 m s.l.m., pertanto è considerata specie
105
tipicamente collinare strettamente legata a cenosi forestali subtermofile o
mesofile. Il suo stato di conservazione è di difficile definizione a causa delle
difficoltà di rilevamento al di fuori del periodo riproduttivo. E’ una specie molto
sensibile al disboscamento e all’alterazione dei corpi idrici utilizzati per
l’ovodeposizione.
La salamandrina dagli occhiali è specie protetta dalla Direttiva “Habitat”
92/43/CEE (Appendice II e IV), ed è inclusa anche nell’Allegato II della
Convenzione di Berna (1979), che promuove la conservazione della vita
selvatica e degli ambienti naturali in Europa. Infine, in Italia Salamandrina
terdigitata è inserita nel “Libro Rosso” dei vertebrati, quale specie parzialmente
minacciata (“LR = Lower Risk”) (Bulgarini et al., 1998).
Distribuzione e stato di conservazione nel Lazio
Nel Lazio la salamandrina dagli occhiali è ampiamente diffusa ancorché
localizzata, con popolazioni apparentemente stabili (Corsetti & Capula, 1992;
Corsetti, 1993, 1999; Corsetti & Angelini, 2000) ed è nota in tutti i rilievi
antiappenninici, dai Monti Cimini agli Aurunci. La specie è ampiamente
distribuita anche in aree appenniniche nonché in alcune località planiziali
presso Roma (Aranova, Acquatraversa, Malafede) (Corsetti & Angelini, 2000;
Vignoli & Bologna., 2001; Vignoli et al., 2001).
Nel Lazio meridionale è stata rilevata attività riproduttiva anche durante la
stagione autunnale con ovodeposizioni osservate nel mese di ottobre (Corsetti
1999a, 1999b). Il subareale laziale risulta frammentato anche se l’elusività della
specie contribuisce a sottostimare la sua reale distribuzione. Elemento
pressoché costante per consentire la vitalità delle popolazioni, è la presenza di
un ruscello di modesta portata o di un piccolo bacino con acque limpide e
fresche, per lo più (ma non necessariamente) a fondo roccioso o sassoso, ben
protetto dalla vegetazione delle rive e del tutto privo di fauna ittica. Tali bacini
idrici, fondamentali siti di ovodeposizione, possono occasionalmente essere
anche artificiali o semiartificiali, come abbeveratoi, piccoli pozzi in pietra,
vasche in metallo o cemento.
La specie è protetta dalla L. R. 18/1988. Infine, Salamandrina terdigitata è
inclusa nella “Lista Rossa degli anfibi e dei rettili del Lazio”, classificata quale
specie vulnerabile (“VU = vulnerable”) (Scalera et al., 2000).
Distribuzione e stato di conservazione nel sito
La specie non risulta segnalata in bibliografia all'interno del sito in esame. Il
personale guardaparco della Riserva Naturale Regionale Monte Rufeno ha
rilevato la specie all'interno della ZPS "Monte Rufeno" con regolarità negli ultimi
3 anni. Durante i campionamenti, la presenza della specie è stata rilevata nei
fossi “del gambero” e “Acquachiara”. Le osservazioni fanno riferimento
esclusivamente a stadi larvali.
I rilievi erpetofaunistici effettuati sottolineano il buono stato delle popolazioni di
salamandrina dagli occhiali presenti all’interno della ZPS. I diversi corpi idrici in
cui la specie è stata osservata mantengono un’elevata naturalità, requisito
imprescindibile perché la specie vi espleti l’intero ciclo vitale. Inoltre, il
106
ritrovamento delle larve evidenzia inequivocabilmente un’attività riproduttiva
della specie nel sito.
Complessivamente i dati ottenuti dalle tre tipologie di indagini non si ritengono
sufficienti a determinare lo stato di conservazione delle popolazioni della specie
nel sito di indagine. Tuttavia è evidente la presenza di habitat idonei e la
presenza effettiva di popolazioni riproducentesi all’intenro della ZPS.
E' inoltre necessario tenere in considerazione che la mancanza di studi specifici
in loco, e per raffronto con altre indagini popolazionistiche sviluppate in Italia
centrale (Angelini et al. 2001; Della Rocca et al., in stampa), non consente di
avere un quadro puntuale ed esaustivo sulla consistenza numerica e la struttura
di queste popolazioni.
La presenza della salamandrina dagli occhiali all’interno della ZPS in esame
non è riportata all’interno della scheda “Natura 2000” relativa. Pertanto la sua
rilevazione durante la presente indagine costituisce un importante dato in
funzione della gestione e della valutazione della ZPS stessa.
4.5.3.
Tritone crestato italiano (Triturus carnifex)
Caratteristiche della specie e distribuzione generale
Si tratta di una specie di salamandride principalmente acquatica, caratterizzata
da un evidente dimorfismo sessuale per quanto concerne dimensione,
morfologia e colorazione del corpo. In entrambi i sessi il dorso presenta una
colorazione scura con punteggiature nere tonde ed irregolari; il ventre è gialloarancio con macchie sparse da grigiastre a nere (Lanza, 1983). Il maschio
raggiunge 15 cm e durante la fregola presenta un’evidente cresta dorsale, una
banda argentea caudale ed un ingrossamento cloacale. Le femmine, lunghe
fino a 18 cm, non hanno particolari trasformazioni durante la fregola, ma talvolta
presentano una striscia gialla dorsale (Lanza, 1983). Colonizza bacini larghi e
profondi con abbondante vegetazione, ma può vivere anche in stagni, pozze
astatiche, piccoli corsi d’acqua o anse di fiumi, canali di irrigazione, cisterne,
pozzi di pietra, fontanili e sorgenti (Bonifazi, 2000; Bonifazi & Carpaneto, 1990;
Giacoma, 1988; Griffiths, 1996). Dove le raccolte d’acqua sono soggette ad
essiccazione, gli individui sono in grado di intraprendere una vita terrestre
interrandosi o nascondendosi sotto pietre, tronchi ed all’interno di manufatti, per
poi entrare in quiescenza durante i periodi aridi oppure scegliendo le ore più
umide della giornata per uscire ed alimentarsi di artropodi terrestri. Gli
accoppiamenti avvengono in acqua. Le uova sono deposte singolarmente sulla
vegetazione acquatica. Si nutre di numerosi invertebrati acquatici (larve di
chironomidi, efemerotteri, anisotteri e ditiscidi e varie tipologie di piccoli
crostacei quali cladoceri, copepodi ed ostracodi) e terrestri (Fasola & Canova,
1992).
La specie è distribuita nella Svizzera meridionale, in parte dell’Austria, nella
Baviera meridionale, in Slovenia, in Croazia e in Italia (isole escluse) (Arntzen &
Borkin, 1997).
107
Distribuzione e stato di conservazione in Italia
Specie ben diffusa su tutto il territorio nazionale si rinviene dal livello del mare
fino a 1600 m s.l.m. sulle Alpi e 1800 m s.l.m sull’Appennino (SHI, 1996).
L’inquinamento dei corpi idrici, la distruzione degli ambienti umidi e
l‘introduzione di pesci carnivori nelle acqua di stagni e fontanili sono i principali
fattori di minaccia per questo salamandride.
Il tritone crestato italiano è specie protetta dalla Direttiva “Habitat” 92/43/CEE
(Appendice II e IV), ed è presente anche in allegato II della Convenzione di
Berna (1979), che promuove la conservazione della vita selvatica e degli
ambienti naturali in Europa. Dall’IUCN è catalogata come specie parzialmente
minacciata (“LR = Low Risk”) (Scalera et al., 2000).
Distribuzione e stato di conservazione nel Lazio
Nel Lazio è probabilmente l’urodelo più comune e diffuso. Presenta popolazioni
in tutte le provincie, colonizzando ambienti acquatici di varia natura sia naturali
sia artificiali, dal livello del mare fino a circa 1800 m s.l.m. (Lago della
Duchessa) (Bonifazi, 2000). I fattori di minaccia principali sono simili a quelli
menzionati su scala nazionale. E’ importante però evidenziare come la pulizia di
fontanili e pozzi legati ad attività antropiche (pastorizia ed agricoltura) spesso
entrino in conflitto con questi anfibi sia per le modalità (svuotamento ed
eradicazione totale della vegetazione acquatica, talvolta utilizzando prodotti
chimici) sia per i tempi di realizzazione che spesso coincidono con la
ovodeposizione o lo sviluppo larvale (Bonifazi, 2000). La specie è protetta dalla
L.R. n° 18 del 15/IV/88. Nella “Lista Rossa degli anfibi e rettili del Lazio” è
classificata quale specie parzialmente minacciata (LR) (Scalera et al., 2000).
Distribuzione e stato di conservazione nel sito
La presenza di Triturus carnifex all’interno della ZPS non è testimoniata da
alcun dato bibliografico. Tre osservazioni dirette rilevano la specie in aree
limitrofe la ZPS in esame: una (1994) nei pressi di località Podere la Cerrina
(appena al di fuori del confine meridionale della ZPS) e due (1992 e 1994) in
località non precisate 2 km a NE di Acquapendente in direzione di Castel
Viscardo.
Il personale guardiaparco della Riserva Naturale Regionale Monte Rufeno, ha
permesso di rilevare la presenza diffusa della specie nelle raccolte d’acqua
permanenti o semipermanenti all'interno del territorio della ZPS.
Dopo un'attenta osservazione della cartografia, in considerazione delle
conoscenze sulla biologia della specie e dell’esperienza sul territorio dei
guardiaparco, è stata effettuata una sessione di campionamento nel mese di
giugno nelle raccolte d’acqua denominate “trosce” all'interno dei SIC costituenti
la ZPS: "Monte Rufeno", "Fosso dell’Acqua chiara" "Valle del Fossatello").
Campionando a vista la vegetazione ed altri supporti utilizzati dagli animali per
la ovodeposizione ed utilizzando un guadino per gli adulti e le larve, sono stati
indagati stagni (trosce), fontanili, pozze nei pressi di ruscelli ed altre raccolte
d’acqua.
108
Durante i campionamenti la presenza della specie è stata rilevata presso le
seguenti pozze: “pozza Hottonia”, dove sono stati trovati stadi larvali; “pozza
Fossatello”, in cui sono stati osservati stadi larvali ed individui pedomorfici;
pozza (troscia) del porcino, al cui interno sono stati rilevati stadi larvali; “pozza
non meglio identificata sita prima dell’area faunistica, dove sono stati osservati
stadi larvali. I campionamenti hanno permesso di rilevare in ogni località
un’elevata densità di individui della specie T. carnifex.
In sintesi il tritone crestato italiano è stato rinvenuto in diverse località nel corso
dei campionamenti diretti. Il ritrovamento di larve costituisce evidenza diretta
che le popolazioni ivi presenti si riproducono e permette, considerando l’aspetto
quantitativo dei rilievi erpetofaunistici, di stimare un buono-ottimo stato delle
popolazioni in esame.
La mancanza di dati pregressi peraltro non consente di ricavare informazioni sul
trend della popolazione. Complessivamente, quindi, i dati ottenuti dalle tre
tipologie di indagini si ritengono sufficienti a determinare lo stato di
conservazione della specie nel sito di indagine.
E' inoltre necessario tenere in considerazione che la mancanza di studi specifici
in loco, e per raffronto con altre indagini popolazionistiche sviluppate in Italia
centrale non consente di avere un quadro puntuale ed esaustivo sulla
consistenza numerica e la struttura di queste popolazioni.
La presenza del tritone crestato all’interno della ZPS in esame non è riportata
all’interno della scheda “Natura 2000” relativa. Pertanto la sua rilevazione
durante la presente indagine costituisce un importante dato in funzione della
gestione e della valutazione della ZPS stessa.
4.5.4.
Ululone a ventre giallo (Bombina variegata)
Caratteristiche della specie e distribuzione generale
L’ululone a ventre giallo è un piccolo anuro che raramente supera i sei
centimetri di lunghezza totale (Lanza, 1983; Caldonazzi et al., 2000). Il corpo è
piuttosto appiattito con capo largo e muso arrotondato. E’ privo di timpani ed ha
pupille triangolari o cuoriformi. Il dorso è grigio-brunastro con numerose
verruche ed escrescenze cornee. Il ventre è liscio ed ha una colorazione
brillante gialla o arancione con macchie grigio-bluastre o nere (Vandoni, 1914;
Lanza, 1983).
Bombina variegata è una specie medio-sud europea, presente nell’Europa
centrale e meridionale ad eccezione della Penisola Iberica, e delle isole del
Mediterraneo (Bologna et al., 2000).
E’ una specie politipica ed è distinta in quattro sottospecie (Gollmann et al.,
1997): variegata (Linnaeus, 1758) è distribuita dalla Francia ai Carpazi;
pachypus (Bonaparte, 1838) è un endemismo dell’Italia peninsulare, dalla
Liguria centrale all’estremità della Calabria; kolombatovici (Bedriaga, 1890) è
endemica della Dalmazia; scabra (Küster, 1843) è propria dei Balcani
meridionali.
La distribuzione altitudinale di Bombina variegata va dal livello del mare alle
109
zone medio montuose, tuttavia sembra prediligere gli ambienti collinari. Non
supera il limite superiore della vegetazione arborea e la quota massima per la
sottospecie nominale è 2100 m s.l.m. nei Balcani (Gollmann et al., 1997),
mentre la sottospecie pachypus raggiunge 1800 m s.l.m. nell’Appennino
meridionale.
La specie è legata per la riproduzione ad habitat acquatici di modeste
dimensioni, quasi sempre piccole pozze e ruscelli. Nel primo caso si tratta per
lo più di pozze temporanee o durature originate dalla presenza di fontanili,
piccole risorgive, depressioni del terreno, solchi lasciati da mezzi agricoli
riempiti d'acqua oppure da pozze di abbeverata scavate per il bestiame. Nel
caso degli ambienti reici, questi sono costituiti in massima parte dall’alto corso
di piccole aste secondarie. Generalmente questi ambienti acquatici sono al
margine di boschi di latifoglie o di cespuglieti (Bologna et al., 2000). Si tratta di
un elemento K-selezionato a lunga vita (ca. 10 anni) e tardiva maturità sessuale
(3 anni) a spiccata filopatria verso i siti riproduttivi.
Distribuzione e stato di conservazione in Italia
In Italia sono presenti le sottospecie variegata e pachypus; la prima è distribuita
a Nord del fiume Po, dalla Lombardia al Friuli Venezia Giulia; la seconda (detta
ululone appenninico) si rinviene in tutta l’Italia peninsulare, dalla Liguria
occidentale alla Calabria. La specie è stata citata anche per la Sicilia (Bruno,
1970), ma la sua presenza nell’isola non è mai stata confermata (Turrisi &
Vaccaro, 1998). Quest’ultima sottospecie ha status tassonomico ancora incerto,
poiché secondo alcuni autori potrebbe essere elevata a rango specifico
(Barbieri et al., 2004).
Legata ad ambienti acquatici per la riproduzione, Bombina variegata ha subito
un declino numerico forse determinato soprattutto dall'alterazione di questi
habitat, spesso soggetti a bonifica, cementificazione, inquinamento o
distruzione.
L'ululone a ventre giallo è specie protetta dalla Direttiva “Habitat” 92/43/CEE
(Appendice II e IV), ed è presente anche negli allegati della Convenzione di
Berna (1979), che promuove la conservazione della vita selvatica e degli
ambienti naturali in Europa. In particolare la sottospecie variegata è inserita in
Allegato III e la sottospecie pachypus, oggetto della presente analisi, in Allegato
II. Infine, in Italia Bombina variegata è inclusa nel “Libro Rosso” dei vertebrati,
quale specie parzialmente minacciata (“LR= Lower Risk”) (Bulgarini et al.,
1998).
Bombina variegata pachypus risulta ancora più vulnerabile a causa della sua
endemicità. Sindaco (2000) inserisce l’ululone a ventre giallo nella categoria B1
ovvero “taxon endemico o subendemico con areale ad elevato indice di
frammentazione”. Tale autore considera le specie ricadenti in questa categoria
come “potenzialmente prioritarie per la conservazione a livello nazionale e
internazionale”.
Distribuzione e stato di conservazione nel Lazio
A livello regionale l’ululone appenninico presenta una distribuzione discontinua,
110
principalmente concentrata in ambiti collinari e montani; scarse sono invece le
stazioni di pianura e costiere. In particolare la specie è segnalata nel Viterbese
lungo il medio tratto del F. Fiora, nella Selva del Lamone e nell’area di Monte
Rufeno. Sempre nel Viterbese l’ululone è presente in alcune località della
Tuscia e dei Monti Cimini, sebbene la sua presenza non sia stata confermata
negli ultimi anni. Nella Provincia di Roma è stato rilevato sui Monti della Tolfa,
Colli Albani, Monte Lucretili e Lepini. Di un certo interesse sono la popolazione
citata per il bosco planiziale della Tenuta di Castelporziano ma non confermata
da dati recenti, e le popolazioni riscontrate negli ultimi anni nei limitrofi
comprensori di Malafede e di Catelfusano. Queste ultime sono le uniche
popolazioni laziali della fascia costiera di cui sia stata confermata la presenza
recentemente (Bologna et al., 2000).
La distribuzione della specie si presenta meno frammentata nella fascia
submontana e montana della provincia di Rieti. In questi settori interni, infatti,
l’ululone è segnato per i Monti Sabini, Reatini, Cicolano, Laga, e nelle valli dei
fiumi Velino, Salto e Turano. È invece assente nelle montagne della Duchessa,
forse a causa della scarsità di habitat acquatici idonei. Molto più discontinua è
la presenza della specie nei settori montani delle province di Roma e
Frosinone, in cui sono conosciute poche stazioni, per lo più concentrate nella
fascia submontana dei Monti Simbruini ed Ernici. Una sola stazione è riportata
per le catene della Meta e della Mainarde. L’ululone sembra del tutto assente
nella provincia di Latina, ad esclusione della già discussa segnalazione per
l’area del Parco del Circeo (Bologna et al., 2000).
La specie è protetta dalla L.R. 18/1988. Infine, Bombina variegata è inclusa
nella “Lista Rossa degli anfibi e dei rettili del Lazio”, classificata quale specie in
pericolo (“EN = endangered”) (Scalera et al., 2000).
Distribuzione e stato di conservazione nel sito
La presenza di Bombina variegata all’interno della ZPS è confermata da due
segnalazioni, un’osservazione diretta (risalente all’anno 1988) ed un dato
bibliografico (1992). Entrambe le segnalazioni non fanno riferimento ad una
precisa località di ritrovamento, riferendosi più generalmente al territorio della
Riserva Naturale Regionale Monte Rufeno.
Il personale guardaparco della Riserva Monte Rufeno ha rilevato regolarmente
la specie all'interno della ZPS "Monte Rufeno” fino al 2001. Durante i
campionamenti, la presenza della specie in esame non è stata confermata.
In base alle conoscenze sulla distribuzione dell’ululone a ventre giallo acquisite
durante le indagini e l’accertata disponibilità di habitat idonei, la presenza della
specie all’interno della ZPS in esame è da considerare effettiva, poiché
derivante da rilevatori attendibili, anche se le segnalazioni disponibili più recenti
risalgono al 2001.
L’elevata naturalità che caratterizza gli habitat elettivi per l’ululone a ventre
giallo osservata all’interno del sito di indagine e il ritardato inizio della stagione
idonea alla riproduzione nell’anno corrente, unico momento in cui la specie è
reperibile, fanno supporre che il mancato ritrovamento durante le indagini di
verifica, non sia necessariamente espressione del cattivo stato di
conservazione delle popolazioni. La difficoltà generale di ritrovamento della
111
specie, in molte delle stazioni note potrebbe peraltro essere imputabile al
complessivo fenomeno di riduzione delle popolazioni italiane ed in particolare di
quelle laziali (Bologna et al., 2000), la cui causa è, di fatto, ignota. Inoltre la
specie mostra una distribuzione molto frammentata in tutto il territorio del
Viterbese (Bologna et al., 2000) e con popolazioni numericamente non stimate,
ma comunque scarse.
Complessivamente i dati ottenuti dalla presente ricerca non si ritengono
sufficienti a determinare lo stato di conservazione della specie nel sito di
indagine. Certamente, visto il trend di conservazione a livello regionale e
nazionale della ssp. pachypus, riteniamo che, nonostante il buono stato di
conservazione ambientale e le scarse minacce rilevate, essa sia da ritenere
vulnerabile.
E' inoltre necessario tenere in considerazione che la mancanza di studi
specifici, ad eccezione dei dati provenienti da indagini erpetologiche più
generali (Bologna et al., 2000), non consente di avere un quadro puntuale ed
esaustivo sulla consistenza numerica e la struttura di popolazione della specie.
4.5.5.
Testuggine di Hermann (Testudo hermanni)
Caratteristiche della specie e distribuzione generale
Il genere Testudo annovera nove specie di tartarughe terrestri di cui tre
appartenenti alla fauna europea. Testudo hermanni è una specie politipica e si
distinguono due razze geografiche T. h. hermanni (Gmelin 1789) e T. h.
boettgeri (Mojsisovics 1889), facilmente distinguibili in base alla differente forma
del carapace ed alla colorazione del piastrone (Arnold & Burton, 1978). Testudo
hermanni è una specie delle coste mediterranee settentrionali (corotipo NE
Mediterraneo) (Bologna et al., 2000), diffusa con discontinuità dalla Spagna
nord-orientale fino alla Tracia turca (Bour, 1997). La maggior parte delle
popolazioni presenti dai Balcani alla Romania sud-occidentale sono ascrivibili
alla sottospecie T. h. boettgeri, mentre T. h. hermanni è diffusa nella parte
occidentale dell'areale della specie. La maggior parte delle popolazioni
selvatiche di testuggine di Hermann vive in regioni caratterizzate da clima di
tipo mediterraneo dove colonizza gli habitat caratterizzanti la zona retrodunale e
subcostiera, con scarsa vegetazione, prevalentemente di tipo erbaceo od
arbustivo basso, e la zona a macchia bassa con formazioni vegetazionali di
altezza compresa tra 1 e 3 metri. Colonizza anche ambienti di macchia alta e
querceti termofili misti, nonché arbusteti di derivazione dalle suddette
formazioni vegetazionali. Sebbene i querceti siano formazioni troppo chiuse ed
ombrose per essere abitate stabilmente dalle testuggini, possono essere aree
idonee a trascorrere il periodo invernale di letargo grazie alle escursioni
termiche meno accentuate e per sottrarsi al caldo torrido degli ambienti
retrodunali durante le ore centrali del giorno nel periodo estivo. La specie è
attiva da febbraio-marzo ad ottobre-novembre con picchi di attività nei mesi di
maggio e giugno. Durante la tarda primavera e l’estate gli animali
termoregolano, con un pattern di attività bimodale che mostra picchi nelle prime
ore del mattino e nel tardo pomeriggio, ed inattività pressoché totale durante le
112
ore centrali in cui la specie frequenta ambienti di ecotono tra macchia e radura,
il che consente di evitare l’irraggiamento diretto. L’attività riproduttiva comincia
in primavera con il corteggiamento e gli accoppiamenti e termina nei mesi di
maggio e giugno con l’ovodeposizione. Le testuggini depongono le uova
scavando i nidi nel terreno, in aree con scarsa vegetazione. I nidi appena
allestiti non appaiono diversi dal terreno circostante e non possono essere
individuati da alcuna traccia visiva.
Distribuzione e stato di conservazione in Italia
La testuggine comune, o testuggine di Hermann (Testudo hermanni), è la sola
autoctona del territorio italiano ed è riconoscibile da Testudo greca e Testudo
marginata, entrambe introdotte in alcune aree italiane, per la presenza di un
astuccio corneo sulla punta della coda e di due placche sopracaudali.
L’areale primario in Italia si estendeva a tutta l’Italia peninsulare ed alle isole
maggiori. Attualmente la distribuzione della specie è frammentata e limitata alle
seguenti regioni: Toscana, Lazio, Campania, Molise, Basilicata, Calabria,
Puglie, Sicilia, Sardegna ed alcune isole dell’Arcipelago Toscano (Societas
Herpetologica Italica, 1996). In alcune aree della Pianura Padana, nonché
occasionalmente in altre regioni, sono stati segnalati esemplari, probabilmente
provenienti dal commercio, ascrivibili alla sottospecie orientale (T. h. boettgeri),
maggiormente euriterma ed in grado di sopportare le basse temperature
invernali caratteristiche dell’Italia continentale (Ballasina, 1995).
Distribuzione e stato di conservazione nel Lazio
Nel Lazio T. hermanni è presente in tutte le province, esclusa quella di Rieti,
con i contingenti popolazionali maggiori lungo il litorale romano e viterbese,
area che rappresenta più del 85% delle segnalazioni (Carpaneto, 2000). In
questa regione la testuggine di Hermann è riscontrabile principalmente in
ambienti costieri e sub costieri, in una fascia altitudinale compresa tra il livello
del mare fino a 600 metri di quota nelle aree più termofili dove si estendono la
macchia mediterranea o il bosco caducifoglio eliofilo (es. comprensorio
tolfetano) (Carpaneto, 2000). Il periodo di attività è compreso tra aprile ed
ottobre mentre l’attività riproduttiva è concentrata nel mese di giugno.
Come in altre regioni italiane, il fenomeno diffuso del rilascio di animali
provenienti da allevamenti ha alterato, anche nel Lazio, il quadro distributivo
della specie, contribuendo in varia misura a complicare l’identità tassonomica
delle popolazioni autoctone: gli esemplari commerciati appartengono
generalmente alla sottospecie boettgeri che si ibrida senza difficoltà con la
sottospecie nominale.
Per quanto concerne la conservazione, attualmente la testuggine di Hermann è
inserita nell’appendice II del trattato CITES (Convention on the International
Trade of Endangered Species Washington, 1973, recepita in Italia dalla legge
150/92 modificata con la legge 59/93) che ne regola la vendita ed il possesso.
Infine, Testudo hermanni è inclusa nella Direttiva Habitat 92/43CEE negli
allegati II e IV e nella “Lista Rossa degli anfibi e dei rettili del Lazio”, classificata
quale specie in pericolo (“EN = endangered”) (Scalera et al., 2000).
113
Distribuzione e stato di conservazione nel sito
La presenza della specie all’interno della ZPS è testimoniata da una sola
segnalazione in cui non è precisata l’esatta località di rinvenimento riferendosi
generalmente al territorio della Riserva Naturale Regionale Monte Rumeno
(dato bibliografico risalente all’anno 1992).
Il personale guardaparco della Riserva Monte Rufeno ha rilevato la presenza
della specie in un'unica località al di fuori del territorio della ZPS, lungo la strada
provinciale presso Torre Alfina. L'osservazione risale all'anno 2002 e consiste
nel ritrovamento di un singolo esemplare. Durante i campionamenti la presenza
della specie in esame non è stata confermata.
In base alle conoscenze sulla distribuzione della testuggine di Hermann
acquisite durante le indagini, la presenza della specie all’interno della ZPS in
esame non può essere considerata effettiva, poiché mancano dati (in
particolare recenti) che supportino tale assunto. Peraltro all’interno della ZPS
sono stati riscontrati habitat idonei per la presenza di Testudo hermanni.
I dati ottenuti dalle tre tipologie di indagini fanno ipotizzare che la testuggine
comune, recentemente rinvenuta in una singola località, non presenti
popolazioni consistenti nell'area indagata e nelle aree limitrofe.
E' inoltre necessario tenere in considerazione che la mancanza di studi specifici
in loco, ad eccezione dei dati provenienti da indagini erpetofaunistiche
generiche (Atlante Anfibi e Rettili del Lazio), non consente di avere un quadro
puntuale ed esaustivo sulla consistenza numerica e la struttura di popolazione
della specie.
4.5.6.
Testuggine palustre europea (Emys orbicularis)
Caratteristiche della specie e distribuzione generale
La specie è distribuita in Europa centro-orientale e meridionale, Asia
occidentale e Africa nordoccidentale (Arnold & Burton, 1978). Abita corsi
d’acqua con corrente ridotta, stagni, lanche, paludi, lagune salmastre ed anche
bacini artificiali. E’ diffusa principalmente nelle zone di pianure ed in quelle
costiere; raramente si spinge oltre i 500 m s.l.m. (raggiunge eccezionalmente i
1400 m in Basilicata e Sicilia) (Lanza, 1983; Carpaneto, 2002). Preferisce le
zone con abbondante vegetazione acquatica, dove può cercare il cibo o sostare
in termoregolazione sia in acqua (“floating” o “basking” acquatico) sia all’esterno
(“basking”) sfruttando corpi galleggianti, rami adagiati in prossimità della riva sul
pelo dell’acqua o isole costituite da terra o vegetazione. Talvolta alcuni
esemplari possono trovarsi anche lontano dai bacini idrici sia in aree boscate
sia in terreni coltivati, noto fenomeno di dispersione da collegare probabilmente
alla ricerca di nuovi ambienti acquatici o per ovodeposizione. Gli accoppiamenti
avvengono in acqua principalmente nei mesi di maggio e giugno, la deposizione
tra giugno ed agosto. Le femmine possono deporre da 3 a 15 uova, in una buca
profonda circa 15 cm scavata nel terreno, distante anche qualche centinaio di
metri dalla risorsa idrica. La schiusa avviene normalmente dopo 80 giorni. Si
114
nutre di anellidi, molluschi, piccoli vertebrati (uccelli palustri, anfibi e loro larve,
ma anche pesci: Lanza, 1983), ma negli adulti può essere importante una
integrazione a base di vegetazione acquatica (Ferri, 1999). E’ predata
principalmente negli stadi giovanili da mammiferi (volpe, lontra ed altri carnivori,
ma anche da grossi roditori) e da uccelli (aironi, palmipedi, rapaci e corvidi); è
inoltre catturata a qualsiasi età anche dall’uomo sia per fini gastronomici
(soprattutto nel passato), sia perché ritenuta dannosa agli impianti di
acquicoltura (Ferri, 1999; Lanza, 1983).
Distribuzione e stato di conservazione in Italia
Si trova su tutto il territorio nazionale (Sardegna e Sicilia incluse) con la
sottospecie E. orbicularis galloitalica. Sembra meno frequente nelle zone
montuose. La specie ha subito una drastica diminuzione delle popolazioni in
tutte le zone umide nazionali. Il cambio d’uso del suolo a favore dell’edilizia e
dell’agricoltura hanno alterato sia le zone di nutrizione ed accoppiamento
(stagni, laghi, fiumi a lento corso, etc.) sia le zone di deposizione (i campi nelle
zone adiacenti i bacini idrici).
Dall’IUCN è catalogata come specie parzialmente minacciata (“LR”) (Spagnesi
& Zambotti, 2001). Infine, in Italia Emys orbicularis è inclusa nel “Libro Rosso”
dei vertebrati, quale specie parzialmente minacciata (“LR= Lower Risk”)
(Bulgarini et al., 1998).
Distribuzione e stato di conservazione nel Lazio
E’ presente in quasi il 20% dei quadranti in cui è diviso il territorio regionale, ma
in realtà le popolazioni sono molto rarefatte. Le segnalazioni più numerose
riguardano le province di Viterbo, Roma e Latina (Utzeri, 2000). Le popolazioni
della Testuggine d’acqua europea sono fortemente diminuite a seguito delle
imponenti opere di bonifica avvenute nel secolo scorso. Non esistono dati sullo
status e sulla struttura di popolazione ed eccezione della Riserva Naturale di
Monte Rufeno e di Castel Porziano.
Nella “Lista Rossa degli anfibi e rettili del Lazio” è classificata quale specie in
pericolo (“EN = Endangered”) (Scalera et al., 2000).
Distribuzione e stato di conservazione nel sito
Emys orbicularis è presente nella ZPS in esame con diversi contingenti
popolazionali o subpopolazionali, colonizzando diffusamente le aree umide
all’interno della Riserva Naturale Regionale Monte Rufeno. I dati di presenza
sono sia bibliografici (risalenti agli anni 1992, 1994, 1996, 1997, 1998), sia
osservazioni dirette (1988).
Il personale guardiaparco della Riserva Naturale Regionale Monte Rufeno ha
permesso di rilevare la presenza della specie in diverse località all'interno della
ZPS. La specie è osservata con continuità da circa dieci anni in corrispondenza
delle pozze (“trosce”) presenti all’interno di boschi caducifogli o misti,
conosciute con denominazioni tratte dagli studi effettuati su Emys orbicularis
negli anni 1994 e 1997-98: “pozza Hottonia”, “pozza Vitabbiete”, “pozza Dama”,
“pozza Fossatello”, “troscia del Porcino”, pozza non meglio identificata, prima
115
dell’area faunistica, “pozza Raganella”, “Troscione”.
A questo riguardo gli ultimi censimenti svolti dal personale della Riserva
Naturale di Monte Rufeno del 2001 sulle popolazioni di questa specie hanno
messo in evidenza una popolazione minima di 84 individui contro i 120 presenti
nel 1996 (Rovero F., 1994-95 Tesi di Laurea; M. F. W. Marango, 1997-1998
Tesi di Laurea);
Dopo un'attenta osservazione della cartografia, in considerazione delle
conoscenze sulla biologia della specie e dell’esperienza sul territorio dei
guardiaparco, sono stati effettuate due sessioni di campionamento nel mese di
Maggio esplorando gli ambienti elettivi per la specie in tutto il territorio della
ZPS.
Nel dettaglio sono stati effettuati rilevamenti erpetofaunistici presso le raccolte
d’acqua denominate: a) “pozza Hottonia”, b) “pozza Fossatello”, c) “troscia del
porcino”, d) pozza non meglio identificata, prima dell’area faunistica.
Durante i campionamenti la presenza della specie in esame è stata confermata
in 3 delle 4 raccolte d’acqua esaminate, sempre osservando un numero
compreso tra 1 e 5 esemplari.
I dati ottenuti dalle tre tipologie di indagini fanno ipotizzare che la testuggine
palustre, rinvenuta in quattro località, presenti popolazioni consistenti e vitali
nell'area indagata, almeno per quanto concerne le aree umide della ZPS.
Studi di popolazione pluriennali pregressi, effettuati dall’Università di Firenze,
confermano la stabilità e la vitalità delle popolazioni in esame.
4.5.7.
Cervone (Elaphe quatuorlineata)
Caratteristiche della specie e distribuzione generale
Il genere Elaphe annovera circa 38 specie di ofidi aglifi di cui 7 appartenenti alla
fauna europea e 5 presenti in Italia. Il cervone (Elaphe quatuorlineata) è diffuso
nell'Italia appenninica e in Sicilia, nell'area mediterranea di Slovenia, Croazia e
Montenegro, Albania, Macedonia meridionale, Grecia, Bulgaria, Romania,
Moldavia, Ucraiana e Russia precaucasica; popolazioni sono presenti
marginalmente anche in Kazakistan, Turkmenistan, Iran, Turchia e Siria
(Böhme, 1997). Elaphe quatuorlineata è una specie politipica con 3 sottospecie:
E. q. quatuorlineata (Lacépède, 1789) diffusa dall'Italia peninsulare ai Balcani,
E. q. sauromates (Pallas, 1814) presente nell'Europa orientale fino al Caucaso,
E. q. muenteri (Bedriaga, 1881) solo di alcune isole Egee (Böhme, 1997).
Elaphe quatuorlineata presenta una colorazione delle parti superiori brunogiallastra con quattro caratteristiche bande longitudinali scure (due per lato)
decorrenti dal collo fino alla base della coda (Arnold & Burton, 1978). E’ uno dei
serpenti più grandi d’Europa raggiungendo, seppur raramente, la lunghezza
massima di 260 cm. La macchia mediterranea è il tipico habitat colonizzato da
questa specie, sebbene anche altri boschi caducifogli termofili siano largamente
colonizzati. Predilege soprattutto aree ecotonali radure-bosco, forre, boscaglie,
ruderi, muretti a secco e coltivi (Bruno & Maugeri, 1977). Lo si riscontra dal
livello del mare sino a 2500 m (Armenia). Il cervone è una specie decisamente
terrestre sebbene sia un abile arrampicatore e nuotatore. Tali caratteristiche
116
permettono al cervone di colonizzare una vasta varietà di ambienti,
sfruttandone le diverse disponibilità trofiche. E’ un attivo predatore la cui dieta
comprende lucertole, uccelli micromammiferi. Durante i mesi più freddi (da
settembre-ottobre a marzo-aprile), trascorre la latenza invernale nelle cavità
degli alberi o all’interno di tane di roditori abbandonate. L’attività riproduttiva
comincia in primavera (maggio-giugno) con gli accoppiamenti e termina nei
mesi di giugno e luglio con l’ovodeposizione. Le femmine depongono da 3 a 18
uova scavando buche nel terreno o sotto le radici degli alberi deperienti. I
giovani sono attivamente predati dal biacco mentre gli adulti sono regolarmente
cacciati dal cinghiale, il tasso, la volpe e falconiformi.
Distribuzione e stato di conservazione in Italia
In Italia il cervone è diffuso nell’area peninsulare a sud del fiume Arno ed in
Sicilia (Societas Herpetologica Italica, 1996). Sembra sia stato importato, senza
acclimatazione, in Liguria, Piemonte, Trentino, Veneto e Toscana
settentrionale. E’ uno dei serpenti più conosciuti dagli abitanti delle campagne,
per il quale hanno coniato le denominazioni più varie, spesso legate a credenze
popolari. Il nome di “pasturavacche” risale ad una delle più diffuse che vuole il
cervone ghiottissimo di latte, tanto da spingersi ad attingerlo direttamente dalle
mammelle delle mucche al pascolo o addirittura a quelle delle donne con il
neonato accanto. E’ ancora oggi protagonista di manifestazioni pagane legate
al culto di Angizia, che hanno luogo, quale cerimonia religiosa, a Cocullo e
Preturo (Abruzzo). In Italia, come in altre zone del suo areale, il cervone è
fortemente in contrazione principalmente per l’alterazione e la riduzione degli
habitat naturali.
In Italia il cervone è incluso nel “Libro Rosso” dei vertebrati, quale specie
parzialmente minacciata (“LR = Lower Risk”) (Bulgarini et al., 1998).
Distribuzione e stato di conservazione nel Lazio
Nel Lazio E. quatuorlineata è presente su tutto il territorio regionale in tutte le
province, anche se meno frequente nel settore sud-orientale, probabilmente per
difetto di ricerche (Cattaneo & Carpaneto, 2000). In questa regione il cervone
colonizza formazioni di bosco e boscaglia, sia sempreverdi sia caducifoglie e
misti, prediligendo, all’interno di queste, le aree ecotonali a confine con le
radure idonee all’attività di termoregolazione (Cattaneo & Carpaneto, 2000). Si
rinviene anche in ambienti ruderali o con un basso grado di antropizzazione,
dove trova nei manufatti i siti di rifugio o estivazione-ibernazione. Il legame con
l’acqua porta il cervone e visitare ambienti sia lotici che lentici quando entrano
in contatto con gli habitat boscosi o arbustivi. Specie tipicamente termoxerofila
si spinge eccezionalmente fino a 1500 m s.l.m. sui Monti Lepini anche se
generalmente non supera i 900-1000, rimanendo a quote più basse, più
caratteristiche dell’ambiente mediterraneo.
E. quatuorlineata è inclusa nella “Lista Rossa degli anfibi e dei rettili del Lazio”,
classificata quale specie in pericolo (“EN = Endangered”) (Scalera et al., 2000).
117
Distribuzione e stato di conservazione nel sito
Due segnalazioni rilevano la presenza di Elaphe quatuorlineata all’interno della
ZPS: un’osservazione diretta (risalente all’anno 1988) e un dato bibliografico
(1992). Entrambe le segnalazioni non fanno riferimento ad una precisa località
di ritrovamento, riferendosi più generalmente al territorio della Riserva Naturale
Regionale Monte Rufeno.
Il personale guardaparco della Riserva Naturale Regionale Monte Rufeno ha
rilevato la specie all'interno della ZPS "Monte Rufeno", in località Tetto Rosso
nell’anno 2000 e in località Vitabbieti nel 2002. La specie è peraltro ben nota
agli abitanti in tutta l’area. Durante i campionamenti la presenza della specie in
esame non è stata confermata.
In base alle conoscenze sulla distribuzione del cervone acquisite mediante le
tre tipologie di indagine è evidente una presenza effettiva della specie all’interno
della ZPS in esame. La frequenza di incontro della specie, associata all’elevata
naturalità caratterizzante gli habitat elettivi per il cervone osservate all’interno
del sito di indagine, permettono di rilevare un'ottima potenzialità ambientale ad
ospitare la specie.
E' inoltre necessario tenere in considerazione che la mancanza di studi
specifici, ad eccezione dei dati provenienti da indagini erpetofaunistiche
generiche (Atlante Anfibi e Rettili del Lazio), non consente di avere un quadro
puntuale ed esaustivo sulla consistenza numerica e la struttura di popolazione
della specie, poiché le osservazioni a disposizione sono tutte frutto di incontri
casuali.
4.6.
ORNITOFAUNA
4.6.1.
Premessa metodologica
Per quanto riguarda i rapaci, il lavoro di censimento e localizzazione delle
coppie nidificanti nell’area di Monte Rufeno è iniziato nel mese di febbraio.
Dopo uno studio del territorio, utilizzando carte CTR 1:10.000 e la carta della
vegetazione della Riserva Naturale Monte Rufeno 1:10.000, e l’esame
bibliografico dei vari metodi usati per questa tipologia di lavoro, si è scelto di
censire le coppie con dei punti d’avvistamento. Tali punti sono stati scelti in
modo da creare una rete, che andasse a coprire la maggior parte dei territori
destinati ad essere SIC e ZPS; così se un punto d’avvistamento copre un
territorio X, il punto d’avvistamento successivo copre il territorio Y, confinante
con X. Questo vale per tutti i punti presi in considerazione.
In un primo momento si è scelta una sosta di 30 minuti per ogni punto
d’avvistamento. Il lavoro d’osservazione è stato fatto con regolarità dal 15
febbraio al 1°giugno una volta a settimana. Dal 1° maggio, mese in cui quasi
tutti i rapaci migratori hanno raggiunto la loro destinazione (il falco pecchiaiolo,
a differenza del nibbio bruno e del biancone ha un picco migratorio molto più
tardivo, di solito i primi giorni di maggio), si sono eliminati i punti d’avvistamento
118
che interessavano aree poco o per nulla idonee alla nidificazione. Nei punti
d’avvistamento rimasti si è scelto di prolungare il tempo di sosta ad un’ora, così
da aumentare la possibilità di osservare i rapaci in parata o in atteggiamento di
difesa del territorio.
Si riportano nel seguito tutti i nomi assegnati ai punti d’avvistamento,
individuabili nella pagina gis creata.
NAME: FZMR1 – FZMR2 – FZMR3 – FZMR4 – FZMR5 – FZMR6 – FZMR8
Nella tabella seguente sono riportati i punti in cui sono state avvistate una o più
specie: la data dell’avvistamento, il nome del waypoint cui si fa riferimento, la
specie, il numero degli individui avvistati ed il comportamento quando possibile
o, se distanti dal punto d’avvistamento, la determinazione della loro posizione.
DATA
08042004
08042004
15042004
15042004
22042004
22042004
WAYPOINT
FZMR1
FZMR1
FZMR1
FZMR1
FZMR1
FZMR1
07052004
07052004
08052004
11052004
11052004
21052004
21052004
25052004
25052004
25052004
08042004
FZMR1
FZMR1
FZMR2
FZMR1
FZMR1
FZMR1
FZMR1
FZMRPEC2
FZMRPE
FZMR2
FZMR6
SPECIE
NUMERO
Circaetus gall.
1
Milvus migrans
2
Milvus migrans
1
Circaetus gall.
2
Milvus migrans
1
Circaetus gall.
1
Si raddoppia il tempo
Pernis apivorus
1
Milvus migrans
4
Milvus migrans
1
Milvus migrans
1
Indeterminati
2
Pernis apivorus
5
Milvus migrans
1
Pernis apivorus
1
Pernis apivorus
1
Pernis apivorus
1
Milvus migrans
1
BEHAVIOUR
caccia
parata
parata
migrazione
Monte Crocione
caccia
a terra
a terra
Oltre ai waypoint di partenza, sono riportati in quest’ultima tabella ulteriori punti
d’avvistamento. Questi punti aggiunti sono gli avvistamenti fatti durante gli
spostamenti da un punto all’altro, o per il falco pecchiaiolo avvistamenti fatti
lungo una strada che non è stata scelta inizialmente come punto obbligato
d’avvistamento, ma si è deciso di praticarla solo dopo aver accertato la
presenza della specie nella stessa area degli anni precedenti e l’utilizzo di
questa strada quale territorio di caccia. Infatti il falco pecchiaiolo, essendo una
specie strettamente forestale, non è facilmente osservabile da punti esterni alle
aree boschive.
Nel periodo di studio non si è potuto accertare la nidificazione di nessuna
coppia, infatti per fare ciò è necessario rinvenire nido con uova o piccoli, nido
vuoto, trasporto imbeccata, sacche fecali, materiale per il nido. Il rinvenire
sacche fecali o materiale per il nido implica un avvicinamento al nido tale da
poter provocare l’abbandono da parte della coppia.
119
Mentre il periodo di studio è stato antecedente alla nascita dei pulli e quindi a
tutto ciò che può interessare gli stessi o le cure parentali. Il rinvenimento del
nido vuoto è un’operazione che va effettuata dopo il periodo autunnale, quando
gli alberi sono spogli ed i nidi sono più facilmente individuabili.
Quindi si è parlato esclusivamente di
•
nidificazione probabile: uccello in canto, impegnato in attività di difesa del
territorio, osservate le parate nuziali;
•
nidificazione eventuale: uccello osservato durante il periodo riproduttivo,
nell’ambiente adatto, senza altra indicazione di nidificazione.
(SROPU, 1995)
Per quanto riguarda le specie ornitiche, Il Succiacapre è stato censito in 14
punti di ascolto, distanziati almeno 1 km l’uno dall’altro, in tre uscite effettuate il
21 maggio, 28 maggio e 7 giugno 2004, nella fascia oraria 21.00 – 24.00. Due
dei 14 punti sono stati collocati nel SIC “Bosco del Sasseto” e uno nella vicina
zona Caselle-Giardino dove la specie era stata censita in anni recenti. Gli altri
11 punti di ascolto sono stati distribuiti nel seguente modo: sette nella ZPS
‘Monte Rufeno’, includendo il sito posto in località Lanetta dove il Succiacapre
era stato rilevato nel 1996 (Papi com. pers.); quattro in zone aperte a ridosso
delle formazioni boschive della ZPS, ma fuori dai suoi confini. Questi quattro
punti, che includono il sito S. Angelo dove la specie era presente nel 2001 (Papi
com. pers.) e che non distavano più di un chilometro dalle formazioni boschive
della ZPS, sono stati effettuati perché tre su quattro segnalazioni passate del
Succiacapre (Ponte Gregoriano nel 1996, Podernovo nel 2000, S.Angelo nel
2001) erano avvenute appunto al di fuori della ZPS suggerendo una preferenza
della specie per queste zone al margine tra l’area boschiva della ZPS e gli
ambienti aperti. In ogni punto d’ascolto il rilevatore sostava per dieci minuti.
I rilevamenti della Tottavilla sono stati effettuati due volte nel periodo invernale
(16 gennaio e 23 gennaio) e tre volte a primavera (29 marzo, 10 maggio e 22
maggio), nell’uscita del 29 marzo, comunque, non è stato possibile raccogliere
dati a causa delle condizioni climatiche inclementi. Nelle uscite invernali sono
state effettuate escursioni nella ZPS e nelle zone di fondovalle del Paglia. Nelle
uscite primaverili la Tottavilla è stata censita mediante punti d’ascolto (Blondel
et al. 1970) della durata di 10 min. distanti almeno 200 m l’uno dall’altro. Sono
state effettuate 11 stazioni d’ascolto nei punti in cui la specie era stata censita
negli anni passati (Calvario et al. 1991, Papi com pers.): Fosso Gambero, Tetto
Rosso, Morto Loto, Tigna, Monaldesca, Querciabuca, Tigna Vitabiete,
Pianacce, Procoio, S. Antonio, Mazzante.
L’Averla piccola è stata cercata nei due punti in cui era stata censita negli anni
1996-1998: Località Podere Fornello nella ZPS Monte Rufeno e Località S.
Antonio vicino all’area del SIC ‘Il Sasseto’ (Papi com. pers.). In queste due aree
sono state effettuate il 22 maggio due stazioni d’ascolto di 20 min. Escursioni
nel territorio della ZPS e del SIC in cerca della specie sono state compiute nella
stessa data e il 10 maggio.
Per valutare la presenza della Magnanina, il 22 maggio è stata esplorata l’area
120
dove la specie era stata censita nel 1988 (Calvario et al. 1991).
4.6.2.
Nibbio bruno (Milvus migrans)
Caratteristiche della specie e distribuzione nell’areale
Grande rapace (lunghezza 46-59 cm; apertura alare 130-155 cm; peso 5601210 g) marrone scuro; la gran parte degli individui presenta un pannello
biancastro squadrato o a forma di mezzaluna sulla parte inferiore dell’ala scura;
la coda è forcuta; i sessi sono simili nel piumaggio ma la femmina è
notevolmente più grande (W.S.Clark, 2003).
Frequenta ambienti misti con boschi di latifoglie o foreste mediterranee alternati
a zone aperte, soprattutto se in prossimità di zone umide; frequenta anche zone
antropizzate attirato dalle discariche a cielo aperto; frequenta soprattutto zone
di pianura e di collina (C. Scoccianti & G. Scoccianti, 1995). Preda piccoli
vertebrati, soprattutto pesci ed anfibi; secondariamente, piccoli mammiferi, rettili
ed uccelli.
Abbastanza comune, ma nidificante localizzato in gran parte dell’Europa, tranne
per le Isole Britanniche, la Scandinavia, gran parte dell’Africa settentrionale e il
Medio Oriente.La gran parte degli individui abbandona l’Europa durante
l’inverno migrando in Africa.
Distribuzione e stato di conservazione in Italia
Eccetto per pochi individui in Sicilia, le popolazioni italiane sono migratrici e
nidificanti, con areale di svernamento in Africa. In Italia la specie, presente da
marzo a settembre, presenta una distribuzione a chiazze con quattro nuclei
principali: prealpino-padano, tirrenico-appenninico, adriatico inferiore-ionico e
siciliano. Le popolazioni più importanti sono concentrate presso i grandi laghi
prealpini, dove si registrano densità di 7-180 coppie/100 km2. La stima
complessiva della popolazione italiana è difficile a causa delle ampie fluttuazioni
locali e si aggira sulle 700-1000 coppie. Studi intensivi di popolazione in otto
aree prealpine negli anni 1992-2000 hanno evidenziato simultanei incrementi e
cali di popolazione in aree anche molto vicine tra loro, rendendo difficile la stima
di una tendenza complessiva, probabilmente in calo. Dopo un ampio declino
negli anni ’60-’70, le popolazioni della Pianura Padana mostrano locali segni di
ripresa. Cali importanti sono segnalati per l’Italia centrale (F.Sergio, 2002).
Distribuzione e stato di conservazione nel Lazio con specifico riferimento
alla Provincia di Viterbo
Nel Lazio il Nibbio bruno occupa soprattutto una vasta area della fascia tirrenica
a nord di Anzio, fino a Montalto di Castro, con un ampio inserimento all’interno,
che interessa tutta la fascia preappenninica e in particolare la valle del Tevere e
i rilievi che vi si affacciano. Altre coppie isolate si incontrano in tutte le zone di
collina e di bassa montagna con ampi boschi di latifoglie e preferibilmente corsi
d’acqua e bacini lacustri. La consistenza numerica può essere stimata in 100-
121
200 coppie. Le notizie circa la presenza storica nel Lazio sono scarse, ma
tendono a confermare una distribuzione più ampia sia in senso geografico che
altitudinale: era nidificante agli inizi del secolo nei boschi di pianura di
Castelporziano e Castel Fusano, forse nel Parco del Circeo e in molte altre
zone della campagna romana attualmente frequentate solo durante la
migrazione. La specie ha subito un forte calo numerico ed una notevole
contrazione di areale, soprattutto a causa della distruzione delle grandi selve di
querce caducifoglie e Leccio dell’antiappennino e della campagna romana e
della trasformazione dei pascoli in colture agricole intensive. In particolare si
segnala la scomparsa e la diminuzione dei nuclei coloniali, il più importante dei
quali resta quello di Castelporziano. Nella provincia di Viterbo la sua presenza
estiva risulta essere di “nidificazione eventuale” nelle seguenti aree: S.Giov.
delle Contee, Gradoli, Bolsena, Capodimonte, Montefiascone, Celleno,
Attigliano, Ponte San Pietro, Riminino, Viterbo, Soriano nel Cimino, San
Giuliano, La Rocca, Vignanello, Gallese, Capranica, Sutri, Bassano Romano,
Nepi; si parla invece di “nidificazione probabile” presso le località di Tuscanica e
Vetralla; la “nidificazione certa riguarda le seguenti località: Proceno, Orte,
Civita Castellana, Ronciglione, S. Martino al Cimino, Tarquinia, Monte Romano,
La Farnesiana, Civitella Cesi (F.Petretti, 1995).
Distribuzione e stato di conservazione nel sito
Dal 1995 ad oggi presso la Riserva di Monte Rumeno sono stati svolti diversi
lavori riguardanti l’avifauna nidificante. Nel 1995 la SROPU pubblica l’Atalante
degli uccelli nidificanti nel Lazio, contenente i dati raccolti tra il 1983 ed il 1986,
con l’integrazione di ulteriori dati raccolti fino al 1994; Milvus migrans in
quest’opera risulta essere presente presso Proceno con nidificazione certa;
Nel 1996 si ha una nuova fonte di dati: il progetto atlante dell’avifauna
nidificante presso la Riserva Naturale di Monte Rufeno [Papi & Bellavita, 1996]
da cui il Nibbio bruno risulta essere nidificante nella Riserva con due coppie.
Inoltre tra il 1995 ed il 2003 ci sono stati numerosi avvistamenti di tali specie
che ne confermano la presenza [Papi et al.]:
•
tra marzo e luglio 1995, presso le località Ponte, Cassia-Fornace,
Podernovo – Strada e Ponte Gregoriano;
•
tra marzo e luglio 1996 nelle località Fiume Paglia loc. Farnia e loc. S.
Anna, Tigna, Pianacce, Il Troscione;
•
marzo 1997, presso loc. S. Anna; nel 1998 e 1999 non ci sono dati
riguardanti gli avvistamenti;
•
aprile 2000 in loc. S. Anna e Procoio; marzo 2001, presso il Fiume Paglia
loc. Farnia;
•
giugno 2002, tra il Felceto e Monte Rufeno; luglio 2003, presso il Fiume
Paglia loc. S. Anna.
I dati raccolti nel 2004 a partire dal mese di marzo, rilevano la presenza di 4
individui: l’8/04 dal Pod.e Sant’Anna viene osservata una coppia in parata;
sempre dalla stessa località vengono effettuati regolari avvistamenti di singoli
individui; il 7/05 vengono individuati 4 individui “in termica” nell’area del fiume
Paglia in corrispondenza di Monte Procione dove in precedenza era già stato
122
avvistato un singolo individuo.
Questi dati confermano la presenza di due coppie di Milvus migrans, di cui una
può essere considerata con “nidificazione eventuale”, ed una con “nidificazione
probabile” essendo stata osservata durante la parata nuziale. Una è
probabilmente localizzata lungo il fiume Paglia, in un’area compresa tra Monte
Crocione e Sant’Anna, l’altra in un’area compresa tra Sant’Anna, il Pod.e il
Ponte. Non si hanno notizie per quanto riguarda contatti con popolazioni
limitrofe.
Per quanto riguarda la continuità della presenza della specie, si ritiene
necessaria la conservazione della fascia vegetazionale riparia del fiume Paglia,
al momento non garantita. Infatti tale area non rientra nel territorio della Riserva
Naturale di Monte Rufeno. Anche se l’andamento della popolazione non è in
declino, non si può dire che l’area di distribuzione naturale della specie non
rischia di declinare in un futuro prevedibile e che continuerà ad esistere un
habitat sufficiente per mantenerne la presenza a lungo termine.
4.6.3.
Falco pecchiaiolo (Pernis apivorus)
Caratteristiche della specie e distribuzione nell’areale
Grande rapace (lunghezza 51-57 cm; apertura alare 115-136 cm; peso 5101050 g.) simile alle poiane; in volo riconoscibile per la testa piccola, il collo
lungo e la coda lunga con gli angoli arrotondati. La colorazione del piumaggio è
molto variabile(W.S.Clark, 2003). Abita complessi forestali, soprattutto fustaie di
latifoglie, ma anche miste o di conifere e cedui invecchiati, con ampie radure e
prati (C. Scoccianti & G. Scoccianti, 1995). Predilige larve, pupe, nidi e adulti di
varie specie di vespe e api. Ma a volte si nutre anche di rettili, mammiferi,
nidiacei, frutta e bacche. Gregario in migrazione, diventa invece territoriale nel
periodo di nidificazione.
È un nidificante piuttosto comune in molte delle aree boscate dell’Europa,
assente solo nella tundra e nella steppa brulla. E’ raro nelle Isole Britanniche
(W. S. Clark, 2003).
Distribuzione e stato di conservazione in Italia
In Italia è regolarmente distribuito sulle Alpi, con maggiori densità in ambito
prealpino. Molto localizzato in Pianura Padana, regolarmente diffuso
nell’Appennino tosco-emiliano, diviene più localizzato in Italia centromeridionale, a sud fino a Campania e Basilicata. Le densità rilevate variano tra
4,3-11 coppie / 100 km2sulle Alpi e 3,5-10 coppie / 100 km2 in Italia centrale;più
frequentemente densità di 1 cp. / 100 km 2. L’estrema elusività della specie
rende difficile una stima della consistenza della popolazione italiana
complessiva, stimata in 600-1000 coppie. Areale storico di nidificazione senza
apparenti sostanziali differenze. (P. Brichetti & G. Fracasso, 2003; F.Sergio &
Penteriani, 2002). La specie rientra nella categoria “vulnerabile” dell’IUCN
(E.Calvario, M. Gustin, S. Sarrocco et alt., 1999).
123
Distribuzione e stato di conservazione nel Lazio con specifico riferimento
alla Provincia di Viterbo
La distribuzione nel Lazio è abbastanza frammentaria ed interessa tutte le
cinque province della regione: aree di pianura, collinari e montane del Lazio
settentrionali; aree preappenniniche ed appenniniche; aree prossime alla costa
nel Lazio meridionale. In un’area collinare di 850 km 2 del Lazio settentrionale è
stata riscontrata la densità di 1 coppia / 28,3 km2. Il numero di coppie nidificanti
nella regione è stato stimato prossimo al valore di 100. Risulta presente con
“nidificazione eventuale” nelle località Ponte San Pietro e Soriano nel Cimino;
con nidificazione probabile a San Martino al Cimino, Ronciglione e Tarquinia;
nidificazione certa nelle località La Farnesiana e Civitella Cesi. I dati raccolti
presso la Riserva Naturale di Monte Rufeno dal 1996 confermano la presenza
della specie durante l’intero periodo di nidificazione, per cui si può ritenere
probabile la nidificazione della specie in loco.
Distribuzione e stato di conservazione nel sito
Esistono diversi lavori riguardanti l'avifauna presente nella Riserva Naturale di
Monte Rufeno; nel 1995 viene pubblicato dalla SROPU l'Atlante degli uccelli
nidificanti nel Lazio, contenente i dati raccolti tra il 1983 ed il 1986, con
l'integrazione di ulteriori dati raccolti fino al 1994: Pernis apivorus non risulta
nidificante nell'area.
Nel 1996 il progetto atlante dell'avifauna nidificante presso la Riserva Naturale
di Monte Rufeno [Papi & Bellavita, 1996] evidenzia la presenza nell'area di 1-2
coppie nidificanti.
Inoltre tra il 1995 ed il 2003 ci sono stati numerosi avvistamenti che ne
confermano la presenza [Papi et al.]: tra marzo e luglio 1996 presso le località
Miccia, Vitabbieti, Frana Vitabbieti e S. Antonio; nell' agosto del 1997 presso il
campo sportivo di Torre Alfina; per il 1998, 1999 e 2000 non si hanno dati; tra
giugno e luglio 2001 torretta Monte Rufeno, Mulinaccio e Macchione; tra marzo
e agosto 2002 tra Morto del Loto, Vill'Alba, Torretta Monte Rufeno e Felceto;
marzo e giugno 2003, presso loc. Pianacce e Tigna.
Il lavoro di monitoraggio svolto nell'anno 2004, conferma la presenza dei
pecchiaioli in periodo di nidificazione. Il primo avvistamento risale al 21/05,
presso località Sant'Anna, dove ne sono stati contati 5. Dopo questa data gli
avvistamenti si sono ripetuti, e la loro distribuzione farebbe pensare
all'esistenza di due coppie nidificanti abbastanza vicine, che occupano l'area
delimitata a sud dai Pod.i Sant'Anna e Pianacce, a Nord dalla località Frana
Vitabbieti e Morto del Loto. In entrambi i casi si può parlare solo di nidificazione
eventuale.
Considerando che:
• la specie viene osservata da diversi anni con regolarità in periodo riproduttivo
nella stessa area;
• tale area non è soggetta a modificazioni strutturali, né ad un particolare
disturbo antropico, né a particolari forme di inquinamento (acustico, delle
acque, etc.);
124
• l'area interessata dalla nidificazione e le aree potenzialmente idonee non
sono in declino né rischiano di declinare in un futuro prevedibile;
non si evidenziano rischi immediati per la conservazione della specie nella
zona. Nonostante questo sono necessari degli interventi volti a diminuire il
rischio di fallimento della nidificazione (es. incendi) ed a migliorare o creare gli
ambienti idonei soprattutto all'alimentazione della specie.
4.6.4.
Biancone (Circaetus gallicus)
Caratteristiche della specie e distribuzione nell’areale
Aquila caratteristica di medie dimensioni (lunghezza:59-65 cm; apertura alare
165-188 cm; peso 1,2-2,3 kg) facilmente riconoscibile per la testa e la parte
anteriore del petto scuri che contrastano con il resto del corpo più chiaro.
Predilige ambienti misti con ampi tratti aperti steppici o rocciosi, alternati a
foreste. Si nutre principalmente di serpenti e lucertole; caccia principalmente
trascorrendo molto tempo in spirito santo o librandosi, ma anche stando su alti
posatoi. E’ vocifero solo durante il periodo di nidificazione. E’ allevato un solo
pulcino l’anno.
Nidifica in Marocco e Algeria settentrionali, Spagna, Francia meridionale,
localmente in Italia ed Ex-Jugoslavia, in Grecia, Turchia, Israele, nel Caucaso
meridionale, in Ucraina, Russia, Bielorussia e nella Polonia orientale. La
maggior parte della popolazione migra in Africa, in un’area a sud del Sahara,
per passarvi l’inverno.
Distribuzione e stato di conservazione in Italia
Si hanno scarse informazioni per quanto riguarda la distribuzione e densità
delle coppie riproduttrici in Italia, ma si stima che siano presenti circa 400
coppie. I due nuclei principali di presenza della specie sono rappresentati dalla
Maremma tosco-laziale e da una vasta porzione delle Alpi occidentali,
comprendente la Liguria, il Piemonte, e la Valle d’Aosta.
La specie è presente anche in altre aree dell’Appennino: Molise, Gargano,
Cilento, Basilicata e Calabria. La specie è classificata a status sfavorevole in
Europa (SPEC3: rara). Il maggior fattore limitante per la specie è rappresentato
dalla riduzione degli habitat di caccia elettivi, dovuta soprattutto alle attuali
modifiche delle pratiche agro-pastorali. I tagli forestali, l’elettrocuzione su linee
elettriche a media tensione, la persecuzione diretta e l’uso di bocconi avvelenati
rappresentano ulteriori cause di decremento della popolazione.
Distribuzione e stato di conservazione nel Lazio con specifico riferimento
alla Provincia di Viterbo
Nel Lazio il Biancone occupa soprattutto una vasta area di circa 150.000 ettari
della maremma laziale, fra Cerveteri, Civitavecchia e Tarquinia e presenta
coppie isolate in altre zone adatte. La consistenza numerica può essere stimata
in 20-30 coppie. Il Biancone è inserito nelle Lista rossa nazionale(Frugis e
Schenk, 1981) in quanto ritenuto vulnerabile per le particolari esigenze
125
ecologiche. Le notizie circa la presenza storica nel Lazio sono scarse, ma
tendono a confermare una distribuzione più ampia sia in senso geografico che
altitudinale: era nidificante agli inizi del secolo nei boschi di pianura di
Castelporziano e Castel Fusano, forse nel Parco del Circeo e in molte zone
della campagna romana attualmente frequentate solo durante la migrazione.
La specie ha subito un forte calo numerico ed una notevole contrazione di
areale soprattutto a causa della distruzione delle grandi selve di querce
caducifoglie e Leccio dell’antiappennino e della campagna romana, nonché
della trasformazione dei pascoli in colture agricole intensive. Nella provincia di
Viterbo è segnalato con “nidificazione eventuale” nell’area di Acquapendente
(anche se i dati raccolti in luogo dal 1996 confermano una nidificazione certa),
Ponte San Pietro, San Giuliano, Vetralla, Ronciglione; con “nidificazione certa”
nell’area di Tarquinia, La Farnesiana e Monte Romano.
Distribuzione e stato di conservazione nel sito
Dal 1995 ad oggi sono stati svolti diversi studi riguardanti la nidificazione della
specie nella Riserva di Monte Rufeno.
L'Atlante degli uccelli nidificanti nel Lazio (1995, SROPU), contenente i dati
raccolti tra il 1983 ed il 1986, con l'integrazione di ulteriori dati raccolti fino al
1994 testimonia una "eventuale nidificazione" nell'area di Proceno, prossima ad
Acquapendente.
Il progetto atlante dell'avifauna nidificante presso la Riserva Naturale di Monte
Rufeno (1996, Papi & Bellavita) accerta la nidificazione di una delle due coppie
presenti nell'area in esame, presente tra la metà di marzo e la metà di
settembre.
Inoltre tra il 1995 ed il 2003 ci sono stati numerosi avvistamenti di tali specie
che ne confermano la presenza [Papi et al.]: luglio e agosto 1995, presso le loc.
di Vitabbieti, Monte Petrocco e Aquilonaccio; -da inizio marzo a fine settembre
1996 nelle località Vitabbieti, S. Anna, Marzapalo, Procoio, Olivena, L'Aquilone,
Fosso Alto; tra marzo e ottobre 1997 presso Palombaro, Fosso Alto, Macchia
Bruciata; per il 1998 non si hanno dati; agosto 1999 presso loc. Bandita; tra
l'aprile ed il settembre del 2000 presso Olivena, Torretta Monte Rufeno e
Bandita; tra marzo ed agosto 2001, presso Bandita, S. Anna, Giardino Cancello, Paradisino, Marzante; marzo e aprile 2002 in loc. S.Anna e Bandita;
tra marzo ed agosto 2003 in località S. Anna, Torretta Monte Rufeno,
Acquapendente, tra Barlettara e Poppatoio, 1 km Sud Trevinano lungo strada.
Dal mese di marzo 2004 è stato svolto un lavoro per censire le coppie
nidificanti. Grazie ad una serie di punti di avvistamento, si è monitorata la
maggior parte del territorio interessato da ZPS; si sono raccolti dei dati
settimanalmente riguardanti le specie avvistate in loco e il loro comportamento.
E' stata rilevata la presenza di una coppia, nell'area compresa tra Pod.e di
Procoio, Pod.e Sant'Anna a sud e Pod.e Marzapalo e Cava dei Bianchi a nord.
Dopo un primo avvistamento di un singolo individuo la prima settimana di aprile
in località Sant'Anna, il 15 dello stesso mese nella stessa località è stata
osservata una coppia in parata nuziale. Successive osservazioni ne
confermano la permanenza. Questo ci permette di sostenere la nidificazione
probabile della coppia. Un'ulteriore conferma all'ipotesi di nidificazione è l'area
126
occupata, la medesima degli anni passati. Infatti il biancone tende a rioccupare i
nidi passati o ad occupare o costruire nuovi nidi nelle medesime aree degli anni
precedenti.
Avvistamenti esterni al lavoro di censimento segnalano la presenza sporadica
di qualche individuo nell'area compresa tra Pod.e Palombaro, Pod.e
Monaldesca e Greppe della Maddalena. Ma non essendo stato osservato
nessun comportamento indice della presenza di una coppia, possiamo indicare
l'area come interessata da un'eventuale nidificazione.
Considerando che:
- la specie nidifica da diversi anni nella stessa area;
- tale area non è soggetta a modificazioni strutturali, né ad un particolare
disturbo antropico, né a particolari forme di inquinamento (acustico, delle
acque, etc.);
- l'area interessata dalla nidificazione e le aree potenzialmente idonee non
sono in declino ne' rischiano di declinare in un futuro prevedibile;
non si evidenziano rischi immediati per la conservazione della specie nella
zona. Nonostante questo sono necessari degli interventi volti a diminuire il
rischio di fallimento della nidificazione (es. incendi) ed a migliorare o creare gli
ambienti idonei soprattutto all'alimentazione della specie.
4.6.5.
Succiacapre (Caprimulgus europaeus)
Fenologia, distribuzione e habitat riproduttivo
Specie paleartica. E’ migratore regolare, estivo, nidificante e svernante
irregolare. L’areale riproduttivo include tutta la penisola e le isole maggiori, ma
la specie risulta assente dai rilievi montuosi più elevati, dalla Pianura Padana
orientale e da porzioni di regioni meridionali a scarsa copertura arborea
(Salento, Sicilia meridionale). Nel Lazio è presente dalle zone a ridosso della
fascia costiera fino a quote intorno ai 1500 m. Gli ambienti riproduttivi sono
caratterizzati da aree in cui zone boschive si alternano ad aree cespugliate e
zone aperte (pascoli, radure, zone prative) spesso in situazioni che per
caratteristiche del suolo o di esposizione risultano asciutte. La densità dei
nidificanti è in genere non elevata: in un’area della Toscana centrale sono stati
osservati 0,01-0,1 maschi per 10 ha (Consani e Tellini Florenzano 2001). Nel
Lazio gli arrivi nelle aree di nidificazione si collocano intorno alla fine di aprile; le
partenze autunnali avvengono verso metà settembre.
Situazione europea e nazionale
La popolazione europea è stimata in 223921-264419 coppie (Hagemeijer e
Blair 1997). Il Succiacapre è una SPEC 2 (Species of European Conservation
Concern), cioè una specie le cui popolazioni globali sono concentrate in Europa
e che godono di uno sfavorevole stato di conservazione (Tucker & Heath 1994).
La popolazione nazionale di origine sub-sahariana si aggira sulle 5000-15000
coppie (Meschini e Frugis 1993) ma è forse sottostimata a causa delle difficoltà
di censimento della specie. E’ inserito nella Lista rossa nazionale (LIPU e WWF
127
1999) come specie a più basso rischio. Non sono disponibili stime sugli effettivi
svernanti, presenti irregolarmente nella porzione meridionale della penisola.
Distribuzione e stato di conservazione nel sito
Nella ZPS e nelle sue immediate vicinanze la specie sembra godere di un
buono status complessivo. La specie è stata censita in tre dei sette punti
effettuati all’interno della ZPS, riconfermando tra l’altro la segnalazione del 1996
in località Lanetta. Inoltre la specie è stata censita in tutti i punti situati a ridosso
delle formazioni boschive della ZPS ma collocati esternamente ai suoi confini.
Anche in questo caso è stata riconfermata la segnalazione avvenuta in località
S. Angelo nel 2001.
La specie non è stata censita invece nei due punti effettuati nel SIC ‘Il Sasseto’
e nella vicina stazione Caselle-Giardino. Per questi tre punti occorre notare
però che i censimenti si sono svolti il 7 giugno in una nottata di forte vento.
Poiché in simili condizioni l’attività canora del Succiacapre si interrompe
(Consani e Tellini Florenzano 2001), il mancato rilevamento della specie non
può essere assunto come sua assenza. Ciò può essere particolarmente vero
per il sito Caselle-Giardino dove il Succiacapre era stato censito ripetutamente
in anni recenti.
Tralasciando questi tre punti, i dati raccolti confermano la preferenza della
specie per ambienti a mosaico in cui superfici boschive si alternano ad ambienti
aperti. Infatti la specie è risultata assente in quattro punti posti nelle zone a più
densa copertura boschiva della ZPS ed è stata trovata al contrario in tutti i sei
punti di confine tra formazioni boschive e zone aperte (due interni e quattro
esterni alla ZPS). Anche l’altro punto in cui la specie è stata rilevata (località
Lanetta), pur essendo situato dentro le zone boschive, è caratterizzato dalla
presenza di radure e zone aperte cespugliate.
4.6.6.
Tottavilla (Lullula arborea)
Fenologia, distribuzione e habitat riproduttivo
Specie europea. Migratrice regolare, nidificante e svernante. Nel territorio
nazionale si rinviene dal piano fino ai 2000 m s.l.m. risultando più scarsa in
alcune regioni settentrionali e in Puglia. Nel Lazio la popolazione nidificante
risulta ben distribuita nella fascia collinare, pedemontana e montana. Occupa
praterie montane e soprattutto zone ecotonali, pascoli cespugliati e zone aperte
a ridosso di rimboschimenti. La popolazione italiana è stanziale, ma la penisola
è interessata al passaggio e allo svernamento di individui delle popolazioni
nord-nordorientali.
Situazione europea e nazionale
La popolazione europea è stimata in 1050376-2239048 coppie (Hagemeijer e
Blair 1997). La Tottavilla è una SPEC 2 (Species of European Conservation
Concern), cioè una specie le cui popolazioni globali sono concentrate in Europa
128
e che godono di uno sfavorevole stato di conservazione. Meschini e Frugis
(1993) stimano in 20000-40000 coppie la popolazione nazionale.
Distribuzione e stato di conservazione nel sito
Nella ZPS ‘Monte Rufeno’ i dati raccolti destano una certa preoccupazione
perché la specie è stata rinvenuta solo in uno dei cinque punti in cui era stata
trovata nel 2003 (località Tigna) e solo in due degli 11 punti in cui era stata
osservata tra il 1996 e il 2003 (località Tigna e Querciabuca). Comunque,
occorre osservare che la specie è stata censita anche in un punto in cui non era
mai stata segnalata in precedenza (cancello a nord di Tigna verso il confine
regionale con l’Umbria) e che un totale annuale di tre siti di presenza della
specie rientra nel range degli anni precedenti che è variato tra tre a sei siti
annuali.
D’inverno la specie non è stata censita nella ZPS, ma un gruppo di 15 individui
è stato osservato il 16 gennaio nella Piana del Mazzante non distante dai
confini del SIC ‘Medio corso del Fiume Paglia’.
Nel SIC ‘Il Sasseto’ la specie non è stata censita in periodo riproduttivo a
conferma della mancanza di segnalazioni degli anni precedenti. Viene
riconfermata, però, la presenza nelle zone limitrofe (località Giardino-Caselle)
dove sono stati censiti tre maschi in canto (Papi com. pers.).
I siti in cui la Tottavilla è stata rilevata nella ZPS ‘Monte Rufeno’ sono collocati
tra i 650 e 690 m s.l.m. ossia verso le quote maggiori della ZPS. Nel zone
Giardino-Caselle, invece, le quote di rinvenimento della specie oscillano tra i
350 e i 450 m s.l.m. Tutti i siti di rilevamento sono caratterizzati dalla presenza
di aperture (radure, zone prative, giovani oliveti, pinete diradate) nella superficie
boschiva.
4.6.7.
Averla piccola (Lanius collurio)
Fenologia, distribuzione e habitat riproduttivo
Specie paleartica. E’ migratrice regolare e nidificante, diffusa ovunque nel
territorio nazionale ad eccezione della Puglia e della Sicilia. E’ tipica di ambienti
aperti con alberi e arbusti sparsi. In agosto-settembre migra verso l’Africa subsahariana, ritornando nelle aree di riproduzione in aprile maggio, rioccupando
spesso il territorio dell’anno precedente.
Situazione europea e nazionale
La popolazione europea dell’Averla piccola si aggira sulle 2610000-3685000
coppie (Hagemeijer e Blair 1997). E’ una SPEC 3 (Species of European
Conservation Concern), cioè una specie le cui popolazioni non sono
concentrate in Europa, ma che godono di uno sfavorevole stato di
conservazione (Tucker & Heath 1994). In diminuzione anche in Italia, dove la
popolazione ammonterebbe a 30000-60000 coppie (Meschini e Frugis 1993).
129
Distribuzione e stato di conservazione nel sito
Nella primavera 2004, la specie non è stata trovata nei due siti in cui era stata
censita nel periodo 1996-1998 né è stata osservata in altre zone della ZPS
Monte Rufeno e del SIC ‘Il Sasseto’. Inoltre non ci sono segnalazioni recenti
della specie nella ZPS e nel SIC (Papi com. pers.). Apparentemente, quindi, la
specie si sarebbe estinta a livello locale.
4.6.8.
Magnanina (Sylvia undata)
Fenologia, distribuzione e habitat riproduttivo
Specie mediterranea. In Italia è residente e migratrice a corto e medio raggio,
assente come nidificante nelle regioni settentrionali. Nel Lazio si riproduce in
poche località in ambienti di macchia mediterranea degradata. Frequenta
brughiere, garighe e macchie.
Situazione europea e nazionale
La popolazione europea della Magnanina è stimata in 2025456-3635791 coppie
(Hagemeijer e Blair 1997). E’ una SPEC 2 (Species of European Conservation
Concern), cioè una specie le cui popolazioni globali sono concentrate in Europa
e che godono di uno sfavorevole stato di conservazione. (Tucker & Heath
1994). In Italia la popolazione si aggira sulle 10000-30000 coppie (Meschini e
Frugis 1993).
Distribuzione e stato di conservazione nel sito
La specie non è stata trovata nel sito in cui era stata censita nel 1988 né è stata
osservata in altre aree della ZPS Monte Rufeno e del SIC ‘Il Sasseto’ dove, tra
l’altro, non ci sono segnalazioni di Magnanina da diversi anni (Papi com. pers.).
4.7.
MAMMOLOFAUNA
4.7.1.
Lontra (Lutra lutra)
Caratteristiche della specie e distribuzione nell’areale
La lontra (Lutra lutra), è un Carnivoro ad ampia distribuzione geografica,
distribuito nella regione paleartica ed orientale, presente in tutta l’Europa,
dall’Artico al Mediterraneo e dall’Irlanda verso est fino all’Asia e al Giappone,
con esclusione dei territori settentrionali della Siberia e di gran parte della
Penisola Arabica e Indiana, tuttavia con popolazioni molto frammentate e
localizzate (Council of Europe, 1996; Mitchell-Jones et al., 1999; Spagnesi,
2002).
Animale sociale, strettamente legato agli ambienti acquatici con ricchezza di
risorse alimentari (pesci e anfibi) e buona copertura vegetale (per siti di rifugio),
territoriale di abitudini solitarie con rapporto di coppia limitato al periodo dei
130
corteggiamenti, vive su ambiti relativamente estesi (aree vitali da 14 a quasi 60
kmq) con spostamenti giornalieri piuttosto ampi (in media 5 km, ma anche oltre
10 km) (cfr. per tutti Prigioni, 1997).
Il declino delle popolazioni di lontra registratosi nel XIX e XX secolo, soprattutto
nella Europa sud-occidentale e nell’Inghilterra, è stato causato da diversi fattori
concomitanti: dall’inquinamento chimico (vd. contaminazione) delle acque e
delle risorse preda, dal deterioramento e dalla frammentazione dell’habitat
(canalizzazione corsi d’acqua, rimozione vegetazione riparia, dighe e
sbarramenti) ma anche e forse decisamente (localmente) dalle persecuzioni
dirette dell’uomo, nonché da mortalità stradale (Council of Europe, 1996;
Prigioni, 1997).
Allo stato attuale la lontra è diffusa soprattutto nell’Europa centro-orientale, con
“popolazioni abbondanti e sane” ma con “i rischi che l’evoluzione degli ex paesi
comunisti verso una economia di mercato è suscettibile di far pesare sul loro
ambiente” (da Council of Europe, 1996); presenta inoltre segni di ripresa
nell’Europa settentrionale, mentre permane molto rara e minacciata di
estinzione soprattutto nell’Europa meridionale (Council of Europe, 1996;
Mitchell-Jones et al., 1999).
La lontra, specie considerata “vulnerabile o localmente in pericolo” (I.U.C.N.,
1996), è inserita nell’allegato II (specie strettamente protetta) della Convenzione
di Berna (Convenzione relativa alla conservazione della vita selvatica e
dell’ambiente naturale in Europa, firmata a Berna il 17.09.1979) sotto l’egida del
Consiglio d’Europa e ratificata dall’Italia con Legge 5 agosto 1981 n. 503, è
inserita nell’allegato IV (specie di interesse comunitario che richiede protezione
rigorosa, con proibizione di cattura, uccisione, disturbo, detenzione, trasporto,
scambio e commercializzazione) della Direttiva comunitaria Habitat 92/43/CEE
recepita dall’Italia con DPR 8 settembre 1997 n. 357; è inoltre inserita nella
appendice I (specie in pericolo di estinzione) della CITES Convenzione sul
commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione
(Washington, 1973) recepita dall’Italia con Legge 19 dicembre 1975 n. 874 ed a
livello europeo con regolamento 338/97/CEE (ivi inclusa in allegato A: specie il
cui commercio è generalmente vietato) ed è specie particolarmente protetta in
base alla Legge 11 febbraio 1992 n. 157.
Oggi in Europa il futuro della lontra è legato ad opportune azioni per la sua
conservazione, attraverso un impegno congiunto e coordinato di tutte le Nazioni
(vd. Linee guida: Council of Europe, 1996).
Distribuzione e stato di conservazione in Italia
La lontra in Italia, ritenuta comune e diffusa nei corsi d’acqua delle Penisola fino
ai primi del XX secolo (Ghigi, 1911), nel corso del secolo scorso ha subìto una
drastica rarefazione fino a renderla oggi tra i mammiferi più minacciati di
estinzione del nostro Paese.
Già da una inchiesta del 1971-73, la distribuzione della specie appariva molto
discontinua nell’Italia settentrionale, ancora piuttosto ampia nell’Italia centromeridionale, con popolazioni scarse o molto scarse e in progressiva
diminuzione (Cagnolaro et al., 1975).
131
Ad alcune verifiche puntuali (Wayre, 1976; Macdonald-Mason, 1983) faceva
allora seguito il primo (e tuttora unico) censimento diretto di presenza della
lontra condotto su tutta la Penisola nel 1984-85, dal quale emergeva
confermata una situazione allarmante della specie, molto rarefatta ed ormai
localizzata soprattutto in fiumi dell’Italia centro-meridionale, in molte aree
gravemente minacciata o già sull’orlo dell’estinzione (Cassola, 1986).
Oggi la lontra, nonostante le diverse analisi, proposte e indicazioni di intervento
(vd. Cassola, 1986; AA.VV., 1993; Prigioni, 1997; Reggiani et al., 1997; G.L.L.I.,
1998) resta tra i Mammiferi terrestri più minacciati d’Italia, considerata nella
Lista Rossa dei Vertebrati italiani come specie “in pericolo in modo critico”, con
una stima di circa 100 esemplari su un areale frammentato e con piccole
popolazioni isolate (Canu, 1998; Bulgarini et al., 1998): sopravvive in fiumi
soprattutto dell’Italia meridionale (Sele, Calore, Agri e Basento), mentre in quelli
dell’Italia centrale è da ritenersi quasi estinta o prossima all’estinzione (FarmaMerse, Fiora) (Prigioni, 1997; Spagnesi, 2002).
Obiettivo urgente per la lontra è quello di un suo apposito Piano di Azione o
Action plan di conservazione a livello nazionale, la cui redazione è già stata
prevista (G.L.L.I., 1998).
Distribuzione e stato di conservazione nel Lazio con specifico riferimento
alla Provincia di Viterbo
Sino alla fine del XIX ed ancora ai primi del XX secolo la lontra era presente,
anche se non più abbondante e in rarefazione, in molti corsi fluviali ed ambienti
umidi del Lazio, così nell’Alto Lazio (Reggiani et al., 1986), nel territorio
Romano (Reggiani et al., 1986; Tinelli & Tinelli, 1986), nel Reatino (Cammerini,
1986) e nel Lazio meridionale (Canu-Penteriani, 1986).
Nel Viterbese, in particolare, la lontra era indicata presente ai primi del ‘900 nei
comuni di Corneto, Tarquinia, Viterbo, Soriano (Ghigi, 1911) e nei corsi d’acqua
del Mignone, nel lago di Vico e sul Monte Cimino (Lepri, 1911). Sempre nel
Viterbese, da inchiesta indiretta del 1971-73 la lontra veniva ancora segnalata
nei bacini del Paglia, del Fiora, dell’Arrone, del Mignone e nei laghi di Bolsena e
Vico (Cagnolaro et al., 1975), mentre un “censimento” di presenza
analogamente svolto nel 1976-77 riportava la presenza della specie in 22
Comuni della Provincia di Viterbo (Pavan-Mazzoldi, 1983).
Per limiti metodologici tale quadro risultava certamente ottimistico, se si
considera che da un survey specialistico condotto poco dopo nel Lazio nel
1982, segni di presenza della lontra venivano riscontrati solo nel fiume Fiora e
sull’Arrone (Macdonald-Mason, 1983).
Successivamente, nell’ambito del censimento nazionale della lontra realizzato
nel 1984-85, le ricerche condotte in tutto l’Alto Lazio documentavano la
presenza della specie solo lungo il fiume Fiora ed il suo affluente Olpeta
(Reggiani et al., 1986; Arcà, 1986), ivi ancora successivamente rilevata (ArcàPrigioni, 1987; Calvario-Sarrocco, 1987); mentre risulta pure che “una coppia di
lontre ha poi frequentato, fino all’alluvione dell’autunno 1987, un sistema di
canali di bonifica posto nella Piana di Tarquinia e collegato ad una zona umida
litoranea” (da Celletti, 1996).
Alla fine degli anni ’90 la presenza della lontra nel Viterbese veniva ancora
132
indicata nel solo bacino del Fiora e suoi affluenti (Celletti, 1996; Prigioni, 1997),
mentre dalle ultime indagini ivi svolte non sono stati più trovati segni di
presenza della specie né nel tratto toscano (AA.VV., 2001), né in quello laziale
del fiume ove sono però emerse ancora di recente, segnalazioni indirette e non
verificate del mustelide (Calò, 2004).
Distribuzione e stato di conservazione nel sito
Per approfondire le conoscenze sulla lontra nell’area di SIC/ZPS in oggetto, nel
periodo compreso tra dicembre 2003 e luglio 2004 sono state svolte diverse
indagini e verifiche, di tipo indiretto (bibliografico-documentale) e di tipo diretto
(verifiche e ricerche di campo). Le indagini indirette hanno portato alla raccolta
delle informazioni bibliografiche disponibili e delle notizie originali sul territorio e
sulla presenza della lontra (riferita in particolare agli ultimi 30 anni) nel bacino
del Paglia e suoi affluenti (tratto laziale e toscano limitrofo). I materiali
bibliografici e i dati originali ed inediti raccolti e giudicati di diverso interesse
specifico e di riferimento sono quelli citati nel presente lavoro.
Le informazioni originali di orientamento e/o riscontro sull’area e sulla presenza
della lontra, sono state ricercate e raccolte presso studiosi ed esperti della
specie, presso Personale della Riserva Naturale di Monte Rufeno, in particolare
Personale di vigilanza, Personale del Corpo Forestale dello Stato, pescatori e
cacciatori operanti nell’area, ed attraverso contatti con la Provincia di Viterbo e
Consorzio di bonifica della Val di Paglia.
Da questa indagine indiretta è emerso che la lontra era già rara nell’attuale area
di SIC/ZPS nell’immediato ultimo dopoguerra del secolo scorso (Bedini, 1947),
con sue ultime notizie e indicazioni di presenza negli anni ’70 (vd. Cagnolaro et
al., 1975; Spagnesi-Cagnolaro, 1981; Pavan-Mazzoldi, 1983; Mariani-Inverni,
1986; Papi, 1998), non più riscontrata e citata presente a metà degli anni ’80
(Reggiani et al., 1986) e neppure successivamente e/o in tempi recenti (cfr.
Baldetti et al., s.d.; Celletti, 1996; Papi, 1998).
In ogni caso, per il bacino del Paglia e sue affluenze in territorio laziale vi sono
diverse indicazioni ed informazioni passate e recenti che, nel confermare
l’assenza della lontra, evidenziano comunque una certa qualità ambientale e
possibile interconnessione dello stesso Paglia con altri bacini di presenza
storica e/o attuale e potenziale della specie (cfr. Reggiani et al., 1986; Baldetti
et al., s.d.; Papi, 1998; Tito Colombari, 2000; AA.VV., 2001; Taddei in presente
Piano).
133
INDAGINI DIRETTE SVOLTE SULLA PRESENZA DELLA LONTRA NEL BACINO DEL FIUME PAGLIA E AFFLUENTI
Area di indagine: da confluenza Torrenti Senna e Rigo in tratto toscano, fino a Rio Fossatello (confine Umbria)
(*) = % sito di Reggiani et al ., 1986
DATA
gg/mm/aa
04/01/2004
22/02/2004
04/04/2004
01/05/2004
04/07/2004
SITO CONTROLLATO
TRATTO ISPEZIONATO COINCIDENZA SITO PRESENZA LONTRA
SITUAZIONE AMBIENTALE
RILEVATORE
località
lato idrografico / ml
% di sito (*)
indici rilevati
note generali e/o specifiche
nominativo
Paglia confluenza T. Senna
dx / 600
nessuno
buona portata idrica e med. ripariale
Calò
Paglia confluenza T. Rigo
sx / 600
"
buona portata idrica e sit. ripariale
"
Paglia confluenza T. Elvella
sx / 600
"
buona porta idrica e med. ripariale
"
Paglia confluenza T. Siele
dx / 500
"
buona portata idrica e med. ripariale
"
Paglia confluenza Fso. Stridolone
dx / 500
100
"
buona portata idrica e sit. ripariale
"
Paglia confluenza Rio Tirolle
sx / 500
100
"
buona portata idrica e med. ripariale
"
Paglia confluenza T. Rigo e
sx / 800
"
buona portata idrica e sit. ripariale
"
T. Rigo
sx / 600
"
buona portata idrica e med. ripariale
"
Paglia confluenza Rio Tirolle
sx / 500
100
"
buona portata idrica e med. ripariale
"
Paglia confl. F.so Subissone e
dx / 800
100
"
buona portata idrica e sit. ripariale
"
Subissone
sx / 600
"
buona portata idrica e scad. sit. ripariale
"
Paglia confluenza Fso. Stridolone
dx / 500
100
"
buona portata idrica e sit. ripariale
"
Paglia confluenza Rio Tirolle
sx / 500
100
"
buona portata idrica e med. ripariale
"
Paglia confl. F.so Subissone
dx / 600
100
"
buona portata idrica e sit. ripariale
"
Paglia confl. Rio Fossatello e
sx / 400
100
"
buona portata idrica e ott. sit. ripariale
"
Rio Fossatello
dx / 600
"
buona portata idrica e ott. sit. ripariale
"
Paglia confluenza T. Rigo
sx / 800
"
buona portata idrica e sit. ripariale
"
Paglia confluenza Rio Tirolle
sx / 500
100
"
buona portata idrica e med. ripariale
"
Paglia confl. F.so Subissone e
dx / 800
100
"
buona portata idrica e sit. ripariale
"
Subissone
sx / 600
"
buona portata idrica e scad. sit. ripariale
"
Paglia confluenza F.so Stridolone
dx / 500
100
"
buona portata idrica e sit. ripariale
"
Paglia confluenza Rio Tirolle
sx / 500
100
"
scarsa portata idrica e med. ripariale
"
Paglia confl. F.so Subissone
dx / 600
100
"
scarsa portata idrica e scad. sit. ripariale
"
Paglia confl. Rio Fossatello e
sx / 400
100
"
buona portata idrica e ott. sit. ripariale
"
Rio Fossatello
dx / 600
"
buona portata idrica e ott. sit. ripariale
"
134
In dettaglio, il quadro di segnalazioni e riscontri storici circa la presenza della
lontra sul Paglia è il seguente:
- nel 1947, la specie era considerata già rara nel medio e basso corso del
Paglia (Bedini, 1947);
- nel 1972, vi sarebbe stata l’ultima segnalazione (una uccisione) della specie
nel basso corso del Paglia sul Fosso Stridolone, seguita da poche altre
uccisioni e segnalazioni nel tratto umbro del fiume fino al 1981 (MarianiInverni, 1986);
- nel 1984-85, non sono stati rinvenuti segni di presenza della lontra nel
bacino del Paglia ma sono stati comunque valutati 4 siti ancora buoni per la
presenza della specie (Reggiani et al., 1986);
- negli anni ‘90, i Manifesti del Gruppo di Lavoro Lontra Italia non hanno
proposto alcun riferimento sulla specie per il bacino del Paglia (G.L.L.I.,
1994 e 1998);
- ancora negli anni ’90, confermata l’assenza della lontra nel fiume Paglia,
esso è stato considerato potenzialmente idoneo per l’attuazione di un
programma di reintroduzione della specie previa valutazione definitiva su
aspetti di carattere specifico e generale (Baldetti et al., s.d.);
- alla fine degli stessi anni ’90, il Paglia ed i suoi affluenti sono stati indicati
ancora idonei per poter ospitare la lontra, previe misure di salvaguardia
ambientale (eliminazione fonti di inquinamento soprattutto da metalli
pesanti) e regolamentazione della pesca (Papi, 1998).
Le indagini dirette per la verifica della presenza della lontra nell’area di SIC/ZPS
sono state svolte nel periodo compreso tra gennaio e luglio 2004 nella parte
laziale del bacino del Paglia e suoi affluenti (Torrente Elvella, Torrente Siele,
Torrente Stridolone, Rio Tirolle, F.so del Subissone, Rio Fossatello), ed in punti
limitrofi nel territorio toscano (confluenza dei Torrenti Senna e Rigo).
E’ stata utilizzata la stessa metodica adottata nel censimento nazionale di
presenza della specie del 1984-85, consistente nella ricerca dei segni di
presenza della lontra in numerosi “siti” di controllo, ove si ha potenziale
marcaggio e/o presenza della specie, ciascuno percorso per almeno 600 ml.
(cfr. Cassola, 1986).
Tale metodo, applicato in modo puntuale su siti nell’area di indagine, è
sostanzialmente analogo e riconducibile al “metodo standard” raccomandato
dall’Otter Specialist Group dell’I.U.C.N./S.S.C. (Reuther et al., 2000). In ogni
caso, vista anche la parziale corrispondenza di alcuni siti da controllare con
quanti già ispezionati in precedenti indagini locali (su 11 siti controllati nella
presente indagine, 4 siti corrispondono a quelli di Reggiani et al., 1986),
l’obiettivo è stato pure quello di un confronto della loro qualità ambientale per la
lontra, come allora valutata e come ora nuovamente valutabile con la medesima
metodica (vd. Reggiani et al., 1986) e con stessa scheda di ricerca già adottata
ed archiviata (Cassola, 1986; Reggiani et al., 1986). Lo schema riassuntivo dei
siti in specifico controllati è in allegata tabella.
In base a quanto emerso dalle diverse indagini, allo stato attuale si può
affermare quanto segue:
- nell’area indagata di SIC/ZPS, non sono stati rilevati segni di presenza della
135
-
-
lontra, né raccolte segnalazioni o indizi di sua presenza oltre quanto già
noto;
di fatto, la lontra è confermata completamente estinta nel bacino (indagato)
del Paglia e suoi affluenti;
nell’insieme, lo stato generale del bacino del Paglia e suoi affluenti in tratto
laziale non appare drasticamente modificato rispetto a precedente indagine
sulla lontra (Reggiani et al., 1986), anche se permangono fattori di
alterazione (escavazioni/lavaggi di inerti presso alveo) e di possibile
inquinamento (scarichi agro-zootecnici), già evidenziati e sottolineati da altri
studi (cfr. Reggiani et al., 1986; Tito Colombari, 2000; Taddei in presente
Piano);
in ogni caso, per quanto sopra e per quanto già valutato, si deve ribadire
che le uniche prospettive per la lontra nel Paglia erano legate alla
sopravvivenza della popolazione della specie nel Fiora qualora per questa
vi fossero state le possibilità “di raggiungere dimensioni tali da poter
rappresentare un centro di dispersione, o comunque fornire possibilità di
prelievo” (Reggiani et al., 1986).
A tal proposito, si può comunque segnalare che recenti indagini svolte sulla
lontra in territorio toscano nella provincia di Grosseto, dalle quali sono emerse
tracce di presenza della specie nell’alto corso del fiume Ombrone, hanno
rilevato potenzialità dirette di collegamento tra lo stesso Ombrone ed il Fiora,
sulle pendici boscate del Monte Amiata nei pressi di Santa Fiora (AA.VV.,
2001), dove vi sono pure concrete possibilità di collegamento tra lo stesso Alto
Fiora e l’Alto Paglia (vd. a sud-ovest di S. Fiora: torrenti Senna e Siele) (così già
Baldetti et al., s.d.).
4.7.2.
Lupo (Canis lupus)
Caratteristiche della specie e distribuzione nell’areale
Il lupo (Canis lupus), è un Carnivoro ad ampia distribuzione geografica, con
areale originario che comprendeva un tempo gran parte dell’emisfero
settentrionale e l’intero continente nord-americano ed euroasiatico.
Animale sociale, adattabile a molti tipi di ambiente con diverso grado di
copertura boschiva, vive in branchi gerarchicamente organizzati spesso in
numero limitato di individui (2-7), con basse densità (1-4 individui/100 kmq.) su
vasti ambiti territoriali (oltre 2.500 kmq.), alimentandosi in modo opportunistico
di mammiferi selvatici o domestici predati, ma anche di carcasse, rifiuti e piccole
quantità di frutta (Boscagli, 1985a; Boitani, 1986; Ciucci-Boitani, 1998); le zone
forestali rappresentano (vd. in Italia) un ambiente di particolare importanza per
la specie, soprattutto per la ridotta presenza umana che vi si registra
(Genovesi-Duprè, 2002).
Nel XIX secolo, le persecuzioni operate dell’uomo hanno progressivamente
ridotto l’areale del lupo fino a causarne l’estinzione in quasi tutta l’Europa
centrale e settentrionale e la drastica rarefazione in quella meridionale; la
sopravvivenza di nuclei e la ricolonizzazione dall’Est ha consentito al lupo di
136
essere ancora oggi presente in diversa misura nell’Europa soprattutto orientale,
in quella meridionale, su parte della Penisola iberica e limitatamente in quella
scandinava (Promberger-Schroeder, 1993).
Di recente, il lupo ha mostrato segni di ripresa in varie parti d’Europa dove
viene riconquistando progressivamente nuovi spazi del suo areale potenziale di
distribuzione (Promberger-Schroeder, 1993; Boitani, 2000).
Il lupo è inserito nell’allegato II (specie strettamente protetta) della Convenzione
di Berna (Convenzione relativa alla conservazione della vita selvatica e
dell’ambiente naturale in Europa, firmata a Berna il 17.09.1979) sotto l’egida del
Consiglio d’Europa e ratificata dall’Italia con Legge 5 agosto 1981 n. 503, è
inserito nell’allegato D (specie di interesse comunitario che richiede protezione
rigorosa, con proibizione di cattura, uccisione, disturbo, detenzione, trasporto,
scambio e commercializzazione) della Direttiva comunitaria Habitat 92/43/CEE
recepita dall’Italia con DPR 8 settembre 1997 n. 357; è inoltre inserito nella
appendice II (specie potenzialmente minacciata) della CITES Convenzione sul
commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione
(Washington, 1973) recepita dall’Italia con Legge 19 dicembre 1975 n. 874 ed a
livello europeo con regolamento 338/97/CEE ed è specie particolarmente
protetta ai sensi della Legge 11 febbraio 1992 n. 157.
Oggi, il futuro del lupo in Europa è legato sia all’impegno di ogni singolo Stato
sia alla possibilità di realizzare uno sforzo coordinato di tutte le Nazioni che
fanno parte dell’areale (effettivo e potenziale) della specie (Genovesi, 2002).
Distribuzione e stato di conservazione in Italia
Il lupo in Italia, largamente diffuso nella intera Penisola fino alla metà del XIX
secolo, ha fortemente ridotto il suo areale nella prima metà del XX secolo in
seguito alla persecuzione umana, che è stata la causa della sua estinzione
dalle Alpi e dalla Sicilia (Genovesi-Duprè, 2002).
Nei primi anni ’70 del secolo scorso, il lupo sopravviveva solo in pochi e
frammentati comprensori montani dell’Appennino centro-meridionale ma, grazie
alle misure di protezione e sensibilizzazione adottate ed alle accresciute risorse
preda (vd. reintroduzione ungulati, ed anche immissioni di cinghiali per scopi
venatori), nel corso degli ultimi venti anni ha nuovamente espanso il suo areale
(cfr. Boitani, 1976; Pavan-Mazzoldi, 1983; Boscagli, 1985b, 1985c; BoitaniCiucci, 1993, Boitani-Ciucci, 1996).
Oggi il lupo è stabilmente presente in tutta la catena appenninica,
dall’Aspromonte fino alle Alpi marittime ed ha ricolonizzato anche aree alpine
del Piemonte fino a raggiungere i confini meridionali della Valle d’Aosta
(Genovesi, 2002; Genovesi-Duprè, 2002).
Una stima relativamente recente, basata sulla estrapolazione di dati di aree di
studio all’intero areale della specie, indica una presenza di 400-500 lupi in tutta
l’Italia (Ciucci e Boitani, 1998).
Distribuzione e stato di conservazione nel Lazio con specifico riferimento
alla Provincia di Viterbo
Fino ai primi anni (metà) del secolo scorso, il lupo è stato ampiamente diffuso
137
nei principali territori appenninici e preappenninici dell’attuale Lazio, nonché in
sue aree montuose piuttosto localizzate (Monti Lepini) o di bassa quota
(comprensorio Tolfetano-Cerite), ove la presenza del carnivoro si è rarefatta ma
comunque tuttora in diversa misura conservata (cfr. Boitani, 1976; PavanMazzoldi, 1983; Boscagli, 1985b, 1985c; Boitani-Ciucci, 1993, Boitani-Ciucci,
1996; Verucci, 1998; Verucci-Russo, 2002; Esposito-Proietti, 2002).
Nella provincia di Viterbo, il lupo ha avuto particolare diffusione probabilmente
fino al XVIII-XIX secolo, con popolamenti in continuità con i territori della
limitrofa Toscana, poi rarefattosi e scomparso come nel resto della Penisola a
causa soprattutto delle persecuzioni umane (cfr. Boitani, 1976; Pavan-Mazzoldi,
1983; Boscagli, 1985a; Boitani, 1976).
La diffusione storica e recente del lupo nel Viterbese - Alto Lazio è stata poco e
solo relativamente indagata, considerata soprattutto in modo indiretto nel
quadro di analisi e ricerche sulla specie a livello di areale vasto o del
relativamente vicino comprensorio tolfetano-cerite (vd. Tassi, 1971; Arcà et al.,
1985; Boscagli, 1985a, 1985c; Boitani, 1986; Francisci et al., 1991; BoitaniCiucci, 1993; Francisci-Guberti, 1993; Boitani-Ciucci, 1996; Capizzi, 1996), in
passato comunque considerata per i territori di Ischia di Castro e di Farnese
(Calvario-Sarrocco, 1987; Calò, 1995a) e di recente esaminata per gli stessi
territori nell’ambito del Piano di gestione di locali SIC/ZPS (Calò in AA.VV.,
2004); poche sono invece le indicazioni specifiche per il territorio di SIC/ZPS in
oggetto (Capizzi, 1996; Papi, 1998; Bellavita, 2004; Catalini, 2004).
Distribuzione e stato di conservazione nel sito
Per approfondire le conoscenze sul lupo nel territorio di SIC/ZPS nel periodo
compreso tra ottobre 2003 e luglio 2004 sono state svolte diverse indagini e
verifiche, sia di tipo indiretto (bibliografico-documentale) che diretto (ispezioni di
campo).
Le indagini indirette hanno portato alla raccolta delle informazioni bibliografiche
disponibili e di diverse notizie originali sul territorio e sulla presenza storica e
recente del lupo (riferita in particolare agli ultimi 10 anni) nel comprensorio
dell’Alto Lazio Viterbese.
I materiali bibliografici e i dati originali ed inediti raccolti e giudicati di diverso
interesse specifico e di riferimento sono quelli citati nel presente lavoro.
Le informazioni originali di orientamento e/o riscontro sull’area e sulla presenza
del lupo sono state ricercate e raccolte presso il Personale della Riserva
Naturale di Monte Rufeno, naturalisti ed esperti locali, Personale della
Amministrazione Provinciale di Viterbo e del Corpo Forestale dello Stato,
veterinari e cacciatori operanti nell’area.
Da questa indagine emerge che il lupo, diffuso e attivamente cacciato nel
comprensorio di Monte Rufeno negli anni ’30 del secolo scorso, era ancora
presente nell’area di Monte Rufeno negli anni ’60 (Bellavita, 2004) e che la
“ricomparsa” del carnivoro nel territorio di Acquapendente, successiva ad una
sua “ricolonizzazione” di territori ad ovest nel basso Grossetano, si evidenzia
dalla fine degli scorsi anni ’80 e fino a tempi anche recenti (Papi, 1998;
Bellavita, 2004; Catalini, 2004).
In termini di inquadramento storico e generale, si può quindi riportare che:
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negli anni ’30 del secolo scorso il lupo era diffuso nel territorio di Monte
Rufeno, in continuità/collegamento con la Selva di Meana ed il Monte
Amiata, dove veniva cacciato (ivi pure la figura del “lupaio”) e localmente
anche detto (significativamente?) “can guasto” (da indagine su vita
contadina: rif. Bellavita, 2004);
tale presenza del lupo nel territorio di Monte Rufeno, con avvistamenti,
danni ed abbattimenti della specie (ad es. loc. Vitabbieti e Felceto), è
riportata fino agli anni ’60, quando il territorio viene abbandonato dagli
agricoltori/allevatori che vi risiedevano (da indagine su vita contadina: rif.
Bellavita, 2004);
successivamente, agli inizi degli anni ’70, viene sostenuto per la prima volta
che lupi “in piccoli branchi o in sporadici individui isolati frequentano ormai
più o meno regolarmente i Monti Sabatini, Vulsini, Cimini e i Monti della
Tolfa nell’Alto Lazio, sconfinando talvolta nella Maremma Toscana o nella
stessa Campagna Romana.” (da Tassi, 1971);
ancora per la fine degli anni ’70 del secolo scorso si sostiene che “Also at
the end of the seventies, in central Italy wolves recolonized a small
mountain range south of Rome, and they also started moving from Latium
northward into southern Tuscany, along the hilly coastal areas up to
Grosseto plains.” (da Boitani-Ciucci, 1993);
per gli inizi degli anni ’80, vengono riportate uccisioni di una lupa (1980)
presso Albinia (Grosseto) nonché di un lupo (gennaio 1981) nei pressi di
Miemo (Pisa), mentre viene riferita l’esistenza di una decina di denunce di
danni al bestiame domestico nel 1979 presso Manciano (Grosseto) (Cenni,
1985), aree geografiche ad occidente del territorio di SIC/ZPS oggetto di
indagine;
alla metà degli anni ’80, si sostiene che sul lupo per “la bassa Toscana e
l’Alto Lazio le stime si differenziano a causa del diverso rilevamento; sui
Monti della Tolfa è certa la presenza di 6-8 individui … che si ritiene di poter
aggiungere ad almeno altri 4-5 nell’alto viterbese, stima deducibile dagli
abbattimenti di 8 avvenuti tra la provincia di Viterbo e la zona a S-E del lago
di Bracciano (1977-1983); non sembrano disponibili dati per ipotizzare
l’esistenza di nuclei stabili. Nella bassa Toscana, tra Colline Metallifere,
Maremma e confine tosco-laziale esistono invece probabilmente due di
questi nuclei, uno localizzato immediatamente a N del confine e l’altro a S
del M. Amiata. Gli abbattimenti recenti sono 8. L’ipotesi più attendibile viene
fissata per la Toscana meridionale a 8-12 esemplari” (da Boscagli, 1985c);
ancora a metà degli anni ’80, viene indicata per la prima volta la “possibilità
di esistenza di un corridoio faunistico che leghi questo comprensorio
(tolfetano-cerite-manziate) alla Toscana centrale, almeno per quanto
riguarda il lupo”, e si riporta che sul lupo “negli ultimi tre anni sono state
accertate uccisioni e segnalazioni attendibili, anche se sporadiche, lungo
una fascia di entroterra che parte dalla Toscana centrale e arriva
sicuramente a sud di Manciano (GR)” e si afferma che “le segnalazioni di
lupi nel Lazio settentrionale sono localizzate a non più di 30-35 km dal
confine con la Toscana (quindi a non più di 40 da Manciano)” concludendo
che “le recenti segnalazioni di lupo in Toscana possono poi far pensare ad
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-
una irradiazione dai Monti della Tolfa” (da Arcà et al., 1985);
per la fine degli anni ’80, viene riportato che “… in 1987, 12 wolves, most
probably the entire local subpopulation, were killed by farmers and hunters
of the Commune of Manciano (southern Tuscany): after a few years of
increasing damages to live-stock, local people decided it was time to act by
themselves, though illegaly. Numbers of killed animal did not reflect the
numbers of wolves alive before, nor after, the actual reaction” (da BoitaniCiucci, 1993);
ancora alla fine degli anni ’80, per la vicina area di Ischia di Castro viene
indicato che “nel territorio dei comuni di Ischia di Castro, Manciano e
Farnese, negli ultimi due anni sono stati uccisi almeno 5 lupi (ufficialmente
denunciati) (Consulteco, 1985).” (Calvario-Sarrocco, 1987);
dalla fine degli anni ’80, in specifico nel territorio di Acquapendente
(SIC/ZPS in oggetto) si iniziano ad avere segnalazioni (non confermate)
della specie (Papi, 1998);
agli inizi degli anni ’90, viene sottolineato per la prima (unica) volta che per
lo studio della distribuzione del lupo “va meglio circostanziata la funzione
della valle della Nera e della regione vulsina che sembrano funzionare
come corridoio e che connettono l’Appennino al complesso Toscana
meridionale e Tuscia” (Francisci et al., 1991);
ancora nei primi anni ’90, viene ribadito che l’area di distribuzione del lupo
in Italia “include inoltre importanti zone delle regioni collinari tra il Lazio
settentrionale e la Toscana meridionale e centrale” (da Boitani-Ciucci,
1996);
negli stessi primi anni ’90, per la vicina area della Selva del Lamone si
afferma del lupo che “in questa zona la presenza di questo carnivoro
dev’essere considerata temporanea e saltuaria, in quanto le condizioni
ambientali non ne permettono la permanenza per lunghi periodi.” (da
Baragliu-Casi, s.d.), mentre viene ribadito che “intorno alla metà degli anni
’80 nei Comuni di Farnese, Manciano ed Ischia di Castro è stata denunciata
ufficialmente l’uccisione di 5 esemplari di lupo.” e che “dalla fine degli anni
’80 in poi cessano di verificarsi le segnalazioni della specie nell’area” ed
ancora che “la segnalazione più recente riguarda il territorio di
Acquapendente, dove nel gennaio 1995 è stato ucciso un individuo; tale
dato conferma la presenza, sia pure saltuaria e temporanea di un nucleo di
lupo nel vasto territorio della bassa Toscana e dell’alto Lazio” (da Calò,
1995a);
nella seconda metà degli anni ’90, per il Viterbese, si afferma che la
presenza del lupo “è accertata fino al 1989 nell’area compresa tra i Monti
della Tolfa e Tuscania dove con buone probabilità è ancora presente un
nucleo stabile di individui. Segnalazioni meno continue provengono dai
Monti Cimini e dai valloni tufacei situati a Sud. Un altro settore di presenza
stabile della specie è quello delle aree boscate al confine con le province di
Siena e Grosseto. Da queste zone provengono notizie di numerose
uccisioni illegali; l’ultimo abbattimento risale al 1994 nel comune di
Acquapendente. Il centro di irradiazione della popolazione della Maremma
tosco-laziale è peraltro da riferirsi al nucleo insediatosi sui Monti della Tolfa
140
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-
intorno agli anni cinquanta. La dinamica delle popolazioni di Lupo sembra
seguire delle fluttuazioni ascrivibili a successive fasi di colonizzazione –
incremento numerico – aumento danni al patrimonio zootecnico – aumento
delle persecuzioni – contrazioni – ricolonizzazione.” (da Capizzi, 1996);
per la fine degli anni ’90, in specifico nel territorio di Acquapendente oltre
all’abbattimento di un lupo nel 1995 presso Trevinano, si hanno
segnalazioni della specie nel 1996 e 1998 (vd. oltre) più o meno attendibili
ed anche dirette da parte del Personale della Riserva Naturale di Monte
Rufeno (Papi, 1998; Bellavita, 2004; Catalini, 2004);
infine negli ultimi anni, nel 2000, 2001 e 2003, sempre nel territorio di
Acquapendente si sono ancora avute segnalazioni indirette e dirette della
specie da parte del Personale della Riserva Naturale di Monte Rufeno
(Papi, 1998; Bellavita, 2004).
In dettaglio, le suddette recenti segnalazioni dirette e indirette di presenza del
lupo nel territorio (vasto) di SIC/ZPS in oggetto, sono le seguenti:
- nel 1995, in gennaio, un lupo maschio di due anni abbattuto nei pressi di
Trevinano (Papi, 1998);
- nel 1996, primavera, osservazioni di due lupi nell’area circostante la Riserva
Naturale di Monte Rufeno (Papi, 1998);
- nel 1996, un probabile lupo visto (rispettato?) durante una “cacciarella” di
cinghiale nella zona di Trevinano (rif. Catalini, 2004);
- nel 1998, in marzo, un lupo avvistato in loc. Tigna nella Riserva Naturale di
Monte Rufeno dal Guardiaparco Bellavita (in Papi, 1998; Bellavita, 2004);
- nel 2000, il 28 marzo, uccisione di pecore e presunto avvistamento di lupo
in loc. Podere delle Monache presso la Riserva Naturale di Monte Rufeno
(tra SS Cassia e Trevinano) (rif. Bellavita, 2004);
- ancora nel 2000, in novembre, uccisione di pecore attribuita a lupo in loc.
Barlettara presso ingresso della Riserva Naturale di Monte Rufeno (rif.
Bellavita, 2004);
- nel 2001, uccisione di pecore attribuita a lupo in loc. Torre Alfina presso la
Riserva Naturale di Monte Rufeno (rif. Bellavita, 2004);
- ancora nel 2001, il 29 agosto, uccisione di pecore attribuita a lupo in loc.
Casavecchia sotto Monte Rufeno nella omonima Riserva Naturale (rif.
Bellavita, 2004);
- nel 2003, in novembre, un probabile lupo avvistato in loc. S. Vittorio presso
Torre Alfina nella Riserva Naturale di Monte Rufeno dal Guardiaparco
Bellavita (Bellavita, 2004).
Alla luce di quanto sopra, in assenza di conoscenze puntuali sulla presenza del
lupo nel territorio di SIC/ZPS, nel periodo tra gennaio e luglio 2004, ci si è
innanzitutto predisposti a verificare ogni eventuale segnalazione della specie
che potesse pervenire da fonti qualificate, appositamente attivate (Personale
Riserva Naturale Monte Rufeno, veterinari e cacciatori delle zone), purtroppo
senza che vi sia stata alcuna occasione di controllo.
Al contempo, sono state comunque svolte alcune verifiche mirate (sopralluoghi
e perlustrazioni) a carattere puntuale ed estensivo in diverse zone del territorio
141
di SIC/ZPS, ad integrazione di conoscenze personali pregresse.
Nelle verifiche di campo si è utilizzato il cosiddetto “metodo naturalistico”,
basato sulla ricerca e determinazione di segni di presenza certi e significativi
(escrementi, tracce, segni di marcatura etc.) della specie (Boscagli, 1985a;
Ragni et al., 1988), senza poter comunque impiegare altre tecniche che hanno
nella nevosità (rara nell’area di studio) il loro presupposto applicativo (BoitaniCiucci, 1999).
Non si è inoltre potuto utilizzare il metodo di cosiddetto “wolf-howling” (Boscagli,
1985a), per l’impossibilità di avere le figure (più d’una) specialistiche necessarie
da impegnare in un programma di adeguata attendibilità/ripetitività/
significatività, inattuabile nel quadro del presente lavoro.
Sono state controllate con sopralluoghi e perlustrazioni lungo itinerari (in
diverse giornate) le seguenti zone, scelte in base a considerazioni di possibile
frequentabilità/idoneità per il carnivoro, disponibilità di sue risorse alimentari
accessibili (ungulati selvatici e/o domestici), tranquillità generale e sue eventuali
direttrici (corridoi boschivi) di spostamento:
- nella Riserva Naturale di Monte Rufeno, loc. Torre Alfina–Pastorello
(14.03.2004, 18.07.2004), Torrente Fossatello (14.03.2004, 18.07.2004),
Fosso del Subissone (14.03.2004), Monaldesca (01.05.2004), senza aver
rilevato segni di presenza della specie;
- nell’area di Trevinano - Riserva Naturale di Monte Rufeno, Podere
Pisciarello - Podere Tirolle (30.01.2004, 07.03.2004, 01.05.2004), Podere
Pantano – Macchia dei Paicci (30.01.2004, 07.03.2004, 01.05.2004), senza
aver rilevato segni di presenza della specie;
- nell’area della Selva di Meana, loc. Podere Granaro – Fosso Rivareale
(07.03.2004, 01.05.2004, 18.07.2004), senza aver rilevato segni di
presenza della specie.
- In base a quanto sopra, allo stato attuale si può affermare che:
- il lupo frequenta in diverso modo e misura il territorio di SIC/ZPS da diversi
anni, nell’ambito di sue direttrici di movimento ed aree di presenza
relativamente stabile individuabili probabilmente tra Alto Lazio e
comprensori di Monte Amiata e bassa Maremma toscana;
- negli ultimi anni, la presenza del lupo è stata più volte segnalata
(accertata/probabile) all’interno del territorio di SIC/ZPS (Riserva Naturale
Monte Rufeno e Torre Alfina) ed in zone immediatamente limitrofe a nordovest (tra SS Cassia e Trevinano), mentre vi sono altre diverse indicazioni
di presenza del carnivoro nei vicini territori occidentali dello stesso Alto
Lazio e del Grossetano (cfr. Calò, 2004);
- allo stato, non vi sono indicazioni (indirette e/o dirette) di presenza stabile,
anche temporaneamente possibile, del lupo nel territorio di SIC/ZPS;
- il territorio di SIC/ZPS è certamente idoneo alla presenza del lupo, per
estensione/continuità di superfici boschive, presenza di risorse preda
(ungulati selvatici e domestici), ambiti di scarsa antropizzazione e relativa
tranquillità, collegamenti ambientali con la Bassa Toscana, in particolare
con il comprensorio di Monte Amiata (vd. territori di Abbadia S. Salvatore, S.
Fiora, Arcidosso) ma anche con l’area occidentale di basso Grossetano –
Alto Lazio (vd. territori di Sorano, Pitigliano, Manciano, Ischia di Castro,
142
-
-
Farnese);
l’analisi della presenza e dello status del lupo nel territorio di SIC/ZPS in
oggetto presuppone una conoscenza più vasta ed aggiornata della specie
riferita alle suddette aree limitrofe, in alcune delle quali sono state già svolte
recenti indagini specialistiche (Monte Amiata: Boscagli, 2004) o formulate
considerazioni (SIC/ZPS Farnese e Ischi di Castro: Calò in AA.VV., 2004),
ciò senza trascurare la necessità di conoscenze su altre zone relativamente
collegate e/o di riferimento (vd. Selva di Meana in Umbria, Monti Volsini e
Monti Cimini nel Viterbese);
in ogni caso, la verifica e valutazione puntuale del carattere della presenza
e delle possibili direttrici di movimento del lupo nel territorio di SIC/ZPS
necessita di indagini specialistiche mirate e ripetute, con tecniche adeguate
(in particolare: “wolf-howling”).
In conclusione, lo stato di conservazione del lupo nel territorio di SIC/ZPS in
oggetto può essere solo relativamente valutato, trattandosi di area di presenza
probabilmente ancora instabile e ridotta della specie.
Si deve comunque sottolineare il valore funzionale di questo territorio di
SIC/ZPS posto in continuità con le aree vaste del lupo nella bassa Toscana, in
particolare con i comprensori di Monte Amiata e di bassa Maremma - Alto Lazio
occidentale, e che rappresenta un ambito quantomeno di fondamentale
raccordo tra le suddette aree vaste ed altre zone storiche e/o attuali di possibile
movimento/presenza del carnivoro nell’Italia centrale (vd. zone di Monti Volsini,
Monti Cimini, Monti Sabatini ed anche Monti Sabini).
Di fatto, lo stato di conservazione del lupo nel territorio di SIC/ZPS è quello di
specie minacciata e comunque di specie “vulnerabile” (sensu letterale e IUCN,
1996), così come a livello europeo e nazionale (Boitani, 2000; Genovesi, 2002).
4.7.3.
Chirotteri
Nonostante nelle schede Natura 2000 relative ai siti inerenti il presente Piano di
Gestione non fossero indicati i Chirotteri, si è deciso effettuare una indagine
breve, nella forma del survey speditivi, al fine di verificare la presenza di specie
appartenenti a questo gruppo nell’area.
A tal scopo il giorno 21 maggio 2004 con la collaborazione del personale della
Riserva di Monte Rufeno, si è proceduto ad un’ispezione di potenziali rifugi dei
chirotteri presenti. Sono state ispezionate cavità artificiali scavate nel tufo nei
pressi del giardino botanico. All’interno di due di queste sono stati rinvenuti due
individui di Rhinolophus ferrumequinum. Sono stati inoltre perlustrati casali
abbandonati verificando la presenza di chirotteri e/o di resti di pasto e/o guano.
In un casale sono state ritrovate tracce consistenti di guano e un chirottero
appartenente alla famiglia dei Rinolophidae che non è stato possibile catturare
e quindi determinare a livello di specie. Dalle misure prese sull’avambraccio
fornite dal personale della riserva che aveva avuto modo di valutare la presenza
di una colonia nei giorni precedenti alla visita, è possibile desumere che tale
colonia fosse composta da R. ferrumequinum. Dalle tracce di guano e dalle
143
indicazioni fornite è presumibile che la colonia fosse composta da circa una
trentina di esemplari. E’ possibile inoltre che oltre a R. ferrumequinum fossero
presenti altre specie appartenenti alla stessa famiglia (sempre basandomi su
indicazioni fornitemi dal personale della riserva).
Nella stessa giornata è stato ispezionato il casale ora adibito a centro didattico.
In diverse stanze del casale sono state rinvenute tracce di guano ed in una di
queste sono stati contati tre individui di R. hipposideros.
Dati bibliografici indicano la presenza di altre specie di chirotteri nell’area:
Myotis emarginatus dato riportato in “ P. P. Crucitti, M. Andreini e M. Leopardi
1991. Una Comunità Trogofila di Chirotteri del Lazio Settentrionale (Italia
Centrale) (CHIROPTERA). Atti Soc. ital. Sci. Nat. Museo civ. Stor. Nat. Milano.
Vol 132 n. 8, pg 89-104”.
A quanto risulta nella riserva non sono stati condotti studi sulla presenza di
chirotteri sebbene l’area sembrerebbe offrire interessanti spunti per studi
faunistici su questo gruppo. La sola visita effettuata e la scarsezza della
bibliografia non sono pertanto sufficienti per fornire un quadro soddisfacente
sul popolamento di chirotteri nella riserva. In base ai pochi dati raccolti verranno
forniti suggerimenti gestionali puramente indicativi.
144
5.
AMBIENTE ANTROPICO
L’analisi delle variabili socio-economiche oltre a rappresentare un elemento
fondamentale nella definizione del contesto di riferimento, ha come obiettivo
anche quello di evidenziare eventuali criticità del sistema territoriale in termini di
sviluppo e di squilibri.
Tale analisi è stata condotta sulla base di diverse fonti statistiche, riconducibili
principalmente a dati ISTAT (censuari e non) ed ANCITEL1; inoltre, deve
essere premesso che le informazioni ricavate fanno riferimento a periodi diversi
(in alcuni casi al censimento del 1991), non essendo spesso disponibili dati più
aggiornati perché ancora provvisori o incompleti.
I potenziali impatti delle attività umane sui siti d’interesse sono trattati nel
paragrafo 5.6.
Un ultimo aspetto delle analisi riguardanti l’ambiente antropico, riveste una
particolare importanza in questa sede: si tratta del patrimonio storico-culturale,
le cui molteplici interrelazioni con il patrimonio ambientale dell’area concorrono
a definirne la peculiarità, oltre che a qualificarne lo sviluppo.
5.1.
DEMOGRAFIA
Secondo il “XIV Censimento della Popolazione e delle Abitazioni” (ottobre
2001), la popolazione legale residente nel Comune di Acquapendente ammonta
a 5.788 unità, pari al 2% della popolazione complessiva della Provincia di
Viterbo.
Tabella 5.1.1. Popolazione residente, variazione % e densità demografica
Popol. Residente
2001
Acquapendente
Provincia Viterbo
Fonte: ISTAT
5.788
288.783
var % '91-'01
var % '81-'91
-1,7
3,7
0,6
3,8
ab/kmq
44,6
79,9
La densità demografica2 dell’area è di 44,6 abitanti/km2, inferiore sia al dato
provinciale (79,9 abitanti/km2), sia al totale regionale (297,1 abitanti/km2) ed
indica un bassissimo livello di pressione antropica.
Analizzando l’evoluzione demografica è possibile evidenziare le tendenze in
atto (e gli eventuali squilibri) per ciò che concerne sia il movimento della
popolazione che la sua struttura.
1 Si tratta del sistema informativo statistico-territoriale sugli Enti Locali dell’Associazione
Nazionale dei Comuni Italiani
2 Abitanti/Superficie territoriale.
145
Dal punto di vista della dinamica della popolazione, nel decennio 1981-1991 il
numero di residenti era rimasto pressoché stabile (+0,6%), mentre negli ultimi
dieci anni si è avuta una flessione in termini assoluti di 98 unità (da 5.886 a
5.788) pari al -1,7% in netta controtendenza rispetto a quanto verificato a livello
provinciale, invece, gli ultimi due censimenti hanno rilevato un incremento
costante della popolazione rispettivamente del 3,8% e del 3,7%.
Con riferimento ai dati di fonte anagrafica (che, però, sovrastimano in genere la
popolazione effettivamente censita), si riportano nella Tabella 5.1.2 i dati relativi
al bilancio demografico al 31 dicembre 2002, che mostrano nell’ultimo anno un
lieve incremento della popolazione residente nel comune. Bisogna sottolineare,
inoltre, come su questo (al pari di quello provinciale) incida principalmente il
saldo migratorio (inteso come differenza tra chi decide di risiedere nel territorio
e chi decide di abbandonarlo): infatti, mentre il movimento naturale registra un
saldo negativo di 38 unità (in linea con la tendenza nazionale di una riduzione
costante del tasso di natalità), quello anagrafico ha avuto un saldo positivo (+56
unità), tanto da riuscire a compensare, in valore assoluto, il primo dato.
Quest’ultimo fenomeno può essere spiegato con la tendenza abbastanza
diffusa e generalizzata all’allontanamento dai centri urbani più grandi (e dai
disagi tipici quali traffico, inquinamento, criminalità, ecc.) di un numero sempre
più consistente di cittadini che scelgono di spostare la propria residenza in
centri abitati di piccole dimensioni in contesti maggiormente vivibili e più
convenienti da un punto di vista puramente economico.
Tabella 5.1.2.
Bilancio demografico al 31/12/2002. Confronto tra dato comunale e
provinciale
Movimento
Movimento
Popolaz.
naturale
anagrafico
residente
Nati
Morti Saldo Iscritti Cancel. Saldo
45
83
-38
120
64
56
5.807
Acquapendente
2.220 3.191
-971 8.090
5.075
3.015
291.153
Prov. Viterbo
Fonte: Elaborazione su dati ISTAT
Secondo l’ultimo censimento, risiedevano nell’area 2.378 famiglie, pari al 2,1%
dei nuclei familiari dell’intera provincia di Viterbo: rispetto al valore censito nel
1991, il numero delle famiglie risulta in crescita con una percentuale del 9,5%
(in provincia di Viterbo questa percentuale sale al 13,5%). Per quanto riguarda il
numero medio di componenti per famiglia, si è registrata invece una sensibile
diminuzione (-11% circa) essendo passati dai 2,7 membri del 1991 ai 2,4
dell’ultimo censimento; anche a livello provinciale si è avuta, nello stesso
periodo, una contrazione (seppur minore) da 2,7 a 2,5 unità, corrispondente in
termini relativi al -7,4%.
Il dato relativo alla presenza di cittadini stranieri mostra come il totale di
immigrati ufficialmente residenti nel comune ammontasse al 31 dicembre 2001
a 99 unità, corrispondenti, in termini relativi, all’1,7% della popolazione
residente ad Acquapendente.
Un altro elemento molto importante per l’analisi della struttura demografica
dell’area riguarda la composizione della popolazione complessiva del comune
146
di Acquapendente per fasce di età (Tabella 5.1.3), da cui si rileva la netta
prevalenza della componente anziana rispetto alla fascia giovane, con una
quota di ultrasessantacinquenni molto più alta del valore provinciale.
Tabella 5.1.3. Composizione % della popolazione residente per fasce di età
0-14
10,8
Acquapendente
12,8
Prov. Viterbo
Fonte: Elaborazione su dati ISTAT
15-64
61,7
66,2
65+
27,5
21,0
Totale
100,0
100,0
Infatti, nel 2001 emergeva che la fascia di età di popolazione “giovane” (vale a
dire fino a 14 anni) era costituita da 625 unità e rappresentava appena il 10,8%
della popolazione, la fascia con età compresa tra i 15 e i 64 anni era composta
da 3.751 unità (pari al 61,7% della popolazione residente), e che il restante
27,5% era costituito dalla popolazione con età superiore o uguale a 65 anni
(1.592 unità).
Figura 5.1.I. Composizione % della popolazione residente per fasce di età
70
60
50
40
30
20
10
0
Acquapendente
Prov. di Viterbo
0-14
15-64
65+
Fonte: Elaborazione su dati ISTAT
Per delineare un quadro più rappresentativo della dinamica demografica
vengono inoltre considerati i seguenti indici, i cui valori confermano un
fenomeno d’invecchiamento della popolazione molto marcato:
1. indice di ricambio generazionale3;
2. indice di ricambio congiunturale4
3. indice di dipendenza5;
3 Rapporto tra la popolazione di 0-14 anni e la popolazione ultrasessantacinquenne,
moltiplicato per 100.
4 Rapporto tra la popolazione in età compresa tra i 15 e i 24 anni e la popolazione tra i 55 ed i
64 anni, moltiplicato per 100.
147
Tabella 5.1.4. Indici strutturali della popolazione residente (%)
Ricambio
generazionale
39,3
Acquapendente
61,1
Prov. Viterbo
Fonte: Elaborazione su dati ISTAT
Indice
Ricambio
congiunturale
74,5
90,1
Dipendenza
62,1
51,1
L’indice di ricambio generazionale è pari al 39,3%, vale a dire che per ogni 100
anziani ci sono solo 39 giovani sotto i 14 anni: anche il dato riscontrato a livello
provinciale evidenzia la prevalenza della componente anziana, ma con un
valore decisamente superiore a quello comunale (63,6%).
L’indice di ricambio congiunturale fornisce una stima del turnover che dovrebbe
realizzarsi tra coloro che appartengono alla fascia di età presumibilmente
corrispondente a quella di ingresso nel mondo del lavoro e le persone in età
pensionabile. Ad Acquapendente il numero di giovani che si può affacciare sul
mercato del lavoro è inferiore a quello dei lavoratori di età compresa tra 55 e 64
anni essendo pari rispettivamente a 496 e a 666 unità, con un rapporto
percentuale del 74,5%. Anche in questo caso si registra una profonda
differenza con il valore medio del viterbese dove si supera il 90%.
Infine, l’indice di dipendenza consente di identificare il carico relativo della
popolazione inattiva su quella presumibilmente attiva e mostra come circa 62
individui su 100 dipendano dal reddito prodotto da quelli in età compresa tra 15
e 64 anni, mentre in ambito provinciale tale rapporto scende a 50 persone su
100.
5.2.
SCUOLA E ISTRUZIONE
Le informazioni relative al livello d’istruzione e alle istituzioni scolastiche
presenti sul territorio sono molto utili per la caratterizzazione del tessuto sociale
della comunità locale.
I dati relativi al Censimento Generale del 1991 evidenziavano per il Comune di
Acquapendente un indice di scolarizzazione superiore6 del 18,3%, di poco
inferiore alla media provinciale (19,2%).
Anche il livello d’istruzione superiore riportato può essere ricondotto alla
consistente presenza di anziani nel comune e al progressivo invecchiamento
della popolazione, in quanto, generalmente, sono le generazioni più giovani a
conseguire titoli di studio superiori (non essendo costretti ad abbandonare gli
studi in età scolare per cominciare a lavorare). Inoltre, devono essere
considerati anche quei fenomeni di abbandono del proprio comune di origine da
parte dei giovani più istruiti, costretti a trasferirsi altrove per poter trovare
occupazioni maggiormente idonee al loro livello d’istruzione.
5 Rapporto tra la popolazione in età non attiva (0-14 anni e 65 anni e più) e la popolazione in
età attiva (15-64 anni), moltiplicato per 100.
6 Rapporto tra laureati e diplomati sulla popolazione di età superiore a 6 anni.
148
La maggior parte della popolazione di età superiore a 6 anni possedeva al
massimo il titolo di studio relativo alla licenza elementare ed alla scuola media
inferiore (58,9%), mentre gli analfabeti erano il 3,9% (percentuale decisamente
più alta di quella provinciale dove rappresentavano il 2,1%). Come
precedentemente riportato, solo 18 persone circa su 100 erano in possesso di
un titolo d’istruzione superiore: in particolare, i diplomati costituivano il 15,6% ed
i laureati erano appena il 2,7%.
Nel 1998, il numero totale di alunni e di classi era rispettivamente di 1.026 e 53
unità, con una media di 19 alunni per classe. Nella tabella seguente si riporta il
dettaglio della distribuzione di classi e alunni per tipologia di scuola.
Tabella 5.2.1. Numero di classi e alunni per livello d’istruzione (1998)
Classi
N°
%
Materna
6
11,3
Elementari
11
20,8
Medie Inferiori
8
15,1
Medie Superiori
28
52,8
TOTALE
53
100,0
Fonte: Elaborazioni su dati Ancitel 1996
Scuola
5.3.
Alunni
N°
150
196
142
538
1.026
%
14,6
19,1
13,8
52,4
100,0
STRUTTURA ABITATIVA
Nel territorio comunale gli ultimi dati censuari del 2001 riportano un patrimonio
abitativo complessivo di 2.615 abitazioni (pari all’1,8% del totale provinciale), di
cui circa il 90% risulta occupato (contro una media provinciale del 76% circa).
Rispetto ai valori del censimento del 1991, bisogna sottolineare come, a fronte
di un aumento a livello provinciale del 7,2%, il patrimonio abitativo comunale
risulti invece in calo con una percentuale del 5%.
Tabella 5.3.1. Censimento delle abitazioni (2001): valori assoluti e %
Acquapendente
Prov. Viterbo
Fonte: ISTAT
Abit. occupate
Val. Ass.
%
2.350 89,9
112.441 76,2
Abit. non occ.
Val. Ass.
%
265 10,1
35.082 23,8
Totale
Val. Ass.
%
2.615 100,0
147.523 100,0
Per il calcolo delle abitazioni ad uso vacanza si deve invece fare ancora
riferimento al censimento del 1991, quando (con 339 abitazioni su 595)
quest’ultime costituivano circa il 57% delle abitazioni non occupate (poco meno
della media provinciale dove si supera il 60%). Bisogna evidenziare però che
all’epoca del censimento, il rapporto tra case non occupate e case censite era
molto diverso da quello odierno, in quanto erano quasi il 22%, contro il 10% del
2001.
149
Sempre nel 1991, le abitazioni occupate per motivi di studio o di lavoro erano
48, mentre risultavano non occupate e non utilizzate 193 case.
Per quanto riguarda il livello di urbanizzazione, si registra un valore di densità
abitativa comunale abbastanza basso, pari a 20,1 abitazioni/km2, circa metà del
valore medio del viterbese (40,8 abitazioni/km2).
5.4.
POPOLAZIONE ATTIVA E MERCATO DEL LAVORO
Ad Acquapendente, sulla base del censimento ISTAT del 1991, la popolazione
attiva7 costituiva il 39% della popolazione totale (in valore assoluto, gli attivi
erano 2.294 unità), in linea con quanto registrato su scala provinciale.
All’interno della popolazione attiva (cfr. Tabella 5.4.1), un’alta percentuale di
persone, pari all’86,3%, risultava occupata (mentre il dato provinciale è
dell’83,3%), i disoccupati erano il 6,5%, mentre il restante 7,2% era
rappresentato da persone in cerca di prima occupazione.
La popolazione in condizione professionale, come somma degli occupati e dei
disoccupati, costituiva pertanto, nel 1991, il 92,9% della popolazione attiva: di
questi il 66% era costituito da lavoratori dipendenti a vario titolo, il 27,9% da
lavoratori in proprio, mentre il restante 6,1% da imprenditori o liberi
professionisti.
Tabella 5.4.1. Composizione della popolazione attiva (1991): valori assoluti e %
Occupati
In cerca
Totale
1^ occupaz.
Valore
Valore
%
%
%
Ass.
Ass.
164
2.294 100,0
6,5
7,1
6,4 11.133 10,2 108.919 100,0
Disoccupati
Valore
Valore
%
Ass.
Ass.
1.980 86,3
150
Acquapendente
90.766 83,3
7.020
Prov. Viterbo
Fonte: Elaborazione su dati Ancitel
La tabella 5.4.2 riporta la distribuzione degli attivi in condizione professionale tra
i principali settori economici (agricoltura, industria e servizi). Da questa si
evidenzia come il comparto agricolo abbia complessivamente un peso notevole
all’interno del tessuto economico del comune di Acquapendente con il 15,3% di
attivi nel settore, in linea con quanto risulta in ambito provinciale (14,6%).
Rispetto al valore medio della provincia di Viterbo, è possibile inoltre notare nel
comune una maggior percentuale di attivi nell’industria (26,7% e 30%
rispettivamente)la situazione, e una relativa minore importanza del settore
terziario (54,7% e 58,7% rispettivamente), a cui comunque fa riferimento la
maggior parte degli attivi censiti.
7 La popolazione attiva è composta, secondo l’ISTAT, dagli occupati, dai disoccupati e da
persone in cerca di prima occupazione.
150
Tabella 5.4.2.
Distribuzione degli attivi in condizione professionale (1991): valori
assoluti e %
Agricoltura
Val. Ass.
%
Industria
Val. Ass.
326 15,3
Acquapendente
14.271 14,6
Prov. Viterbo
Fonte: Elaborazione su dati Ancitel
Figura 5.4.I.
639
26.146
Altra attività
Totale
Val.
%
% Val. Ass. %
Ass.
2.130 100,0
30,0 1.165 54,7
26,7 57.369 58,7 97.786 100,0
Composizione della popolazione attiva in condizione professionale
(1991)
60
50
40
30
20
10
0
Acquapendente
agricoltura
Prov. di Viterbo
industria
altre attività
Fonte: Elaborazione su dati Istat
5.5.
STRUTTURA ECONOMICO PRODUTTIVA
Attraverso l’analisi della struttura economico-produttiva del Comune si vuole
evidenziare la vocazione e la tipologia produttiva prevalente, il livello
d’imprenditorialità dell’area, la dinamicità e la vivacità imprenditoriale del
territorio e la dimensione media delle imprese stesse.
In questa sintesi della struttura economico-produttiva, sono stati considerati
anche due validi elementi di definizione del patrimonio dei luoghi e del grado di
benessere, quali la ricchezza immobiliare pro capite ed il reddito disponibile pro
capite (fonte Ancitel, 1999). In particolare, il reddito disponibile, influendo
sull’entità e sulla qualità dei consumi, è un indicatore molto rilevante per le
politiche locali poiché fornisce un’informazione efficace del tenore di vita della
popolazione e dello sviluppo economico del comune (senza però dare conto
della distribuzione di tale reddito all’interno della popolazione stessa).
Nel comune di Acquapendente il valore di ricchezza immobiliare pro capite era
di 27.539 Euro/abitante, contro un valore medio provinciale di 31.725
Euro/abitante (-13,2%), mentre il reddito disponibile era invece più elevato
rispetto alla media del viterbese (rispettivamente 13.149 Euro/abitante e 12.076
Euro/abitante) dell’8,3%.
151
5.5.1.
Agricoltura
L’agricoltura svolge un ruolo molto importante all’interno del sistema economico
comunale: la propensione verso le attività agricole risulta già dall’alta
percentuale di popolazione attiva nel settore, poco più alta di quanto si verifica
a livello provinciale (pari rispettivamente al 15,3% e al 14,6%, fonte Istat 1991).
L’area di Acquapendente, inoltre, s’inquadra in una zona, quale quello dell’Alto
Viterbese, molto fertile e con una grande tradizione agricola che ha soprattutto
nel vino e nell’olio i suoi prodotti di punta, più rinomati e pregiati, ma anche con
una produzione ortofrutticola, cerealicola e di legumi rilevante e di elevata
qualità. Bisogna comunque sottolineare che, più generalmente, è tutta la
provincia di Viterbo ad occupare, dal punto di vista agricolo, un ruolo specifico e
fondamentale all’interno del panorama regionale. Infatti, il settore primario nel
Lazio, se non proprio marginale, è senza dubbio meno importante degli altri
rami delle attività economica, mentre nel viterbese l’agricoltura ha un peso
notevole in termini sia di percentuale di forza lavoro attiva, sia di quota di
reddito prodotto.
Secondo il “V Censimento Generale dell’Agricoltura”, nel 2000 le aziende
agricole presenti sul territorio comunale erano 688, in calo del 13,4% rispetto al
1990 (quando erano 794), con un valore di densità di 5,3 aziende/km2 tra i più
bassi del viterbese (dove la media è di 10,6 aziende/ km2). Anche in provincia di
Viterbo si è avuta una diminuzione del numero di aziende, ma più contenuta (2,9%).
Dai dati riportati in Tabella 5.5.1, si nota, però, come ad una generale
diminuzione del numero di aziende censite sul territorio, sia corrisposto, in
termini di superficie media, un diverso andamento tra il comune ed il territorio
provinciale: infatti, ad Acquapendente si è registrato un aumento un aumento
della superficie media aziendale da 14,98 ha a 16,72 (+11,6%), mentre in
provincia si è avuta una flessione del 3,3%.
Tabella 5.5.1. Aziende agricole: numero ed estensione superficiale
Acquapendente
Prov. Viterbo
Fonte: ISTAT
N° aziende
1990
2000
Var. %
794
688
-13,4
39.291
38.144
-2,9
Sup media aziendale (ha)
1990
2000
Var. %
14,98
16,72
11,6
7,62
7,37
-3,3
Dalla Tabella 5.5.2, dov’è riportato il dettaglio delle caratteristiche della struttura
agricola, si evidenzia come nel 2000 la Superficie Totale8 (che costituisce il
4,1% del totale provinciale) comunale sia diminuita al pari di quella provinciale,
ma in misura minore, essendosi registrato ad Acquapendente un calo del 3,3%
rispetto al censimento del 1990 (rispettivamente 11.501,89 ha e 11.893,82 ha),
8 Per Superficie Totale s’intende la superficie complessiva dei terreni dell'azienda agricola
destinati a colture erbacee e/o legnose agrarie, inclusi i boschi, la superficie agraria non
utilizzata ed altra superficie occupata da parchi e giardini ornamentali, fabbricati, stagni, canali,
ecc. situati entro il perimetro dei terreni che costituiscono l'azienda
152
e del 6,1% nel viterbese.
Tabella 5.5.2. Caratteristiche della struttura agricola
SAU/Sup. totale
(%)
Var.
Var.
Var.
1990 2000
1990
2000
1990
2000
%
%
%
11.893 11.501 -3,3
5.572
5.468 -1,9 46,9 47,5 1,5
Acquapendente
299.463 281.069 -6,1 223.976 210.438 -6,0 74,8 74,9 0,1
Prov. Viterbo
Fonte: elaborazione su dati ISTAT
sup. totale (ha)
SAU (ha)
Per quanto riguarda la Superficie Agricola Utilizzata9 (SAU), l’ultimo censimento
la quantificava in complessivi 5.468,78 ha (pari, con il 47,5%, a meno della
metà della Superficie Totale, contro il 75% circa del dato provinciale), mentre
nel 1990 era 5.572,63 ha, con un calo del 2% circa. (molto variabile, però, tra
comune e comune). Tale valore è decisamente inferiore a quello medio
provinciale dove la SAU è diminuita del 6% (con decrementi significativi
soprattutto intorno al Lago di Bolsena e nella fascia pre-maremmana centrale):
questo fenomeno è riconducibile al progressivo spopolamento di quelle aree
rurali prive di una vocazione verso colture specializzate e, quindi, incapaci di
garantire un reddito sufficiente ai residenti.
Bisogna inoltre sottolineare l’importanza delle superfici boschive ad
Acquapendente che coprono il 47% circa del totale comunale, mentre in ambito
provinciale la quota scende al 20%.
L’analisi delle colture praticate (cfr. Tabella 5.5.3) evidenzia come la forma di
utilizzazione più importante, in termini di superficie investita, sia quella dei
seminativi (comprendenti principalmente cereali, ortive e foraggiere
avvicendate), che coprono quasi l’85% della SAU comunale. Anche a livello
provinciale la maggior parte della SAU è destinata a questo tipo di coltivazioni,
ma con una percentuale decisamente inferiore (70%).
Invece, mentre in provincia sono molto diffuse le coltivazioni legnose agrarie
(essenzialmente vite, olivo, fruttiferi), ad Acquapendente queste occupano una
posizione più marginale (pari, rispettivamente, al 20% ed al 3,5%).
Tabella 5.5.3.
Utilizzazione dei terreni (2000)
prati
coltivazioni
totale SAU
permanenti,
legnose agrarie
pascoli
Sup (ha) %
Sup (ha) % Sup (ha) % Sup (ha)
%
4.662 85,3
205 3,8
600 11,0
5.468 100,0
Acquapendente
147.412 70,0
42.013 20,0
21.012 10,0 210.438 100,0
Prov. Viterbo
Fonte: elaborazione su dati ISTAT
seminativi
9 SAU: Insieme dei terreni investiti a seminativi (compresi gli orti familiari), prati permanenti e
pascoli, coltivazioni legnose agrarie (compresi i castagneti da frutto)
153
Figura 5.5.I.
Utilizzazione dei terreni (2000)
100
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
Acquapendente
seminativi
coltivazioni legnose agrarie
Prov. di Viterbo
prati permanenti, pascoli
Fonte: Elaborazione su dati Istat
Nella tabella seguente viene riportato il confronto tra gli ultimi due censimenti
dell’agricoltura del 1990 e del 2000. Nel territorio comunale, a fronte di una
riduzione notevole delle superfici interessate da coltivazioni legnose agrarie e
da pascoli e prati permanenti, nell’ultimo decennio la SAU destinata a
seminativi è aumentata di quasi il 6%, passando da 4.409 ha a 4.662,58 ha. Al
contrario, in provincia, la contrazione delle superfici utilizzate ha investito tutte
le tipologie di coltivazioni.
Tabella 5.5.4.
Variazione dell’utilizzazione della SAU (1990-2000)
Coltivazioni legnose
agrarie (ha)
Var.
Var.
1990
2000
1990
2000
%
%
4.409
4.662 5,8
274
205 -25,0
Acquapendente
152.056 147.412 -3,1 44.707 42.013 -6,0
Prov. Viterbo
Fonte: elaborazione su dati ISTAT
seminativi (ha)
Prati permanenti,
pascoli (%)
Var.
1990
2000
%
890
600 -32,5
27.212 21.012 -22,8
Una delle maggiori risorse dell'agricoltura comunale è legata alla cerealicoltura:
la superficie investita a cereali occupa infatti 1.830 ha circa (pari al 39,5%
dell’intera superficie a seminativi). Deve essere sottolineato, però, che dal 1990
questa è diminuita di quasi 378 ha, con una variazione percentuale del –17%.
Tra i seminativi una quota importante è costituita dalle foraggiere avvicendate
con una superficie investita molto estesa (1589,6 ha), mentre è trascurabile
quella destinata ad ortive (16,2 ha).
All’interno delle coltivazioni legnose agrarie (che occupano con 193,9 ha il 3,5%
appena della SAU comunale), il 70% della superficie totale è rappresentato
dalla vite (135,9 ha), il 28% circa dall’olivo (54 ha) ed il rimanente 2% da
fruttiferi (con 2,8 ha coltivati a nocciolo e 1,2 ha a castagno). La coltivazione
dell’olivo, di antica tradizione nella zona, ha comunque rivestito sempre un ruolo
importante tanto da costituire una delle prime fonti di reddito per le popolazioni
154
locali: uno dei prodotti principali è senza dubbio l'olio extravergine di oliva di
Monte Rufeno che deriva dalla spremitura delle olive raccolte negli oliveti
(coltivati secondo il disciplinare dell'agricoltura biologica) interni alla Riserva
Naturale.
In particolare va evidenziato come, al pari dell’andamento generale della
provincia di Viterbo, anche a livello comunale ci sia stato, rispetto al censimento
del 1990, un deciso aumento della superficie occupata dagli olivi (+48%) e una
contemporanea riduzione di quella investita a vite (-38,5%).
Per quanto riguarda la zootecnia, dai dati del Censimento del 2000 emerge un
consistente ridimensionamento dell’attività comunale ed una riduzione del
numero di aziende dal 1990 del 70% circa (spiegabile non solo con la chiusura
delle stesse, ma anche con l’accorpamento in unità più grandi), in linea con
quanto avvenuto a livello provinciale.
Questo fenomeno ha interessato soprattutto gli allevamenti di piccole
dimensioni a carattere familiare, ma anche quelle aziende più sviluppate,
comunque incapaci di sopportare gli oneri connessi all’adeguamento richiesto
dalle normative in materia di tutela ambientale.
Distinguendo i capi allevati per tipologia, il calo maggiore, rispetto al 1990, è
riscontrabile nel numero di avicoli censiti con una riduzione di 5.288 unità (73,5%). Nella tabella seguente si riporta in dettaglio il numero dei capi censiti e
la loro variazione in termini relativi.
Tabella 5.5.5. Variazione percentuale del numero di capi censiti (1990-2000)
Tipologia
Bovini e bufalini
Equini
Suini
Ovini
Caprini
Avicoli
Fonte: ISTAT
5.5.2.
Numero di capi
1990
2000
1.670
880
193
160
2.825
1.810
9.124
5.894
77
47
7.191
1.903
Var. %
-47,3
-17,1
-35,9
-35,4
-39,0
-73,5
Industria e servizi
I due comparti costituiti dal settore secondario
e dal settore terziario
impiegavano circa l’85% della popolazione attiva del territorio comunale (fonte
ISTAT, 1991): nello specifico, il ruolo principale era costituito dal settore
terziario in cui era occupata una percentuale di attivi del 54,7% (contro il 58,7%
del viterbese), mentre il tasso di secondarietà (determinato dalla quota di attivi
nel comparto industriale sul totale degli attivi in condizione professionale)
raggiungeva il 30% (maggiore del dato provinciale pari al 26,7%).
Il riferimento statistico su cui ci si basa è costituito essenzialmente dal
“Censimento Generale dell’Industria e dei Servizi” del 1991 e dai primi risultati
155
ufficiali di quello del 2001, che permettono comunque di disporre di una serie
d’informazioni abbastanza ampia e articolata sulle attività secondarie e terziarie,
a livello di comune e di categoria economica. Nell’ambito di questi censimenti
vengono rilevati sia le imprese che le unità locali10 (UL), con i relativi addetti: le
unità locali rappresentano i luoghi (non necessariamente coincidenti con la
sede fisica dell’impresa) dove si realizza la produzione di beni o la prestazione
di servizi, e pertanto i dati riferiti a tali unità riproducono meglio la situazione dei
posti di lavoro effettivamente presenti nel territorio.
Le informazioni che si ricavano consentono di tracciare un quadro abbastanza
aggiornato di settori, quali quelli produttivi, soggetti a rapide e profonde
trasformazioni e di riflettere la situazione complessiva dell’occupazione. Inoltre,
differentemente da quanto avvenuto con il censimento intermedio condotto
dall’Istat nel 1996, sono comprese tutte le unità operanti sul territorio, sia quelle
costituite a fini di lucro (i cui prodotti e/o servizi sono cioè destinati alla vendita),
sia quelle no profit (istituzioni pubbliche, istituzioni sociali private, ecc.) od
operanti nei servizi di pubblica utilità (quali istruzione, sanità, ecc.) che
rappresentano delle opportunità lavorative rilevanti.
I primi risultati del “VIII Censimento Generale dell'Industria e dei Servizi”
evidenziano (cfr. Tabella 5.5.6), negli ultimi dieci anni, un diverso andamento
delle UL e degli addetti censiti che contrasta parzialmente con quanto avvenuto
in provincia di Viterbo dove si è registrato un buono sviluppo imprenditoriale. Ad
Acquapendente, infatti, a fronte di una riduzione rispetto al 1991 del numero
delle UL di 19 unità (in controtendenza rispetto al dato provinciale),
corrispondenti in termini percentuali al 3,4%, il numero di addetti è cresciuto di
78 unità pari al 4,4%.
Tabella 5.5.6.
Unità Locali e addetti (1991-2001): valore assoluto e variazione
percentuale
Unità Locali
2001
Var %
1991-2001
554
535
-3,4
19.260 20.647
7,2
1991
Acquapendente
Prov. di Viterbo
Fonte: Istat
1991
1.780
69.291
Addetti
2001
Var %
1991-2001
1.858
4,4
72.617
4,8
10 Luogo fisico nel quale un'unità giuridico-economica (impresa, istituzione) esercita una o più
attività economiche. L'unità locale corrisponde ad un'unità giuridico-economica o ad una sua
parte, situata in una località (topograficamente identificata da un indirizzo e da un numero
civico) dove si esercitano delle attività economiche per le quali una o più persone lavorano
(eventualmente a tempo parziale) per conto della stessa unità. Esempi di unità locale sono:
agenzie, alberghi, bar, garage, laboratori, magazzini, negozi, officine, ecc.
156
Figura 5.5.II.
8
6
4
2
0
-2
-4
-6
-8
Unità Locali e addetti (1991-2001): variazione percentuale
Acquapendente
Prov. di Viterbo
Unità Locali
Addetti
Fonte: Elaborazione su dati Istat
Nella tabella seguente, si riporta invece il dettaglio per settore delle variazioni
percentuali tra gli ultimi due censimenti. Nell’ambito di un quadro provinciale
piuttosto discordante con settori in forte calo (quale quello secondario) e altri in
crescita (quale quello legato alle istituzioni), è possibile rilevare ad
Acquapendente l’incremento delle UL industriali (differentemente da quanto
avvenuto nel viterbese dove si è avuta una consistente flessione percentuale)
ed il contemporaneo calo degli addetti nel settore, la pesante contrazione del
numero di UL e di addetti nel settore terziario e, invece, il loro aumento
all’interno delle istituzioni (pubblica amministrazione, sanità, scuola, ecc) con
tassi di crescita molto diversi rispetto alla media provinciale (bisogna
sottolineare come in questo settore siano state create nel corso degli ultimi anni
numerose opportunità d’impiego, tanto da costituire uno sbocco lavorativo molto
importante).
Tabella 5.5.7.
UL e addetti (1991-2001): variazione % per settore
Industria
UL
Addetti
9,9
-8,7
Acquapendente
-28,4
-26,5
Prov. di Viterbo
Fonte: Elaborazione su dati Ancitel
Terziario
UL
Addetti
-18,6
-27,3
8,5
-13,8
Istituzioni
UL
Addetti
5,6
7,5
18,9
4,0
I dati dell’ultimo censimento relativi al numero di UL per settore presenti nel
comune (Tabella 5.5.8) mostrano come il terziario, nonostante il forte calo,
occupi ancora il ruolo più importante all’interno del tessuto economico locale
con quasi il 60% del totale (valore decisamente inferiore se confrontato con il
74,4 % del viterbese). Ad Acquapendente assumono però un peso rilevante
anche le UL del settore industriale, con un terzo delle UL presenti (mentre a
livello provinciale queste rappresentano il 17,7%).
157
Tabella 5.5.8.
UL per settore (2001)
Industria
N°
%
178
Acquapendente
33,3
3.649
Prov. di Viterbo
17,7
Fonte: Elaborazione su dati Ancitel
Figura 5.5.III.
Terziario
N°
%
319
59,6
15.361
74,4
Istituzioni
N°
%
38
7,1
1.637
7,9
Totale
N°
535
20.647
%
100,0
100,0
UL per settore (2001): composizione %
80,0
70,0
60,0
50,0
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
Acquapendente
Industria
Prov. di Viterbo
Terziario
Istituzioni
Fonte: Elaborazione su dati Ancitel
Per quanto riguarda la distribuzione di addetti nel 2001 (tabella 5.5.9), si
evidenzia come la maggior parte degli addetti censiti trovi impiego
principalmente nel settore terziario, ma con una percentuale inferiore al 50%.
Infatti, sulla base di questi dati, oltre a confermarsi il peso dell’industria nel
comune di Acquapendente con il 28,4% di addetti (percentuale più alta di sei
punti rispetto al valore medio provinciale) va sottolineato il ruolo delle istituzioni
che costituiscono un importante sbocco occupazionale con circa un quarto di
addetti impiegati.
Tabella 5.5.9
Acquapendente
Prov. di Viterbo
Fonte: Ancitel
Addetti per settore (2001)
Industria
Terziario
Istituzioni
Totale
N°
%
N°
%
N°
%
N°
%
527
874
1.858
457
28,4
47,0
100,0
24,6
16.442
22,6 40.437
100,0
55,7 15.738
21,7 72.617
158
Figura 5.5.IV.
Addetti per settore (2001): composizione %
60,0
50,0
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
Acquapendente
Industria
Prov. di Viterbo
Terziario
Istituzioni
Fonte: Elaborazione su dati Ancitel
Il valore medio di addetti per UL, riportato in tabella 5.5.10, rimarca la
peculiarità delle UL operanti nelle istituzioni con 12 addetti/UL (in provincia tale
rapporto assume un valore pari a 9,6).
Tabella 5.5.10.
Numero di addetti per UL (2001)
Industria
3,0
Acquapendente
4,5
Prov. di Viterbo
Fonte: Elaborazione su dati Ancitel
Terziario
2,7
2,6
Istituzioni
12,0
9,6
Per ottenere, invece, un dettaglio maggiore delle informazioni riguardanti il
sistema industriale e dei servizi, si deve ancora fare riferimento al censimento
intermedio del 1996, a causa della provvisorietà e dell’ufficiosità dei dati di
quello del 2001.
Per quanto riguarda le UL industriali, la Tabella 5.5.11 evidenzia, al pari
dell’area provinciale, la prevalenza del settore delle costruzioni (87 unità totali
su 160 corrispondenti, in termini relativi, al 54,4%), seguito dalle attività
manifatturiere (comprendenti la produzione di metalli e di prodotti in metallo, il
“tessile e l’abbigliamento”, ecc.) con il 44,4%, mentre erano state rilevate due
attività legate alla produzione e distribuzione di energia elettrica, gas e acqua
nessuna legate all’estrazione dei minerali.
Tabella 5.5.11.
UL industriali per sezione (1996)
Produz.,
Estrazione
Attività
distribuz. en
Costruzioni
Totale
Minerali
Manifatturiera elettrica,
acqua, gas
N°
%
N°
%
N°
%
N°
%
N°
%
0
71 44,4
2
87 54,4
160 100,0
Acquapendente
0,0
1,3
91
40
Prov. di Viterbo
1,7 2.152 40,8
0,8 2.994 56,7 5.277 100,0
Fonte: Elaborazione su dati Istat
159
Il dato inerente agli addetti impiegati nelle varie sezioni (Tabella 5.5.12)
sottolinea invece come il maggior peso, in termini di forza lavoro occupata, sia
connesso alle attività manifatturiere con 397 addetti su 660 (pari al 60,2%), ed
al settore delle costruzioni dove trovano occupazione 255 addetti (38,6%).
Tabella 5.5.12.
Addetti nell’industria per sezione (1996)
Produz.,
Estrazione
Attività
distribuz. en
Costruzioni
Totale
Minerali
Manifatturiera elettrica,
acqua, gas
N°
%
N°
%
N°
%
N°
%
N°
%
0
397 60,2
8
255 38,6
660 100,0
Acquapendente
0,0
1,2
436
910
Prov. di Viterbo
2,2 11.653 58,2
4,5 7.019 35,1 20.018 100,0
Fonte: Elaborazione su dati Istat
La Tabella 5.5.13 mostra l’assenza nel comune di UL industriali medio-grandi e,
specificatamente, di unità con più di 50 addetti impiegati: infatti, quasi il 92%
delle UL censite è di piccole dimensioni con un numero di addetti inferiore alle
10 unità (su 160 UL censite 147 unità rientrano in questa classe dimensionale)
ed il restante 8% (corrispondente in valore assoluto all’8% circa) circa ha un
numero di addetti compreso tra 10 e 49. Quest’ultime (cfr. Tabella 5.5.14), però,
costituiscono nel settore secondario un’importante fonte d’impiego visto che vi
trovano occupazione 251 addetti su 660 (38%).
Tabella 5.5.13.
UL per classi dimensionali di addetti (1996)
1-9
N°
%
147 91,9
Acquapendente
Prov. di Viterbo 4.935 93,5
Fonte: Elaborazione su dati Istat
Tabella 5.5.14.
10-49
N°
%
13
8,1
298
5,6
200+
N°
%
0
0,0
4
0,1
Totale
N°
%
160 100,0
5.277 100,0
Addetti impiegati nelle UL per classi dimensionali (1996)
1-9
10-49
N°
%
251 38,0
N°
%
409 62,0
10.30
Prov. di Viterbo
51,5 5.345
0
Fonte: Elaborazione su dati Istat
Acquapendente
50-199
N°
%
0
0,0
40
0,8
50-199
N°
%
0
0,0
26,7 3.260
200+
N°
%
0
0,0
16,3 1.113
5,6
Totale
N°
%
660 100,0
20.018 100,0
Per quanto riguarda le attività terziarie sono stati presi in considerazione sia i
160
servizi alle imprese11 propriamente detti (legati all’innovazione del processo
produttivo e delle strutture aziendali e comunemente chiamati “terziario
avanzato”), sia quelle attività comunque connesse al sistema produttivo, ma
non operanti in modo esclusivo con questo (sistema commerciale12, creditizio e
servizi di trasporto).
Bisogna inoltre considerare come la dinamica industriale e produttiva comporti
un’articolazione (anche a livello di classificazione statistica) dei “servizi” sempre
maggiore, con l’inserimento di nuove figure e tipologie professionali (per
esempio, inerenti alla certificazione di qualità, alla sicurezza sul lavoro,
all’informatica, ecc.).
I dati riguardanti la distribuzione delle UL per tipologia (cfr. Tabella 5.5.15)
mostrano una sostanziale concordanza con il quadro provinciale, con lievi
differenze dell’ordine dei decimi di punto percentuale: anche ad
Acquapendente, infatti, la maggior parte (circa il 67%) delle UL operano
all’interno del sistema commerciale, il 20,8% riguarda i servizi alle imprese, il
7,7 operano nei trasporti ed il restante 4,2% nel sistema creditizio.
Osservando i dati relativi al numero di addetti per categoria riportati in Tabella
5.5.16, si notano maggiori scostamenti con i valori medi del viterbese: in
particolare, ad Acquapendente risulta una percentuale di addetti nel settore
commerciale più alta rispetto a quella provinciale (rispettivamente 67,8% e
62,5%), mentre negli altri settori si mantiene costantemente più bassa
(soprattutto nel settore dei trasporti e dei servizi alle imprese).
Tabella 5.5.15
UL terziarie per categorie (1996)
Commercio
N°
%
191 67,3
Acquapendente
8.322 68,2
Prov. di Viterbo
Fonte: Elaborazione su dati Istat
Tabella 5.5.16.
Trasporto
N°
22
848
Addetti nel terziario per categorie (1996)
Commercio
N°
Trasporto
%
N°
447 67,8
77
17.61
Prov. di Viterbo
62,5 3.891
0
Fonte: Elaborazione su dati Istat
Acquapendente
%
7,7
6,9
Sistema
Servizi alle
Totale
creditizio
imprese
N°
%
N°
%
N°
%
12 4,2
59 20,8
284 100,0
435 3,6 2.598 21,3 12.203 100,0
%
11,7
Sistema
Servizi alle
creditizio
imprese
N°
%
N°
%
35
100 15,2
5,3
13,8 1.756
6,2 4.907
17,4
Totale
N°
%
659 100,0
28.164 100,0
11 Tali servizi non sono utilizzati esclusivamente da aziende medio-piccole che non hanno né la
convenienza, né la possibilità di svolgere queste attività all’interno dell’impresa, ma anche da
grandi aziende perché presuppongono, per esempio, un uso saltuario o una forte
specializzazione (pubblicità, ricerche di mercato, ecc.)
12 Comprendente commercio all’ingrosso e al dettaglio dentro e fuori gli esercizi commerciali
161
5.5.3.
Turismo
Per analizzare l’andamento del settore turistico nel territorio, si fa riferimento
alle informazioni sulla struttura ricettiva e sulle presenze registrate (ossia al
numero di notti trascorse dai clienti) nei vari esercizi, alberghieri ed
extralberghieri, ricavate dal “Piano di sviluppo socio-economico” della Comunità
Montana Alta Tuscia Laziale, e a stime effettuate dall’Ancitel sul turismo nelle
seconde case nel 1999.
L’offerta ricettiva
Dall’analisi dei dati sopraccitati è possibile tracciare il quadro dell’offerta
ricettiva del comune di Acquapendente nel 2000, includendo sia le strutture
alberghiere in senso stretto (vale a dire alberghi e residenze turistiche
alberghiere), sia il sistema di ricettività complementare (costituito da campeggi,
bed and breakfast, affittacamere, ostelli e villaggi turistici) convenzionalmente
conosciute come strutture extra-alberghiere.
Nel comune di Acquapendente l’offerta complessiva ammonta a 412 posti letto,
dei quali la maggior parte è riconducibile ai 17 esercizi extralberghieri presenti
nel territorio: in dettaglio, in queste strutture è concentrato l’82% dei posti letto
totali (pari in valore assoluto a 338 unità), ed il rimanente 18% (corrispondenti a
74 unità) si trova in 4 esercizi alberghieri.
Per quanto riguarda la tipologia, gli alberghi sono equamente distribuiti tra le
due categorie di livello inferiore (1 e 2 stelle), mentre nell’ambito
dell’accoglienza complementare il peso principale è costituito dagli alloggi
agrituristici con 9 strutture e con il 60% circa dei posti letto complessivi (204 su
338). Oltre a questi, sono presenti anche 4 Bed & Breakfast (con un’offerta di
24 letti) e 4 case per ferie (per un totale di 110 posti letto).
Più in generale, i dati riportati evidenziano la tendenza evolutiva della ricettività
ad Acquapendente che si basa prevalentemente sugli agriturismi e sulle forme
di ricettività “rurale”: questi non rappresentano più solo un elemento integrativo
e di diversificazione delle attività delle aziende agricole, ma sono ormai una
componente essenziale nella formazione del reddito delle aziende stesse.
Inoltre, queste strutture s’inquadrano all’interno di politiche di sviluppo del
territorio che hanno favorito il recupero del patrimonio edilizio rurale e la
ristrutturazione di alcuni vecchi casali interni alla Riserva di Monte Rufeno,
trasformandoli in esercizi ricettivi e creando così una rete di piccoli ma
confortevoli agriturismi a gestione familiare.
Per quanto riguarda l’offerta di letti nelle case vacanza, bisogna evidenziare che
questa si basa non su dati ufficiali (essendo spesso seconde case di proprietà
che non hanno l’autorizzazione ad esercitare come strutture ricettive), ma su
stime effettuate dall’Ancitel attraverso elementi quali, ad esempio, il censimento
delle abitazioni utilizzate per motivi di vacanza e la variazione dei consumi di
energia elettrica. Nel 1999, secondo la stima fatta dall’Ancitel, c’era un’offerta di
posti letto piuttosto consistente di 1.114 unità (pari all’1,6% dell’offerta
complessiva provinciale).
162
La domanda turistica
L’analisi del movimento turistico nel 2000 (fonte Comunità Montana Alta Tuscia
Laziale) evidenzia una domanda fortemente sbilanciata a favore delle strutture
extralberghiere, dove si avevano 19.451 presenze (dato stimato attraverso
indagini ad hoc), contro le 3.846 registrate in quelle alberghiere. Bisogna però
rilevare come questi dati risentano della mancata o insufficiente denuncia da
parte degli esercizi ricettivi delle presenze effettivamente ospitate, e ciò è
ancora più vero nel caso delle strutture complementari che, soprattutto negli
anni passati, sfuggivano a qualsiasi forma di rilevazione.
Lo squilibrio suddetto è ulteriormente confermato dal grado di utilizzazione delle
strutture ricettive che rappresenta un indicatore sintetico del bilancio
domanda/offerta ed è dato dal rapporto, in termini percentuali, tra il numero di
presenze complessive localmente registrate ed il numero complessivo di posti
letto disponibili (considerando tutti gli esercizi al lordo delle varie chiusure
stagionali). Negli esercizi alberghieri, infatti, il grado di utilizzazione è pari al
14,2% e in quelli complementari è uguale al 15,8%, evidenziando
complessivamente un livello di utilizzo di queste strutture non molto elevato.
Per quanto riguarda un’indicazione sul grado di “attrattività” della domanda
turistica comunale, si può utilizzare il rapporto tra le presenze negli esercizi
ricettivi e la popolazione residente; in particolare, per gli esercizi alberghieri
questo indice è pari a 664,5 presenze ogni 1.000 abitanti (contro le 1.168,6
presenze ogni 1.000 abitanti in ambito provinciale), mentre per gli esercizi
complementari si registra un valore decisamente alto, soprattutto se confrontato
con il dato medio del viterbese di 853,1 presenze ogni 1.000 abitanti, pari a
3.360,6 presenze ogni 1.000 abitanti (va tuttavia sottolineato che questo dato
deriva non da valori effettivamente censiti, ma da stime effettuate e riportate
nella fonte utilizzata).
Un altro aspetto importante da considerare concerne le presenze nelle seconde
case che costituiscono una parte consistente del movimento turistico comunale
e che nel 1999 erano state stimate (fonte Ancitel) in 43.010 unità (circa l’1,2%
del dato provinciale). Rapportando tale valore ai residenti, si ottengono 7.402,8
presenze ogni 1.000 abitanti, inferiore di circa il 61% di quello calcolato a livello
provinciale, pari a 12.154,7 presenze ogni 1.000 abitanti.
163
Tabella 5.5.17.
Quadro sinottico dei principali indicatori socio-economici
Indicatori
Demografia
Popolazione residente (2001)
Densità demografica, ab/kmq (2001)
Variazione della popolazione legale '81-'91 (%)
Variazione della popolazione legale '91-'01 (%)
saldo naturale (2002)
saldo migratorio (2002)
bilancio demografico (2002)
% popolazione 0-14 (2001)
% popolazione 15-64 (2001)
% popolazione 65+ (2001)
Indice di ricambio generazionale (2001)
Indice di ricambio congiunturale (2001)
Indice di dipendenza (2001)
Scuola e istruzione
% Analfabeti (1991)
% Diplomati (1991)
% Laureati (1991)
Indice di scolarizzazione superiore (1991)
Struttura abitativa
Abitazioni totali (2001)
% Abitazioni occupate (2001)
% Abitazioni non occupate (2001)
% Abitazioni per le vacanze (1991)
Popolazione attiva e mercato del lavoro
Popolazione occupata (1991)
Popolazione disoccupata (1991)
Popolazione in cerca di prima occupazione
(1991)
Popolazione attiva (1991)
% Popolazione attiva in agricoltura (1991)
% Popolazione attiva nell’industria (1991)
% Popolazione attiva in altre attività (settore
terziario) (1991)
Struttura economico-produttiva
Aziende agricole (2000)
Sup. agricola totale (2000)
SAU (2000)
% SAU/Sup totale (2000)
Unità Locali (2001)
Variazione del numero di UL '91-'01 (%)
% UL-industria (2001)
% UL-terziario (2001)
% UL-istituzioni (2001)
Comune di
Acquapendente
Provincia di
Viterbo
5.788
44,4
0,6
-1,7
-38
56
18
10,8
61,7
27,5
39,3
74,5
62,1
288.783
79,9
3,8
3,7
-971
3.015
2.044
12,8
66,2
21,0
61,1
90,1
51,1
3,9
15,6
2,7
18,3
2,1
16,5
2,7
19,2
2.615
89,9
10,1
57
147.523
76,2
23,8
61,6
1.980
150
90.766
7.020
164
11.133
2.294
15,3
30
108.919
14,6
26,7
54,7
58,7
688
11.501,9
5.468,8
47,5
535
-3,4
33,3
59,6
7,1
38.144
281.069,6
210.439
74,9
20.647
7,2
17,7
74,4
7,9
164
Indicatori
Addetti (2001)
Variazione del numero di addetti '91-'01 (%)
% addetti-industria (2001)
% addetti-terziario (2001)
% addetti-istituzioni (2001)
Reddito disponibile (€)/abitanti (1999)
Ricchezza immobiliare (€)/abitanti (1999)
Sistema turistico
Posti letto negli esercizi alberghieri (2001)
Presenze negli esercizi alberghieri (2001)
Presenze esercizi alberg/1000 abitanti (2001)
Grado di utilizzo degli esercizi alberghieri (2001)
Posti letto negli esercizi complementari (2001)
Presenze negli esercizi complementari (2001)
Presenze esercizi compl/1000 abitanti (2001)
Grado di utilizzo degli esercizi complementari
(2001)
Posti letto nelle case vacanza (1999)
Presenze nelle case vacanza (1999)
Presenze case vac/abitanti per 1.000 (1999)
Comune di
Acquapendente
Provincia di
Viterbo
1.858
4,4
28,4
47,0
24,6
13.149
27.539
72.617
4,8
22,6
55,7
21,7
12.143
31.735
90
6.214
1.073,6
18,9
96
377
65,1
5.638
350.474
1.213,6
17,0
17.726
130.412
451,6
1,1
2,0
1.114
43.010
7.402,8
69.000
3.551.956
12.154,7
165
5.6.
ATTIVITÀ ANTROPICHE ED USO DEL SUOLO
Le principali attività antropiche individuate nei siti (o localizzate nelle aree
contigue, ma comunque interessanti SIC e ZPS) comprendono:
• la pesca;
• le attività agricole;
• la raccolta funghi;
• le attività estrattive;
• le attività zootecniche;
• la caccia;
• le attività turistiche;
• le attività produttive artigianali;
• la gestione forestale.
5.6.1.
Pesca
Questa attività viene regolarmente praticata a livello sportivo lungo il Medio
corso del Fiume Paglia e nel Fosso Stridolone e riguarda principalmente specie
quali il Barbo e il Cavedano. A tale scopo, l’Amministrazione Provinciale di
Viterbo ha programmato una serie annuale di ripopolamenti con il rischio, però,
di forme d’inquinamento genetico tra esemplari indigeni ed alloctoni.
5.6.2.
Attività agricole
Acquapendente è essenzialmente un paese agricolo, ricco di terreni fertili adibiti
soprattutto a seminativi: la struttura agricola della zona è basata in modo
principale su piccole aziende a conduzione familiare (su un totale censito di 688
aziende quasi il 64% ha un’estensione superficiale di meno di 2 ha). In virtù
dell’applicazione di un programma di conversione ad agricoltura biologica,
fortemente voluto dalla Comunità Montana, della diffusione di tale pratica a gran
parte del territorio e delle aziende e dell’attenta gestione delle stesse, non si
segnalano grosse problematiche legate all’inquinamento di origine agricola e
quindi alla presenza nel suolo e delle acque di sostanze chimiche quali nitrati,
fosfati, insetticidi, erbicidi e pesticidi.
All’interno dei SIC e della ZPS, in prossimità di poderi e casali (sottolineando
che tutti quelli ricadenti in queste aree, ma fuori dai confini della Riserva
appartengono a privati) ci sono circa 52 ha di terreni destinati a seminativi.
Abbastanza estese (24,8 ha) sono le aree dedicate agli oliveti (e da cui si ricava
un olio - l'olio extra vergine di oliva di Monte Rufeno – che fa parte del
raggruppamento degli oli dell’Alta Tuscia), mentre sono poco rilevanti in termini
di superfici occupate (appena 2,3 ha) gli altri tipi di coltivazioni legnose agrarie
(vigne e frutteti).
166
5.6.3.
Raccolta funghi
La raccolta dei funghi (soprattutto porcini) è possibile in tutti i boschi che
ricadono nella Riserva, di proprietà del demanio regionale e, naturalmente,
anche nei SIC e nella ZPS. La raccolta è consentita a chiunque sia in possesso
dell’apposito tesserino ed è regolamentata, nei periodi e nelle quantità, dalla
legge regionale.
5.6.4.
Attività estrattive
Si tratta di attività di scavo per prelievo d’inerti nella zona pianeggiante nelle
vicinanze del Medio corso del Fiume Paglia, in prossimità delle aree di frega. Le
escavazioni non sono svolte direttamente in alveo, ma in zone lungo il fiume e
sono connesse in primo luogo all’attività svolta dall’impianto d’inerti (che si
occupa prevalentemente del deposito di conglomerati cementizi e bituminosi,
nonché dello smaltimento dei materiali di risulta dei cantieri edili) vicino al
villaggio artigiano, ma anche al programma di restituzione all’agricoltura di
alcune aree in località Procoio (con rimozione degli ammassi ghiaiosi e
ricopertura con terreno vegetale).
5.6.5.
Attività zootecniche
Un ruolo molto importante nell’economia comunale è costituito dall’allevamento
ed in particolare da quello di suini ed ovini (con, rispettivamente, più di 1.800 e
5.800 capi censiti). Tra i principali allevamenti di suini si citano uno a Nord sul
Tirolle e due più a Sud in località Procoio e Piana del Marsante. Questo tipo di
attività può rappresentare una minaccia in termini, ad esempio, di raccolta
d’acqua per l’abbeveraggio (con conseguente consumo indiscriminato della
quantità delle risorse idriche) e d’immissione nel Fiume Paglia di sostanze
inquinanti, anche se, nelle aziende considerate, deve essere evidenziata la
presenza di propri sistemi di raccolta e depurazione.
Le aree di pascolo interne ai SIC e alla ZPS (comprendenti sia i pascoli
propriamente detti, sia altre formazioni prative, più naturali, meno usate per il
pascolo) si estendono per circa 84 ha. L’estensione superficiale di queste aree
è comunque diminuita progressivamente, con fenomeni di abbandono e
conseguente ricopertura vegetale o riconversione agricola.
5.6.6.
Caccia
La caccia (prevalentemente al cinghiale) è regolamentata da disposizioni
provinciali e comunali e viene praticata nelle aree contigue alla Riserva, mentre
al suo interno è rigorosamente vietata. Vengono inoltre segnalati, anche se
limitati, fenomeni di bracconaggio riguardanti non solo le aree oggetto di studio,
ma, più estesamente, il territorio della Riserva Naturale nonché terreni contigui,
spesso legati alla difesa dei terreni coltivati da parte degli agricoltori.
167
5.6.7.
Attività turistiche
Anche se non si manifesta nelle forme e nella dimensione di fenomeno di
massa, il turismo nell’area sta assumendo sempre più importanza, grazie allo
sviluppo del settore agrituristico. Negli ultimi anni, infatti, attraverso il recupero
del patrimonio edilizio rurale e la ristrutturazione di vecchi casali all’interno
dell’area protetta (di proprietà pubblica e dati in gestione alla Coop. “Radici”), si
è creata una fitta rete di strutture ricettive extra-alberghiere quali: Podere
Sambucheto (principalmente rivolto a gruppi tipo scout), Podere Palombaro
(dove c’è anche un maneggio), Podere Tigna e Podere Monaldesca.
Questo fenomeno ha comunque coinvolto anche i poderi di proprietà privata (ad
esempio, il Podere Lacerona) e la ricettività sta assumendo un ruolo sempre più
centrale nella formazione del reddito delle imprese agricole.
Inoltre, pur non riguardando direttamente attività ricettive in senso stretto, va
evidenziato l’utilizzo di alcuni poderi per altre attività, tipo il podere Monte
Rufeno (situato nel punto più alto della Riserva) come osservatorio
astronomico, e il podere Marzapalo (gestito dalla Coop. “Ape Regina”) destinato
ad ospitare un centro di formazione professionale continua e superiore (con
corsi di Informatica, Beni Culturali, Ecologia e Ambiente, Artigianato Artistico,
Turismo e Agricoltura).
5.6.8.
Attività artigianali
Questo tipo di attività, di antica tradizione, è ancora molto importante nel
tessuto economico locale, tanto che sono presenti ed attive ancora numerose
botteghe artigiane, principalmente concentrate all’interno del villaggio artigiano
“Ponte Gregoriano”, in prossimità del Medio corso del Fiume Paglia.
5.6.9.
Gestione forestale
La maggior parte della superficie dei SIC interessati al Piano ricade all’interno
della Riserva Naturale “Monte Rufeno”, che è stata recentemente oggetto di un
Piano di Assestamento Forestale, redatto nel 2000 a cura della DREAM Italia,
ed avente validità decennale. Questo piano aggiorna ed integra quello redatto
nel 1987, la cui applicazione ha riguardato il decennio precedente. Il Piano
individua quattro classi fisionomiche forestali, le cui superfici sono riportate nel
seguente prospetto.
Il piano prevede di non effettuare nessun intervento nella classe “cedui in
attesa”, di effettuare limitati diradamenti nella classe “fustaie di cerro e altre
latifoglie”, di effettuare interventi di avviamento a fustaia nella classe “cedui da
avviare a fustaia” e limitati interventi di diradamento, volti soprattutto al
passaggio verso boschi misti più naturali, nella classe “fustaie di conifere”. Nelle
aree ritenute maggiormente sensibili per la presenza di emergenze faunistiche il
piano prevede di effettuare gli interventi al di fuori della stagione riproduttiva e,
168
tra l’altro, parte della classe “cedui in attesa” è stata individuata proprio in base
alla presenza di emergenze faunistiche o floristico-vegetazionali, in modo da
limitare al minimo l’impatto antropico.
Classe fisionomica
Fustaie di cerro e altre latifoglie
Cedui da avviare a fustaia
Fustaie di conifere
Cedui in attesa
Superficie (ha)
436
307
613
1380
Il piano, quindi, prevede una gestione estremamente conservativa degli
ambienti forestali, volta soprattutto al mantenimento ed all’incremento del valore
naturalistico e della naturalità dei boschi della Riserva.
Per quanto riguarda gli ambienti forestali posti al di fuori della Riserva, mancano
per quanto ci consta strumenti pianificatori, e le eventuali utilizzazioni vengono
effettuate in base alle indicazioni della Legge Forestale. In base ai nostri
sopralluoghi si può comunque fornire un’indicazione generale delle utilizzazioni
forestali effettivamente riscontrate sul territorio.
Nelle porzioni dei SIC situate al di fuori della proprietà pubblica, e della Riserva,
si individuano grossolanamente due fondamentali indirizzi di gestione. Nei
boschi situati nella parte occidentale del SIC Monte Rufeno la gestione
prevalente è quella a ceduo, attivamente utilizzato su buona parte della
superficie. Per quanto concerne il SIC “Bosco del Sasseto”, invece, da gran
tempo non sembrano essere stati effettuati interventi gestionali di rilievo.
5.7.
IL PATRIMONIO STORICO CULTURALE
5.7.1. Cenni storici
Il territorio storico della Tuscia, di cui Acquapendente è sempre stata uno dei
centri principali, s’identifica con l’area dell’Etruria meridionale. In particolare
l’Alta Tuscia ne costituisce il lembo più periferico e in qualche modo marginale,
anche se questa marginalità ne ha fatto un punto di passaggio e di scambio
molto intenso con altre realtà storiche e geografiche confinanti. A ciò ha
indubbiamente contribuito il percorso della Cassia che, non solo in epoca
romana, ma anche medievale (Via Francigena), ha costituito la principale
direttrice di scambio nord/sud.
In epoca antica il territorio acquesiano gravitava nell’orbita di Volsini (l’antica
Orvieto, poi distrutta e rifondata dai Romani in corrispondenza dell’odierna
Bolsena).
Appartenuta al dominio bizantino prima e longobardo poi, nel secolo VIII una
parte importante della Tuscia fu oggetto di donazione al Papa da parte di
Liutprando. Tale donazione, confermata e notevolmente ampliata da Carlo
Magno (nel 774) costituì la prima base territoriale del potere temporale della
Chiesa, entrando a far parte del “Patrimonio di S. Pietro”.
169
Durante il periodo medievale, tutto segnato dal susseguirsi dei conflitti tra
Papato e Impero e tra Orvieto e Acquapendente per il controllo del territorio,
molti documenti ne attestano l’importanza non solo stategico-militare (legata
alla Cassia), ma anche economica.
In epoca moderna, il territorio acquesiano fu oggetto di rivendicazioni e di lotte
tra varie famiglie nobili romane che si contendevano potere e territori dello Stato
Pontificio, finendo poi sotto il controllo dei Farnese con il nome di Ducato di
Castro. Ritornato sotto il pieno controllo papale con Innocenzo X (nel 1644),
Acquapendente divenne sede vescovile; ma nel secolo XVIII inizia una lunga
fase di stagnazione politica ed economica, durata sino alla nascita dello Stato
italiano.
5.7.2. Caratteristiche economiche storiche
Acquapendente e l'intero Viterbese hanno sofferto a lungo le condizioni di
estrema povertà dovute in parte al diffondersi del latifondo, in parte alla
depressione delle zone costiere paludose e malariche.
La lunga dominazione pontificia ha caratterizzato storicamente lo sviluppo
strutturale e agrario dell'intera Tuscia, favorendo la creazione della grande
proprietà religiosa e soffocando l'autonomia delle piccole comunità monastiche
locali.
La verifica delle condizioni dell'agricoltura, dell'artigianato e dell'industria nella
zona, ci viene fornita da due inchieste di ampio respiro compiute nel XIX secolo,
la prima del periodo napoleonico ad opera del De Tournon (1809-1813), la
seconda a ridosso dell'unificazione, frutto dell'inchiesta parlamentare Jacini
(1877). Entrambe le inchieste testimoniano, nonostante lo scarto cronologico di
circa sessant'anni, la grande arretratezza soprattutto tecnologica del Lazio,
apportando documentazioni dettagliate con cataloghi, inventari, liste di oggetti,
strumenti e cicli lavorativi. Emerge dalle inchieste un panorama tecnologico
estremamente arcaico e i dati sulla produzione locale ci informano di come
essa non fosse in grado neanche di coprire la richiesta interna.
Le principali vocazioni agricole erano naturalmente incentrate sulle colture
tradizionali: grano, avena, orzo, mais, vite e ulivo. Negli ultimi anni del governo
pontificio si sviluppò notevolmente la produzione delle nocciole e delle
castagne, ancora oggi fiorente in tutta l'area. Ma la coltura pregiata più diffusa e
industrialmente caratterizzante, in questo periodo, fu quella della canapa.
La coltivazione e la lavorazione della canapa, come documentano alcuni testi
storici dell'800, rimasero attività importanti per l'economia della zona fino ad
alcuni decenni fa. Essa ha lasciato segni evidenti in questi luoghi e ha
caratterizzato l'aspetto del territorio, sia nei suoi paesaggi agricoli (le
"canepare"), sia nelle strutture di lavorazione (pozze per la macerazione,
piazzette, botteghe, stanzoni), sia nel ricco repertorio di strumenti utilizzati, di
cui esistono copiose collezioni, gelosamente conservate da alcuni abitanti di
queste zone. I prodotti consistevano nella realizzazione di funi e reti per la
pesca (nel vicino lago di Bolsena), di filati e tessuti per l’abbigliamento e
l’arredamento.
170
Va tenuto presente che, agli inizi del Novecento, l'Italia rappresentava la
seconda nazione al mondo per la quantità di canapa tessile prodotta ed era
preceduta, in questa graduatoria, dalla sola Russia.
Nella seconda metà del secolo appena trascorso, l’economia di queste terre,
ancora tutta segnata dalle attività agricole, ha condiviso il progressivo
impoverimento delle aree rurali interne e marginali del nostro Paese, con il
conseguente esodo migratorio ed il declino demografico, economico e sociale.
5.7.3. Beni culturali nel territorio di Acquapendente
Si riportano nel seguito le schede relative alle principali risorse storico-culturali
presenti nel territorio acquesiano.
Si evidenzia la presenza, all’interno della Riserva, del Museo del Fiore, originale
e qualificato spazio espositivo, molto frequentato, anche a livello didattico.
171
Sulle origini di Acquapendente non esistono notizie certe. Si ipotizza che sull'
ambito territoriale dove oggi sorge la città, sia stato inizialmente fondato un
centro etrusco successivamente abitato dai romani e poi invaso e distrutto dalla
furia dei longobardi. Dall'analisi documentaria, si rintraccia, invece, una più probabile nascita del nucleo urbano originato da un "Vico" di nome Arisa,
formatosi tra il IX e X secolo lungo la via Francigena. L'ubicazione
sull'importante strada medioevale fece sviluppare il piccolo borgo che nel '964
ospitò l'imperatore Ottone I. Con la donazione, da parte di Matilde di Canossa
di tutti i suoi beni alla chiesa, Acquapendente entra a far parte del Patrimonio di
San Pietro ed è posta sotto la diocesi di Orvieto. Il XIII secolo è segnato da un
susseguirsi di conflitti tra Papato ed Impero e tra Acquapendente ed Orvieto.
Centro Storico di
Con il ritorno del Papa a Roma, dopo l'esilio ad Avignone, Acquapendente
Acquapendente
riacquistò i propri diritti di autogoverno.
La città conoscerà ancora periodi difficili, aggravati da nuovi conflitti nel 1641,
con l'inizio della guerra di Castro, allorchè Acquapendente verrà dapprima saccheggiata delle truppe di Odoardo Farnese e successivamente dall'esercito del
Papa. Dopo la pace stipulata tra Odoardo Farnese e Papa Urbano VIII la disputa riprese nel 1644 con il nuovo Papa Innocenzo X che ordinò l'assedio e la distruzione della città di Castro. A seguito di questo evento la sede vescovile fu
trasferita ad Acquapendente e la basilica del Santo Sepolcro divenne cattedrale. Dopo la rivoluzione francese Acquapendente è una tra le prime città ad
instaurare un ordinamento repubblicano che rimarrà in atto fino al termine della
Repubblica Romana nel 1799.
edifici di rilievo
Basilica del S. Sepolcro
Chiesa di S. Agostino
Chiesa di S. Francesco
Chiesa di S. Lorenzo
Chiesa di S. Vittoria
Casa di Riposo S. Giuseppe
Monastero di S. Chiara
Chiesa di S. Antonio A. e S. Caterina
Palazzo Viscontini
Piazza G. Fabrizio e palazzi Signorili
Palazzo Vescovile
Ospedale Civile
Torre del Barbarossa
Teatro Boni
Biblioteca
Cinta Muraria
Palazzo Comunale
172
denominazione
Basilica del Santo Sepolcro-Cattedrale dal 1649
descrizione
La fondazione della basilica è da far risalire, secondo la tradizione, a Matilde di
Westfalia, (895 -968), madre di Ottone I il Grande, la quale, in viaggio dalla
Germania con l'intento di erigere a Roma un santuario dedicato al Santo Sepolcro,
fece sosta ad Acquapendente, dove, spinta degli eventi o da un sogno
premonitore, ordinò di fare costruire la chiesa. La chiesa originariamente a forme
romaniche a subito nel tempo diverse trasformazioni fino al secolo XVIII quando,
in conformità con i canoni del barocco settecentesco, venne interamente
ricostruita la facciata e sostanzialmente modificata la navata centrale. Il suo
interno si sviluppa su tre livelli: il superiore del transetto con l'altare centrale e le
cappelle di S. Ermete e del Sacramento; il mediano con le tre navate; l'inferiore
con la cripta romanica del X-XI secolo.
Nella facciata, rifatta e ultimata nel 1780 sull'originale romanica, spicca, sopra il
portale, la presenza di una grande nicchia dove è collocata una copia del busto di
Papa Innocenzo X, il cui originale, risalente al 1652, è opera dell'insigne scultore
Alessandro Algardi. La Basilica divenne cattedrale nel 1649 dopo la distruzione
della Diocesi di Castro. Collocati a decorare il fronte degli amboni sono due
pregevoli bassorilievi. Entrambi di provenienza ignota, sono da attribuire ad
Agostino di Duccio (1418 - 1481).
Sul muro di destra, in prossimità della cappella del "Sacramento" è possibile
ammirare una pala d'altare in terracotta invetriata di Jacopo Beneventano. Dietro
l'altare sono visibili i pregevoli stalli lignei del coro, in noce, commissionati tra il
1685 e il 1688 allo scultore Matteo Monzù. In fondo alla navata centrale è
collocato un fonte battesimale in travertino proveniente dalla Chiesa di Santa
Vittoria raffigurante i dodici apostoli, da alcuni critici datato al XIV secolo. La Cripta
del Santo Sepolcro (monumento nazionale dal 1895) costituisce, per la sua antica
origine (seconda metà del X secolo), uno degli esempi più caratteristici ed
importanti di cripte romaniche in Italia.
denominazione
Chiesa di Sant'Agostino - ex Convento dei frati Agostiniani
descrizione
La chiesa attuale risente fortemente delle trasformazioni barocche che si
operarono in Acquapendente a partire dalla seconda metà del settecento e fu la
prima a subire queste trasformazioni a causa di un incendio che la distrusse l'8
novembre 1746. La chiesa con il vicino convento furono fondate nel 1290. Il
chiostro ha mantenuto i suoi caratteri cinquecenteschi fino all'ultimo secolo.
L'interno della chiesa, restaurata nel 1983 dopo diversi anni di abbandono, ha
mantenuto l'impianto settecentesco e tutte le opere qui conservate non sono
anteriori a questo secolo.
denominazione
Chiesa di San Francesco
173
descrizione
Consacrata nel 1149 dal vescovo di Orvieto Aldrobandino, affidata ai minori
conventuali nel 1253. Chiesa in origine a forme gotiche poi rimaneggiata nel 1747
secondo canoni barocchi. A fianco della facciata c'è il campanile del 1506 eretto
su progetto di Raffaele da Prato, con bifore ai primi due piani e l'ultimo piano a
monofore completato nel 1934. La torre è munita di tre campane, la più vecchia è
del 1472 fusa da Giovanni da Ferentino. All'interno, nel secondo altare di destra, si
conserva, un Crocifisso in legno del XIII secolo attribuito a Lorenzo Maitani mentre
nel secondo altare di sinistra si trova una statua dorata dell'Assunta opera del
fiammingo Carlos Duames della fine del Seicento.
Sono dislocate lungo il perimetro della chiesa, quattordici statue lignee intagliate
nel 1751 da Giovanni Bulgarini da Piancastagnaio, che rappresentano, a
grandezza naturale i dodici apostoli più San Giuseppe e San Giovanni Battista.
Meritano particolare attenzione gli affreschi del coro firmati "F.I.L.A. 1645" cioè
"Frater Julis Leonardus Acquipendi", tuttavia il ciclo è da attribuire a Francesco
Nasini che firma altre opere all'interno della chiesa.
denominazione
Chiesa di San Lorenzo
descrizione
La chiesa è dedicata a San Lorenzo Levita e Martire ed a San Michele Arcangelo.
Due ampie scalinate laterali fanno arretrare l'edificio di qualche metro rispetto ai
caseggiati vicini e ne nascondono in parte l'odierna facciata, a lesene d'ordine
tuscanico gigante, ed il solenne portale in pietra. Non si conosce con precisione
l'anno di edificazione della chiesa; sembra esistesse già prima del 1594. Nel 1877
la chiesa venne demolita e ricostruita dall'architetto Guglielmo Meluzzi, lo stesso
che curò il rifacimento del Palazzo Municipale. L'interno è stato poi soggetto, nel
corso degli anni a numerosi restauri. Fra le varie opere contenute nella chiesa, di
varia epoca ed origine, bisogna ricordare la lunetta su tavola raffigurante "Cristo in
Pietà con angeli", parte della pala d'altare del 1505, proveniente dalla chiesa di
Sant'Agostino opera del senese Girolamo di Benvenuto. La lunetta,
precedentemente conservata nella basilica del Santo Sepolcro, è stata oggetto di
un accurato restauro nel 1989 e collocata, per motivi di sicurezza, nella Chiesa di
San Lorenzo.
174
denominazione
Chiesa di Santa Vittoria
descrizione
Santa Vittoria aveva il titolo di chiesa priorale che tenne fino a quando nel 1649 la
chiesa del Santo Sepolcro venne elevata a cattedrale e dichiarata capoluogo di
diocesi. Nelle navate laterali si trovano due cappelle dedicate alla Madonna di
Pompei e all'Annunziata. Nell'abside, in posizione più elevata, si erge la statua
lignea della Madonna del Fiore scolpita da Giovanni Bulgarini di Piancastagnaio
nel 1751. Con decreto pubblico gli acquesiani stabilirono che questa preziosa
statua di Maria SS.ma fosse portata in solenne processione per le vie della città il
15 maggio di ogni anno.
denominazione
Convento dei Padri Cappuccini
descrizione
Il Convento dei padri Cappuccini è situato nel poggio sopra la valle Citerna. La
chiesa è intitolata a San Franscesco di Assisi. La strada che conduce al convento
è lastricata con pietre di Bagnoregio, lungo la stessa sono situate le stazioni della
Via Crucis. La struttura architettonica della chiesa è molto semplice: costituita da
un'unica navata, sul fronte dell'arco trionfale è dipinto a tempera l'emblema
francescano, la volta è a botte. Racchiusa in una cornice di stucco si trova una
pala d'altare settecentesca di autore ignoto. Nella parte centrale della parete
destra è presente una nicchia con il simulacro della Madonna, arricchito con un
diadema d'oro. In fondo alla chiesa all'interno della cappella è esposta con cornice
in legno la copia di una Madonna del quattrocento.
denominazione
Monastero di Santa Chiara
descrizione
Ai margini nord-ovest del centro urbano di Acquapendente, un tempo denominato
"Poggio del Massaro", è ubicato il monastero di clausura di Santa Chiara. Su
questo colle era eretta, una antica fortezza a difesa della città, per tale motivo la
località veniva denominata anche "la cittadella". Nel 1333 l'autorità pontificia
concesse a Fra' Tommaso di Acquapendente, padre provinciale dei minori
conventuali, la facoltà di costruire sul predetto colle il monastero, usufruendo della
esistente fortezza. Il monastero venne costruito e destinato a sede della comunità
religiosa delle Clarisse.
denominazione
Chiesa di S. Antonio Abate e S. Caterina
descrizione
La facciata, che risale ad un secolo fa, è dell'architetto Guglielmo Meluzzi. Al
centro della facciata si apre un grosso finestrone a occhio di bue. All'interno,
nell'aula dei fedeli, si possono ammirare una statua lignea della Madonna di
Loreto e la cappella in onore di S. Rocco con la sua immagine lignea. Sopra il
cornicione, nelle aule, sono rappresentati con figure simboliche i sacramenti. Nelle
nicchie dell'abside si trova la statua di S. Antonio abate di grande interesse storico
artistico, citata da mons. P. Mignucci nel settembre 1652; a sinistra della nicchia
c'è l'immagine di S. Caterina vicino alla ruota, simbolo del suo martirio. L'altare è
decorato con graffiti eseguiti dall'artista locale Mario Vinci, le volte sono state
eseguite da Ennio Luzzi nel 1965, entrambi nativi di Acquapendente sono ancora
attivi nel territorio.
175
denominazione
Palazzo Viscontini
descrizione
Alla morte di Viscontini il palazzo passò alla nipote Egidia e poi alla famiglia Benci;
nel 700 fino ai primi dell'ottocento appartenne ai Cerri ed è attualmente di
proprietà della famiglia Cordeschi. Il palazzo cinquecentesco, elaborato secondo
lo schema consueto dello Scalza presenta una facciata con un primo piano
fortemente bugnato e molto ricco plasticamente, piano nobile meno accentuato
con finestre dotate di timpani ed architravi ed ultimo piano più basso dotato di
finestre semplicemente incorniciate. Il palazzo è dotato all'interno di un grande
giardino in cui fu costruito un anfiteatro dedicato a Girolamo Fabrizio. Esso aveva
una capienza massima di 700-800 spettatori e contava sette palchi, tre dei quali,
posti di fronte al palcoscenico formavano la cosiddetta "galleria della sala del
caffè".
denominazione
Piazza G. Fabrizio
descrizione
Dopo il disboscamento della valle del Rivo intorno al XII secolo, nasce nel cuore
della città piazza G. Fabrizio, già piazza Vittorio Emanuele. E' qui che numerose
famiglie vollero edificare i loro signorili palazzi, veri e propri monumenti per
Acquapendente, soprattutto per i caratteristici e solenni portali. Davanti alla chiesa
di Santo Stefano è situato palazzo Benci Caterini, con portale ad arco sotto una
trabeazione di tipo dorico. Il concio di chiave, anziché essere decorato dal
tradizionale stemma, riporta un mascherone grottesco. Il palazzo con facciata a
sette fori e due piani, aveva in origine sul secondo una loggia aperta con tre archi
a tutto sesto ancora visibili. Altro palazzo interessante è quello Savini - Costantini
che si affaccia sull'angolo della piazza principale; la ghiera dell'arco del portale
allarga verso l'alto ed è ornata al centro dallo stemma gentilizio dei Savini.
Palazzo Petrucci Piccioni di fronte al palazzo Comunale ha l'arco a tutto sesto
del portale racchiuso entro forti lesene bugnate.
denominazione
Palazzo vescovile
descrizione
Con la distruzione della città di Castro e l'erezione della nuova diocesi di
Acquapendente la città divenne sede vescovile. La comunità acquistò ed offrì al
vescovo il palazzo della famiglia Oliva che doveva essere una parte dell'attuale
palazzo; la forma attuale è dovuta ai restauri ed agli ampliamenti effettuati tra sei e
settecento. Il palazzo è stato in passato il luogo in cui venivano carcerati i
malfattori, il piano terra dell'ala destra era adibito a questa funzione, ora è
occupato da un magazzino ma sono in parte ancora visibili le vecchie "celle"
coperte da una volta a botte e con una piccola finestra per la luce. Come ogni
carcere esso porta scritto sulle sue mura parte delle sofferenze sopportate dagli
sfortunati inquilini. In questo caso si tratta di vere opere d'arte essendo i graffiti sul
muro autoritratti, figure di animali o scene religiose.
176
denominazione
Ospedale civile
descrizione
La nascita dell'ospedale civile avvenne nella seconda metà del 1400, con la
fusione degli ospedali acquesiani di San Giovanni e di Santa Maria così chiamato
perché si trovava davanti alla chiesa di Santa Maria più nota come San
Francesco. Le sue antiche origini vengono svelate sia dal portale ogivale di sicura
epoca medioevale con la croce gerosolimitana posta sul suo architrave, sia da un
affresco di Madonna con Bambino di autore ignoto, di scuola umbro senese
dell'inizio cinquecento, posto all'ingresso dell'odierno ospedale. In Acquapendente,
fuori dele mura esisteva l'ospedale di San Lazzaro a servire i lebbrosi del quale
non rimane traccia se non nella tradizione locale. Infatti per la festa di San Lazzaro
i cittadini acquesiani erano soliti fare delle merende all'aperto, la tradizione rimane
ancora oggi con quella che viene chiamata la merenda di San Lazzaro.
denominazione
Cinta muraria
descrizione
In Acquapendente le strutture fortificate del sistema feudale furono abbattute e
sostituite con mura che meglio rispondevano alle mutate strategie di difesa
introdotte con l'uso delle armi da fuoco. La posizione di cerniera tra la Toscana e
le terre controllate dal Papa faceva di Acquapendente una pericolosa zona
cuscinetto sottoposta alle mire espansionistiche di Orvieto e Siena. Così nel 1198
l'ennesima guerra contro il comune di Orvieto si risolse in un notevole danno per le
mura acquesiane. Nel periodo rinascimentale le mura urbane di Acquapendente
avevano già assunto l'aspetto che hanno poi mantenuto nel corso dei secoli
successivi. Altre opere difensive furono progettate dal Cardinal Francesco
Barberini nel 1643 durante la guerra di Castro con nuove fortificazioni e trincee.
Poi durante il secolo dei lumi l'intero complesso fortificato cadde in un lento ed
inesorabile stato di abbandono.
Ma è nel corso del XIX secolo che si assiste alle maggiori opere di trasformazione
con la demolizione di alcune porte e torri e lo sfruttamento per fini abitativi di parte
della cinta muraria compresi alcun torrioni. Torre Julia de Jacopo. Lambita dalla
S.S. Cassia sorge in prossimità del torrente Quintaluna, la porta di Santo Sepolcro
detta comunemente Torre Julia a ricordo del coraggioso gesto di una donna che
nel 1550, durante l'attacco delle truppe pitiglianesi accorse alle grida d'allarme
lanciate dalle sentinelle e riuscì a chiudere il portone lasciato semi-aperto dai
soldati di guardia. L'originario nucleo medioevale era formato dal solo corpo di
fabbrica costituito da una porta ornata da teste zoomorfe, protetta da una torre
soprastante atta alla difesa piombante. Sarà durante il primo rinascimento con
l'avvento delle armi da fuoco, che la torre verrà mozzata e si costituirà il corpo
anteriore a pianta esagonale munita di camminamento, caditoie ed archibugiere.
denominazione
Torre del Barbarossa
descrizione
Vuole la tradizione che sia l'ultima vestigia del castello di Federico Barbarossa in
cui risiedeva il suo governatore Guelfo VI scaricato dalla popolazione in seguito
alla ribellione del 1166. La torre è dotata di orologio che già esisteva nel 1588
come annota lo storico locale Biondi. La forma attuale della torre è dovuta ai
rifacimenti dell'ottocento che hanno aggiunto la cella campanaria ed i merli.
177
denominazione
Ponte Gregoriano
descrizione
Ponte sul fiume Paglia fatto edificare da Papa Gregorio XIII nel 1578. Testimone
nei secoli della vita di Acquapendente, il ponte Gregoriano ha visto passare su di
sé personaggi illustri, eserciti invasori, pellegrini e comuni viandanti
accompagnandoli muto nei loro viaggi e segnando a volte i loro destini.
Anticamente era costruito interamente in legno ma veniva continuamente travolto
dalle piene del fiume. In occasione della visita di Papa Gregorio XIII al cardinale
Sforza e del travagliato attraversamento del fiume, il Pontefice volle che il ponte
fosse fatto in pietra e incaricò gli architetti Fontana di edificarlo; i lavori
terminarono nel 1580. Costruito su sei archi in pietra, dotato di quattro pile con
sagome frangiflutti nel verso della corrente mantenne questo aspetto per diversi
secoli; dopo i restauri dell'inizio del XIX secolo, il ponte è stato interamento rifatto
dopo la seconda guerra mondiale, essendo stato minato dall'esercito tedesco in
ritirata.
denominazione
Teatro Boni
descrizione
Il complesso denominato "Teatro Boni" è posto nelle immediate vicinanze della
piazza principale. L'organismo architettonico è tipico del teatro lirico, palchi su più
ordini disposti a "Ferro di Cavallo"; nella sommità trova posto il "Loggione". Gli
ordini di palchi sono tre ed ogni livello è alto circa mt. 2,15; sul loggione poggia la
struttura lignea costituente la copertura di origine semisferica della sala, con al
centro la bocca di estrazione dell'aria, sfociante nel camino superiore. La
costruzione è realizzata in muratura ordinaria, con paramenti esterni in blocchi di
tufo locale a faccia vista; le strutture orizzontali di copertura sono completamente
in legno e laterizi. L'ossatura dei palchi è costituita da muratura di mattoni con
sovrastante volta ad arco ribassato di copertura. Il palcoscenico, originalmente in
legno, è stato ristretto e sostituito da un solaio in laterocemento, tale opera è stata
attuata per adeguare la sala a veglioni ed a spettacoli cinematografici. Le
attrezzature sceniche, fatta salva qualche corda e carrucola sono ormai del tutto
perse, avendo il teatro assolto, negli ultimi anni di utilizzazione, alla sola funzione
di sala per proiezione. Attualmente il teatro Boni è in restauro. Il recupero dovrà
essere compatibile con le attuali esigenze di spettacolo e sicurezza, pertanto
occorre pensare non solo a rendere l'"edificio" sicuro, ma anche sfruttabile
appieno da tutte le forme culturali.
denominazione
Cinema Olimpia
descrizione
Il Cinema è situato in un edificio del centro storico, nelle immediate vicinanze della
piazza principale. La funzione di cinematografo è svolta fin dal 1925 nella sala
cinematografica denominata fin dall'origine "Cinema Olimpia". La denominazione
non è casuale, infatti il nome deriva da donna Olmpia Pamphili (1594-1657),
importante personaggio storico che governò la Chiesa durante il pontificato di
Innocenzo X nel 1600. La famiglia era originaria di Acquapendente, dove aveva
abitato per secoli nel complesso di case ove attualmente è ubicato il Cinema. Dal
1925, nel locale si è svolta l'attività di sala cinematografica, esercitata dalla
famiglia Brenci, sino alla data del Luglio 1998, data in cui l'immobile e l'attività
sono stati ceduti alla Regione Lazio e successivamente passati al Comune di
Acquapendente.Il locale si sviluppa in due livelli distinti, il piano terreno, che
comprende la platea e il piano superiore la galleria per complessivi 232 posti. Alla
galleria si accede tramite una scala collocata lateralmente all'accesso della platea,
si compone della sala gradonata, ove sono localizzati soltanto posti a sedere e
due appendici laterali che si affacciano sulla sala sottostante.
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denominazione
Palazzo Comunale
descrizione
Nel 1872 la Giunta Munucipale incaricò l'arch. Guglielmo Meluzzi (Rimini 1822Roma 1884) del progetto del nuovo palazzo comunale da erigersi nello stesso
luogo del vecchio. I lavori iniziarono nel 1877. L'edificio fu concepito in stile
neocinquecentesco con gradinata e portico ad arcate al piano terra e due ordini
superiori, con un ampio loggiato al primo piano che nel progetto definitivo fu
chiuso con finestre. Un ordine gigante di paraste suddivide in tre parti il prospetto
principale ed incornicia quelli laterali. Il cornicione, ben proporzionato, è decorato
con mensole, ovoli e dentelli e l'altana con l'orologio centrale ed i due stemmi
laterali in cotto, con le insegne del Regno e del comune, coronano il palazzo. Il
palazzo comunale preesistente lo conosciamo da un acquarello, opera dello
stesso Meluzzi, dipinto a fronte dell'immagine che avrebbe avuto il nuovo e più
grande edificio di sua progettazione. Il palazzo antico, dalla piante rilevate
dall'architetto riminese, era di dimensione abbastanza contenute e privo di
particolari decorazioni.
denominazione
Castello di Torre Alfina (Fraz. Acquapendente)
descrizione
Il paese di Torre Alfina si sviluppa intorno al Castello da cui ha avuto origine. Si
deve a Desiderio ultimo re dei Longobardi (756 - 774), la costruzione della Torre
centrale detta del Casseo. Nell'809 con la calata di Carlo Magno in Italia, quattro
fratelli al suo seguito di origine tedesca si stabilirono nell'Italia centrale. Uno di
loro, fermatosi ad Orvieto, avrebbe dato origine ai Monaldeschi. Questi, da quel
momento controllarono molti castelli della zona circostante compreso Torre Alfina.
Estinta la Casata dei Monaldeschi, il castello passò in eredità ai marchesi Bourbon
Del Monte, che lo tennero sino al 1881 quando fu acquistato e salvato dalla rovina
dal marchese Edoardo Cahen. Il castello fu lasciato da suo figlio Rodolfo in eredità
ad un suo governatore e da allora più volte venduto dai proprietari sino ai nostri
giorni ponendo così fine all'ultima casata nobile vissuta a Torre Alfina.
denominazione
Castello di Trevinano (Fraz. Acquapendente)
descrizione
Piccolo centro di probabile origine etrusca. Le scarse notizie che si hanno sul
castello di Trevinano risalgono alla metà del XII secolo, periodo tormentato da
frequenti scontri tra gli acquesiani e gli orvietani. Una data fondamentale è
sicuramente il 1187, anno in cui con un trattato di pace, stipulato tra le città di
Acquapendente ed Orvieto, si concede l'abitato di Trevinano ai figli di Sinibaldo
Visconti di Campiglia. Attualmente il castello è di proprietà dei Boncompagni Ludovisi, dopo essere stato per circa 300 anni della famiglia Bourbon Del Monte.
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denominazione
Chiesa della Madonna della Quercia (Trevinano)
descrizione
Scendendo da Trevinano verso il Paglia, a circa un km. dall'abitato, si trova la
chiesa dedicata alla Madonna della Quercia. Secondo la tradizione popolare,
riportata da un manoscritto del 1782, sui rami di una quercia secolare avvenne
l'apparizione della Madonna. A croce latina con braccia absidate, fu eretta a
santuario intorno al XVI secolo. Sull'altare, in parte barocco, si può notare un
pezzo del tronco dell'albero del miracolo.
denominazione
Chiesa parrocchiale (Trevinano)
descrizione
La chiesa parrocchiale, come si può dedurre da un documento del settecento, è
intitolata alla "Madonna SS. Sotto il Mistero della Natività"; a tre navate divise da
due file di tre pilastri ciascuna, collegati da archi. Attualmente la navata centrale,
che anticamente era "a volta", è formata da capriate con travi dipinte. La sua
erezione è presumibilmente del periodo rinascimentale. Sugli altari di stile barocco
si possono notare tele del XVI e XVII secolo.
denominazione
Museo del Fiore
Anno di fondazione
Sede e originaria destinazione d’uso
1995
Casale Giardino, Riserva Naturale del Monte Rufeno
Attraverso pannelli, giochi interattivi e sussidi
multimediali il visitatore è condotto nel mondo del
fiore, per coglierne gli aspetti biologici, ecologici,
Materiali e temi espositivi (entità della culturali. Di interesse demologico l'ultima stanza,
collezione e stato di conservazione > dedicata alla ricostruzione di un laboratorio per la
quantificare e descrivere l'esposizione attuale, realizzazione dei "pugnaloni" (pannelli realizzati con
petali di fiore), con postazione video, pannello
anche in percentuale)
interattivo e programma informatico ("Il fiore e il
folklore"). Non vi è pertanto una “collezione”, ma una
serie di percorsi di visita.
Provenienza dei materiali esposti
Locale
Ente competente
Comune di Acquapendente
Informazioni logistiche
Collegamenti e trasporti
Percorsi turistico-culturali allestiti
Il museo è raggiungibile solo con mezzi propri.
E' allestito il "Sentiero Natura del Fiore" come
stazione esterna del museo, ricco ed articolato in 22
punti di sosta attrezzati e didatticamente arredati,
dedicato specificamente a gruppi e scuole.
E' possibile inoltre usufruire degli altri percorsi
naturalistici ed escursionistici attivati nella Riserva
Servizi attivati
Ristorazione
Punto vendita (libreria, oggettistica, ecc.)
Servizi per i disabili
Servizi didattici
No
No
Si
Si
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