Brera incontra il Puškin Collezionismo russo tra

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Brera incontra il Puškin Collezionismo russo tra
Brera incontra il Puškin Collezionismo russo tra Renoir e Matisse La Pinacoteca di Brera e il collezionismo testo in catalogo di Sandrina Bandera1 A chi e a quale progetto culturale potrebbe servire una retrospettiva a Brera dei pittori che, tra Monet e Picasso, tra Impressionismo e Cubismo, hanno trasformato la pittura? L’interesse, vorrei dire la devozione, per questo straordinario e felice periodo di scoperta della natura che ha dato avvio alla modernità, e che porta oggi in Pinacoteca un felice raggio di colore e di libertà intellettuale, non impone certo la ripetizione in eterno di tali argomenti. Con questa mostra si vuole offrire anche la possibilità di guardare gli straordinari dipinti del Museo Puškin, gentilmente prestati nell’ambito dell’anno di celebrazione degli scambi culturali tra Italia e Russia, con occhi nuovi e di leggerli come espressione non solo della cultura artistica che essi rappresentano, ma anche del mondo dei collezionisti che li raccolsero e degli straordinari scambi culturali che ruotavano intorno a loro. Appare così un ambiente di committenti ambiziosi che viaggiavano nel cuore di un’Europa, non ancora colpita dai radicali movimenti della Rivoluzione russa e dalla crisi economica del ‘29, aperta agli scambi e alla circolazione delle idee. Si tratta di Sergej Ščukin e di Ivan Morozov, le cui raccolte, nazionalizzate dopo la Rivoluzione di Ottobre, entrarono nel 1948 a far parte sia del Puškin che dell’Ermitage, rimanendo nascoste al pubblico per moltissimi anni, a causa di un esplicito volere di Stalin, che non sopportava il bieco “formalismo” che quest’arte rappresentava. Tale sguardo dal punto di vista dei committenti permette di leggere seguendo un sottile, ma interessante fil rouge, anche le collezioni del Novecento braidensi, giunte a Brera come conseguenza della vivacità dell’ambiente milanese dagli anni Quaranta in poi quando tra le gallerie dell’epoca, come la Galleria del Milione o la Galleria Barbaroux, e la Pinacoteca, insieme a collezionisti, tra cui Jesi, Feroldi, Mattioli e Vitali, si strinsero rapporti strettissimi. In un momento di grande effervescenza per l’arte del Novecento, in linea con le scelte culturali avviate dal Ministro Giuseppe Bottai, che aveva istituito un “Ufficio per l’arte contemporanea” e che aveva anche molto appoggiato il nascere nel 1939 del Premio Bergamo, furono favorite le mostre organizzate nei musei rimasti con le sale vuote, dopo che le collezioni permanenti dei dipinti erano state imballate e trasferite per motivi di sicurezza e prevenzione per lo scoppio della guerra. Il Centro di azione per le arti di Brera, attivo dal 1939 al 1942 realizzò una serie di mostre, tra cui anche una dedicata a Carrà, che produsse la prima vera iniziazione della Pinacoteca all’arte contemporanea, aprendo la strada verso il formarsi di una vocazione alla pittura del Novecento e soprattutto verso il nascere di un sodalizio con i collezionisti milanesi, che risultò poi determinante per il futuro di Brera. Prima delle acquisizioni delle collezioni Jesi, Vitali, Rosenberg, Zavattini, con le quali Brera si aprì definitivamente all’arte del Novecento, Guglielmo Pacchioni Soprintendente per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologico di Milano ‐ Direttore della Pinacoteca di Brera 1
1 aveva favorito l’acquisto, nel 1940, di un’importante opera di Guttuso, Ragazze di Palermo, che fu devoluta alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, e nel 1942 lo stesso Pacchioni si impegnò all’acquisto a favore di Brera di un’altra opera straordinaria dello stesso artista , il Ritratto di Moravia, dimostrando une netta volontà di uscire dalle secche dell’arte dell’Ottocento. Tornando alla mostra ora esposta alla Pinacoteca di Brera è bene sottolineare che la situazione storica russa favorì, sul finire dell’Ottocento, la concentrazione della ricchezza in poche famiglie dell’alta borghesia imprenditoriale e commerciale, ansiose di promozione sociale, in linea con il grande sviluppo della società mitteleuropea, e soprattutto francese. Parigi, ormai insignita a ruolo di capitale della cultura, della moda e dell’arte, diventa meta e riferimento dell’alta società russa. La Russia, patria di scrittori e musicisti modernissimi, come Tolstoj, Gor’kij, Čecov, Pasternak, Skriabin e Čajkovskij, in realtà viveva un momento molto arretrato nel campo dell’arte figurativa, che non si spingeva oltre un vago simbolismo. La vivacità della cultura francese, Seurat, van Gogh, Gauguin, Matisse e Picasso, per citare alcuni nomi, ebbero il merito di legare ineluttabilmente la società russa alla cultura artistica contemporanea di Parigi. Se tra i due russi ci fu un certo antagonismo, il loro istinto li portò ad essere in realtà complementari: Ščukin si spingeva a scelte innovative come Gauguin, van Gogh e Matisse, mentre Morozov spaziava tra gli impressionisti e i nabis, fino a possedere una scelta strepitosa di dipinti di Cézanne. La preveggenza dei due collezionisti fu straordinaria se si pensa che il Louvre nel 1897 aveva rifiutato la donazione di una collezione di impressionisti. La presenza in Russia di artisti della nuova generazione francese, come fu il caso di Matisse che fu a lungo ospitato da Ščukin, oltre che, naturalmente, delle loro opere favorì la diffusione per la nuova gioventù russa di modelli e riferimenti innovativi. Anche se i due collezionisti, padri di questo grande cambiamento, morirono in esilio pochi anni dopo la Rivoluzione, vittime della nuova politica russa, è certo che la strada che avrebbe portato la Russia verso le nuove avanguardie fu avviata anche per merito loro. Per quanto il paragone non sia da assumere alla lettera, è interessante accostare il collezionismo russo a quello milanese, non tanto per le scelte culturali (tra loro non esattamente sovrapponibili) quanto per gli straordinari effetti in prospettiva storica. L’uno e l’altro favorirono l’entrata nei musei nazionali di opere del Novecento, e soprattutto ebbero la capacità di svecchiare e di offrire modelli culturali di vitalissima portata. Così come Ščukin e Morozov privilegiarono soprattutto l’arte contemporanea di van Gogh, Gauguin e Cézanne, le collezioni Jesi, Jucker, Vitali e Mattioli si distinsero per scelte illuminate, per acquisti di opere del Novecento, come Boccioni, Modigliani, Mafai, Scipione, De Pisis, Sironi, Carrà, Morandi, Marino Marini, Arturo Martini, determinando a Milano un orientamento verso questa cultura artistica, tanto da imprimere un nuovo corso anche alle scelte dei soprintendenti di allora, Guglielmo Pacchioni, Fernanda Wittgens, Gian Alberto Dell’Acqua e Franco Russoli, ai quali si deve il merito degli acquisti e dei legati dell’arte del Novecento entrati in Pinacoteca. Si deve a questi stessi soprintendenti un’attività meritoria, quasi missionaria, nel far conoscere con mostre e pubblicazioni diffuse a livello capillare in tutt’Italia, negli anni Sessanta e Settanta, l’arte del Novecento. La vitalità della Pinacoteca non si spense con l’improvvisa scomparsa di Russoli, ma continuò e continua tutt’ora fedele all’indirizzo di privilegiare il nesso tra arte e 2 committenza, non solo a continuazione del cammino iniziato, ma nel rispetto di un legame storico, che a Milano fu fortissimo, tra arte e collezionismo. Entrarono così nel corso di una trentina d’anni, dopo la collezione Jesi (1979 e 1986), le opere di Lamberto Vitali (1992), disegni e stampe appartenenti al Surrealismo della collezione di Arturo Swartz (1987), un buon numero di dipinti della collezione parigina di Léonce Rosenberg nel 2000, nel 2004 e nel 2007 (con opere di Savinio, De Chirico e Severini), e 150 autoritratti, i cosiddetti “minimi”, fatti personalmente eseguire da Cesare Zavattini agli artisti da lui conosciuti. Al pubblico che visita questa mostra, Brera offre anche un passaggio nelle sale della pittura del Novecento distinte dal resto del museo proprio in nome delle collezioni di provenienza che essi rappresentano, con la speranza che venga percepita l’essenza che ne fu l’anima costruttrice, l’impronta di coloro ai quali si devono tante straordinarie scelte. Alla fine sarà chiaro come nel XX secolo, in tutta Europa, non solo in Russia o in Italia, il legame tra artisti e collezionisti fu vitale e determinante. 3