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PRO MANUSCRIPTO
C
arissimi,
per i mezzi d’informazione è oggi fin troppo
facile presentare esclusivamente in negativo i
comportamenti dei giovani. Abbiamo tutti negli occhi e
nelle orecchie immagini e notizie che fanno leva sulla
nostra emotività per esaltare la sensazionalità (così detta
propria perché colpisce i nostri sensi, aggirando il filtro
della ragione critica) di taluni episodi. Ci sentiamo condizionati dai media anche a proposito dei temi più sacri,
come quelli della vita e della morte: essi vengono affrontati quasi sempre appoggiandosi alle emozioni e ai sentimenti del momento tralasciando, anzi accuratamente
evitando, di dare occasione a riflessioni più approfondite
che partano dai principi della condizione umana.
Personalmente, invece, constato che non sono pochi
i giovani che si pongono domande profonde su se stessi
e sul mondo nel quale vivono, superando i condizionamenti che spingono verso la superficialità. Il passaggio
da essere umano a persona, infatti, avviene solo attraverso il pensiero e quando la ragione è l’indispensabile
via attraverso la quale passa l’agire.
Questi giovani, oggi, possono contare su una guida
superlativa, un maestro del pensare in profondità:
Benedetto XVI, il Papa che, a dispetto delle previsioni
successive alla sua elezione, è riuscito a catturare l’attenzione e l’affetto del mondo giovanile. Con uno stile tutto
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diverso da quello del suo predecessore, ma con identici
risultati, il Pontefice richiama all’attenzione dei giovani i
veri valori della vita e della persona, indicandone la strada
attraverso una modalità vicina al loro sentire: quella della
ricerca. Adolescenza e gioventù, infatti, rappresentano la
parte della nostra esistenza dove si è costantemente in
cerca di qualcosa: della propria identità, del proprio
ruolo, della propria sfera di interessi e affetti. L’età in cui
nascono le domande che richiedono risposte più urgenti.
L’età in cui ci si sente incompleti e si va alla scoperta di
ciò che può concluderci. Il Papa ci ricorda che la
modalità della ricerca è quella tipica dell’assetato di verità,
che si disseta realmente solo nella Verità di Cristo.
È questo, ad esempio, il senso delle parole pronunciate a Colonia il 18 agosto di due anni or sono, durante
la Giornata Mondiale della Gioventù. Il tema dell’incontro era legato alla figura dei Magi, le cui spoglie, secondo
la tradizione, sono conservate proprio a Colonia.
Benedetto XVI avvicinava al loro esempio quello dei
giovani giunti da ogni parte del mondo per adorare Gesù.
Nel suo Vangelo, Matteo riporta la domanda che ardeva nel
cuore dei Magi: “Dov'è il Re dei Giudei che è nato?” (Mt 2, 2).
La ricerca di Lui era il motivo per cui avevano affrontato il lungo
viaggio fino a Gerusalemme. Per questo avevano sopportato fatiche e
privazioni senza cedere allo scoraggiamento e alla tentazione di
ritornare sui loro passi. Ora che erano vicini alla meta, non avevano
da porre altra domanda che questa. Anche noi siamo venuti a
Colonia perché sentivamo urgere nel cuore, sebbene in forma diversa,
la stessa domanda che spingeva gli uomini dall'Oriente a mettersi in
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cammino. È vero che noi oggi non cerchiamo più un re; ma siamo
preoccupati per la condizione del mondo e domandiamo: Dove trovo
i criteri per la mia vita, dove i criteri per collaborare in modo
responsabile all'edificazione del presente e del futuro del nostro
mondo? Di chi posso fidarmi, a chi affidarmi? Dov'è Colui che può
offrirmi la risposta appagante per le attese del cuore? Porre simili
domande significa innanzi tutto riconoscere che il cammino non è
concluso fino a quando non si è incontrato Colui che ha il potere di
instaurare quel Regno universale di giustizia e di pace a cui gli
uomini aspirano, ma che non sanno costruire da soli. Porre tali
domande significa poi cercare Qualcuno che non si inganna e non
può ingannare ed è perciò in grado di offrire una certezza così salda
da consentire di vivere per essa e, nel caso, anche di morire. Quando
all'orizzonte dell'esistenza tale risposta si profila bisogna, cari
amici, saper fare le scelte necessarie.
Il Papa sottolinea qui il valore della domanda, dalla quale
scaturisce l’esigenza di una risposta e la conseguente necessità della ricerca di essa. La domanda nasce dalla consapevolezza di un’incompletezza; la risposta, per colmare
quest’ultima, deve per forza essere definitiva, dare quella
certezza di cui si avverte la mancanza. Una risposta di tale
fatta non è certamente a portata di mano, ma comporta la
necessità di intraprendere una ricerca per ottenerla. Una
ricerca magari non voluta ma che si rende ad un certo
punto – e magari dolorosamente – necessaria, quando
l’esigenza di avere una risposta diviene improrogabile. E
che spesso può portare anche ad una risposta che non ci
piace, che appare difficile da accettare, ma che è l’unica
possibile e ci chiama a scelte coraggiose.
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P
iù recentemente, nell’aprile scorso, Benedetto
XVI è venuto nella nostra terra lombarda, per
pregare sulla tomba di uno dei Padri della
Chiesa, nei confronti del quale il Papa ha una particolare
devozione: sant’Agostino.
Mi sembra opportuno ricordare, per sommi capi, i
punti salienti della sua vita, per meglio inquadrarne la
figura all’interno della riflessione del Santo Padre.
Agostino era nato a Tagaste, nell’Africa romana,
nel 354.
Di famiglia moderatamente benestante, la biografia
della prima parte della sua vita potrebbe ricordare da
vicino quella di tanti giovani d’oggi.
Brillante negli studi, divenne professore a soli 21
anni.
Intraprendente e un po’ scapestrato, amava il divertimento, il vino e le donne. Ambizioso, si recò a Roma
per completare le propria formazione culturale e per
cercare di fare carriera.
Insomma, un giovane perfettamente identico a tanti
suoi pari età moderni; fosse vissuto ai giorni nostri,
sarebbe probabilmente stato uno di quei protagonisti del
gossip a cui si ispirano molti adolescenti.
E come tanti giovani, era alla ricerca di risposte alle
domande più profonde sulla propria esistenza: dapprima
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le cercò nella filosofia, poi nel manicheismo1. Infine, fu
l’incontro a Milano con sant’Ambrogio che lo spinse alla
conversione: nella notte di Pasqua del 387, fu lo stesso
Ambrogio a battezzarlo.
L’adesione al cristianesimo cambiò completamente la
sua esistenza; abbandonò tutti gli incarichi e tornò in
Africa, deciso a condurre con alcuni amici una vita eremitica di studi e preghiere. Ma nel 391 il vescovo di Ippona,
Valerio, lo convinse a farsi sacerdote; fu poi il popolo
della città, nel 395, ad elevarlo alla guida della diocesi.
Da vescovo visse il resto della sua vita, combattendo
le eresie e componendo numerosi scritti, tra i quali lo
splendido Le Confessioni, autobiografia morale che
abbraccia il periodo che va dalla fanciullezza alla conversione, capolavoro di introspezione psicologica che nel
corso dei secoli ha ispirato tanto religiosi quanto poeti e
filosofi, capace di toccare il cuore anche dei non credenti
con la delicatezza e la sincerità dei suoi contenuti. Un
libro la cui lettura è oggi da consigliare soprattutto ai
giovani, che vi troverebbero spunti di riflessione
insospettabilmente moderni e uno stile di scrittura accattivante e godibile.
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Dottrina religiosa diffusasi in Medio Oriente nel corso del III
secolo. Sintesi di diversi culti orientali, ai quali si univano anche
alcuni elementi cristiani, si basava sulla netta divisione della realtà in
due principi opposti in lotta tra loro: il Bene ed il Male, o meglio, la
Luce e le Tenebre. All'origine dei tempi il regno delle tenebre
invase il regno della luce e, dalla loro commistione, ebbero origine il
mondo e gli uomini. I due principi, quindi, coesistono negli uomini,
la cui unica possibilità di salvezza consiste nel separarli completamente, in modo da potersi riunire con il “re della luce".
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Non è un caso che Benedetto XVI sia così attento
alla sua figura, che è il simbolo stesso dell’uomo alla
ricerca della sua più profonda identità. Una ricerca che,
come nel caso di Agostino, non può mai definirsi
veramente compiuta, ma che procede, tappa dopo tappa,
fino ad una più completa conoscenza della Verità.
Nell’omelia pronunciata a Pavia, sulla tomba del Santo, il
22 aprile, traspare tutta la profondità di questa visione.
Seguendo attentamente il corso della vita di sant’Agostino, si
può vedere che la conversione non fu un evento di un unico
momento, ma appunto un cammino. E si può vedere che al fonte
battesimale questo cammino non era ancora terminato. Come
prima del Battesimo, così anche dopo di esso la vita di Agostino è
rimasta, pur in modo diverso, un cammino di conversione – fin
nella sua ultima malattia, quando fece applicare alla parete i
Salmi penitenziali per averli sempre davanti agli occhi; quando si
autoescluse dal ricevere l’Eucaristia per ripercorrere ancora una
volta la via della penitenza e ricevere la salvezza dalle mani di
Cristo come dono delle misericordie di Dio. Così possiamo parlare
delle “conversioni” di Agostino che, di fatto, sono state un’unica
grande conversione nella ricerca del Volto di Cristo e poi nel
camminare insieme con Lui. Vorrei parlare di tre grandi tappe in
questo cammino di conversione, di tre “conversioni”. La prima
conversione fondamentale fu il cammino interiore verso il
cristianesimo, verso il “sì” della fede e del Battesimo. Quale fu
l’aspetto essenziale di questo cammino? Agostino, da una parte,
era figlio del suo tempo, condizionato profondamente dalle abitudini e dalle passioni in esso dominanti, come anche da tutte le
domande e i problemi di un giovane. Viveva come tutti gli altri, e
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tuttavia c’era in lui qualcosa di particolare: egli rimase sempre
una persona in ricerca. Non si accontentò mai della vita così come
essa si presentava e come tutti la vivevano. Era sempre tormentato
dalla questione della verità. Voleva trovare la verità. Voleva
riuscire a sapere che cosa è l’uomo; da dove proviene il mondo; di
dove veniamo noi stessi, dove andiamo e come possiamo trovare la
vita vera. Voleva trovare la retta vita e non semplicemente vivere
ciecamente senza senso e senza meta. La passione per la verità è
la vera parola-chiave della sua vita. E c’è ancora una peculiarità.
Tutto ciò che non portava il nome di Cristo, non gli bastava.
L’amore per questo nome – ci dice – lo aveva bevuto col latte
materno (cfr. Conf 3,4,8). E sempre aveva creduto – a volte
piuttosto vagamente, a volte più chiaramente – che Dio esiste e
che Egli si prende cura di noi. Ma conoscere veramente questo
Dio e familiarizzare davvero con quel Gesù Cristo e arrivare a
dire “sì” a Lui con tutte le conseguenze – questa era la grande
lotta interiore dei suoi anni giovanili. Egli ci racconta che, per il
tramite della filosofia platonica, aveva appreso e riconosciuto che
“in principio era il Verbo” – il Logos, la ragione creatrice. Ma
la filosofia non gli indicava alcuna via per raggiungerlo; questo
Logos rimaneva lontano e intangibile. Solo nella fede della
Chiesa trovò poi la seconda verità essenziale: il Verbo si è fatto
carne. E così esso ci tocca, noi lo tocchiamo. All’umiltà dell’incarnazione di Dio deve corrispondere l’umiltà della nostra fede,
che depone la superbia saccente e si china entrando a far parte
della comunità del corpo di Cristo; che vive con la Chiesa e solo
così entra nella comunione concreta, anzi corporea, con il Dio
vivente. Non devo dire quanto tutto ciò riguardi noi: rimanere
persone che cercano, non accontentarsi di ciò che tutti dicono e
fanno. Non distogliere lo sguardo dal Dio eterno e da Gesù
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Cristo. Imparare sempre di nuovo l’umiltà della fede nella
Chiesa corporea di Gesù Cristo.
Agostino era un figlio del suo tempo: un ragazzo
come tanti, che inseguiva i propri sogni. E cercava risposte. Grazie alla madre, cristiana, conosceva Gesù; ma era
una conoscenza non ancora tradotta in stile di vita. Qui
non si può non pensare alla situazione che vivono tante
famiglie oggi, che si dicono cristiane perché i componenti hanno ricevuto il battesimo, perché vanno a messa
la Domenica, perché hanno il Crocefisso appeso sopra la
porta di casa. Ma basta questo ad essere cristiani?
Rinchiudere Dio in alcuni momenti o in alcuni spazi
della nostra vita quotidiana, lasciandoLo fuori dal resto,
è per forza di cose il tratto distintivo dell’essere cristiani
oggi? Quanto è importante in questo il ruolo dei
genitori! Aiutare i propri figli non tanto a conoscere,
quanto a vivere Gesù: con i gesti, con le parole, con
l’esempio. I genitori sono i primi catechisti, coloro che
fin dalla più tenera infanzia possono educare al Vangelo,
in modo molto più efficace di quanto potrà poi essere
fatto da altri. Agostino cercava Gesù perché la madre gli
aveva insegnato a farlo, anche se non pienamente; senza
di lei, la conversione non sarebbe stata possibile.
La prima risposta che il giovane Agostino dà alla
propria ricerca è affascinante, ma non appagante, perché
rimane sull’astratto piano dell’esercizio intellettuale. Il
passaggio determinante è far divenire concreto l’astratto,
tangibile l’intangibile. Il Verbo si fa carne non quando ci
tocca, ma quando gli permettiamo di toccarci, rinunciando a
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tutti gli schermi, le difese e i preconcetti che ce ne
tengono lontani. Cristo è lontano da noi solo se noi
vogliamo che vi resti; ciò avviene soprattutto quando ci
sembra di non averne bisogno, perché crediamo di
trovare le risposte alle domande in altro: negli affetti,
negli amici, nel lavoro, nel divertimento. Non si tratta di
rinunciare a tutto ciò, ma solo di accorgerci che non è
sufficiente, che non placa la nostra inquietudine, non
soddisfa la nostra ricerca.
La conversione di Agostino non è l’incontro con
Cristo: è il contatto con la realtà tangibile di Cristo, è
accorgersi che non è un’idea ma una persona, che ci
chiama a vivere con Lui. È la Fede, cioè la fiducia che
noi riponiamo in qualcuno sul quale siamo sicuri di
poter sempre contare.
Ma Benedetto XVI sottolinea anche che questa non è
la fine della ricerca, ma l’inizio di una nuova, perché la
perenne dimensione del cercare è insita nell’uomo.
La sua seconda conversione Agostino ce la descrive alla
fine del secondo libro delle sue Confessioni con le parole:
“Oppresso dai miei peccati e dal peso della mia miseria, avevo
ventilato in cuor mio e meditato una fuga nella solitudine. Tu,
però, me lo impedisti, confortandomi con queste parole: «Cristo è
morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se
stessi, ma per colui che è morto per tutti»” (2 Cor 5,15; Conf
10,43,70). Che cosa era successo? Dopo il suo Battesimo,
Agostino si era deciso a ritornare in Africa e lì aveva fondato,
insieme con i suoi amici, un piccolo monastero. Ora la sua vita
doveva essere dedita totalmente al colloquio con Dio e alla
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riflessione e contemplazione della bellezza e della verità della sua
Parola. Così egli passò tre anni felici, nei quali si credeva arrivato
alla meta della sua vita; in quel periodo nacque una serie di
preziose opere filosofiche. Nel 391 egli andò a trovare nella città
portuale di Ippona un amico, che voleva conquistare alla vita
monastica. Ma nella liturgia domenicale, alla quale partecipò nella
cattedrale, venne riconosciuto. Il Vescovo della città, un uomo di
provenienza greca, che non parlava bene il latino e faceva fatica a
predicare, nella sua omelia non a caso disse di aver l’intenzione di
scegliere un sacerdote al quale affidare anche il compito della predicazione. Immediatamente la gente afferrò Agostino e lo portò di
forza avanti, perché venisse consacrato sacerdote a servizio della
città. Subito dopo questa sua consacrazione forzata, Agostino
scrisse al Vescovo Valerio: “Mi sentivo come uno che non sa
tenere il remo e a cui, tuttavia, è stato assegnato il secondo posto al
timone… E di qui derivavano quelle lacrime che alcuni fratelli mi
videro versare in città al tempo della mia ordinazione” (cfr. Ep
21,1s). Il bel sogno della vita contemplativa era svanito, la vita di
Agostino ne risultava fondamentalmente cambiata. Ora egli
doveva vivere con Cristo per tutti. Doveva tradurre le sue
conoscenze e i suoi pensieri sublimi nel pensiero e nel linguaggio
della gente semplice della sua città. La grande opera filosofica di
tutta una vita, che aveva sognato, restò non scritta. Al suo posto ci
venne donata una cosa più preziosa: il Vangelo tradotto nel
linguaggio della vita quotidiana. Ciò che ora costituiva la sua
quotidianità, lo ha descritto così: “Correggere gli indisciplinati,
confortare i pusillanimi, sostenere i deboli, confutare gli
oppositori… stimolare i negligenti, frenare i litigiosi, aiutare i
bisognosi, liberare gli oppressi, mostrare approvazione ai buoni,
tollerare i cattivi e amare tutti” (cfr. Serm 340, 3).
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“Continuamente predicare, discutere, riprendere, edificare, essere a
disposizione di tutti – è un ingente carico, un grande peso, un’immane fatica” (Serm 339, 4). Fu questa la seconda conversione che
quest’uomo, lottando e soffrendo, dovette continuamente realizzare:
sempre di nuovo essere lì per tutti; sempre di nuovo, insieme con
Cristo, donare la propria vita, affinché gli altri potessero trovare
Lui, la vera Vita.
Agostino è di fronte ad una nuova illusione: che la
Fede raggiunta individualmente sia sufficiente. La
seconda trasformazione avviene quando deve rendersi
conto che il proprio rapporto con Cristo va condiviso
con gli altri. Il cristianesimo non si esaurisce in un
rapporto uno-a-uno tra me e Dio; non è un fatto
privato, di cui essere gelosi, ma pubblico, da vivere con e
per gli altri. Alla conoscenza di Gesù occorre unire
l’azione nel Suo nome. La dimensione contemplativa si
perfeziona nell’azione. Alla Fede si unisce ora la Carità;
ma neppure questo esaurisce la ricerca.
C’è ancora una terza tappa decisiva nel cammino di
conversione di sant’Agostino. Dopo la sua Ordinazione sacerdotale, egli aveva chiesto un periodo di vacanza per poter studiare
più a fondo le Sacre Scritture. Il suo primo ciclo di omelie, dopo
questa pausa di riflessione, riguardò il Discorso della montagna; vi
spiegava la via della retta vita, “della vita perfetta” indicata in
modo nuovo da Cristo – la presentava come un pellegrinaggio sul
monte santo della Parola di Dio. In queste omelie si può percepire
ancora tutto l’entusiasmo della fede appena trovata e vissuta: la
ferma convinzione che il battezzato, vivendo totalmente secondo il
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messaggio di Cristo, può essere, appunto, “perfetto". Circa
vent’anni dopo, Agostino scrisse un libro intitolato Le Ritrattazioni, in cui passa in rassegna in modo critico le sue opere redatte
fino a quel momento, apportando correzioni laddove, nel frattempo,
aveva appreso cose nuove. Riguardo all’ideale della perfezione nelle
sue omelie sul Discorso della montagna annota: “Nel frattempo ho
compreso che uno solo è veramente perfetto e che le parole del
Discorso della montagna sono totalmente realizzate in uno solo: in
Gesù Cristo stesso. Tutta la Chiesa invece – tutti noi, inclusi gli
Apostoli – dobbiamo pregare ogni giorno: rimetti a noi i nostri
debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori” (cfr. Retract I
19,1-3). Agostino aveva appreso un ultimo grado di umiltà – non
soltanto l’umiltà di inserire il suo grande pensiero nella fede della
Chiesa, non solo l’umiltà di tradurre le sue grandi conoscenze nella
semplicità dell’annuncio, ma anche l’umiltà di riconoscere che a lui
stesso e all’intera Chiesa peregrinante era continuamente necessaria
la bontà misericordiosa di un Dio che perdona; e noi – aggiungeva
- ci rendiamo simili a Cristo, il Perfetto, nella misura più grande
possibile, quando diventiamo come Lui persone di misericordia.
La conversione all’Umiltà è l’ultimo passaggio; la
profonda consapevolezza che la ricerca non ha mai fine;
che per quanto ci sforziamo, non saremo mai in grado di
dirci perfetti, cioè compiuti. L’Umiltà che ci insegna a
intraprendere la nostra strada nel desiderio, ma non
nell’ansia di giungere al traguardo, che anzi tende
sempre più ad allontanarsi man mano che procediamo.
L’Umiltà che ci impedisce di essere tormentati e tormentosi per il risultato da conseguire, ma sereni nel perseguirlo, una volta che abbiamo capito quale veramente
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esso debba essere. L’Umiltà di non esaurirci in noi stessi,
ma avvertire la presenza di Qualcuno che, pur essendoci
infinitamente superiore, ci ama al punto tale da scendere
al nostro livello. L’Umiltà di riconoscere che non è nel
distinguerci dagli altri, ma nel saper stare con essi che
raggiungiamo la pienezza di noi stessi.
Ho iniziato queste righe affermando che la dimensione della ricerca è tipica dei giovani. Le concludo
dicendo, alla luce delle riflessioni di papa Benedetto, che
“tipica“ non significa “esclusiva”. I giovani hanno un
grande dono e una grande responsabilità: il dono di
essere naturalmente stimolati a cercare; la responsabilità
di intraprendere tale percorso alla luce della Verità. Ma la
vicenda di Agostino ci insegna che anche chi giovane
non lo è più condivide la stessa condizione. La nostra
responsabilità è quella di riconoscere che la ricerca non è
mai esaurita, ma procede per tappe. Il nostro dono è
quello di poter avere accanto a noi ragazzi – che siano
essi figli o alunni – che ci stimolano a riflettere su
quanto sia importante approfondire la conoscenza di noi
stessi. Tutti quanti, poi, abbiamo nel Papa una guida
sicura in questo itinerario. Lasciamoci interpellare, anzi
inquietare, dalle domande poste da Benedetto XVI e
cerchiamo di imparare da Agostino, appassionato cercatore della Verità, domandandoci di tanto in tanto a quale
punto del nostro itinerario siamo giunti.
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TAVOLA DELLE ABBREVIAZIONI
Mt
Conf
2 Cor
Ep
Serm
Retract
Vangelo secondo Matteo
Agostino, Le Confessioni
San Paolo, Seconda lettera ai Corinzi
Agostino, Lettere
Agostino, Discorsi
Agostino, Le Ritrattazioni
I titoli si rifanno alla versione italiana dei testi.
Le opere di sant’Agostino sono pubblicate dalla Nuova
Biblioteca Agostiniana nelle edizioni Città Nuova.
Una versione elettronica dei testi può essere reperita per
la lettura al sito www.sant-agostino.it.
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