Spunti per possibili correlazioni e approccio allo sviluppo cognitivo
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Spunti per possibili correlazioni e approccio allo sviluppo cognitivo
Copertina 13-12-2007 10:14 Pagina 1 A cura di: PAOLO FERRAZZA ELENA STURCHIO Autori: Depositato presso l’AIFA in data 27/11/07 PAOLO FERRAZZA ELENA STURCHIO PAOLA SOLDATI BARBARA FICOCIELLO ANDREA FAUSTO LIJOI ANDREA PAOLILLO Spunti per possibili correlazioni e approccio allo sviluppo cognitivo Presentazione e revisione Dott. GIOVANNI MARIA PIRONE Si ringrazia per il prezioso contributo: Pubblicazione fuori commercio PAOLO FERRAZZA ELENA STURCHIO Codice IMM0224 Marcella Valente Neurologa Ada Mariggiò Psicologa, Psicoterapeuta Franco Barattini Direttore Medico Opera Srl. Istituto Italiano di Medicina Sociale Copertina 13-12-2007 10:14 Pagina 2 Istituto Italiano di Medicina Sociale Via Pasquale Stanislao Mancini 28 00196 Roma Tel. 06 3200642/3 www.iims.it Open Archive: http://e-ms.cilea.it 1ª edizione, novembre 2007 ISBN 978-88-87098-64-8 Coordinamento editoriale Paolo Ferrazza Grafica Pubblishock srl - Roma Il presente volume è disponibile sul sito www.iims.it. La riproduzione è libera, con qualsiasi mezzo effettuata compresa la fotocopia, salvo citare la fonte. Paolo Ferrazza, laurea specialistica in biologia con indirizzo Biochimico-Fisiologico, Specialista in Biologia Molecolare. Ha dedicato molti anni in laboratorio alla ricerca di base in genetica molecolare umana e successivamente sulla tossicità e mutagenesi ambientale. Da molti anni si dedica alle ricerche cliniche sul sistema nervoso centrale, sta costituendo un gruppo di lavoro che si occupi di avviare delle ricerche con l’intento di mettere in relazione quanto più possibile i fattori ambientali e sociali con le malattie neurodegenerative. Attualmente è responsabile delle ricerche cliniche nella direzione medica di una società multinazionale, Advisor Scientifico della CRO Opera Srl, consulente di ricerca dell’Istituto Neurologico Mediterraneo NEUROMED. Paola Soldati, laurea specialistica in Biologia specializzata in Chimica e Tecnologia delle Sostanze Organiche Naturali. Ha dedicato molti anni alla ricerca di base nel campo della tossicologia ambientale, successivamente ha lavorato sia in laboratorio nell’ambito del controllo qualità per poi dedicarsi all’attività di ricerca clinica orientata alle malattie neurodegenerative. Andrea Fausto Lijoi, laurea specialistica in Psicologia Clinica e di Comunità, ha lavorato per dieci anni nei servizi sociali di sostegno ai disabili Psichiatrici, da molti anni si occupa di ricerca in campo Neuropsicologica. Attualmente lavora presso la Contract Research Organization Opera Srl come advisor della Neuropsicologica. Elena Sturchio, laurea specialistica in Biologia specializzata in Patologia Clinica, ha lavorato molti anni all’attività di ricerca in Biologia Molecolare applicata alla Tossicità Ambientale. Attualmente è ricercatrice presso l’Istituto Superiore di Prevenzione e Sicurezza Lavoro (ISPESL) e si occupa di sviluppo di biomarcatori di geno tossicità e di studi sul rapporto causa-effetto tra geni e stress ambientali. Membro della Commissione Interministeriale di Valutazione per le Biotecnologie. Esperto ISPELS della Commissione Interministeriale di Valutazione sugli organismi geneticamente modificati. Barbara Ficociello, laurea specialistica in Biologia specializzata in Microbiologia e Virologia, ha svolto attività di ricerca nell’ambito della patologia clinica . Attualmente svolge attività di ricerca presso l’Istituto Superiore di prevenzione e Sicurezza Lavoro ( ISPESL) nel campo della Tossicologia e Mutagenesi Ambientale. Andrea Paolillo. Medico neurologo, dottore di ricerca in Neuroscienze, ha svolto per alcuni anni attività di ricerca in Neurologia e in Neuroradiologia, autore di numerose pubblicazioni sulle malattie neurodegenerative, attualmente responsabile dell’area neurologica di un’importante società farmaceutica multinazionale. 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 1 COLLANA STUDI E RICERCHE ISBN 978-88-87098-64-8 Istituto Italiano di Medicina Sociale 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 2 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 3 A mia figlia Martina perché le nostre attività di ricerca possano aiutarla a vivere in un mondo migliore P.F. 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 4 Editore: Istituto Italiano di Medicina Sociale Via Pasquale Stanislao Mancini 28 00196 Roma Tel. 06 3200642/3 www.iims.it Realizzazione: Opera Srl. Via Sampierdarena n. 33/2 16149 Genova Per informazioni: www.operacro.com [email protected] Il libro è stato realizzato con l’importante sostegno della società Merck Serono Si ringrazia inoltre per il supporto scientifico e logistico lo staff di Opera. Un particolare ringraziamento al gruppo che ha supportato la revisione editoriale: Dott.ssa Amalia Contessini, Ilaria Di Pippa, Emanuela De Martinis, Monia Pirrone, Annalisa Cannelli. Spunt appro 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 5 A cura di: PAOLO FERRAZZA ELENA STURCHIO Spunti per possibili correlazioni e approccio allo sviluppo cognitivo Presentazione e revisione Dott. GIOVANNI MARIA PIRONE Istituto Italiano di Medicina Sociale 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 6 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 7 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 8 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 9 INDICE 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 10 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 11 INDICE PRESENTAZIONE 13 INTRODUZIONE 17 1. LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE 1.1 Introduzione 1.2 Possibili meccanismi di azione 1.3 Cenni sulle più comuni malattie neurodegenerative 1.3.1 L’Alzheimer 1.3.2 Il Parkinson 1.3.3 La Sclerosi Multipla 1.3.4 La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) 27 29 31 39 40 44 48 54 2. EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE 2.1 Introduzione 2.1.1 Tossicità 2.1.2 Neurotossicità 2.1.3 Carcinogenesi e Mutagenesi 2.2 Radiazioni ionizzanti 2.3 Inquinanti chimici 2.3.1 Sostanze chimiche industriali 2.3.2 Metalli Pesanti 59 61 68 73 85 98 102 104 120 3. NUOVE FILOSOFIE SPERIMENTALI 3.1 Introduzione 3.2 I miRNA 139 141 142 4. LO SVILUPPO COGNITIVO E LE INFLUENZE DELLE ESPERIENZE AMBIENTALI (Interazione tra geni ed ambiente) 4.1 Il contributo di Jean Piaget 147 4.1.1 Introduzione 150 11 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 12 INDICE 4.1.2 Le fasi dello sviluppo cognitivo secondo Piaget (La psicologia genetica) 4.1.3 Fase senso-motoria 4.1.4 Fase preoperatoria 4.1.5 Fase delle operazioni concrete 4.1.6 Fase delle operazioni formali 4.2 Lo sviluppo cognitivo nella prospettiva di Lev Semyonovich Vygotskij 4.2.1 Introduzione 4.2.2 Lo sviluppo storico-culturale 4.2.3 Il rapporto tra apprendimento e sviluppo mentale. La Zona di Sviluppo Prossimale 4. 3 Lo sviluppo cognitivo secondo Jerome Seymour Bruner 4.3.1 Introduzione 4.3.2 Gli studi sulla percezione durante la nascita della psicologia Cognitiva. 4.3.3 Lo studio sul pensiero e la formazione di categorie. 4.3.4 Lo sviluppo cognitivo (1966), Piaget e Vygotskij sintesi ed evoluzione. 4.3.5 I tre sistemi di rappresentazione del mondo 4.4 L’approccio riduzionista e le prime evidenze sperimentali sui processi neuronali che coinvolgono la memoria. (L’Aplysia Californica ed il Nobel per le neuroscienze a E. R. Kandel) 4.4.1 Introduzione 4.4.2 La memoria secondo E. R. Kandel (L’approccio riduzionista) 4.4.3 Memoria a breve termine e memoria a lungo termine in Aplysia, i meccanismi biochimici. 4.5 Cenni sui disturbi cognitivi e inquinamento ambientale 150 152 153 154 155 155 155 158 158 159 159 160 161 163 164 165 165 166 167 169 5. CONCLUSIONI 173 BIBLIOGRAFIA 179 12 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 13 PRESENTAZIONE 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 14 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 15 PRESENTAZIONE La ricerca scientifica sui fattori di rischio ambientali e su quelli correlati allo stile di vita in genere assume oggi un ruolo di strumentalità sociale ancora non assolutamente prevedibile. D’altra parte numerose ed importanti scoperte scientifiche nascono dalla logica deduttiva che i sociologi hanno battezzato serendipità. I benefici economico-sociali e di salute individuale, derivanti da interventi di prevenzione primaria, sono già noti. Oggi occorre invece una migliore comprensione della fisiopatologia di numerose malattie cronico degenerative, un approfondimento delle correlazioni con il regime alimentare, la verifica dei contaminanti tossici che ad esempio hanno determinato l’encefalopatia spongiforme bovina, senza tralasciare le patologie dell’invecchiamento quali Parkinson, Alzheimer, infarto, diabete, artrite e cancro che potranno attecchire in una platea più ampia di anziani, considerato il dato demografico dell’incremento degli ultrasessantacinquenni previsto per il 2025 nella misura del 100%. Nel 2007 il 5% degli europei anziani con età superiore ai 65 anni sarà colpito dal morbo di Alzheimer. La ricerca clinica è orientata verso nuovi metodi per prevenire o ritardare la morte neuronale nelle malattie neurodegenerative, mentre la genetica indaga sui fattori che predispongono all’artrite reumatoide. In definitiva si prospetta un nuovo profilo di studio e di intervento sia per la prevenzione primaria che per il miglioramento della cura e dell’assistenza. 15 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 16 PRESENTAZIONE Un progetto Europeo denominato APHEA si è occupato di studiare gli effetti a breve termine dell’ inquinamento atmosferico in quindici città europee. I risultati, basati sulle statistiche relative ai livelli di inquinamento, hanno dimostrato che le sostanze inquinanti hanno un effetto misurabile sulla mortalità causata dalle malattie cardio-vascolari e respiratorie e possono far insorgere patologie classificate presumibilmente come “disordini idiopatici a patogenesi ignota”, in quanto richiedono ancora studi eziologici sulle cause fondamentali della demenza e fisiopatologie sui meccanismi di produzione della malattia. La dimensione del fenomeno per diffusione ed anche gravità è comunque già una priorità nazionale nel nostro Paese. Il presente volume evidenzia le possibilità di individuare i fattori di rischio ambientali che sono correlati alle malattie, i meccanismi molecolari che potenzialmente rendono influenzabile il sistema di “programmazione” della cellula, nella convinzione che comprendere il meccanismo di azione aiuta a capire le varie cause di insorgenza ed a trovare cure più efficaci. Giovanni Maria Pirone Commissario straordinario Istituto Italiano di Medicina Sociale (IIMS) 16 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 17 INTRODUZIONE 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 18 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 19 INTRODUZIONE Il filosofo U. Galimberti, in un contesto dove lo sviluppo del progresso tecnico, (attuato per compensare l’insufficienza della capacità umana, migliorare la qualità di vita e intervenire sulla realtà da cui la sua esistenza stessa dipende) potendo intervenire sull’equilibrio dell’ecosistema, sottolinea, che “discutere della tecnica non significa allora enfatizzarla o demonizzarla, ma divenire consapevoli che l’orizzonte di riferimento a partire dal quale l’uomo può pervenire a una comprensione di se, è radicalmente mutato” per cui è “necessario abbandonare la persuasione ingenua secondo cui la natura umana è un che di stabile che resta incontaminato e intatto qualunque cosa l’uomo faccia” (Galimberti U., 2002). Infatti, i processi industriali, le diverse forme di antropizzazione, l’ampio utilizzo di sostanze chimiche comportano che una larga frazione della popolazione umana sia quotidianamente esposta ad un elevato numero di fattori tossici e inquinanti a più livelli biologici (genetici, morfologico-embrionali, citologici, fisiologici, molecolari), diffusi nelle diverse matrici ambientali (acqua, aria e suolo), che possono indurre danni immediati o differiti sulla salute umana. Il rapporto con l’ambiente è, quindi, una delle determinanti fondamentali per lo stato di salute della popolazione umana, la relazione tra l’individuo e i diversi fattori ambientali può avere risvolti diversi sull’equilibrio salute/malattia. Studiare, conoscere e comprendere quali siano gli elementi da considerare, da un punto di vista epidemiologico, per valutare l’impatto dei diversi fattori sullo stato di salute è un compito 19 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 20 INTRODUZIONE molto complesso, richiede l’analisi e la correlazione tra dati ambientali, territoriali e urbanistici, con indicatori di mortalità, sanitari, demografici, culturali e sociali, per una determinata popolazione. In generale, la prevenzione delle malattie di origine ambientale richiede un intervento sinergico su comportamenti individuali, stili di vita, norme e misure istituzionali che consentano di garantire la sicurezza della popolazione esposta ai rischi ambientali. SALUTE AGENTI AMBIENTALI Aria Acqua Pesticidi e tossici FONTI DI VARIABILITA’ Fattori genetici Stato di salute Nutrizione Occupazione Stato socio-economico Figura 1.1. Schema di flusso tra salute – agenti ambientali – fonti di variabilità (da Geller A.M. and H. Zenick, 2005). Negli ultimi anni le linee di ricerca stanno ponendo maggiore attenzione alla connessione tra prevenzione delle patologie e studio dell’ambiente nelle sue componenti abiotiche e biotiche potenzialmente patogene. A tal proposito sono di valido supporto l’uso di test biologici che permettono lo studio dei fattori tossici ai diversi livelli biologici sopramenzionati. Ad esempio nella valutazione dell’entità del danno in organismi viventi per azione di agenti chimici, pesticidi e carginogeni si fa ricorso ai test di genotossicità della Cometa e dei micronuclei applicati a cellule meristemali di Vicia faba var. minor o su leucociti umani. Ènoto da tempo che le piante possono rappresentare dei validi indicatori per la presenza di inquinanti ambientali genotossici, consentendo, accanto a 20 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 21 INTRODUZIONE più collaudate metodiche di tipo chimico-fisico e biologico, il controllo e lo screening in situ. L’impiego di questi test di mutagenesi a breve termine, per l’alto grado di predittività della cancerogenesi, unito alla rapidità e ai bassi costi di esecuzione, fornisce un contributo significativo per un monitoraggio ambientale ed un intervento di protezione della popolazione (Sturchio E., et al. 2007). A questi si aggiungono gli indicatori di effetto, i quali permettono di valutare lo stato ambientale sulla base degli effetti che le attività umane inducono su organismi sensibili fornendo dati biologici come misure di biodiversità, alterazioni biochimiche, fisiologiche, morfologiche, funzionali, genetiche che, in funzione della loro gravità, indicano un ampio spettro di risposte biologiche, da semplici adattamenti fisiologici a quadri patologici ben definiti e a malattie conclamate (NCR, 1989). Gli indicatori di effetto possono essere impiegati in modo alternativo per stimare indirettamente la suscettibilità individuale o la dose, quando la misura dell’inquinante primario non sia disponibile o affidabile. L’uso più appropriato di questi indicatori è tuttavia la stima del rischio di effetti a lungo termine per individuare eventuali interventi di prevenzione primaria (Mutti A., 1995). Anche la tossicologia, in quanto caratterizzazione della risposta di un organismo ad un tossico e determinazione del meccanismo responsabile dell’effetto avverso osservato, si avvale di test che prevedono l’allestimento di saggi di tossicità in modelli animali suscettibili o test in vitro. Con questi ultimi test è possibile testare gli effetti di una sostanza chimica valutandone la tossicità attraverso la capacità replicativa (citotossicità), il ritmo proliferativo (test di proliferazione), il potenziale trasformante con l’inibizione da contatto nella crescita cellulare (test di trasformazione) e la capacità di formare colonie in terreno semisolido (test di crescita in soft agar). Tuttavia, a causa della diminuzione dei livelli di esposizione e la crescente complessità delle miscele di inquinanti che caratterizzano molti ambienti lavorativi (similmente a quanto avviene per l’aria urbana), emerge la necessità di sviluppare batterie di test non a scopo diagnostico, ma che permettano quello che è stato definito “monitoraggio degli effetti biologici”. 21 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 22 INTRODUZIONE Il monitoraggio degli effetti biologici consiste nella valutazione di modificazioni biochimiche o funzionali associate a particolari condizioni espositive, è strumento complementare per una corretta stima del rischio, soprattutto nei casi in cui non siano note (o non esistano) relazioni doseeffetto e dose-risposta. In questi contesti, il solo uso degli indicatori di esposizione o di dose (monitoraggio ambientale o biologico) risultano essere insufficienti per la stima di effetti a lungo termine, che possono essere invece almeno sospettati caratterizzando condizioni che precedono la malattia conclamata. Per cui test tradizionali sono attualmente supportati da nuove metodologie analitiche come quelle di tossicogenomica le quali permettono di identificare in anticipo e con una maggiore sensibilità alterazioni legate all’esposizione ad una sostanza tossica, fornendo indicazioni sul meccanismo molecolare di azione. Tale campo di ricerca è ancora lontano dall’offrire una risposta chiara e definitiva sui meccanismi alla base degli effetti tossici. D’altra parte le istanze che vengono poste oggi alla ricerca sono molteplici dal momento che nell’ambiente possono essere presenti sostanze che inducono o promuovono severe patologie soprattutto a lungo termine di cui è ancora difficile definire modalità, cause eziologiche, e progressione. Da diverso tempo è stata posta ad esempio l’attenzione sul legame tra alcune sostanze chimiche ed i fattori ambientali per valutare l’andamento epidemiologico delle malattie neurodegenerative (incidenza, morbilità, mortalità). In un articolo pubblicato su The Lancet alla fine del 2006, due autori (P. Grandjean e P. Landrigan) sottolineano come lo sviluppo della neurotossicità dovuta a composti chimici industriali rappresenti una “pandemia silente” in quanto gli effetti subclinici delle sostanze chimiche non appaiono riportati nelle analisi statistiche. La valutazione e l’identificazione della neurotossicità dei composti chimici si fonda sulla evidenza di un danno funzionale che nel caso di un individuo adulto è di solito legato all’ambito occupazionale, mentre nel bambino ad episodi di avvelenamento acuto ad alte dosi. Di norma la tossicità presenta un andamento dose-dipendente con un effetto clinico manifesto ma nel caso di un effetto subclinico questo può restare silente determinando una sottostima del rischio. I due autori 22 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 23 INTRODUZIONE citano 201 composti chimici comunemente usati e rilasciati come inquinanti nell’ambiente di cui sono noti e documentati gli effetti neurotossici (in realtà il numero di sostanze chimiche che possono causare neurotossicità in test su animali di laboratorio supera 1.000). Gli autori evidenziano come l’inquinamento ambientale, l’esposizione per uso quotidiano ed occupazionale a sostanze chimiche rappresenti un fattore rilevante per il manifestarsi di effetti tossici negli individui esposti, in particolare bambini o feti, maggiormente suscettibili in quanto presentano organi in via di sviluppo. Nel testo vi è, quindi, l’esortazione ad adottare un approccio precauzionale sui controlli delle sostanze chimiche. Negli ultimi anni un numero crescente di evidenze ha messo in relazione il manifestarsi di patologie del neurosviluppo con diversi composti chimici industriali e non. I dati sulla tossicità di molte sostanze, sono ignoti per il fatto che, attualmente, meno della metà delle migliaia dei composti chimici usati sono stati testati, ma soprattutto gli attuali test di tossicità raramente comprendono lo studio delle funzioni neurocomportamentali. Il cervello umano è un organo particolarmente vulnerabile, e quindi anche danni limitati possono avere conseguenze di rilievo. Dallo stadio fetale in poi il cervello vive una complessa serie di processi, per cui un’interferenza dovuta alla esposizione di sostanze tossiche può comportare conseguenze permanenti. Le ricerche hanno dimostrato che sostanze inquinanti presenti nell’ambiente, come il piombo o il mercurio, a basso livello di esposizione possono avere effetti subclinici avversi, come diminuzioni del grado d’intelligenza o alterazioni del comportamento. L’articolo presenta una interessante indagine di raccolta dati relativi a diverse sostanze quali pesticidi, piombo, metilmercurio, arsenico, PCB (bifenili policlorurati) e solventi (toluene), dove è stata sufficientemente documentata la tossicità e la sua insorgenza sul neurosviluppo del cervello. I risultati evidenziano che, spesso, un’esposizione a sostanze neurotossiche nell’infanzia può portare ad un maggior rischio di morbo di Parkinson e di altre malattie neurodegenerative (Langston W., et al. 1999; Calne DB., et al., 1986). 23 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 24 INTRODUZIONE Queste evidenze scientifiche si basano su studi epidemiologici di esposizioni occupazionali e casi clinici d’intossicazione acuta, gli effetti su popolazioni esposte ad inquinamento ambientale sono poco noti, dal momento che l’attribuzione di neurotossicità ad un singolo composto chimico è spesso impossibile (Grandjean P. e Landrigan PJ., 2006). Dall’analisi dei rapporti del National Institute of Occupational Safety and Health (NIOSH), si trovano altre 200 sostanze non censite dall’articolo citato, a cui vengono assegnati dei limiti in eccesso di esposizione occupazionale per la possibilità che provochino effetti dannosi sul sistema nervoso (http://www.cdc.gov/Niosh/npg/npgsyn-p.html). L’EPA a sua volta riporta che più di 80.000 sostanze chimiche sono registrate per uso commerciale, di cui 62.000 classificate come tossiche (U.S. Environmental Protection Agency, 1998). In Europa la situazione è pressoché analoga, con circa 100.000 composti registrati (Commission of the European Communities, 2001). (http://ec.europa.eu/environment/chemicals/exist_subst/einecs.htm). Dal momento che la gran parte di questi composti sono prodotti in quantità notevoli, una particolare attenzione deve essere posta nei riguardi delle esposizioni occupazionali, del rilascio nell’ambiente e dell’esposizione della popolazione attraverso il consumo di prodotti contaminati od utilizzo di manufatti, per quando concerne i livelli di concentrazione di esposizione, i tempi e la modalità dell’esposizione stessa. Inoltre è necessario considerare l’effetto sinergico dei composti chimici. Miscele di composti possono costituire fattore di rischio diverso rispetto al singolo composto, modulandone e/o incrementandone la tossicità (vedi tabella 1.1). 24 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 25 INTRODUZIONE Tab. 1.1. Elenco composti chimici neurotossisi: (da Grandjean P, Landrigan PJ. 2006). Panel: Chemicals (n=201) known to be neurotoxic in man Metals and inorganic compounds Nitrobenzene Pesticides Methamidophos Aluminium compounds *Arsenic and arsenic compounds Azide compounds Barium compounds Bismuth compounds Carbon monoxide Cyanide compounds Decaborane Diborane Ethylmercury Fluoride compounds Hydrogen sulphide *Lead and lead compounds Lithium compounds Manganese and manganese compounds Mercury and mercuric compounds *Methylmercury Nickel carbonil Pentaborane Phospine Phosphorus Selenium compounds Tellurium compounds Thallium compounds Tin compounds Organic solvents Acetone Benzene Benzyl alcohol Carbon disulphide Chloroform Chloroprene Cumene Cyclohexane Cyclohexanol Cyclohexanone Dibromochloropropane Dichloroacetic acid 1,3-Dichloropropene Diethylene glycol N,N-Dimethylformamide 2-Ethoxyethyl acetate Ethyl acetate 2-Nitropropane 1-Pentanol Propyl bromide Pyridine Styrene Tetrachloroethylene *Toluene 1,1,1-Trichloroethane Trichloroethylene Vinyl chloride Xylene Aldicarb Aldrin Bensulide Bromophos Carbaryl Carbofuran Carbophenothion α- Chloralose Chlordane Chlordecone Chlorfenvinphos Chlormephos Chlorpyrifos Chlorthion Coumaphos Cyhalothrin Cypermethrin 2,4-D DDT Deltamethrin Demeton Dialifor Diazinon Dichlofenthion Dichlorvos Dieldrin Dimefox Dimethoate Dinitrocresol Dinoseb Dioxathion Disulphoton Edifenphos Endosulphan Endothion Endrin EPN Ethiofencarb Ethion Ethoprop Fenitrothion Fensulphothion Fenthion Methidathion Methomyl Methyl bromide Methyl demeton Methyl parathion Mevinphos Mexacarbate Mipafox Mirex Monocrotophos Naled Nicotine Oxydemeton-methyl Parathion Pentachlorophenol Phorate Phosphamidon Phospholan Propaphos Propoxur Pyriminil Sarin Schradan Soman Sulprofos 2,4,5-T Tebupirimfos Tefluthrin Terbufos Thiram Toxaphene Trichlorfon Trichloronat Other organic substances Acetone cyanohydrin Acrylamide Acrylonitrile Allyl chloride Aniline 1,2-Benzenedicarbonitrile Benzonitrile Butylated triphenyl phospate Caprolactam Cyclonite Dibutyl phthalate 3-(Dimethylamino)-propanenitrile Diethylene glycol diacrylate Dimethyl sulphate Dimethylhydrazine Dinitrobenzene Dinitrotoluene Ethylbis(2-chloroethyl)amine Ethylene Ethylene oxide Fluoroacetamide Fluoroacetic acid Hexachlorophene Hydrazine Hydroquinone Methyl chloride Methyl formate Methyl iodide Methyl methacrylate p-Nitroaniline 25 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 26 INTRODUZIONE Ethylene dibromide Ethylene glycol n-Hexane Isobutyronitrile Isophorone Isopropyl alcohol Isopropylacetone Methanol Methyl butyl ketone Methyl cellosolve Methyl ethyl ketone Methylcyclopentane Methylene chloride Phenol p-Phenylenediamine Phenylhydrazine Polybrominated biphenyls Polybrominated diphenyl ethers *Polychlorinated biphenyls Propylene oxide TCDD Tributyl phosphate 2,2’,2”-Trichlorotriethylamine Trimethyl phosphate Tri-o-tolyl phosphate Triphenyl phosphate Fenvalerate Fonofos Formothion Heptachlor Heptenophos Hexachlorobenzene Isobenzan Isolan Isoxathion Leptophos Lindane Merphos Metaldehyde *substances that have been documented also to cause developmental neurotoxicity 26 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 27 CAPITOLO I LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 28 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 29 LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE I. 1 INTRODUZIONE Le malattie neurodegenerative sono un gruppo eterogeneo di patologie inerenti specifiche aree del sistema nervoso centrale (SNC) la cui sintomatologia è caratterizzata da una progressiva riduzione della componente cognitiva o motoria, a seconda del tipo di cellule neuronali interessate dalla selettiva degenerazione della malattia. Esse a tutt’oggi rappresentano un problema per la scienza medica dal momento che le cause eziologiche sono note solo in parte e il loro decorso spesso silente da un punto di vista sintomatico, ma inesorabilmente progressivo, viene evidenziato quando il danno al paziente è già in fase avanzata, precludendo, nella quasi totalità dei casi, la possibilità di una terapia efficace che non sia solamente sintomatica. Da un punto di vista patogenetico, tali malattie sono caratterizzate da un processo cronico di morte neuronale, non sempre accompagnato da infiammazione, che esita in gliosi, esordendo clinicamente in maniera strisciante nell’età adulta con decorso progressivo. Nelle fasi iniziali assumono un carattere focale, che in genere colpiscono bilateralmente uno specifico sistema neuronale, dando luogo ad una sintomatologia clinica estremamente variegata. Un tempo si definivano le demenze come precoci e senili, in seguito le sole demenze precoci sono state individuate come delle patologie con caratteristiche peculiari, la stessa schizofrenia diagnosticata nelle fasi più 29 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 30 LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE tardive era definita dementia precox. Però tenendo sempre presente questa nuova classificazione si può comunque affermare che la maggior parte delle demenze e della neurodegenerazione del SNC sono correlate positivamente con l’età. Parimenti, tuttavia, si è osservato che esistono specifici siti di aree cerebrali e cellule che rispetto ad altri vengono colpiti con più frequenza, la loro particolare suscettibilità è legata più alle caratteristiche citochimiche che all’età, ma la frequenza delle lesioni in suddette aree aumenta proporzionalmente all’età stessa. Dal punto di vista istologico i processi neurodegenerativi consistono in lesioni non specifiche (un invecchiamento precoce di alcune popolazioni neuronali), genericamente indicative di stress cellulare. In tutti i tipi di malattie neurodegenerative le indagini immunocitochimiche rivelano la presenza di una o più alterazioni comuni. Per questi motivi è stato suggerito un meccanismo patogenetico comune a partire da un danno primitivo ai neuroni della neocorteccia cerebrale, con una possibile rilevanza nel processo patogenetico dello stress ossidativo. Con ciò si indicano le conseguenze citopatologiche di un bilancio sfavorevole tra concentrazione intracellulare di radicali liberi e capacità della cellula di neutralizzarli, per un aumento della produzione endogena di radicali liberi, per una diminuzione delle sostanze neutralizzanti, e/o per una diminuzione della capacità di riparare il danno ossidativo prodotto dai radicali liberi sulle macromolecole cellulari. L’analogia delle caratteristiche patologiche, cliniche ed epidemiologiche suggerisce l’esistenza di fattori di rischio genetici ed ambientali comuni ai diversi tipi di malattie neurodegenerative. In sostanza, le evidenze scientifiche suggeriscono per le principali malattie neurodegenerative un meccanismo patogenetico comune e una eziologia multifattoriale risultante dall’interazione tra fattori di rischio ambientali e accentuata suscettibilità genetica individuale. 30 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 31 LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE I. 2 POSSIBILI MECCANISMI DI AZIONE Le attuali conoscenze sull’origine prima della patologia delle malattie neurodegenerative di tipo sporadico è spesso sconosciuta, ma dati di letteratura evidenziano uno stretto legame tra fattori ambientali, quali esposizione a sostanze chimiche (idrocarburi, pesticidi, solventi, n-esano e suoi metaboliti, metalli pesanti, farmaci antinausea ad azione centrale, antipsicotici) e reazioni (stress ossidativo e nitrosilante, glicosilazione, meccanismi infiammatori che determinano un perdurare nel tempo di alti livelli di neurotrasmettitori eccitatori), ritenute fra i maggiori fattori di intermediazione al rischio. Le terapie attualmente in uso sono essenzialmente sintomatiche, con efficacia variabile in funzione della patologia e dello stato del singolo paziente. Stress ossidativi, disfunzione mitocondriale e risposte allo stress cellulare sono alla base dell’insorgenza e progressione delle malattie neurodegenerative. Nella patogenesi di diverse malattie neurodegenerative, tra cui la malattia di Parkinson, la malattia di Alzheimer, l’atassia di Friedreich (FRDA), la sclerosi multipla e la sclerosi laterale amiotrofica, esiste una significativa evidenza che sia implicata la generazione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) e/o di specie reattive dell’azoto (RNS) associata alla disfunzione mitocondriale. Il genoma mitocondriale può avere un importante ruolo nella patogenesi di queste malattie e l’evidenza che i mitocondri siano un sito di danno nelle malattie neurodegenerative si basa in parte sulla riduzione dell’attività della catena respiratoria nella malattia di Parkinson, di Alzheimer e di Huntington. L’alterato metabolismo intramitocondriale con aumento dei livelli di ferro libero, e una difettiva catena respiratoria mitocondriale, associata ad un’aumentata generazione di radicali liberi e danno ossidativo, possono rappresentare un possibile meccanismo in grado di compromettere la vitalità cellulare. La frataxina, una proteina mitocondriale, può detossificare i ROS mediante attivazione della glutatione perossidasi ed aumento dei tioli. 31 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 32 LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE L’eterogeneità dei fattori eziologici rendono difficile definire con precisione il principale fattore clinico di inizio della malattia e della sua progressione. Ci sono evidenze che lo stress ossidativo e l’alterato metabolismo proteico siano due elementi essenziali nella patogenesi di molte delle malattie neurodegenerative. Le principali malattie neurodegenerative (malattia di Alzheimer, malattia di Parkinson, sclerosi laterale amiotrofica, sclerosi multipla, malattia di Huntington, atassia di Friedreich) sono tutte associate alla presenza di proteine anormali. Tra le proteine “hot shock”, la HSP-32, anche nota come HO-1 (eme ossigenasi-1), sembra avere un ruolo importante. La HO-1 potrebbe rappresentare un sistema protettivo potenzialmente attivo contro il danno ossidativo a livello cerebrale. La manipolazione dei meccanismi di difesa cellulari endogeni, come la risposta “heat shock” attraverso antiossidanti nutrizionali, composti farmacologici o trasduzione genica, potrebbe rappresentare un innovativo approccio nelle malattie neurodegenerative (Calabrese V. et al., 2006). Anche le disfunzioni del sistema immunitario sono causa di patologie neurodegenerative e psichiatriche. La disfunzione del sistema immunitario, con conseguente formazione di reazioni autoimmuni e produzione di autoanticorpi è uno dei fattori eziopatogenetici in alcune malattie neurodegenerative (morbo di Alzheimer) e in malattie psichiatriche, come la schizofrenia. Le malattie neurodegenerative sono caratterizzate da risposte immunitarie aberranti. Componenti “self” possono essere riconosciuti come estranei dal sistema immunitario per modificazioni posttrasduzionali, quali glicazione, ossidazione e aggregazione che avvengono nel corso dell’invecchiamento. Gli autoantigeni coinvolti nella patogenesi di tali malattie sono autoantigeni neuronali e autoantigeni endoteliali. Anticorpi anti-neurone sono stati dimostrati nel siero di pazienti con malattie neurodegenerative e potrebbero condurre allo sviluppo e progressione di esse in presenza di un’alterata permeabilità della barriera ematoencefalica. Gli autoantigeni endoteliali vengono 32 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 33 LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE riconosciuti da anticorpi anti-cellule endoteliali che possono causare alterazioni della barriera ematoencefalica mediante attivazione o apoptosi delle cellule endoteliali. A tutt’oggi non sono ancora disponibili marcatori che permettano una diagnosi specifica per patologie neurodegenerative e psichiatriche e che permettano di valutare il rischio, la progressione e gli effetti del trattamento farmacologico. Sono comunque in corso ricerche volte all’identificazione di autoantigeni riconosciuti dagli autoanticorpi presenti nel siero di pazienti con patologie neurodegenerative, come la sindrome di Alzheimer e a patologie psichiatriche come la schizofrenia, allo scopo di valutare il possibile utilizzo degli autoanticorpi specifici come marcatori prognostici e/o diagnostici e per comprendere meglio i meccanismi eziopatogenetici (Ortona E. & Margotti P., 2007). Nella complessità dei sistemi biologici, elemento comune alle malattie neurodegenerative è l’alterazione di alcuni processi metabolici, quali: x Meccanismi dei processi proteolitici e/o dei loro sistemi di controllo Questi meccanismi alterati determinano un accumulo di proteine anomale, il quale, a sua volta, attiva un sistema di traduzione del segnale chiamato unfolded protein response, attraverso l’aumento dell’espressione di geni della risposta allo stress associato al Reticolo Endoplasmatico (molecole di trasporto “chaperoni”). Pertanto eventuali mutazioni nelle proteine coinvolte nel traffico Golgi-RE provocano un’inibizione della capacità di degradare proteine con conformazioni alterate. Le malattie neurodegenerative quali la malattia di Alzheimer, il Parkinson, la malattia da corpi di Lewy, le Encefalopatie da prioni, la malattia di Huntington ed alcune neuropatie sono patologie caratterizzate da eccessive quantità di proteine erroneamente strutturate (misfolded) e da accumuli di “rifiuti molecolari” come nelle amiloidosi sistemiche e localizzate (Carrel RW, and Gooptu B., 1998). Il cambiamento della struttura secondaria e/o terziaria di una normale proteina funzionale è per lo più da imputare ad un mancato funzionamento di una famiglia di inibitori delle proteasi nello specifico 33 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 34 LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE le serin-proteasi (serpine), ciò comporta l’alterazione della conformazione, una polimerizzazione patologica delle varianti proteiche e la formazione di aggregati proteici intra ed extracellulari con varie organizzazioni che hanno come risultato un inappropriato folding. In alcuni casi l’oligomerizzazione della proteina misfolded nella conformazione a foglietti b e la formazione di aggregati proteici, produce protofilamenti che si organizzano strutturalmente in fibrille formanti depositi di amiloide tossici per i tessuti con perdita di funzione della proteina aggregata. L’osservazione che un tipo familiare di demenza è strettamente associato all’accumulo di un inibitore della serino-proteasi presente nel cervello, la neuroserpina, ha permesso di postulare meccanismi conformazionali comuni alle demenze e alle “serpinopatie”. La neuroserpina è omologa alla a1-antitripsina, sintetizzata e secreta dai neuroni durante la loro crescita, e si pensa possa avere un ruolo nel promuovere la formazione delle connessioni interneuronali. La serpinopatia è caratterizzata dalla formazione nei neuroni di corpi d’inclusione contenenti neuroserpina anomala ed è causata da mutazioni, a differente penetranza, dei geni delle neuroserpine. In condizioni normali i neuroni limitano l’aggregazione intracellulare delle proteine, mediante meccanismi proteolitici. Quando l’aggregazione però supera una certa entità, i meccanismi proteolitici risultano insufficienti, con conseguente accumulo degli aggregati ed eventuale morte neuronale. La capacità proteolitica dei neuroni di tollerare un eccessivo carico si riduce in relazione al progredire dell’età, e ciò giustificherebbe alcune forme di Alzheimer a sviluppo tardivo, che sono caratterizzate dai tipici accumuli di precursore proteico della b-amiloide (b-APP) in quelle regioni come l’ippocampo e la corteccia, dotate di capacità proteolitica molto limitata. La distribuzione in tipiche zone del cervello degli aggregati proteici è diversa in ciascuna delle demenze conformazionali ed è responsabile della loro varia manifestazione clinica, alla quale contribuisce la severità della mutazione genetica. Infatti mutazioni che determinano notevole instabilità conformazionale comportano un esordio molto precoce della malattia e un coinvolgimento dei nuclei cerebellari e del talamo, con conseguente comparsa di epilessia mioclonica progressiva. Mutazioni meno severe nei geni delle neuroserpine comportano la comparsa di 34 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 35 LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE inclusioni a livello di neuroni corticali distribuite in modo ampio e un esordio molto più tardivo della demenza. Studi sulle demenze familiari hanno confermato che l’accumulo intraneuronale di proteine aberranti è di per sé sufficiente a causare la malattia degenerativa ad esordio tardivo. x Meccanismi molecolari di risposta allo stress ossidativo cellulare I processi biologici che coinvolgono i radicali liberi e gli antiossidanti sono basati su un complesso equilibrio, la presenza delle specie reattive dell’ossigeno (ROS), come H2O2, e i radicali OH° e O2° di per se’ non deve essere considerata esclusivamente come un evento negativo dal momento che questi composti hanno un ruolo anche nelle funzioni fisiologiche. Spesso si identifica la presenza di radicali come un’accelerazione dell’invecchiamento dei tessuti o l’instaurarsi di gravi patologie come malattie cardiovascolari e neurodegenerative, diabete, cancro (Halliwell, B. and Cross, C.E., 1994; Bray, T.M., 1999; Forsberg, L., et al., 2001). Al contrario, una situazione transiente di stress ossidativi rappresenta uno dei meccanismi fondamentali di funzionamento per: ± rispondere a/o inviare molti tipi di segnale (ormoni, neurotrasmettitori, citochine ecc.); ± difendersi dagli agenti infettivi; ± variare lo stato redox necessario ad avviare un processo differenziativo; ± essere intermediari di reazioni enzimatiche e chimiche. I radicali sono, perciò, indispensabili ad un corretto funzionamento cellulare, tuttavia quando in un comparto tissutale o in una cellula, la corretta regolazione dell’omeostasi dei radicali viene alterata nel suo funzionamento, si può instaurare una situazione di stress ossidativi dovuta ad un’aumentata presenza di radicali ossidanti. Ciò determina una maggiore ossidazione del tessuto, misurabile dalla comparsa di specie ossidate presenti nei maggiori costituenti della cellula, quali lipidi, proteine, DNA, carboidrati e/o dalla riduzione dei livelli di riducenti 35 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 36 LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE naturali. Nel momento in cui un processo di stress ossidativo diviene cronico definisce un disequilibrio nella cellula tra la produzione di ROS e le capacità di difesa rappresentata dagli antiossidanti, determinando una condizione di rischio per processi degenerativi e l’instaurarsi di una situazione patologica (Sies, H., 1985). È noto che numerose patologie, sia su base genetica che acquisit,e sono associate ad alterazioni dello stato redox cellulare, le quali possono avere di per se’ un ruolo patogenetico o, al contrario, esserne un prodotto. • Nel primo caso la produzione di specie pro-ossidanti (o la diminuzione di elementi antiossidanti) interviene nella normale fisiologia cellulare con alterazioni dei processi vitali quali corretta proliferazione e/o della morte cellulare, contrattilità, funzione mitocondriale. Da qui il loro plausibile ruolo nell’insorgenza di patologie degenerative, nei tumori o nei processi associati all’invecchiamento. Patologie che sembrano essere per lo più correlate a stress ossidativo di tipo cronico, e comunque con esposizione a livelli acuti di ROS, sembrano essere la cataratta (Spector, A., et al., 1993), danni ai tessuti in seguito ad ischemia/riperfusione in vari organi trapiantati (Loguercio C. and Federico A., 2003; Poli G. and Parola M., 1997) e malattie neurodegenerative come l’Alzheimer, il Parkinson e la Sclerosi laterale amiotrofica. • Nel secondo caso, un’alterazione del bilancio redox è secondaria a processi patologici, come in alcune infezioni virali o in trattamenti farmacologici di tipo oncologico, dove le alterazioni redox possono rappresentare rilevanti e utili biomarkers per informazioni sulla natura, sulla localizzazione e sugli effetti dello stress ossidativo. Tuttavia, la presenza di molecole che hanno subìto un danno di tipo ossidativo può semplicemente riflettere epifenomeni secondari e non possedere un ruolo di tipo causale. Al momento non è possibile delineare chiaramente le relazioni causali esistenti, ma una crescente serie di evidenze indica che elevati livelli di ROS portano a precise conseguenze patologiche, amplificano notevolmente ed estendono il danno, portando 36 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 37 LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE alla degenerazione irreversibile di cellule e tessuti (Nakamura H., et al., 1997; Andersen JK., 2004). È ormai noto che lo stato redox cellulare regoli vari aspetti della funzionalità della cellula attraverso una complessa integrazione di numerosi meccanismi, ad esempio il danneggiamento strutturale delle proteine attraverso l’ossidazione diretta della catena aminoacidica, il legame alla catena peptidica di prodotti secondari dell’ossidazione degli zuccheri (glicossidazione), o di lipidi polinsaturi (lipossidazione) (Sayre LM, et al., 2001). Dati molecolari rilevano che dosi subletali di ROS, generati da vari stimoli, possono agire come veri e propri secondi messaggeri all’interno della cellula, andando a modificare il profilo dell’espressione genica. Il processo è mediato da modificazioni dell’espressione di AP-1, Egr1, e di fattori di trascrizione, come NF-kb (Nuclear Factor-kB) e proteine Pax, coinvolte nel controllo delle funzioni cellulari (Tell, G., et al., 2005). Tale regolazione è controllata principalmente dalla proteina nucleare, APE1/Ref-1, considerata un sensore redox cellulare; infatti, in risposta ad uno stress di tipo ossidativo, APE1/Ref-1 è in grado di agire sia con attività endonucleasica di riparo dei siti apurinici/apirimidinici del DNA sia di esercitare un controllo di tipo redox su diversi fattori di trascrizione. In questo modo le cellule vengono protette dal danno indotto da ROS sia a livello genomico, mantenendone la stabilità, sia a livello trascrizionale, attivando fattori di trascrizione che controllano i livelli di espressione di enzimi, che eliminano l’eccesso di ROS come le Superossido dismutasi (SOD), catalasi, ecc. Uno dei fattori di trascrizione è controllato in modo redox da APE1/Ref-1 è NF-kB (Nishi, T., et al., 2002), il quale svolge un ruolo fondamentale nella risposta allo stress ossidativo, nella regolazione dell’induzione dell’apoptosi, inoltre modula a sua volta i livelli di ROS intracellulari attivando la trascrizione di geni che controllano l’accumulo di ROS. Questi geni, come SOD2, sono in grado di inibire entrambi la morte cellulare indotta da TNF riducendo i livelli intracellulari di ROS (Wong G.H.W. et al., 1989; Pham C.G. et al., 2004). Infatti nella Sclerosi Amiotrofica Laterale (SLA) sia di tipo familiare che sporadica, un aumento di ROS dovuto ad alterazioni della SOD1, associato a 37 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 38 LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE modificazioni ossidative del trasportatore di glutammato GLT-1 nel midollo spinale dei pazienti, rafforza l’ipotesi di una relazione causale tra stress ossidativo ed eccitotossicità. x Stress ossidativi e mitocondri Nelle ricerche degli ultimi anni sta emergendo nelle malattie neurodegenerative, il Parkinson, l’Alzheimer, l’atassia di Friedreich, la sclerosi multipla e la sclerosi laterale amiotrofica, il possibile ruolo dell’interazione tra mitocondri e stress ossidativo. L’evidenza che i mitocondri siano un sito di danno nelle malattie neurodegenerative si basa in parte sulla riduzione dell’attività della catena respiratoria nella malattia di Parkinson, di Alzheimer e di Huntington. Le funzioni neuronali richiedono un’elevata energia, prodotta a livello mitocondriale tramite fosforilazione aerobica ossidativa, quindi alterazioni dei mitocondri intervengono nella fisiopatologia di molte malattie neurodegenerative, a causa di fenomeni come il deficit energetico, lo stress ossidativo e la eccitotossicità. Tali alterazioni comportano una esposizione cronica delle cellule nervose a livelli molto elevati di ROS, derivanti principalmente dalla disregolazione della fosforilazione ossidativa mitocondriale; il loro accumulo, unitamente al deficit energetico inducono un processo a cascata di ostacolo del trasporto intracellulare di glutammato, il quale si deposita nello spazio intersinaptico determinando una continua stimolazione dei recettori con attivazione dell’apoptosi. A tal proposito, numerose evidenze supportano la presenza di alterazioni mitocondriali nei pazienti ALS e nei modelli sperimentali della malattia. Inoltre, mutazioni puntiformi del DNA mitocondriale sono presenti con maggiore frequenza nel midollo spinale di pazienti ALS rispetto ai controlli. Anche la neuropatia ottica ereditaria di Leber (LHON) rappresenta una malattia neurodegenerativa con un’alterata funzionalità mitocondriale, è determinata dalla perdita delle cellule gangliari della retina per mutazioni in varie subunità del complesso I della catena respiratoria, alterando lo stato ossidativo della cellula, e causando a sua volta la modulazione ossidoriduttiva dei trasportatori del glutammato e 38 1-216 26-11-2007 14:35 Pagina 39 LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE l’innesco della cascata eccitotossica. Anche le cellule periferiche di pazienti affetti da tali patologie neurodegenerative presentano alterazioni mitocondriali. È stata riscontrata una ridotta attività del complesso IV in linfociti di pazienti affetti da ALS e una riduzione marcata dell’attività del complesso I in mitocondri isolati da piastrine di pazienti affetti da LHON (Ferrarese C. et al, 2001), nella malattia di Alzheimer (Ferrarese C. et al, 2000) e nella malattia di Parkinson (Ferrarese C. et al., 1999). Anche in un’altra malattia neurodegenerativa, l’atassia di Friedreich, la patogenesi non è ancora ben definita, a causa della eterogeneità dei fattori eziologia; è difficile stabilire con precisione il principale fattore clinico di inizio della malattia e della sua progressione. Tuttavia vi sarebbe anche in questo caso un alterato metabolismo mitocondriale con aumento dei livelli di ferro libero, un difettivo processo della catena respiratoria mitocondriale, associata ad un’aumentata generazione di radicali liberi e danni ossidativi. A tutto ciò è stato rilevato che una ridotta espressione della proteina frataxina, una proteina mitocondriale, è in grado di detossificare i ROS mediante attivazione della glutatione perossidasi e aumento dei tioli. L’alterato metabolismo proteico e lo stress ossidativo sarebbero anche alla base, nei malati di atassia di Friedreich, di un’anomala risposta a livello del cervello allo stress del tipo “shock termico”. Nel sistema nervoso centrale, la sintesi della proteina “heat shock” è indotta non solo dopo ipertermia, ma anche dopo alterazioni nell’ambiente redox intracellulare. In particolare, la proteina HSP-32 sembra avere un sistema protettivo potenzialmente attivo contro il danno ossidativo a livello cerebrale (Calabrese V. et al., 2005). I. 3 CENNI SULLE PIÙ COMUNI MALATTIE NEURODEGENERATIVE Tra le patologie neurodegenerative, le più frequenti sono: – La malattia o Morbo di Parkinson (MP): caratterizzata clinicamente da tremore a riposo, bradicinesia, rigidità ed instabilità posturale. 39 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 40 LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE – La malattia di Alzheimer (MA): caratterizzata da un graduale e progressivo decadimento delle funzioni cognitive quali la memoria, il giudizio, la critica, il ragionamento. – La Sclerosi Multipla (SM): caratterizzata all’esordio da disturbi motori e di sensibilità seguiti da deficit dell’equilibrio, deficit visivo, disturbi urinari, intestinali e della sfera sessuale. – La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA): caratterizzata da atrofia muscolare ingravescente, fascicolazioni, crampi muscolari, iperreflessia e successivamente da fenomeni bulbari. In questo capitolo viene affrontata una panoramica delle malattie neurodegenerative più comuni con particolare riferimento ai possibili meccanismi che sono alla base dello sviluppo e progressione di tali patologie. I.3.1 La Malattia di Alzheimer La malattia di Alzheimer (MA) rappresenta la terza causa di morte nei paesi occidentali. Fu descritta per la prima volta da Alois Alzheimer nel 1906 come una lenta neurodegenerazione, la cui sintomatologia è caratterizzata da una progressiva demenza con perdita di alcune funzioni cognitive (linguaggio, orientamento spazio-temporale, memoria, capacità di giudizio) in un arco di tempo che oscilla tra i 5-15 anni. Lo stadio finale della malattia mostra un cervello caratterizzato da un’atrofia cerebrale con ventricoli più ampi, riduzione dei cortical gyri e ampi solchi (widened sulci), tali cambiamenti sono da attribuire alla perdita di cellule neuronali. Esiste anche una degenerazione differenziale nei diversi gruppi di cellule neuronali in relazione alla malattia, infatti l’ippocampo è noto essere coinvolto nella patologia in modo più consistente rispetto alla perdita funzionale tipica dell’invecchiamento, ciò correla con la fisiologia dell’ippocampo implicato nella formazione della memoria e con il fenotipo della malattia, che prevede un deficit della stessa. 40 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 41 LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE Sembra ormai abbastanza consolidata la motivazione che all’origine della degenerazione neuronale vi sarebbe un processo di apoptosi incontrollata determinata da diversi fattori. Da un punto di vista anatomopatologico, a livello citologico c’è la presenza di due caratteristiche lesioni dovute alla presenza di: • placche ricche di beta amiloide (derivante dalla proteina di membrana APP) nello spazio extracellulare dei neuroni, il processo piuttosto complesso si basa sul taglio di b-APP da parte di tre enzimi proteolitici (a, b e g-secretasi). Se il taglio è operato dagli enzimi a e g-secretasi viene originato un frammento normale (p3); se invece b-APP è tagliata da b e g-secretasi, si può produrre il peptide Ab normale di 40 aminoacidi, oppure la versione patologica di 42 aminoacidi che si accumula a livello extracellulare. Il meccanismo neurotossico è da addebitare alla Met-35 la quale sembra avere un ruolo critico in quanto coinvolta nell’induzione di stress ossidativo e della perossidazione dei lipidi (Butterfield DA, Boyd-Kimball D., 2004). Inoltre la g-secretasi fa parte di un complesso proteico localizzato nella membrana lisosomiale costituito da: Presenilina-1 (PS1), Nicastrina (NcT), mAPH1 e PEN2, componenti necessari per il riconoscimento di substrati, assemblaggio di complessi, stabilità e localizzazione dello stesso nei siti d’azione. La co-espressione di PS1, NcT, mAPH1 e PEN2 induce la formazione degli eterodimeri della presenilina, glicosilazione della nicastrina ed aumento dell’attività della g-secretasi. La proteolisi intramembrana di bAPP (il clivaggio g-secretasi) risulta alterata da mutazioni a carico delle preseniline, determinando un’iperproduzione di derivati neurotossici, amiloidogenici di Ab 1-42. Sono state descritte diverse mutazioni missense del gene PS1 che sono alla base delle forme familiari ad esordio precoce di Alzheimer. Tali varianti mutate inducono un’alterazione del processo proteolitico dell’APP capace di provocare un aumento della suscettibilità all’apoptosi. Il Reticolo Endoplasmatico ed il compartimento intermedio RE-Golgi possono essere siti di generazione di peptidi tossici di Ab 1-42 in presenza di alterazioni del sistema unfolded protein response, causate da mutazioni della PS1. È stato ipotizzato che gli aumentati livelli di Ab 1-42 potrebbero essere il risultato di APP ritenuta a livello del Reticolo 41 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 42 LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE Endoplasmatico, a seguito del cattivo funzionamento unfolded protein response e del trasporto proteico, dal momento che le mutazioni di PS1 inducono una ridotta espressione della proteina di trasporto GRP78/Bip coinvolta nel folding proteico, ed i cui livelli sono ridotti nei cervelli dei malati (Di Luca M, et al. 1998). • accumulo di proteina Tau a livello intraneuronale. I neuroni presentano uno scheletro interno di supporto formato in parte da microtubuli, il cui assemblaggio e la cui organizzazione funzionale, in particolare la morfologia, la crescita e la polarità degli assoni, sono regolati dalla proteina tau. In un cervello non affetto da patologia, la proteina tau lega i microtubuli attraverso dei siti di legame tubulina specifici sotto l’azione di una fosforilazione nei domini dei legami tra microtubuli a carico di Ser/Thr-Pro (Buee L. et al., 2000). Nei neuroni affetti dalla malattia la proteina tau viene iperfosforilata in più di 22 siti diversi, ciò determina la perdita della capacità di legame della proteina con i microtubuli, i frammenti liberi della proteina si aggregano in grovigli neurofibrillari, alla base di problemi di comunicazione interneuronale e apoptosi incontrollata delle cellule (Hanger DP, et al., 1998). • Il fenomeno dell’apoptosi nei pazienti affetti da malattia di Alzheimer risulta essere aberrante e si auto-propaga fin dalla fase iniziale della malattia, studi del 2005 ne hanno svelato il possibile meccanismo molecolare riconducibile alla proteina tau alterata non determinato dalla sola aggregazione. Sperimentazione in vitro cellule neuronali di ratto, hanno evidenziato che i frammenti 151 e 421 della proteina tau prodotti dal taglio della caspasi-3, sono in grado di condurre alla morte i neuroni dell’ippocampo, una specifica popolazione di cellule colpita precocemente nella malattia di Alzheimer. Questi frammenti proteici derivano da un processo post-traduzionale della proteina tau, non originano, quindi da una mutazione genetica a carico del gene codificante tau, anche se in altre tauopatie (demenze fronto-temporali con Parkinsonismo associate al cromosoma 17, o Ftdp) le mutazioni di questo gene sono di per se’ responsabili della demenza. La 42 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 43 LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE neurodegenerazione potrebbe essere quindi scatenata da un processo autocatalitico in cui l’attivazione di caspasi-3 promuove il processamento di tau, il quale genera a sua volta frammenti proteici che favoriscono l’apoptosi (Fasulo L., et al., 2005). Nel tentativo di definire parametri biologici che permettano di diagnosticare in fase precoce la malattia è stato messo in evidenza la relazione tra la diminuzione dei livelli di Ab 1-42 nel liquor di pazienti affetti da Alzheimer rispetto a controlli sani di uguale età, mentre i livelli di proteina tau mostrano un gradiente opposto rispetto a quelli dell’amiloide, risultando più elevati nei pazienti malati, intermedi in quelli affetti da forme di demenza non Alzheimer e bassi nei soggetti sani (Arai H, et al., 1995). Molti studi indicano che, ben lungi da avere una singola causa, la malattia sia solitamente causata dalla combinazione di più fattori di rischio, circa il 75% dei casi di Alzheimer sono classificati come sporadici, la cui origine non ha una causa ben definita, ma non si esclude una componente genetica, dove uno dei fattori di rischio è rappresentato dall’età, tuttavia appare evidente l’associazione con la presenza di uno o due alleli ε4 del gene codificante per la apolipoproteina E (Apo E) presente sul cromosoma 19. Il restante 25% dei casi di Alzheimer è effettivamente a carattere ereditario, questi casi si possono distinguere in malattie a comparsa precoce (i sintomi appaiono prima dei 65 anni) e a comparsa tardiva (i sintomi appaiono dopo i 65 anni). Nel primo caso sembra che possano essere coinvolti: • Il gene per la produzione di beta-amiloide come APP, la proteina precursore dell’amiloide collocato sul cromosoma 21 (Padovani A, et al., 2002). • I geni per le presenilina 1 (PSEN1) e presenilina 2 (PSEN2) presenti rispettivamente sul cormosoma 14 e cromosoma 1. Anche se una solamente di queste mutazioni viene ereditata, la persona quasi inevitabilmente svilupperà la malattia di Alzheimer del tipo ad insorgenza precoce. Mentre per le forme di carattere tardivo appare avere un ruolo ancora la presenza della proteina APP. Recenti studi hanno sottolineato un possibile collegamento fra fattori correlati al 43 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 44 LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE rischio cardiovascolare e la genesi della malattia di Alzheimer, in particolare sembra che elevati livelli dell’aminoacido omocisteina siano associati con un rischio maggiore di malattia. Un’altra area che sembra dare suggerimenti utili a capire la genesi dell’Alzheimer è lo studio dell’invecchiamento, in particolare in relazione al danno neuronale che col tempo viene inflitto da parte dei radicali liberi e che può innescare dei fenomeni di danno ossidativo che interferiscono con i sottili equilibri di controllo del cervello. I.3.2 La Malattia di Parkinson Il Morbo di Parkinson (MP) fu descritto per la prima volta da James Parkinson nel 1817 come una malattia neurodegenerativa del Sistema Nervoso Centrale (SNC), riguardante almeno 1% della popolazione con oltre 55 anni di età (Rajput AH., 1992), la cui eziologia a tutt’oggi non è completamente conosciuta. In condizioni fisiologiche un cervello sano perde una percentuale di cellule nigrali dal 4.7% al 6% per ogni decade di vita nell’intervallo tra i 50 e i 90 anni (Gibb WR, Lees AJ., 1991) tuttavia tale perdita non è sufficiente a giustificare il MP (McGeer PL, et al., 1977). La patologia è caratterizzata dalla degenerazione della connessione neurale tra la Substantia Nigra e lo striato, due porzioni del cervello essenziali per il mantenimento della normale funzione motoria dell’organismo (Wooten GF., 1997). Fig. I.1.2.1. Diagramma schematico dei percorsi dopaminergici nel nigrostriale. Fig. 1. Schematic diagram showing the nigrostriatal dopaminergic pathway. A crosssection of human brain shows the caudate and putamen, which constitute the striatum. A section through the midbrain shows the substantia nigra. Dopaminergic neurons (in red), whose cell bodies are located in the SN, send projections that terminate and release dopamine in the striatum. With the degeneration of the dopaminergic pathway, there is a progressive drop in dopamine release into the striatum. Striatal dopamine deficiency, in turn, resultsin complex changes in the brain’s motor circuitry and causes the motor deficits characteristic of Parkinson’s disease (for interpretation of the references to color in this figure legend, the reader is referred to the web version of the article). 44 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 45 LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE Nerve terminals } Caudate nucleus Putamen Cell body Striatum Substantia nigra Lo striato fisiologicamente riceve input da parte dei neuroni della Substantia Nigra Pars Compacta (SNpc) attraverso la via dopaminergica nigrostriatale (Moore RY, et al., 1971), la progressiva degenerazione del pathway dopaminergico nigrostriatale comporta una massiva riduzione della dopamina (DA) striatale per una ridotta sintesi e rilascio di DA dai nervi striatali terminali (striatal nerve terminals) (Lang AE, Lozano AM., 1998; De Long MR., 1990; Dicker E, et al., 1993) che nel caso delle manifestazioni cliniche del MP può essere causata dalla perdita fino all’80% dei neuroni dopaminergici. Inoltre in alcuni neuroni nigrali dopaminergici che sopravvivono alla deplezione nonché in altre regioni del cervello come la cortex e i magnocellular basal forebrain nuclei sono presenti alterazioni citologiche dovute dalla presenza di inclusioni citoplasmatiche costituite da aggregazioni di proteina α-sinucleina, definite corpi di Lewy (LBs) (Gibb WR, Lees AJ., 1988; Uversky V.N., 2003). Diversi dati di letteratura rafforzano l’evidenza di una multifattorialità per l’eziologia del MP coinvolgendo fattori genetici, ambientali, disfunzione mitocondriale e danno ossidativo. In questo ultimo caso è opportuno definire che non è ancora chiaro quanto lo stress ossidativo rappresenti una causa o sia una conseguenza di altri eventi, tuttavia è 45 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 46 LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE certo il suo ruolo sul danno al DNA (Zhang J, et al., 1999) ed alle proteine (Floor E, Wetzel MG., 1998). Il contributo alla eziologia della malattia da parte di una predisposizione genetica è stato studiato sia con studi di caso-controllo (Gasser T. 2001; Sveinbjornsdottir S, et al., 2000) sia con ricerche di identificazione di mutazioni geniche come nel gene per l’ α-sinucleina (Zarranz JJ, et al., 2004), il parkin (Kitada T, et al., 1998), il PINK1 (Valente EM, et al., 2004), il PARK 8 per la proteina dardarin (Hernandez D, et al. 2005) infine il DJ-1 (Bonifati V, et al., 2003). Attualmente gli studi hanno dimostrato che l’α-sinucleina avrebbe un ruolo centrale nonché molteplice dal momento che la sua alterazione funzionale la si riscontra in tutte le forme della patologia. È noto che la sua over-espressione attivi l’apoptosi (Lee M, et al., 2001) probabilmente a causa del suo coinvolgimento nella regolazione della stabilità della membrana cellulare e della plasticità neuronale (Recchia A, et al., 2004). La proteina stessa nella sua fase solubile è spesso associata ad altre proteine tra cui la tau di cui induce la fosforilazione e la struttura in fibrille (Jensen PH, et al., 1999) a supporto di ciò è frequente rilevare la copresenza nelle cellule di grovigli neurofibrillari intraneurali insieme ai corpi di Lewy indicando che le alterazioni citologiche non sono spesso così nettamente distinte nelle diverse patologie ma che diversi meccanismi possono sovrapporsi. Vi sarebbe anche una relazione tra gli aggregati di α-sinucleina e lo stress ossidativo infatti questi aggregati simili a quelli di beta-amiloide possono essere indotti in vivo dalla compresenza di Cu(II) (Paik SR, et al., 1999), Fe/H2O2 (Hashimoto M, et al., 1999) o citocromo c/H2O2 (Hashimoto M, et al., 1996) elementi centrali nello induzione delle specie reattive dell’ossigeno (ROS). A sua volta lo stress ossidativo può danneggiare direttamente il sistema ubiquitina-proteasoma il quale è deputato al controllo della divisione cellulare, della traduzione dei segnali e della risposta immunitaria. Il suo ruolo nella patogenesi di molte malattie neurodegenerative è riferito al fatto che una sua alterazione comporta una condizione di “stress proteolitico” con un accumulo intracellulare di proteine anomale o non correttamente conformate (ripiegate) che non vengono eliminate, inoltre gli aggregati 46 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 47 LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE proteici tipici della neurodegenerazione sono in grado di intrappolare l’ubiquitina alterandone la funzione (McNaugth KS, Olanow CW., 2003). Tuttavia l’ereditarietà sembra non essere sufficiente a spiegare tutti i casi di MP, infatti la presenza di proteina α-sinucleina viene riscontrata in tutti gli LBs, anche nella maggior parte dei casi idiomatici di MP, senza però identificare la presenza di mutazioni a carico del gene codificante la proteina stessa. Questo indicherebbe, quindi, l’esistenza di meccanismi addizionali che causano cambiamenti conformazionali della proteina αsinucleina e conseguentemente la sua aggregazione nella formazione dei LBs (Spillantini MG, et al., 1997). Da ciò la possibilità che diversi fattori di rischio ambientali siano correlati all’insorgenza della malattia e alla modulazione della stessa nella sua progressione (Di Monte DA, et al., 1986; Di Monte DA, Lavasani M, 2002; Di Monte DA., 2003; McCormack AL, et al., 2002; Tanner CM, Ben-Shlomo Y., 1999). Infatti è noto che diversi composti chimici presenti nell’ambiente possono risultare tossiche per il sistema nigrostriatale contribuendo a determinare il processo neurodegnerativo del MP come: • metalli (Altschuler E., 1999; Gorell JM, et al., 1999; Yasui M, et al., 1992). • solventi (Davis LE, Adair JC., 1999; Hageman G, et al., 1999; Pezzoli G, et al., 1996; Seidler A, et al., 1996). • monossido di carbonio (Klawans HJ, et al., 1982). Negli ultimi 20 anni è stato rilevato che la neurotossina 1methyl,4phenyl,1,2,3,6 tetrahydropiridina (MPTP) induce nell’uomo (Davis G. et al., 1979; Langston J. et al., 1983), e nella scimmia (Burns R. et al., 1983; Langston J. et al., 1984) una sindrome neurologica del tutto sovrapponibile a quella tipica del MP idiomatico, determinata da una preponderante deplezione selettiva della DA striatale e dei suoi metaboliti e una deplezione dei neuroni DA della SNpc. Inoltre è stato rilevato che diversi prodotti chimici utilizzati come erbicidi e pesticidi (paraquat, diquat, rotenone) sono da un punto di vista molecolare strutturalmente simili al MPTP e studi epidemiologici hanno dimostrato un incremento del rischio del MP con l’uso di questi composti in 47 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 48 LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE agricoltura o con l’assunzione di acqua o cibo contaminati dagli stessi (Marder K, et al., 1998; Gorell JM, et al., 1998; Vanacore N, et al., 2002). Tuttavia anche su questo fronte non è ancora stato possibile identificare in una esclusiva causa ambientale da agenti chimici l’eziologia della malattia. I.3.3 La Sclerosi Multipla La Sclerosi Multipla (SM) è una malattia che colpisce la sostanza bianca del sistema nervoso centrale, cervello e midollo. Si chiama sclerosi perché la malattia produce delle cicatrici nelle zone danneggiate e Multipla perché il processo colpisce parti diverse del SNC e in tempi diversi. La malattia causa demielinizzazione, cioè un danno alla guaina mielinica, quindi un rallentamento nella conduzione degli impulsi nervosi lungo le vie, i neuroni che ne sono interessati. Anche l’assone può risentire dell’attacco infiammatorio e della perdita della mielina compromettendo così la sua funzione e generando il così detto “danno assonale”. Dendrite Terminale presinaptico Soma (corpo cellulare Nodo di Ranvier Guaina Monticolo assonico Assone Nucleo Fig. I.3.3.1. Struttura schematica del neurone (adattata da Wikipedia). 48 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 49 LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE La sclerosi multipla è caratterizzata da chiazze multiple di demielinizzazione o “placche”, disseminate in senso spaziale ma anche temporale, in quanto le lesioni si formano, come già detto, a più riprese nel tempo, accumulandosi. Le aree di localizzazione preferenziale sono: la sostanza bianca periventricolare, il nervo ottico, il tronco dell’encefalo, il cervelletto e il midollo spinale. La demielinizzazione degli assoni delle cellule del sistema nervoso, determina alterazioni delle prestazioni sensitivo-motorie, a causa della riduzione della velocità di conduzione degli impulsi, compromettendo anche gli aspetti cognitivi e comportamentali. I disturbi della sclerosi multipla sono assai variabili e disparati, sia sul versante sensitivo che su quello motorio, in quanto dipendono dalla zona cerebrale interessata di volta in volta dal processo patologico. Un coinvolgimento dell’area temporale potrà provocare ad esempio disturbi uditivi, mentre un interessamento dell’area occipitale sarà spesso associato a problemi visivi. L’evoluzione clinica della sclerosi multipla è molto variabile: accanto a forme “benigne”, con remissione completa ed assenza di recidive, esistono casi ad evoluzione progressiva, con riaccensioni ripetute e postumi invalidanti permanenti. La SM rappresenta la più comune causa di disabilità su base neurologica nella popolazione giovanile adulta. La maggior parte dei pazienti affetti da sclerosi multipla manifesta i primi sintomi ad una età compresa tra i 20 ed i 40 anni. Colpisce più frequentemente il sesso femminile (incidenza doppia rispetto ai maschi) e, pur non essendo una malattia ereditaria, è più comune in famiglie con predisposizione genetica. Il decorso della malattia è variabile: alcune persone sono minimamente affette dalla malattia, mentre in altre, essa progredisce rapidamente fino alla disabilità totale. Nella maggior parte dei casi la malattia procede per ricadute, con comparsa di un sintomo clinico, che regredisce parzialmente o completamente in 1 o 2 mesi. Le ricadute sono più frequenti nei primi anni della malattia, successivamente diminuiscono e il decorso può 49 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 50 LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE diventare progressivo. La durata media di sopravvivenza dopo i sintomi di esordio è superiore ai trent’anni. In base al decorso, si distinguono quattro forme cliniche principali di sclerosi multipla. La SM recidivante-remittente ha una frequenza di circa il 25%; è caratterizzata dal susseguirsi di attacchi (poussées, esacerbazioni, ricadute o recidive), costituiti dall’insorgenza acuta di disturbi neurologici, con la comparsa di nuovi sintomi o aumento della severità di sintomi già presenti, che tendono per lo più alla regressione totale o parziale. Con il trascorrere del tempo la regressione tende a farsi sempre meno completa (forma remittente con esiti) finché, dopo 5-20 anni in media si assiste spesso ad un “viraggio” verso la forma secondariamente progressiva. La malattia può rimanere inattiva per mesi, oppure per anni. La SM secondaria progressiva ha una frequenza di circa il 40%; é costituita da quelle forme recidivanti-remittenti che hanno perso il caratteristico andamento intermittente e presentano un peggioramento costante (andamento progressivo) con una significativa disabilità. La SM primaria progressiva ha una frequenza di circa il 15%; é caratterizzata da un andamento cronico fin dall’inizio senza “intervalli” liberi da disturbi neurologici e da un decorso progressivamente ingravescente. Questa forma ha in genere esordio tardivo (dopo i 40 anni), e tende ad essere caratterizzata per lo più da disturbi motori. La SM benigna ha una frequenza di circa il 20%; dopo uno o due attacchi con recupero completo, questa forma di S.M. non peggiora col tempo e non determina disabilità permanente e, comunque, non superiore ad un punteggio di 3 alla EDSS (scala di valutazione della disabilità di Kurtzke) dopo 10 anni dall’esordio. Questa forma di S.M. é associata a sintomi meno severi, per lo più di tipo sensorio. La causa primaria di questa malattia è ancora sconosciuta, mentre sono ben conosciuti i meccanismi attraverso i quali si manifesta e procede nel tempo. 50 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 51 LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE La SM presenta diverse cause di insorgenza quali cause virali, ambientali, genetiche e immunitarie, le quali insieme concorrono alla manifestazione della malattia. Valutando le relazioni tra questi fattori sembrerebbe che la SM sia causata da fattori autoimmuni che molto probabilmente vengono attivati da fattori ambientali in soggetti geneticamente predisposti. I pazienti con questa patologia presentano numerose alterazioni del sistema immunitario, ma non è ancora certo se queste siano la conseguenza del processo morboso, in risposta ad un’infezione virale, o la causa del processo stesso. L’ipotesi maggiormente supportata è quella di malattia infiammatoria “auto-immune”, probabilmente causata, o quanto meno attivata da un virus. Il sistema di difesa dell’organismo inizierebbe a considerare la mielina presente nel sistema nervoso centrale come estranea, distruggendola gradualmente. Esiste sicuramente una predisposizione genetica: nei parenti di primo grado dei pazienti con SM il rischio di sviluppare la malattia è circa quindici volte maggiore che nella popolazione generale, in particolare tra fratelli. La componente genetica potrebbe intervenire a regolare la suscettibilità dei soggetti a determinati fattori esogeni. Anche l’ambiente può svolgere un certo ruolo: questa malattia é cinque volte più frequente nelle zone temperate (come gli USA e l’Europa), rispetto alle regioni tropicali (Iannotta C., 1999). I pazienti con sclerosi multipla possono presentare anticorpi anti mielina, sia in corrispondenza delle placche di demielinizzazione a livello del sistema nervoso centrale, sia nel siero. Gli anticorpi anti-mielina sono di due tipi: anticorpi anti-MOG (myelin oligodendrocyte glicoprotein) ed anticorpi anti-MBP (myelin basic protein), diretti contro differenti target antigenici delle guaine mieliniche della sostanza bianca cerebrale. È da far presente che gli anticorpi anti-mielina non rivestono tanto un ruolo diagnostico, essi si evidenziano infatti solo nel 60% dei pazienti con sclerosi multipla ed il loro riscontro non è d’altra parte sufficiente a porre diagnosi, in quanto non sono specifici per questa malattia. La sieropositività per gli anticorpi anti-MOG e/o anti MBP, in un paziente con diagnosi clinica e strumentale (Risonanza Magnetica 51 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 52 LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE Nucleare) di sclerosi multipla, è tuttavia indicativa della presenza di una patologia in fase attiva ed è associata ad un aumentato rischio di evoluzione negativa, con recidive frequenti ed esiti invalidanti. I pazienti sieronegativi hanno invece un’elevata probabilità di presentare una malattia ad andamento benigno, con poche recidive e scarsità di postumi neurologici. La presenza di anticorpi anti-mielina, in soggetti con sclerosi multipla, individua dunque un sottogruppo di pazienti a prognosi negativa, da sottoporre perciò precocemente a trattamento (cortisonici, interferone, copolimero 1, immunosoppressori), al fine di prevenire la progressione della patologia. Alcuni studi indicano che lo stress ossidativo gioca un ruolo primario nella patogenesi della sclerosi multipla (Sayre L.M. et al., 2005). È risaputo che l’infiammazione può aumentare i livelli delle specie reattive dell’ossigeno (ROS) e dell’azoto (RNS) conducendo allo stress ossidativo. Una delle più frequenti cause di specie reattive, esclusa la catena di trasporto degli elettroni nel mitocondrio, è il sistema respiratorio di microglia attivato. I fattori ROS e RNS generati dai macrofagi sono risultati essere coinvolti come mediatori della demielinizzazione e del danneggiamento degli assoni sia nella encefalomielite autoimmune sperimentale (EAE, modello animale generalmente (accademicamente) accettato per lo studio della SM), che nella SM (Gilgun-Sherky Y, et al., 2004; Van der Goes A. et al., 1998). In più i radicali liberi possono attivare alcuni fattori di trascrizione, come il fattore Kappa B della trascrizione del nucleo, il quale gestisce/predetermina l’espressione di molti geni implicati nella EAE e nella SM, come il fattore a della necrosi tumorale, la sintesi indotta di ossido nitrico (iNOS), l’aderenza intracellulare della molecola 1 e l’aderenza della cellula vascolare della molecola 1 (Barnes PJ, Karin M. 1997; Winyard PG, Blake DR. 1997). Un analisi del sangue (plasma, eritrociti e linfociti) di 28 pazienti con SM, comparati con 30 controlli di pari età sani ha rilevato che i pazienti con SM mostrano riduzioni significative dei livelli di ubiquinone e 52 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 53 LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE vitamina E nel plasma., e un abbassamento della glutatione perossidasi eritrocitaria (Syburra C, Passi S. 1999). La conclusione è stata che il sangue dei pazienti con sclerosi multipla mostra segni significativi di stress ossidativo. Tale conclusione consolida uno studio precedente che ha rivelato una significante diminuzione nell’attività della glutatione perossidasi in 24 pazienti con SM, comparati ai controlli (Skukla UK, Jensen GE, Clausen J. 1997); un’anormale attività di catalisi è stata riscontrata anche nei granulociti (Jensen GE, Clausen J. 1997). Inoltre è risultato anche un aumento del 38% nell’ossidazione dei lipidi, infatti sono stati riscontrati nel plasma dei livelli significativamente elevati di glutatione ossidasi e una riduzione della vitamina E: la quantità di lipidi è stato misurata durante la fase attiva della malattia (Karg E, et al. 1999). Controlli della CSF hanno mostrato concentrazioni significativamente elevate di isoprostani (Greco A, et al., 1999), e un aumento della MDA e dell’attivita della glutatione reduttasi, e una diminuizione dell’attività della glutatione perossidasi. (Calabrese V, et al., 1994). Inoltre, controlli specifici della malattia SM hanno rilevato un aumento dell’attività dei radicali liberi, in corrispondenza con il decrescere dei livelli di glutatione, a-tocoferol e di acido urico (Langemann H, et al, 1992). Inoltre, è stato dimostrato che le cellule monoclonali attive, nei pazienti con SM, producono un alta quantità di specie reattive dell’ossigeno e dell’azoto e che si sviluppano, in associazione con le infiammazioni nella malattia cronica attiva, danni ossidativi al DNA, compreso il DNA mitocondriale (Lu F, et al., 2000; Vladimirova O, et al., 1999). A causa del fatto che abitualmente le cellule immunitarie attive rilasciano glutammato, si ritiene che sia proprio l’esocitotossicità del glutammato a provocare danni agli assoni. I disturbi da demielinizzazione causati da esocitotossine possono essere molto simili a quelli osservati nella SM, causando così, nel tempo, danni similari. Un rilascio eccessivo di glutammato da neuroni danneggiati può condurre ad un sovraeccitamernto dei neuroni, e di conseguenza alla morte delle cellule per apoptosi, mediata da diversi tipi di recettori del glutammato (Matute C, Perez-Cerda F. 2005). 53 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 54 LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE È stato trovato che gli oligodendrociti sono altamente sensibili alla esocitotossicità del glutammato principalmente attraverso i recettori AMPA/kainite (Matute C, et al., 2001). Recenti studi sperimentali hanno mostrato che dal trattamento con gli antagonisti dell’AMPA/kainite risulta un sostanziale miglioramento della EAE sperimentale (Noseworthy JH, et al., 2000). L’antagonista dell’AMPA/kainite, inoltre, aumenta la sopravvivenza dell’oligodendrocita e riduce la defosforilazione del neurofilamento H, un indicatore del danno dell’assone (Pitt D, et al., 2000; Smith T, Groom A, Zhu B, Turski L. 2000). E’ inoltre provato che nella SM si ha un aumento di glutammato, in associazione all’aggravarsi e il proseguire della malattia, nei livelli di CSF (Stover JF, et al., 1997; Barkhatova VP, et al., 1998) e che la produzione di glutammato da parte dei macrofagi può essere alla base dei danni agli assoni e alla morte degli oligodendrociti nei casi di SM (Werner P, et al., 2001). I.3.4 La Sclerosi Laterale Amiotrofica La malattia è relativamente rara, tipicamente di tipo sporadico, ha un’incidenza relativamente bassa (intorno ai 2 casi ogni 100.000 abitanti/anno) e una prevalenza in Italia di oltre 3.000 malati (negli Stati Uniti sono circa 25.000), con una piccola percentuale di casi a base genetica, Questa malattia è nota anche come Morbo di Lou Gehrig (dal nome del giocatore americano di baseball che ne fu affetto). La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), meglio definibile come malattia dei motoneuroni, è determinata dalla simultanea degenerazione dei neuroni di moto, usualmente attiva nelle aree cerebrali del corticale motorio, tronco encefalico (specie bulbo) e spinale che hanno la funzione di assicurare la motricità di determinati gruppi muscolari e il loro tonotrofismo, comprende una serie di patologie che si manifestano clinicamente con un deficit progressivo di capacità motoria in aree del corpo differenziate a seconda del punto di attacco. La progressione della degenerazione dei motoneuroni interessati varia da soggetto a soggetto, ma è comunque piuttosto rapida, nell’ordine di qualche anno. Ne risulta che alcuni muscoli si fanno via via più deboli e tendono a perdere volume e tono, per cui le funzioni a cui sono preposti questi 54 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 55 LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE gruppi muscolari (deglutizione, fonazione, respirazione, motricità degli arti, ecc.) divengono sempre più deficitarie. L’eziologia della patologia, come nelle altre neurodegenerative, è dichiarata sconosciuta dalla scienza medica ufficiale. In epoca relativamente recente sono state avanzate diverse ipotesi sui possibili meccanismi che sono alla base della malattia. Le prime osservazioni sono quelle suggerite dalla ricerca epidemiologica: il fatto che l’incidenza di questa patologia è nettamente più elevata nell’isola di Guam (nel Pacifico) e nella penisola di Kii (nel Giappone), ha fatto pensare al ruolo importante che possono avere i fattori ambientali e, soprattutto, le abitudini alimentari. A tal riguardo si è posto l’accento sull’uso corrente di una particolare farina ricca di alcune componenti proteiche, e in particolare di certi aminoacidi neuroeccitatori - simili all’acido glutammico - che, se presenti in eccesso, finiscono per arrecare danno ai neuroni. Ipotesi successive hanno segnalato che la degenerazione cellulare che si rinviene nella SLA potrebbe essere ascritta a: – patologie mitocondriali, con alterazioni del metabolismo energetico e squilibri nella complessa catena respiratoria cellulare (stress ossidativo); – un possibile ruolo della carenza di fattori di crescita; – azione infettiva di particolari agenti virali (i cosiddetti “virus lenti”), capaci di dar luogo a malattie croniche dopo un lungo periodo di esposizione, che può durare anche anni; – meccanismi autoimmuni, per la presenza, in alcuni malati di SLA, di particolari anticorpi che disturbano il corretto funzionamento dei canali del calcio (piccole porosità, presenti sulle membrane delle cellule nervose, che si aprono su sollecitazione di determinati voltaggi e consentono un ingresso selettivo di calcio all’interno del neurone). A queste ipotesi andrebbe aggiunta anche quella delle cosiddette heat shock protein (HSP), molecole che abitualmente proteggono le cellule da varie forme di stress (ipertermia ed altre situazioni che possono arrecare danno cellulare); nella SLA si sarebbe evidenziata la presenza di HSP anomale (e in particolare, la HSP32), con conseguente mancanza di protezione nei confronti del danno ossidativo neuronale. 55 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 56 LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE Uno dei fattori di rischio più significativi e meglio sostenuti da osservazioni scientifiche epidemiologiche è la familiarità per SLA. Nel 1993 Rosen e collaboratori identificarono la mutazione genetica responsabile di circa il 10% dei casi di SLA familiare. Il gene in questione codifica per un enzima, la superossido dismutasi di tipo 1 (SOD1), che ha azione protettiva nei confronti della cellula liberandola dai radicali liberi. Tale proteina, presente nel citoplasma di tutte le cellule dell’organismo, se mutata sembra acquisire proprietà tossiche selettivamente sui motoneuroni. La mutazione di un altro gene, ALS 2, è responsabile della forma giovanile di SLA di tipo 2, provocando la perdita di funzione di una proteina, l’alsina, coinvolta nell’organizzazione del citoscheletro della cellula. Tuttora non è chiaro come e perché le mutazioni della SOD1 e dell’ASL2 provochino la degenerazione selettiva delle cellule motoneuronali. Numerosi studi sono attualmente in corso per identificare i fattori di rischio genetici associati alla predisposizione individuale a contrarre la malattia nei casi di SLA sporadici. Nel sangue di soggetti affetti da SLA è stato rilevato un aumento dei livelli di glutammato; inoltre recentemente è stata osservata, in questi soggetti, una riduzione di una delle proteine responsabili della rimozione del glutammato extracellulare (trasportatore gliale del glutammato) proprio nelle regioni del midollo spinale e del cervello interessate dalla malattia. Il glutammato svolge normalmente un’azione eccitatoria per i motoneuroni, ma se presente a livelli superiori alla norma diventa tossico per i motoneuroni stessi. La tossicità eccitatoria è il processo attraverso cui gli aminoacidi neuromodulatori, come il glutammato, diventano tossici se presenti in eccesso. Altre potenziali tossine eccitatorie sono l’AMPA e il kainato. Il loro ruolo, si suppone, è quello di facilitare la morte neuronale, lasciando passare troppo calcio all’interno dei neuroni motori. Un fenomeno che induce un meccanismo a cascata intraneuronale che coinvolge i radicali liberi e ha come esito, appunto, la morte neuronale. È attraverso questa ipotesi che si è arrivati all’identificazione del riluzolo, il primo farmaco 56 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 57 LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE brevettato per la SLA. Il riluzolo sembrerebbe, infatti, in grado di antagonizzare gli effetti del glutammato, inibendone la liberazione presinaptica o, meno probabilmente, bloccandone i recettori. Per ora le strategie antiossidanti, invece, non hanno prodotto risultati concreti. Ma su queste teorie ci si concentra sempre di più dopo che, recentemente, si è arrivati all’identificazione del gene Sod1. La scoperta è che nei casi di familiarità, l’esordio della malattia è legato a un difetto nel gene Sod1, che codifica la superossido dismutasi, un enzima che agisce contro gli agenti ossidanti, come i radicali liberi. I ricercatori, questa la novità, hanno capito che la mutazione di Sod1 comporta un nuovo problema per il motoneurone: la proteina alterata fa diminuire la sua presenza nel nucleo della cellula nervosa. Il DNA è così più sensibile agli attacchi provocati da agenti ossidanti, e questo potrebbe contribuire all’esordio e alla progressione della malattia. Alla genesi multifattoriale della malattia potrebbe altresì concorrere anche l’esposizione ad agenti tossici ambientali. 57 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 58 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 59 CAPITOLO II EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 60 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 61 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE II. 1 INTRODUZIONE Occorre una migliore comprensione dell’impatto dell’ambiente sulla salute e dei fattori di rischio connessi al regime alimentare, che contribuiscono alle malattie croniche. Prove più efficaci per la rivelazione dei contaminanti tossici, come l’encefalopatia spongiforme bovina, permetteranno di ottenere cibi più sicuri. Si calcola che entro il 2025 il numero di persone di età superiore ai 65 anni raddoppierà. Le malattie della vecchiaia, come il morbo di Parkinson e il morbo di Alzheimer, l’infarto, il diabete, l’artrite e il cancro potrebbero aumentare in misura molto vistosa. Circa il 5% degli europei di oltre 65 anni è colpito dal morbo di Alzheimer. Si stanno studiando nuovi metodi per prevenire o ritardare la morte neuronale, che è quello che accade nelle malattie neurodegenerative come l’ infarto, il morbo di Parkinson e il morbo di Alzheimer. Analogamente, gli studi dedicati ai fattori genetici che predispongono all’artrite reumatoide dovrebbero permettere di progredire nella comprensione dei meccanismi che presiedono all’ insorgere di questa malattia disabilitante. Sarà così possibile elaborare terapie più efficaci. Perciò, oltre a richiedere sforzi personali, la demenza neurodegenerativa porta con se’ quattro miserabili caratteristiche: è di origine ignota, è senza cura, sta divenendo incredibilmente comune, richiede uno sforzo in più rispetto all’impegno domestico medio richiesto 61 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 62 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE nella cura di una persona malata. Chiaramente, a questo punto, chiedersi quali siano le cause fondamentali della demenza diventa una priorità nazionale. In verità, alcuni ricercatori e medici stanno lavorando attivamente per comprendere la genesi della demenza e, sebbene i loro sforzi non abbiano ancora raggiunto le dimensioni di un’urgenza collettiva, come quella che, a detta loro, ha caratterizzato i programmi nazionali sulla bomba atomica negli anni ’40 o sullo spazio negli anni ’60, ci sono segni tangenti di una realtà emergente di cui dover discutere. La possibilità di individuare eventuali cause ambientali da correlare alle malattie o meccanismi molecolari, che potenzialmente rendono influenzabile il sistema di “programmazione” della cellula, possono aiutare a capire le varie cause di innesco e/o a trovare cure più efficaci. Risulta quindi estremamente interessante dare una visione generale su quegli elementi ambientali che possono essere sospettati nell’influenzare l’insorgenza delle malattie neurodegenerative. L’approccio genetico alle malattie neurodegenerative come la malattia di Alzheimer, la Corea di Huntington, il Parkinson, la Sclerosi Laterale Amiotrofica si è rivelato condizione necessaria, ma non sufficiente a dare risposte al problema dell’eziologia di queste patologie altamente invalidanti. Un esempio è fornito dalla malattia di Alzheimer, la forma più frequente di demenza, le cui cause rimangono ancora pressoché ignote. Solo il 5-10% della malattia riconosce una trasmissione ereditaria mendeliana, mentre il 90% è costituito dal tipo sporadico, ad esordio tardivo con una eziologia poligenica e multifattoriale. Quindi la ricerca scientifica sta iniziando a porre una maggiore attenzione oltre ai fattori genetici predisponenti, ai polimorfismi per enzimi metabolici per una suscettibilità individuale, anche a fattori ambientali quali stili di vita in contesti rurali o industrializzati, esposizione a fattori inquinanti per motivi occupazionali, assunzione di cibo contaminato, o utilizzo di materiali e manufatti che possono rilasciare sostanze tossiche le quali possono divenire fattori di rischio (Brown RC, et al., 2005; Migliore L. e Coppede` F., 2002). Assume, perciò, un ruolo sempre più importante il concetto di multifattorialità nella eziopatogenesi di queste patologie. In questo contesto della multifattorialità è tuttavia difficile far collimare tutte 62 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 63 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE le osservazioni: ambientali, genetiche e quelle relative alla suscettibilità individuale, ognuna di esse appartiene alla speculazione specifica di discipline diverse; nonostante questa pluralità vale la pena considerare alcune tra le relazioni concettuali più importanti e ormai acquisite dal mondo scientifico. Le attuali conoscenze, sull’origine prima della patologia delle malattie neurodegenerative di tipo sporadico è spesso sconosciuta, ma dati di letteratura evidenziano uno stretto legame tra fattori ambientali, quali esposizione a sostanze chimiche come idrocarburi, pesticidi, solventi, nesano e suoi metaboliti (presenti in colle, vernici, benzina), metalli pesanti, farmaci antinausea ad azione centrale, antipsicotici, e reazioni come stress ossidativo e nitrosilante, glicosilazione, meccanismi infiammatori che determinano un perdurare nel tempo di alti livelli di neurotrasmettitori eccitatori, ritenuti fra i maggiori fattori di intermediazione al rischio. Attualmente nel caso del Morbo di Parkinson le cause ambientali appaiono avere un ruolo più determinante della predisposizione genetica. Si ritiene infatti che la malattia sia il risultato dell’interazione di fattori ambientali a cui il paziente può essere esposto nel corso della sua vita. Infatti, ricerche epidemiologiche hanno evidenziato che molti degli individui affetti da Parkinson sono stati esposti in misura maggiore rispetto ai casi di controlli a sostanze quali erbicidi, insetticidi, oppure hanno svolto attività agricole, o hanno bevuto acque provenienti da pozzi (possibili collettori di pesticidi) o hanno vissuto in zone rurali. Ricerche recenti hanno tuttavia evidenziato che l’unico fattore di rischio comune a queste diverse realtà è rappresentato dall’esposizione ad erbicidi ed insetticidi per cui l’attività agricola, la vita rurale o il consumo di acqua di pozzo non sono di per se’ fattori di rischio se non in quanto legati all’elemento uso di erbicida e insetticida. Sono di recente acquisizione anche dati che ipotizzano la possibilità che perfino il particolato presente nell’aria (PM 2,5-10), intesa come miscela di composti organici volatili, possa avere un ruolo come fattore o cofattore della malattia di Alzheimer. Uno studio realizzato su cervelli di cani cronicamente esposti ad aria inquinata, ha evidenziato l’espressione di alcuni marcatori molecolari 63 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 64 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE dell’infiammazione (gene COX2), dei precursori dell’amiloide (gene APP 751) e del danno ossidativo al DNA, analogamente a quanto riscontrato nei cervelli di pazienti malati (Calderón-Garcidueñas L., et al. 2004). Nella letteratura medica degli ultimi anni, diversi autori hanno posto l’istanza per una maggiore attenzione alla diagnosi precoce e alla profilassi, quale unica via praticabile nel contrastare le malattie degenerative. Infatti nella Sclerosi Laterale Amiotrofica, ma anche nella maggioranza delle altre malattie degenerative, Alzheimer, Parkinson, Huntington etc., al momento della diagnosi definitiva, il paziente ha già perduto fino al 70% dei motoneuroni o neuroni, rendendo difficile la possibilità di un intervento terapeutico efficace. Inoltre, si deve notare che il processo degenerativo indotto da una qualsiasi causa, si dirama progressivamente in una serie di sotto-processi, auto-sostenenti e divergenti, in grado di mantenere lo stato patologico anche in assenza di processi collaterali. Di qui la necessità e l’importanza di poter conoscere e controllare l’evoluzione di ciascuna tappa della malattia. Le cause eziologico-ambientali, che possono interferire con la componente di suscettibilità individuale e quindi cooperare allo sviluppo della malattia, possono essere associate a marcatori biologico-molecolari-citologici per interventi di tipo preventivo. L’uomo non è entità isolata dall’ecosistema in cui vive e i sistemi biologici sono spesso una complessa rete di interazione di fattori genetici, molecolari, fisiologici in “comunicazione” con il fattore ambiente. Nel maggio 2003, il centro studi Mount Sinai per l’Ambiente e la Salute del Bambino ha organizzato una importante conferenza presso l’Accademia medica di New York dal titolo “Prime Cause Ambientali delle Malattie Neurodegenerative in Età Avanzata”. Le ragioni sostanziali per sostenere un rapporto causa-effetto tra esposizione ambientale nei primi anni di vita e insorgenza della patologia in età avanzata, sono state discusse in questa conferenza a dir poco rivoluzionaria. Il cambio di logica a riguardo è il seguente: 1) l’ereditarietà in se sembra giocare un ruolo marginale nel rischio di sviluppare demenza (ad esempio, nella malattia di Parkinson la 64 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 65 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE predisposizione genetica è responsabile della patologia solo nel 5% dei casi). Questo implica la necessità di riporre la nostra attenzione sull’ambiente, possibilmente in aggiunta ai fattori genetici e agli stili di vita individuali, per conoscere le cause basilari della demenza; 2) molte patologie neurodegenerative sembrano progredire gradualmente attraverso una serie di stadi che richiedono alcuni anni o addirittura decenni. La cascata di alterazioni neurologiche, responsabili dell’insorgere dell’Alzheimer, potrebbe scatenarsi già a partire dalla seconda o terza decade di vita. Questo implicherebbe che esposizioni tossiche nei primi anni di vita -anche esposizioni prenatali- potrebbero essere rilevanti nelle demenze di età avanzata più di esposizioni equivalenti occorse tardivamente; 3) molti disturbi cognitivi noti per essere causati da esposizione ad agenti tossici presentano effetti latenti di lunga durata. Gli operai della DuPont, esposti ad alti livelli di piombo negli anni lavorativi, mostravano in pensione un declino cognitivo più rapido rispetto ai loro collaboratori esposti a livelli di piombo più bassi, anche se, in entrambi i casi, non c’era stata più esposizione al piombo da quasi vent’anni. Risultati simili provengono anche da studi condotti in Corea del Sud; 4) studi su animali mostrano che esposizioni precoci a certi agenti neurotossici possono creare cambiamenti subdoli ma permanenti nel cervello, tali che non si possano verificare deficit funzionali finché gli effetti di queste “tossicità silenti” non vengano smascherate da compromissioni successive; 5) sostanze neurotossiche, quali pesticidi, organocloruri persistenti e metalli pesanti sono ampiamente distribuiti nell’ambiente; 6) studi sull’uomo di malattie non dementi mostrano che l’esposizione a certi fattori nei primi anni di vita può predisporre un individuo allo sviluppo di patologia negli anni successivi. Ad esempio, studi in 65 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 66 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE Inghilterra mostrano che i bambini nati di piccole dimensioni perché privati di un’adeguata nutrizione, nel periodo dello sviluppo placentare diventeranno adulti che, in età avanzata, saranno ad alto rischio di ipertensione, infarto, diabete e cancro della mammella o della prostata. I risultati di questi studi suggeriscono che i neonati sono influenzati dagli insulti ambientali che si verificano durante un periodo critico dello sviluppo, in modi che hanno conseguenze permanenti. Questa idea è nota come “Ipotesi Barker”. La malattia di Parkinson può dipendere anche dall’inquinamento ambientale. In particolare, da sostanze prodotte da alcuni microrganismi presenti nell’ambiente sotto varie forme, da batteri, funghi, piante e perfino da prodotti chimici. L’esposizione a questi fattori tossici, come pure la loro ingestione tramite cibo o acqua contaminati, potrebbe infatti facilitare una disfunzione genetica che inibisce il sistema regolatorio delle proteine, con accumulo di proteine degradate e conseguente degenerazione dei neuroni. A dimostrarlo l’equipe del ricercatore Warren Olanow del Mount Sinai Institute di New York, con uno studio, effettuato in laboratorio sui ratti, in via di pubblicazione sulla rivista ‘Annali of neurology’. La novità – annunciata in occasione del Congresso Internazionale sulla Malattia di Parkinson e sui Disordini del Movimento, che ha riunito a Roma oltre 3000 specialisti e neurologi provenienti da tutto il mondo – riguarda le forme sporadiche di Parkinson, vale a dire le forme della malattia non geneticamente determinanti. Il giudizio dei ricercatori è unanime: si tratta di una scoperta che “rivoluziona” la conoscenza della patogenesi, ovvero delle modalità di insorgenza della malattia che, dopo quella di Alzheimer, è considerata la patologia neurodegenerativa più frequente, con circa 100-150 casi ogni 100 mila abitanti. “L’importanza della scoperta, effettuata somministrando al ratto inibitori del sistema regolatorio delle proteine, è duplice: innanzitutto – ha spiegato il neurologo Alfredo Berardelli, del Dipartimento di Scienze Neurologiche dell’Università La Sapienza di Roma – è la dimostrazione che le interazioni gene-ambiente svolgono un importante ruolo nella causa della malattia. Inoltre, evidenzia elementi simili tra le forme di Parkinson sporadiche, che sono le più diffuse, e quelle genetiche”. In 66 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 67 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE altre parole, ha osservato il neurologo Giovanni Fabbrini de La Sapienza, “nel ratto è stato evidenziato come l’esposizione a tali sostanze determini un meccanismo neurologico assimilabile a quello che caratterizza la malattia di Parkinson nell’uomo”. Una scoperta “importante”, sottolineano gli esperti, poiché “apre la strada ad una maggiore comprensione dei meccanismi che portano alla morte delle cellule neuronali, indicando nuove prospettive terapeutiche”. L’obiettivo futuro, ha sottolineato Fabbrini, “è riuscire ad aiutare in qualche modo le cellule neuronali a ‘ripulirsi’ dalle proteine degradate, il cui accumulo porta alla morte delle cellule stesse”, ma dal congresso arrivano anche importanti novità rispetto alle tecniche di cura. Studi italiani e canadesi, presentati al simposio, hanno ad esempio dimostrato che la stimolazione magnetica transcranica, un’innovativa tecnica non invasiva, produce rilascio di dopamina, una sostanza che viene a mancare nella malattia, facendo migliorare i sintomi e proponendosi, quindi, come un possibile supporto terapeutico. Anche per la Sclerosi Laterale Amiotrofica, come già accennato, si è evidenziato che all’insorgenza della malattia concorrono anche cause di tipo ambientale come l’esposizione ad agenti tossici, quali metalli pesanti, pesticidi, solventi chimici, intossicazioni croniche da piombo, selenio, mercurio, manganese. Tra gli agenti tossici, quelli maggiormente chiamati in causa sono i pesticidi e i fertilizzanti. In effetti, secondo uno studio epidemiologico condotto in Sardegna, la prevalenza della malattia tra gli agricoltori è doppia rispetto alla popolazione generale. Tali sostanze, utilizzate anche per la manutenzione del campo da gioco, potrebbero essere responsabili oltremodo dell’insorgenza della malattia tra i calciatori. Tra i fattori ambientali correlati con l’eziologia della malattia neuronale sono stati identificati il “fallout” radioattivo legato alla sperimentazione di armi nucleari in Giappone negli anni ‘50-’60 e le concentrazioni “indoor” di radon in Inghilterra determinate negli anni ‘81-’89. Una delle rilevazioni epidemiologiche più note è quella che riguarda gli atleti che praticano varie discipline sportive e, soprattutto, il calcio. In 67 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 68 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE quest’ultimo sport è stata rilevata, in Italia, un’incidenza della SLA nettamente superiore alla normale popolazione e la causa di questa dato assai significativo è stata a lungo studiata. Secondo alcuni, il motivo andrebbe ricercato nel particolare tipo di attività agonistica di questi atleti, che vengono sottoposti a bruschi contatti ed effettuano numerosissimi colpi di testa: questi traumatismi iterativi sarebbero responsabili di danni encefalici (come, per altri versi, avviene nella demenza dei pugilatori) e ciò porterebbe a pensare che dette sollecitazioni continue siano, quanto meno, fattori di rischio o concause nel determinismo della malattia (anche se non esistono, al momento, evidenze che possano avallare con certezza dette conclusioni). Forse è più suggestiva la responsabilità addossata all’esuberante produzione di radicali liberi in corso di intensa attività sportiva o al ricorso a determinate sostanze “dopanti” o, infine, all’alimentazione di questi atleti, pur non essendovi esaustive documentazioni al riguardo. Indubbiamente, la scoperta di ben 33 casi di SLA in una popolazione di 24.000 calciatori (selezionati nelle tre principali divisioni di calcio professionistico, in Italia, tra il 1960 e il 1996) porta a pensare che in questo tipo di professione si possa nascondere un significativo (quanto imprecisato) fattore di rischio, supportato anche dal fatto che esiste una stretta correlazione fra la durata della professione agonistica e la possibilità di insorgenza della malattia. E che sia proprio il calcio e non altre discipline sportive ad avere una specifica responsabilità nel determinismo della SLA è dimostrato anche da uno studio effettuato su ben 6000 corridori ciclisti professionisti degli ultimi 30 anni che, pur effettuando sforzi fisici intensi (e pur subendo le ben note insidie del doping) non hanno mai contratto questa malattia. II.1.1 Tossicità La capacità di provocare effetti dannosi sugli organismi viventi, caratteristica di un agente tossico quando supera un certo livello di concentrazione, viene definita tossicità. La tossicità di una sostanza è caratterizzata sia da un punto di vista qualitativo, che quantitativo, infatti l’azione tossica dipende 68 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 69 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE dall’interazione della struttura molecolare della sostanza tossica con le molecole biologiche, e si manifesta solo quando si superano determinati livelli di concentrazione nell’ambiente o in alcuni organi dell’organismo. In genere è possibile distinguerne quattro manifestazioni diverse: – tossicità acuta: si presenta quando vi è un’esposizione ad un agente tossico in un breve lasso di tempo, al massimo 14 giorni, ma solitamente in 24 ore o meno. È in genere dovuta ad un assorbimento massiccio e causa sintomi gravi e improvvisi. L’esposizione è di solito causata da incidenti o da sovradosaggi accidentali o volontari, per questo motivo risulta molto semplice risalire alla causa e spesso si può intervenire prima ancora che la tossicità si manifesti in toto. La terapia prevede sempre la rimozione dell’agente tossico dall’organismo ed è indirizzata soprattutto ad alleviare i sintomi presenti; – tossicità sub-acuta: si manifesta in seguito ad un’esposizione a concentrazioni relativamente elevate e ripetute in un periodo della durata di qualche mese; – tossicità sub-cronica: è sostanzialmente causata da un’esposizione frequente a sostanze di uso professionale o domestico, come ad esempio i solventi, oppure ad inquinanti ambientali, come quelli prodotti dal traffico. L’esposizione in questo caso perdura per il 2550% della vita del soggetto esposto; – tossicità cronica: si manifesta con l’assorbimento, prolungato nel tempo, di basse dosi di agente tossico. La tipica esposizione supera il 50% della vita. Tipici avvelenamenti cronici sono quelli causati da metalli o da sostanze organiche (arsenico, mercurio, piombo, benzene). La tossicità si misura con due parametri fondamentali che sono l’esposizione, cioè la quantità di sostanza disponibile ad entrare nell’organismo, e la dose, cioè la quantità di sostanza che effettivamente entra nell’organismo. La quantificazione del potenziale tossico di un inquinante per l’ambiente è un’operazione essenziale nel processo di valutazione del rischio conseguente alla sua immissione. L’obiettivo a cui si tende nel misurare la tossicità di una sostanza è l’individuazione della concentrazione 69 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 70 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE (quantità biodisponibile) o della dose (quantità che penetra nell’organismo), alle quali il composto tossico è capace di produrre uno o più effetti su organismi tenuti in condizioni controllate (concentrazione del composto tossico e durata dell’esposizione). Con questo criterio si può ricavare la LC50, (concentrazione letale mediana) che corrisponde alla concentrazione che provoca la morte del 50% degli organismi utilizzati in prova dopo periodi di tempo specifici (es.,48, 96 ore). Un altro parametro è la EC50 (concentrazione effettiva mediana) che si può definire come la concentrazione in grado di produrre, per un determinato tempo di trattamento, un’incidenza pari al 50% dell’effetto scelto come misura della tossicità (se l’effetto è la mortalità si ha EC50=LC50). In ogni caso, bisogna notare che il fattore critico nella determinazione degli effetti negativi sulla salute non è l’esposizione ad un dato agente, ma piuttosto l’ammontare di questo, che può raggiungere il tessuto o la cellula dove può esercitare la sua azione. L’ammontare totale di una sostanza o di un agente fisico (ad es. radiazioni) che viene assunto da un organismo, appunto definito dose, si distingue solitamente in dose assorbita, che rappresenta l’ammontare totale della sostanza o dell’agente assorbiti, e dose effettiva che è l’ammontare che raggiunge un determinato punto del corpo ben preciso, dove può esercitare l’effetto negativo. Nel caso in cui la dose determini l’effetto nocivo nel punto di assorbimento si parla di effetti locali; al contrario gli effetti sono sistemici se si manifestano su uno o più tessuti od organi specifici (detti bersaglio). Alcune sostanze tossiche, come i pesticidi organofosfati e il piombo tetraetile possono causare sia effetti sistemici che locali. Da notare che il tessuto/organo bersaglio per una sostanza tossica può variare nel tempo, a seconda della quantità o della durata della dose. Inoltre, le interazioni chimiche e metaboliche possono creare delle sostanze caratterizzate dall’avere punti bersaglio diversi da quelli del composto originario. Esistono essenzialmente due tipi di rapporto fra la dose e l’effetto tossico determinato da un agente: la tossicità può insorgere solo quando 70 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 71 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE viene superato un particolare valore-soglia di dose tossica, con una sorta di regola del “tutto o nulla”, come nel caso di molti cancerogeni; oppure può esistere una correlazione lineare fra la dose e l’effetto, nel senso che all’aumentare della dose aumenta anche l’effetto tossico. Gli effetti sulla salute causati dall’esposizione ad una certa sostanza chimica sono direttamente legati all’ammontare di sostanza che raggiunge il tessuto o l’organo bersaglio. In generale, tralasciando le varie considerazioni che si possono fare a proposito del tempo di esposizione, della natura del composto, della sua quantità e della soggettività di ogni persona, l’accumulo di sostanze tossiche di origine antropica, da parte degli organismi viventi, coinvolge due opposti processi: l’assorbimento corporeo e l’eliminazione. L’assorbimento può avvenire sia attraverso il diretto contatto tra il contaminante e il corpo (contatto cutaneo) o la superficie respiratoria dell’organismo (per inalazione), sia attraverso l’ingestione di cibo contaminato. L’eliminazione invece può avvenire con o senza processi metabolici, attraverso l’escrezione di metabolici o attraverso la defecazione di materiale digerito, o infine per rilascio dalla superficie del corpo. Ovviamente il grado di contaminazione di un organismo dipenderà dall’equilibrio dinamico tra i due processi, che possono essere così schematizzati: corpo assorbimento Intestino Una volta che il contaminante è all’interno dell’organismo i processi di trasporto e distribuzione (peraltro ancora non sufficientemente conosciuti) possono essere così rappresentati: 71 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 72 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE Compartimento lipidico Sangue Tratto digestivo Il trasporto all’interno del corpo coinvolge l’assorbimento dei composti nei diversi componenti del sangue, mentre la distribuzione è determinata dalla capacità di diffondere attraverso le membrane dei vasi sanguigni e dei tessuti, in particolare dipende dalla lipofilicità del contaminante. Una volta assorbite, le sostanze tossiche possono distribuirsi tramite il sistema sanguigno a tutte le cellule oppure finiscono in zone di accumulo. Ogni sostanza assorbita può anche andare incontro ad una trasformazione metabolica in vari punti all’interno del corpo e venire così metabolizzata. L’eliminazione è in un certo qual modo l’opposto dell’assorbimento e consiste nell’eliminazione delle sostanze tossiche dal corpo; questa espulsione può essere attuata in vari modi, anche contemporaneamente, e per lo più tramite le urine, le feci, l’aria espirata e, in piccole quantità, tramite la secrezione di sudore, lacrime, saliva e latte. Gli enzimi che attuano le biotrasformazioni non sono molto specifici, e la cosa è riconducibile al fatto che le sostanze tossiche sono estremamente varie. L’evoluzione non ha fatto sì che per ogni composto tossico vi fosse un corrispondente enzima inattivante, in quanto i fenomeni di intossicazione si manifestano quasi sempre in seguito a fattori occasionali. La stessa definizione di detossificazione è spesso inesatta, in quanto gli enzimi che modificano le sostanze tossiche possono anche originare dei nuovi composti ancora più tossici di quelli originari, come nel caso del metanolo. Addirittura, in alcuni casi, il precursore risulta biologicamente inattivo, mentre il metabolita che si origina risulta tossico. Se avviene questa attivazione metabolica del composto, allora l’avvelenamento si manifesta con un certo ritardo, in 72 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 73 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE quanto deve trascorrere del tempo perché i metaboliti tossici prodotti raggiungano la concentrazione critica nell’organo bersaglio. Con l’attivazione metabolica della tossicità, inoltre, non vi è una correlazione fra la concentrazione sanguigna della sostanza assorbita e le condizioni dell’intossicato, il quale può anche aggravarsi con la progressiva diminuzione della concentrazione nel sangue del composto assorbito. II.1.2 Neurotossicità Assorbimento, Distribuzione, Metabolizzazione, Escrezione Le sostanze tossiche possono penetrare nell’organismo attraverso diverse vie: inalazione, assorbimento cutaneo ed ingestione. Grazie al circolo sanguigno avviene la loro diffusione nei diversi tessuti ed organi e in genere sono eliminati dal sangue, sulla base delle peculiari caratteristiche strutturali del composto tossico, attraverso il bioaccumulo, in specifici siti target, la metabolizzazione e l’escrezione. Fanno eccezione alcune sostanze che, per vari motivi tra cui l’insolubilità, non vengono distribuite nell’organismo. A volte non esiste identità tra siti di deposito e siti di azione della tossicità, fegato e reni sono organi d’elezione per il bioaccumulo di sostanze esogene, probabilmente per il loro ruolo escretorio di metaboliti dall’organismo e per la capacità di scambio dovuta ad un’elevata vascolarizzazione sanguigna. Nell’intossicazione da piombo, ad esempio, la maggiore concentrazione viene riscontrata a livello osseo ma la tossicità è espletata nel cervello, ciò determinato dal fatto che composti tossici di natura lipofila vengono depositati in aree del corpo, dove è presente un’elevata % di grassi, il cervello rappresenta l’organo maggiormente vulnerabile dal momento che il 50% del suo peso secco è lipidico rispetto ad un 6-20% di altri organi (Cooper, J.R., et al., 1982). Per poter essere escreta, una sostanza esogena viene spesso metabolizzata in modo da essere convertita in un composto che possa essere eliminato più facilmente, e questo è quanto accade in particolare per sostanze lipofile che vengono rese maggiormente idrosolubili. Il processo di metabolizzazione rappresenta un aiuto nella detossificazione, tuttavia può accadere che la biotrasformazione determini modifiche strutturali del 73 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 74 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE composto, aumentandone la tossicità. Perciò, nell’analisi di rischio di patogenicità, in particolare per sostanze neurotossiche, è importante non sottovalutare l’evenienza che dei composti possano divenire tossici e neurotossici in seguito alla metabolizzazione necessaria per l’escrezione. La detossificazione e l’escrezione può avvenire attraverso diverse vie, tuttavia gli organi d’elezione sono rappresentati da reni e fegato, con le urine ed il tratto gastrointestinale come vettori di espulsione. Sulla base della loro solubilità in acqua, le sostanze lipofile, oltre alla metabolizzazione per la solubilità in acqua, possono essere escrete attraverso le feci e la bile, l’apparato polmonare, con l’espirazione, e l’epidermide. EFFETTI DI SOSTANZE TOSSICHE SUL SISTEMA NERVOSO Neurotossiche sono tutte quelle sostanze nocive che hanno come organo bersaglio il sistema nervoso. Esso, costituito da cervello, midollo spinale e da un vasto numero di cellule nervose, rappresenta il sistema di controllo di diverse e numerose funzioni del corpo umano, come la respirazione, l’attività motoria, visiva, le funzioni cardiache, intellettive ecc. • Questo complesso sistema è controllato e coordinato da processi neuronali che vedono coinvolti neurotrasmettitori, recettori biochimici, ormoni e a tal proposito risulta essere particolarmente vulnerabile alle sostanze tossiche per diverse peculiarità. • Diversamente da altri tipi di cellule, quelle neuronali non sono in grado di rigenerarsi in seguito ad un danno, per cui in genere quest’ultimo diviene permanente. • Le cellule costituenti il sistema nervoso sono per loro natura soggette ad una progressiva degenerazione legata al ciclo di vita dell’individuo, ma tale degenerazione può essere incrementata e accelerata da danni indotti da esposizione a composti tossici. • Alcune regioni del cervello, nonché alcune cellule neuronali, sono direttamente esposte a sostanze chimiche grazie ad una capillare irrorazione sanguigna, e alla possibilità per alcuni composti, a causa della loro affinità per i lipidi, di superare facilmente la barriera ematoencefalica. 74 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 75 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE • La particolare morfologia strutturale delle cellule neuronali, con la presenza di assoni, espone queste ad una maggiore superficie di attacco da parte dei composti chimici rendendole inevitabilmente più suscettibili. • Il sistema nervoso è strettamente dipendente da un delicato equilibrio elettrochimico per la trasmissione di informazioni tra cellule e la trasduzione di segnali all’interno della cellula stessa. La presenza, quindi, di sostanze chimiche estranee può agevolmente interferire con le normali funzioni. • Piccoli cambiamenti nella struttura o nella funzione del sistema nervoso possono avere conseguenze a più ampio spettro a livello neurologico e a ricaduta sulla funzionalità corporea. Gli effetti tossici sul sistema nervoso comprendono principalmente l’alterazione del bilanciamento ionico, l’interferenza con i neurotrasmettitori chimici o con i loro recettori e l’anossia, cioè la mancanza di ossigeno a livello cellulare. Le cellule nervose hanno infatti un’elevata velocità metabolica e per questo richiedono un maggior apporto di ossigeno rispetto alle altre cellule del corpo. Dato che un apporto adeguato di ossigeno è essenziale per l’appropriato funzionamento del cervello, ogni sostanza che compromette il flusso del sangue al cervello può causare dei seri danni. Quindi la tossicità si può manifestare sia a livello generale del cervello, che sulle singole fibre nervose, sulle guaine mieliniche, ecc. Il piombo è una classica neurotossina, da molto tempo conosciuta per i suoi effetti deleteri. L’estrema pericolosità del piombo si può attribuire in parte ai suoi diversi meccanismi di azione. Può infatti colpire il sistema neuronale danneggiando gli assoni, distruggendo la guaina mielinica e anche interferendo con i neurotrasmettitori chimici nelle sinapsi. Anche gli insetticidi organofosfati interferiscono con la funzione dei neurotrasmettitori chimici all’interno del sistema nervoso, spesso causando debolezza e paralisi, talvolta anche la morte. Il loro meccanismo d’azione consiste nell’inibizione dell’enzima acetilcolinesterasi (AChE). L’inibizione irreversibile della acetilcolinesterasi provoca un accumulo di acetil colina endogena nel 75 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 76 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE tessuto nervoso, in quanto l’AChE è un enzima che catalizza l’idrolisi dell’acetilcolina. L’acetilcolina è il trasmettitore chimico dell’impulso nervoso e un accumulo di questo mediatore nella placca motrice, a livello delle giunzioni sinaptiche, dovuto proprio a questi composti che bloccano l’azione dell’acetilcolinesterasi, provoca l’insorgenza di fenomeni patologici, che si manifestano con i classici sintomi colinergici quali convulsioni, coma o addirittura la morte. Un’altra classe di pesticidi ad attività anticolinesterasica sono i pesticidi carbammici, derivati dall’acido carbammico, in cui gli atomi di idrogeno sono stati sostituiti con gruppi metilici o di altro tipo. Altri composti neurotossici diffusi sono l’acrilamide, l’endrin, il dieldrin ed alcune forme di mercurio. Nella tabella II.1.2.1 sono riportati i più frequenti disturbi neurotossici. Tabella II.1.2.1. Effetti neurologici e comportamentali dell’esposizione a sostanze tossiche (Adattata da Anger W.K., 1986). Effetti motori convulsioni debolezza tremore, spasmo mancanza di coordinazione instabilità paralisi anormalità di riflessi cambiamenti nelle attività Effetti dell’umore e della personalità disturbi del sonno eccitazione depressione irritabilità agitazione nervosismo, tensione delirio allucinazioni 76 Effetti sensitivi cambiamenti nell’equilibrio disordini visivi disordini del dolore disordini tattili disordini uditivi Effetti cognitivi problemi di memoria confusione disordini del linguaggio disturbi dell’apprendimento Effetti generali perdita di appetito depressione dell’attività neuronale narcosi, incoscienza fatica danni ai nervi 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 77 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE Gli effetti tossici di un composto esogeno possono espletarsi nel sistema nervoso con diverse modalità temporali e a diversi livelli strutturali, perciò nella valutazione della tossicità di una sostanza non è possibile non considerare le correlazioni che si stabiliscono tra effetti tossici e reazioni fisiologiche dovute ad una serie di fattori. 1. Relazione tra tempo di esposizione e sintomatologia Vi sono molecole in grado di dare effetti acuti immediatamente o alcune ore dopo l’esposizione (droghe, alcool), altre richiedono ripetute esposizioni ed un periodo di latenza nella sintomatologia di alcune settimane o anni (piombo, solventi), altre procurano un danno permanente dopo una singola esposizione (pesticidi organofosforici), altre ancora possono arrivare a provocare la morte se assorbite, inalate o ingerite in grandi quantità. 2. Dose di esposizione. È possibile che una sostanza possa avere un ruolo benefico ad alcune concentrazioni, mentre si rilevi tossica ad altre, ad esempio le vitamine A e B6, necessarie nella dieta in concentrazioni molto basse, ad alte dosi risultano essere neurotossiche (Spencer P. S. and Schaumburg H.H., 1980). 3. Effetto sinergico. Può accadere che l’esposizione ad una singola sostanza non determini alcun effetto tossico osservabile, mentre la simultanea esposizione con una o più sostanze determini un danno al sistema nervoso centrale a causa di un effetto sinergico. A tal proposito D. Cory Slectha ha proposto un possibile modello per valutare la tolleranza biologica verso una potenziale neurotossicità delle sostanze, secondo il quale esiste una vulnerabilità quando eventi che avvengono concordemente o cumulativamente, su diversi siti target in uno specifico sistema biologico del cervello (ad esempio il sistema dopaminergico), compromettono l’omeostasi e le capacità riparative del sistema stesso. Ciò nello specifico permette di classificare le miscele di composti ad attività neurotossica che 77 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 78 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE agiscono su alcuni sistemi del cervello mediati da diversi meccanismi di azione (Cory-Slechta D.A., 2005). 4. Livelli di patogenicità L’effetto neurotossico di una sostanza può essere espletato a diversi livelli nell’organo bersaglio: molecolare, interferendo con la sintesi proteica di alcune cellule nervose comportando la ridotta presenza di neurotrasmettitori e quindi un’alterata funzionalità cerebrale; cellulare, dove l’azione viene esplicata intervenendo sul flusso di ioni quali calcio e potassio attraverso la membrana cellulare alterando la trasmissione del segnale tra le cellule nervose; funzione sensoriale e motoria, con conseguenze sulle capacità cognitive della memoria e della motilità. Tali alterazioni possono determinare interferenze su componenti strutturali o funzionali dell’organo stesso. 4.1 Cambiamenti strutturali Possono interessare singole o gruppi di cellule ed intervenire sul carattere morfologico e su strutture subcellulari. A livello morfologico sembra che le sostanze tossiche possano avere un’azione selettiva su varie strutture del sistema nervoso, determinando diverse patologie, a seconda del comparto cellulare: neuropatie per il corpo cellulare, assonopatie per gli assoni e mielinopatie per gli strati di mielina. Una frequente patologia di tipo strutturale è rappresentata dalla assonopatia centrale periferico distale (central-peripheral distal axonopathy (CPDA)) la cui degenerazione procede dalla porzione terminale dell’assone fino al corpo cellulare determinata da alcuni insetticidi di tipo organofosforico, i quali possono indurla dopo una singola esposizione; tuttavia la maggior parte dei composti chimici produce tale effetto dopo una continua o discontinua, ma comunque prolungata esposizione. A livello subcellulare spesso gli effetti tossici determinano una lenta degenerazione cellulare che può espletarsi con un danno neuronale permanente, è quanto avviene nell’intossicazione acuta da monossido di carbonio con un progressivo deterioramento di porzioni del sistema nervoso che può dar luogo a forme psicotiche e morte in alcune settimane (Ginsburg, M.D., 1980). 78 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 79 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE 4.2 Cambiamenti funzionali Le sostanze chimiche possono intervenire sulle attività motorie, sulla sensorialità, sugli stati umorali e le capacità cognitive, in quanto il sistema motorio e quello sensoriale sono strettamente correlati tra loro e al sistema nervoso, per cui un danno al sistema sensoriale può riflettersi in modo indiretto sulle funzioni motorie, mentre alcuni danni possono avvenire direttamente sul sistema motorio o su entrambi. In generale alla base di queste alterazioni, vi sarebbero più cause: demielinizzazione dei neuroni, danneggiamento degli stessi, alterazione nel sistema dei neurotrasmettitori. Ad esempio il metilmercurio determina effetti a livello visivo, sensoriale e motorio (Chang, L. W., 1980), gli insetticidi a base di composti organofosforici e carbati, inibendo l’acetilcolinesterasi, l’enzima che taglia il neurotrasmettitore acetilcolina, inducono alterazioni funzionali del sistema nervoso, quali paralisi neuromuscolare, iperattività, debolezza fino a casi più gravi con convulsioni, coma o morte (Young, B. B., 1986), il piombo inorganico può causare ritardo mentale nei bambini e, nel caso di esposizione a basse concentrazioni, determinare una transitoria perdita dell’attenzione e delle capacità cognitive (U.S. Department of Health and Human Services, Public Health Service, Agency for Toxic Substances and Disease Registry, 1988). Spesso i cambiamenti comportamentali come stati di inquietudine e nervosismo sono un primo segnale di danno funzionale del sistema nervoso, che nei casi più gravi possono evolvere in manifestazioni quali depressione, perdita della memoria e difficoltà nel sonno, confusione, allucinazioni e convulsioni. 5. L’età degli individui esposti e loro suscettibilità. Il corpo umano ha un’efficiente ma limitata capacità di detossificazione per alcuni agenti chimici, mentre altri non risultano tossici ma possono divenirlo nel caso in cui l’esposizione avvenga quando il sistema di detossificazione dell’organismo sia stato saturato, come nel caso di esposizione cronica a miscele di sostanze chimiche per motivi di natura occupazionale e/o stili di vita, o possa essere alterato da fattori come l’età (bambini e anziani). (vedi figura II.1.2.1). 79 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 80 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE Figura II.1.2.1. Legame tra il rischio di esposizione e la farmacologia clinica (adattata da Ginsberg G., et al., 2005). 80 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 81 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE Studi di tossicologia hanno evidenziato forme di neurotossicità latente che si realizzano nei casi di esposizione a livello fetale ed in età infantile. Nel caso di rischio nello stadio fetale, questo avviene non solo per esposizione della donna in stato di gravidanza a composti chimici tossici per stili di vita o occupazionali, ma anche per possibili infezioni batteriche intrauterine contratte durante la gravidanza. Tali infezioni possono determinare la presenza di lipopolisaccaride (LPS), che induce la produzione della citochina proinfiammatoria tumor necrosis factor (TNF) (Thorsen P, et al. 1998). L’infiammazione è proposta come uno dei possibili meccanismi patogenetici per il morbo di Parkinson (McGeer PL, et al., 2001) in quanto il TNF è stato rilevato, in alte concentrazioni, nel cervello di individui affetti da tale patologia e lo stesso in vitro induce la morte di neuroni dopaminergici (Mogi M, et al., 1994). Perciò la copresenza di TNF e LPS nell’ambiente corioamniotico potrebbe interferire con il normale sviluppo di questo tipo di neuroni determinando il rischio, a seguito di un’infezione intrauterina, che il nascituro possa avere un ridotto numero di neuroni e di tessuto striatale predisponendolo al Parkinson (Logroscino G., 2005). Diversi studi hanno focalizzato anche l’attenzione sulla suscettibilità individuale in relazione ai processi di cinetica chimica di assorbimento, distribuzione, metabolismo ed eliminazione (ADME), che determina la dose effettiva di un inquinante ambientale su un organo bersaglio. Infatti alcune differenze nella mancata risposta a sostanze tossiche, legate all’età, sembrano essere alla base di un’alterata risposta ADME come riportato in tabella seguente (Clewell H, et al., 2004). Cambiamenti nei processi ADME determinano che una medesima dose di esposizione esterna possa essere diversa come dose interna di assorbimento o distribuirsi in organi bersaglio diversi in relazione all’età (Vedi Tabella II.1.2.2.). 81 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 82 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE Tabella II.1.2.2. Cambiamenti farmacocinetici che possono contribuire ad un incremento della suscettibilità in relazione all’età avanzata (da: Geller A.M. and Zenick H., 2005). Processo Cambiamenti farmacocinetici legati all’età avanzata Assorbimento di composti chimici avviene a livello del tratto gastrointestinale, della cute e dell’appartato respiratorio Nessuna variazione evidente nell’assorbimento gastrico eccetto una riduzione della produzione di acidi gastrici con una minore metabolizzazione dei composti basici. (Mayersohn M. Pharmacokinetics in the elderly. Envron. Health Perspect 102:119-124) Variazioni dell’assorbimento a livello dell’epidermide possono alterare la funzione di barriera selettiva della pelle favorendo la penetrazione di alcuni composti. (Elias P., Ghadially R. 2002. The aged epidermal permeabilità barrier: basis for functional abnormalities. Clin. Geriatric Med. 18:103-120) La variazione del volume polmonare, dell’elasticità, e dell’intervallo di ventilazione può avere un ruolo nell’assorbimento o nella deposizione a livello polmonare (ad es. malattia polmonare ostruttiva cronica favorisce una più profonda penetrazione del articolato e maggiore deposizione). (Clewell H, Teeguarden J, McDonald T, Sarangapani R, Lawrence G, Covington R, et al. 2002. Review and evaluation of the potential impact of age-and gender-specific pharmacokinetic differences on tissue dosimtry. Crit Rev Toxicol 32:329–389.) Distribuzione di composti chimici può essere alterata da fattori come la composizione corporea, il flusso sanguigno e le proteine plasmatiche “binding” Cambiamento della composizione corporea, come la riduzione della quantità di acqua può comportare un ridotto volume di diluizione del composto, o un incremento della emivita dello stesso in relazione a quanto questo sia solubile in lipidi o acqua, nonchè una più alta concentrazione dei composti ionici nel siero. (O’Mahoney S. 2000. Pharmacokinetics. In: Drugs and The Older Population (Crome P, Ford G, eds). London: Imperial College Press, 58-89) Riduzione della massa muscolare e relativo incremento della massa adiposa, comporta un più alto accumulo di composti lipofili e una più lenta clearence. Variazioni della concentrazione delle proteine “binding” può risultare critico poiché alcune frazioni di un composto possono dare effetti sull’organismo se presenti in forma libera. Una riduzione di albumina sierica può determinare un incremento della frazione lipofilica dei composti, mentre un incremento della alfa 1-glicoproteina il legame dei composti basici. (Clewell H, Teeguarden J, McDonald T, Sarangapani R, Lawrence G, Covington R, et al. 2002. Review and evaluation of the potential impact of age-and genderspecific pharmacokinetic differences on tissue dosimtry. Crit Rev Toxicol 32:329–389.) La barriera emato/encefalica è un’importante interfaccia tra il sangue ed il cervello, costituita da cellule endoteliali di rivestimento dei capillari, che protegge il cervello dagli xenobiotici e regola l’omeostasi cerebrale. Le caratteristiche fisico/chimiche del tossico come ad esempio la lipofilia, determinano il suo grado di passaggio passivo attraverso la barriera emato/encefalica. Il trasporto passivo paracellulare dei composti idrofili è ridotto da uno stretto legame tra le cellule endoteliali e la barriera emato/encefalica, dal momento che anche i composti lipofili sono trasportati attraverso la via trans-cellulare. (de Boer AG. et al. The role of drug transporters at the blood–brain barrier. Ann. Rev. Pharmacol. Toxicol. 2003;43:629-656). Cambiamenti della permeabilità della barriera emato-encefalica per alterazioni del trasporto e la concomitanza di altre patologie quali diabete, ipertensione, ischemia cerebrovascolare possono favorire la diffusione di sostanze tossiche a livello cerebrale comportando possibili forme neurodegenerative. (Thiruchelvam M, McCormack A, Richfield E, Baggs R, Tank A, Di Monte D, et al. 2003. Age-related irreversible progressive nigrastriatal dopaminergic neurotoxicity in the paraquat and maneb model of the Parkinson’s disease phenotype. Eur J Neurosci 18:589–600.) 82 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 83 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE Metabolismo Nel fegato avvengono i processi metabolici. L’avanzare dell’età non avrebbe un ruolo sull’attività enzimatica del fegato ma sulla riduzione del volume epatico e del flusso sanguigno favorendo una minore attività epatica con un processo di detossificazione per alcuni composti più lento e ridotta attività escretoria con una concentrazione ed emivita più lunga in circolo del tossico. (Schmucker D. 2001. Liver function and phase I drug metabolism in the elderly. Drugs Aging 18:837–851). Inoltre la metabolizzazione di xenobiotici è legata anche alla funzione di proteine deputate al trasporto transmembranico come la glicoproteina-P (Kinirons MT, O’Mahoney MS. 2004. Drug metabolism and aging. Br J Clin Pharmacol 57:540–5449) la quale rappresenta un importante meccanismo protettivo contro la potenziale tossicità degli xenobiotici. La sua presenza è stata riscontrata ampiamente su enterociti ed epatociti. (Watkins PB. et al. The barrier function of CYP3A4 and P-glycoprotein in the small bowel. Adv. Drug Deliv. Rev. 1997;27:161-70). Il ruolo degli enzimi epatici sarebbe critico nella correlazione all’età, in quanto i soggetti anziani in genere sono sottoposti a terapie farmacologiche multiple. Dal momento che il processo di clearence risulta essere lo stesso per i farmaci che per eventuali sostanze tossiche ambientali, può avvenire che un individuo anziano con terapia multipla possa vedere aumentato il rischio di effetti avversi tra la terapia e la concomitante o susseguente esposizione ambientale. (Butler A, Murray M. 1997. Biotransformation of parathion in human liver: participation of CYP3A4 and its inactivation during microsomal parathion oxidation. J Pharmacol Exp Ther 280:966–973.) Inoltre i processi metabolici possono rendere alcuni composti chimici ambientali biologicamente più attivi, come nel caso di alcuni cancerogeni e pesticidi. Perciò, l’esposizione a questi composti, in concomitanza con farmaci, che possono indurre una più elevata attività enzimatica, determinerebbe una più alta tossicità. (U.S. Food and Drug Administration. 2002. Preventable Adverse Drug Reactions: A Focus on Drug Interactions. Washington, DC:U.S. Food and Drug Administration. Available: http:// www.fda.gov/cder/drug/drugReactions [accessed 15 February 2005]. Buratti F, Volpe M, Meneguz A, Vittozzi L, Testai E. 2003. CYPspecific bioactivation of four organophosphorous pesticides by human liver microsomes. Toxicol Appl Pharmacol 186:143–154.) Escrezione L’eliminazione di sostanze tossiche e loro metaboliti è deputata anche alla funzionalità renale Una riduzione della clearence renale determina un incremento della emivita del tossico nell’organismo. Ciò sarebbe determinato dalla riduzione del volume renale, del numero e della misura dei nefroni, ridotto flusso sanguigno del plasma renale e del grado di filtrazione glomerulare e della funzione tubulare (O’Mahoney S. 2000. Pharmacokinetics. In: Drugs and the Older Population (Crome P, Ford G, eds). London:Imperial College Press, 58–89). Inoltre le alterazioni della funzione polmonare hanno effetto sull’assorbimento di gas e composti volatili interferendo sulla via escretiva a livello respiratorio (Birnbaum L. 1991. Pharmacokinetic basis of age-related changes in sensitivity to toxicants. Annu Rev Pharmacol 31:101–128). CLASSI DI SOSTANZE NEUROTOSSICHE Le sostanze neurotossiche possono essere classificate sulla base dei loro siti target di azione tossica, secondo lo schema di Spencer e Schaumburg viene presa in considerazione solo l’azione diretta sul sistema nervoso mentre sono omessi effetti su altri sistemi che possono indirettamente avere conseguenze sul sistema nervoso centrale come, ad 83 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 84 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE esempio, il danneggiamento di cellule del sistema immunitario, che influenza alcune funzioni del sistema nervoso e alcuni siti neuronali (Spencer P.S. and Schaumburg H.H., 1984). • Membrana neuronale La membrana cellulare possiede un complesso sistema di pompe, recettori e canali per scambi intracellulari di molecole e ioni, l’azione tossica di un composto può interessare queste componenti. In natura esistono composti come la tetrodossina (prodotta dal pesce palla) e la saxitossina (prodotta da dinoflagellati) in grado di ridurre il flusso di ioni attraverso i canali e determinare il blocco dell’attività muscolare, della parola, la paralisi respiratoria. Al contrario, alcuni composti possono aumentare il flusso di ioni attraverso la membrana come DDT e pesticidi piretroidi che agiscono sul flusso del sodio. • Struttura neuronale Degenerazioni a carico della struttura assonica sono tra i più frequenti effetti riscontrati per l’azione tossica di un composto, ma nella maggior parte dei casi la cronicità di esposizione determina una molteplicità di danni che coinvolge la cellula nella sua totalità. Alla base di questa degenerazione vi sarebbe un blocco nel trasporto di sostanze dal corpo cellulare; a volte, come nel caso della centralperipheral distal axonopathy (CPDA) il danno dalla periferia dell’assone procede verso il corpo cellulare. Sostanze come il disolfuro di carbonio, l’esano, l’acrilammide, pesticidi organofosforici determinano danni di questa tipologia. Manifestazioni più severe di neurotossicità riguardano la perdita di cellule nervose sensoriali per trattamenti ad alte dosi di vitamina B6, o per avvelenamento da trimetiltin (TMT). Per questa molecola i danni vanno dalla degenerazione cellulare alla necrosi del neurone soprattutto dell’ippocampo, dalla riduzione della sinapsina all’alterazione dei meccanismi di rilascio e di cattura dei neurotrasmettitori (Gramowski A. et al., 2000). 84 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 85 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE • Cellule gliali e mielina Un vasto numero di sostanze di tipo neurotossico svolgono la loro azione sulle cellule gliari e sulla mielina da esse prodotta. L’esempio più noto è rappresentato dalla tossina difterica, che danneggia le cellule gliari, mentre l’esaclorofene interferisce con i processi mitocondriali delle medesime cellule. L’alterazione delle cellule gliari determina una riduzione della produzione mielinica, con conseguente intorpidimento e debolezza muscolare. • Sistema di neurotrasmettitori Altre sostanze possono dare affezione al complesso sistema di neurotrasmettitori del sistema nervoso. La nicotina ed alcuni insetticidi sono in grado di mimare gli effetti del neurotrasmettitore acetilcolina mentre i composti organofosforici, gli insetticidi carbamati, agiscono inibendo l’acetilcolinesterasi, l’enzima che inattiva l’acetilcolina con perdita di appetito, ansia, spasmi muscolari e paralisi. Diverse droghe sono in grado di intervenire su diversi comparti del sistema di comunicazione cellulare. Ad esempio, i neurotrasmettitori noraepinefrina e dopamina per cocaina, anfetamine, recettori a livello cerebrale per i peptici, encefaline ed endorfine causando, alterazioni della percezione del panico, dell’euforia e della realtà. • Sistema circolatorio legato al sistema nervoso Il sistema nervoso è supportato per la propria fisiologia da un articolato sistema di vasi sanguigni e capillari, il cui ruolo è quello di soddisfare la distribuzione di ossigeno e nutrienti e la rimozione di metaboliti e sostanze tossiche. Diversi agenti come piombo, alluminio, tallio, mercurio e trimetiltin possono rompere i vasi determinando encefalopatie. II.1.3 Carcinogenesi e Mutagenesi Le caratteristiche patologiche, cliniche ed epidemiologiche delle malattie neurodegenerative hanno appunto suggerito l’esistenza di fattori di rischio genetici e ambientali, cioè un meccanismo patogenetico 85 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 86 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE comune; infatti, i lunghi periodi di latenza tra induzione e manifestazione chimica, sono sintomo di un’interazione tra fattori di rischio ambientale e accentuata suscettibilità genetica individuale (Levis A.G., …..). Infatti, in questo tipo di malattie, vengono evidenziati difetti genetici che spiegherebbero la famigliarità, come nel caso della SLA, in cui il difetto genetico, alla base della malattia, consisterebbe in una mutazione a carico del gene che codifica per l’enzima rame-zinco super-ossido-dismutasi. Questa implicazione genetica spiegherebbe perché, nell’ambito di rassegne sugli effetti a lungo termine, in particolare cancerogenetici, di fattori ambientali come ad es. l’esposizione a campi elettromagnetici, vengono di norma inclusi anche studi sulla relazione tra esposizioni e incidenza di malattie neurodegenerative (Lagorio S., et al., 1998). Carcinogenesi (letteralmente la creazione del cancro) è il processo che trasforma cellule normali in cellule cancerose. Il cancro è in definitiva causato dall’accumulo di danni genetici che sono fondamentalmente mutazioni nel DNA. Sostanze che causano queste mutazioni sono chiamate mutageni che causano il cancro e sono noti come cancerogeni. Si dice cancerogeno un agente chimico, fisico o biologico che causa, promuove o propaga il cancro, per azione diretta sul materiale genetico, o per interferenza sui processi metabolici volti alla regolazione della morte cellulare programmata. I cancerogeni sono classificati da appositi organismi internazionali. Per genotossicità si intende la capacità di una sostanza di indurre modificazioni all’interno della sequenza nucleotidica o della struttura a doppia elica del DNA di un organismo vivente. Le mutazioni possono essere di tipo somatico e germinale; nel primo caso interessano solo la linea cellulare mutata e possono portare a formazioni neoplastiche e quindi cancri; mentre, nel secondo caso queste possono essere trasmesse alla prole. Quando l’alterazione interessa le generazioni cellulari successive, si determina il cosiddetto effetto mutagenico. 86 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 87 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE Molti mutageni sono cancerogeni ma alcuni cancerogeni non sono mutageni. Ad esempio l’alcool e gli estrogeni sono cancerogeni ma non mutageni, infatti stimolano la mitosi. L’aumento della velocità della divisione cellulare riduce il tempo a disposizione per la riparazione del DNA, incrementando la possibilità di un errore genetico che sarà trasmesso alle cellule figlie. Durante gli anni passati è divenuto sempre più chiaro che il cancro è una malattia genetica che si produce nel caso in cui mutazioni multiple (eventi genetici) si accumulano nel DNA di una singola cellula somatica causandovi la perdita del controllo della crescita cellulare (Klein G., and Klein E., 1985). Le mutazioni possono essere di due tipi: – cromosomiche: in questo caso interi pezzi di cromosomi vengono casualmente eliminati o si fondono con altri già presenti. I geni si vengono così a trovare in una posizione diversa da quella originale. Dato che la regolazione dell’attività di un gene dipende, in parte, dalla sua localizzazione nel genoma, le mutazioni cromosomiche hanno, generalmente, effetti estremamente drammatici; fortunatamente sono piuttosto rare. Si evidenziano questi tipi: • Delezioni e duplicazioni: portano alla perdita, durante la meiosi, di piccoli segmenti. Questi però si inseriscono nel cromosoma omologo, che viene quindi a possedere un tratto del DNA duplicato. Dei due cromosomi omologhi, uno perde geni, mentre l’altro ne acquista una quantità maggiore. • Inversioni: sono dovute a pezzi di cromosoma che si staccano e si inseriscono però in posizione capovolta. • Traslocazioni: scambio di materiale cromosomico tra due cromosomi non omologhi. • Euploidie: sono piuttosto dannose e si verificano quando ad un organismo diploide (2n) viene a mancare, oppure viene aggiunto un particolare cromosoma (es. Trisomia 21 o sindrome di Down). • Poliploidie: compaiono quando si aggiungono uno o più corredi 87 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 88 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE interi di cromosomi. In questo modo un individuo si trova a possedere, all’interno dei nuclei delle sue cellule, un corredo cromosomico triplo (3n) o quadruplo (4n). – geniche o puntiformi: sono abbastanza comuni e vengono causate da modificazioni di un singolo gene. Sono importantissime dal punto di vista evolutivo. Tale tipo di mutazioni, che riguardano, generalmente, una singola base azotata di un nucleotide, determinano la sostituzione di un amminoacido in una catena proteica che altera l’informazione primitiva del DNA. La proteina risultante da questo cambiamento è generalmente difettosa (es. anemia falciforme). La mutazione si dice indotta quando è causata dall’azione di agenti mutageni. Il tipo di mutazione indotta può spesso essere previsto in quanto i vari mutageni hanno una certa specificità mutazionale. Non potrà però essere determinato a priori dove queste mutazioni avverranno e quindi quali conseguenze porteranno all’organismo. Le mutazioni invece sono dette spontanee quando sono dovute a errori nei processi molecolari che riguardano il materiale genetico (DNA o RNA) e quindi non prodotte da alcun agente mutageno conosciuto. Le mutazioni spontanee portano, in genere, a danni o alterazioni di una o poche coppie di basi di una sequenza, per questo determinano di solito mutazioni geniche. A differenza di quelle indotte, le mutazioni spontanee sono molto rare; se ne verifica in media una ogni 106- 108 cellule. Nonostante la loro bassa frequenza sono le mutazioni più importanti per lo svolgersi del processo di evoluzione. Queste mutazioni (come tutte le altre del resto) possono portare a vantaggi o svantaggi all’organismo che le subisce. I batteri che sopravvivono a trattamenti antibiotici o gli insetti resistenti ai disinfestanti sono tutti esempi di organismi mutanti in cui la mutazione spontanea li ha favoriti rispetto a quelli con fenotipo selvatico. In questo caso bisogna comunque precisare che le mutazioni non sono state originate dalla particolare condizione ambientale (presenza di antibiotici o disinfestanti) ma erano già preesistenti nell’organismo. I danni possono essere causati da: 88 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 89 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE • Tautomeria - una base è modificata per lo spostamento di un atomo di idrogeno • Transizione - Scambio di una purina con un’altra purina, oppure di una pirimidina con un’altra pirimidina. • Transversione - Scambio di una purina con una pirimidina o viceversa. • Deaminazione: reazione che trasforma una base azotata in una diversa; ad esempio provoca la transizione C ¤ U (che può essere riparata). Meccanismo della carcinogenesi La divisione cellulare (proliferazione) è un processo fisiologico che ha luogo in quasi tutti i tessuti e in innumerevoli circostanze. Normalmente l’omeostasi, l’equilibrio tra proliferazione e morte cellulare programmata, di solito per apoptosi, è mantenuta regolando strettamente entrambi i processi per garantire l’integrità di organi e tessuti. Le mutazioni nel DNA che conducono al cancro, portano alla distruzione di questi processi ordinati, distruggendone i programmi regolatori (Dixon K, Kopras E, 2004). Sono stati identificati parecchi geni che, attraverso un processo di mutazione, possono causare il cancro; infatti, affiché delle cellule inizino a dividersi in maniera incontrollata, devono essere danneggiati i geni che ne regolano la crescita. Questi sono stati denominati oncogeni. I protooncogeni sono geni che promuovono la crescita cellulare e la mitosi, cioè un processo di divisione cellulare; i geni soppressori del tumore scoraggiano la crescita cellulare o impediscono la divisione cellulare per consentire la riparazione del DNA. Tipicamente è necessaria una serie di numerose mutazioni a questi geni prima che una cellula normale si trasformi in una cellula cancerosa. I proto-oncogeni promuovono la crescita cellulare in diversi modi. Essi non hanno la funzione di causare tumori ma, al contrario, riescono a controllare la divisione cellulare e la proliferazione delle cellule stesse. Quest’ultima è regolata in ogni tipo di cellula da ormoni specifici “messaggeri chimici”, chiamati fattori di crescita. Alcuni proto-oncogeni controllano la sensibilità agli ormoni perché sono responsabili essi stessi del sistema di conversione dello stimolo o dei recettori nelle cellule o nei tessuti. Tali recettori sono situati sulla superficie della cellula e mettono in grado le cellule di percepire correttamente lo stimolo. 89 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 90 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE Mutazioni nei proto-oncogeni possono modificare la loro funzione, aumentando la quantità o l’attività delle proteine prodotte. Quando questo accade, essi diventano oncogeni e le cellule hanno una maggiore probabilità di dividersi in maniera eccessiva e incontrollata. Il rischio di cancro non può essere ridotto rimuovendo i proto-oncogeni dal genoma in quanto essi sono fondamentali per la crescita, la riparazione e l’omeostasi (equilibrio) dell’organismo, e diventano pericolosi solo quando mutano (Knudson AG, 2001). I geni soppressori del tumore codificano i messaggeri chimici e le proteine anti proliferazione che fermano la mitosi e la crescita cellulare. Di solito i soppressori del tumore sono fattori di trascrizione che sono attivati dallo stress cellulare o dal danneggiamento del DNA. Spesso danni al DNA causano, tra le altre cose, la presenza di materiale genetico vagante e attivano così enzimi e reazioni chimiche che portano all’attivazione dei geni soppressori del tumore. La funzione di tali geni è di arrestare il ciclo della cellula in modo da effettuare la riparazione del DNA, impedendo che le mutazioni siano passate alle cellule figlie. Soppressori del tumore sono fra gli altri il gene p53, che è un fattore di trascrizione attivato da molti stress cellulati tra cui danni da ipossia (mancanza di ossigeno) e radiazione ultravioletta (Schottenfeld D, BeebeDimmer JL, 2005). Tuttavia, una mutazione può danneggiare un gene soppressore del tumore o la via che porta alla sua attivazione. L’inevitabile conseguenza è che la riparazione del DNA è impedita o inibita: il danno al DNA si accumula senza essere riparato portando inevitabilmente al cancro. La carcinogenesi richiede più di una mutazione, in genere più mutazioni a carico di certe classi di geni. La perdita del controllo della proliferazione avrà luogo solo in seguito a mutazioni nei geni che controllano la divisione cellulare, la morte cellulare, e i processi di riparazione del DNA. Le cellule che possono causare tumori maligni hanno varie proprietà che le distinguono dalle cellule del tessuto sano: 90 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 91 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE • Resistono all’apoptosi (suicidio programmato della cellula). • Si riproducono, dividendosi, in maniera incontrollata (o non muoiono) e solitamente si dividono con frequenza maggiore del normale. • Sono autosufficienti per quanto riguarda i fattori di crescita. • Non rispondono agli antagonisti dei fattori di crescita e l’inibizione da contatto è soppressa. • Possono presentare una differenziazione cellulare alterata. Le cellule più aggressive possono presentare alcune caratteristiche aggiuntive che le rendono particolarmente maligne: • Possono invadere i tessuti vicini, solitamente possono secernere metalloproteinasi che digeriscono la matrice extracellulare. • Possono spostarsi a grande distanza e formare metastasi. • Possono secernere fattori chimici che stimolano la formazione di nuovi vasi sanguigni (angiogenesi). Quasi tutti i tumori si sviluppano a partire da una sola cellula, ma solitamente la cellula iniziale non acquisisce tutte le caratteristiche in una volta sola. Con ogni mutazione tumorale la cellula acquisisce un leggero vantaggio evolutivo sulle cellule vicine, entrando in un processo detto di evoluzione clonale. Ne consegue che, cellule discendenti dalla cellula mutata, per effetto di ulteriori mutazioni, possano trarre un vantaggio evolutivo ancora maggiore. Le cellule che presentano solo alcune delle mutazioni necessarie alla formazione di un tumore maligno sono ritenute origine dei tumori benigni; tuttavia, con l’accumularsi delle mutazioni, le cellule mutate formeranno un tumore maligno. In generale, sono richieste mutazioni in entrambi i tipi di gene perché si formi il cancro (Sarasin A., 2003). Una mutazione limitata ad un oncogeno verrebbe eliminata dai normali processi di controllo della mitosi e dai geni soppressori dei tumori. Una mutazione di un solo gene soppressore del tumore, sarebbe anch’essa insufficiente per causare il cancro per la presenza di numerose copie di “backup” dei geni che 91 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 92 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE duplicano la sua funzione. È solo quando un numero sufficiente di protooncogeni è mutato in oncogeni e sufficienti geni soppressori del tumore sono stati disattivati, che i segnali di crescita cellulare sopravvanzano i segnali che la regolano e la crescita cellulare aumenta rapidamente completamente fuori controllo. Il “danno accumulato” è teorizzato da molti ricercatori per spiegare la crescita esponenziale dei tumori nella tarda età. Nei giovani le difese contro il danno al DNA sono molto forti, ma, con la mutazione dei geni soppressori del tumore, la velocità con cui si sommano i danni aumenta in modo esponenziale in una sorte di “spirale mortale”. Questa teoria è ulteriormente supportata dal fatto che la probabilità di contrarre un cancro aumenta in modo esponenziale e non lineare con l’età. La quantità del danno in una cellula cancerosa è immensa, quasi tutti i cromosomi presentano un qualche tipo di mutazione comprese multiple copie del cromosoma trisomia, o completa mancanza di un cromosoma monosomia. Di solito gli oncogeni sono geni dominanti, poiché contengono mutazioni che portano funzioni nuove o anormali (mutazione genetica) mentre soppressori del tumore mutati sono geni di tipo recessivo perché contengono mutazioni che riducono o annullano la funzionalità. Ogni cellula ha due copie dello stesso gene, una proveniente da ogni genitore, ma nella maggior parte dei casi una mutazione con aumento della funzionalità da parte di un gene protooncogeno è sufficiente a trasformarlo in un oncogeno. Di solito invece una mutazione con perdita di funzionalità deve accadere in entrambe le copie di un gene soppressore del tumore per rendere quel gene completamente inefficace (Sarasin A., 2003). Lo sviluppo di un tumore è spesso iniziato da un piccolo cambiamento nel DNA (mutazione puntiforme), che porta ad un’instabilità genetica della cellula. L’instabilità può aumentare fino alla perdita di interi cromosomi o alla formazione di copie multiple. Anche lo schema della metilazione del DNA della cellula cambia, attivando e disattivando geni in modo incontrollato. Le cellule che proliferano rapidamente, come le cellule epiteliali, hanno un rischio maggiore di trasformarsi in cellule tumorali, al contrario delle cellule che si dividono meno, per esempio i neuroni. 92 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 93 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE In molti casi, la ricerca non è ancora riuscita a individuare le cause che spingono improvvisamente le cellule ad iniziare a riprodursi in modo incontrollato dando origine al tumore. Le cellule tumorali sono, come già detto, geneticamente instabili e quindi molto plastiche, al punto che piccole mutazioni nel DNA portano alla comparsa e alla proliferazione di sempre nuove varianti cellulari. Ma i tumori hanno anche un’altra caratteristica che permette loro di proliferare così velocemente: dipendono strettamente dalla formazione di nuovi vasi sanguigni e nuovi capillari costruiti ex –novo, utilizzando le riserve del malato. Attraverso la rete di capillari, i tumori si riforniscono dei nutrienti e dei fattori necessari alla loro crescita dirompente. L’americano Judah Folkman ha dato nei primi giorni di maggio del ‘98 la notizia della scoperta di alcune molecole in grado di controllare questa abnorme vascolarizzazione. Sui topi di laboratorio, ha dimostrato di poter ridurre il tumore, impedendo la produzione di nuovi vasi capillari e portando cosi la neoplasia ad uno stato di quiescenza (Claesson-Welsh L., et al. 1998; Folkman J., 1998). La rapida e incontrollata proliferazione può portare a tumori benigni o a tumori maligni (cancri). I tumori benigni non si estendono ad altre parti del corpo, non invadono altri tessuti e raramente costituiscono un pericolo per la vita dell’individuo. I tumori maligni possono invadere altri organi, estendersi in organi distanti (metastasi) e mettere in pericolo la vita. Fino al 1940 circa, era largamente diffusa l’opinione che il cancro fosse una conseguenza inevitabile dell’invecchiamento, in quanto per la divisione è necessaria la duplicazione del DNA la quale, anche se con frequenza molto bassa, causa il verificarsi di mutazioni che sono appunto alla base dell’insorgere del tumore. Ma questo meccanismo non sembra essere applicabile alla maggior parte dei tumori e, soprattutto, studi epidemiologici evidenziano che sono i fattori ambientali ad avere una grossa parte nella determinazione della probabilità che il cancro si sviluppi. Non sempre è facile determinare i fattori che provocano il 93 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 94 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE cancro presenti nell’ambiente, nella dieta o nelle abitudini individuali. In ogni caso, è comunque evidente che ci sono alcuni fattori di rischio quali le radiazioni, l’abuso di bevande alcoliche, l’esposizione a sostanze chimiche mutagene, il fumo di sigaretta e una dieta alimentare scorretta (Hiatt H.H., et al., 1977). In termini più generali, agenti chimici detti mutageni e radicali liberi possono causare mutazioni. Altre mutazioni possono essere causate da infiammazioni croniche. Anche le piante possono divenire soggetti portatori di azione cancerogena perché accumulano nelle loro foglie grandi quantità di nitrati (concimi) che, in seguito ad una serie di trasformazioni chimiche nel nostro stomaco, modificano l’azione degli oncogeni. I virus rappresentano un’altra importante causa di alcuni tipi di cancro. Essi probabilmente agiscono in combinazione con altri agenti genetici nella trasformazione maligna di una cellula; alcuni tipi di virus possono causare mutazioni (Yunis J.J., 1983), essi giocano un ruolo importante in circa il 15% di tutti i tumori maligni. Ci sono essenzialmente due categorie di virus tumorali: “a trasformazione acuta” e a “trasformazione lenta”. Nei primi le particelle virali portano un gene che codifica un oncogeno iperattivo detto “oncogeno virale” (v-onc) e la cellula infettata viene trasformata non appena si esprime il gene v-onc. Nei virus a trasformazione lenta, invece, il genoma del virus è inserito vicino ad un proto-oncogeno nel genoma ospite. Il promotore virale o altri elementi di regolazione della trascrizione causano sovraespressione di quel proto-oncogeno che a sua volta induce una prolificazione cellulare incontrollata. I virus a trasformazione lenta hanno una latenza di tumore molto lunga, confrontati con quelli a trasformazione acuta, che portano invece direttamente l’oncogeno virale. Questo perché l’inserzione virale nel genoma vicino ad un proto-oncogeno è bassa. Virus tumorali, come alcuni retrovirus, herpesvirus e papillomavirus, di solito trasportano un oncogeno, oppure un gene inibisce la normale soppressione dei tumori nel loro genoma. 94 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 95 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE I test di mutagenesi Sono analisi genetiche utilizzate per verificare la capacità di indurre mutazioni genetiche da parte di agenti fisici o chimici; sono dunque usati per indicare la genotossicità di un agente. I test possono essere in vitro: compiuti su cellule, tessuti o test in vivo: compiuti su interi organismi. La capacità di provocare mutazioni è spesso associata alla capacità di provocare cancro: per questo molti test hanno lo scopo di valutare la cancerogenicità di un agente valutandone la mutagenicità. • Test in vitro Le colture batteriche più utilizzate sono di organismi modello come Escherichia coli e Saccharomyces cerevisiae, mentre oggi è limitato l’impiego di funghi. I test con batteri sono molto diffusi: i batteri, infatti, si replicano molto rapidamente e hanno genomi e proprietà biologiche molto conosciuti: i test sono così molto veloci ed economici. Il principale svantaggio risiede nelle differenze notevoli tra batteri e uomo. Per questo motivo i batteri sono spesso modificati geneticamente, per renderli più simili possibile a cellule umane. Tra le principali modificazioni ci sono: • l’inattivazione di geni coinvolti nei sistemi di riparazione in modo da aumentare l’effetto dell’eventuale mutageno (aumento del tasso di mutazione). • l’inserimento nelle cellule di plasmidi con geni relativi a sistemi di riparazione error prone (soggetti ad errore), che riparano alcune mutazioni introducendone però di altre. Data la natura del materiale genetico dei microrganismi, i test in questione sono solitamente usati per saggiare l’induzione di mutazioni puntiformi. Nelle varie procedure, il test serve a verificare l’induzione della mutazione nell’organismo verificandone una variazione nel fenotipo. Due sono i sistemi utilizzabili: • il sistema della mutazione in avanti - in cui sono usati ceppi con fenotipo selvatico per un gene marcatore; questi vengono esposti all’agente e 95 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 96 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE dopo incubazione si isolano e contano le colonie con fenotipo mutato. Il numero di colonie mutate è direttamente proporzionale alla mutagenicità dell’agente. • il sistema della reversione - il ceppo di partenza presenta già una mutazione; è noto sia il gene mutato che il tipo di mutazione presente. Si tratta il ceppo con il presunto mutageno e si verifica la presenza di colonie revertenti; anche qui, più esse sono, più l’agente è mutageno. Il principale vantaggio del secondo sistema è la conoscenza della mutazione inizialmente presente nel ceppo. Con il sistema della reversione quindi si può sapere in modo diretto che tipo di mutazione è stata indotta e caratterizzare la modalità d’azione del mutageno. Le cellule di mammifero più usate sono cellule uovo di hamster cinese o linfociti umani. Quando le cellule derivano da tessuti, queste possono essere divise (per poi essere incubate in terreno di coltura liquido) con metodi meccanici o enzimatici. Possono essere utilizzate cellule direttamente prelevate da tessuto vivo e formare così colture cellulari primarie, caratterizzate però da un numero limitato di divisioni cellulari prima della degenerazione; oppure linee cellulari ingegnerizzate in modo da poter compiere un numero elevato di divisioni (colture cellulari immortalizzate). I vantaggi sono l’avere a disposizione sistemi biologici uguali (o molto simili) a quelli umani, quindi simulare in modo molto vicino alla realtà l’azione che avrebbero gli agenti sull’uomo. Le mutazioni che si mira a identificare sono prevalentemente su larga scala (cromosomiche e genomiche). • Test in vivo I test in vivo permettono di usare sistemi più complessi e di tener conto di fattori influenti sull’attività mutagenica di un composto che non sono contemplati in semplici colture cellulari. Sono solitamente usati ceppi di topo, di ratto o criceto, spesso anche ingegnerizzati per ottimizzare i processi. Se si vuole analizzare la presenza di mutazioni somatiche, sono di solito prelevati frammenti di piccoli organi e 96 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 97 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE disgregati nelle singole cellule che li compongono tramite trattamento con tripsina o collagenasi. Su queste cellule possono essere poi compiuti test analoghi a quelli descritti in precedenza, come il test del micronucleo o l’analisi cariotipica in metafase. I test in vivo sono poi utili nello studiare le mutazioni indotte nelle cellule germinali; le loro varie fasi di sviluppo sono infatti difficili da ottenere in vitro (Migliore L., 2004). Test di analisi di danno al DNA Questi test servono per scoprire la presenza di danni al singolo o al doppio filamento di DNA (rispettivamente single strand break o SSB e double strand break o DBS). Quelli principali sono il test della cometa e il test della sintesi di DNA non programmato. I test in questione sono spesso di rapida esecuzione, ma non danno altra informazione se non l’eventuale presenza del danno, senza specificarne la natura; sono per questo poco usati o affiancati da test più specifici. Il test della cometa, noto anche come elettroforesi su singola cellula, è un test di mutagenesi per l’identificazione di danni al DNA in una cellula (solitamente di mammifero). La finalità del test è quella di verificare la capacità di una sostanza chimica, o di un agente fisico, di generare danni strutturali nei cromosomi, con conseguenti mutazioni cromosomiche. I danni possono essere rotture del singolo o del doppio filamento di DNA: in entrambi i casi, a seconda delle condizioni sperimentali, possono formarsi frammenti cromosomici. Le cellule da testare vengono disposte su un vetrino insieme a diversi strati sovrapposti di agarosio a diverse concentrazioni e successivamente sono trattate con detergenti o altri agenti in grado di lisare la membrana cellulare; il vetrino sarà mantenuto tramite apposite soluzioni tampone a pH basico o neutro a seconda del tipo di danno che si vuole visualizzare: a pH neutro sono identificabili le DBS; a pH alcalino, le SSB. Il vetrino con le cellule lisate viene coperto con un vetrino coprioggetti e posto in una vasca per elettroforesi per 20 minuti a 25 V. Al termine del processo il vetrino è lavato e vi è aggiunta una sostanza fluorescente in grado di 97 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 98 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE legarsi al DNA (di solito bromuro di etidio), in modo da rendere visibile il nucleo al microscopio a fluorescenza. Se un nucleo non presenta danni apparirà al microscopio come una struttura rotonda e omogenea; in presenza di danni, invece, i frammenti di DNA migreranno verso l’anodo formando in questa direzione una struttura allungata e disomogenea, come la coda di una cometa (da cui il nome al test). Le cellule utilizzate nel test possono provenire da colture cellulari immortalizzate (test in vitro); in alternativa si possono prelevare piccole porzioni di organo, solitamente di piccolo roditore, da cui ottenere cellule separate per disgregazione meccanica o enzimatica (test in vivo). Il test della cometa è in grado di stabilire se un agente induce la formazione di danni al DNA, ma non permette di determinare l’entità del danno o la porzione di genoma che lo ha subìto. Per questo, per avere dei risultati sperimentali più specifici, deve essere accompagnato da altri test di mutagenesi come il test dei micronuclei o il test della condensazione prematura dei cromosomi (PCC). II. 2 RADIAZIONI IONIZZANTI Tra i tipi di inquinamento a cui l’uomo può essere sottoposto, quello dovuto a radiazioni ionizzanti è sicuramente il più subdolo, in quanto non abbiamo organi sensoriali che ci allertino della sua presenza. Al contrario, il lavoratore dell’industria chimica, entrando in locali contaminati da sostanze inalabili, ha reazioni dell’apparato respiratorio e delle mucose in generale, che lo avvertono in tempo reale. Il lavoratore dell’industria nucleare e delle attività ad essa collegate, se non fornito di particolare strumentazione (contatori geiger), atta a rivelare la presenza di sostanze radioattive (radionuclidi), non può sapere se è in presenza di una sorgente contaminante in tempo reale. Le radiazioni ionizzanti sono quelle radiazioni dotate di sufficiente energia da poter ionizzare gli atomi (o le molecole) con i quali vengono a contatto. 98 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 99 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE Da sempre l’uomo è soggetto all’azione di radiazioni ionizzanti naturali, alle quali si da il nome di fondo radioattivo naturale (o più semplicemente fondo naturale). Il fondo naturale è dovuto sia alla radiazione terrestre (radiazione prodotta da nuclidi primordiali o da nuclidi cosmogenici) che da quella extraterrestre (la radiazione cosmica). Per la loro presenza, l’uomo riceve mediamente una dose di 2.4 mSv/a, valore che però varia moltissimo da luogo a luogo. Nel nostro Paese, ad esempio, la dose media valutata per la popolazione è di 3.4 mSv/a. Questo valore deve costituire il riferimento per dare eventuali valutazioni di rischio radioprotezionistico. La caratteristica di una radiazione di poter ionizzare un atomo, o di penetrare più o meno in profondità all’interno della materia, dipende, oltre che dalla sua energia, anche dal tipo di radiazione e dal materiale con il quale avviene l’interazione. Le radiazioni ionizzanti si dividono in due categorie principali: quelle che producono ioni in modo diretto (le particelle cariche α, β- e β+) e quelle che producono ioni in modo indiretto (neutroni, raggi γ e raggi X). I diversi tipi di radiazione elettromagnetica sono: raggi alfa (basso potere di penetrazione nella materia), radiazione beta e radiazione gamma (alto potere di penetrazione). Convenzionalmente, si considerano ionizzanti le radiazioni con frequenza maggiore di 0,75 x 10 elevato alla 15 Hertz. Le radiazioni ionizzanti possono essere prodotte con vari meccanismi. I più comuni sono: decadimento radioattivo, fissione nucleare, fusione nucleare, emissione da corpi estremamente caldi (radiazione di corpo nero) o da cariche accelerate (bremsstrahlung, o radiazione di sincrotrone). Per poter ionizzare la materia, la radiazione deve possedere un’energia tale da poter interagire con gli elettroni degli atomi con cui viene a contatto. Le particelle cariche possono interagire fortemente con la materia, quindi elettroni, positroni e particelle alfa, possono ionizzare la materia direttamente. Queste particelle possono derivare dai decadimenti nucleari, che vengono chiamati decadimento alfa per le particelle alfa e beta per gli elettroni e i positroni. In questi casi il potere di penetrazione 99 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 100 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE di queste radiazioni è limitato, in quanto le particelle alfa (anche se molto ionizzanti) non possono superare strati di materia superiori ad un foglio di carta, mentre le particelle beta possono essere schermate da un sottile strato di alluminio. Anche i fotoni e i neutroni d’altra parte, pur non essendo carichi, se dotati di sufficiente energia possono ionizzare la materia (fotoni con frequenza pari o superiore ai raggi ultravioletti sono ritenuti ionizzanti per l’uomo). In questo caso, queste particelle sono meno ionizzanti delle precedenti, ma possono penetrare molto a fondo nella materia e, per quelli più energetici, potrebbe non bastare un grosso muro di cemento armato per schermarle (vedi figura sotto). II.2.1 Effetti biologici Nei casi in cui la radiazione ionizzante incida su tessuti biologici, può causare danni di tipo sanitario. Come abbiamo visto, la radiazione alfa presenta una basso potere di penetrazione, quindi viene facilmente fermata dallo strato superficiale della pelle costituita da cellule morte, per cui non è pericolosa per l’uomo nei casi di irradiazione esterna. Diventa invece pericolosa nelle situazioni in cui la sorgente radioattiva viene 100 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 101 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE inalata o ingerita (irradiazione interna), perché in questo caso può ledere direttamente tessuti radiosensibili (tipico caso è quello del radon, in cui appunto l’isotopo radioattivo viene inspirato e quindi può decadere all’interno del corpo umano emettendo radiazione alfa). La radiazione gamma (fotoni) invece, avendo un potere di penetrazione molto elevato, può risultare pericolosa per gli esseri viventi anche in situazioni di irradiazione esterna. La quantità di radiazione assorbita da un corpo viene chiamata dose assorbita e si misura in gray. Altre grandezze importanti da considerare sono la dose equivalente e la dose efficace. I danni che una radiazione ionizzante può provocare sui tessuti biologici sono di vario tipo e vengono suddivisi in: • danni somatici deterministici • danni somatici stocastici • danni genetici stocastici Gli effetti dipendono dalla dose di radiazioni e più precisamente la dose efficace rappresenta la somma ponderata delle dosi equivalenti ai vari organi e tessuti; i pesi wT che si usano in questo contesto tengono conto della diversa radiosensibilità degli organi e dei tessuti irraggiati. È quindi possibile scrivere la relazione matematica che la lega alla dose equivalente: Anche la dose efficace, come la dose equivalente si misura in un Sievert. È importante precisare che l’irraggiamento (e quindi il conseguente rilascio di dose) avviene tramite due canali: irraggiamento esterno, dovuto all’esposizione del corpo ai radionuclidi presenti nell’ambiente, e irraggiamento interno, causato dall’ingestione o dall’inalazione di sostanze contenenti isotopi radioattivi. Tipico caso risulta essere l’inalazione di Radon. Nel caso dell’inalazione è importante considerare anche tutte le sostanze volatili e i radionuclidi che si legano a particelle in grado di restare in sospensione nell’aria, ed eventualmente anche i figli di ogni sostanza. 101 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 102 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE NORMATIVA D.lgs n.230 del 17.3.1995 Attuazione direttive EURATOM in materia di radiazioni ionizzanti D.P.R. n.185 del 13.2.1964 e decreti applicativi ancora in vigore Sicurezza degli impianti e protezione sanitaria dei lavoratori e delle popolazioni contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti derivanti dall’impiego pacifico dell’energia nucleare D.M. n.449 del 13.7.1990 Regolamento concernente le modalità di tenuta della documentazione relativa alla sorveglianza fisica e medica della protezione dalle radiazioni ionizzanti Legge n.864 del 19.10.1970 Ratifica convenzione OIL n.115 sulla protezione dei lavoratori contro le radiazioni ionizzanti D.lgs n.626 del 19.9.1994 Attuazione direttive CEE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro D.lgs n.475 del 4.12.1992 Attuazione direttiva comunitaria relativa a dispositivi di protezione individuale II. 3 INQUINANTI CHIMICI Quando si parla di sostanze inquinanti, solitamente ci si riferisce a prodotti della lavorazione industriale (o dell’agricoltura industriale), tuttavia è bene ricordare che anche sostanze apparentemente innocue possono compromettere seriamente un ecosistema. Inoltre gli inquinanti possono essere sostanze presenti in natura e non frutto dell’azione umana. Una forte presa di coscienza sui problemi causati dall’inquinamento industriale (e in particolare dai cancerogeni) è avvenuta nel mondo occidentale a partire dagli anni settanta. Già negli anni precedenti tuttavia si erano manifestati i pericoli per la salute legati allo sviluppo industriale. Sulla base di quanto esposto nell’introduzione, negli ultimi anni è emerso il ruolo dei fattori ambientali nella patogenesi di diverse malattie 102 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 103 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE degenerative a carico del sistema nervoso centrale (Betarbet R, et al., 2002; Campbell A., 2004). A tal riguardo, in ambito tossicologico, la valutazione del rischio e dei suoi fattori rappresentano un nuovo campo di studio degli ultimi decenni, tuttavia le strategie di studio sono piuttosto complesse dal momento che nella realtà, sia a livello ambientale che occupazionale, raramente un individuo è esposto ad un unico agente ma bensì ad una miscela di composti che può variare nella composizione e nella concentrazione in una dinamica temporale piuttosto ampia. Inoltre, gli effetti indotti sulla salute umana in seguito ad esposizione sono manifestazione di una realtà individuale più complessa rappresentata da un individuale assetto genetico, stato di salute pregresso o corrente, stato socio-economico, fisiologico, stili di vita (fumo, assunzione di alcol), questi fattori possono infatti interferire aumentando o riducendo il rischio. Questo contesto può a sua volta evolvere durante la vita dell’individuo, per cui si costituisce una complessa rete di interazioni dinamiche chimiche e non solo che ha come ultima espressione la manifestazione patologica sulla salute. Tutto ciò pone la necessità di una criticità sui modelli di studio e sui risultati ottenuti perché nella maggior parte dei casi loro malgrado non sono in grado di contemplare tutto lo spettro di possibili fattori che contribuiscono al rischio (Cory-Slechta D.A., 2005). Infatti, risultati contrastanti possono scaturire da differenze metodologiche tra i vari studi, è perciò necessario considerare i diversi apporti nel complesso processo di definizione di potenziale neurotossico di agenti naturali o di sintesi. Perfino il concetto di esposizione e dose considerati negli studi di valutazione del rischio possono apportare informazioni a volte ingannevoli. Infatti il concetto di dose di esposizione ad esempio è strettamente correlata al tempo, alla concentrazione assorbita dall’organismo, alla capacità della sostanza di raggiungere il sistema nervoso centrale, la via si esposizione, nonché la potenzialità dei composti di dare luogo ad effetti additivi, sinergici, o antagonisti (CabanHolt A, et al., 2005). 103 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 104 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE II.3.1 Sostanze chimiche industriali I composti a cui attualmente la popolazione è esposta sono molteplici ciascuna con delle proprie peculiarità strutturali. Tra i primi composti ad essere stati studiati come sostanze neurotossiche troviamo: • MPTP (1-methyl-4-phenyl1,2,3,6-tetrahydropyridina) Questo composto, nel 1980, è stato oggetto dei primi studi riportati in letteratura in riferimento a manifestazioni cliniche, virtualmente simili al morbo di Parkinson in un gruppo di tossicodipendenti che avevano fatto uso di eroina di sintesi contaminata da MPTP (1-metil-4-fenil 1,2,3,6-tetraidropiridina) (Langston W, et al., 1999). L’MPTP non tossico di per se’, lo diviene quando viene metabolizzato, negli astrociti, dalla monoaminossidasi nella forma attiva dello ione 1metil-4-fenil-2,3-diipiridinio (MPP+). Questa neurotossina sostituisce nelle vescicole intracellulari la dopamina dove avviene una autoossidazione causando un danno cellulare (Lotharius J, O’Malley KL., 2000). MPP+ è trasportato selettivamente nei neuroni dopaminergici attraverso il sistema di trasporto della dopamina, viene accumulato nei mitocondri dove inibisce il complesso I e la conseguente produzione di ATP, che a sua volta attiva il recettore N-metil-D-aspartato (NMDA) causando una sindrome simile alla forma idiopatica di Parkinson (Greenamyre JT, et al., 2001; Schultz J. B., et al., 1997). • Pesticidi I pesticidi rappresentano un insieme di sostanze comunemente utilizzate per controllare il proliferare di insetti, semi e funghi, e sono classificati sulla base dell’organismo target o sul loro utilizzo come insetticidi, erbicidi, fungicidi o fumiganti. Gli insetticidi, a loro volta, vengono subclassificati sulla base della tipologia chimica come organofosfati, organoclorinati, carbamati e piretroidi. L’esposizione può avvenire a vari livelli occupazionali, contaminazione di cibi e di acque, 104 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 105 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE perciò la loro tossicità viene espletata su un ampio numero di individui e in diverse fasce di età. È frequente la possibilità che l’esposizione avvenga con miscele di composti strutturalmente simili, per cui è difficile ricondurre gli effetti ad un unico agente. I bambini, in questo contesto, rappresentano gli individui più facilmente esposti, perfino a livello fetale, nel caso di lavoratrici esposte durante la gravidanza, con l’assunzione di cibi contaminati e crescita in ambienti contaminati. Inoltre, i bambini presentano la peculiarità, rispetto ad un individuo adulto, di poter assorbire dosi maggiori di composto in rapporto al loro peso corporeo, e di essere più suscettibili ad effetti tossici per il loro quadro fisiologico immaturo che impedisce un corretto metabolismo e un’efficiente escrezione, favorendo l’accumulo. Studi di meta analisi hanno confermato che esposizioni cumulative a pesticidi per assunzione di cibi contaminati o per stili di vita o lavoro aumenta il rischio di sviluppo del morbo di Parkinson (Priyadarshi A, et al., 2001; Liou HH, et al., 1997; Liu B, et al., 2003). L’azione tossica dei pesticidi viene imputata a diverse modalità di azione a seconda del tipo di molecola: 1. modulazione di enzimi ad esempio citocromo P450, glutatione transferasi (Hodgson E, Levi PE. 1996; Di Ilio C, et al., 1996); 2. alterazione della attività mitocondriale con inibizione del complesso I (Gassner B, et al., 1997; Greenmyre JT, et al., 1999); 3. molteplicità di meccanismi sinergici (Thiruchelvam M, et al., 2000). Studi in vitro sulla tossicità di tre pesticidi: maneb, rotenone e paraquat hanno evidenziato la loro capacità di interagire con il complesso I mitocondriale riducendone l’attività con conseguente morte dei neuroni dopaminergici (Dawson T M, Dawson VL. 2003). Una possibile interazione fra fattori di rischio ambientali e polimorfismi genetici in geni mitocondriali e geni coinvolti nella detossificazione dei metaboliti è stata intensamente indagata, ma senza risultati soddisfacenti (Tan EK, et al., 2000). Negli ultimi anni l’attenzione della ricerca si è ampiamente orientata a definire la neurotossicità dei pesticidi come riportato in tabella 3.3.1.1. 105 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 106 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE Tab. II.3.1.1. Studi di esposizione cronica ai pesticidi e neurotossicità: misurazione dell’esposizione. Paraquat Questo pesticida (1,1´-dimethyl-4,4´-bipyridinium) sembra correlato all’induzione del MP, dal momento che ha una struttura chimica simile al MPP, un attivo metabolico del MPTP (vedi figura 3.3.1.1). 106 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 107 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE Figura II.3.1.1. Da Dinis-Oliveira R.J., et al., 2006. Studi epidemiologici e in vivo hanno evidenziato che esisterebbe una relazione dose-risposta positiva tra il tempo di esposizione al paraquat e il rischio di contrarre il morbo di Parkinson, dovuta ad una perdita di neuroni (Liou HH, et al. 1997; Liu B, et al., 2003; McCormack et al., 2002). Il pesticida agisce sulle cellule a più livelli (Dinis-Oliveira R.J., et al., 2006): – stimola un processo di eccitotossicità che porta a morte i neuroni dopaminergici mediata da specie reattive dell’azoto (sintetasi ossido nitrica, ossido nitrico, anione perossidonitrico); – il paraquat nei mitocondri viene trasformato nel suo radicale libero dal complesso I, ciò determina un’elevata produzione di radicale superossido che inibisce l’attività del complesso I e causa una disfunzione del mitocondrio; – in vitro incrementa l’aggregazione in fibrille della proteina alfasinucleina e formazione dei corpi di Lewy, con un’evidente relazione di dose-dipendenza, probabilmente motivata dal legame preferenziale del paraquat per una forma intermedia della proteina (Uversky VN, Li J, Fink AL. 2001; Uversky VN, et al., 2002), è quindi possibile che, una 107 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 108 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE regolazione positiva della alfa-sinucleina sia manifestazione di una tossicità e, che la diretta interazione della proteina con agenti ambientali siano i potenziali meccanismi che portano ad una forma patologica della proteina in disordini neurodegenerativi (Manning-Bog AB, et al., 2002). Roteneone L’insetticida roteneone induce danni clinici nei ratti simili a quelli dati dal morbo di Parkinson, con selettiva degenerazione del sistema dopaminergico e disordini motori (Sherer TB, et al., 2003). Sono stati anche rilevati effetti sinergici tra il roteneone e la molecola proinfiammatoria di origine batterica lipolisaccaride, suggerendo che fattori proinfiammatori possono cooperare per lo sviluppo della malattia (Gao HM, et al., 2003). È stato ben caratterizzato per la sua elevata affinità come specifico inibitore del complesso I dei mitocondri . È una molecola molto idrofobia, per cui non necessita di alcuno dei trasportatori della dopamina (DAT) per penetrare all’interno della cellula nervosa. In studi effettuati su topi, concentrazioni di roteneone di 20-30 nmol/L nel cervello di ratti comportano l’inibizione dell’attività del complesso I e si manifestano lesioni delle cellule nigrostriatali dopaminergiche. Le lesioni sono caratterizzate da inclusioni di alfanucleina molto simili ai corpi di Lewy riscontrati nelle cellule umane (Betarbet R, et al., 2000). La microglia è stata implicata nella neurotossicità del roteneone, dal momento che le cellule possono rilasciare sostanze ossigeno reattive, induttori a loro volta di infiammazione (Liu B, Hong J-S. 2003). Ditiocarbammati Si tratta di una categoria di composti con la presenza di manganese nella loro struttura, a cui è da imputare la tossicità. E’ ben noto infatti, che il manganese induce effetti sull’organismo simili al morbo di Parkinson. Gli studi condotti da Cory-Slechta in un modello animale sugli effetti tossici del fungicida ditiocarbamato maneb hanno evidenziato che la 108 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 109 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE singola esposizione non dà nessun segno di alterazione comportamentale o fisiologica, mentre l’esposizione ad una miscela di paraquat e maneb (usata in agricoltura) determina anomalie quali gravi difficoltà motorie, disturbi comportamentali, tremori e brividi sintomi sovrapponibili clinicamente al Parkinson (Cory-Slechta D.A., et al., 2005). La manifestazione clinica è da imputare ad un danneggiamento del sistema dopaminergico nigrostriato che comporterebbe una consistente riduzione dell’enzima, tiroxina idrossilasi. Quando questa molecola scarseggia la dopamina, il mediatore cerebrale del movimento, comincia a diventare insufficiente e le cellule nervose muoiono. Durante la sperimentazione, nei topi sottoposti all’iniezione dei due pesticidi si è osservata una riduzione di dopamina del 15% ed una presenza quattro volte più del normale di astrociti reattivi (cellule nervose infiammate). La spiegazione dell’effetto sinergico delle due sostanze trova la sua giustificazione nel fatto che il paraquat da solo non arriverebbe al cervello in concentrazioni rilevanti, mentre a facilitare tale passaggio sembra provvedere il maneb che ne aumenterebbe la possibilità di trasporto. Organofosfati Gli organofosfati rappresentano un importante gruppo, insieme ai carbamati, di sostanze neurotossiche. Il loro effetto viene esplicitato su insetti ed esseri umani inibendo la acetilcolinesterasi, un enzima coinvolto nel taglio del neurotrasmettitore acetilcolina. L’inibizione di questo enzima causa un accumulo del trasmettitore implicando disfunzioni al sistema nervoso. Gli effetti indotti dall’azione di questi pesticidi causa iperattività, paralisi neuromuscolare, difficoltà respiratoria, problemi visivi fino al coma e alla morte. Un’ampia letteratura ha dimostrato come queste sostanze intervengano anche in alterazioni comportamentali (Karczmar, A. G., 1984; Clark, G., 1971). L’inibizione della acetilcolinesterasi sia da parte degli insetticidi organofosfati che n-metilcabamati, è un processo reversibile anche se nel caso dei secondi avviene in modo più rapido rispetto agli organofosfati, questo determina un maggiore effetto tossico a causa del processo più lento (Murphy, S., 1986). 109 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 110 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE Attualmente gli studi si stanno orientando a definire la percentuale di rischio di contrarre malattie neurodegenerative in seguito all’esposizione a organofosfati, attraverso l’assunzione di cibi contaminati come frutta e verdure non correttamente lavate, e come questo possa influire su una predisposizione genetica alla malattia (Thiruchelvam M, et al., 2000). Tabella II.3.1.2: elenco di insetticidi organofosforici e carbamati (adattata da Morgan D.P., 1989). Altamente tossici a Moderatamente tossici a Insetticiti organofosfati Tetraethyl pyrophosphate (TEPP) Dimefox (Hanane, Pestox XIV) Phorate ( Thimet, Rampart, AASTAR) Disulfoton b (Disyston) Fensulfothion (Dasanit) Demeton b (Systox) Terbufos (Counter, Contraven) Mevinphos (Phosdrin, Duraphos) Ethyl parathion (E605, Parathion, Thiophos) Azinphos-methyl (Guthion, Gusathion) Fosthietan (Nem-A-Tak) Chlormephos (Dotan) Sulfotep (Thiofepp, Bladafum, Dithione) Carbophenothion (Trithion) Chlorthiophos (Celathion) Fonofos (Dyfonate, N-2790) Prothoate b (Fac) Fenamiphos (Nemacur) Phosfolan b (Cyolane, Cylan) Methyl parathion (E 601, Penncap-M) Schradan (OMPA) Mephosfolan b (Cytrolane) Chlorfenviphos (Apacholr, Birlane) Coumaphos (Co-Ral, Asuntol) Phosphamidon (Dimecron) Methamidophos (Monitor) Dicrotophos (Bidrìn) Monocrotophos (Azodrin) Methidathion (Supracide, Ultracide) EPN Isofenphos (Amaze, Oftanol) Endothion Bomyl (Swat) Famphur (Famfos, Bo-Ana, Bash) 110 Bromophos-ethyl (Nexagan) Leptophos (Phosvel) Dichlorvos (DDVP, Vapona) Ethoprop (Mocap) Demeton-S-methyl b (Duratox, Metasystox (i) ) Triazophos (Hostathion) Oxydemeton-methyl b (Metasystox-R) Quinalphos (Bayrusil) Ethion (Ethanox) Chlorphynfos (Dursban, Lorsban, Brodan) Edifenphos Oxydeprofos b (Metasystox-S) Sulprofos (Bolstar, Helothion) Isoxathion (E-48, Karphos) Propetamphos (Safrotin) Phosalone (Zolone) Thiometon (Ekatin) Heptenophos (Hostaquick) Crotoxyphos (Ciodrin, Cypona) Phosmet (Imidan, Prolate) Trichlorfon (Dylox, Dipterex, Proxol, Neguvon) Cythioate (Proban, Cyflee) Phencapton (G 28029) Pirimiphos-ethyl (Primicid) DEF (De-Green, E-Z-Off D) Methyl trithion Dimethoate (Cygon, DeFend) Fenthion (Mercaptophos, Entex, Baytex, Tiguvon) Dichlofenthion (VC-13 Nemacide) Bensulide (Betasan, Prefar) EPBP (S-Seven) Diazinon (Spectracide) Profenofos (Curacron) Formothion (Anthio) 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 111 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE Fenophosphon (Trichloronate, Agrilox) Dialifor (Torak) Cyanofenphos (Surecide) Dioxathion (Delnav) Mipafox (Isopestox, Pestox XV) Pyrazophos (Afugan, Curamil) Naled (Dibrom) Phenthoate (Dimephenthoate, Phenthoate) IBP (Kitazin) Cyanophos (Cyanox) Crufomate (Ruelene) Fenitrothion (Accothion, Agrothion, Sumithion) Pyridapenthion (Ofunack) Acephate (Orthene) Malathion (Cythion) Ronnel (Fenchlorphos, Korlan) Etrimfos (Ekamet) Phoxim (Baythion) Merphos (Folex, Easy off-D) Pirimiphos-methyl (Actellic) Iodofenphos (Nuvanol-N) Chlorphoxim (Baythion-C) Propyl thiopyrophosphate (Aspen) Bromophos (Nexion) Tetrachlorvinphos (Gardona, Appex, Stirofos) Temephos (Abate, Abathion) Insetticidi carbamati Aldicarb b (Temik) Oxamyl (Vydate L, DPX 1410) Methiocarb (Mesurol, Draza) Carbofuran (Furadan, Curaterr, Crisfuran) Isolan (Primin) Methomyl (Lannate, Nudrin, Lanox) Formetanate (Carzol) Aminocarb (Matacil) Cloethocarb (Lance) Bendiocarb (Ficam, Dycarb, Multamat, Niomil, Tattoo, Turcam) Dioxacarb (Elocron, Famid) Promecarb (Carbamult) Bufencarb (Metalkamate, Bux) Propoxur (Aprocarb, Baygon) Trimethacarb (Landrin, Broot) Pirimicarb (Pirimor, Abel, Aficida, Aphox, Femos, Rapid) Dimetan (Dimethan) Carbaryl (Sevin, Dicarbam) Isoprocarb (Etrofolan, MI PC) a: i composti sono elencati in ordine di tossicità decrescente. “Altamente tossici”: sono elencati organofosfati in ordine decrescente di valore (nei ratti) di LD50 orale (dose letale media) inferiore a 50 mg/kg; “Moderatamente tossici” gli agenti hanno valori di LD50 superiori a 50 mg/kg. b: sono insetticidi sistemici; essi sono assunti dalle piante e successivamente trasportati nel fogliame e alcune volte nei frutti. 111 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 112 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE Tab. II.3.1.3. Effetti neurotossici da esposizione acuta ad alti livelli di insetticidi organofosforici o carbamati (adattata da Young 1986). Funzioni del sistema nervoso se stimolato da acetilcolina Effetti di eccessiva stimolazione del sistema nervoso Attivazione della salivazione, sudore, e ghiandole lacrimali Costrizione ai bronchi Aumento della salivazione, sudorazione, lacrimazione Costrizione al petto, tosse e affanno, difficoltà nella respirazione Fissità delle pupille, visione offuscata Battito cardiaco anormale, cambiamenti nella pressione sanguigna Crampi allo stomaco, nausea, vomito, diarrea Frequenza urinaria, incontinenza Contrazioni, agitazione, tremore, difficoltà nella coordinazione, debolezza muscolare generalizzata, paralisi, e morte o compromissione cerebrale causata da asfissia dopo la paralisi muscolare Mal di testa, vertigini, ansia, instabilità emotiva, letargia, confusione; eventualmente grave depressione del sistema nervoso centrale e coma Contrazione delle pupille Controllo delle funzioni cardiache Aumento degli spasmi del tratto digerente Aumento degli spasmi del tratto urinario Attivazione dei muscoli scheletrici Alterazione della funzione cerebrale Ciclodieni A questa categoria appartengono i pesticidi organoclorurati ciclodieni che esercitano effetti selettivi sui neuroni striatali dopaminergici e hanno un ruolo nella eziologia del morbo di Parkinson dal momento che incrementano in vivo la attività striatale mediata dal DAT (PurkersonParker S, et al., 2001). È stato anche osservato che la dieldrina può interferire con il trasporto di elettroni ed incrementare la formazioni di radicali superossidi (Sanchez-Ramos J, et al., 1998). Piretroidi Gli studi su questo tipo di pesticidi sono stati correlati alla sindrome della guerra del Golfo e alla eziologia del Parkinson. In vivo, in topi trattati con permetrina, è stata osservata una riduzione dell’attività mitocodriale e, sebbene non vi fosse decremento dei livelli di dopamina striatale, un incremento del turnover della dopamina stessa e un decremento dell’attivita motoria, anche se non si poteva definire un vero e proprio 112 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 113 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE Parkinson (Karen DJ, et al., 2001). Risultati analoghi sono stati rilevati con la deltametrina che mostra un incremento della regolazione mediata dal trasportatore della dompamina (DAT) (Kirby ML, et al., 1999). Secondo altre sperimentazioni, i piretroidi sono in grado di interagire con un ampio range degli ioni calcio, cloro, e in particolare del sodio, determinando una modificazione dell’eccitazione della membrana cellulare. Questi livelli di iperattività, rispetto alla normale fisiologia cellulare, comportano una depolarizzazione e blocco della conduzione a livello delle cellule soprattutto muscolari (Ray D.E., Fry J.R., 2006). In figura II.3.1.2 sono riportate le strutture molecolari di alcuni di questi composti con riferimento al tipo di avvelenamento che provocano. Figura II.3.1.2. (Da Ray D.E., Fry J.R., 2006) Sindrome da avvelenamento di tipo I: alletrina, bifentrina, bioalletrina, cismetrina, transfluorocifenotrina, fenotrina, resmetrina, tetrametrina, e piretrine. Sindrome da avvelenamento di tipo II: ciflutrina, cialotrina, cipermetrina, deltametrina, fenvalerato, e cis-fluorocifenotrina. Sindrome da avvelenamento mista: cifenotrina, fenpropatrina, e flucitrinato. N.B.: Un’analisi interna delle osservazioni, fatta durante i regolari studi da Soderlund et al. (2002) ha individuato bioalletrina, bifentrina, permetrina, e piretro, da collocare nella categoria mista. Questo può essere dovuto sia ad una sbagliata classificazione di altri (questa tavola è basata su Ray, 1991, più Holton et al., 1997) che alla registrazione imprecisa delle osservazioni nei regolari studi. 113 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 114 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE Insetticidi organoclorinati Questi composti agiscono stimolando il sistema nervoso centrale, hanno la possibilità di accumularsi sia nell’ambiente che nell’organismo umano. Sono considerati in genere meno tossici dei n-metil-carbamati che degli organofosfati per quanto riguarda la tossicità acuta, ma risultano più tossici in quella cronica. Il prototipo di queste molecole è stato il DDT scoperto nel 1939 e ampiamente utilizzato in agricoltura fino al 1972. Tra il 1940 e il 1970 numerose altre molecole sono state sintetizzate (lindano, aldrina, dieldrina ecc.) e utilizzate fino al momento in cui ne è stato determinato l’accumulo nell’ambiente e nei tessuti umani, riconoscendone così l’alta patogenicità. Gli organoclorinati possono essere assorbiti per inalazione, ingestione e assorbimento cutaneo, i siti target sono rappresentati dal fegato, dove vengono metabolizzati ed escreti con le urine, dal tessuto adiposo e dal sistema nervoso. Una intossicazione acuta determina un eccitamento del sistema nervoso, stato confusionale, mancanza d’equilibrio, contrazione muscolare, coma (Ecobichon D.J. and Joy R. M., 1982). Tabella II.3.1.4. Elenco insetticidi organoclorinati (adattata da Morgan D.P., 1989). Insecticide endrin (Hexadrin) aldrin (Aldrite, Drinox) endosulfan (Thiodan) dieldrin (Dieldrite) toxaphene (Toxakil, Strobane-T) lindane (gamma BHC or HCH, Isotox) hexachlorocydohexane (BHC) DDT (chlorophenothane) heptachlor (Heptagran) chlordecone (Kepone) terpene polychlorinates (Strobane) chlordane (Chlordan) dicofol (Kelthane) mirex (Dechlorane) methoxychlor (Marlate) dienochlor (Pentac) TDE (DDD, Rhothane) Ethylan (Perthane) 114 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 115 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE • Solventi organici Una delle possibili fonti di esposizione ambientale a composti neurotossici è rappresentata da sostanze chimiche derivate da processi industriali, come i solventi organici che costituiscono un’ampia classe di sostanze la cui esposizione viene agevolata dalla loro caratteristica di poter facilmente divenire volatili nell’ambiente. Le vie di contatto sono rappresentate dall’assorbimento attraverso la cute e l’inalazione. L’esposizione acuta è caratterizzata da una sintomatologia quale una ridotta capacità della parola, del coordinamento ed equilibrio e dell’abilità manuale, mentre quella di tipo cronico causa irritabilità, perdita della memoria, affaticamento, ridotta capacità di concentrazione, cambi della personalità. L’uso dei solventi organici è ampiamente diffuso, essendo essi utilizzati in molti manufatti (prodotti famaceutici, vernici, prodotti agricoli), e in diversi processi di lavorazione (sintesi di polimeri, fluidificanti.). Quelli di uso più comune includono l’isopropanolo, il toluene, lo xilene, solventi clorinati (tricloroetilene, percloretilene, clorometilene). La quantità di solvente assorbita dall’organismo dipende dalla via di esposizione, dalla concentrazione del composto presente nell’aria, dalla solubilità nel sangue del solvente, e dalla modalità di lavoro fisico effettuato nel tempo di esposizione, l’attività respiratoria più intensa e il maggiore flusso sanguigno in un lavoro fisicamente più impegnativo favorisce l’assorbimento e la diffusione del composto. A seconda del grado di solubilità del composto chimico i solventi organici possono essere variamente diffusi nell’organismo attraverso il flusso sanguigno. In esperimenti in vivo, somministrata una definita concentrazione di solvente in aria, si è osservata una differente dose di assorbimento a livello tissutale e una modalità di bioaccumulo diversificata in relazione alla variabilità individuale. I composti organici presentano la peculiarità di modificare la loro struttura con la metabolizzazione, necessaria per l’escrezione, dando origine a sottoprodotti che possono a loro volta essere più tossici e di difficile escrezione rispetto al composto di origine. Diversi studi hanno messo in relazione le malattie neurodegenerative e l’esposizione a solventi organici, che sembra abbiano un ruolo nell’induzione del morbo di Parkinson (Seidler A, et al. 1996; Smargiassi A, et al. 1998; McDonnell L, et al. 2003), mentre gli studi sono piuttosto 115 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 116 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE controversi per quanto riguarda il morbo di Alzheimer e la sclerosi laterale amiotrofica (Kukull WA, et al. 1995; Helmer C, et al. 2001; Gun RT, et al. 1997; McGuire V, et al. 1997; Gait R, et al. 2003). Tab. II.3.1.5. I più comuni solventi organici e i loro usi industriali. Compound Industrial Uses Acetone Acrylamide Cleaning solvent Mining and tunneling, adhesives, waste treatment, ore processing Fuel, detergents, paint removers, manufacture of other solvents Viscose rayon, explosives, paints, preservatives, textiles, rubber cement, varnishes, electroplating Instrument sterilization Glues and vegetable extraction, components of naphtha, lacquers, metal cleaning compounds Sulfur chemical manufacturing, by-product of petroleum processing, decay of organic matter Industrial settings Odorant in natural gas and fuels Many industrial uses Solvent, refrigerant, propellant Benzene Carbon disulfide Ethylene oxide (ETO) N-hexane Hydrogen sulfide Methane Methyl mercaptan Methyl-N-butyl ketone Methylene chloride (dichloromethane) Organochlorine Organophosphates PCE Styrene Toluene 1,1,1-Trichloroethane (methyl chloroform) TCE Vinyl chloride Xylene 116 Insecticides Insecticides Dry cleaning, degreaser, textile industry Fiberglass component, ship building Paint, fuel oil, cleaning agents, lacquers, paints and paint thinners Degreaser and propellant Cleaning agent, paint component, decaffeination, rubber solvents, varnish Intermediate for polyvinylchloride resins for plastics, floor coverings, upholstery, appliances, packaging Paint, lacquers, varnishes, inks, dyes, adhesives, cements, fixative for pathologic specimens 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 117 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE Non sono ancora del tutto noti i meccanismi di azione dei solventi organici nella possibile eziologia delle malattie neurodegenerative. In modelli animali e in studi su individui affetti da Parkinson, si è osservato un eccesso dell’attività del recettore NMDA, è possibile, quindi, supporre che tale alterazione funzionale del NMDA, in specifico della substantia nigra, il tessuto maggiormente affetto da lesioni nel Parkinson, possa spiegare l’associazione con la malattia (Nash J.E., Brotchie J.M. 2000; Olanow C.W., Tatton W.G. 1999; Montastruc J.D., et al., 1997; Loopuijt L.D., Schmidt W.J. 1998; Kezic S., et al., 2006). Dudley ritiene che i solventi organici agiscano stimolando l’attività del recettore NMDA, ma questa non è un’evidenza che supporti una diretta interazione; comunque, data la complessità del sistema NMDA e il suo legame con altri meccanismi regolatori, è possibile che vi siano dei target indiretti su cui i solventi organici possono agire e portare ad un processo di stimolazione del NMDA solvente-mediato (Dudley D.L. 1998). A tal proposito sono suggeriti tre possibili meccanismi, anche se non possono essere esaustivi: 1. Un’ampia varietà di composti idrofobici possono legarsi a porzioni (“tasche”) idrofobiche di alcune particolari proteine. Un esempio è rappresentato dalla proteina PIN. Questa piccola proteina è un inibitore dell’isoenzima neuronale ossido nitrico sintetasi (nNOS), il maggior enzima deputato alla sintesi di ossido nitrico nel cervello (Tochio H., et al., 1998). PIN è un dimero contenente una porzione all’interno della quale può legarsi un segmento di 13 aminoacidi del nNOS producendo l’inibizione dell’enzima stesso (Fan J. S., et al., 1998; Liang J., et al., 1999). Nel caso si leghi la molecola di solvente alla proteina PIN questo impedisce il legame proteina-enzima stimolando l’attività di nNOS; ciò giustifica il sostanziale incremento della sintesi di ossido nitrico nel cervello, e la stimolazione dell’attività NMDA. 2. È noto che i solventi organici stimolano i canali del calcio, poiché il nNOS e l’epiteliale ossido nitrico sintetasi (eNOS) sono entrambi Ca2+ dipendenti, la stimolazione di questi potrebbe stimolare l’attività enzimatica, incrementando la sintesi di ossido nitrico, il quale a sua 117 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 118 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE volta è considerato responsabile della stimolazione del NMDA (Gurdal H., et al., 1992; Romero G., et al., 1994; Singh J., et al., 1995; Diaz A., Dickenson A. H. 1997). 3. Alcuni solventi idrofobici possono essere in grado di agire alterando la struttura della membrana mitocondriale e la funzione degli stessi mitocondri, questo causa un mancato accoppiamento nella fosforilazione ossidativa (Garbe T.R., Yukawa H. 2001; Nohl H., et al., 1996; Peitrobon D., et al., 1987) incrementando la produzione di radicali superossidi. Questa risposta appare produrre una prolungata generazione di radicali liberi e di altri ossidanti nel cervello (Mattia C.J., et al., 1993). Per analogia di quanto noto per altre sostanze, che intervenendo sulla struttura dei mitocondri stimolano l’attività del NMDA, questo modello potrebbe essere applicato per spiegare l’induzione della iperattività del NMDA da parte dei composti organici (Nowak L., et al., 1984; Rothman S. 1983; Novelli A., et al., 1988; Turski L., Turski W.A. 1993; Schultz J.B., et al., 1997; Greenamyre J.T., et al., 1999). In figura II.3.1.3 sono schematizzati possibili meccanismi di azione. Figura II.3.1.3. Il ruolo dei solventi organici è schematizzato a partire dall’alto a sinistra e il ruolo degli organofosforici e carbamati è schematizzato a partire dall’alto a destra. Le frecce indicano interazioni che causano possibili effetti di stimolazione (adattata da Pall M.L. 2002). 118 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 119 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE Diversi studi hanno mostrato che esistono vari meccanismi a seconda della struttura del composto organico, ad esempio: – Tricloroetilene, svolge la sua azione attraverso la solubilità nei lipidi per raggiungere il sistema nervoso centrale e periferico producendo effetti irreversibili come la demielinizzazione e la morte cellulare, nonché la formazione di radicali liberi, il tricloroetilene epossido lega in maniera irreversibile alcune macromolecole cellulari; – Percloroetilene, i suoi metaboliti e il suo epossido reagiscono con le membrane lipidiche, le proteine del citoscheletro, l’RNA e il DNA. L’esposizione è associata con l’alterazione degli acidi grassi dei fosfolipidi. L’epossido di tricloroetilene è un agente alchilante elettrofilico che lega covalentemente gruppi nucleofili di molecole, come le proteine del citoscheletro e degli acidi nucleici. Il DNA, alterato da questo legame, può ridurre la quantità di adenosina trifosfata cellulare (ATP) e un incremento del calcio libero intracellulare, con un possibile danno neuronale; – Toluene e i suoi metabolici, determinano produzione di radicali liberi, blocco dell’attività neuronale, demielinizzazione e degenerazione dell’assone; – Xilene, intergisce con le proteine legate alla membrana, è in grado di legare il trasporto lungo l’assone; – N-esano e molecole derivate, determinano distruzione del trasporto lungo l’assone e formazione di legami crociati (cross-links) chimici tra neurofilamenti dell’assone stesso; – Ossido di stirene, responsabile della formazione di radicali liberi; – Acrilammide, ha effetto diretto sul perikarion, inibisce la glicolisi, interferisce con la fosforilazione delle proteine del neurofilamento, impedisce l’immagazzinamento del glutatione con incremento della perossidasi lipidica; 119 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 120 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE – Ossido di etilene, il meccanismo di azione non è ancora del tutto noto, si suppone che a causa delle sue caratteristiche elettrofiliche reagisca come agente alchilante legando gruppi nucleofili delle macromolecole biologiche. Legandosi al DNA, l’ossido di etilene induce lo scambio tra cromatidi fratelli (SCEs) e aberrazioni cromosomiche. Il composto interviene anche sull’attività della creatinin chinasi; – Il disolfito di carbonio, interferisce con il metabolismo dei lipidi, il legame del rame, e il legame a molecole intercellulari. Interviene inibendo la sintesi di noreprinefrina e abbassando i livelli di dopamina. II.2.2 Metalli pesanti Manganese, ferro, rame e altri metalli di transizione con attività redox sono presenti in molti processi biologici e sono cofattori di diversi enzimi, ad esempio le superossido dismutasi, per cui la loro alterata presenza o assenza può delineare una alterazione funzionale a carico di diversi organi target; un accumulo degli stessi a livello tissutale a causa di modificazioni nei sistemi cellulari di catalisi, trasporto e deposito, può dar luogo a citotossicità per partecipazione a processi di stress ossidativo e incremento della produzione di radicali liberi (Sayre L.M., et al., 2005). Da tale fenomeno non sono esenti le malattie neurodegenerative, in particolare, il morbo di Parkinson e l’Alzheimer sono caratterizzate da una modificata omeostasi dell’attività degli ioni metallo sia con e senza attività redox. Esistono ricerche su diversi fronti che concordano nel rilevare diversi ruoli a carico dell’omeostasi dei metalli, ad esempio l’alterata omeostasi del rame e del ferro è associata ad una severa sequela di carattere neurologico. I metalli di transizione stessi, come anche gli ioni metallo senza attività redox, possono addizionalmente contribuire nel loro effetto neurodegenerativo intervenendo sulle proteine e sulla loro struttura. Sia nel Parkinson che nell’Alzheimer lo stress ossidativo è associato con il reperimento di una alta concentrazione di metalli con attività redox, in particolare ferro, in specifiche aree del cervello come l’ippocampo, la cortex, il nucleo basale di Meynert e una colocalizzazione 120 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 121 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE nelle placche senili e nei grovigli (tangles) intraneuronali neurofibrillari per quanto concerne la malattia di Alzheimer, dove il ferro è associato alla proteina tau, la maggior responsabile della patologia. La disregolazione dell’omeostasi del ferro è anche supportata dal fatto che una proteina regolatoria dello stesso la Iron regolatory protein (IRP-2) è specificamente colocalizzata nell’Alzheimer con il ferro avente attività redox, da cui l’alterazione di tale proteina può comportare una anomalia omeostatica (Smith M.A., et al., 1998). Tuttavia non è ancora ben chiaro se l’eccesso di metalli possa essere una causa di stress ossidativo e di neurodegenerazione o un prodotto dovuto alla perdita di cellule nervose. La capacità di generare ROS dipende fondamentalmente da una equilibrata concentrazione a livello cellulare dei metalli in forma libera, quindi ioni metallo senza attività redox come lo zinco contribuiscono alla citotossicità perché in grado di rimpiazzare gli ioni con attività redox in quei siti dove tale attività risulta determinante. Il ferro libero è fortemente implicato nella generazione dei ROS in vivo e alti livelli non fisiologici di esso sono stati riscontrati in diverse alterazioni neurodegenerative. Tuttavia non si rileva l’esistenza di una correlazione lineare dose - risposta tra l’incremento di ferro totale e l’incremento dello stress ossidativo se questi non coincidono con un incremento delle proteine che provvedono allo stoccaggio del ferro nella forma inerte. Una di queste proteine è la ferritina la quale è in grado di legare e rilasciare il ferro in modo coordinato nel suo stato più labile, il quale risulta attivo nella produzione di radicali idrossilici. Nel tessuto microgliare vi è il maggior numero di siti per la ferritina in grado di legare ferro, che può essere rilasciato a formare superossidi da alcuni induttori come la 6-hydroxydopamina (neurotossina coinvolta nel morbo di Parkinson), o altre catecolamine facilmente ossidabili, ciò confermerebbe come il rilascio di ferro contribuisca a indurre in vivo un danno da radicali liberi (Double KL, et al., 1998). Altri dati rilevano che l’alterazione dell’omeostasi dei metalli possa avere un ruolo centrale nella patologia neurodegenerativa infatti è oramai accertato che alluminio, ferro, zinco e rame accelerano la aggregazione del beta amiloide con una efficacia pH-dipendente (Mantyh PW, et al., 1993). A conferma di ciò la scoperta di chelanti in grado di solubilizzare 121 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 122 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE parzialmente i depositi di beta-amiloide suggerisce un ruolo fisiologico del rame (II), zinco (II) e del ferro (II) nella deposizione del beta-amiloide stesso, con un percorso diverso dalla chimica redox, dove rame e ferro legati alla forma solubile o aggregata della proteina sembrano avere attività redox e quindi essere in grado di mediare la formazione di ROS (Bishop GM, Robinson SR., 2004; Huang X, et al., 1999). Manganese Il manganese è relativamente abbondante in natura, si rileva combinato con borati, carbonati, fosfati, ossidi, silicati e solfuri, ed è inoltre variamente presente in tutti i tessuti animali e vegetali, nell’acqua e nel pulviscolo atmosferico. Di norma nelle aree urbane e rurali dove non vi sono sorgenti puntiformi, i livelli di fondo rilevati nell’aria vanno da 0,01 a 0,07 mg/m3, mentre nelle aree con sorgenti di emissione industriale i livelli variano da 0,22 a 0,3 mg/m3. Le sorgenti antropogeniche di manganese nell’ambiente aereo sono costituite dalla combustione dei combustibili fossili (20%) e dall’emissione gassosa industriale (80%). Le concentrazioni medie di manganese nell’acqua di mare sono di 2 mg/L, mentre nell’acqua dolce vanno da 1 a 200 mg/L (Delbono G., et al., 2002). Alcuni composti del manganese, come il cloruro e il solfato, sono solubili in acqua, per cui l’esposizione può avvenire attraverso l’ingestione di acqua contaminata. I composti organici del manganese vengono utilizzati nella produzione di fungicidi della famiglia dei ditiocarbammati (Maneb e Mancozeb), come additivi per benzina con e senza piombo, combustibili in genere e abbattitori di fumo. Inoltre recentemente il metilciclopentadienil-tricarbonil-manganese (MMT) è stato introdotto come sostituto del piombo, con funzione antidetonante nell’addittivazione della benzina perciò la combustione della benzina contenente l’additivo rilascia particelle submiscroscopiche di Mn3O4, potenzialmente inalabili (Barceloux D.G., 1999). Malgrado si tratti di un elemento essenziale anche nella fisiologia umana è stato rilevato che una eccessiva esposizione al manganese provochi fenomeni di tossicità al sistema nervoso centrale (Andersen M.E., et al., 1999; Fechhter L.D., 1999). 122 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 123 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE La prima associazione tra anomalie neurologiche ed esposizione al manganese risale al 1837 in minatori francesi, i quali manifestarono ipotonia muscolare, tremori, postura ricurva durante la deambulazione, parlata mormorante e salivazione. Successivamente nei primi anni del XX secolo sono stati riportati sintomi simili definiti “manganese crusher’s disease” (Pal P.K., et al., 1999). L’intossicazione acuta per inalazione di polveri di manganese comporta la cosiddetta “febbre da vapore metallico”, caratterizzata da dolori muscolari, brividi, secchezza della gola e della bocca. I sintomi sono preceduti da bronchite acuta, nasofaringite, polmonite e intorpidimento delle estremità (Bozza Marrubini M.L., 1987). In seguito l’effetto tossico viene trasferito dai polmoni al cervello comportando manifestazioni acute psichiche e neurologiche, definite come “manganismo”. Tali sintomi sono molto simili a quelli del morbo di Parkinson, causati da degenerazione cerebrale e distruzione della funzione nervosa in alcune aree (Greger J.L., 1999). Possono essere esposti ad un eccesso di manganese anche gli operatori agricoli che utilizzano impropriamente i formulati contenenti le sostanze attive a base di manganese, ricerche epidemiologiche ed esperimenti in vitro suggeriscono che gli effetti tossici possono verificarsi con esposizioni anche a concentrazioni di Mn molto basse. Fino a tempi recenti si riteneva che, solo i vapori e le polveri del metallo potessero provocare tossicità, escludendo la possibilità di una tossicità per l’ingestione di manganese attraverso il cibo (Kondakis X.G, et al., 1989). L’opinione che il manganese negli alimenti non sia potenzialmente tossico per l’uomo, è stata messa in discussione da dati provenienti da ricerche realizzate negli anni ’80, sulla osservazione di disordini neurologici sofferti dagli abitanti di un’isola a Nord dell’Australia, dove il 2% degli aborigeni erano affetti da difetti motori neurali e da disfunzioni cerebrali il cui sintomo distintivo della condizione era una tipica deambulazione veloce e goffa. La causa della malattia era probabilmente imputabile ad una predisposizione genetica che riguardava alcuni individui suscettibili, associata ad alti livelli ambientali di manganese. I soggetti affetti dalla malattia risultavano avere un’intossicazione cronica, dovuta ad un’elevata assunzione attraverso cibo, acqua e inalazione di polveri (Reilly C., 123 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 124 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE 1991), poichè questa popolazione viveva in prossimità di miniere di minerali di manganese a cielo aperto, con un apporto stimato di 100-200 mg/kg di manganese nella dieta. Test tossicologici hanno dimostrato che l’esposizione alle polveri e ai fumi di manganese non dovrebbe superare il valore soglia di 5 mg/m3, anche per brevi periodi, e test neurologici condotti su lavoratori esposti hanno evidenziato che esposizioni continue a concentrazioni di manganese pari a 1 mg/m3 di aria sono sufficienti ad influire sul SNC (Zheng Y.X., 1999) determinando lesioni ai gangli basali con riduzione dei livelli di dopamina (Pal P.K., et al., 1999). Quindi, anche se la maggior parte dei casi di tossicità cronica è legata all’inalazione di particolato contenente manganese, gli effetti sul SNC si hanno anche con l’esposizione al manganese attraverso altre vie. La neurotossicità del manganese è dovuta all’ossidazione della forma bivalente in trivalente, tale forma, altamente ossidante, non viene detossificato degli enzimi. Inoltre avendo affinità per la porzione nigrostriatale, a causa dell’elevata presenza di melanina a cui il manganese si lega, favorisce l’autossidazione della dopamina e la produzione di radicali liberi che causano danni al sistema dopaminergico (Lydén A., et al., 1984; Donaldson J., et al., 1982). Il manganismo, causato da esposizione occupazionale, ha sintomi molto simili a quelli del morbo di Parkinson anche se le aree del cervello coinvolte sono diverse, per il primo si osservano lesioni degenerative del globus pallidus, nucleus caudatus e putamen e non del Substantia Nigra; mentre nel Parkison è coinvolta la Substantia Nigra pars compacta, ma non il complesso strio-pallidale (Yamada M., et al., 1986). A tal proposito sono stati fatti studi sull’eventualità che l’esposizione al manganese abbia un ruolo nell’eziologia del morbo di Parkinson. Piombo Il piombo è diffuso in natura sia in forma organica, più nociva, che inorganica. Il piombo organico, anche se più tossico, si degrada rapidamente nell’atmosfera ed è anche più facilmente metabolizzato dall’organismo 124 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 125 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE umano. Questo comporta un rischio minimo per la salute rispetto all’esposizione alla forma inorganica, meno tossica, ma la cui utilizzazione in diversi manufatti determina una maggiore diffusione ambientale con un conseguente aumento del numero di soggetti esposti, in particolare dei bambini che risultano maggiormente suscettibili. Le possibili fonti di contaminazione da piombo inorganico sono rappresentate da cibi e acqua contaminati, nel suo utilizzo in composti chimici o manufatti (batterie, pitture), nel rilascio ambientale attraverso emissioni industriali, o interventi antropogenici (rifiuti, suolo) (Bondy S.C., 1988). La tossicità del piombo nei confronti del sistema nervoso è nota da tempo, gli antichi Egizi e i Romani ne facevano un diffuso uso come cosmetico, nella manifattura di oggetti, addizionato al vino come dolcificante e conservante, e nella costruzione di case. Plinio il Vecchio fu il primo ad ipotizzare un danno dall’inalazione di vapori di fermentazione del vino addizionato con acetato di piombo, mentre B. Franklin è stato il primo a definire l’intossicazione da piombo come un rischio occupazionale (Waldron H., 1973). Diversi studi hanno ormai confermato che l’intossicazione da piombo determina una riduzione della facoltà intellettiva ed effetti neurotossici in particolare legati al fattore età (Landrigan PJ, et al., 1975), in uno specifico studio Canfield et al. hanno dimostrato quanto un’esposizione precoce in età infantile anche a dosi relativamente basse sia associata ad una ridotta capacità cognitiva che si protrae nell’età adulta (Canfield RL, et al., 2003). Inoltre esisterebbe una relazione di dose dipendenza tra la concentrazione ematica di piombo e gli effetti neurotossici, un incremento di 10 mg/dL della concentrazione di piombo nel sangue è stata associata ad una diminuzione del quoziente di intelligenza, ad una minore capacità di coordinamento motorio mani-occhi, di quella verbale e di relazione logica del linguaggio grammaticale (Schwartz B.S., et al. 2000; Needleman H.L., et al., 1990; Canfield R.L., et al., 2003). Questo aspetto sarebbe giustificato da diversi elementi: i bambini possono ingerire o inalare più piombo per unità di peso corporeo, sono più vulnerabili all’effetto tossico e hanno un più alto grado di 125 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 126 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE assorbimento da ingestione rispetto agli adulti. Infatti mentre questi ultimi assorbono tra il 5-15% del piombo ingerito ed in genere si ritiene che meno del 5% venga realmente assorbito, nel caso dei bambini è stato visto che in una regolare dieta possano assorbire una quantità del 40% del piombo ingerito e trattenerne oltre il 30% di questa quantità. L’effetto tossico sarebbe amplificato dal fatto che, il piombo normalmente viene depositato nel tessuto midollare, dal momento che i bambini ne possiedono in quantità minore rispetto agli adulti, il piombo resta nel circolo sanguigno libero di poter esercitare la propria tossicità in diversi distretti corporei. I bambini, inoltre, non possedendo un sistema nervoso del tutto sviluppato, soprattutto per la barriera ematoencefalica, subiscono effetti più invasivi rispetto ad un individuo adulto. Il piombo non essendo strettamente necessario all’omeostasi dell’organismo umano, può non essere metabolizzato rapidamente con un conseguente accumulo tissutale (nel sangue, nei tessuti molli, nel midollo e nei denti). Quindi valutare la concentrazione di piombo nel sangue non rappresenta un accurato indicatore di esposizione totale ma solo di esposizione recente, mentre la quantità di piombo nel midollo e nei denti è normalmente considerato un indicatore di esposizione cumulativa anche se non fornisce alcuna indicazione sul tempo e la durata della stessa. Nella maggior parte dei casi è stato rilevato che per avere un effetto di deficit neurologico è necessario un livello di piombo 40 mg/dL nel sangue (vedi tabella 3.2.2.1) (World Health Organization, 1973). La principale fonte di esposizione in età adulta è di tipo occupazionale ed è associata ad un deficit della manualità, della capacità esecutiva, della memoria e della capacità verbale (Schwartz BS, et al. 2000). Dati epidemiologici su lavoratori anziani hanno evidenziato che le funzioni cognitive si riducono progressivamente in relazione al tempo di esposizione trascorso (Stewart WF, et al., 1999), ma a questo si può aggiungere una suscettibilità individuale di tipo genetico, infatti portatori di almeno un allele per l’apolipoproteina E-4 sarebbero più sensibili all’effetto tossico del piombo (Stewart WF, et al., 2002). 126 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 127 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE Tabella II.2.2.1: concentrazione di piombo nel sangue e diversi effetti sull’uomo e sul bambino (adattata da World Health Organization, 1973). Concentrazione di piombo nel sangue (µg Pb/dl) Bambini 150 Adulti morte ]- encefalopatia neuropatia anemia colica ]]]]- emoglobina ↓ 100 -[ anemia -[ ↓ longevità 50 40 coproporfirina urinaria e δ-ALA ↑ velocità di conduzione nervosa ]- -[ encefalopatia -[ ↓ sintesi dell’emoglobina neuropatie periferiche sterilità (uomo) nefropatia ↑ coproporfirine urinarie e δ-ALA 30 -[ ↑ pressione arteriosa sistolica (uomo) ↓ acutezza uditiva metabolismo della vitamina D µ ]- 20 -[ ↑ protoporfirina eritrocitaria (uomo) -[ ↑ protoporfirina eritrocitaria (donna) protoporfirina eritrocitaria µ ]- 10 tossicità dello sviluppo ↓ QI; udito; crescita diminuzione ↓↑ aumento 1 Numerosi studi hanno riscontrato che un’esposizione persistente al piombo causa un rallentamento nella conduzione nervosa e una alterazione del metabolismo del calcio (Locktich G. 1993; Orrenius S., et al., 1992). L’interferenza con i canali ionici del Ca calmodulina-dipendenti (Markovac J., Goldstein G.W., 1988; Cheung W.Y,. 1984) provoca effetti 127 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 128 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE citotossici mediante perossidazione lipidica delle membrane cellulari con conseguente alterazione funzionale delle stesse e morte cellulare (Donaldson W.E., Knowles S.O., 1993; Shafiq-Ur-Rehman S., 1984). Dal momento che tale fenomeno sembra avvenire in specifiche aree cerebrali, si può pensare che il piombo sia presente in modo eterogeneo nel Sistema nervoso centrale (Ali S.F., Bondy S.C., 1989). Inoltre è stato rilevato che il piombo riduce l’attività dopaminergica (neurotrasmettitore calcio-dipendente) interagendo con il sistema della dopamina (Lasley S.M., 1992) e visto che il rilascio di questo neurotrasmettitore è Ca-dipendente in modo indiretto, il Pb altera il trasporto del calcio con compromissione della conduzione e della trasmissione neuronale del sistema nervoso centrale e periferico. Per alcuni autori sembra che il ruolo del piombo nella malattia di Parkinson sia dovuta all’esposizione occupazionale associata però anche al contatto con altri metalli come Fe e Cu. Ferro C’è sempre più evidenza a sostegno dell’ipotesi che il ferro sia coinvolto in diverse malattie neurodegenerative, infatti sarebbe elemento presente in tutti i meccanismi patogenetici delle malattie stesse, e nello specifico, la neuroferritinopatia e “atassia di Friedreich” sono associate a mutazioni nei geni che a loro volta codificano proteine coinvolte nel metabolismo del ferro. Il ferro viene accumulato nel cervello in funzione dell’età, particolarmente nelle regioni che sono coinvolte nella malattia di Alzheimer, determinando uno stress ossidativo e intervenendo direttamente sulla formazione della placca, attraverso i suoi effetti sul processamento della proteina precursore dell’amiloide, mentre nella malattia di Parkinson vi sarebbe un accumulo di ferro nella substantia nigra. Il ferro sarebbe all’origine di danni cellulari mediante diversi meccanismi tutti possibili fattori coinvolti nella neurodegenerazione (Zecca L. et al, 2004): 1. aumento della formazione di ROS; 2. incremento dello stress ossidativi; 3. aggregazione proteica (alfa-sinucleina). 128 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 129 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE Nelle malattie di tipo neurodegenerative si è evidenziato un aumento di deposito di ferro nelle regioni cerebrali affette da degenerazione, tale incremento nel Parkinson è riscontrabile solo nella substantia nigra degenerata (Bharath S. et al., 2002). Il ferro presente nel cervello è accumulato da neuromelanina e da ferritina la quale, sequestrandolo, svolge una azione protettiva. Nei malati di Parkinson i livelli di ferritina presenti nel cervello sono ridotti, ma questo non è riscontrabile nel liquido cerebrospinale e nel plasma, mentre la presenza della neuromelanina, prodotta dai neuroni catecolaminergici della substanzia nigra e del Locus Coereleus, è da considerare un processo di autossidazione della dopamina e della noradrenalina e un indice della vulnerabilità dei neuroni (Gibb W., 1992; Hirsh E.C. et al., 1988). La neuromelanina rappresenta la principale fonte di ferro intraneuronale, ha il ruolo di deposito endogeno di Fe (Connor J. et al., 1990; Zecca L. et al., 2001) e funge come protettore dai radicali liberi. Nello specifico la sua struttura presenta due siti di affinità per il ferro ferrico, il quale è presente in quantità maggiore nei malati di Parkinson rispetto a soggetti sani (Jellinger K. et al., 1993; Double K.L. et al., 2003). Studi in vitro, su neuroni dopaminergici mielinizzati vulnerabili alle alte concentrazioni di ferro, si è osservato che il danno è legato alla presenza del complesso Fe-neuromelanina, il quale può indurre stress ossidativo ed effetti neurotossici. La depigmentazione osservabile nella substantia nigra e nel Locus Coereleus è un’indicazione patologica importante del morbo di Parkinson. La neuromelanina sembra avere un meccanismo secondario nell’eziopatogenesi della malattia poiché l’aumento del ferro è osservabile solo in stadi avanzati della malattia. Alluminio Il cervello è particolarmente suscettibile al danno provocato dall’alluminio, essendo causa di alcune forme di neurodegenerazione e di demielinizzazione (Golub M.S. et al., 1999) è stato ben associato ad alcune forme di demenze come la sclerosi laterale amiotrofica, l’Alzheimer 129 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 130 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE e il Parkinson. È stato ossservato che le cellule della glia sono il principale target dell’azione tossica dell’alluminio (Campbell A. et al., 2001). Queste rappresentano il 90% delle cellule del sistema nervoso, sono costituite dalla microglia e macroglia (astrociti, cellule di Schwann, oligodendrociti) e svolgono diversi ruoli di supporto all’attività neuronale: 1. comunicazione tra glia e neuroni attraverso una struttura definita sinapsi tripartita, con l’ausilio di segnali mediati da ioni, neurotrasmettitori (in particolare glutammato), molecole simili agli steroidi e al cAMP rilasciate da regioni sinaptiche e non sinaptiche del neurone (Fields R.D., Stevens-Graham B., 2002); 2. gli astrociti presenti intorno ai neuroni contribuiscono ad una regolazione dell’efficacia sinaptica sul sistema nervoso centrale, regolando i livelli di glutammato nello spazio extracellulare; infatti un eccesso di questo neurotrasmettitore compromette la vitalità cellulare. Nel caso di alcune malattie come il morbo di Parkinson, la Corea di Huntington, la malattia di Alzheimer, l’ischemia cerebrale, e la sclerosi laterale amiotrofica è stato osservato un disequilibrio dell’omeostasi del glutammato che giustificherebbe il ruolo svolto dagli astrociti (O’Shea R.D., 2002); 3. le cellule gliali rappresentano un serbatoio per diverse neurotrofine, proteine in grado di legarsi ai neuroni, di trasdurre segnali intracellulari che regolano la crescita, la sopravvivenza o le funzioni neuronali (Reichardt L.F., 2003); 4. gli astrociti possono indurre caratteristiche peculiari alla barriera ematoencefalica come ridotta permeabilità paracellulare ed elevata resistenza elettrica, sono responsabili dello sviluppo, della fisiologia e della funzionalità della barriera stessa (Abbott N.J., 2002; Rieckmann P., Engelhardt B., 2003); 5. gli astrociti adulti hanno una efficiente capacità di rimuovere le fibrille di beta-amilode, quindi la disregolazione della clereance di questa proteina da parte degli astrociti può precedere o essere responsabile nel deposito rilevato nella malattia di Alzheimer (Wyss-Coray T. et al., 2003). Ciò può apparire plausibile in quanto è noto che la produzione di beta-amiloide non è solo legata al processo APP ma anche a scambi di beta-amiloide tra il cervello e il sangue e viceversa, e allo sviluppo di un sistema di 130 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 131 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE trasporto per il mantenimento di una bassa concentrazione di betaamiloide (Zlokovic B.V., 2004; De Mattos R.B., et al., 2001). Diversi studi hanno evidenziato come l’azione tossica sugli astrociti determina una ricaduta sulla sopravvivenza dei neuroni; le possibili cause di azione sarebbero: – secrezione di un fattore che renderebbe i neuroni più suscettibili alla tossicità indotta dal glutammato; – secrezione di un fattore neurotossico in presenza di glutammato; – riduzione della secrezione di un fattore protettivo dei neuroni verso la eccitotossicità del glutammato (Aremu D.A., Meshitsuka S. 2006); – blocco del rilascio da parte degli astrociti di fattori neurotrofici protettivi per i neuroni; – intervento sia sulla funzione delle cellule gliali di comunicazione intercellulare, agendo sugli ioni e i trasmettitori secreti nell’ambiente extracellulare e limitando l’attività degli astrociti, sia sui gap giunzionali attraverso strutture del citoscheletro (Theiss C., Meller K., 2002; Rothstein J.D. et al., 1996); – induzione dell’attività ossidativa dello ione superossido (Kong S. et al., 1992; Pratico D. et al., 2002); – interazione con i gruppi polari dei fosfolipidi di membrana, seguente riarrangiamento delle cariche negative con modificazione e immobilizzazione dei fosfolipidi in particolare quelli deputati al legame dei metalli e conseguente accumulo locale di substrati ossidabili (Verstraeten S.V. et al.,1997); – inibizione della idrolisi del fosfatidilinositolo difosfato a inositolo trifosfato, importante secondo messaggero, con esocitosi di alcuni neurotrasmettitori contenuti in vescicole il cui rilascio è fosfatidilinositolo difosfato dipendente (Huijbregts R.P.H. et al., 2000) interferire nell’attività della fosfolipasi D il cui ruolo è quello di organizzazione del citoscheletro (Lassing I., Lindberg U., 1985); – incremento della produzione di tumor necrosis factor alfa (TNF alfa) il quale a sua volta stimola la produzione della citochina proinfiammatoria NF-kB, con conseguente induzione dei processi infiammatori responsabili della morte dei neuroni e della proliferazione di cellule gliali reattive (Campbell A. et al., 2002); 131 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 132 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE – la presenza di alluminio nel neurone determina depolarizzazione con inibizione dello scambio Na+/Ca2+ e accumulo di Ca2+ all’interno dei mitocondri, conseguente rilascio dagli stessi del citocromo c e attivazione della apoptosi mediata dalla caspasi-9 (Savory J. et al., 2003); – determina stress a livello del reticolo endoplasmatico con attivazione della apoptosi (Ghribi O. et al., 2001); – non partecipa direttamente a reazioni redox e non sembra favorire la formazione di radicali liberi, ma è in grado di accrescere il danno ossidativo indotto dal ferro, a tal riguardo si è visto che i sali di alluminio legati al ferro aumentano la perossidasi lipidica (Gutteridge J.M.C. et al., 1985) e la produzione del radicale ossidrile stimolando così l’autossidazione della 6-idrossidopamina. Zinco Lo zinco è presente nei neuroni in forma legata o libera ma soprattutto legato al glutammato. In seguito a stimolazione, questo viene rilasciato nella sinapsi con il ruolo di stabilizzare la neurotrasmissione (Choi D.W., Koh J.Y., 1998). A livello sinaptico lo Zn compete con il calcio e penetra all’interno dei neuroni post-sinaptici attraverso i suoi canali. In condizioni fisiologiche normali lo Zn viene regolato nella sua delicata omeostasi dal legame con la proteina metallotioneina. Diversi studi hanno confermato che alte concentrazioni di Zn rilasciate tra i terminali pre-sinaptiche e la sinapsi mediano la morte del neurone (Koh J.Y. et al., 1996), tuttavia non appare ancora ben conosciuto il meccanismo attraverso cui si espleterebbe l’effetto tossico. Alcuni studi imputerebbero il fenomeno a carico dei mitocondri con diverse supposizioni: – inibizione della catena di trasporto di elettroni (Dineley K.E. et al., 2003); – inibizione della produzione di energia e induzione della depolarizzazione mitocondriale (Sensi S.L. et al., 1999); – inibizione del consumo di ossigeno e riduzione del potenziale transmembrana nei mitocondri del cervello; – inibizione del complesso mitocondriale bc1 con produzione di specie ossidanti (Dineley K.E. et al., 2003); 132 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 133 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE – danno al SNC con demielizzazione in soggetti aventi elevati contenuti sierici di Zn (Prody C.I., Holland N.R., 2000). Probabilmente il danno può essere causato da un’alta concentrazione di zinco che inibisce l’assorbimento del ferro, il quale a sua volta ha un ruolo importante nella sintesi e nel mantenimento della mielina (Connor J.R., Menzies S.L., 1996). Tuttavia lo zinco sembra implicato nel contrasto dello stress ossidativo grazie alla sua partecipazione nei meccanismi antiossidanti più importanti dell’organismo il sistema Cu-Zn-SuperOssido Dismutasi e il sistema del glutatione (Jenner P., 1993; Barker J.E. et al., 1996). Mercurio e Metilmercurio Il mercurio può essere assorbito sia in forma inorganica che organica come il metilmercurio, quest’ultimo è la forma più comune e anche la più tossica (WHO, 1976). L’esposizione dell’uomo a questo metallo può essere sia di tipo professionale che accidentale. L’assunzione di mercurio è essenzialmente legata al consumo di pesce e prodotti derivati e quindi risulta correlata con le abitudini alimentari e individuali e i gruppi di popolazione. Un importante contributo non trascurabile viene dato dalle amalgame dentali a base di Hg°, usate dai dentisti per le otturazioni. Il metilmercurio una volta in circolo si distribuisce in tutti i tessuti, nel sangue viaggia per più del 90% negli eritrociti legato alla cisteina presente nell’emoglobina, oppure si complessa con il glutatione (GSH). Così legato il metilmercurio viene trasportato e distribuito soprattutto nel sistema nervoso centrale, nel fegato, secrezioni biliari e nel rene (Mulder & Kostyniak, 1985). La concentrazione nel SNC risulta 6 volte superiore rispetto al sangue e questo è legato alla facilità con cui il metilmercurio attraversa la barriera emetoencefalica. La maggior concentrazione di metilmercurio risiede nella sostanza bianca in determinati neuroni cerebrali, midollari e del ponte, con una localizzazione selettiva nelle cellule di Purkinje, nel cervelletto e nei neuroni del nucleo dentato. La tossicità degli organomercuriali deriva dalla grande affinità del mercurio verso i gruppi tiolici che costituiscono i siti attivi di numerosi enzimi. A livello cellulare un effetto ben documentato del metilmercurio è l’inibizione della sintesi proteica nelle cellule bersaglio, interferendo anche 133 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 134 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE nella sintesi del DNA mitocondriale, nei lipidi, nella mielina, nella glutatione perossidasi, nel trasporto degli amminoacidi e del glucosio che attraversano la barriera ematoencefalica. A livello immunitario può provocare disturbi danneggiando la risposta sia primaria che secondaria con un calo sulla produzione di anticorpi, in particolare i linfociti T. Può avere anche effetti mutagenici provocando aberrazioni cromosomiali, e il motivo sembra essere legato proprio all’alta affinità del mercurio con i gruppi tiolici, ciò inibirebbe la formazione del fuso mitotico, come avviene per la colchicina, e quindi formazione di aneuploidia e iperploidia. Il mercurio può causare danni neuronali attraverso i seguenti meccanismi: – induce la formazione di ROS; – inibisce gli enzimi preposti alla detossificazione dai radicali liberi, glutatione perossidasi e superossido dismutasi (Hussain S., 1997), grazie alla formazione di coniugati con composti tiolici come il glutatione. Elevati livelli di questi coniugati si riscontrano nella SN di malati di Parkinson (Uversky V.N. et al., 2001); – determina il rilascio di Ca intracellulare (Chavez E., Holgun C.J., 1998) causando danni al sistema immunitario (Shenker B.J., 1993). Alcuni studi in vivo hanno mostrato una relazione dose-risposta fra la quantità di mercurio assorbita e lo sviluppo del Parkinson (Olson C-G, Hogsted C., 1981), per cui elevati livelli di questo elemento nel sangue e nelle urine possono essere considerati utili parametri bochimici per una possibile diagnosi precoce della malattia. Gli studi devono ancora dimostrare la correlazione tra l’insorgenza del Parkinson e le fonti di esposizione quali il cibo contaminato (pesce) e le amalgame nei denti (Ngim C.H., Devathasan G., 1989). L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha stabilito che nell’uomo la comparsa dei sintomi neurologici è associata a livelli medi di concentrazione di mercurio nel cervello di circa 5 mg/g. Studi condotti in vivo e in vitro hanno dimostrato che alcuni antiossidanti quali selenio, vitamina E (alfa-tocoferolo), vitamina C (acido ascorbico), ecc. sono capaci di ridurre gli effetti tossici del metilmercurio (WHO, 1990). L’azione protettiva è probabilmente collegata al meccanismo con cui gli stessi effetti tossici sembrano 134 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 135 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE esplicarsi, ovvero la rottura del legame C-Hg, che produrrebbe radicali liberi, responsabili della perossidazione lipidica. Una curiosità sul metilmercurio di notevole interesse risiede nel fatto che il rapporto tra la concentrazione nel sangue e capelli nell’uomo è circa 1:250. Questo rapporto è dato dall’elevata affinità del metilmercurio per i gruppi sulfidrilici che sono abbondanti nei capelli, infatti quest’ultimi sono costituiti da proteine (alfa-cheratina) relativamente ricche di residui di cisteina. Inoltre una volta legato alle proteine del capello la concentrazione rimane costante nel tempo e le variazioni si verificano solo sulla parte del capello che deve crescere non sul capello già fuoriscito dalla cute. Quindi i capelli sono accumulatori e indicatori della concentrazione di questo contaminante nell’organismo (Airey D., 1983), inoltre dalle misure longitudinali del capello si può controllare l’elevoluzione nel tempo della quantità e il periodo di esposizione dell’individuo. Questa proprietà del capello di agire come accumulatore di mercurio viene utilizzata per la misura dell’esposizione dell’uomo a metilmercurio, soprattutto in comunità a rischio. Cadmio Osservazioni su coorti di lavoratori esposti in forma acuta hanno evidenziato sintomatologia del tutto assimilabile al morbo di Parkinson (Okuda B. et al., 1997). Sedi di bioaccumulo di questo elemento sono reni, fegato, cervello, cuore e polmone, ma la sua tossicità è prevalentemente espletata a livello del fegato e del sistema nervoso attraverso la formazione di ROS e la perossidazione dei lipidi delle membrane cellulari (Shaikh Z.A. et al., 1999; Szuster-Ciesielska A. et al., 2000). Il meccanismo di azione della formazione di ROS non è ancora noto, ma un possibile meccanismo è rappresentato dall’inibizione del complesso III della catena di trasporto mitocondriale che blocca il trasferimento di elettroni, e l’accumulo della molecola semiubichinone, la quale per instabilità, cede un elettrone all’ossigeno molecolare con formazione del radicale superossido (Wang Y. et al., 2004). Studi in vivo hanno evidenziato che il Cd opera la degenerazione dei gangli basali e alterazioni dei neurotrasmettitori quali serotonina e acetilcolina (Das K.P. et al., 1993). 135 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 136 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE Calcio L’omeostasi del calcio a livello neuronale è determinante per la funzionalità delle cellule. In condizioni fisiologiche esiste nelle cellule neuronali un gradiente transmembrana tale per cui la concentrazione di Ca libero intracellulare è 4 volte inferiore a quella extracellulare. Tale rapporto è necessario per l’integrità della cellula, dal momento che, un aumento intracellulare di Ca libero o un decremento di quello extracellulare può portare alla morte neuronale (Nelson S.R., Foltz F.M., 1983). Il corretto equilibrio di bassa concentrazione di Ca libero all’interno della cellula è normalmente affidata ad un insieme di sistemi tampone (mitocondri, reticolo endoplasmatico, proteine che legano Ca e processi fosforilativi ATP-dipendenti) che sequestrano il Ca non appena entra nel citoplasma. In condizioni patologiche, quali il Parkinson e l’Alzheimer, si osserva un aumento del deposito di Ca nelle neurofibrille e una elevata calcificazione nei gangli basali a testimoniare una alterazione dei sistemi sopracitati (Cross A.J. et al., 1986; Garruto R.M. et al., 1985; Mann D.M.A., 1988). Il Ca ha un ruolo anche nel danno indotto da stress ossidativo poiche quest’ultimo causa un aumento dello stesso Ca intracellulare, inducendo degli eventi a cascata che portano a neurodegenerazione (vedi figura 3.2.3.1). Figura II.2.3.1. Schema degli effetti del Ca+2 citosolico nella degenerazione neuronale: 136 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 137 EFFETTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE Cromo Il Cr è presente in natura con due stati di valenza prevalenti: - Cr(III), la forma più stabile risulta essenziale nel metabolismo del glucosio, del colesterolo, e dei grassi; - Cr(VI), forte agente ossidante con elevata tossicità soprattutto nei riguardi del sistema nervoso e immunitario (Barceloux D.G., 1999). La tossicità di questa forma sarebbe da imputare a forme intermedie prodotte a livello cellulare come Cr(V), prodotto durante la sua riduzione a Cr(III) per mezzo della glutatione reduttasi (Stearns D.M. et al., 1995; Shi X., Datal N.S., 1990). È inoltre noto che il cromo pentavalente contribuisce alla formazione dei radicali ossido nitrico e ossidrile (Bagchi D. et al., 2002). Rame Il Cu è un elemento spesso associato ad enzimi e proteine, essenziali per il funzionamento neuronale come il sito catalitico della citocromo c ossidasi (cox) e nella Cu-Zn-SOD, enzimi implicati nella protezione dal danno ossidativo. Una carenza nell’organismo di Cu può determinare l’inattivazione della cox e della funzione mitocondriale con un conseguente incremento della produzione di ROS (Rotilio G. et al., 2000). La presenza del rame a livello del cervello è dovuta al legame con la proteina ceruloplasmina, se il legame con il rame non avviene la proteina è degradata, come si osserva in alcune malattie neurodegenerative. Tuttavia tale osservazione si pone in contrasto con quanto avviene nel liquido cerebrospinale dei pazienti affetti da Parkinson dove la sua presenza è aumentata, mentre rimane invariata a livello neuronale (Loeffler D.A. et al., 1996). Un eccesso di Cu sarebbe anche associato ad una interazione non fisiologica sia con la alfa-sinucleina nella formazione dei corpi di Lewy nel Parkinson, sia con l’omocisteina e la proteina beta-amiloide determinando la produzione di perossido di idrogeno a livello del cervello e quindi essere coinvolto in danni di tipo ossidativo (White A.R. et al., 2001; Bremner I., 1998). 137 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 138 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 139 CAPITOLO III NUOVE FILOSOFIE SPERIMENTALI 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 140 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 141 NUOVE FILOSOFIE SPERIMENTALI III. 1 INTRODUZIONE Le nuove tecnologie, basate sull’acquisizione e gestione di migliaia di informazioni in un unico esperimento, attraverso l’analisi simultanea di numerose vie e meccanismi molecolari senza precise ipotesi di partenza, seguono un approccio metodologicamente antitetico a quello sperimentale classico, basato sulla verifica di una o poche ipotesi specifiche formulate preliminarmente. Ciò comporta una nuova forma mentis in ambito sperimentale con: • una rivoluzione metodologica nella sperimentazione caratterizzata dall’identificazione di eventi associati con una patologia umana non più solo a livello di organo o sistema, ma piuttosto a livello di macro/micro-molecole differentemente alterate nelle diverse fasi delle singole condizioni morbose; • una maggiore affidabilità dei dati, una rapidità dei test e una riduzione dei costi dovuta ad una minore applicazione di protocolli sperimentali in vivo a favore di una sperimentazione più peculiare e mirata in vitro (Hartung M.T., 2005); • la possibile conciliazione dei problemi etici sollevati da più parti nell’uso di sperimentazione su animali. La finalità della tossicogenomica è combinare transcrittomica, proteomica e metabonomica con le informazioni ottenute dagli studi 141 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 142 NUOVE FILOSOFIE SPERIMENTALI tossicologici convenzionali, al fine di stabilire il rapporto di causa-effetto tra geni e stress ambientali nell’induzione dell’effetto tossico. Il principale elemento di perplessità su tale approccio, cosiddetto “omico”, è che, se da un lato esso offre la possibilità di raccogliere in un solo esperimento un enorme mole di informazioni, dall’altro queste non sono inevitabilmente associate ad un arricchimento in termini di conoscenza. L’espressione genica successiva all’esposizione ad uno o più sostanze esogene può essere infatti la conseguenza dell’attivazione di meccanismi tossicologici associati all’esposizione stessa o può riflettere semplicemente una fisiologica risposta cellulare di adattamento, sicché l’informazione che origina dalle tecnologie omiche è potenzialmente fuorviante. Attualmente da un punto di vista metodologico, le “filosofie” sperimentali applicate alle nuove tecniche di tossicologia sono due: L’analisi dei profili attraverso l’uso di correlazioni statistiche tra geni la cui espressione aumenta o si riduce nella condizione in studio, indipendentemente dalla effettiva conoscenza delle funzioni geniche e dei meccanismi alla base delle differenze osservate; questa teoria trova il suo fondamento in profonde conoscenze di tipo statistico-matematico applicate alla bioinformatica (Feldman A.L. et al., 2004). L’analisi funzionale limita l’analisi a geni la cui funzione è nota cercando di interpretare i meccanismi fisiopatologici alla base delle differenze osservate, con il fine di identificare e chiarire i meccanismi molecolari d’azione ad esempio degli xenobiotici, caratterizzarne parallelamente le tracce molecolari specifiche, utilizzabili per lo sviluppo di nuovi indicatori biologici (Waters M.D. et al., 2003). III. 2 I miRNA I microRNAs (miRNAs) costituiscono un gruppo di piccoli RNA non codificanti, identificati in vari organismi eucarioti, la cui funzione non è ancora del tutto conosciuta. Le ricerche hanno evidenziato a loro carico diverse funzioni biologiche, tra cui regolazione nella 142 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 143 NUOVE FILOSOFIE SPERIMENTALI differenziazione cellulare, nello sviluppo animale, nella proliferazione, nell’apoptosi, possibile coinvolgimento nella tumorogenesi e in alcune malattie umane (Di Leva G. et al., 2006), tra cui le patologia neurodegenerative (Lukiw W.J., 2007; Dostie J. et al., 2003) attraverso un meccanismo di repressione della regolazione genica. Questi piccoli RNA, la cui lunghezza varia dai 18 ai 22 nucleotidi, possiedono alcuni un proprio locus di codificazione, altri invece sono contenuti all’interno di regioni introniche di altre sequenze codificanti, spesso nello stesso senso; questo suggerisce che probabilmente vengano trascritti in concomitanza del loro gene ospite. Derivano da trascritti di maggiori dimensioni i pri-miRNAs dotati di una struttura a forcina, tale conformazione è essenziale per il riconoscimento e la processazione, nel nucleo, da parte di una ribonucleasi (RNAsi III, Drosha) che provvede a tagliare i pri-miRNA in frammenti di 70-100 nucleotidi (pre-miRNA) con una sequenza che li conforma ancora in una struttura secondaria a forcina non perfettamente complementare. Il taglio da premiRNA a miRNA avviene nel citoplasma ad opera della RNAsi Dicer (Hutvagner G. et al., 2001). Generalmente i miRNA vengono integrati con ribonucleoproteine in un complesso chiamato miRNP (Mourelatos Z. et al., 2002), e interagiscono con l’mRNA target attraverso la complementarità delle basi. Il loro meccanismo di azione nel silenziamento genico si realizzerebbe secondo due tipi di modalità: • la degradazione dell’mRNA bersaglio • il blocco della traduzione dello stesso. La scelta di uno o dell’altro processo è determinato dalla complementarietà di sequenza tra una porzione del mRNA e miRNA; nel caso ci sia un perfetto appaiamento, avviene il taglio dell’mRNA mediato dal complesso attraverso il patway del RNA interference (Bartel D.P., 2004). Se l’appaiamento risultante, invece, non è perfettamente complementare, il miRNA si lega ad una regione non tradotta al 3’ (3’UTR) dell’mRNA bloccandone la traduzione (Lai E.C., 2002). 143 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 144 NUOVE FILOSOFIE SPERIMENTALI Figura III.2.1. Schema della biosintesi dei miRNA e del loro processo di silenziamento genico (da Kosik K.S., 2006). Vista la loro natura regolatrice, i miRNA si trovano altamente conservati all’interno di molte specie, e in alcuni casi arrivano a costituire l’1% del genoma, mostrandosi come il componente regolatore più rappresentativo (Lagos-Quintana M. et al., 2001; Lagos-Quintana M. et al., 2002). A dimostrazione della loro importanza e quindi della loro conservazione filogenetica, diversi miRNA organo specifici espressi nel topo, sono stati ritrovati nello stesso comparto tissutale nell’uomo; nello specifico i miRNA (miR-7, -9, -124a, -124b, -125a, -125b, -128, -132, 135, -137, -139, -153, -149, -183, -190, -219) espressi nel cervello di topo, eccetto per miR-183, hanno il loro parallelo in cellule umane. Studi sulla loro espressione organo specifica, hanno evidenziato un’elevato 144 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 145 NUOVE FILOSOFIE SPERIMENTALI numero di miRNA isolati nel cervello rispetto a quelli isolati da altri organi, a dimostrazione del fatto che questi potrebbero essere coinvolti nella regolazione genica sia nella fase di sviluppo del sistema nervoso che nella differenziazione neuronale (Sempere L.F. et al., 2004). Ciò è correlato anche con una differente lunghezza e distribuzione delle porzioni 3’ UTR dei mRNA target per i geni coinvolti nel sistema nervoso, infatti quelli legati a questo tessuto hanno porzioni di circa 1.300 nucleotidi, mentre quelli di tessuti non nervosi ne possiedono circa 700 (Sood P. et al., 2006). Inoltre il cervello è un organo complesso costituito da una pluralità cellulare, di cui le cellule neuronali e gliali rappresentano la componente maggiore, non è quindi da escludere la possibilità di una espressione differenziale di miRNA diversi a seconda del tipo di cellula. Attualmente è noto che il gene LIN-28 espresso negli stadi precoci dello sviluppo neuronale, dell’ipoderma e intestinale viene inibito nella sua espressione con il procedere del differenziamento delle cellule neuronali (Sempere L.F. et al., 2004). Diversi studi stanno ponendo attenzione, quindi, al possibile ruolo regolativo dei miRNA nelle malattie neurodegenrative; ad esempio, la Atrofia Muscolare Spinale è determinata dalla perdita di funzione per mutazione o delezione a carico del gene per la proteina Survival Motor Neuron (SMN), la quale fa parte di un complesso proteico coinvolto nell’assemblaggio e ricostituzione delle strutture ribonucleoproteiche a cui sono associate dei miRNA a formare dei miRNPs. Da tali complessi estratti da diverse linee cellulari di tipo neuronale sono stati isolati numerosi miRNA di cui alcuni (miR-182a, miR-182b, miR-188, and miR-207), altamente conservati in organismi filogenicamente diversi, indicando l’importanza del loro ruolo regolativo, che insieme ad altri di più recente scoperta (miR-29c, miR-187, and miR217) sono compresi in due distinte subfamiglie con ruolo nella regolazione genica. In particolare miR-175, sarebbe coinvolto in due malattie di carattere neurologico: la Sindrome di Waisman e il Ritardo mentale legato al cromosoma X (MRX3) (Dostie J. et al., 2003). Un ulteriore supporto alla conferma del ruolo dei miRNA arriva da uno studio effettuato in vitro su cellule Purkinje, le quali esprimono una serie di miRNA specifici del tessuto neuronale. In questo contesto è stato 145 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 146 NUOVE FILOSOFIE SPERIMENTALI rilevato che una deficienza funzionale del sistema endonucleasico Dicer determina un rapido decremento di miRNA specifici per la regolazione postmitotica della sopravvivenza dei neuroni. Tuttavia l’impatto non è immediato sulla funzione cellulare, ma l’effetto neurodegenerativo sarebbe un evento a lungo termine, tale processo di degenerazione cellulare viene confermato anche in vivo dove si determina atassia sul topo a partire dalla tredicesima settimana di sperimentazione. Ciò troverebbe giustificazione del lento progredire riscontrato in alcune malattie come il Parkinson e l’Alzheimer. È possibile che una regolazione negativa dovuta all’assenza di miRNA comporti un accumulo di proteine seguita da una risposta cellulare di tipo cronico che ne determina la morte (Schaefer A. et al., 2007). La perdita di funzione di Dicer influirebbe anche sulla riduzione dei miRNA coinvolti nella regolazione di alcune malattie neurodegenerative, tra cui la malattia di Huntington, l’atrofia dentatorubropallidoluysiana e alcune atassie spinocerebellari, la cui eziologia sarebbe legata alla anomala ripetizione del trinucleotide CAG nelle regioni codificanti dei rispettivi geni (Gatchel J.R., Zoghbi H.Y., 2005). La presenza di tale dominio per la poliglutammina (polyQ) determina un’elevata neurotossicità causata da un anomalo ripiegamento strutturale delle proteine codificate e un loro accumulo intracellulare con un’alterazione o una perdita della funzione cellulare (Bilen J. et al., 2006). Esiste anche una relazione nell’espressione differenziale dei miRNA in rapporto all’età. Infatti W.J. Lukiw, in un suo lavoro realizzato su campioni di ippocampo provenienti da feti, individui adulti sani e malati di Alzheimer, ha evidenziato un pattern di espressione dei miRNA testat,i diversificato nelle tre classi di campioni, in specifico i miR-9,-125,-128 sono stati rilevati in abbondanza solo nei campioni dei soggetti malati. A questo si aggiunge che la malattia di Alzheimer è caratterizzata da un deficit di proteina sinaptica; infatti il mRNA per la sinapsina I è significativamente ridotto nella sua espressione e possiede ben 14 potenziali siti di legame nella porzione 3’ UTR, mentre il mRNA della sinapsina II è un target specifico del miR-125b (Rogaev E.I., 2005; Lukiw W.J. et al., 1996; Lukiw W.J., 2007). 146 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 147 CAPITOLO IV LO SVILUPPO COGNITIVO E LE INFLUENZE DELLE ESPERIENZE AMBIENTALI (Interazione tra geni ed ambiente) 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 148 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 149 LO SVILUPPO COGNITIVO E LE INFLUENZE DELLE ESPERIENZE AMBIENTALI Metà del genoma dell’uomo è deputata allo sviluppo del sistema nervoso centrale (snc). Questo sviluppo non è già compiuto alla nascita ma prosegue anche nei primi mesi di vita. In particolare, la corteccia preforontale, area deputata alle capacità cognitive, prosegue il suo sviluppo fino alla prima età adulta. In generale lo sviluppo del sistema nervoso centrale non è determinato solo geneticamente, ma è fondamentale l’interazione con l’ambiente perché questo avvenga nel miglior modo possibile. Una scoperta fondamentale degli ultimi anni ha messo in crisi il vecchio dogma secondo il quale nel SNC non nascano nuove cellule. È stato dimostrato per esempio che nell’ippocampo, deputato alle funzioni della memoria a lungo termine, si ha uno sviluppo neuronale anche nell’età adulta e questo sviluppo dipende in maniera preponderante dall’apprendimento e quindi dalle nuove esperienze che viviamo. Le evidenze sperimentali che spiegano lo sviluppo cognitivo emergono tutte da ricerche recenti e in generale adottano un approccio riduzionista. Questo si è reso necessario data l’enorme complessità del snc dell’uomo. Per parlare di sviluppo cognitivo è necessario approfondire anche le maggiori teorie di riferimento al riguardo. Ma prima di passare a considerare le teorie sullo sviluppo cognitivo, è necessario precisare la differenza che esiste tra i concetti di maturazione e di sviluppo. La maturazione fa riferimento a tutti i cambiamenti fisici, ivi compresi i cambiamenti a livello del SNC, che hanno la loro base nel patrimonio genetico. 149 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 150 LO SVILUPPO COGNITIVO E LE INFLUENZE DELLE ESPERIENZE AMBIENTALI Lo sviluppo invece ha la sua base nell’interazione tra la maturazione e l’apprendimento che invece è veicolato dalle esperienze ambientali. In effetti, le teorie sullo sviluppo cognitivo dei bambini si muovono su questi due estremi, ovvero, alcune focalizzano la loro attenzione prevalentemente sui processi maturativi e quindi di natura genetica, mentre altre focalizzano la loro attenzione sui processi di sviluppo dove diventa preponderante l’interazione con l’ambiente. IV. 1 IL CONTRIBUTO DI JEAN PIAGET IV.1.1 Introduzione Jean Piaget si muove nel solco della cosiddetta psicologia genetica, che focalizza la sua attenzione più sui processi maturativi che sui processi di sviluppo. Egli, attraverso l’osservazione dei suoi tre figli, Jacqueline, Lucienne e Laurent, sviluppa una delle teorie più importanti relativa allo sviluppo cognitivo. Jean Piaget identifica quattro grandi periodi di sviluppo dell’intelligenza che vanno dalla nascita e si concludono con l’adolescenza: 1. 2. 3. 4. periodo sensomotorio periodo preoperazionale periodo delle operazioni concrete periodo delle operazioni formali. La peculiarità sta nel sostenere che la velocità con cui si passa da uno stadio all’altro, anche se risulta influenzata dalle esperienze ambientali, è strettamente controllata dai processi maturativi che sono determinati biologicamente. Questo vuol dire che gli apprendimenti da soli non sono sufficienti perché il bambino passi da uno stadio al successivo. Affinché questo avvenga, è necessario che le strutture cognitive siano pronte dal punto di vista della maturazione biologica. Prima di definire i quattro stadi di sviluppo dobbiamo descrivere i meccanismi di funzionamento 150 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 151 LO SVILUPPO COGNITIVO E LE INFLUENZE DELLE ESPERIENZE AMBIENTALI delle strutture cognitive. Essi sono l’assimilazione e accomodamento (Sempio O.L., 1998). Processo di assimilazione e accomodamento regolati dall’equilibrazione L’assimilazione si caratterizza come l’incorporazione di nuove esperienze alle idee e agli schemi comportamentali o cognitivi già acquisiti. Praticamente il bambino utilizza un oggetto per compiere un’attività che già fa parte del suo repertorio motorio o decodifica un evento in base a elementi che gli sono già noti. L’esempio più immediato è il comportamento tipico dei bambini di pochi mesi di portare gli oggetti alla bocca. L’afferrare e il portare alla bocca sono comportamenti che il bambino ha già acquisito e che ripete ad ogni nuova esperienza/oggetto che gli si presenta davanti. L’accomodamento, invece, implica il cambiamento degli schemi comportamentali o cognitivi già acquisiti per poter utilizzare oggetti o decodificare eventi che fino a quel momento erano ignoti. Se ci rifacciamo all’esempio precedente, il bambino che si trova a gestire un oggetto più grande del solito, sarà costretto a sviluppare uno schema comportamentale che prevede l’uso di entrambe le mani. Entrambi questi processi sono regolati da un processo di equilibrazione, che sostanzialmente mantiene l’omeostasi nell’interazione con il mondo esterno (Oliverio Ferraris A., et al., 1999). 151 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 152 LO SVILUPPO COGNITIVO E LE INFLUENZE DELLE ESPERIENZE AMBIENTALI IV.1.2 Le fasi dello sviluppo cognitivo secondo Piaget (La psicologia genetica) Passiamo ora ad analizzare le 4 fasi dello sviluppo cognitivo così come le ha definite Jean Piaget. IV.1.3 Fase senso-motoria La fase senso-motoria si sviluppa dalla nascita e arriva fino ai 2 anni circa. Il bambino, per comprendere ciò che lo circonda, utilizza i sensi e le abilità motorie, affidandosi inizialmente ai soli riflessi e più avanti a combinazioni di capacità senso-motorie. Questa fase è suddivisa in sei sottostadi come riportato nella tabella IV.1.3.1. 152 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 153 LO SVILUPPO COGNITIVO E LE INFLUENZE DELLE ESPERIENZE AMBIENTALI Tabella IV.1.3.1. Sottostadi della fase senso-motoria. Sottostadio Caratteristiche principali 1. Comportamenti riflessi (0-1 mese) Si tratta essenzialmente di attività riflesse o automatiche, non apprese ma innate, risulta ancora assente il possesso della nozione di oggetto e di causalità. Un esempio tipico è la suzione al semplice sfiorare le labbra del bambino. 2. Reazioni circolari primarie (1-4 mesi) Si tratta di azioni orientate verso il corpo, esse vengono ripetute nell’eventualità in cui il bambino provochi qualcosa di interessante. Inizia a svilupparsi il riconoscimento dell’oggetto ma manca la sua ricerca nel momento in cui esso scompare. E’ esemplificativo di questo stadio la suzione alla vista del poppatoio. 3. Reazioni circolari secondarie (4-8 mesi) In questo caso le azioni sono orientate verso l’ambiente, inizia la permanenza dell’oggetto. Un esempio è rappresentato dai movimenti per muovere oggetti che pendono sulla testa. Il bimbo ritrova in questo periodo oggetti parzialmente nascosti. 4. Coordinazione delle reazioni circolari secondarie (8-12 mesi) Questo sottostadio è caratterizzato da azioni ripetute ma orientate verso una meta. Vi è permanenza dell’oggetto. Ordina i comportamenti in una successione temporale e lega la causalità alle attività. Esempi tipici sono la capacità di muovere o manipolare oggetti semplici per provocare un effetto, ritrovare oggetti nascosti, per esempio sotto un cuscino. 5. Reazioni circolari terziarie (12-18 mesi) L’elemento più importante in questo sottostadio è l’inizio della sperimentazione per prove ed errori nell’esplorazione delle caratteristiche di un oggetto. La permanenza dell’oggetto è ormai consolidata, è capace di ritrovarlo solo se sottoposto a spostamenti visibili, i rapporti di causalità si rafforzano. Per esempio, se non è in grado di raggiungere un oggetto chiede aiuto all’adulto, oppure tira la coperta sulla quale si trova l’oggetto che cerca. 6. Inizio del pensiero (18-24 mesi) È evidente la soluzione di semplici problemi attraverso la rappresentazione mentale (anticipazione rappresentativa), per esempio usa dei rialzi tipo una sedia, per poter raggiungere un oggetto fuori dalla sua portata. IV.1.4 Fase preoperatoria Questa fase, che va dai due ai sette anni, si caratterizza per l’egocentrismo, per cui tutto sarà riferito a se stesso, il bambino crede che tutti la pensino come lui e che capiscano i suoi pensieri, in effetti uno dei compiti più importanti di questa fase è il decentramento, ovvero cominciare a non considerare se stessi come l’unico punto di riferimento. 153 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 154 LO SVILUPPO COGNITIVO E LE INFLUENZE DELLE ESPERIENZE AMBIENTALI Inizia una rudimentale capacità di classificazione che intorno ai 4 anni raggiungerà la forma più semplice, per esempio il bimbo raggruppa tutti gli oggetti rotondi. Non è in grado però di sviluppare il principio di Inclusione, per cui non è in grado di capire che alcune classi sono contenute in altre più grandi. Il ragionamento in questa fase non è né deduttivo né induttivo ma transduttivo, ovvero, se due fatti accadono contemporaneamente, allora l’uno diventa causa dell’altro. Questa è la base del pensiero superstizioso nell’adulto. IV.1.5 Fase delle operazioni concrete Si sviluppa dai 7 agli 11 anni. In questo periodo si sviluppa il principio della conservazione, che progredirà per tutta la fase delle operazioni concrete. Il bambino, inizialmente, comprende la conservazione della forma e del peso, mentre acquisterà la conservazione dei volumi alla fine di questa fase. Tipicamente, un bambino che gioca con della creta sa che facendone delle palline la quantità resterà invariata e quindi, riunendo le palline, otterrà la stessa quantità di partenza applicando il principio della reversibilità. Diversamente, il principio della conservazione dei liquidi arriva più tardi. All’inizio di questa fase il bambino non è in grado di capire, per esempio, che il volume di liquido contenuto in un contenitore alto e stretto è lo stesso se il liquido viene travasato in un contenitore basso e largo. Questo tipo di conservazione si ottiene intorno ai dodici anni. Un’altra acquisizione tipica di questo periodo è la conservazione dei numeri, il bambino apprende che aggiungere significa rendere più grande e sottrarre vuol dire rimpicciolire. È di questo periodo l’acquisizione della logica induttiva, ovvero il bambino partirà da esperienze concrete per sviluppare principi generali ed acquisirà solo nella fase successiva la logica deduttiva. 154 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 155 LO SVILUPPO COGNITIVO E LE INFLUENZE DELLE ESPERIENZE AMBIENTALI IV.1.6 Fase delle operazioni formali Questa fase va dagli 11 ai 14 anni. Come anticipato precedentemente, è di questo periodo l’acquisizione della logica deduttiva, anche se il preadolescente non è ancora in grado di sviluppare un pensiero rigorosamente scientifico. Può quindi dedurre cosa accadrebbe se delle ipotesi fossero vere. Per esempio, se i suoi pari insultano un bambino grasso, potrebbe capire come si sentirebbe se, per ipotesi, anche lui fosse grasso. Diventa in grado di capire la relatività dei giudizi e dei punti di vista e sviluppa operazioni sui simboli, come nella geometria e nella matematica. Molto famoso è l’esperimento del pendolo ideato da Piaget. Al soggetto viene presentato un pendolo costituito da una cordicella con un piccolo solido appeso. Deve scoprire quali fattori (lunghezza della corda, peso del solido, ampiezza di oscillazione, slancio impresso al peso, che ha la possibilità di variare a suo piacere) determinano la frequenza delle oscillazioni. Lavorando su tutte le combinazioni possibili in maniera logica e ordinata, il soggetto arriverà ben presto a capire che la frequenza del pendolo dipende dalla lunghezza della sua cordicella. Poiché la ricerca sistematica di soluzioni è tipica di questo periodo, il preadolescente è anche in grado di capire non solo come le cose sono effettivamente, ma come potrebbero essere in una situazione ideale e questo sarebbe alla base della tendenza degli adolescenti a criticare la famiglia d’origine, i sistemi religiosi, sociali e politici (Canestrari R., Godino A., 1997; Del Miglio C.M., 1997). IV. 2 LO SVILUPPO COGNITIVO NELLA PROSPETTIVA DI LEV SEMYONOVICH VYGOTSKIJ IV.2.1 Introduzione Il principio fondamentale che ispira l’opera di Vygotskij è l’idea che tutti i processi mentali complessi abbiano un’origine sociale. 155 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 156 LO SVILUPPO COGNITIVO E LE INFLUENZE DELLE ESPERIENZE AMBIENTALI Ci troviamo qui sempre nell’ambito della dialettica, tra maturazione ed apprendimento, come accade con Piaget ma, a differenza di quest’ultimo, Vygotskij pone l’accento più sui processi di apprendimento che su quelli di maturazione tipici dello sviluppo per stadi concepito da Piaget. Il fulcro dei processi di apprendimento è la mediazione data dagli strumenti artificiali, come i segni linguistici che vengono usati nel linguaggio o i numeri che vengono usati nell’attività di quantificazione, tra pensiero e significato. In questo modo Vygotskij sottolinea l’importanza del paradigma storico-culturale nella comprensione dello sviluppo delle funzioni psicologiche superiori (Sempio O.L., 1998). La concezione storico-culturale dello sviluppo delle funzioni psicologiche superiori è data dalla comprensione di due aspetti fondamentali: • acquisizione degli strumenti artificiali dello sviluppo, come la lingua scritta e parlata, il calcolo, il disegno, la musica ecc. • ridefinizione della struttura stessa, dopo l’acquisizione di questi strumenti, con lo sviluppo di capacità cognitive come: attenzione volontaria, memoria logica, pensiero concettuale ecc. Questa comprensione però non avviene scomponendo gli elementi fondamentali delle funzioni psicologiche. Come diceva Vygotskij, usando l’esempio dell’acqua, idrogeno ed ossigeno da soli non hanno le stesse proprietà dell’acqua, allo stesso modo, per esempio, il pensiero ed i simboli verbali da soli non bastano a spiegare il pensiero verbale dotato di significato. In effetti senza significato i simboli matematici o linguistici sarebbero senza senso ed è il significato ad avere valore psicologico, mentre i simboli sono pura astrazione. Lavorando su questi principi Vygotskij, insieme a Lurida, marcò i confini tra sviluppo filo genetico, sviluppo storico culturale e sviluppo ontogenetico. 156 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 157 LO SVILUPPO COGNITIVO E LE INFLUENZE DELLE ESPERIENZE AMBIENTALI ′ (“classe”, • La Filogenesi o filogenetica o filogenia, dal greco ϕυλη “specie”) e Γ′ενεσις (“nascita”, “creazione”, “origine”), è lo studio dell’evoluzione della vita. È uno strumento fondamentale della sistematica che si occupa di ricostruire le relazioni di parentela evolutiva, di gruppi tassonomici di organismi a qualunque livello. La filogenesi studia origine ed evoluzione di un insieme di organismi, solitamente di una specie. Un compito essenziale della sistematica è di determinare le relazioni ancestrali fra specie note (vive ed estinte). (Tratto da Wikipedia) • Lo Sviluppo Storico-Culturale (vedi il paragrafo successivo) • L’Ontogenesi (letteralmente: genesi, cioè sviluppo, dell’ente) è l’insieme dei processi mediante i quali si compie l’evoluzione biologica del singolo essere vivente, evoluzione che quindi presenta caratteristiche peculiari che differenziano ciascun essere vivente dall’altro. Essa si contrappone alla filogenesi, ovvero all’evoluzione propria della specie a cui appartiene il singolo vivente. In alcuni casi, l’ontogenesi riproduce, soprattutto nel periodo pre-natale, perinatale e nelle prime fasi della crescita, la filogenesi, come accade, per alcuni versi, nello sviluppo dell’essere umano. (Tratto da Wikipedia) 157 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 158 LO SVILUPPO COGNITIVO E LE INFLUENZE DELLE ESPERIENZE AMBIENTALI IV.2.2 Lo sviluppo storico-culturale Le brillanti ricerche di Köhler sulla psicologia delle scimmie antropoidi e le pubblicazioni sulle ricerche etnoantropologiche, aiutarono Vygotskij e Lurija a chiarire meglio la psicologia storicoculturale. Köhler studiando le scimmie antropoidi approdò al concetto di insight. L’insight è un concetto sviluppato dalla psicologia della Gestalt, scuola a cui Köhler appartiene, nell’ambito della soluzione dei problemi (probelm solving). Esso indica una ridefinizione del sistema che permette di risolvere un “problema”. Le scimmie antropoidi che Köhler studiava, pur essendo capaci di insight, non erano in grado di ristrutturare le loro capacità cognitive conservando quanto appreso grazie all’insight. Le scimmie erano poste di fronte al problema di raggiungere una banana al di là della loro portata utilizzando oggetti che si trovavano nel loro campo visivo, in questo caso dei bastoni. Pur essendo in grado di risolvere il compito grazie all’insight e quindi all’uso dei bastoni, le scimmie, per quanto evolute fossero, non erano in grado di appropriarsi dell’oggetto usato e di trasformarlo in uno strumento artificiale, come invece avviene nell’uomo primitivo. L’uomo primitivo dopo aver utilizzato un sasso aguzzo per uccidere la preda, si appropria di questo strumento, lo migliora e lo inserisce nei fondamenti della sua cultura. Quindi l’attività degli animali nell’interazione con la natura aumenta di complessità grazie all’uso di oggetti, ma l’attività non viene modificata dall’uso dell’oggetto stesso come invece è accaduto con gli uomini primitivi e come accade oggi negli uomini, per esempio con l’uso di estensioni di memoria come gli hard disk (Oliverio Ferraris A., et al., 1999). IV.2.3 Il rapporto tra apprendimento e sviluppo mentale. La Zona di Sviluppo Prossimale Nello studio dell’apprendimento, Vygotskij non scinde l’apprendimento dallo sviluppo psichico ma li fonde allo sesso modo in cui il pensiero nel suo sviluppo si fonde con i simboli linguistici per dare il linguaggio. È così che elabora il concetto di Zona di Sviluppo 158 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 159 LO SVILUPPO COGNITIVO E LE INFLUENZE DELLE ESPERIENZE AMBIENTALI Prossimale. Per far questo egli rivaluta il concetto di imitazione, sostenendo che chi imita già possiede le stesse capacità intellettive di chi sta imitando. In sostanza, come dice Vygotskij, si tratta di capire che chi è in grado di risolvere problemi complessi per esempio di aritmetica, anche grazie ad un aiuto, è già in possesso dei principi di matematica superiore, altrimenti nessun suggerimento porterà ad alcuna soluzione. La pedagogia, così, non può non considerare lo sviluppo attuale del bambino in relazione allo sviluppo potenziale per poter costruire programmi didattici che portino alla crescita cognitiva. Se si fermasse solo allo stadio dello sviluppo attuale, l’insegnamento sarebbe sterile e non porterebbe alcun giovamento al bambino, bloccandolo in processi di pensiero vecchi. Qui Vygotskij crea un metodo operativo che deriva direttamente dalle sue teorie e pone l’accento in concreto sull’ interazione tra apprendimento sviluppo, cognitivo e contesto ambientale (Del Miglio C.M., 1997). IV. 3 LO SVILUPPO COGNITIVO SECONDO JEROME SEYMOUR BRUNER IV.3.1 Introduzione Bruner con il suo lavoro, riprende i concetti esposti da Piaget e Vygotskij li sintetizza e li sviluppa in un nuovo approccio allo studio dello sviluppo cognitivo. È però fondamentale conoscere il periodo storico in cui Bruner comincia i suoi studi per poterne tracciare un profilo più accurato (Sempio O.L., 1998). Gli studi sulla percezione portati avanti dal movimento chiamato New Look e lo sviluppo della Psicologia Cognitiva, in contrapposizione a quella Comportamentale, sono la chiave storico-culturale in cui Bruner si muove e che fanno da cornice alle teorie sullo sviluppo cognitivo che proporrà. 159 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 160 LO SVILUPPO COGNITIVO E LE INFLUENZE DELLE ESPERIENZE AMBIENTALI Groppo, Scaratti e Oranghi propongono tre punti chiave sui quali si muove il pensiero di Bruner: Questi tre temi saranno costante oggetto di studio per Bruner e verranno rielaborati alla luce delle nuove conoscenze acquisite. IV.3.2 Gli studi sulla percezione durante la nascita della psicologia Cognitiva. Durante il perdurare della prospettiva comportamentista, la psicologia aveva radicalmente centrato il focus dei suoi studi sul paradigma stimolorisposta. Gli psicologi della Gestalt, che prima e durante la seconda guerra mondiale dall’Europa si trasferirono in America, posero le basi per uno dei più chiari esempi di cambio di paradigma a livello scientifico che ebbe la sua massima espressione in psicologia. Non a caso gli studi che iniziarono a minare il paradigma comportamentista furono quelli sulla percezione. Ci si rendeva conto che l’approccio stimolo-risposta tralasciava troppe domande e dava risposte insufficienti per capire appieno il comportamento delle persone. Ciò che Pavlov e i suoi seguaci avevano dedotto dal mondo animale non era che una parte dei meccanismi d’azione della nostra mente che, nello sviluppo 160 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 161 LO SVILUPPO COGNITIVO E LE INFLUENZE DELLE ESPERIENZE AMBIENTALI del pensiero simbolico, si discosta ampiamente da quella di qualsiasi specie vivente. Bruner si formerà all’Università di Harvard, sotto la direzione del Professor Boring, in un ambiente fortemente orientato alla psicologia comportamentista che cercava di capire come si arrivasse alla rappresentazione interna del mondo partendo dai nostri organi di senso e sposando il concetto di un mondo interno come rispecchiamento del mondo esterno, posizione che cambierà radicalmente negli anni a venire. Come abbiamo detto, gli studi che misero in crisi il paradigma stimolo-risposta furono quelli sulla percezione, in particolare gli studi sulla stima delle grandezze che il movimento del New Look portava avanti intorno alla metà del Novecento. Bruner insieme a Goodman progettò nuovi esperimenti in cui si tenevano chiaramente in considerazione variabili come valori, atteggiamenti, aspettative e bisogni delle persone. I risultati dimostrarono che queste variabili non erano secondarie nella percezione, iniziava così il lavoro di superamento del paradigma comportamentista, che portò alla riscoperta della mente come elemento centrale tra lo stimolo percepito e la risposta comportamentale. Bruner e Goodman per confermare le loro teorie, chiesero ai loro soggetti, che erano studenti di dieci anni, di dare un giudizio sulla grandezza di alcune monete in corso all’epoca negli Stati Uniti appena venivano loro mostrate. Lo strumento utilizzato era un fascio di luce con il quale riprodurre la grandezza delle monete. I ragazzi erano per metà benestanti e per metà di ceto povero. I risultati dimostrarono che i ragazzi di ceto povero sopravvalutavano la grandezza delle monete e che in generale, l’errore per tutti era tanto più grande quanto più valore aveva la moneta. In questo esperimento sembra chiaro che variabili come valori, bisogni, atteggiamento e aspettative non siano trascurabili nel fenomeno della percezione (Oliverio Ferraris A., et al., 1999). IV.3.3 Lo studio sul pensiero e la formazione di categorie. Superata la prima metà del Novecento, Bruner inizia a lavorare sulla cognizione, in particolare, su come la mente forma categorie e le strategie che segue per farlo. 161 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 162 LO SVILUPPO COGNITIVO E LE INFLUENZE DELLE ESPERIENZE AMBIENTALI I primi studi al riguardo furono quelli di Clark Hull nel 1920, e di Smoke nel 1932. Il primo userà per i suoi esperimenti degli ideogrammi cinesi ovvero degli stimoli molto lontani dalla vita quotidiana di qualsiasi statunitense in quel periodo; il secondo cercherà di ovviare al problema usando una serie di figure geometriche aventi particolari relazioni spaziali. Saranno però Bruner, Goodnow e Austin nel 1956 a riprendere questo filone di ricerca creando una situazione sperimentale più chiaramente leggibile ai soggetti che affrontavano il test. L’esperimento si basava sull’uso di ottantuno carte, tutte diverse, ottenute variando quattro attributi , il colore, la forma, il numero di forme e la cornice. Ognuno di questi attributi si presentava in tre modalità in modo da ottenere, appunto, ottantuno carte. In realtà se si considerava un singolo attributo per volta, le carte potevano essere raggruppate. Lo scopo del test era inferire la categoria pensata dallo sperimentatore in base ad un esempio positivo, fornito dallo sperimentatore stesso, a cui seguivano i tentativi dei soggetti che ottenevano semplicemente una risposta positiva o negativa alla presentazione della carta da loro scelta. Le strategie che Bruner e i suoi collaboratori riuscirono a mettere in evidenza furono quattro: • Messa a fuoco conservativa: è la strategia ottimale dal punto di vista economico (ovvero il numero di scelte da effettuare) e di certezza (individuazione della categoria sottostante). Consiste nel variare un solo attributo per volta e, se la risposta dello sperimentatore è positiva, se ne deduce che l’attributo variato è ininfluente per definire la categoria, in caso di risposta negativa, ovviamente, è il contrario. • Strategia ad esame successivo: si formula una ipotesi iniziale e la si valuta. È poco complessa ma diseconomica, anche se in generale rispecchia un modo comune di comportarsi nella vita quotidiana. • Strategia ad esame simultaneo: è un processo deduttivo molto impegnativo e consiste nel valutare più ipotesi contemporaneamente. • Messa a fuoco variabile: si utilizza il caso positivo come base e si variano più attributi per volta. Potenzialmente si può individuare la categoria sottostante con meno scelte, ma solo in caso fortunato. 162 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 163 LO SVILUPPO COGNITIVO E LE INFLUENZE DELLE ESPERIENZE AMBIENTALI Questo esperimento consentì a Bruner e ai suoi collaboratori di confutare le teorie comportamentiste, per le quali i concetti/categorie sono realtà intrinseche dell’uomo e statiche, acquisite attraverso processi di relazione o per associazione e non attraverso processi di inferenza e strategie dinamiche, dettate anche dal contesto (Del Miglio C.M., 1997). IV.3.4 Lo sviluppo cognitivo (1966), Piaget e Vygotskij sintesi ed evoluzione. Bruner sarà ampiamente influenzato sia da Piaget che da Vygotskij, pur ritenendo i due studiosi in forte antitesi, l’uno concentrato sullo sviluppo stadiale quasi automatico e l’altro focalizzato sullo sviluppo quasi assistito che si concretizza nella Zona di sviluppo prossimale. Bruner condensò questo confronto interno e i suoi studi ne Lo sviluppo cognitivo, che pubblicò nel 1966. In questo libro si può vedere la sintesi degli studi dei suoi predecessori e lo sviluppo di un nuovo approccio in cui entrambe le prospettive coesistono. Il tema cardine del libro è la descrizione del sistema di rappresentazione del mondo ideato da Bruner, in cui confluiscono sia il sistema stadiale sia quello socioculturale. In effetti, se il sistema si evolve in una direzione fortemente socioculturale, Bruner lo forza, come dirà lui stesso, in un sistema in cui le modalità di rappresentazione del mondo evolvono in una sequenza cronologicamente determinata. In questo sforzo sintetizzerà l’interazione tra gli aspetti interni dello sviluppo (genetici) e gli aspetti esterni (sociali). 163 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 164 LO SVILUPPO COGNITIVO E LE INFLUENZE DELLE ESPERIENZE AMBIENTALI In un altro libro pubblicato nello stesso anno, Verso una teoria dell’istruzione, Bruner chiarirà meglio i concetti dei tre sistemi di rappresentazione. IV.3.5 I tre sistemi di rappresentazione del mondo Cronologicamente la rappresentazione attiva è il primo sistema di rappresentazione del mondo a svilupparsi. In esso è importante l’azione conoscitiva sugli oggetti, che si sviluppa tramite la loro manipolazione o il portarli alla bocca. Ci troviamo nello stadio sensomotorio di Piaget Il secondo sistema a svilupparsi è la rappresentazione iconica. Attraverso l’immagine il bambino inizierà ad estrarre informazioni, per esempio i primi sistemi di classificazione come il colore, la forma ecc..oppure imparerà a fare/imitare. Il terzo sistema, infine, è la rappresentazione simbolica. Essa appare grazie all’interiorizzazione dei sistemi simbolici, come le lettere nel linguaggio, i numeri nella matematica o le note nella musica. Questo è il sistema di rappresentazione più importante secondo Bruner, perché la cultura amplifica e potenzia le nostre capacità cognitive e mi piace ripetere anche qui l’esempio di ciò che riusciamo a fare con le estensioni di memoria forniteci dai computer. 164 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 165 LO SVILUPPO COGNITIVO E LE INFLUENZE DELLE ESPERIENZE AMBIENTALI In realtà i tre sistemi dopo la loro comparsa coesistono per cui, il modello gerarchico/cronologico in età adulta evolve in un sistema circolare (Canestrari R., Godino A., 1997). IV. 4 L’APPROCCIO RIDUZIONISTA E LE PRIME EVIDENZE SPERIMENTALI SUI PROCESSI NEURONALI CHE COINVOLGONO LA MEMORIA (L’Aplysia Californica ed il Nobel per le neuroscienze a E. R. Kandel) IV.4.1 Introduzione In un capitolo dedicato allo sviluppo cognitivo e all’interazione tra geni ed ambiente, non poteva mancare un richiamo agli studi di Kandel. Premio Nobel per la medicina nel 2000, si pone a cavallo dei due millenni, riceve il premio per gli studi compiuti nello scorso millennio e spalanca le porte alle neuroscienze come terreno di studi privilegiato per il prossimo, tanto da affermare che la biologia della mente rappresenterà per il ventunesimo secolo ciò che la biologia del gene ha rappresentato nel secolo scorso. In particolare sarà la biologia della coscienza ad essere la punta di diamante di tutta la ricerca scientifica. Ma se la gnomica ha affermato inesorabilmente che il nostro patrimonio genetico è identico per il 99.9%, la plasticità neuronale ha riaffermato l’importanza delle esperienze vissute per fare di noi persone diverse l’una dall’altra. Il nuovo muro da abbattere è lo stesso muro che la scienza ha dovuto sgretolare quando affermò che il cuore non è la sede delle emozioni, ma un muscolo che pompa sangue. Allo stesso modo la ricerca scientifica ci mostrerà che la mente non si basa su costrutti inconoscibili ma è il risultato delle fini connessioni di mille miliardi circa di neuroni, e se i neuroni sono circa mille miliardi, il numero delle loro connessioni è quasi inimmaginabile. Quasi. 165 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 166 LO SVILUPPO COGNITIVO E LE INFLUENZE DELLE ESPERIENZE AMBIENTALI IV.4.2 La memoria secondo E. R. Kandel (L’approccio riduzionista) Quando iniziò i suoi lunghi studi sperimentali sulla memoria verso la fine degli anni 50, Kandel cercò di capire se i neuroni dell’ippocampo, che sembravano coinvolti nei processi di memoria, fossero sostanzialmente diversi da altri neuroni del nostro sistema nervoso centrale (snc). I risultati non portarono grandi scoperte ma evidenziarono una realtà importantissima: l’elettro-fisiologia dei neuroni dell’ippocampo, era pressoché simile a quella degli altri neuroni. Quali erano allora le proprietà di quella parte del snc deputata alla memoria? Kandel si rese subito conto che studiare le connessioni neuronali dell’ippocampo dell’uomo era impresa pressoché impossibile, quindi sposò l’approccio riduzionista, già usato in biologia per altri scopi, nonostante la diffidenza di gran parte del mondo accademico di allora. Pensare di equiparare i processi di memoria dell’uomo a quelli di un gasteropode sollevava molte critiche. Ma Kandel era convinto che i meccanismi molecolari dell’apprendimento non avessero subito grossi mutamenti con l’evoluzione. Fu così che iniziò i suoi studi sull’ Aplysia, una lumaca di mare gigante, per i vantaggi dati dalle caratteristiche del suo sistema nervoso, la meno trascurabile delle quali è che si compone soltanto di ventimila cellule nervose, raggruppate in dieci gangli principali, di notevole spessore e quindi ideali negli studi di elettrofisiologia. Il comportamento che prese in esame fu il riflesso di retrazione della branchia, comportamento che poteva subire modifiche grazie a tre forme di apprendimento: abituazione, sensibilizzazione e condizionamento classico. • Abituazione: nell’abituazione c’è un attenuarsi della risposta comportamentale in seguito alla presentazione di stimoli neutri. Un esempio classico di abituazione è la sensazione che proviamo quando indossiamo i nostri vestiti dopo aver fatto una doccia. Inizialmente i recettori sensoriali vengono tutti attivati, però con il passare dei minuti, questa attivazione cesserà perché il snc registra che questo tipo di stimolo è sostanzialmente neutro. 166 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 167 LO SVILUPPO COGNITIVO E LE INFLUENZE DELLE ESPERIENZE AMBIENTALI • Sensibilizzazione: nella sensibilizzazione invece accade l’opposto, c’è una intensificazione della risposta comportamentale in seguito alla presentazione di stimoli nocivi. In questo caso, dopo la presentazione di stimoli nocivi, si ha sensibilizzazione anche in risposta a stimoli neutri che, se permangono senza stimoli nocivi, porteranno nuovamente al fenomeno dell’abituazione. • Condizionamento classico: fu scoperto dal fisiologo russo Ivan Pavlov. Lavorando per i suoi studi con i cani egli notò che essi cominciavano a salivare quando entrava nella loro stanza, ovvero, associavano il cibo, che è lo stimolo incondizionato perché i cani salivano sempre alla presenza di cibo, allo stimolo condizionato, ovvero Pavlov stesso, la cui presenza normalmente non dovrebbe produrre salivazione. Per confermare la sua deduzione Pavlov fece un esperimento usando come stimolo condizionato il suono di un campanello che precedeva la presentazione del cibo. Come si aspettava i cani iniziarono a salivare anche quando sentivano il suono del campanello. Kandel inizialmente lavorò sulla sensibilizzazione in Aplysia notando che, somministrando una scossa dolorosa alla coda dell’animale, si otteneva come risposta il comportamento di retrazione della branchia, anche in stimoli successivi di natura neutra. Quindi l’aplysia ricordava lo stimolo nocivo e questo ricordo si protraeva nel tempo. Se lo stimolo nocivo si presentava più volte la durata del ricordo aumentava. Quello che però Kandel non riusciva a capire era come si potessero verificare processi di apprendimento in circuiti neuronali che sostanzialmente non variavano granché da un’animale all’altro e che presentavano interconnessioni molto precise. IV.4.3 Memoria a breve termine e memoria a lungo termine in Aplysia, i meccanismi biochimici. Per affrontare questo studio Kandel ebbe l’idea di verificare l’ipotesi che Santiago Ramón y Cajal aveva proposto già nel 1894, ovvero che la memoria dipende dallo sviluppo di nuove connessioni sinaptiche. 167 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 168 LO SVILUPPO COGNITIVO E LE INFLUENZE DELLE ESPERIENZE AMBIENTALI Quello che emerse da questi nuovi studi fu la consapevolezza che effettivamente i processi di memoria dipendano dalla modifica delle connessioni sinaptiche. I geni quindi sono responsabili dell’esistenza delle connessioni, ma la loro efficacia dipende dall’esperienza. Il passo successivo negli studi di Kandel fu la dimostrazione di come avvengono i processi biochimici che portano allo sviluppo della memoria a breve termine e del consolidamento delle tracce mestiche in quella a lungo termine. Per cominciare Kandel e i suoi collaboratori cercarono di capire se fossero coinvolti nei sistemi di memoria, meccanismi di sintesi proteica. Bloccando la sintesi proteica ci si accorse che la risposta a breve termine compariva comunque. Poiché fu dimostrato che la risposta a breve termine compariva anche in caso di iniezione di cAMP nella cellula presinaptica, e poiché la sua principale funzione consiste nell’attivazione di protein-chinasi per regolare il passaggio transmembrana di calcio (e ridurre quello di potassio) attraverso i canali ionici, se ne dedusse che la memoria a breve termine dipendeva dalla regolazione della quantità di neurotrasmettitore rilasciato dalla cellula presinaptica. Quindi, dopo una serie di esperimenti che Kandel portò avanti con numerosi collaboratori, dedusse che per attivare la memoria a lungo termine fosse necessaria la sintesi di nuove proteine mentre per quella a breve termine era sufficiente la regolazione della quantità di neurotrasmettitore rilasciato dalla cellula presinaptica. Riassumendo e senza entrare nei dettagli, nella sensibilizzazione, uno stimolo nocivo provoca il rilascio di serotonina, questa a sua volta con una serie di passaggi attiva cAMP, se gli stimoli nocivi aumentano, aumenta anche la presenza di cAMP e questo rende disponibile nella cellula le protein-chinasi PKA e MAPK. Queste a loro volta, traslocano nel nucleo e attivano la trascrizione genica a partire dal fattore CREB-1. Kandel ha dimostrato che se un singolo neurone sensoriale in aplysia forma circa 1200 sinapsi, in seguito a sensibilizzazione a lungo termine queste arrivano ad essere circa 2600. Sorprendentemente però, la sensibilizzazione a lungo termine non produce un aumento di sinapsi generalizzato a tutta la cellula, bensì l’aumento di sinapsi si ha solo a livello della sinapsi interessata dagli 168 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 169 LO SVILUPPO COGNITIVO E LE INFLUENZE DELLE ESPERIENZE AMBIENTALI stimoli nocivi. Questo avviene perché lo stimolo da cui parte il processo a breve termine serve nell’immediato a rendere più efficace la sinapsi, grazie all’aumento di neurotrasmettitore ma, in caso di stimolazione continuata, la serotonina rilasciata marca specificamente la sinapsi interessata. In questo modo le proteine prodotte dall’attivazione genica grazie a CREB-1 vengono selettivamente impiegate nella sinapsi in questione (Kandel E.R., et al., 1994; Kandel E.R., 2007; Pally R., 2003). IV. 5 CENNI SU DISTURBI COGNITIVI E L’INQUINAMENTO AMBIENTALE Il cervello umano in via di sviluppo è molto più suscettibile al danneggiamento causato da agenti tossici rispetto al cervello strutturato in età adulta. La sensibilità è dovuta al fatto che durante i nove mesi di vita prenatale rappresentano il momento cruciale di tutto lo sviluppo trasformandosi da un cordone di cellule lungo la dorsale dell’ectoderma del feto ad un complesso organo formato da bilioni di cellule altamente specializzate, organizzate, interconnesse. Un corretto sviluppo cerebrale richiede che i neuroni si spostino lungo un preciso cammino dal loro punto di origine fino alla loro locazione definitiva dove stabiliscono connessioni con altre cellule sia prossime che distanti. Tutti questi processi devono avvenire in uno stretto periodo di tempo e con stadi di sviluppo che devono realizzarsi secondo una corretta sequenza. A causa della straordinaria complessità dello sviluppo del cervello umano molti sono i fattori che possono influenzare il corretto sviluppo di quest’organo, dai fattori sociali ad i fattori ambientali quale l’inquinamento da composti chimici o radiazioni. Il compito degli psicologi è quello di fare in modo che la qualità della vita, concetto oggi molto usato e abusato, non resti una parola vuota di contenuti ma sia espressione di cultura della qualità ovvero di una rete di 169 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 170 LO SVILUPPO COGNITIVO E LE INFLUENZE DELLE ESPERIENZE AMBIENTALI relazioni interne ed esterne all’azienda sanitaria, estesa ai servizi territoriali, ai professionisti, al volontariato affinché il paziente prosegua e mantenga nel tempo il proprio processo di recupero in un iter terapeutico armonico e modulato sulle sue esigenze non solo funzionali ma anche psicosociali. È sempre più chiaro il nesso causale tra patologia dei bambini/adolescenti e l’esposizione (acqua, aria, cibo) a diverse classi di xenobiotici, composti chimici o fisici dell’ambiente, dalla vita embrionale e fetale all’adolescenza. Questo porta ad una maggiore frequenza di disturbi neurologici e cognitivi (es. il caso del piombo e del mercurio o dei composti organici volatili) (Schwartz BS, et al. 2000; Needleman HL, et al., 1990; Canfield RL, et al., 2003). Questo è un tema emerso all’attenzione solo negli ultimi anni in Italia, a differenza degli USA dove riceve molte più attenzioni, soprattutto sul piano della ricerca che della sorveglianza epidemiologica. Infatti non esistono dati Italiani raccolti su base di popolazione relativi alle esposizioni ambientali nel bambino. Le informazioni a disposizione sono estremamente episodiche e assolutamente insufficienti a fornire un quadro della situazione. I bambini sono più vulnerabili all’inquinamento rispetto agli adulti, questo perché il sistema nervoso in questa età si sviluppa molto più rapidamente come anche tutto lo sviluppo cognitivo. Un corpo crescente di evidenze scientifiche associazia l’esposizione umana a inquinanti organici persistenti (POPs) con varie ripercussioni sulla salute, inclusi disturbi neuroevolutivi e interferenze sul sistema endocrino. In uno studio recente (Lee et al., 2007) lo scopo è stato quello di comparare la prevalenza dei distrurbi dell’apprendimento (LD) e i disturbi da deficit dell’attenzione (ADD) tra i bambini con diverse concentrazioni sieriche di neurotossici ambientali in un campione di popolazione USA. Lo studio è di tipo trasversale su 2246 bambini di 415 anni su cui sono stati dosati il piombo ed il cadmio, e su 278 bambini di 12-15 anni sono stati dosati i POPs. Questo è un primo studio che dimostra la correlazione positiva tra le concentrazioni sieriche dei POPs e i distrurbi dell’apprendimento nei bambini di 12-15 anni. Come ben 170 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 171 LO SVILUPPO COGNITIVO E LE INFLUENZE DELLE ESPERIENZE AMBIENTALI già sappiamo molte sostanze di origine industriale hanno effetti clinici neurotossici negli adulti, mentre gli effetti nocivi sul cervello del feto e del bambino sono invece praticamente sconosciuti (Lee D.H., et al., 2007). Siamo forse davanti alla presenza di diversi effetti tossici dosedipendenti, una silenziosa pandemia di neurotossicità le cui dimensioni sono ancora sconosciute (Grandjean P. e Landrigan P.J., 2006) e che certamente richiedono da parte della comunità scientifica un grande sforzo nel cercare di studiare e quindi prevedere la gravidà e gli effetti soprattutto a lungo termine, con particolare riferimento all’esposizione di contaminanti chimici e fisici durante tutto lo sviluppo dell’individuo che può portare allo sviluppo di malattie cronico degenerative colpendo i più svariati comparti biologici dell’uomo, compresi tutti i disturbi nella sfera del cognitivo. 171 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 172 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 173 CAPITOLO V CONCLUSIONI 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 174 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 175 CONCLUSIONI L’influenza dei vari fattori ambientali è quasi sempre vista e calcolata in termini di mutagenesi ma da un punto di vista quasi esclusivamente carcinogenico, mentre molti studi (De Magistris R. et al., 2006; Nannipieri P. et al., 1997; Naccarati A. at al., 2003; Vodicka P. at al., 2004) evidenziano l’influenza dei fattori ambientali quali induttori di alterazioni metaboliche riconducibili a molte condizioni patologiche come nel caso dell’esposizione a campi elettromagnetici che può influenzare la secrezione della melatonina, la quale ha effetti su molti processi fisiologici tra quali l’invecchiamento, la modulazione del sistema immunitario, l’inibizione della crescita tumorale e di particolare interesse lo sviluppo di disturbi neurocomportamentali e di alcune malattie neurodegenerative quali Alzheimer, Parkinson ecc. Da tempo si discute su quale sia l’impatto dell’inquinamento ambientale, fisico e chimico sulla genesi e quindi sull’incidenza e prevalenza delle malattie neurodegenerative. Gli studi sull’inquinamento ambientale hanno sempre trattato con una speciale attenzione i vari ecosistemi (acquatico il mare, terrestre campi agricoli ecc.), focalizzando l’attenzione sul notevole dispendio di energia e sui problemi sia di carattere economico che concettuali finalizzati ai soli processi di risanamento delle aree d’interesse, considerando anche, che l’inquinamento nei paesi più industrializzati ha acquistato carattere cronico (Bazzanti M. et al., 1997). Inoltre l’argomento assume un particolare significato quando ha ridondanza mondiale a causa di incidenti come nel caso di “Minamata” verificatosi appunto nel golfo di Minamata, in Giappone nei primi anni ’50, dove molti pescatori e le loro 175 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 176 CONCLUSIONI famiglie, che si nutrivano principalmente dei prodotti della loro pesca, vennero colpiti da una grave malattia che danneggiava il sistema nervoso (Inskip & Piotrowski, 1985). Le indagini portarono all’identificazione di un’elevata concentrazione di metilmercurio nei prodotti ittici pescati nella baia, e la sorgente dell’inquinamento venne identificata negli scarichi di una fabbrica limitrofa. Ciò è a supporto del fatto che nelle indagini ambientali oltre all’aspetto biologico-tossicologico-sanitario anche l’aspetto più propriamente chimico-analitico è di rilevante importanza. Per lo svolgimento di tali indagini occorre disporre di metodi analitici affidabili, sensibili e selettivi in grado di determinare anche a livelli di tracce le diverse forme in cui si presentano i vari inquinanti nei vari comparti ambientali (Caricchia A.M. et al., 1997; Morabito R. et al., 1998). Ciò è fondamentale ai fini della comprensione del destino ambientale degli inquinanti chimici (come ad esempio metalli pesanti, mercurio ecc.) e per la stima dei rischi potenziali, così da poter individuare possibili aree a rischio e quindi espressioni silenti di possibili malattie. La corretta individuazione dei parametri chimici effettivamente correlabili agli indicatori biologici è di fondamentale importanza per una significativa utilizzazione allo scopo di definire la qualità della vita. Alla luce di questo prendono un aspetto diverso i vari studi nell’ambito dei programmi di ricerca (Sturchio E. et al., 2004 e 2005), ovvero tutti quei lavori sperimentali atti a comprendere in specifico il bioaccumulo dei diversi inquinanti in alcuni gruppi animali e vegetali di interesse anche umano, dove il bioaccumulo viene quindi posto in relazione alle concentrazioni di questi composti chimici nei diversi ecosistemi per evidenziare le eventuali differenze di distribuzione delle diverse forme chimiche (es. mercurio e metilmercurio) e alle diverse abitudini alimentari e di vita degli organismi viventi sia essi facenti parte della fauna o della flora (Bellicioni S. et al., 1998; De Simone C. et al.2000; Morabito R. et al., 1999; Rossi G. et al., 1999). La possibilità di ottenere oltre al dato analitico anche indicazioni di tipo tossicologico è senza dubbio di notevole interesse applicativo. Tale 176 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 177 CONCLUSIONI possibilità deriva dal fatto che la determinazioni analitica sfrutta proprio il meccanismo alla base della tossicità dei composti in esame. Tali obiettivi permettono di affrontare i problemi riguardanti l’inquinamento ambientale non solamente con l’ausilio dei dati relativi alle sole indagini chimico-analitiche ma in un contesto più ampio attraverso valutazioni più complete, sino a giungere perfino all’identificazione di “indici di rischio” aventi un significato più complesso, anche e soprattutto da un pinto di vista biologico e in termini di “salute umana”. Il presente libro vuole essere un possibile nuovo punto di vista delle cause/effetto dell’inquinamento ambientale, un nuovo spunto per possibili correlazioni tra inquinamento ambientale, stili di vita e sviluppo di malattie. Molte malattie neurodegenerative hanno espressioni fenotipiche a noi ben note ma che hanno di ben poco noto per quanto riguarda la genomica e soprattutto i meccanismi di azione e in particolare come le alterazioni di questi processi metabolici nella complessità dei sistemi biologici vengano influenzati da fattori genetici ereditari e non, e quindi come la loro espressione/regolazione (De Fonzo V. et al.2006) possa determinare o comunque essere elemento comune nelle malattie neurodegenerative aprendo così un mondo nel comparto della ricerca scientifica nel campo dell’invisibilmente piccolo come la nuova frontiera dei microRNA (miRNA). In conclusione i risultati di questa panoramica delle problematiche trattate confermano ed evidenziano l’esigenza di integrare più tipi di metodologie, al fine di ottenere una migliore rappresentazione delle diverse situazioni di inquinamento ambientale da parte di classe di contaminanti differenti in relazione anche al tipo di patologia, distrurbo o indagine sul rischio di malattia per l’uomo, soprattutto in relazione all’insorgere e sviluppo delle malattie croniche e degenerative, con particolare intresse a quelle neurodegenerative che sono quelle che più affligono il genere umano in quanto legate al crescente aumento, se pur positivo, dell’aspettativa di vita. Nella letteratura medica degli ultimi anni, diversi autori auspicano maggiore attenzione alla diagnosi precoce e alla profilassi, quale unica 177 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 178 CONCLUSIONI via praticabile nel contrastare le malattie degenerative. È sempre meglio prevenire l’insorgere di una malattia. Un ambiente più pulito, migliori abitudini alimentari, uno stile di vita salutare e la diagnosi tempestiva delle malattie comuni riducono i costi sanitari e conducono a una migliore qualità della vita, cioè ad una minore incidenza delle malattie. Per testare e controllare i vari composti chimici sono necessari approcci precauzionali sempre più nuovi che siano anche in grado di riconoscere in maniera inequivocabile la vulnerabilità cerebrale durante tutte le fasi dello sviluppo (Grandjean P. e Landrigan P.J., 2006). 178 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 179 BIBLIOGRAFIA 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 180 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 181 BIBLIOGRAFIA – Abbott N.J., 2002 “Astrocyte–endothelial interactions and blood–brain barrier permeability.” J. Anat. Vol. 200: 629–638. – Airey D., 1983 “Total mercury concentrations in human hair from 13 countries in relation to fish consumption and location” Sci. Total. 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Eccipienti: 0,5 ml di acqua per preparazioni iniettabili, 22,5 mg di mannitolo, 0,25 mg di polossamero 188, 0,06 mg di L-metionina, 2,5 mg di alcool benzilico. Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1 * misurato con saggio biologico dell’effetto citopatico (CPE) contro uno standard interno di IFN beta1a, a sua volta calibrato contro il vigente standard internazionale NIH (GB23902531). ** prodotto tramite cellule ovariche di criceto cinese (CHO-K1) con la tecnica del DNA ricombinante. 3. FORMA FARMACEUTICA Soluzione iniettabile. Soluzione da limpida ad opalescente, con pH da 3,5 a 4,5 e osmolalità da 250 mosmol/l a 450 mosmol/l. 4. INFORMAZIONI CLINICHE 4.1 Indicazioni terapeutiche Rebif è indicato nel trattamento della sclerosi multipla con recidive. Negli studi clinici, ciò veniva caratterizzato da due o più esacerbazioni nei due anni precedenti (vedere paragrafo 5.1). Non è stata dimostrata l’efficacia nei pazienti con sclerosi multipla secondaria progressiva in assenza di esacerbazioni (vedere paragrafo 5.1). 4.2 Posologia e modo di somministrazione Rebif è disponibile in tre dosaggi: 8,8 microgrammi, 22 microgrammi e 44 microgrammi. La posologia consigliata di Rebif è di 44 microgrammi tre volte a settimana per iniezione sottocutanea. Rebif 22 microgrammi, sempre tre volte a settimana per iniezione sottocutanea, è consigliabile per i pazienti che non tollerano il dosaggio più elevato, secondo il parere del medico. Il trattamento dovrà essere iniziato sotto la supervisione di un medico esperto nel trattamento della malattia. Per i pazienti che iniziano il trattamento con Rebif, è disponibile una confezione contenente Rebif 8,8 microgrammi e Rebif 22 microgrammi, che corrisponde alle necessità del paziente durante il primo mese di inizio terapia. Bambini ed adolescenti: Non sono stati condotti studi clinici o di farmacocinetica su bambini o adolescenti. Tuttavia i pochi dati pubblicati suggeriscono che il profilo di sicurezza del medicinale in adolescenti fra 12 e 16 anni di età, che ricevono Rebif 22 microgrammi tre volte alla settimana per iniezione sottocutanea, è simile a quello osservato in pazienti adulti. Le informazioni sull’uso di Rebif in bambini al di sotto dei 12 anni di età sono molto limitate e perciò Rebif non deve essere usato in questa popolazione. 207 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 208 Prima di effettuare l’iniezione e 24 ore dopo ogni iniezione si consiglia di somministrare un analgesico antipiretico per attenuare i sintomi simil-influenzali associati alla somministrazione di Rebif. Al momento non è noto per quanto tempo i pazienti devono essere trattati. La sicurezza e l’efficacia di Rebif non sono state dimostrate oltre 4 anni di trattamento. Si raccomanda di monitorare i pazienti almeno ogni 2 anni nei primi 4 anni di trattamento con Rebif, e la decisione di proseguire con una terapia a lungo termine sarà presa dal medico in base alla situazione di ogni singolo paziente. 4.3 Controindicazioni – Inizio del trattamento in gravidanza (vedere paragrafo 4.6). – Pazienti con una storia di ipersensibilità all’Interferone beta naturale o ricombinante, o ad uno qualsiasi degli eccipienti. – Pazienti attualmente affetti da depressione grave e/o ideazioni suicide (vedere paragrafi 4.4 e 4.8) 4.4 Avvertenze speciali e precauzioni d’impiego I pazienti devono essere informati sulle più comuni reazioni avverse associate alla somministrazione di interferone beta, inclusi i sintomi della sindrome simil-influenzale (vedere paragrafo 4.8). Questi sintomi sono più evidenti all’inizio della terapia e diminuiscono in frequenza e gravità con il proseguire del trattamento. Rebif deve essere somministrato con cautela ai pazienti con disturbi depressivi pregressi o in corso ed in particolare a quelli con precedenti ideazioni suicide (vedere paragrafo 4.3). È noto che depressione e ideazioni suicide sono presenti con maggior frequenza nella popolazione dei malati di sclerosi multipla ed in associazione con l’uso dell’interferone. I pazienti in trattamento con Rebif devono essere avvisati di riferire immediatamente al loro medico l’eventuale comparsa di sintomi depressivi o ideazioni suicide. I pazienti affetti da depressione devono essere tenuti sotto stretto controllo medico durante la terapia con Rebif e trattati in modo appropriato. La sospensione della terapia con Rebif deve essere presa in considerazione (vedere anche paragrafi 4.3 e 4.8). Rebif deve essere somministrato con cautela ai pazienti con una storia di epilessia, a quelli in trattamento con farmaci anti-epilettici ed in particolare se la loro epilessia non è adeguatamente controllata dagli anti-epilettici (vedere paragrafi 4.5 e 4.8). I pazienti con malattia cardiaca, quale angina, scompenso cardiaco congestizio o aritmie, devono essere tenuti sotto stretto controllo per osservare eventuali peggioramenti delle loro condizioni cliniche durante l’inizio della terapia con Interferone beta-1a. I sintomi della sindrome simil-influenzale associati alla terapia con Interferone beta-1a possono essere fonte di stress nei pazienti con problemi cardiaci. Sono stati descritti casi di necrosi sul sito di iniezione (NSI) in pazienti in terapia con Rebif (vedere paragrafo 4.8). Per ridurre al minimo il rischio di necrosi sul sito di iniezione i pazienti devono essere informati: • di usare tecniche di iniezione asettiche • di variare il sito di iniezione ad ogni dose. Le procedure per l’auto-somministrazione devono essere periodicamente riesaminate soprattutto se si sono verificate reazioni nel sito di iniezione. Se il paziente presenta un qualsiasi tipo di lesione cutanea, accompagnata da edema o essudazione dal sito di iniezione, il paziente deve essere avvisato di consultare il proprio medico prima di continuare le iniezioni di Rebif. Se i pazienti presentano lesioni multiple, Rebif deve essere interrotto fino alla completa cicatrizzazione delle lesioni. I pazienti con lesioni singole possono continuare la terapia se la necrosi non è troppo estesa. In studi clinici con Rebif aumenti asintomatici dei livelli delle transaminasi epatiche (in particolare alanina-aminotransferasi (ALT)) sono stati frequenti e una percentuale pari al 1208 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 209 3% dei pazienti ha sviluppato incrementi delle transaminasi epatiche alti più di 5 volte il limite superiore della norma. In assenza di sintomi clinici, i livelli sierici di ALT devono essere monitorati prima dell’inizio della terapia e a 1, 3 e 6 mesi dall’inizio della terapia, e in seguito, controllati periodicamente. Una riduzione della dose di Rebif deve essere presa in considerazione nel caso i livelli di ALT siano alti più di 5 volte il limite superiore della norma e la dose deve essere gradualmente riaumentata quando i livelli enzimatici si normalizzano. Rebif deve essere somministrato con cautela nei pazienti con anamnesi di patologie epatiche significative o evidenza clinica di patologia epatica in forma attiva o abuso di alcool o incremento dei livelli di ALT (>2,5 volte i limiti superiori della norma). Il trattamento con Rebif deve essere interrotto in caso di comparsa di ittero o altri sintomi clinici di disfunzione epatica (vedere paragrafo 4.8). Rebif, come altri interferoni beta, può causare danni epatici gravi (vedere paragrafo 4.8), tra cui l’insufficienza epatica acuta. Non è noto il meccanismo d’azione dei rari casi di disfunzione epatica sintomatica. Non sono stati identificati specifici fattori di rischio. All’impiego di interferoni sono associate alterazioni degli esami di laboratorio. L’incidenza globale di queste alterazioni è leggermente più alta con Rebif 44 microgrammi che con Rebif 22 microgrammi. Pertanto, oltre ai test di laboratorio normalmente richiesti per monitorare i pazienti con la sclerosi multipla, si raccomanda di eseguire il monitoraggio degli enzimi epatici, e la conta leucocitaria con formula e la conta delle piastrine ad intervalli regolari (1,3 e 6 mesi) dopo l’inizio della terapia con Rebif e in seguito periodicamente anche in assenza di sintomi clinici. Questi controlli dovrebbero essere più frequenti quando si inizia la terapia con Rebif 44 microgrammi. I pazienti in trattamento con Rebif, possono occasionalmente sviluppare alterazioni alla tiroide o peggioramento di alterazioni preesistenti. Un test di funzionalità tiroidea deve essere effettuato al basale e, se alterato, ripetuto ogni 6-12 mesi dall’inizio del trattamento. Se i valori sono normali al basale, non è necessario un esame di controllo che deve invece essere effettuato qualora si manifesti una sintomatologia clinica di disfunzione tiroidea (vedere anche paragrafo 4.8). Cautela e stretta sorveglianza devono essere adottate nella somministrazione dell’Interferone beta-1a a pazienti con grave insufficienza renale ed epatica e a pazienti con grave mielosoppressione. Possono svilupparsi anticorpi neutralizzanti anti-Interferone beta-1a. L’esatta incidenza di tali anticorpi non è ancora definita. I dati clinici suggeriscono che tra i 24 e 48 mesi di trattamento con Rebif 44 microgrammi, circa il 13 – 14% dei pazienti sviluppa anticorpi sierici persistenti contro l’Interferone beta-1a. E’ stato dimostrato che la presenza di anticorpi attenua la risposta farmacodinamica all’Interferone beta-1a (Beta-2 microglobulina e neopterina). Sebbene l’importanza clinica della comparsa degli anticorpi non sia stata completamente chiarita, lo sviluppo di anticorpi neutralizzanti si associa ad una riduzione dell’efficacia su parametri clinici e di risonanza magnetica. Qualora un paziente dimostri una scarsa risposta alla terapia con Rebif ed abbia sviluppato anticorpi neutralizzanti, il medico rivaluterà il rapporto beneficio/rischio per proseguire o meno il trattamento con Rebif. L’uso di vari metodi per la determinazione degli anticorpi sierici e le diverse definizioni di positività degli anticorpi limitano la possibilità di confrontare l’antigenicità tra prodotti differenti. Solo scarsi dati di sicurezza ed efficacia sono disponibili nei pazienti, non in grado di deambulare, affetti da sclerosi multipla. 4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme d’interazione Non sono stati effettuati studi di interazione con Rebif (Interferone beta-1a) nell’uomo. È noto che gli interferoni riducono l’attività degli enzimi dipendenti dal citocromo epatico P450 nell’uomo e negli animali. Occorre prestare attenzione quando si somministra Rebif in associazione ad altri farmaci con stretto indice terapeutico e in larga misura dipendenti per la loro eliminazione dal sistema epatico del citocromo P450, quali antiepilettici ed alcune classi 209 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 210 di antidepressivi. Non è stata studiata in maniera sistematica l’interazione di Rebif con corticosteroidi o ACTH. Studi clinici indicano che i pazienti con sclerosi multipla possono essere trattati con Rebif e corticosteroidi o ACTH durante le riacutizzazioni. 4.6 Gravidanza e allattamento Gravidanza Sull’uso di Rebif in gravidanza, sono disponibili informazioni limitate. I dati disponibili indicano che si potrebbe verificare un aumento del rischio di aborto spontaneo. L’inizio del trattamento in gravidanza è controindicato (vedere paragrafo 4.3). Donne in età fertile Le donne in età fertile devono adottare opportune misure contraccettive. Le pazienti in trattamento con Rebif che iniziano una gravidanza o che hanno desiderio di avere figli devono essere informate sui rischi potenziali e sulla possibilità di interrompere il trattamento (vedere paragrafo 5.3). Nelle pazienti che, prima dell’inizio del trattamento, presentano un elevato tasso di ricadute, deve essere valutata, in caso di gravidanza, la decisione di interrompere il trattamento con Rebif, rischiando una grave ricaduta o di proseguire il trattamento con Rebif, aumentando il rischio di aborto spontaneo. Allattamento Non è noto se Rebif venga escreto nel latte materno. Tenuto conto del potenziale rischio di gravi effetti collaterali nei lattanti, è necessario decidere se interrompere l’allattamento o la terapia con Rebif. 4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari Sebbene riportati con frequenza ridotta, gli eventi avversi a livello del sistema nervoso centrale associati all’uso dell’interferone beta, possono alterare la capacità di guidare veicoli o di usare macchinari da parte del paziente (vedere paragrafo 4.8). 4.8 Effetti indesiderati a) Descrizione generale La più alta incidenza di reazioni avverse associate al trattamento con Rebif è correlata alla sindrome simil-influenzale. I sintomi simil-influenzali tendono ad essere maggiori all’inizio del trattamento e a diminuire di frequenza con il proseguimento del trattamento. Durante i primi 6 mesi di trattamento con Rebif il 70% circa dei pazienti potrebbe manifestare i sintomi della sindrome simil-influenzale caratteristica dell’interferone. In molti pazienti si osservano anche reazioni nel sito di iniezione, quali lievi infiammazioni o eritema. Sono frequenti aumenti asintomatici dei parametri di funzionalità epatica e riduzioni della conta leucocitaria. La maggior parte delle reazioni avverse osservate durante il trattamento con l’interferone beta1a sono lievi e reversibili, e rispondono bene a riduzioni del dosaggio. Nel caso di effetti indesiderati gravi o persistenti, a discrezione del medico, la dose di Rebif può essere temporaneamente ridotta o sospesa. b) Frequenza delle reazioni avverse Le reazioni avverse riportate di seguito sono classificate in base alla loro frequenza: Molto comuni ≥ 1/10 Comuni ≥ 1/100 – <1/10 Non comuni ≥ 1/1.000 – <1/100 Rare ≥ 1/10.000 – <1/1.000 Molto rare < 1/10.000 All’interno di ciascuna classe di frequenza, gli effetti indesiderati sono riportati in ordine decrescente di gravità. 210 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 211 Reazioni avverse rilevate nel corso di studi clinici: i dati sono stati estrapolati dai diversi studi clinici nella sclerosi multipla (placebo = 824 pazienti; Rebif 22 microgrammi tre volte alla settimana = 398 pazienti; Rebif 44 microgrammi tre volte alla settimana = 727 pazienti) e mostrano la frequenza delle reazioni avverse osservate a 6 mesi (in eccesso rispetto al gruppo trattato con placebo). Le reazioni avverse sono elencate di seguito in base alla loro frequenza e al sistema di classificazione organi medDRA Classificazione per sistemi e Molto comuni organi (≥1/10) Comuni (≥ 1/100, <1/10) Infezioni e infestazioni Patologie del sistema emolinfopoietico Ascesso al sito di iniezione Neutropenia, linfopenia, leucopenia, trombocitopenia, anemia Patologie endocrine Disfunzione tiroidea che si manifesta più frequentemente come ipotiroidismo o ipertiroidismo Disturbi psichiatrici Patologie del sistema nervoso Depressione, insonnia Cefalea Patologie gastrointestinali Diarrea, vomito, nausea Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo Prurito, rash, rash eritematoso, rash maculo-papulare Patologie del sistema muscoloscheletrico e del tessuto connettivo Mialgia, artralgia Patologie sistemiche e Infiammazione al sito condizioni relative alla sede di iniezione, reazione di somministrazione al sito di iniezione, sindrome similinfluenzale Dolore al sito di iniezione, astenia, brividi, febbre Esami diagnostici Non comuni (≥ 1/1,000, <1/100) Necrosi al sito di iniezione, nodulo al sito di iniezione Aumento asintomatico delle transaminasi 211 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 212 Reazioni avverse rilevate durante la fase post-marketing (frequenza sconosciuta) Infezioni e infestazioni: infezioni al sito di iniezione, inclusa la comparsa di cellulite Disturbi del sistema immunitario: reazioni anafilattiche Disturbi psichiatrici: tentativo di suicidio Patologie del sistema nervoso: epilessia Patologie vascolari: eventi tromboembolici Patologie epatobiliari: epatiti con o senza ittero Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo: angioedema, orticaria, eritema multiforme, reazioni cutanee simil-eritema multiforme, alopecia c) Informazioni su gravi reazioni avverse rare e/o frequenti Rebif, come altri interferoni beta, può causare danni epatici gravi. Non è noto il meccanismo d’azione dei rari casi di disfunzione epatica sintomatica. La maggior parte dei casi di danno epatico grave si manifesta durante i primi sei mesi di trattamento. Non sono stati identificati specifici fattori di rischio. Il trattamento con Rebif deve essere interrotto in caso di comparsa di ittero o di altri sintomi clinici di disfunzione epatica (vedere paragrafo 4.4) d) Reazioni avverse associabili alla classe farmacologica La somministrazione di interferoni è stata associata alla comparsa di anoressia, vertigini, ansia, aritmie, vasodilatazione, palpitazioni, menorragia e metrorragia. Un’aumentata produzione di autoanticorpi può svilupparsi durante il trattamento con interferone beta. 4.9 Sovradosaggio In caso di sovradosaggio i pazienti devono essere ricoverati in ospedale in osservazione e deve essere adottata una opportuna terapia di supporto. 5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE 5.1 Proprietà farmacodinamiche Categoria farmacoterapeutica: citochine, codice ATC: L03 AB. Gli interferoni (IFNs) sono un gruppo di glicoproteine endogene dotate di proprietà immunomodulatorie, antivirali e antiproliferative. Rebif (Interferone beta-1a) possiede la stessa sequenza aminoacidica dell’interferone beta naturale umano. Viene prodotto in cellule di mammifero (cellule ovariche di criceto cinese) ed è quindi glicosilato come la proteina naturale. L’esatto meccanismo di azione del Rebif nella sclerosi multipla è ancora oggetto di studio. La sicurezza e l’efficacia di Rebif sono state valutate in pazienti con sclerosi multipla di tipo recidivante-remittente a dosaggi compresi fra 11 e 44 microgrammi (3-12 milioni UI), somministrati per via sottocutanea 3 volte a settimana. Ai dosaggi autorizzati, è stato dimostrato che Rebif 44 microgrammi riduce l’incidenza (circa il 30% in 2 anni) e la gravità delle esacerbazioni nei pazienti con almeno 2 ricadute nei 2 anni precedenti e con un punteggio EDSS tra 0-5,0 all’ingresso nello studio. La percentuale dei pazienti con progressione della disabilità, definita come incremento di almeno un punto della scala EDSS confermato dopo tre mesi, è stata ridotta dal 39% (placebo) al 27% (Rebif 44 microgrammi). Nel corso di 4 anni, la riduzione del livello di esacerbazioni si è ridotto in media del 22% in pazienti trattati con Rebif 22 microgrammi e del 29% nei pazienti trattati con Rebif 44 microgrammi rispetto ad un gruppo di pazienti trattati con placebo per 2 anni e successivamente con Rebif 22 o 44 microgrammi per 2 anni. In uno studio della durata di 3 anni in pazienti con sclerosi multipla secondaria progressiva (EDSS 3-6,5) con evidenza di progressione clinica nei due anni precedenti e che non hanno manifestato ricadute nelle 8 settimane precedenti, Rebif non ha mostrato effetti significativi sulla progressione della disabilità, ma ha ridotto la frequenza di esacerbazioni di circa il 30%. Se la popolazione dei pazienti viene divisa in 2 sottogruppi (quelli con e quelli senza esacerbazioni nei 2 anni precedenti all’arruolamento nello studio) nel gruppo di pazienti 212 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 213 senza esacerbazioni non si osserva alcun effetto sulla disabilità mentre nel gruppo di pazienti con esacerbazioni, la percentuale di quelli che hanno mostrato una progressione della disabilità alla fine dello studio è risultata ridotta dal 70% (placebo) al 57% (Rebif 22 microgrammi e Rebif 44 microgrammi). Questi risultati, ottenuti in un sottogruppo di pazienti in un’analisi a posteriori, devono essere interpretati con cautela. Rebif non è stato ancora studiato in pazienti con sclerosi multipla primaria progressiva, quindi non deve essere utilizzato in questo gruppo di pazienti. 5.2 Proprietà farmacocinetiche Nei volontari sani, dopo somministrazione endovena, l’Interferone beta-1a presenta un declino multi-esponenziale rapido, con livelli sierici proporzionali alla dose somministrata. L’emivita iniziale è dell’ordine di minuti e quella terminale è di molte ore, per la possibile presenza di un comparto profondo. Quando somministrato per via sottocutanea o intramuscolare, i livelli sierici di interferone beta rimangono bassi, ma sono ancora misurabili fino a 12 - 24 ore dopo la somministrazione. Ai fini dell’esposizione dell’organismo all’interferone beta le vie di somministrazione sottocutanea e intramuscolare di Rebif sono equivalenti. Dopo una singola dose di 60 microgrammi, la massima concentrazione plasmatica, misurata con saggio immunologico, è compresa tra 6 e 10 UI/ml, raggiunta in un tempo medio di circa 3 ore dopo la somministrazione. Dopo la somministrazione sottocutanea di dosi uguali ripetute ogni 48 ore per 4 volte, si osserva un modesto fenomeno di accumulo (circa 2,5 x AUC). Indipendentemente dalla via di somministrazione, evidenti modificazioni della farmacodinamica sono associate alla somministrazione di Rebif. Dopo una dose singola, l’attività intracellulare e sierica della 2-5A sintetasi e le concentrazioni sieriche di beta2-microglobulina e neopterina aumentano entro 24 ore, e iniziano a diminuire entro i 2 giorni successivi. Le somministrazioni intramuscolare e sottocutanea producono risposte del tutto sovrapponibili. Dopo somministrazioni sottocutanee ripetute, ogni 48 ore per 4 volte, queste risposte biologiche rimangono elevate, senza alcun segno di sviluppo di fenomeni di tolleranza. L’Interferone beta-1a viene prevalentemente metabolizzato ed escreto dal fegato e dai reni. 5.3 Dati preclinici di sicurezza I dati non-clinici non rilevano rischi particolari per l’uomo sulla base di studi convenzionali di safety pharmacology, tossicità a dosi ripetute e genotossicità. Non sono stati effettuati studi di cancerogenesi con Rebif. È stato condotto uno studio di tossicità embrio-fetale nelle scimmie che ha mostrato l’assenza di effetti sulla riproduzione. Sulla base di osservazioni con altri interferoni alfa e beta non si può escludere un aumentato rischio di aborto. Non sono attualmente disponibili informazioni sugli effetti dell’Interferone beta-1a sulla fertilità maschile. 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE 6.1 Elenco degli eccipienti Mannitolo Polossamero 188 L-metionina Alcool benzilico Sodio acetato Acido acetico Sodio idrossido Acqua per preparazioni iniettabili 6.2 Incompatibilità Non pertinente. 6.3 Periodo di validità 18 mesi. 213 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 214 6.4 Precauzioni particolari per la conservazione Conservare in frigorifero (2°C - 8°C). Non congelare. Conservare nella confezione originale per tenerlo al riparo dalla luce. 6.5 Natura e contenuto del contenitore Rebif 44 microgrammi (Interferone beta-1a) è disponibile in confezioni da 1, 3 o 12 dosi individuali (0,5 ml) in siringa di vetro di tipo I da 1 ml con ago in acciaio inossidabile. È possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate. 6.6 Precauzioni particolari per lo smaltimento e la manipolazione La soluzione iniettabile in siringa pre-riempita è pronta per l’uso. Il prodotto può anche essere somministrato con un autoiniettore compatibile. Il prodotto non utilizzato ed i rifiuti derivati da tale medicinale devono essere smaltiti in conformità ai requisiti di legge locali. Solo per monosomministrazione. Usare unicamente una soluzione da limpida ad opalescente che non contenga particelle e segni visibili di deterioramento. 7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO SERONO EUROPE LIMITED 56, Marsh Wall Londra E14 9TP Gran Bretagna 8. NUMERI DELLE AUTORIZZAZIONI ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO EU/1/98/063/004 EU/1/98/063/005 EU/1/98/063/006 9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/ RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE Data della prima autorizzazione: 4 Maggio 1998 Data dell’ultimo rinnovo: 4 Giugno 2003 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO Agosto 2007 214 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 215 1-216 26-11-2007 14:36 Pagina 216 Copertina 13-12-2007 10:14 Pagina 2 Istituto Italiano di Medicina Sociale Via Pasquale Stanislao Mancini 28 00196 Roma Tel. 06 3200642/3 www.iims.it Open Archive: http://e-ms.cilea.it 1ª edizione, novembre 2007 ISBN 978-88-87098-64-8 Coordinamento editoriale Paolo Ferrazza Grafica Pubblishock srl - Roma Il presente volume è disponibile sul sito www.iims.it. La riproduzione è libera, con qualsiasi mezzo effettuata compresa la fotocopia, salvo citare la fonte. Paolo Ferrazza, laurea specialistica in biologia con indirizzo Biochimico-Fisiologico, Specialista in Biologia Molecolare. Ha dedicato molti anni in laboratorio alla ricerca di base in genetica molecolare umana e successivamente sulla tossicità e mutagenesi ambientale. Da molti anni si dedica alle ricerche cliniche sul sistema nervoso centrale, sta costituendo un gruppo di lavoro che si occupi di avviare delle ricerche con l’intento di mettere in relazione quanto più possibile i fattori ambientali e sociali con le malattie neurodegenerative. Attualmente è responsabile delle ricerche cliniche nella direzione medica di una società multinazionale, Advisor Scientifico della CRO Opera Srl, consulente di ricerca dell’Istituto Neurologico Mediterraneo NEUROMED. Paola Soldati, laurea specialistica in Biologia specializzata in Chimica e Tecnologia delle Sostanze Organiche Naturali. Ha dedicato molti anni alla ricerca di base nel campo della tossicologia ambientale, successivamente ha lavorato sia in laboratorio nell’ambito del controllo qualità per poi dedicarsi all’attività di ricerca clinica orientata alle malattie neurodegenerative. Andrea Fausto Lijoi, laurea specialistica in Psicologia Clinica e di Comunità, ha lavorato per dieci anni nei servizi sociali di sostegno ai disabili Psichiatrici, da molti anni si occupa di ricerca in campo Neuropsicologica. Attualmente lavora presso la Contract Research Organization Opera Srl come advisor della Neuropsicologica. Elena Sturchio, laurea specialistica in Biologia specializzata in Patologia Clinica, ha lavorato molti anni all’attività di ricerca in Biologia Molecolare applicata alla Tossicità Ambientale. Attualmente è ricercatrice presso l’Istituto Superiore di Prevenzione e Sicurezza Lavoro (ISPESL) e si occupa di sviluppo di biomarcatori di geno tossicità e di studi sul rapporto causa-effetto tra geni e stress ambientali. Membro della Commissione Interministeriale di Valutazione per le Biotecnologie. Esperto ISPELS della Commissione Interministeriale di Valutazione sugli organismi geneticamente modificati. Barbara Ficociello, laurea specialistica in Biologia specializzata in Microbiologia e Virologia, ha svolto attività di ricerca nell’ambito della patologia clinica . Attualmente svolge attività di ricerca presso l’Istituto Superiore di prevenzione e Sicurezza Lavoro ( ISPESL) nel campo della Tossicologia e Mutagenesi Ambientale. Andrea Paolillo. Medico neurologo, dottore di ricerca in Neuroscienze, ha svolto per alcuni anni attività di ricerca in Neurologia e in Neuroradiologia, autore di numerose pubblicazioni sulle malattie neurodegenerative, attualmente responsabile dell’area neurologica di un’importante società farmaceutica multinazionale. Copertina 13-12-2007 10:14 Pagina 1 A cura di: PAOLO FERRAZZA ELENA STURCHIO Autori: Depositato presso l’AIFA in data 27/11/07 PAOLO FERRAZZA ELENA STURCHIO PAOLA SOLDATI BARBARA FICOCIELLO ANDREA FAUSTO LIJOI ANDREA PAOLILLO Spunti per possibili correlazioni e approccio allo sviluppo cognitivo Presentazione e revisione Dott. GIOVANNI MARIA PIRONE Si ringrazia per il prezioso contributo: Pubblicazione fuori commercio PAOLO FERRAZZA ELENA STURCHIO Codice IMM0224 Marcella Valente Neurologa Ada Mariggiò Psicologa, Psicoterapeuta Franco Barattini Direttore Medico Opera Srl. Istituto Italiano di Medicina Sociale