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OttocentoDuemila, collana di studi storici e sul tempo presente
dell’Associazione Clionet, diretta da Carlo De Maria
Storie del territorio, 4
In copertina:
Piazza della Pace, Anni Cinquanta-Sessanta, Archivio storico del Comune di Castel Maggiore.
Carlo De Maria, Tito Menzani
(a cura di)
Castel Maggiore
dalla Liberazione a
oggi
Istituzioni locali, economia e società
BraDypUS.net
COMMUNICATING
CULTURAL HERITAGE
Bologna 2016
Ricerca storica realizzata
dall’Associazione Clionet e
pubblicata con il sostegno del
Comune di Castel Maggiore
Progetto grafico
BraDypUS
ISSN:
ISBN:
2284-4368
978-88-98392-33-9
Quest’opera è stata rilasciata con licenza Creative Commons
Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0
Internazionale. Per leggere una copia della licenza visita il
sito web http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/4.0.
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Castel Maggiore
dalla Liberazione a oggi
Istituzioni locali, economia e società
INDICE GENERALE
5
Prefazione
Belinda Gottardi
7
Nota dei curatori
Carlo De Maria, Tito Menzani
9
La politica e l’amministrazione: temi, problemi e protagonisti
Carlo De Maria
25
Gente al lavoro. Economia e imprese a Castel Maggiore
Tito Menzani
51
Associazionismo, cultura, consumi, stili di vita e tempo libero
Fabio Montella
95
I caratteri demografici e sociali della “Grande trasformazione”
Luca Gorgolini
115 Territorio e sviluppo urbano.
Un approfondimento sui piani urbanistici
Matteo Troilo
131 Percorsi fotografici
a cura di Carlo De Maria
167 Gli autori
169 Indice dei nomi
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
A cura di Carlo De Maria e Tito Menzani
Bologna (BraDypUS) 2016
ISBN 978-88-98392-33-9
p. 5-6
Prefazione
BELINDA GOTTARDI
Sindaco di Castel Maggiore
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi completa e in qualche modo chiude il
secolo breve nell’ambito della ricerca storica: si tratta infatti del quarto volume
di carattere prettamente storiografico dedicato al Novecento, dopo Castel Maggiore 1943-45 di Roberto Fregna (edito nel 1974), dopo Onore e memoria di Sanzio Campanini e Angelo Fanelli (2009), dedicato ai caduti nella Grande guerra,
dopo La pianura e il conflitto di Domenico Bruno, Enrico Cavalieri e Luca Pastore,
dedicato al periodo 1919-1946 (Marsilio, 2010).
Si tratta di uno studio affidato agli esperti dell’associazione di ricerca storica
e promozione culturale Clionet, con il determinante sostegno dell’amministrazione comunale, che ha fortemente voluto la pubblicazione di questo lavoro di
indagine storica, utile a conoscere il passato prossimo di un paese che si è fatto
città.
Questa ricerca inquadra bene la coesione, la passione e lo spirito degli anni
della ricostruzione di un paese gravemente lesionato dai bombardamenti, il
nuovo ruolo delle donne, la crescita dell’istruzione, la scoperta del divertimento
e del tempo libero, lo sviluppo industriale e il tramonto dell’agricoltura intesa
non solo come attività economica, ma anche come modello sociale, familiare,
valoriale, a favore di una modernità vissuta come una corsa verso l’espansione
che rallenta solamente negli anni Novanta.
Ma non c’è solo questo, ovviamente: conoscere la storia recente permette
di superare luoghi comuni nella percezione del passato che ha determinato il
presente, e scoprire, ad esempio, che la grande urbanizzazione di Castel Maggiore risale agli anni Settanta e Ottanta, più che al periodo successivo, e che,
al di là di alcune incongruenze urbane successivamente sanate, la crescita dei
paesi della pianura rispondeva ad un piano urbanistico intercomunale curato da
Giuseppe Campos Venuti nel quale trovò riscontro il primo Piano Regolatore di
6
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Castel Maggiore, approvato nel 1962, mentre in molte zone d’Italia la crescita
urbanistica veniva delegata agli appetiti dei costruttori inquadrati mirabilmente
nel 1963 dal film di Francesco Rosi Le mani sulla città.
Dunque Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi rappresenta un materiale
utilissimo per comprendere il presente e dare, soprattutto alle nuove generazioni, l’idea dell’enorme lavoro profuso per fare di Castel Maggiore quel buon posto
dove vivere e lavorare che oggi la nostra città rappresenta.
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Istituzioni locali, economia e società
A cura di Carlo De Maria e Tito Menzani
Bologna (BraDypUS) 2016
ISBN 978-88-98392-33-9
p. 7-8
Nota dei curatori
CARLO DE MARIA
TITO MENZANI
Clionet è un network di ricercatori con competenze plurime e trasversali, ma
con la disciplina storica come denominatore comune. Nel 2013 questa associazione ha aperto un proficuo dialogo con le amministrazioni comunali emilianoromagnole, proponendosi come interlocutore per ricerche storiche sul secondo Novecento. È vero che in una certa misura tutte le comunità hanno trascorsi
importanti o significativi, magari in età romana o medievale, oppure in epoca
rinascimentale o napoleonica, ma è altrettanto vero che le trasformazioni più
radicali e significative, quelle che più di altre hanno forgiato l’identità attuale dei
Comuni, appartengono al periodo compreso tra la Liberazione e gli anni Ottanta.
In un arco di tempo relativamente breve si sono condensati mutamenti cruciali, che nelle loro linee generali accomunano gran parte delle aree padane e
limitrofe: la democrazia politica, l’emancipazione femminile, la fine della civiltà
contadina tradizionale, il boom industriale e quello dei consumi di massa, dei
flussi migratori senza precedenti, un deciso sviluppo dell’urbanizzazione, solo
per citare i macrofenomeni più lampanti.
Se questo è un percorso evolutivo condiviso da tutti i territori emiliano-romagnoli è anche vero, però, che ogni comunità ha declinato in maniera peculiare
queste trasformazioni. E dunque le ricerche che mirano a cogliere tali specificità
possono essere definite locali, ma non localistiche, nel senso forniscono un apporto conoscitivo che si inscrive in quadro appunto più ampio.
Clionet si è occupata proprio di questo e – come detto –, in sinergia con alcune amministrazioni più sensibili verso questi temi, ha indagato i tempi e i modi
della grande trasformazione che ha traghettato i comuni usciti completamente
distrutti dalla seconda guerra mondiale verso la moderna società del benessere.
Dopo i libri su Vergato, su Granarolo e su Castenaso, abbiamo il piacere di
dare alle stampe quello su Castel Maggiore. Anche in questo caso, il taglio scelto
8
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
è quello di una ricerca puntuale e rigorosa sul piano metodologico – con abbondante utilizzo di dati statistici e di fonti archivistiche – ma nello stesso tempo
scritta in maniera gradevole, così da risultare accessibile anche a un pubblico di
non specialisti.
Il volume si apre con un saggio di Carlo De Maria che indaga la storia amministrativa castelmaggiorese, con particolare attenzione ai temi di genere e
ai nessi sinergici con i territori circostanti. Segue il contributo di Tito Menzani,
che analizza le trasformazioni dei settori agricolo, manifatturiero e dei servizi, e
si sofferma su vari aspetti di storia d’impresa, con specifica attenzione anche al
movimento cooperativo. Il terzo capitolo è di Fabio Montella ed ha un taglio di
storia sociale, con continui rimandi alla vita materiale nella Castel Maggiore di
ieri. Chiudono la ricerca i saggi di Luca Gorgolini, che si concentra sulle importanti trasformazioni demografiche, e di Matteo Troilo, che specularmente definisce la portata dei mutamenti urbanistici. Un’appendice fotografica impreziosisce
il volume, nell’intento di offrire qualche ulteriore spunto visivo.
Nel dare alle stampe le pagine che seguono, sono tanti i ringraziamenti che come
curatori del libro – a nome di tutto il gruppo di ricerca – vogliamo esprimere nei
confronti di coloro che, a vario titolo, hanno in qualche modo facilitato il nostro
lavoro. Innanzi tutto siamo riconoscenti al sindaco Belinda Gottardi e all’amministrazione tutta, che hanno creduto in questo progetto e l’hanno sostenuto
nelle sue varie fasi. Per analoghe ragioni siamo riconoscenti a Sergio Secondino,
responsabile dell’Ufficio stampa e comunicazione, che ha rappresentato un imprescindibile punto di riferimento per gli aspetti operativi del lavoro.
La ricerca si è in buona parte svolta nell’Archivio storico del Comune di Castel Maggiore; per averci agevolato nell’accesso a queste fonti desideriamo ringraziare Roberto Zanella. Siamo poi debitori nei confronti del personale della
Biblioteca di Castel Maggiore, della Biblioteca di Statistica dell’Università di Bologna, e dell’Archivio della Camera di commercio di Bologna.
Grazie, infine, a tutti i cittadini di Castel Maggiore che dopo una presentazione pubblica del progetto e dei primi risultati di ricerca – in data 4 aprile 2016,
presso la Casa del Volontariato – hanno contribuito al prosieguo del lavoro, fornendo informazioni, testimonianze, suggerimenti.
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Istituzioni locali, economia e società
A cura di Carlo De Maria e Tito Menzani
Bologna (BraDypUS) 2016
ISBN 978-88-98392-33-9
p. 9-24
La politica e l’amministrazione:
temi, problemi e protagonisti
CARLO DE MARIA
Dalle elezioni comunali del 1946 agli anni Duemila. La partecipazione delle donne al governo locale.
Il territorio di Castel Maggiore fu brutalmente colpito dalla guerra. E non fu impresa facile poterlo risollevare dopo la catastrofe bellica. Il centro abitato subì
distruzioni per circa l’80% a causa dei bombardamenti e del passaggio del fronte.
Oltre a quello della casa per chi era stato colpito dalla guerra, l’altro acuto problema sociale era l’endemica disoccupazione. I lavori pubblici favoriti dagli aiuti
internazionali permisero di alleviare entrambe queste criticità e furono pertanto
di importanza vitale. In modo simile alle Nazioni Unite, benché con minori mezzi
finanziari, anche lo Stato italiano cercò di favorire la ricostruzione e la ripartenza dei territori più in difficoltà, favorendo l’apertura di cantieri e la realizzazione
di lavori di pubblica utilità. Di notevole sollievo per le amministrazioni comunali
fu, ad esempio, il decreto legge del 10 agosto 1945, studiato appositamente per
affrontare il problema della disoccupazione invernale nelle aree rurali del paese. Si trattava di fondi messi a disposizione dal Ministero dei Lavori pubblici per
la costruzione di strade, scuole, alloggi sociali, ecc. I comuni avrebbero dovuto
rimborsare allo Stato metà della spesa sostenuta, potendo però distribuire il debito in trenta annualità.
Ma per ripartire davvero e cominciare a scrivere una nuova storia – quella
delle autonomie locali in un’Italia finalmente libera e democratica dopo il ventennio fascista – era necessario tornare il prima possibile alle urne. Non a caso
il primo voto democratico nell’Italia del dopoguerra fu quello locale. Si ricominciava dai Comuni, vero e proprio tessuto connettivo dell’intero paese.
10
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Nei mesi successivi alla Liberazione, il capoluogo di Castel Maggiore e le sue
piccole frazioni rurali rientrarono lentamente in comunicazione tra loro, facendo i conti con la situazione disastrata della rete stradale, martoriata dagli eventi
bellici. La guerra aveva aggravato la situazione socio-economica di tutto il territorio, compromettendo in particolare la continuità della produzione agricola
e dell’allevamento. In questo scenario, tra la seconda metà del 1945 e l’inizio
del 1946, mentre il Governo militare alleato stava ancora cedendo alle autorità
italiane il pieno controllo dell’area emiliana1, la propaganda politica cominciò
a svolgersi in condizioni proibitive, per la quasi assoluta mancanza di mezzi di
trasporto a disposizione dei civili e per la difficoltà degli spostamenti.
A partire dal 15 luglio 1945 gli uffici comunali e provinciali di tutto il Nord
Italia, iniziarono la «preparazione tecnica delle liste elettorali», in vista delle
prime consultazioni amministrative e politiche. A livello nazionale, ancora nel
dicembre 1945, solo 775 comuni su oltre settemila potevano dirsi pronti, con
le liste elettorali maschili e femminili già pubblicate e approvate. Lo rilevava,
non senza preoccupazione, in un’intervista all’“Avanti!”, il ministro dell’Interno,
Giuseppe Romita, che notava come a essere pronti fossero perlopiù i comuni del
Mezzogiorno (molti dei quali erano stati liberati già nel corso del 1943). Di fronte
a quei dati, secondo le parole del ministro, non era ancora possibile prevedere
quando si sarebbero tenute le amministrative, forse «nella prima o seconda domenica di marzo si potrà votare all’incirca in un quarto dei comuni»2. In realtà le
cose andarono meglio del previsto: il primo ciclo elettorale si svolse nel periodo
marzo-aprile 1946 (precisamente nei giorni 10, 17, 24, 31 marzo e 7 aprile) quando si votò in più del 70% dei comuni italiani. A Castel Maggiore, per la precisione,
si votò il 31 marzo 1946. Mentre il secondo ciclo elettorale si svolse nel periodo
autunnale, tra ottobre e novembre, quando andarono alle urne i comuni rimanenti.
In quei mesi di preparazione elettorale, la propaganda politica e il reclutamento degli iscritti da parte dei partiti si estesero sempre più anche alle donne,
ammesse per la prima volta al suffragio, in virtù del decreto legislativo 1° febbraio 1945, n. 23. Una questione, quella del suffragio femminile, che alimentava
il confronto tra Partito comunista e Democrazia cristiana:
1
Il governo italiano subentrò agli alleati nel controllo delle province emiliane solo nell’agosto
1945, circa tre mesi dopo la Liberazione. Su questo lento passaggio, si vedano le considerazioni
condotte per un altro caso di studio emiliano: Paola Borsari (a cura di), Carpi dopo il 1945. Sviluppo
economico e identità culturale, Roma, Carocci, 2005.
Quando potremo eleggere sindaci e consiglieri comunali?, intervista al ministro dell’Interno G.
Romita, in “Avanti!”, 19 dicembre 1945.
2
Carlo De Maria, La politica e l’amministrazione: temi, problemi e protagonisti
11
Nel settore della propaganda femminile i comunisti si prodigano per non offendere il
sentimento religioso della donna, per non contrariare il suo attaccamento alla chiesa
cattolica: in particolare si cerca di dimostrare che l’appartenenza al partito comunista
non vieta di frequentare la chiesa e di seguirne i riti. In questo campo, particolarmente,
il partito comunista si scontra con quello democratico cristiano che, se non l’unico,
certo è il più strenuo tra i suoi avversari3.
In effetti, anche nella pubblicistica destinata agli attivisti del Pci4, la partecipazione al voto delle donne costituiva, insieme al ritorno in patria dei prigionieri
di guerra – e anzi in misura ancora maggiore – il «principale elemento di incertezza circa il risultato della votazione». Se le migliaia di prigionieri sulla via del
ritorno, «laceri, senza mezzi, senza lavoro e, spesso, politicamente disorientati»,
minacciavano di diventare «ottime masse di manovra» per le forze conservatrici,
non era lecito farsi molte illusioni – almeno per il momento – anche sul voto
dell’elettorato femminile, «specialmente delle campagne». Era dunque necessario intensificare più che mai il lavoro di propaganda5.
Come si diceva in precedenza, un decreto legislativo approntato dal governo
Bonomi sul finire del gennaio 1945 ammise per la prima volta in Italia le donne
al voto. Ma per vedersi riconosciuto ufficialmente anche il diritto a essere elette,
le cittadine italiane dovettero attendere un altro anno e, precisamente, il decreto del 10 marzo 1946, n. 74, emanato a pochi giorni dalla prima tornata delle
elezioni comunali. Non si trattò solo e semplicemente di una “dimenticanza” in
tempi concitati di governo: in quella esitazione formale è rilevabile un chiaro
segnale di quanto il «principio della eleggibilità delle donne» suscitasse, all’interno della classe politica, «perplessità e ostacoli»6.
Procedendo a una valutazione della presenza femminile nel primo Consiglio
comunale eletto nella tornata amministrativa del 31 marzo 1946, la situazione
di Castel Maggiore si distingueva però in maniera significativa dal dato di fondo
nazionale, dove a balzare agli occhi era la presenza quasi irrilevante – e, si potrebbe dire, legata a belle eccezioni – delle donne nei nuovi consigli comunali
dell’Italia democratica. Se dunque a livello sovralocale quei bagliori di presenza
3
Questa analisi si trova in una relazione del comando generale dei carabinieri al Ministero dell’Interno, marzo-aprile 1945, e si riferisce all’area emiliano-romagnola. È citata in Patrizia Dogliani,
Maurizio Ridolfi (a cura di), 1946: i Comuni al voto. Elezioni amministrative e partecipazione delle
donne, Imola, La Mandragora, 2007, pp. 274-275.
Un buon esempio è il seguente opuscolo: Partito comunista italiano, Prepariamoci alle elezioni
amministrative, Roma, L’Unità, 1945.
4
5
Ivi, pp. 6, 13.
Anna Rossi-Doria, Diventare cittadine. Il voto alle donne in Italia, Firenze, Giunti, 1996, p. 23; Giulia Galeotti, Storia del voto alle donne in Italia. Alle radici del difficile rapporto tra donne e politica,
Roma, Biblink, 2006, p. 210.
6
12
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
politica e visibilità pubblica che si erano manifestati solo uno o due anni prima
durante la Resistenza, con forme di partecipazione alla lotta civile di liberazione, sembrarono attenuarsi alla prova del voto («da attrici a spettatrici», ancora
una volta, a causa dei tanti vincoli sociali e culturali che continuavano a ostacolare la loro piena partecipazione alla vita pubblica) 7, a Castel Maggiore invece
furono 2 le consigliere elette, Virginia Bernardi e Lina Serenari, pari al 10% sul
totale dei 20 consiglieri.
Basti ricordare che nei comuni della provincia di Bologna la presenza delle donne si fermò complessivamente al 5,7% (75 elette su un totale di 1.323
consiglieri)8, mentre nei comuni romagnoli (province di Forlì e Ravenna) su un
totale di 1.515 nuovi consiglieri comunali le donne elette furono 65, pari al 4,3%9.
Per quanto riguarda il Centro-Nord, altri dati disponibili sono relativi al Piemonte, dove la percentuale di donne elette fu ancora più bassa: 3,3% su base regionale10. In linea generale, insomma, i partiti inaugurarono il ritorno alla democrazia
elettiva considerando le donne prevalentemente un serbatoio da cui attingere
voti, ma non quadri amministrativi11. E questa sarebbe stata una caratteristica di
lungo periodo nella storia dell’Italia repubblicana.
Almeno in parte diversa, come si diceva, la situazione a Castel Maggiore dove
Virginia Bernardi entrava anche nella giunta guidata dal sindaco Amedeo Servisi
(Pci), con la delega alla Pubblica Istruzione. Era uno dei quattro assessori effettivi, insieme ai colleghi Pietro Guidetti, Dorando Rossi, Marcello Zanasi e agli
assessori supplenti Mario Mazzanti, Giuseppe Melega, tutti iscritti al Pci.
Entrambe comuniste, Bernardi e Serenari facevano parte di due generazioni
profondamente diverse12. Nata nel 1883, Virginia Bernardi entrava in consiglio
comunale a 63 anni. Si era formata tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Nove-
7
Prendiamo spunto da Mario Isnenghi, L’Italia in piazza. I luoghi della vita pubblica dal 1848 ai
giorni nostri, 2ª ed., Bologna, Il Mulino, 2004, pp. 404-405, che usa questa immagine per descrivere
la frequente esclusione o, comunque, la subordinazione delle staffette partigiane, e delle donne in
genere, nelle manifestazioni per la Liberazione che si svolsero nelle piazze italiane nell’immediato
dopoguerra.
8
Massimo Carrai, Il nuovo ceto amministrativo. Una comparazione fra i consiglieri comunali della
provincia di Bologna e della provincia di Pisa, in Dogliani, Ridolfi (a cura di), 1946: i Comuni al voto,
cit., pp. 167-184, p. 179.
9
Carlo De Maria, Patrizia Dogliani, Romagna 1946. Comuni e società alla prova delle urne, Bologna, Clueb, 2007, p. 62 e ss.
Maria Teresa Silvestrini, Rappresentanza femminile e culture politiche: il caso del Piemonte, in
Dogliani, Ridolfi (a cura di), 1946: i Comuni al voto, cit., pp. 185-206, p. 186.
10
11
Carrai, Il nuovo ceto amministrativo, cit., p. 180.
Sempre utile il lavoro di Michele Nani (a cura di), Per una storia del ceto politico bolognese
(1946-1970). Materiali sociografici sugli eletti nei Comuni e in Provincia, Bologna, Istituto storico
provinciale della Resistenza, 1999.
12
Carlo De Maria, La politica e l’amministrazione: temi, problemi e protagonisti
13
cento, prendendo il diploma di maestra. Erano i decenni nei quali in Italia e nei
paesi occidentali cominciavano a registrarsi i primi cambiamenti nella condizione femminile, e questo – come spesso accade – avvenne prima nella realtà sociale e professionale che non sul piano politico, dove le donne quasi dappertutto
rimasero ancora a lungo escluse dal voto13. In alcuni paesi europei una prima,
consistente, apertura verso il suffragio delle donne si manifestò in seguito alla
Grande guerra, dopo che negli anni del conflitto, tra il 1914 e il 1918, le donne
avevano sostituito gli uomini impegnati al fronte in molti lavori tradizionalmente maschili, ma in alcune grandi nazioni, come Italia e Francia, sarebbe stato
necessario attendere la fine della Seconda guerra mondiale. Una “lunga marcia”
verso il riconoscimento dei diritti politici che Bernardi aveva interamente attraversato.
Di quasi quarant’anni più giovane della collega, Lina Serenari era nata invece
nel 1920, crescendo dunque sotto il regime fascista. Entrata in Consiglio comunale a soli 26 anni, venne confermata anche nelle successive elezioni comunali
del 1951 e del 1956. In entrambe le occasioni entrò in Giunta, ricoprendo quindi
complessivamente il ruolo di assessore affettivo dal 1951 al 1960 e segnalandosi, di conseguenza, come protagonista di primo piano della vita pubblica del
suo Comune in uno snodo fondamentale, quello che dalla Liberazione portò fino
al boom economico. Se dal 1951 al 1956 lavorò accanto al sindaco Mario Mazzacurati (Pci)14, nel suo secondo mandato da assessora alla Pubblica Istruzione,
tra il 1956 e il 1960, Lina Serenari lavorò spalla a spalla con uno dei principali
protagonisti della vita politico-amministrativa di Castel Maggiore nel secondo
dopoguerra. Il riferimento è al socialista Carlo Garulli (classe 1929) che, dopo
esser stato assessore ad appena 21 anni con Mazzacurati, fu poi sindaco della
città per tre mandati, dal 1956 al 1970, prima per il Psi e poi, dopo la scissione
del 1964, per il Psiup15.
Serenari, e come lei Garulli, facevano parte di quella generazione efficace-
Nel 1894 era arrivato il primo storico successo del movimento suffragista britannico, con l’ottenimento del diritto al voto per le donne nelle elezioni locali. Ma si trattava di una eccezione a
livello europeo.
13
All’interno di una giunta composta dagli assessori effettivi: Martino Bondì (Psi), Mario Carati
(Pci), Carlo Garulli (Psi), e dagli assessori supplenti: Olindo Baratti (Psi) e Adelmo Crescimbeni (Pci).
Una squadra di governo che, rispetto agli anni precedenti, si caratterizzava dunque anche per una
qualificata presenza socialista, nell’ambito di quella alleanza tra Pci e Psi che si era creata fin dagli
anni Trenta in chiave antifascista e che, a livello locale e regionale, sarebbe durata fino alle soglie
degli anni Ottanta.
14
15
A proposito della vicenda politica della sinistra socialista, cfr. Learco Andalò, Davide Bigalli,
Paolo Nerozzi (a cura di), Il Psiup: la costituzione e la parabola di un partito (1964-1972), Bologna,
Bradypus, 2015.
14
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
mente definita come i “giovani del ’45”16, ragazzi e ragazze di vent’anni o poco
più, maturati in fretta nel drammatico contesto bellico dei primi anni Quaranta,
e che spesso divennero i nuovi quadri del sindacato, dei partiti di sinistra e delle
amministrazioni locali “rosse” nel dopoguerra. Si trattava di giovani fortemente impegnati, solitamente usciti dall’esperienza della lotta clandestina e della
guerra partigiana. Militanti e attivisti molto intraprendenti, altrettanto inesperti
di questioni politiche e amministrative e tuttavia capaci di “bruciare le tappe”
all’interno delle rispettive organizzazioni – la Cgil, il Pci, il Psi – che ebbero la
capacità di investire su di loro per formare, a partire dalle amministrazioni locali,
una nuova classe dirigente.
Ci si muoveva del resto seguendo indicazioni chiare. Per tutto il periodo della
“ricostruzione”, ad esempio, la linea politica tenuta dalle giunte di Castel Maggiore fu tesa a sviluppare quella immagine di un «Comune del popolo» che fu assolutamente tipica negli enti locali emiliani tra anni Quaranta e Cinquanta. L’esempio catalizzatore era quello di Bologna, la più importante città dell’Europa
occidentale governata da un partito comunista. «Il Comune è di tutti i cittadini»,
affermava in quegli anni il sindaco di Bologna Giuseppe Dozza, ma «deve però
preoccuparsi in particolare modo [...] di sollevare le categorie più diseredate che
costituiscono il maggior numero dei cittadini stessi». Una impostazione ideale
che si traduceva in pratica grazie all’uso mirato degli strumenti amministrativi e
attraverso proposte specifiche: ad esempio, la differenziazione, a vantaggio dei
lavoratori, delle tariffe del gas e dei trasporti o l’aumento del minimo imponibile
nell’imposta di famiglia17. Sulla stessa lunghezza d’onda, il sindaco comunista
Mazzacurati nel suo discorso di insediamento affermava davanti al Consiglio
comunale di Castel Maggiore, nell’estate 1951: «La nuova amministrazione non
è una amministrazione di questo o di quel partito ma di uomini del popolo che
conoscono e sentono i suoi bisogni, le sue necessità»18.
Ci si muoveva insomma lungo uno spartito ben chiaro e tuttavia, approfondendo l’analisi, ogni amministrazione locale mostrava determinate peculiarità
e sensibilità: nel caso di Castel Maggiore si notano, ad esempio, una partecipazione femminile al governo locale nettamente sopra la media e una attenzione
particolarmente spiccata al tema del welfare locale e alle sinergie tra pubblico
e privato nella gestione dei servizi sociali (temi sui quali rinviamo al paragrafo
successivo). L’accostamento dei due elementi non è da considerarsi casuale dal
momento che proprio nella vita delle donne le zone di confine tra sfera privata
16
L’espressione venne usata da Armando Cossutta in un articolo su “l’Unità”, 24 dicembre 1977.
Marco Cammelli, Politica istituzionale e modello emiliano: ipotesi per una ricerca, in “Il Mulino”,
1978, n. 259, pp. 743-767, p. 746.
17
18
Archivio storico del Comune di Castel Maggiore (d’ora in poi Ascm), Atti del Consiglio comunale.
Carlo De Maria, La politica e l’amministrazione: temi, problemi e protagonisti
15
e sfera pubblica (tra i lavori di cura e l’impegno pubblico) sono solitamente più
estese e complesse che non in quella degli uomini.
Abbiamo già detto dello scarso numero di donne candidate ed elette nei
consigli comunali del 1946 e della parziale eccezione costituita dal Comune di
Castel Maggiore. Sul piano nazionale, nei decenni successivi la presenza femminile, invece di incrementarsi, diminuì ulteriormente, quasi ovunque. All’inizio
degli anni Settanta, in Italia, le donne erano solamente il 2,1% del totale degli
amministratori, l’1,8% degli assessori e l’1,2% dei sindaci19. Ancora nel 1984 su un
totale di 148.565 amministratori comunali solo 7.982 erano donne (5,4%). E la
loro presenza diventava meno incisiva via via che si passava dalla carica di semplice consigliere (5,9%) a quella di assessore (5,4%) e a quella di sindaco (2,4%)20.
Diversamente a Castel Maggiore la presenza delle donne in Consiglio si confermò generalmente più alta che altrove: nel 1951 vennero elette in Consiglio
la già citata Serenari e la giovanissima Aldina Damiani, operaia comunista di
22 anni (mantenendo il dato del 10% registrato nel 1946); nel 1956 la presenza
femminile raddoppiò, vedendo l’entrata in Consiglio, insieme alla Serenari, di
Silvana Magagni (Pci), Lina Proni (Dc) e Anna Arbizzani (Dc) per una percentuale
complessiva del 20% (4 donne sul totale di 20 consiglieri). Si raggiungeva così un
picco “storico” nella rappresentanza femminile in Consiglio comunale; un dato
a cui contribuivano in misura uguale i due maggiori partiti italiani, quello comunista e quello democristiano. Nei due successivi mandati di Garulli, 1960-64 e
1964-70, si registrò una sorta di “riflusso” per quanto riguarda la partecipazione
femminile all’amministrazione locale: nessun assessorato fu affidato alla guida
di una donna, né nel 1960 né nel 1964, e la percentuale di consigliere comunali
tornò al 10%, con l’ingresso in Consiglio comunale di 2 donne su un totale di
20 consiglieri: nel 1960 Silvana Magagni (Pci) e Edma Tolomelli (Pci), nel 1964
ancora Silvana Magagni, insieme alla compagna di partito Elvira Masina. In sostanza, rispetto al 1956, era venuto meno il contributo alle “quote rosa” della
Democrazia cristiana, mentre si confermava una certa sensibilità su questo tema
all’interno del Pci di Castel Maggiore.
Gli anni Settanta furono caratterizzati dalle due giunte guidate dal sindaco
comunista Amedeo Mazzoni, con la partecipazione dei socialisti. Lungo quel decennio si verificò, a livello locale e nazionale, una ripresa dell’impegno diretto
delle donne nella vita politica, sicuramente da collegare anche alla nascita del
movimento femminista. Questo fu visibile a Castel Maggiore a partire dalle elezioni comunali del 1975, quando entrarono in consiglio comunale 4 donne (Na-
Gianfranco Bettin, Per una ricerca sulla leadership municipale, in Luciano Cavalli et al., Leadership e democrazia, Padova, Cedam, 1987, pp. 433-461, p. 445.
19
20
Ibidem.
16
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
dia Antinori, Claudia Cattabriga, Girolama Renda Luppi, Giampaola Salsini) su
un totale di 20 consiglieri riportando la percentuale della presenza femminile al
20%. Una di loro, la comunista Salsini, entrò anche nella giunta comunale, dove
le donne mancavano ormai da quindici anni21.
L’alleanza tra Pci e Psi, rotta da tempo a livello nazionale (fin dalla nascita
del primo centro-sinistra all’inizio degli anni Sessanta) si esaurì anche a livello
locale e provinciale all’inizio degli anni Ottanta. Quel decennio fu caratterizzato
a Castel Maggiore dalle due giunte monocolore comuniste guidate da Renzo
Maresti. Nelle elezioni del 1980 si confermava il dato del 20% circa la partecipazione femminile al consiglio comunale con 4 elette su 20 consiglieri (Claudia
Cattabriga, Maura Guerrini, Maria Mazzoni, Morena Piccini). La comunista Cattabriga entrava anche in Consiglio comunale come assessora supplente (unica
donna in giunta). Una importante novità arrivò cinque anni più tardi e non venne
dal partito di maggioranza (il Pci) ma dall’opposizione, che decise di candidare
a sindaco la consigliera Maura Guerrini22. Il Consiglio comunale rielesse a maggioranza Renzo Maresti.
Una vera e propria svolta arrivò nel 1990, quando, in concomitanza con la crisi ormai conclamata dei partiti della “Prima repubblica”, le elezioni amministrative di quell’anno decretarono l’ingresso nel Consiglio comunale di ben 10 donne
su un totale di 30 consiglieri. Tra loro esordiva Belinda Gottardi, attuale sindaco
di Castel Maggiore. Insieme a lei, Donatella Barbini, Angela Baschieri, Nadia Belletti, Valeria Betti, Leana Bichecchi, Vera Ciardo, Gabriella Ercolini, Maura Guerrini e Laura Santagada. Ciardo ed Ercolini entravano anche nella giunta guidata
da Mauro Grazia, già assessore nelle due giunte guidate da Renzo Maresti negli
anni Ottanta.
Nel 1995, per la prima volta una donna diventava sindaco di Castel Maggiore. Si trattava di Gabriella Ercolini. E per la prima volta due donne entravano in
giunta: Belinda Gottardi (Bilancio) e Maria Margherita Spanedda (Scuola, ambiente, pari opportunità). Le elezioni del 1999 confermavano Ercolini alla guida
dell’Amministrazione, mentre nel 2004 iniziava la sindacatura di Marco Monesi
(lista “Democratici di sinistra”) supportato da una giunta in maggioranza al femminile23 e riconfermato nel 2009 per il Partito democratico.
Infatti, la prima giunta Mazzoni (1970-75) era stata a esclusiva presenza maschile come, del
resto, lo erano state la seconda e la terza giunta Garulli, lungo gli anni Sessanta. Nelle elezioni del
1970 erano state elette 2 consigliere comuniste: Ave Monti Boragine e Girolama Renda Luppi, confermando la tendenza degli anni precedenti.
21
22
Nel 1985, oltre a Maura Guerrini, furono elette Fiorenza Franceschi, Alessandra Restani e Monica
Selleri, per un totale di 4 donne su un totale di 30 consiglieri (13,3%).
Composta da Giovanna Battistini, Francesco Baldacci, Donatella Cimatti, Belinda Gottardi, Marco Marcaccio, Luana Mulazzani, Sandro Zanetti.
23
Carlo De Maria, La politica e l’amministrazione: temi, problemi e protagonisti
17
Temi e problemi amministrativi dal dopoguerra a oggi: coordinamento intercomunale, programmazione e welfare locale
La ricerca di livelli sovracomunali nell’organizzazione dei servizi pubblici rappresenta un tema classico nella storia degli enti locali e merita pertanto, in sede
di analisi storica, una breve digressione.
La questione di un coordinamento intercomunale dei servizi e della pianificazione urbanistica cominciò a porsi ovunque, in Italia e in Europa, fin dai decenni
a cavallo del 1900, in corrispondenza della prima forte espansione delle città a
vocazione manifatturiera e commerciale, la cui crescita “premeva” spesso sui
comuni della cintura24. A partire dagli anni Trenta, poi, il tema della sovracomunalità coinvolse sempre più anche i piccoli comuni rurali. Nei decenni tra le
due guerre mondiali, infatti, si sviluppò il ricorso allo strumento del «consorzio»,
allo scopo di formare aggregazioni monofunzionali tra comuni e province, poste
sotto il controllo del prefetto. Tali aggregazioni intercomunali potevano avere
scopi organizzativi (per il segretario comunale, per il medico condotto), di servizio (per le strade, gli acquedotti, la vigilanza urbana), fino alla scoperta dei «consorzi di sviluppo» (per le zone industriali, per lo sviluppo economico e sociale),
che costituivano veri e propri organismi polivalenti.
Al termine della Seconda guerra mondiale, lo strumento tecnico del consorzio
– che, come appena visto, si era diffuso negli anni del fascismo per razionalizzare, sotto l’egida della prefettura, spese e servizi –, venne recuperato dalle nuove
amministrazioni democratiche, ma con una spiccata declinazione autonomista.
Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta si profilarono
nuove esigenze legate all’assetto complessivo del territorio e alla programmazione urbanistica. In tutto il paese, i meccanismi di sviluppo innescatisi con il
«miracolo economico» stavano mettendo in rilievo antichi e nuovi squilibri25.
Emergevano delle criticità sia in merito agli assetti urbani che in relazione alla
carenza di servizi sociali.
Tra il 1959 e il 1960 il Comune di Bologna convocò una commissione consultiva per lo studio di un Piano regolatore intercomunale (Pic) che coinvolgesse,
insieme alla città capoluogo, i comuni della cintura26. Fin dall’inizio l’Amministra-
24
Cfr. Franco Della Peruta, Milano. Lavoro e fabbrica. 1815-1914, Milano, Franco Angeli, 1987; Antonio Calò, Giulio Ernesti, Politica urbana e piani regolatori nell’Italia giolittiana, in “Storia urbana”,
1998, n. 85, pp. 5-49; Fabrizio Bottini, Sovracomunalità, 1925-1970. Elementi del dibattito sulla pianificazione territoriale in Italia, Milano, Franco Angeli, 2003.
25
Maurizio Ridolfi, Storia politica dell’Italia repubblicana, Milano, Bruno Mondadori, 2010, p. 124.
Si trattava di Anzola, Budrio, Calderara, Casalecchio, Castel Maggiore, Castenaso, Granarolo,
Minerbio, Ozzano, Pianoro, San Lazzaro di Savena, Sasso Marconi, Zola Predosa.
26
18
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
zione di Castel Maggiore si impegnò convintamente nella fase di studio e di redazione del Piano, come testimonia il fatto che nella seduta del 20 marzo 1959 il
Consiglio comunale plaudesse all’«importante iniziativa urbanistica del Comune
di Bologna, mediante la quale i problemi che riguardano contemporaneamente
il Comune di Castel Maggiore e i Comuni viciniori potranno essere risolti con
una visione generale ed unitaria», con particolare riferimento alle «questioni relative allo sviluppo industriale ed alla grande viabilità che fa capo al territorio
bolognese»27.
L’eredità dei piani intercomunali di coordinamento alimentò, negli anni Settanta, la breve esperienza dei comprensori, l’innovazione istituzionale che maggiormente caratterizzò la fase costituente delle regioni a statuto ordinario. Livelli intermedi di governo tra comuni ed ente regione, i comprensori nacquero
ufficialmente nel 1974 in Emilia-Romagna, con la prima legge regionale in materia; provvedimento che fu ripreso negli anni successivi da quasi tutte le altre
regioni italiane.
La loro storia non durò neppure dieci anni, dal momento che vennero aboliti
dappertutto all’inizio degli anni Ottanta, ma la vicenda dei comprensori, benché
oggi largamente dimenticata, non è priva di significato. A ben vedere, essi rappresentano, infatti, uno degli esempi più significativi, compiuti nel nostro ordinamento, di coordinamento per aree territoriali integrate e omogenee. Una sfida
che tramontò velocemente, e che venne sostanzialmente persa, a causa della
mancata riforma delle autonomie. L’entrata a regime dei comprensori, infatti,
avrebbe implicato l’abolizione o, comunque, un profondo ripensamento delle
province, che invece resistettero al passaggio degli anni Settanta (nonostante il
fatto che a metà di quel decennio il loro destino sembrasse già segnato), riprendendo all’inizio degli anni Ottanta un nuovo slancio28.
Concretamente, i comprensori avrebbero dovuto occuparsi della programmazione a scala subregionale con l’obiettivo di rispondere a tre tipi di necessità:
l’aggregazione sovracomunale rispetto a interventi e servizi che su scala comunale risultavano scarsamente significativi o convenienti; una migliore articolazione della programmazione regionale sul territorio e, nello stesso tempo, un
antidoto al centralismo regionale; infine, il superamento delle province, il cui disegno amministrativo, troppo ampio, mancava di omogeneità dal punto di vista
Ascm, Atti del Consiglio comunale, 20 marzo 1959. Come rappresentante del Comune di Castel
Maggiore nel Gruppo di tecnici che avrebbe dovuto elaborare il Piano veniva indicato l’Ing. Guido
Palotta.
27
Carlo De Maria, La questione regionale tra anni Settanta e Ottanta dalla prospettiva dell’Emilia
Romagna. Lineamenti di un dibattito comparato, in Mirco Carrattieri, Carlo De Maria (a cura di), La
crisi dei partiti in Emilia Romagna negli anni ’70-’80, dossier monografico di “E-Review. Rivista degli
Istituti storici dell’Emilia Romagna in rete”, 2013, n. 1, www.e-review.it.
28
Carlo De Maria, La politica e l’amministrazione: temi, problemi e protagonisti
19
economico e sociale, e non sembrava quindi funzionale alla programmazione
sul territorio.
La riforma regionale del 1970, proprio per la vivace discussione sulle forme
del governo locale che contribuì a suscitare, rimane per molti versi – e al netto
delle molteplici resistenze che incontrò la sua piena attuazione – una cesura
fondamentale nella storia dell’Italia repubblicana. La sua importanza venne colta alla perfezione già a metà degli anni Sessanta dall’Amministrazione di Castel
Maggiore che interpretava le speranze e i fermenti di rinnovamento istituzionale
di quegli anni:
Sul piano delle iniziative da prendere per la preparazione, in Emilia, dell’Ente regione,
noi riteniamo che possa essere costituita, ad opera degli enti locali, una Commissione
di studi che affronti in concreto i problemi istituzionali dell’ordinamento regionale.
Ora il problema delle autonomie degli enti locali richiede anche una nuova legislazione sull’ordinamento e sulla finanza degli enti locali, capace di innovare radicalmente
i contenuti irrazionali e anacronistici di quella vigente, che riflettono una struttura del
potere pubblico rigidamente accentrata29.
Fin dall’inizio degli anni Settanta si delineò con chiarezza la prospettiva di una
trasformazione del Pic da strumento di coordinamento urbanistico a struttura
sovracomunale onnicomprensiva, con il nome di Comprensorio, visto come l’unità minima di programmazione sovracomunale per una politica di riequilibrio
socio-economico e territoriale. Dal dibattito svoltosi nel Consiglio comunale di
Castel Maggiore emergeva chiara la consapevolezza che «la dimensione territoriale di comuni italiani piccoli e medi se da una parte può permettere una
maggiore partecipazione delle comunità locali, dall’altra non permette la realizzazione per gli stessi di quella serie di servizi utili comunque per uno sviluppo sociale armonico ed equilibrato»30. I comprensori si presentavano, cioè, come parte
essenziale di quella riforma (allora rimasta incompiuta) degli ordinamenti locali.
Questioni che erano ancora aperte un decennio più tardi, come testimonia il
Bilancio di previsione del Comune di Castel Maggiore per l’esercizio 1985, documento nel quale accanto a una riflessione non scontata sulla storia delle autonomie nella nostra Regione, emergevano nuovi temi “caldi” quali quello della
tutela ambientale:
Nel ciclo politico degli anni ’70 decollarono le Regioni a statuto ordinario, prese corpo
il nuovo regime delle autonomie locali fissato dalla legge 382 e DPR 616, comuni e
29
Ascm, Atti del Consiglio comunale, 10 febbraio 1965. La citazione è tratta dal testo dell’accordo
Psi-Pci per la formazione della giunta: il sindaco Garulli era stato appena stato eletto dal Consiglio
comunale in seguito alle elezioni amministrative del 22 novembre 1964.
30
Ascm, Atti del Consiglio comunale, 11 novembre 1975.
20
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
sindaci furono investiti di funzioni e poteri da più parti giudicati perfino sproporzionati
rispetto a strumenti e mezzi. Le autonomie locali sono state, per un certo periodo, il
campo di sperimentazione di una nuova progettualità avvertita in tutti i settori politici.
[...].
È certo, comunque, che oggi si avverte l’esigenza di superare una visione angusta ed un
uso strumentale della questione autonomistica, che indebolisce i poteri locali e provoca altresì una caduta di credibilità delle istituzioni in senso lato. [...]. Le amministrazioni
locali sono oggi nella necessità di adeguare e razionalizzare le proprie strutture [...] in
modo da assicurare efficienza nella gestione dei servizi [...]. I controlli debbono esserci,
razionali e trasparenti, anche di gestione e di efficienza. [...].
Assumono rilevanza e priorità i problemi dell’ambiente [...], tali problemi si pongono
come centrali rispetto ai problemi della qualità della vita, dell’economia, della salute e
più in generale del futuro dell’uomo. Porre come prioritario l’obiettivo della salvaguardia dell’ambiente non significa soltanto realizzare opere fognarie, depuratori e discariche controllate. Si pone soprattutto il problema di abituare la popolazione a rispettare
l’ambiente, la natura. È necessario condurre una campagna capillare di controlli e di
informazione, che favorisca l’impegno di ciascuno a tutela dell’ambiente31.
I ritardi che si stavano scontando a causa della mancata riforma degli enti locali
vennero più volte sottolineati, quello stesso anno e negli anni successivi, durante
i lavori del Consiglio e della Giunta comunale di Castel Maggiore. Nel giugno
1985 in occasione del Rendiconto della Giunta municipale sulla gestione dell’esercizio 1984 si sottolineava la «mancanza di una prospettiva programmatoria»
a causa della «decretazione annuale dei provvedimenti legislativi per gli Enti
locali, [che] oltre a ridurre i margini di scelta delle Amministrazioni locali, ha inficiato la possibilità di operare scelte inserite in una previsione di medio periodo».
Si ribadiva, dunque, «la necessità della riforma delle Autonomie e della finanza
locale, [che] si manifesta con sempre maggiore urgenza»32. E ancora nella relazione previsionale e programmatica per il 1990-1992, si leggeva: «le politiche
nazionali nei confronti degli enti locali per il 1989 si indirizzano su un restringimento delle risorse trasferite senza che siano dati altri strumenti finanziari per
fronteggiare le proprie spese che dovranno per forza di cose essere ridotte»33.
31
Ascm, Atti del Consiglio comunale, relazione della Giunta presentata in Consiglio comunale nella seduta del 1° marzo 1985 dall’Assessore al Bilancio e Programmazione, Angiolino Guerrini. Qualche anno più tardi, all’interno del capitolo relativo all’Ambiente, verrà tematizzata per la prima
volta la questione dei rifiuti: “Raccolta e smaltimento dei rifiuti”, insieme alla nuova parola-chiave
della “raccolta differenziata” (Ascm, Atti del Consiglio comunale, 27 giugno 1990, presentazione del
programma amministrativo 1990-1995).
Altro ancora “Per una piena integrazione di tutti gli immigrati”.
32
Ascm, Atti del Consiglio comunale, 28 giugno 1985.
33
Ascm, Atti del Consiglio comunale, 13 marzo 1990.
Carlo De Maria, La politica e l’amministrazione: temi, problemi e protagonisti
21
La legge 142 del giugno 1990, sull’ordinamento delle autonomie, ridefinì finalmente, insieme alle legge 241 dello stesso anno, il ruolo e le funzioni degli
enti locali. A completare il nuovo quadro normativo fu poi la legge elettorale
con sistema maggioritario ed elezione diretta del sindaco, applicata per la prima
volta nelle elezioni della primavera 1995.
Nell’ambito dello scenario aperto dalla 142, prese corpo nell’area provinciale
bolognese il confronto sulla istituzione della «città metropolitana», livello amministrativo introdotto proprio dal testo di legge del 1990. Nel febbraio 1994
Castel Maggiore sottoscrisse, insieme a gran parte dei comuni della provincia
di Bologna, l’Accordo per la città metropolitana, primo passo verso la costituzione del nuovo ente locale, inteso come alternativo alla provincia. Tutto ciò
rappresentava una svolta rispetto al decennio precedente e non a caso il tema
dell’“innovazione” entrava come nuova parola-chiave nel discorso pubblico. Negli indirizzi generali di governo esposti al Consiglio comunale nella seduta del 9
maggio 1995 si legge, proprio in merito al tema della Città metropolitana: «Chi
nel decennio scorso pensava fosse possibile uno sviluppo del territorio ininterrotto e senza contraddizioni ha dovuto ricredersi. [...]. È dunque l’innovazione il
terreno del confronto, il confine tra crisi e sviluppo della nostra società»34.
Se a partire dal 1990, con l’entrata in vigore della legge 142 sulla riforma
degli enti locali, erano venuti meno i consigli di circoscrizione (una perdita stigmatizzata dall’Amministrazione di Castel Maggiore come «una soppressione che
ha compresso la possibilità per i cittadini di partecipare attivamente alle scelte amministrative»)35, era in realtà sul terreno dell’efficienza, dell’innovazione
e della trasparenza, più che sul “vecchio” paradigma della partecipazione assembleare (la partecipazione diretta dei cittadini alle decisioni amministrative,
particolarmente in auge negli anni Settanta), che si muoveva il discorso politicoamministrativo nei decenni a cavallo degli anni Duemila36.
La relazione previsionale e programmatica per il 1996-1998 insisteva sulla
svolta realizzatasi a metà anni Novanta negli ordinamenti locali:
Nel 1995 abbiamo vissuto la nuova esperienza dell’elezione diretta del sindaco, così
come previsto dalla legge 81 del 1993. Questa legge delinea una nuova figura di amministratore pubblico e, in modo particolare, attribuisce particolare rilevanza alla figura
del primo cittadino. [...]. Il nuovo ordinamento finanziario e contabile degli enti locali
[decreto legislativo 25.2.1995, n. 77] costituisce una tappa fondamentale nel processo
evolutivo dei comuni. Il decreto rispetta ed accentua l’autonomia degli enti, rende più
34
Ascm, Atti del Consiglio comunale, 9 maggio 1995.
35
Ascm, Atti del Consiglio comunale, 9 maggio 1995.
Un intero capitolo del programma amministrativo per gli anni 1990-1995 è dedicato ai “Servizi
razionali, efficienti ed efficaci” (Ascm, Atti del Consiglio comunale, 27 giugno 1990).
36
22
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
trasparente e leggibile il bilancio e realizza la separazione tra funzione di indirizzo e di
controllo, propria della giunta e del consiglio, e funzioni di gestione. Agli organi elettivi
spetterà il compito di definire gli obiettivi che si intendono conseguire ed ai dirigenti
dei servizi verrà assegnata la gestione dei budget di entrata e di spesa affinché possano rispondere dei risultati conseguiti. [...]. Il decreto attribuisce poi efficacia autorizzatoria al bilancio pluriennale, consentendo di operare in base ad una programmazione
più ampia e completa e di delineare linee politiche di ampio sviluppo, sempre che vi
sia certezza sui mezzi finanziari che si avranno a disposizione37.
Lungo gli anni Novanta, di fronte alla crisi fiscale dello Stato e al necessario ripensamento delle funzioni statali nell’ambito del welfare, il dibattito pubblico a
livello nazionale e locale prestò crescente attenzione al grande sviluppo delle
organizzazioni non profit: un vasto arcipelago di realtà impegnate a «fare società» e a costruire spazi di economia sociale e di autogestione, che nel loro insieme portarono all’affermazione del Terzo settore come contenitore complessivo
e organico delle varie forme dell’impegno sociale. In questo contesto, la legislazione degli anni Novanta, fino alla legge 328 del 2000, contribuì a promuovere
un sistema integrato di interventi sociali a prevalente partecipazione di Regioni
ed enti locali, basato sul principio di sussidiarietà. Con la crescita delle Onlus accanto al welfare statale si delineava con crescente chiarezza l’alternativa di un
welfare plurale, caratterizzato da una molteplicità di soggetti pubblici e privati.
Il principio di sussidiarietà si presentava come l’idea intorno alla quale riconsiderare il problema della garanzia dei diritti sociali. Un passaggio dal welfare
state alla welfare society, che preannunciava un ruolo di crescente importanza,
nell’ambito della riforma federale dello Stato, per gli spazi di governo regionali.
Anche all’interno della Giunta e del Consiglio comunale di Castel Maggiore,
intorno alla metà degli anni Novanta, emergeva per la prima volta il tema del
volontariato:
Come amministrazione comunale riteniamo poi uno specifico obiettivo da raggiungere
quello della valorizzazione del volontariato. [...]. Mediante la costituzione di un “Tavolo
del volontariato” intendiamo definire innanzitutto le relazioni tra volontariato e istituzioni pubbliche ed offrire uno strumento per il perseguimento di fini comuni, elaborando e promuovendo nuove e più efficaci forme di partecipazione. [...]. Inoltre l’operato
dell’amministrazione sarà diretto a salvaguardare l’autonomia e l’originalità, oltre ai
valori dell’autoespressione e dell’autogestione del volontariato stesso ed a tutelare il
principio di trasparenza nel rapporto volontariato-istituzioni38.
A cavallo degli anni Duemila appare notevole l’attenzione che l’Amministrazio-
37
Ascm, Atti del Consiglio comunale, 28 dicembre 1995.
38
Ascm, Atti del Consiglio comunale, 28 dicembre 1995.
Carlo De Maria, La politica e l’amministrazione: temi, problemi e protagonisti
23
ne di Castel Maggiore dedica al capitolo del welfare locale, con analisi indubbiamente approfondite in materia, sia in chiave storica che guardando ai nuovi
problemi allora emergenti, tra i quali – certo non secondario – quello dell’integrazione degli immigrati extra-comunitari:
Il tratto distintivo, l’elemento caratterizzante delle amministrazioni di sinistra della
nostra Regione è stata sicuramente l’attenzione continua e costante ai bisogni delle fasce più deboli della società: questa volontà di costruire un sistema in cui tutti avessero
uguali diritti e uguali opportunità ha portato alla creazione di quel sistema di welfare
locale che, per i suoi tratti di novità, ha saputo condizionare in positivo anche altre
esperienze locali e lo stesso governo centrale, divenendo modello dell’azione sociale
degli Enti locali. In questi anni, in cui si discute della necessità di riformare profondamente il sistema delle garanzie sociali fino ad ora assicurate ai cittadini e alle famiglie,
i nostri Comuni devono continuare ad essere dei laboratori di esperienze innovative,
devono rilanciare il proprio ruolo di protagonisti del welfare.
Il welfare deve essere riformato perché non è più motore di progresso sociale, economico, culturale, anzi in alcuni casi rischia di essere un elemento che blocca il cambiamento. Ciò che viene garantito ai padri non potrà essere garantito nelle stesse forme
ai figli: questo è già un fattore di impoverimento complessivo della società; ma ancora
più grave è il fatto che, in alcuni casi, ciò che è garantito ai padri impedisca ai figli di
godere delle medesime opportunità.
Per superare queste contraddizioni, per portare maggiore equità nel sistema, il Comune può svolgere, ancora una volta, una funzione importante, perché ha maggiori strumenti per conoscere il territorio, perché riesce a intervenire in maniera più tempestiva
e più diretta, perché è più flessibile rispetto ad una società che cambia con dei ritmi
estremamente veloci. L’azione del Comune deve essere di stimolo per una riforma più
complessiva di un sistema che, come ovvio, investe solo in parte le amministrazioni
locali: crediamo che la riforma del welfare possa partire proprio da qui39.
Nello stesso documento e nelle relazioni programmatiche degli anni immediatamente successivi, si trovano ulteriori approfondimenti sui temi della riorganizzazione dei “servizi sociali” e della valorizzazione del volontariato:
L’integrazione sociale di tanti anziani passa attraverso le sviluppo delle forme del volontariato. Per questo sono state avviate specifiche attività per favorire e mettere in
rete le associazioni già presenti sul territorio, in particolare sono stati organizzati dei
corsi di formazione e si è dato vita alla Festa del Volontariato. Nella prossima legislatura questo impegno si concretizzerà nella realizzazione della Casa del Volontariato,
che potrà essere la sede operativa per le associazioni, oltre a costituire, attraverso lo
39
Ascm, Atti del Consiglio comunale, 23 giugno 1999. Si tratta degli “Indirizzi di governo” della nuova giunta insediatasi dopo le amministrative della primavera 1999. Gli Indirizzi si aprivano proprio
con un capitolo dedicato al welfare locale.
24
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
‘sportello del volontariato’, il punto d’incontro e di dialogo tra associazioni e cittadini40.
Questo bilancio si caratterizza anche per una sempre più puntuale e precisa applicazione del principio di sussidiarietà. Infatti, oltre ad operare un interscambio sinergico
tra pubblico e privato in settori assolutamente cardini per la vita del nostro paese si
è provveduto a un coinvolgimento del privato anche per la realizzazione di opere a
valenza sociale. È il caso della “Casa del volontariato” che verrà appunto realizzata in
virtù di concertazioni e convenzioni con privati41.
Una forte consapevolezza dei mutamenti in corso e uno sguardo aperto sul futuro venivano, infine, restituiti dalle linee programmatiche varate dal sindaco
Marco Monesi per il mandato 2004-2009. Accanto ai temi del “nuovo welfare”
– che doveva essere sempre più un “welfare di comunità” – un capitolo veniva opportunamente dedicato anche al tema classico, ma sempre attuale, della
“concertazione sovracomunale”, con esplicito riferimento al fatto che:
una serie di obiettivi finalizzati al miglioramento della qualità delle infrastrutture e
dei servizi devono essere perseguiti attraverso la collaborazione con gli altri enti territoriali: ci riferiamo a tutto l’importante ambito dei servizi gestiti in forma associata
dall’Associazione intercomunale Reno Galliera, alle opere viarie che vedono l’impegno
della Provincia, alle nuove prospettive per il trasporto pubblico, che inevitabilmente
presuppongono una forte collaborazione progettuale con il capoluogo a noi limitrofo.
Sotto la scorta di queste interessanti riflessioni politico-amministrative, è possibile concludere osservando come, nella situazione odierna, pare sempre più
indispensabile adottare la prospettiva della sovracomunalità, che del resto abbiamo visto anticipata nell’esperienza dei comprensori e della programmazione
su scala subregionale degli anni Settanta. La progettazione e la messa in pratica
di forme di collaborazione e di gestione intercomunale sono ancora oggi, e forse
soprattutto oggi in tempi di crisi, di stretta attualità. Il superamento dell’Ente
provincia e le modalità di realizzazione della Città metropolitana continueranno
a interrogare cittadini e amministratori su questi temi anche nei prossimi anni.
40
Ascm, Atti del Consiglio comunale, 23 giugno 1999, Indirizzi di governo, cit.
Ascm, Atti del Consiglio comunale, 21 dicembre 2000, relazione previsionale e programmatica
per il periodo 2001-2003.
41
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Istituzioni locali, economia e società
A cura di Carlo De Maria e Tito Menzani
Bologna (BraDypUS) 2016
ISBN 978-88-98392-33-9
p. 25-50
Gente al lavoro.
Economia e imprese a
Castel Maggiore
TITO MENZANI
A pochi chilometri da Bologna, [Castel Maggiore]
fu nel medioevo luogo fortificato a difesa della città,
poi teatro di lotte tra il comune felsineo e le altre città
dell’Emilia. Poco gli è rimasto dell’importanza che
assunse nei tempi passati. È stato molto provato durante
la Seconda guerra mondiale. Il territorio fertilissimo
produce grano e granoturco; ma è anche ricco di
industrie e di sorgenti di acque sulfuree1.
Uno sguardo d’insieme di carattere introduttivo
In questo capitolo si prendono in considerazione le vicende storico-economiche
che hanno interessato la comunità di Castel Maggiore dalla fine della Seconda
guerra mondiale a oggi. In particolare, dopo una panoramica di carattere quantitativo, si considereranno le vicende relative ai tre macrosettori che compongono
il tessuto produttivo – agricoltura, manifattura, terziario –, facendo anche alcuni
approfondimenti specifici sulle imprese castelmaggioresi. Si utilizzeranno fonti
di prima mano, sia di carattere quantitativo, come i dati Istat, sia di natura qualitativa, a partire dalla documentazione contenuta nell’Archivio della Camera
Dizionario enciclopedico dei Comuni d’Italia, vol. I, Parte storica, Roma, Ente librario italiano,
1949, p. 575 (ad vocem).
1
26
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
di commercio di Bologna e nell’Archivio storico comunale di Castel Maggiore2.
Si vogliono qui indagare i tempi e i modi di una trasformazione territoriale
che nel corso del secondo Novecento ha portato ad uno sviluppo importante, ad
una innovazione delle produzioni, e ad un maggiore peso specifico del comparto
industriale e dei servizi. Le tabelle 1 e 2 ci danno conto del trend che ha interessato le imprese di questo territorio, in termini di unità locali e addetti, nei sette
benchmarks decennali compresi fra il 1951 e il 2011.
L’aumento delle unità locali a Castel Maggiore è stato progressivo e particolarmente significativo, visto che si è passati dalle 207 del 1951 alle 1.629 del
2011. In termini di addetti, invece, l’incremento è stato da 740 a 8.475 occupati.
Gli aumenti più consistenti sono stati negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta,
dato che in ognuno di questi decenni la popolazione lavorativa è quasi raddoppiata. Dopodiché la crescita è stata molto più modesta.
Dal punto di vista settoriale, si registra la scarsa incidenza dei settori agroalimentare ed energetico; le costruzioni hanno mostrato una crescita abbastanza
significativa, ma sono soprattutto il contesto industriale e le varie declinazioni
del terziario ad aver assorbito la stragrande maggioranza degli addetti. Il comparto manifatturiero ha avuto un andamento a parabola, toccando il picco di
4.916 occupati nel 1981, pari al 56,2%. Di lì ha intrapreso un progressivo ridimensionamento, compensato dal boom dei servizi (commercio, pubblici esercizi,
trasporti, credito, servizi alla persona) che è passato dagli 847 addetti del 1971
(22,1%) ai 5.043 del 2011 (59,5%).
Tab. 1 Unità locali a Castel Maggiore per macrosettori (1951-2011)
1951
1961
1971
1981
1991
2001
2011
Agroalimentare
n.d.
22
4
8
n.d.
8
3
Industrie
92
106
202
335
n.d.
235
216
Energia e utilities
0
1
1
0
n.d.
2
5
Costruzioni
7
25
90
131
n.d.
150
167
Commercio e riparazioni
58
95
166
314
n.d.
391
414
Alberghi, esercizi pubblici
10
10
24
38
n.d.
51
78
Trasporti, comunicazioni
25
45
49
127
n.d.
169
170
Credito, assicurazioni
2
5
6
45
n.d.
47
39
Altri servizi
13
26
38
105
n.d.
413
537
TOTALE
207
335
580
1.103
1.243
1.466
1.629
Fonte: Rielaborazioni mie dai Censimenti Istat dell’industria e dei servizi (1951-2001)
Gerardo Gentile, Elisa Masioli, Allegra Paci, Archivio storico (1866-1974), Castel Maggiore, dattiloscritto, s.d.
2
Tito Menzani, Gente al lavoro. Economia e imprese a Castel Maggiore
27
Tab. 2 Addetti alle unità locali a Castel Maggiore per macrosettori (1951-2011)
1951
1961
1971
1981
1991
2001
2011
Agroalimentare
n.d.
40
6
11
n.d.
12
4
Industrie
440
910
2.642
4.916
n.d.
3.542
2.830
Energia e utilities
0
1
5
0
n.d.
5
84
Costruzioni
81
144
338
418
n.d.
416
514
Commercio e riparazioni
92
240
580
1.148
n.d.
1.546
1.562
Alberghi, esercizi pubblici
17
25
85
131
n.d.
275
443
Trasporti, comunicazioni
84
93
96
567
n.d.
1.029
1.248
Credito, assicurazioni
5
15
23
128
n.d.
146
149
Altri servizi
21
42
63
582
n.d.
994
1.641
TOTALE
740
1.510
3.838
7.901
7.765
7.965
8.475
Fonte: Rielaborazioni mie dai Censimenti Istat dell’industria e dei servizi (1951-2001)
In buona sostanza, quindi, i trend macroeconomici che hanno interessato l’area
castelmaggiorese appaiono in linea con quelli che analogamente hanno investito, sempre nel secondo Novecento, le zone limitrofe, a partire dagli altri comuni
dell’hinterland di Bologna. Si può riassumere la dinamica principale dicendo che
l’agricoltura è diventata sempre più marginale dagli anni Cinquanta in poi, a
vantaggio di una crescita del settore industriale che ha raggiunto la massima
espansione occupazionale negli anni Settanta, prima di una inversione di tendenza che ha portato ad una crescente terziarizzazione dell’economia.
La grande trasformazione delle campagne
Pur se a ridosso di Bologna e con una tradizione industriale che, come vedremo,
già nell’Ottocento poteva dirsi discreta, il Comune di Castel Maggiore ha avuto
un’attività agricola molto pronunciata fino a tutti gli anni Sessanta. Nel secondo dopoguerra una parte consistente delle famiglie castelmaggioresi viveva in
campagna e lavorava un podere3; e questo nonostante il conflitto avesse avuto
un impatto molto pesante sul settore agricolo. All’indomani della Liberazione,
Lorenzino Cremonini, Castel Maggiore com’era... e com’è, Castel Maggiore, Lions Club, 1988; Federica Collorafi (a cura di), Il territorio di Castel Maggiore, s.l., s.n., 2000.
3
28
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
infatti, vaste aree del territorio a nord di Bologna risultavano devastate dai combattimenti e dai guasti operati dai tedeschi in fuga; numerose strutture, anche
rurali, erano state distrutte da bombardamenti e cannoneggiamenti. In molte
famiglie, i lutti e i traumi provocati dal conflitto erano stati consistenti, ma nel
contempo il nuovo orizzonte democratico incoraggiava un rapido e convinto ritorno alla normalità.
Il settore agricolo fu quello che prima di altri poté ritornare a livelli produttivi
prebellici. A poco più di un anno dalla fine della guerra, in un documento ufficiale del Comune di Castel Maggiore si riportavano le seguenti affermazioni:
Il Comune di Castel Maggiore della estensione di ettari 2.887 ha carattere prevalentemente agricolo. I generi da larga produzione locale sono: grano, grano turco, bietole
da zucchero, patate, frutta, foraggi, paglia di grano, canapa, orti industriali4.
Si trattava di un recupero delle tradizioni rurali locali di fine Ottocento e del primo Novecento5. La tabella 3 ci fornisce alcune informazioni quantitative aggiuntive, che ci permettono di constatare come gran parte della superficie agricola
fosse destinata a cereali e foraggio, solo in parte destinati all’autoconsumo o ai
bisogni dell’azienda contadina, per lo più relativi al nutrimento degli animali.
Per il resto, spiccavano una significativa produzione di barbabietola, destinata
allo zuccherificio di Bologna, e una produzione di canapa particolarmente redditizia. Nel volume di memorie d’infanzia e adolescenza, Carlo Garulli ricorda
proprio come nei primi anni Quaranta giocasse con alcuni coetanei in un podere
di Castel Maggiore «occupato da una vasta piantagione di canapa»6.
Tab. 3 Le produzioni agricole a Castel Maggiore nel 1946
Specie
Ha
q/ha
q. tot.
£/q.
£ tot
destinazione della produzione
Grano
840
25
21.000
1.500
31.500.000
13% autoconsumo, 87% ammassi
locali
Granoturco
85
15
1.275
1.200
1.530.000
33% uso zootecnico, 67% ammassi locali
Barb. da zucch.
28
200
5.600
300
1.680.000
100% zuccherificio di Bologna
Archivio storico del Comune di Castel Maggiore (d’ora in poi Ascm), Deliberazioni del Consiglio
comunale del 6 dicembre 1946.
4
5
Luciano Curti, La Gallinara: ricordi di un bambino di campagna, Budrio, Curti, 2007; Rosanna Bonafede Gardini, Storie dell’Argine, Granarolo dell’Emilia, Tipografia Ag, 2010; Federico Pesci (a cura
di), Le voci del fiume fra Reno e Navile: la terra di mezzo e le due sponde, Bologna, Tipografia
Modena, 2013.
Carlo Garulli, La palla di stracci: fotogrammi della memoria, Castel Maggiore, Ink Studio-Tipografia Ag, 2002, p. 143.
6
Tito Menzani, Gente al lavoro. Economia e imprese a Castel Maggiore
29
Patate
24
70
1.680
1.400
2.352.000
20% autoconsumo, 80% commercio
Frutta
30
60
1.800
1.500
2.700.000
10% autoconsumo, 90% commercio
Foraggi
787
60
47.220
1.200
56.664.000
60% bisogni aziendali, 40%
commercio
Paglia di grano*
840
30
25.200
400
10.080.000
50% bisogni aziendali, 50%
commercio
Canapa macerata
389
10
3.890
8.000
31.120.000
100% ammassi locali
«Orti industriali»
14
30
420
1.000
420.000
100% commercio
Totale
2.197
-
108.085
-
138.046.000
-
Note: (*) La paglia di grano è un sottoprodotto della lavorazione del grano, e dunque la superficie produttiva è la medesima.
Fonte: ASCM, Verbale del Consiglio comunale del 6 dicembre 1946.
Nella seconda metà degli anni Quaranta, i sistemi di produzione e gli stili di
vita che contraddistinguevano le aree rurali del comprensorio castelmaggiorese
erano ancora molto tradizionali. Il boom economico trasformò completamente
questo mondo, e dunque le campagne degli ultimi decenni del Novecento appaiono in buona parte differenti da quelle del secondo dopoguerra. Inoltre, la
progressiva urbanizzazione – della quale si dà conto in un altro capitolo7 – sottrasse un crescente numero di ettari coltivabili all’agricoltura, per destinarli ad
insediamenti antropici di vario genere. Per questa ragione, le coltivazioni furono
ridimensionate e finirono per diventare meno importanti in confronto agli insediamenti artigianali e industriali.
Il cambiamento fu comune a tutti i paesi ad economia matura ed è stato anche definito «grande trasformazione». Nel nostro caso specifico è possibile individuare tre direttrici principali che raccontano e testimoniano questa rapida
evoluzione: la prima riguarda le strutture sociali rurali e dunque la tipologia fondiaria, la seconda il tipo di produzione agricola e le tecniche di coltivazione, la
terza il contesto collaterale di ambito zootecnico e agroalimentare.
Occupiamoci innanzi tutto del tessuto rurale, che nelle campagne a nord di
Bologna era composto prevalentemente da piccoli proprietari, ma anche mezzadri e affittuari. In questa porzione di territorio vi erano anche vari lavoratori
salariati, cioè braccianti, occupati in quelle aziende agricole più grandi che avevano bisogno di manodopera avventizia. Ma per il resto si registrava una netta prevalenza di famiglie contadine, molto spesso numerose e «allargate», che
comprendevano cioè anche nonni, fratelli, zii e altri parenti. Questa dinamica
7
Luca Gorgolini, Infra.
30
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
garantiva una certa stabilità sociale, per cui le campagne castelmaggioresi a
cavallo tra anni Quaranta e Cinquanta furono meno interessate da agitazioni e
scioperi come quelli di Molinella o di Budrio, dove il bracciantato mostrava segni
di impazienza.
Il numero di agricoltori si ridusse progressivamente nel corso del secondo
Novecento. Lo sviluppo di attività manifatturiere e terziarie portò a un crescente abbandono delle campagne, cosicché già negli anni Ottanta si può dire che
l’agricoltura fosse diventata marginale nell’economia locale. Inoltre, il ricambio
generazionale aveva fatto sì che i pochi agricoltori di Castel Maggiore fossero differenti dai loro padri in termini di cultura agronomica e di saperi tecnicoscientifici, perché avevano potuto studiare più a lungo e ora trasferivano in parte questi saperi all’interno dell’azienda agricola, rendendola più efficiente, più
specializzata e in definitiva più moderna.
Sul piano delle produzioni agricole e delle tecniche di coltivazione le trasformazioni non furono meno importanti. In particolare si ebbe un ampio e articolato processo di meccanizzazione delle fasi rurali, per cui i trattori rimpiazzarono
le forza animale e le mietitrebbie il lavoro umano, solo per fare alcuni esempi. A
Castel Maggiore come in altri contesti limitrofi, le macchine agricole erano giunte già nel primo Novecento, ma fu dopo la Seconda guerra mondiale che si ebbe
un vero e proprio boom. Nel 1952, su circa 250 aziende agricole, 90 avevano un
trattore8. Man mano che l’ingegneria meccanica produceva macchine agricole
più evolute, queste furono progressivamente adottate dalle aziende del luogo e
in definitiva finirono per accrescere il processo di espulsione della forza lavoro
dalle campagne9.
Negli anni del miracolo economico, l’agricoltura castelmaggiorese restò caratterizzata da una prevalenza di produzioni cerealicole, con una crescente importanza degli alberi da frutto, mentre si ridimensionava la coltivazione della
barbabietola da zucchero e scompariva la canapa, a seguito dell’introduzione
di nuove fibre tessili, naturali e artificiali. Molti maceri furono lasciati interrare,
pochi altri furono riconvertiti in vasche idriche per l’irrigazione o in allevamenti
ittici. Ciò produsse la chiusura dei battenti della cartiera di Torre Verde e dell’azienda tessile Finzi, che lavoravano questa fibra10. Inoltre, nella pianura a nord
e nord-est di Bologna scomparve progressivamente la tradizionale coltura del
riso, e ciò provocò la chiusura delle due storiche riserie di Castel Maggiore, la
Pizzoli e la Cantelli, che cessarono le attività nei primi anni Cinquanta11.
8
Ascm, verbale del Consiglio comunale del 20 ottobre 1952.
9
Ibid.
10
Ascm, verbale del Consiglio comunale del 20 ottobre 1952.
11
Ascm, verbale del Consiglio comunale del 20 ottobre 1952. Si veda anche il libro di Carlo Garulli,
Tito Menzani, Gente al lavoro. Economia e imprese a Castel Maggiore
31
Contemporaneamente, si ebbe una crescente importanza di alcune colture
specializzate, come quella della patata, già presente ma non largamente diffusa
nel primo Novecento. Negli stessi anni cominciò a distinguersi anche la produzione di uva, sia da tavola che da vino. Molti di questi prodotti agricoli erano
commercializzati nei vicini mercati cittadini, che fungevano da grandi collettori
delle produzioni agricole dell’hinterland. Il censimento generale dell’agricoltura
del 1982 ci dice che a Castel Maggiore vi erano 250 aziende agricole che coltivavano 2.510 ettari. Di questi, 891 erano occupati da cereali (per il 91% frumento),
59 da colture ortive, 251 da colture foraggere, 100 da vite, e 99 da frutteti12. In
pratica, nel 1971, la chiusura dello zuccherificio di Bologna, situato fuori Porta
Lame a ridosso della ferrovia, indusse i coltivatori castelmaggioresi ad abbandonare la coltivazione della barbabietola, a vantaggio di quelle altre colture di cui
si è detto13.
L’ultima direttrice della trasformazione rurale in questione è quella che ha
interessato i comparti collaterali a quello agricolo vero e proprio, e cioè l’allevamento e l’agroalimentare. Nella società tradizionale, gli animali svolgevano tre
funzioni principali all’interno dell’azienda contadina. Erano utilizzati come forza
motrice – in particolare i bovini e gli equini –, producevano letame impiegato
per concimare i terreni, e fornivano prodotti per l’alimentazione come il latte,
le uova e la carne. Quindi, in quasi tutte le aziende contadine castelmaggioresi
degli anni Quaranta e Cinquanta, si poteva trovare una stalla con mucche e buoi,
e magari un asino o un cavallo, ma anche una porcilaia con maiali e scrofe, e
recinti con galline, oche, tacchini e conigli. Una parte dei prodotti alimentari
derivanti dall’allevamento erano destinati all’autoconsumo, mentre la quota eccedente era commercializzata. Il censimento generale dell’agricoltura del 1982
ci dice che le aziende agricole con animali di grandi dimensioni erano 179, e
cioè il 72%, per un totale di un migliaio di capi di bestiame (863 bovini, 119 ovini
e 325 suini)14.
La modernizzazione del comparto zootecnico ha ampiamente rivisto questi
assetti, e la stalla è diventata un contesto più razionale dove gli animali seguono
precisi iter di crescita prima di essere abbattuti. La produzione lattiero-casearia
e di uova è molto più orientata alla commercializzazione, così come le carni
La riga per terra. Storia e storie di Castel Maggiore dal 1945 al 1970, Castel Maggiore, Ink studio,
2009.
12
Istat, Censimento generale dell’agricoltura, 1982.
Maria Elisabetta Bianchi Tonizzi, L’industria saccarifera dall’autarchia all’integrazione europea,
in Pier Paolo D’Attorre, Vera Zamagni (a cura di), Distretti imprese classe operaia, l’industrializzazione dell’Emilia Romagna, Milano, Franco Angeli, 1992, pp. 239-271.
13
14
Istat, Censimento generale dell’agricoltura, 1982.
32
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
bovine, suine e avicunicole sono per lo più destinate alla vendita entro circuiti in
grado di valorizzare la qualità di una produzione zootecnica moderna.
Negli anni Novanta e Duemila l’agricoltura di Castel Maggiore si è in parte
legata alla cultura del «chilometro zero», dello slow food e del biologico. Tutto
ciò ha avuto un importante output in termini di turismo enogastronomico, con
l’apertura di ristoranti e trattorie tipiche e di alcuni agriturismi, che in vari casi
sono stati un’evoluzione di aziende agricole tradizionali. Il mercato di riferimento è per lo più quello provinciale, in particolare orientato verso la città di Bologna, per una clientela interessata più alla qualità che alla convenienza in termini
di prezzo, e alla ricerca di sapori e aromi del tutto diversi da quelli degli alimenti
industriali.
La tradizione manifatturiera: dalla meccanica all’elettronica
La tradizione manifatturiera di Castel Maggiore è particolarmente significativa
e risale all’Ottocento. In particolare, nel 1853, Gaetano Pizzardi aveva fondato a
Castel Maggiore, nei pressi del canale Navile, una officina meccanica, con annessa fonderia15. L’azienda raggiunse una precoce notorietà, e fu addirittura visitata
da papa Pio IX16. Nel 1865 la fabbrica fu venduta agli industriali svizzeri Edoardo
De Morsier e Giovanni Mengotti, che però trasferirono l’attività a Bologna, in
zona Bertalia. Nel vecchio stabilimento di Castel Maggiore si insediò una nuova
attività, gestita dalla famiglia Barbieri, con il nome di Officina Gaetano Barbieri
& Co.
Nel corso del primo Novecento e ancor più tra le due guerre il settore manifatturiero castelmaggiorese godette di un significativo sviluppo, in parte dovuto
alle positive ricadute della suaccennata pionieristica esperienza industriale, e
in parte legate alla vicinanza con Bologna, che parimenti stava diventando una
città industriale, con produzioni metalmeccaniche, alimentari e di beni di largo
consumo. Tra le imprese degne di menzione vi è la ditta meccanica dei fratelli
15
Guerrina Cinti, Dal canale alla strada, in Federica Collorafi, Cecilia Della Casa, Manuela Ghizzoni
(a cura di), Da Castagnolo a Castel Maggiore: fonti per la storia locale, Castel Maggiore, Comune
di Castel Maggiore, 1999, pp. 119-142; Ottorino Marino, L’Officina meccanica e fonderia in Castel
Maggiore. I disegni tecnici di macchine e opere pubbliche tra Otto e Novecento, ivi, pp. 143-162.
Giancarlo Roversi, Quando Pio IX visitò le industrie di Castel Maggiore, in “La Mercanzia”, n. 1,
1978, pp. 47-52.
16
Tito Menzani, Gente al lavoro. Economia e imprese a Castel Maggiore
33
Aristodemo e Franco Rigosi, che arrivò a vantare alcune decine di addetti17.
La guerra interruppe questa crescita del settore manifatturiero e molti stabilimenti subirono danni particolarmente significativi. Subito dopo la Liberazione,
quindi, varie produzioni non poterono tornare immediatamente in attività e si
presentò il problema della disoccupazione della forza lavoro, presto risolto con
l’impiego degli ex operai nel ripristino delle strutture danneggiate dal conflitto.
Il Presidente [del Consiglio comunale] – si legge in un documento del 1946 – espone
che il problema assillante della ricostruzione va delineandosi nonostante tante difficoltà finanziarie abbiano qui impedito l’inizio di quei lavori pubblici tanto urgenti ed
indispensabili alla vita amministrativa del Comune. […] Ritiene che nei prossimi mesi
possa darsi inizio alla ricostruzione delle scuole di Sabbiuno e poco più tardi ai fabbricati delle case popolari18.
Poco tempo dopo si riuscì a dare via libera a «lavori straordinari per alleviare
la disoccupazione»19, e nel giro di alcuni mesi la situazione lavorativa poté dirsi molto meno grave. Nel frattempo, infatti, anche il tessuto manifatturiero di
Castel Maggiore era tornato ad essere operativo. Questa vocazione industriale
divenne ancor più esplicita nel corso del miracolo economico, quando varie aree
del territorio comunale furono progressivamente destinate ad ospitare zone artigianali e industriali20. Era soprattutto il settore meccanico a fungere da traino,
in linea con un tessuto produttivo provinciale fortemente orientato verso la motoristica e il packaging. Ma non mancavano imprese di altri ambiti merceologici.
Si trattava per lo più di piccole e medie aziende, in tanti casi a conduzione famigliare, capaci però di valorizzare la propria flessibilità, per stare su mercati non
legati a prodotti di massa o standardizzati. Anche se a Castel Maggiore non è riconoscibile un vero è proprio distretto, nel senso che non c’è una produzione distintiva caratteristica, le sue aree industriali si sono segnalate per essere un crocevia
di reti formali e informali, di rapporti di subfornitura, di ditte artigiane o comunque
medio-piccole, ma in grado di fare esportazione, di saperi tecnici all’avanguardia
e di culture del lavoro che hanno contribuito al benessere della comunità locale21.
I tardi anni Settanta rappresentarono l’apice di questa parabola manifatturiera, che progressivamente si è ridimensionata. Pur se il numero di addetti è
17
Ascm, b. 510/2, cat. XI, 1961-1974, Ditta A. Rigosi e F., poi di Bruno Rigosi.
18
Ascm, Deliberazioni del consiglio comunale del 28 luglio 1946.
19
Ascm, Deliberazioni del consiglio comunale del 1 settembre 1946.
Stefano Magagnoli, Tra dopoguerra e ricostruzione: le politiche amministrative del Comune di
Castel Maggiore, 1946-1956, Modena, Mucchi, 1994.
20
Cento fabbriche nei comuni di Calderara e di Castel Maggiore: le esperienze e i risultati dell’intervento del sindacato nella politica del territorio, Bologna, Graficoop 1974.
21
34
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
calato in valore assoluto, anche in ragione della meccanizzazione di molte fasi
produttive e dei processi di outsourcing, non si può parlare per gli anni Ottanta
e Novanta di crisi dell’industria castelmaggiorese. Del resto, molte aziende si
confermarono competitive e capaci di fare innovazione, ampliando in tanti casi
il proprio fatturato e il raggio d’azione. Nel 2008 si è manifestata a livello internazionale una recessione che ha colpito duramente molti contesti produttivi
locali, tra i quali anche Castel Maggiore. Tuttavia non si è affatto cancellata una
vocazione manifatturiera che, seppur in difficoltà, ha proseguito nel mantenersi vivace e concorrenziale, e che continua a caratterizzare la comunità locale
come una delle aree maggiormente industrializzate della provincia felsinea.
In questo paragrafo daremo conto di alcune fra le principali e più interessanti
storie di imprese manifatturiere di questo territorio, sia con l’intento di raccontarne le singole vicende, che con quello di meglio spiegare l’evoluzione economica-produttiva di questa comunità.
Iniziamo dalla Officina Gaetano Barbieri & Co, della quale abbiamo già raccontato le origini, perché rappresenta l’incipit della tradizione industriale castelmaggiorese. La ditta produceva elementi in ferro e tecnologie meccaniche
ed aveva raggiunto una certa consistenza, tanto che già sul finire dell’Ottocento
vi lavoravano centinaia di operai. Entro questa fabbrica, nel 1898, fu creata una
Lega metallurgici, anche per iniziativa della sindacalista Argentina Bonetti Altobelli22. Contemporaneamente, la produzione iniziò a indirizzarsi verso i compressori e le macchine refrigeranti. Dopo la morte di Gaetano Barbieri, l’azienda fu
portata avanti dal figlio Deodato, e poi dai figli di quest’ultimo, Gaetano (omonimo del nonno, e futuro podestà di Castel Maggiore) ed Emilio23. Negli anni tra le
due guerre, l’Officina Barbieri ottenne alcune commesse governative, sia perché
aveva più volte dato prova di buone capacità produttive, ma anche grazie alla
militanza politica dei proprietari, apertamente fascisti.
Negli anni del secondo conflitto mondiale, in particolare durante la Repubblica sociale italiana, la fabbrica divenne un luogo strategico dell’antifascismo locale, perché qui avevano la possibilità di incontrarsi operai legati in vario modo
alla Resistenza24. Al termine della guerra, oltre ai problemi di ripristino dei danni
Valerio Montanari, Carlo Garulli, Castel Maggiore tra storia e memoria, Bologna, Pendragon,
2007, pp. 77-87. Cfr. anche Giancarlo Roversi, Castel Maggiore nell’800: nascita e sviluppo di un
borgo industriale: appunti per una storia, in “Il carrobbio”, n. 11, 1985, pp. 305-318. Su Argentina Bonetti Altobelli cfr. Anna Salfi, Argentina Bonetti Altobelli protagonista della solidarietà al femminile
tra Otto e Novecento, in Fiorenza Tarozzi, Eloisa Betti (a cura di), Le italiane a Bologna: percorsi al
femminile in 150 anni di storia unitaria, Bologna, Editrice Socialmente, 2013, pp. 191-196.
22
Antonio Campigotto, Roberto Curti, Maura Grandi, Alberto Guenzi (a cura di), Prodotto a Bologna. Una identità industriale con cinque secoli di storia, Bologna, Renografica, 2000., p. 98.
23
Domenico Bruno, Enrico Cavalieri, Luca Pastore, La pianura e il conflitto: fascismo, Resistenza e
ricostruzione a Castel Maggiore, 1919-1946, Venezia, Marsilio, 2010, pp. 145-152.
24
Tito Menzani, Gente al lavoro. Economia e imprese a Castel Maggiore
35
e di riconversione della produzione, si presentò la questione di una proprietà che
era stata apertamente collusa con il passato regime.
Anche per allacciare nuovi rapporti con l’amministrazione democratica del
comune di Castel Maggiore, l’ing. Emilio Barbieri – nel frattempo diventato il
principale referente dell’azionariato della ditta – cedette gratuitamente una
parte dei locali al Comune, che furono utilizzati per la realizzazione di un asilo. Contemporaneamente, il progressivo raffreddamento delle tensioni politicosindacali al’interno della fabbrica consentì una graduale ripresa delle attività.
La nuova produzione si indirizzò sia sul tradizionale ambito meccanico, ma progressivamente e sempre di più verso la specializzazione in tecnologie refrigeranti. Tuttavia, nei primi anni Cinquanta l’azienda precipitò in una grave crisi, e fu
costretta a dimezzare l’organico, scendendo in pochi anni da 320 a 145 addetti25.
E così, quando nel 1964 i Barbieri decisero di passare la mano e di vendere
l’attività, la ditta fu rilevata dalla società americana Frick, impresa storica nel
campo della refrigerazione, che rinnovò la produzione e diede un nuovo impulso
all’attività, per cui il numero degli occupati tornò a superare le 300 unità. Nei
primi anni Settanta, l’azienda fu interessata da una nuova pesante crisi, che produsse il licenziamento di diciotto impiegati e la cassa integrazione a zero ore per
una trentina di operai26.
Ma anche queste difficoltà furono superate, grazie a una razionalizzazione
con un’altra società del gruppo Frick, e cioè la storica ditta milanese Officine
meccaniche Ing. G. Dall’Orto. Di lì a poco, infatti il nome fu cambiato in Technofrigo Dall’Orto, e negli anni Settanta fu tra le prime aziende ad introdurre e sviluppare il concetto di magazzini frigoriferi prefabbricati27. Nel 1995, a seguito
dell’acquisizione da parte del gruppo tedesco Gea, il nome venne nuovamente
modificato in Gea Technofrigo, poi diventato Gea Refrigeration Italy28. Lo stabilimento è nell’attuale via delle Officine Barbieri, toponomastica che ricorda il
passato dell’azienda. Gli occupati sono circa 200 e il volume d’affari si aggira sui
70 milioni di euro.
Un’impresa castelmaggiorese con un percorso simile è la Galletti, che attualmente si trova a Bentivoglio. Le origini de questa attività risalgono al 1906,
quando Ugo Galletti aprì a Castel Maggiore un piccolo opificio artigianale per
25
Ascm, verbale del Consiglio comunale del 20 ottobre 1952.
26
Ascm, verbale del Consiglio comunale del 10 settembre 1971.
Francesca Calace, Le ragioni della ricerca, in Francesca Calace (a cura di), «Restituiamo la storia» – dagli archivi ai territori. Archivi e modelli urbani italiani nel Mediterraneo orientale, Roma,
Gangemi, 2012, pp. 5-13.
27
28
Roberto Curti, Maura Grandi (a cura di), Imparare la macchina: industria e scuola tecnica a Bologna, Bologna, Compositori, 1998. Cfr. anche L’officina meccanica di Castelmaggiore, in “ScuolaOfficina”, n. 1, 1999, pp. 8-10.
36
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
la lavorazione del ferro e per la riparazione di attrezzature e macchine agricole.
Negli anni tra le due guerre, il business della ditta Galletti si ampliò alla produzione di stampi per ghiaccio e di altri strumenti legati alla catena del freddo, e un
nuovo capannone giunse ad ospitare fino a cento addetti. Nel corso della Seconda guerra mondiale, la fabbrica fu seriamente sinistrata, ma dopo la Liberazione
i figli del fondatore, Fiorenzo e Luigi Galletti, riuscirono a trovare le risorse per
ripristinare i danni e riattivare la produzione29.
Negli anni Cinquanta, a seguito della motorizzazione di massa, la Galletti si
orientò verso produzioni meccaniche legate all’industria motoristica, realizzando telai per motocicli. Importanti commesse arrivarono dalla Ducati, dalla Ferrari, dalla Lamborghini, dalla Landini e dalle Ferrovie dello Stato. Di lì a poco,
l’azienda compì il passo che avrebbe segnato la sua storia futura. Infatti, abbandonò il ruolo di subfornitore e contoterzista, per entrare nel settore del riscaldamento, proponendosi sul mercato con un proprio marchio. Il successo arrivò
con i radiatori a piastre Jolly, con i termoconvettori Condor e Falcon, e con gli
aerotermi Termojet.
Negli anni Settanta, la Galletti entrò nel settore del condizionamento, lanciando il ventilconvettore PolarWarm, che nel giro di poco tempo sarebbe divento un prodotto di successo in Italia e all’estero. Successivamente, grazie a
una partnership con una ditta giapponese, ampliò il proprio raggio d’azione al
mercato domestico degli split. Il conseguente aumento del fatturato obbligò al
trasferimento in un capannone molto più grande, che fu realizzato nella zona industriale di Bentivoglio. Attualmente, la Galletti è una delle aziende di riferimento nel mondo della climatizzazione comfort, ed è a capo di un gruppo industriale
che si propone sul mercato come un unico partner con competenze specifiche
in tutti gli ambiti del cosiddetto settore Heating refrigeration ventilation and air
conditioning (Hrvac)30.
Nel settore meccanico, troviamo alcune altre importanti imprese che hanno
animato la storia industriale di Castel Maggiore. Una di queste è la Pulsar, che
svolge attività di engineering, produzione e realizzazione di soluzioni di movimentazione e trasporto per i settori del packaging, tissue e automation. Nata nel
1989 dall’evoluzione di una agenzia che vendeva componenti modulari per automazione, inizialmente si occupava di importare tecnologie dell’azienda bavarese Maytec, di fornire supporto tecnico e di creare alcune linee di ridotta complessità. Nella seconda metà degli anni Novanta entrò a far parte di un gruppo
industriale denominato B-Group, raggiungendo i trenta addetti e realizzando il
Archivio della Camera di Commercio di Bologna (d’ora in poi Accb), registro delle ditte, fasc.
Galletti.
29
30
Ibid.
Tito Menzani, Gente al lavoro. Economia e imprese a Castel Maggiore
37
primo impianto nel settore tissue. Nel 2001, si trasferì nel capannone dove si trova ancora oggi, sempre a Castel Maggiore, aumentando ulteriormente il proprio
volume di affare. Basti pensare che nel 2006, ricordato come un «anno record»,
realizzò e installò 21 impianti in quattro diversi stabilimenti, per un totale di 126
macchine. Negli anni a noi più vicini, Pulsar ha accentuato le sue caratteristiche
di media impresa che però opera su un mercato internazionale, con importanti
clienti nei cinque continenti31.
Una branca particolare del polo meccanico felsineo è costituita dall’ascensoristica. A Castel Maggiore troviamo la Gianfranceschi Ascensori, nata nel 1950
come ditta individuale per iniziativa di Mario Gianfranceschi, prima di diventare
concessionaria di Fiam spa per il montaggio, la riparazione e la manutenzione di
ascensori e montacarichi per la città di Bologna e poi anche per alcune province
limitrofe. Nella seconda metà degli anni Sessanta, entrarono in azienda i figli
del fondatore, Gianfranco e Roberto Gianfranceschi, che seguirono attivamente
l’attività di partnership con la Fiam. Questo binomio esclusivo si interruppe nel
1987, quando la Gianfranceschi Ascensori si pose sul mercato come azienda autonoma per la vendita, l’installazione e il montaggio di ascensori e montacarichi.
Fu il preludio di un accordo con altre imprese del settore che nel 1989 portò alla
fondazione della ditta Sele, con sede a Castenaso32. Nel 1995, dalla Sele fu scorporata la Sele Servizi Bologna, che quattro anni dopo ha cambiato la propria denominazione in Gianfranceschi Ascensori, dato che era costituita in buona parte
da coloro che avevano in precedenza operato nell’omonima ditta.
Alcune importanti imprese meccaniche di Bologna hanno recentemente spostato la propria attività (o la propria sede) a Castel Maggiore. Le ricorderemo
solo rapidamente poiché, di fatto, la loro lunga storia insiste sul comprensorio
del capoluogo e non su quello che ci interessa in questa sede. Nel 2004 si è trasferita a Castel Maggiore la Società anonima Scipione Innocenti Bologna (Sasib),
ditta storica di Bologna, fondata nel 1915 e tra le prime e più importanti imprese
meccaniche del territorio felsineo. Attualmente è parte del gruppo Coesia, imperniato sulla Gd, e si occupa di tobacco packaging. Anche la Cevolani – altra impresa storica del settore packaging, fondata a Bologna nel 1900 – ha intersecato
tangenzialmente il territorio castelmaggiorese, dove attualmente conserva la
sede legale, mentre lo stabilimento produttivo è a Colunga, località del comune
di San Lazzaro di Savena. Infine, la ditta Michelini, che dal 1952 si occupa di fresatura e tornitura, si è trasferita da Bologna a Castel Maggiore nel 2009.
31
Archivio aziendale Pulsar, Business history timelines.
Tito Menzani, Dall’agricoltura allo sviluppo industriale e dei servizi: l’economia e le imprese, in
Carlo De Maria, Tito Menzani (a cura di), Un territorio che cresce. Castenaso dalla Liberazione ad
oggi, Bologna, Bradypus, 2015, pp. 67-95.
32
38
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Come anticipato, non è possibile raccontare le vicende delle tante imprese
meccaniche di Castel Maggiore. Tuttavia, alcune altre meritano di essere per lo
meno citate. Fra queste la Cinti, nata subito dopo la Seconda guerra mondiale,
che si è occupata di tecnologie per il pompaggio e la movimentazione delle
acque; la Zucchini packaging lines, che ha recentemente chiuso i battenti dopo
sessant’anni di storia nelle soluzioni meccaniche per il confezionamento; la Tinti
& Tolomelli, nata nel 1963, che ha storicamente lavorato nel settore carpenterie
e costruzioni meccaniche, spaziando dalla costruzione di basamenti di grandi
dimensioni per macchine automatiche e macchine utensili alla realizzazione di
singoli particolari; la Sati Group, fondata nel 1964, che fabbrica prodotti in gomma, in particolare nastri trasportatori, tubi, tappeti e simili; l’Officina meccanica
Aleardo Tartarini (Omt), fondata nel secondo dopoguerra e oggi parte del gruppo Emerson Electric; la Cemastir Lavametalli, titolare dei marchi Ama Universal
e Delfino, che dagli anni Ottanta anni produce macchine lavametalli ad acqua
per il trattamento di parti e componenti per l’industria; la Campomac, nata nel
1989, che fabbrica giunti, connettori e simili per un totale di 2,5 milioni di pezzi
meccanici all’anno, avvalendosi di circa cento addetti; e infine la Metatron, nata
nel 1997 e parte del gruppo Investment Technology, che realizza regolatori di
pressione e sistemi di controllo per automobili.
Oltre al settore meccanico, a Castel Maggiore ritroviamo diverse imprese che
operano nel comparto elettronico o a latere di esso. Tra le aziende storiche di
quest’area di business c’è sicuramente la Saiet Telecomunicazioni, nata nel 1962
a Bologna come compagnia per la rigenerazione di dispositivi elettromeccanici.
Alcuni anni dopo iniziò ad occuparsi anche di installazione di sistemi telefonici e di sistemi integrati, e a metà degli anni Settanta cominciò a disegnare e a
produrre dispositivi elettronici per applicazioni industriali. Fu a quel punto che,
per poter fruire di un capannone più ampio, la ditta si trasferì a Castel Maggiore,
e qui, nel 1980, sviluppò il suo primo telefono elettronico. Nel corso degli anni
Ottanta brevettò varie protezioni elettriche per dispositivi di telecomunicazioni
e diventò leader di questa nicchia di mercato. Nei primi anni Novanta allargò il
proprio business, entrando nel mercato dei centralini con i propri prodotti.
Tuttavia, nel 1995 un incendio devastante distrusse completamente lo stabilimento di Castel Maggiore. Si trattò di un colpo durissimo per l’azienda, ma non
letale; infatti, la produzione poté riprendere di lì a poche settimane in un nuovo
stabilimento. Negli anni Duemila la Saiet Telecomunicazioni ha raggiunto nuovi
importanti traguardi, come la collaborazione alla produzione di 10.000 payphone per Telecom Italia, un accordo di partnership con la divisione telecomunicazione di Samsung Electronics, l’ingresso nel mercato della videosorveglianza, e
soprattutto il grande successo del proprio prodotto Shark, realizzato per conto
di Telecom Italia e nel 2009 diventato il telefono a filo più venduto in Italia.
Sempre nel settore dell’elettronica opera il Gruppo Selcom, una compagi-
Tito Menzani, Gente al lavoro. Economia e imprese a Castel Maggiore
39
ne di livello internazionale che progetta, collauda e produce apparati e sistemi
elettronici e meccanici personalizzati. Nata nel 1979 a Bologna, ha poi trasferito
le proprie attività a Castel Maggiore a seguito di un aumento del fatturato dovuto a rapporti di long term partnership con clienti bolognesi, leader mondiali nel
settore del packaging. Successivamente si inserì in diversi altri settori che analogamente avevano bisogno di tecnologie elettroniche personalizzate e di qualità.
Nei primi anni Duemila, la Selcom ha acquisito alcune altre società del comparto
Electronic manufacturing services (Ems), quali Selital, Procond Elettronica, Fitelec, acquisendo così la fisionomia di un gruppo. Attualmente, forte di 430 addetti
e di un fatturato di 90 milioni di euro, è uno dei primi player europei del settore
Ems. Tra le altre aziende del comparto elettronico ricordiamo, infine, la Sadel,
che dal 1991 produce apparecchiature destinate al settore ferroviario italiano.
Nel settore alimentare sono state essenzialmente tre le aziende che hanno
contribuito a scrivere la storia dell’impresa a Castel Maggiore. La prima è la Oro
Pilla, nata sull’isola di Murano, nella laguna veneta, ma nel 1954 acquistata da
Leonida Zarri, che dopo trent’anni di attività presso la ditta di liquori bolognese
Buton, era fuoruscito per mettersi in proprio. Zarri trasferì la Oro Pilla a Castel
Maggiore, e qui continuò la produzione liquoristica che aveva come prodotto
di punta il brandy Oro Pilla, ma anche alcune linee minori di un certo interesse,
come il Select, utilizzato analogamente all’Aperol nello spritz veneziano. Nel
1988, il nipote del fondatore, Guido Fini Zarri, cedette il marchio Oro Pilla a Montenegro spa, e riconvertì parzialmente il vecchio stabilimento in una produzione
più ridotta ma di grande qualità, che ha preso il nome di Brandy Villa Zarri33.
La seconda importante azienda alimentare di Castel Maggiore è la Torrefazione Parenti, nata nel 1952 nel quartiere bolognese di Santa Viola, con il nome
di Torrefazione Caffè Mexico. Il titolare era Armando Parenti, ex collaudatore di
macchine per caffè, ed in questa prima fase fu coadiuvato solo dalla moglie. La
progressiva espansione dell’attività portò all’ingresso in azienda di alcuni dipendenti e del figlio del fondatore, e quindi al trasferimento in una sede più grande,
a Castel Maggiore. Nel 1996, fu acquisito il concorrente Caffè Giovannini, una
torrefazione nata a Rimini nel 1926, per iniziativa di Dante Giovannini. Attualmente i marchi Caffè Mexico e Caffè Giovannini contraddistinguono questa impresa che di recente ha ricevuto alcuni importanti riconoscimenti per l’elevata
qualità dei suoi prodotti34.
Anche la terza impresa del settore alimentare di Castel Maggiore è una torrefazione, nata nel 1961 con il nome di Cooperazione industria (Co.Ind), ma poiché
si tratta di un’azienda cooperativa sarà trattata nell’ultimo paragrafo.
33
Accb, registro delle ditte, fasc. Oro Pilla.
34
Accb, registro delle ditte, fasc. Torrefazione Parenti.
40
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Ci sono anche alcune aziende storiche di Castel Maggiore che operano in
comparti manifatturieri. Una di queste è la Gazzotti, che dal 1910 produce parquet in legno. Fondata da Leonello Gazzotti, inizialmente aveva sede a Bologna,
nel quartiere Saffi. La qualità della propria produzione consentì all’azienda di
diventare fornitrice ufficiale di Casa Savoia. Nel secondo dopoguerra, fu la prima
ditta ad importare in Italia la specie legnosa Doussiè, divenuta nel tempo una
delle più gradite dai compratori di parquet. Nel 1961, la Gazzotti si trasferì a
Trebbo di Reno, nella sede che tuttora occupa, e qui elaborò uno dei suoi più
grandi successi commerciali, ossia il ProntoParquet, un pavimento prefinito a
due strati e a lista unica che sul finire degli anni settanti avrebbe rivoluzionato il mercato. Nei primi anni Settanta affrontò una piccola crisi, che costrinse
l’azienda a privarsi momentaneamente del 40% della forza lavoro35. Successivamente recuperò quote di mercato e si concentrò su prodotti di qualità. Dopo
aver ottenuto numerosi premi e riconoscimenti, nel 2008 è entrata a far parte del
gruppo Idee & Parquet, storica realtà toscana formata da una rete di laboratori
altamente specializzati che esprime un sistema di offerta unico per la creazione
e la produzione di pavimenti di altissimo pregio.
Un’altra impresa castelmaggiorese che vanta una storia importante è la Alsa,
leader nella produzione di apparecchiature medicali. Nata nel 1932 come realizzatrice di piccoli strumenti per la diagnostica, ebbe un significativo sviluppo negli anni del miracolo economico. I prodotti che ne decretarono il successo furono
gli aspiratori chirurgici e i dispositivi per terapia fisica. Più di recente ha tagliato
un nuovo importante traguardo con la realizzazione e la commercializzazione
degli elettrobisturi, concepiti secondo la più avanzata tecnologia disponibile sul
mercato.
Per completare questa nostra breve rassegna sul comparto manifatturiero
castelmaggiorese ricordiamo rapidamente alcune altre realtà, quali la Cantelli
rotoweb, che dal 1935 si occupa di stampa tipografica; l’Azienda chimica emiliana (Acem), che dal 1966 produce smalti, stucchi, resine e simili; la Tecnotelai, che
dal 1967 realizza arredi per l’industria e mobili per l’ufficio; la Legatoria Carfi,
nata a cavallo fra anni Sessanta e Settanta; la Ghepard, che dal 1975 opera nel
settore moda, ed è conosciuta soprattutto per le linee di borse, di valige e di
complementi per il viaggio; la Kaba, filiale italiana di un gruppo internazionale
specializzato nel settore sicurezza; la Sforza, azienda dell’abbigliamento specializzata nella produzione di capispalla; e infine il Mollificio Isb, che dopo un’attività quarantennale a Bologna, nel 2008 si è trasferito a Castel Maggiore.
35
Ascm, verbale del Consiglio comunale del 28 febbraio 1972.
Tito Menzani, Gente al lavoro. Economia e imprese a Castel Maggiore
41
Il boom del terziario
Negli ultimi decenni del Novecento, il terziario ha conquistato una centralità
economica assolutamente non prevedibile all’inizio del secolo, non solo in Italia
ma in tutto il mondo industrializzato36. In riferimento al territorio di Castel Maggiore, ci interessa analizzare le trasformazioni che riguardarono i servizi nell’arco di tempo considerato in questa ricerca, nella consapevolezza di non trattare
un segmento economico trascurabile o di minore importanza rispetto agli altri.
Si è soliti dividere il terziario in tre ambiti, e cioè il commercio, il credito, e i servizi all’impresa e alla persona.
Iniziamo proprio dal settore commerciale, che nel secondo dopoguerra era
caratterizzato da una pletora di negozi tradizionali, dislocati per lo più nel centro storico del paese, nel quartiere Progresso, e a Trebbo di Reno. Si trattava di
esercizi commerciali per la vendita di generi alimentari, di prodotti per la casa
o per la persona, di abbigliamento, di strumenti o attrezzi da lavoro, e simili;
attività sottoposte a licenza da parte dello Stato, quasi sempre con una gestione
di carattere famigliare, con i coniugi che si alternavano in negozio, a volte coadiuvati da fratelli, cugini e figli, o in altri casi da dipendenti senza legami parentali. Molto spesso erano esercizi che passavano di generazione in generazione,
o che comunque venivano venduti e comprati senza che vi fosse una radicale
trasformazione o innovazione di quel tipo di servizio, che consisteva nel cercare
di accontentare la clientela con prodotti di buona qualità a prezzo conveniente.
Questo assetto fu profondamente scompaginato dalla diffusione di un nuovo
tipo di punto vendita, e cioè il supermercato. A tal proposito, vari studiosi hanno
utilizzato l’espressione «rivoluzione commerciale»37. Il supermercato è un esercizio contraddistinto dal self-service, che lo rende strutturalmente differente dal
negozio tradizionale, perché distribuito su una superficie molto più grande, e
con un differente utilizzo del personale, sollevato dal compito di dare materialmente i prodotti ai clienti. Il primo supermercato italiano fu aperto nel 1957,
a Milano, a insegna Supermercati italiani, nome successivamente cambiato in
Esselunga.
Dal punto di vista socio-economico, la gestione del supermercato si abbinava
a una serie di politiche commerciali assolutamente nuove, che facevano leva
sugli studi comportamentali e dovevano necessariamente tenere conto dei con-
Patrizia Battilani, L’emergere dell’economia postmoderna, in Ead., Giuliana Bertagnoni (a cura
di), Competitività e valorizzazione del lavoro. Il Consorzio Nazionale dei Servizi (1977-2007), Bologna, Il Mulino, 2007, pp. 29-95.
36
Emanuela Scarpellini, La spesa è uguale per tutti: l’avventura dei supermercati in Italia, Venezia,
Marsilio, 2007.
37
42
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
cetti di praticità e di immagine. Ma soprattutto, il taglio dei costi di personale
e le politiche di approvvigionamento – con un rapporto diretto, non mediato
dal grossista, tra produttori e grande distribuzione organizzata – consentirono
a queste realtà di praticare dei prezzi molto più convenienti nei confronti dei
consumatori38.
Il primo supermercato di Castel Maggiore risale al 198239. Si trattava di un punto vendita Coop, con una superficie di vendita di 1.018 metri quadrati che derivava dall’ampliamento e della rimodulazione di una superette Coop precedente, a
sua volta evoluzione di un emporio tradizionale della cooperazione di consumo40.
Nella fase a noi più vicina, dagli anni Ottanta a oggi, questo processo ha fatto
registrare alcune trasformazioni ulteriori, con la progressiva comparsa di hard
discount, di ipermercati, di centri commerciali. Anche Castel Maggiore è stato
interessato da queste dinamiche, basti pensare alla realizzazione del centro
commerciale Le Piazze. Inoltre, nel territorio di Castel Maggiore è presente dagli
anni Ottanta un punto vendita Metro, che si rivolge a clienti business principalmente dell’area ristorazione.
Veniamo ora ad affrontare la questione del credito, la cui storia recente è
in genere divisa in tre fasi. La prima è quella del ventennio che intercorre tra la
Liberazione e la metà degli anni Sessanta, durante la quale l’economia dell’area
a nord di Bologna si divise tra l’agricoltura e circostanziate esperienze in ambito
commerciale e industriale. Dunque, non si ebbero le condizioni per uno sviluppo
di operazioni importanti di credito né per l’avvio di una qualche attività affaristica legata all’utilizzo di prodotti finanziari. L’attività dei pochi istituti bancari
che insistevano sull’area castelmaggiorese rimase prevalentemente rivolta alle
piccole sovvenzioni alle imprese e allo sviluppo del risparmio.
La fase successiva va dalla metà degli anni Sessanta all’inizio dei Novanta,
ed è contraddistinta da un aumento molto significativo dell’attività creditizia. Il
processo di massiccia industrializzazione del territorio rese gli sportelli bancari
un ingrediente cruciale del processo di sviluppo. Alcuni istituti di credito come la
Cassa di Risparmio di Bologna o la Banca popolare dell’Emilia – per non fare che
alcuni esempi – divennero i co-protagonisti di un percorso di crescita dell’economia locale che non aveva precedenti41.
Emanuela Scarpellini, Comprare all’americana: le origini della rivoluzione commerciale in Italia,
1945-1971, Bologna, Il Mulino, 2001.
38
39
Alessandro Albertini (a cura di), Regione Emilia-Romagna, servizio commercio. Repertorio delle
medie e grandi strutture di vendita al dettaglio, Bologna, Regione Emilia-Romagna, 1990, p. 124.
40
Ascm, b. 975, Statistiche ricorrenti, 1959-1979, f. 3, Commercio.
Leandro Conte, Giandomenico Piluso, Gianni Toniolo, Credito e cooperazione: la singolare storia
della Banca popolare dell’Emilia Romagna, Bologna, Il Mulino, 2009.
41
Tito Menzani, Gente al lavoro. Economia e imprese a Castel Maggiore
43
La terza e ultima fase è quella inaugurata dalla riforma bancaria del 1993,
con l’approvazione di un testo unico che ridisegnò i confini dell’attività creditizia. In particolare si introdussero incentivi alla formazione di gruppi, ma si cercò
anche di rendere questo genere di mercato più concorrenziale. Una delle norme
più importanti e innovative all’interno del testo unico è l’art. 10, che modificò il
significato di banca, definendo il carattere imprenditoriale dell’attività – quando,
in precedenza, era un ente emanazione dello Stato o sotto lo stretto controllo
di quest’ultimo –, consistente nella raccolta di risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito. Nell’immediato, non si ebbero grandi sconvolgimenti nell’area
qui considerata, se non una più accentuata concorrenza e la comparsa di alcuni
sportelli di nuovi istituti di credito. A Castel Maggiore ha anche fissato la propria
sede la Santander Consumer Unifin, del gruppo Banco Santander, che si occupa
di servizi finanziari.
Il vasto ed eterogeneo comparto del terziario generalmente noto come servizi all’impresa e alla persona rappresenta storicamente uno dei terreni economicamente più vivaci degli ultimi decenni. Si tratta di un contesto merceologico
che racchiude servizi di vario genere – la logistica, le pulizie, le manutenzioni,
la ristorazione aziendale o la vigilanza – e che come tale è stato assolutamente
marginale prima del miracolo economico. Invece, dagli anni Settanta in poi, si
ebbe un forte processo di outsourcing, che fece sorgere società specializzate nei
comparti sopra richiamati, perché dette funzioni non venivano più svolte internamente all’azienda. A Castel Maggiore sono particolarmente presenti imprese
di logistica, di facchinaggio e di trasporto, anche a seguito della vicinanza all’Interporto.
Il Gruppo Cogefrin è certamente uno dei player più importanti nel suaccennato contesto. Nato nel 1968, offre servizi di trasporto e spedizione in molti paesi
europei ed extra europei, forte di un hub con 70.000 mq di magazzino coperto.
Negli ultimi decenni, il gruppo ha diversificato la propria attività, in direzione
delle costruzioni sostenibili, realizzate con il sistema easy building system, che
consente di fabbricare edifici monofamiliare o plurifamiliari, resort, hotel, residenze sanitarie assistite e studentati.
Tra le altre imprese ricordiamo la Idros, nata nel 1961 da un’intuizione di Giuseppe Orlandi, che rilevò la Società acque gasate e affini (Saga), un’azienda milanese con deposito anche a Bologna in fase di dismissione, e la trasformò in una
ditta di consegne di bevande. La collocazione nella zona industriale di Castel
Maggiore, strategica per via della vicinanza all’Interporto, agli snodi autostradali e al capoluogo, fu una delle chiavi del successo. Oggi la gamma dei prodotti
trattati copre tutti i segmenti merceologici del bere, dalle acque minerali alle
birre, dalle bevande alcoliche a quelle energetiche, dai succhi di frutta ai vini.
Anche il gruppo Tellerini riveste una certa importanza, in questo caso nella
movimentazione e nello stoccaggio dei prodotti chimici. Nato nel 1941, si è pro-
44
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
gressivamente ampliato fino a diventare, oggi, uno dei più importanti siti distributivi d’Italia nella chimica di base per la piccola e media industria, forte di una
estensione logistica che supera i 10.000 mq di magazzino coperti e una capacità
di stoccaggio di liquidi di oltre 4.000 tonnellate.
Nella logistica legata al rifornimento dei distributori automatici, vanta una
importante esperienza la società Daem, nata nel 1967 e attualmente parte del
network Buonristoro vending group. La società Vitamin Center, invece, è nata
nel 2002, ma è diventata leader nella distribuzione di integratori alimentari per
lo sport, per la salute e per il benessere, nonché di prodotti naturali, biologici e
simili. Ricordiamo anche la società Fema, nata a Castel Maggiore nel 2009, che
commercializza apparecchiature biomedicali, per lo più con l’obiettivo di promuovere l’utilizzo di tecnologie ad uso estetico all’interno degli studi dentistici
e odontoiatrici.
Infine, sempre nel terziario, occorre ricordare alcune altre imprese di Castel
Maggiore che rivestono una certa importanza, e cioè l’agenzia per il lavoro temporaneo Adhr Group; la 2G ricambi auto che dal 1981 opera nel settore automotive; la Tecnologia commerciale (Teco) che dal 1982 commercia all’ingrosso
materiale elettrico; la Emmegi Ricambi che dal 1995 si occupa di vendita e assistenza computer e prodotti ict; la Coin Service Nord, specializzata nei servizi
di contazione, deposito e trasporto delle monete; la Form Art, società di Confartigianato, che da oltre vent’anni organizza corsi di formazione professionale; e
infine la Nier Ingegneria, nata nel 1977 e oggi specializzata in servizi avanzati
relativi ai sistemi di gestione e simili, dal 2002 affiancata da Nsi Nier, attiva nella
produzione di software.
Tra le imprese di servizi di carattere pubblico, a Castel Maggiore vanno ricordate l’Azienda servizi ambientali (Asa), parte del gruppo Hera, e la Geovest che
si occupa di raccolta e smaltimento rifiuti42.
Il movimento cooperativo a Castel Maggiore
Il movimento cooperativo continua a vivere una straordinaria stagione di vivacità imprenditoriale, che in Italia lo rende protagonista o coprotagonista in vari
comparti economici, dall’agroalimentare alle costruzioni, dalla grande distribu-
Maurizio Garuti, Arnaldo Pettazzoni, Il libro bianco degli spazzini. I primi dieci anni di Geovest.
Uomini e donne sulla frontiera quotidiana dell’ambiente, Bologna, Minerva, 2012.
42
Tito Menzani, Gente al lavoro. Economia e imprese a Castel Maggiore
45
zione ai servizi, dal credito alle assicurazioni. L’Emilia-Romagna è indubbiamente una delle culle storiche della cooperazione, e dal tardo Ottocento ad oggi
ha visto intrecciarsi, sovrapporsi e consolidarsi diversi percorsi di maturazione
imprenditoriale autogestita, cosicché ancora oggi le principali e più grandi cooperative italiane sono quasi tutte concentrate in questa regione. Storicamente,
fra alterne vicende, un tessuto di piccoli e medi sodalizi, distribuiti capillarmente
e ben radicati sul territorio si è via via rinnovato e irrobustito attraverso vari livelli di unificazione o reinvestendo ciclicamente i proventi della propria attività,
per cui anno dopo anno, bilancio dopo bilancio, si sono originate cooperative di
rilevanza nazionale43.
Castel Maggiore è uno dei comuni nei quali, storicamente, questa attività cooperativa si è declinata con un certo vigore44, e ancora oggi hanno sede in questo
territorio varie cooperative (tabella 4). Tra i principali animatori del movimento
cooperativo castelmaggiorese va ricordato Mario Mazzacurati (1912-1966), già
sindaco tra il 1951 e il 1956. In particolare, organizzò la ricostruzione della casa
del popolo e fu presidente della cooperativa di consumo nel corso della prima
metà degli anni Sessanta45. La casa del popolo di Castel Maggiore fu inaugurata il
22 settembre 1957 e dopo la morte di Mario Mazzacurati fu intitolata a quest’ultimo. Sul suo statuto si legge: «questa Casa del Popolo è stata edificata dai lavoratori di Castel Maggiore. Essa è aperta a tutti i cittadini democratici: luogo di
incontro, centro di ricreazione e di cultura, sede di civile dibattito delle idee»46. Al
piano terra ospitava lo spaccio della cooperativa di consumo, che – come detto
– avrebbe poi dato origine ad un supermercato Coop.
Tab. 4 Le imprese cooperative a Castel Maggiore (1945-1987)
Denominazione
Fondazione
Cessazione
Settore
Centrale
Primo presidente
Cooperativa edificatrice
Novella
08/06/1911
28/10/1985
abitazione
Legacoop
Calisto Bolelli
Cooperativa Patria
11/08/1920
31/10/1957
abitazione
n.d.
Augusto Fava
Cooperativa costruttrice
Pace e Lavoro
11/05/1921
03/07/1957
abitazione
n.d.
Callisto Lambertini
Tito Menzani, La cooperazione in Emilia-Romagna. Dalla Resistenza alla svolta degli anni Settanta, Bologna, Il Mulino, 2007. Più in generale, sulla storia del movimento cooperativo cfr. Massimo
Fornasari, Vera Zamagni, Il movimento cooperativo in Italia: un profilo storico-economico (18541992), Firenze, Vallecchi, 1997.
43
44
Cooperative Castelmaggiore: 15 anni di lotta e di lavoro, Castel Maggiore, Gamberini, 1960.
Roberto Fregna, Castel Maggiore 1943-1945: documenti e testimonianze della lotta contro il
nazifascismo, Bologna, Ape, 1974, p. 186.
45
Tiberio Verri (a cura di), T’arcordet Castel Mazaur? Mostra storico-culturale sul nostro territorio
(cartoline, foto, documenti ed altro), Castel Maggiore, s.n., 2010, p. 81.
46
46
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Coop. consumo del popolo
di Castel Maggiore
21/07/1945
*
commercio
Legacoop
Mauro Carati
Coop. comunale edilizia
Pane e Lavoro
13/09/1945
20/03/1964
costruzioni
n.d.
n.d.
Coop. comunale di prod. e
lav. di Castel M.
22/09/1945
15/10/1966
manifattura
Legacoop
Edmondo Ruggeri
Coop. operai di Castel
Maggiore
03/03/1946
18/04/1962
manifattura
Legacoop
Ludovico Roberti
Coop. produttori di latte di
Castel Maggiore
28/04/1949
02/02/1966
agroalim.
n.d.
n.d.
Cooperativa edificatrice
Bondanello
30/04/1954
10/01/1976
abitazione
Confcoop.
Giovanni Matta
Coop. agric. piccoli produttori di Bondanello
14/12/1954
02/02/1966
agroalim.
Legacoop
Antonio Gamberini
Coop. agric. piccoli produttori di Ronco
14/01/1955
18/09/1959
agroalim
n.d.
Dino Parenti
Coop. agric. piccoli produttori di Sabbiuno
26/01/1955
26/11/1962
agroalim.
n.d.
Domenico Cervellati
Cooperativa edificatrice
Pro Castello
07/01/1958
09/10/1968
abitazione
Legacoop
Gino Vignoli
Coop Industria
16/03/1961
in attività
manifattura
Legacoop
Nello Sangiorgi
Consorzio Cave Bologna
24/11/1961
in attività
estrattivo
Legacoop
Federico Borghi
Cooperativa ortofrutticola
Abc
05/06/1962
16/12/1975
agroalim.
n.d.
Vittorio Bergami
Cooperativa La Decennale
25/03/1963
09/09/1965
abitazione
Legacoop
Dino Bovina
Cooperativa edificatrice
Serena
29/05/1963
**
abitazione
Legacoop
Silvino Drandola
Stalla sociale Progresso
02/03/1969
02/05/1984
agroalim.
Legacoop
Bruno Tolomelli
Cooperativa edilizia
Serena
22/04/1971
05/08/1977
abitazione
n.d.
Giacomo De
Santis
Cooperativa edificatrice G.
Massarenti
11/03/1974
n.d.
abitazione
Agci
Giovanni D’Andrea
Cooperativa Bologna Gru
12/04/1974
in attività
logistica
Legacoop
n.d.
Cooperativa Avola
29/04/1978
in attività
ambiente
Legacoop
n.d.
Cooperativa edificatrice
Castel Maggiore
17/06/1978
23/06/1981
abitazione
n.d.
n.d.
Coop. autotrasporti Castel
Maggiore (Cac)
31/01/1980
n.d.
trasporti
Legacoop
Sanzio Baietti
Cesmab
08/02/1980
20/12/2013
abitazione
n.d.
Francesco Solmi
Cooperativa coltivatori
Castello
07/12/1980
n.d.
agroalim.
n.d.
Luigi Bergami
Cooperativa sport Progresso
24/09/1981
in attività
ricreativo
n.d.
Guido Guidi
Tito Menzani, Gente al lavoro. Economia e imprese a Castel Maggiore
47
Cooperativa edificatrice
Nuovo Eden
13/10/1981
25/11/1985
abitazione
n.d.
Maurizio Lollini
Cooperativa Germoglio
04/12/1981
n.d.
agroalim.
n.d.
Marco Coltelli
Consorzio Federtrasporti
26/06/1982
02/08/2011
trasporti
n.d.
n.d.
Federservice
21/06/1985
in attività
finanza
Legacoop
n.d.
Cooperativa Agri 2000
24/06/1985
in attività
ricerca
n.d.
n.d.
Bononia 2000
02/03/1987
n.d.
manifattura
n.d.
Alessandro Moro
Cotra Service
02/03/1988
in attività
logistica
n.d.
n.d.
Linea Blu
25/06/1992
in attività
consulenza
n.d.
n.d.
Fta
29/05/2007
08/08/2013
logistica
n.d.
n.d.
Sistemi Logistici
29/05/2007
08/08/2013
logistica
n.d.
n.d.
Generalservizi
29/05/2007
08/08/2013
logistica
n.d.
n.d.
Consorzio Veloci
16/07/2007
08/03/2013
logistica
n.d.
n.d.
Logistica Italia
26/07/2010
10/02/2011
logistica
n.d.
n.d.
Emiliana Tlf
20/12/2007
in attività
logistica
n.d.
n.d.
Key Log
30/06/2008
05/07/2012
logistica
n.d.
n.d.
Duca
05/08/2008
31/12/2013
logistica
n.d.
n.d.
Nuova trasporti Bra
20/02/2009
in attività
logistica
n.d.
Carmine Basco
Caedo
18/12/2009
in attività
logistica
n.d.
Gianni F.P.
Cinieri
Cooperativa sociale
Alveare
21/07/2010
in attività
sociale
n.d.
Umberto Romagnoli
White Gloves
29/07/2011
10/12/2014
pulizie
n.d.
n.d.
Cooperativa sociale
Senlima
11/10/2011
in attività
sociale
n.d.
n.d.
All Service
21/11/2011
in attività
logistica
n.d.
n.d.
Quality Job
15/03/2012
in attività
logistica
n.d.
n.d.
Animal Coop
29/10/2012
in attività
sociale
n.d.
n.d.
Lk
31/10/2012
in attività
logistica
n.d.
n.d.
Parking
17/04/2013
in attività
immobil.
n.d.
Adriano Calza
Sal
26/10/2013
in attività
logistica
n.d.
n.d.
Bfc Multiservice
03/07/2014
in attività
logistica
n.d.
Angela Gurieri
Avvertenza: Sono contemplate solo le cooperative che hanno o hanno avuto sede legale nel
Comune di Castel Maggiore, e non quelle che hanno mantenuto qui la sede amministrativa o
una unità locale.
Nota (*): In data 17/12/1971 confluì in Coop Bologna che, a seguito di ulteriori processi di fusione, ha contribuito a dare vita all’attuale Coop Alleanza 3.0.
Nota (**): In data 08/01/1980 fu incorporata dalla Cooperativa edificatrice La Fornace, dieci
anni dopo assorbita dalla Cooperativa edificatrice Murri.
Fonti: Anna Gurioli, Elena Romagnoli (a cura di), Repertorio delle cooperative di Bologna e
48
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Provincia (1883-1987), Bologna, Federcoop, 1987. I dati successivi al 1987 sono stati reperiti attraverso il database Analisi informatizzata delle aziende italiane (Aida). A seguito dell’utilizzo
di tali fonti, le cooperative nate e morte tra il 1987 e il 2007 potrebbero non essere comprese
nella tabella.
Oltre al settore del consumo, il movimento cooperativo castelmaggiorese è stato particolarmente vivace in ambito agricolo, specialmente nel secondo dopoguerra, fino a tutti gli anni Sessanta. Appaiono numerose anche le cooperative di
abitanti, che hanno contribuito all’urbanizzazione del territorio, e le cooperative
di trasporto e logistica, cresciute particolarmente nei decenni a noi più vicini.
In questo panorama, tre imprese cooperative hanno svolto un ruolo preminente e peculiare nell’economia di Castel Maggiore, e cioè Coop Industria (Co.
Ind), il Consorzio Cave Bologna – noto anche come Concave – e la Cooperativa
Avola, per cui ripercorreremo brevemente la loro storia in questa sede.
Co.Ind. è un cosiddetto co-packer, ossia un produttore di articoli a marchio
del distributore, nato nel 1961 per iniziativa delle cooperative di consumo raccolte dietro al marchio Coop. L’idea era quella di realizzare una integrazione a
monte, in questo caso a beneficio della commercializzazione del caffè. Co.Ind
era innanzi tutto una torrefazione, ma si caratterizzò fin dal principio come una
realtà aziendale dinamica, e perseguì strategie di diversificazione produttiva –
anche in ambiti molto distanti da quello alimentare, come il settore chimico – e
di ampliamento del portafoglio clienti.
Questi ultimi furono reperiti sia all’interno del movimento cooperativo, come ad
esempio Conad e Camst, ma anche al di fuori, visto che l’attività di realizzazione di
articoli a marchio del cliente si espletò pure a favore di catene commerciali tradizionali. Dunque, questa particolare collocazione nel sistema cooperativo, da un lato
conferì un vantaggio in termini di stabilità, garantendo a Co.ind una clientela certa,
ma dall’altro non esercitò alcuna inibizione rispetto al confronto con il mercato ed i
vincoli economici. Questo successo portò ad una evoluzione della struttura societaria, da piccola impresa, quale era negli anni Sessanta, a moderno gruppo industriale.
Negli anni Novanta fu comperato il marchio Attibassi, storico produttore dolciario bolognese, e si acquisì il controllo della Fruttagel di Alfonsine, già legata al movimento cooperativo47. Attualmente il gruppo Co.Ind vanta un fatturato
complessivo di 220 milioni di euro, cinque stabilimenti sul suolo italiano e oltre
400 dipendenti. Oltre al caffè – commercializzato anche con i propri marchi Meseta e Carracci –, produce cioccolato, surgelati, conserve, orzo, liquirizia e prodotti non alimentari, come i cosmetici e i detergenti.
47
Patrizia Battilani, Co.Ind, un successo costruito sulla diversità, Bologna, Il Mulino, 2001, poi rivisto, aggiornato e rieditato col titolo Il Gruppo Co.Ind (1961-2011). Storia di un co-packer, Bologna,
Il Mulino, 2011.
Tito Menzani, Gente al lavoro. Economia e imprese a Castel Maggiore
49
Anche il Consorzio Cave Bologna è nato nel 1961. All’epoca, l’edilizia era uno
dei settori di punta della cooperazione bolognese, e per evitare le strozzature
lungo la sua filiera, le principali cooperative di costruzione decisero di dare vita
ad un’impresa deputata all’escavo degli inerti e alla loro lavorazione per la produzione di calcestruzzo. Inizialmente, gli impianti del Consorzio Cave erano a
Casalecchio di Reno, ma nel 1976 vennero spostati a Bologna, in via Zanardi, al
confine con Castel Maggiore. Dopo un decennio, la sede legale sarebbe stata fissata proprio in questo comune, nella prestigiosa cornice di Villa Melloni, in località Trebbo di Reno. Contemporaneamente si modificava la struttura societaria,
per cui oggi – a dispetto del nome – non è più un consorzio ma una cooperativa
i cui soci sono gli addetti.
La storia del Consorzio Cave è stata contraddistinta da un forte impegno in
termini di sostenibilità. La figura del cavatore era stata spesso associata a quella
di un profittatore, che si preoccupava di estrarre ghiaia dal sottosuolo, lasciando
«ferite» sul territorio. Il Consorzio Cave si è sforzato di modificare quest’immagine, con un comportamento virtuoso, di grande rispetto per le comunità; le cave
esaurite non sono mai state abbandonate, ma – opportunamente riallestite –
sono state destinate ora a parco pubblico, ora a cassa di espansione, fino a un
recente impiego come sede di una centrale fotovoltaica.
Dunque, il Consorzio Cave Bologna ha rappresentato in largo anticipo una
coscienza ecologica che ha consentito di coniugare l’attività estrattiva e la produzione dei conglomerati con il rispetto del territorio. La sostenibilità è diventata l’imperativo dell’azione imprenditoriale e ha rappresentato il valore aggiunto
più tangibile per gli stakeholders. Oggi, il pay-off «risorse e ambiente» continua
a dare conto di questo binomio, che non deve essere considerato solamente una
sinergia virtuosa, ma il vero motore della sua azione concreta48.
La cooperativa Avola è quella più recente delle tre, visto che è stata creata
nel 1978. I soci fondatori erano alla ricerca si una stabilità occupazionale, e alcuni di questi avevano alle spalle un periodo di militanza sindacale, durante il
quale avevano anche subito delle discriminazioni di carattere politico. La scelta
stessa del nome Avola era un aperto richiamo a un paese simbolo delle lotte per
il lavoro, poiché in questa località siciliana, nel 1968, una manifestazione era
stata repressa nel sangue dalle forze dell’ordine che avevano sparato ad altezza
d’uomo, uccidendo due persone e ferendone quarantotto, cinque in modo grave.
Fin dalle origini, la Cooperativa Avola operò del campo dei servizi ambientali, per lo più attraverso appalti emanati dalla pubblica amministrazione; negli anni Duemila, tuttavia, ha potenziato l’attività rivolta a privati. Attualmente
Tito Menzani, Risorse di qualità e sostenibilità ambientale. Il Consorzio Cave Bologna fra successi di ieri e sfide di oggi (1961-2011), Bologna, Clueb, 2011.
48
50
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
vanta un’ottantina di addetti, più della metà dei quali è socio. Nel contesto della
provincia felsinea è leader nel campo della progettazione, realizzazione e manutenzione di parchi, giardini e aree verdi, nelle attività specialistiche dell’ingegneria naturalistica, della riforestazione e riqualificazione ambientale, nonché
in ambiti correlati quali, ad esempio, arredi, parchi gioco, pavimentazioni per la
viabilità pedonale e carrabile e impianti sportivi.
In estrema sintesi, il territorio di Castel Maggiore si segnala per essere stato
contraddistinto da una rapida industrializzazione, sia endogena che derivante
dallo spostamento di attività produttive che in precedenza operavano in altre località, prevalentemente a Bologna. Questo sviluppo manifatturiero ebbe il proprio picco negli anni Settanta, quando l’agricoltura divenne del tutto marginale;
gli ultimi decenni, invece, sono stati caratterizzati dall’espansione dei servizi. In
tutto questo processo, le imprese cooperative hanno contribuito a scrivere un
pezzo della storia economica castelmaggiorese.
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Istituzioni locali, economia e società
A cura di Carlo De Maria e Tito Menzani
Bologna (BraDypUS) 2016
ISBN 978-88-98392-33-9
p. 51-94
Associazionismo, cultura, consumi,
stili di vita e tempo libero
FABIO MONTELLA
«Mack-a-rownee! Mack-a-rownee!
Ma questa è robba da carrettieri.
Io non magno mack-a-rownee!
Io sono ammaricano, sono!»1.
Alberto Sordi (1954)
«Me a fag al spiker ind’una radio
dascor in american […]
vè s’ajò da dir par magner du macaron»2.
Andrea Mingardi (1981)
Introduzione
«[D]opo qualche giorno dalla Liberazione, i vari “tesori” vennero riesumati e
finalmente ripresero aria e sole: la bicicletta nuova, la macchina da cucire, la
biancheria della dote matrimoniale, il vestito migliore di lei e di lui, un sacco
di grano. E, tra le tante altre cose, la radio»3. Nell’efficace descrizione di Carlo
1
Alberto Sordi-Nando Mericoni nella celeberrima scena dei maccheroni nel film Un americano a
Roma diretto da Steno (1954).
2
Andrea Mingardi nella canzone Xa vutt dalla vétta, prima traccia dell’omonimo album del 1981.
Carlo Garulli, La palla di stracci. Fotogrammi della memoria, Castel Maggiore, Ink Studio, 2002, p.
248. Garulli, nato nel 1928, è stato operaio, sindacalista, sindaco del Comune di Castel Maggiore dal
3
52
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Garulli, gli oggetti che riprendono vita sono il simbolo di quel senso di rinascita
che animò uomini e donne di Castel Maggiore, alla notizia che la guerra era finita. Garulli, classe 1928, aveva trascorso l’intera infanzia e adolescenza sotto la
pesante cappa del regime. Per la sua, come per tante altre famiglie antifasciste
(o afasciste) italiane, la fine della Repubblica sociale e dell’occupazione nazista
aveva significato l’uscita da un clima di terrore e lo sprigionarsi di energie nuove.
«Tanta gente cammina per le strade a testa alta. Parlando e ridendo. Le vie sono
traboccanti di sorriso», si poteva leggere il 4 maggio 1945 sul giornale “L’Unità
democratica”4.
Garulli, sindaco dal 1956 al 1970, è stato uno degli artefici della rinascita di
Castel Maggiore e un simbolo di come questo Comune abbia saputo voltare pagina dopo i disastri della guerra, modernizzandosi e crescendo in tanti ambiti,
compresi quelli della cultura, del tempo libero e dello sport, di cui ci occuperemo in questo saggio.
Nella cultura i vincoli della finanza locale e la vicinanza del capoluogo provinciale, che da sempre esercita una forte attrazione, non hanno impedito a Castel Maggiore di costruirsi una propria identità e di caratterizzarsi per iniziative
di qualità in alcuni segmenti, quali la pittura, la fotografia e la musica. Anche
nello sport, specialmente in quello di base, il Comune ha saputo ritagliarsi un
proprio spazio distintivo, anche se non sono mancati exploit in quello agonistico,
come dimostra la favola del Progresso nel basket “che conta”.
In entrambi i casi – cultura e sport – appare fondamentale l’apporto del volontariato, che ha saputo crescere, rinnovarsi e specializzarsi e che è stato sostenuto negli ultimi 70 anni da amministrazioni comunali consapevoli della sua
importanza quale elemento di aggregazione, socialità ma soprattutto di partecipazione alla vita comunitaria e di condivisione di valori. Per dirla con le parole
della amministrazione che si insediò nel 1995, la comunità di Castel Maggiore
è il risultato storico e politico di una particolare integrazione tra il governo locale e la
rete delle forme associative intermedie. Questa integrazione ha prodotto uno specifico
tessuto caratterizzato da una coesione sociale fatta di servizi pubblici, efficace azione
di governo, autorganizzazione delle forze sociali, regolazione equilibrata del mercato
e ruolo del welfare che hanno tenuto insieme la diffusione del benessere e della crescita economica con la solidarietà e i diritti dei cittadini. Questa peculiare integrazione
è, in sistema, il vantaggio della nostra comunità5.
1956 al 1970 e assessore della Provincia di Bologna.
4
Ritorno alla normalità, in “L’Unità democratica”, 4 maggio 1945.
Archivio storico del Comune di Castel Maggiore (Ascm), Delibere di Consiglio comunale, anno
1995, seduta del 9 maggio, delibera n. 47, Comune di Castel Maggiore, Allegato Indirizzo generali
di governo.
5
Fabio Montella, Associazionismo, cultura, consumi, stili di vita e tempo libero
53
Cinema, sale da ballo, fiere e mercati
La prima amministrazione comunale guidata dal sindaco Amedeo Servisi (19461951) si mosse in realtà entro spazi finanziari piuttosto angusti, che limitarono
fortemente la capacità di manovra in settori giudicati non primari come sport e
cultura. Ciononostante il Comune tentò ugualmente di raggiungere l’obiettivo
perseguito dal Pci nazionale di inserire le classi lavoratrici nella vita collettiva
del paese senza trascurare la loro elevazione culturale, etica e politica.
A Castel Maggiore furono immediatamente riattivati i luoghi e i momenti della socialità, a partire dal mercato settimanale del giovedì, ripristinato nel 1946
nella ridenominata piazza Martiri della Libertà, spostato alla domenica nel 1947
ma tornato, qualche anno dopo, al consueto giorno feriale. Ripartirono anche le
due fiere di merci e bestiame del primo lunedì di luglio e dell’ultimo giovedì di
ottobre6, occasioni di contrattazione e di conclusione di affari ma anche importanti momenti di incontro.
La Liberazione aveva fatto tornare la voglia di trascorrere il proprio tempo
libero all’aria aperta, specialmente nelle serate d’estate e il Comune non tardò
ad assecondare le richieste della popolazione, sistemando il giardino pubblico
ed attrezzandolo con quattro panchine «di tipo bolognese»7. Ripartì anche l’attività musicale, con concerti bandistici, come quello organizzato per la festa del
2 Giugno8.
I balli sull’aia o nelle piste all’aperto; la fiera di luglio; le feste di partito e
quelle «campestri»; i burattini; le giostre «a seggiolini», quelle «volanti» e gli autoscontri; il tiro al bersaglio con fucili ad aria compressa; piccoli trattenimenti
teatrali e rappresentazioni comico-acrobatiche; spettacoli circensi e kermesse di
varia umanità: tra la seconda metà degli anni Quaranta ed i primi anni Cinquanta
le occasioni per divertirsi all’aperto d’estate a Castel Maggiore si moltiplicarono.
A strabiliare la generazione scampata a rastrellamenti, privazioni, bombardamenti e devastazioni erano anche spettacoli bizzarri come il Padiglione “Ivonne”, carovana di un veneziano che nel 1949 fece tappa in paese, con il suo carico
di «lillipuziani» in compagnia di «una donna colossale»9. Per i bambini venivano
allestite giostrine nella piazza del Municipio o spettacoli di burattini come quelli
che l’Unione donne italiane (Udi) organizzò, nella Casa del popolo di Trebbo,
6
Ascm, Delibere di Consiglio comunale, anno 1946, seduta del 1 settembre, delibera n. 14.
7
Ascm, Delibere di Consiglio comunale, anno 1957, seduta del 16 luglio, delibera n. 117.
8
Ascm, Delibere di Giunta comunale, anno 1958, seduta del 5 luglio, delibera n. 129.
Ascm, Carteggio Amministrativo (Ca), anno 1949, b. 87, cat. 15, cl. 2, f. 4, Domanda di plateatico di
Adolfo Pietro, 15 gennaio 1949.
9
54
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
tra il 30 ottobre e il 30 novembre 1949, a cura di Gualtiero Mandrioli10. Sempre a
Trebbo, nel 1951, la titolare di una compagnia di prosa, Ester Pellerani, organizzò un ciclo di spettacoli all’aperto11.
A caratterizzare le estati ed a segnare il costume di un’intera epoca furono
anche le feste delle cooperative e quelle di partito. Dopo una prima festa «da
ballo» e «campestre» organizzata dal Partito comunista di Trebbo il 31 luglio
194912, a partire dall’estate del 1951 le iniziative si moltiplicarono. Dopo la festa
della cooperazione (16 e 17 giugno)13, si svolsero feste dell’Unità nel capoluogo,
nelle località Castello e Progresso e a Trebbo14, alla vigilia della prima festa nazionale dell’Unità, che inaugurò a Bologna il 19 settembre di quell’anno e che
culminò con il comizio di Palmiro Togliatti davanti ad una folla osannante e strabocchevole, in grado di riempire la Montagnola.
Il 18 e 19 luglio del 1953 a Castel Maggiore venne organizzata anche la festa
dell’Avanti, con «stand gastronomici» e vendita di bevande alcooliche15, mentre il
Pci arrivò ad avere una tale forza di penetrazione da riuscire persino a realizzare
una «festa di cellula» in località Casa Bortolotti, in via Ronco 19, il 3 aprile del
195416.
Per la generazione che era uscita dalla guerra la progressiva crescita del benessere portò ad un aumento delle somme destinate al divertimento. In tutta la
provincia di Bologna tra il 1954 e il 1958 l’aumento delle spese per spettacoli fu
del 15%17. Nel quinquennio successivo l’incremento fu addirittura del 37%, ma a
causa soprattutto del forte rincaro dei biglietti. Permanevano poi forti disuguaglianze tra il capoluogo e il resto della provincia, ma il trend era chiaro: per attività culturali e ricreative ogni bolognese arrivò a spendere 9.555 lire annue nel
1963 (pari a circa 109 euro del 2016), una cifra superata, in Italia, soltanto dalla
provincia di Milano, con 10.456 lire pro capite18.
Se nei primi due decenni postbellici le feste da ballo e quelle di partito attirarono sempre grande pubblico e se il teatro conobbe un forte declino in tutta la
10
Ascm, Ca, anno 1951, b. 100, cat. 15, cl. 2, f. 4, Domanda di Malvina Rimondi, 30 ottobre 1949.
11
Ivi, Domanda di Ester Pellerani, 12 giugno 1951.
Ascm, Ca, anno 1949, b. 87, cat. 15, cl. 2, f. 3, Comune di Castel Maggiore, prot. 1549, 27 luglio
1949.
12
13
Ascm, Ca, anno 1951, b. 100, cat. 15, cl. 2, f. 4, Domanda di Silvino Brandola, 16 giugno 1951.
14
Ascm, Ca, anno 1951, b. 100, cat. 15, cl. 2, f. 4, Domande di Alberto Vignoli, 20 agosto 1951, Adelmo
Balletti, 29 agosto 1951 e Sigismondo Cinti, 13 settembre 1951.
15
Ascm, Ca, anno 1953, b. 113, cat. 15, cl. 2, f. 4, Domanda di Carlo Lambertini, 18 luglio 1953.
16
Ivi, domanda di Giovanni Parenti, 27 marzo 1954.
17
Camera di Commercio, Compendio 1959, cit., p. 277.
18
Camera di Commercio, Compendio 1964, p. LIII.
Fabio Montella, Associazionismo, cultura, consumi, stili di vita e tempo libero
55
provincia, la parola spettacolo fu soprattutto sinonimo di cinema. Nel solo 1958
i bolognesi spesero 252 milioni di lire per il teatro, 255 per «trattenimenti vari»
(mostre, fiere, ecc.), 357 per il ballo, 405 per manifestazioni sportive e ben 3.281
per il cinema19, che peraltro, proprio nel biennio 1957-58, conobbe un periodo di
momentanea flessione.
Frequentare le sale cinematografiche divenne «un rito e una pratica sociale,
per cui vi si andava non solo e non tanto per vedere i film, ma per condividere
un’esperienza che favoriva il contatto con gli amici, i fidanzati e le fidanzate»20.
A Castel Maggiore, in via Galliera 110 (attuale viale Gramsci), esisteva da
tempo una sala per proiezioni, di proprietà dei fratelli Rigosi. Il 5 maggio 1944
l’edificio venne distrutto insieme all’officina e al caffè con sovrastanti alloggi21.
La ricostruzione fu affrontata con decisione e realizzata in tempi relativamente
brevi. Nel 1948 esistevano infatti due cinema. Il primo, di Bruno Rigosi, aveva 600
posti a sedere ed era aperto il giovedì, il sabato e la domenica. A questo se ne
affiancò un altro, da 840 posti, per le proiezioni estive. Il secondo cinema, da 200
posti, era l’Enal di Trebbo di Reno, gestito provvisoriamente da Carlo Trebbi ed
aperto il sabato e la domenica22.
Rigosi ed Enal erano due piccoli ingranaggi di un enorme meccanismo, il più
grande d’Europa, composto da circa 8.000 sale cinematografiche, che in Italia
erano state uno dei fattori principali dello sviluppo dell’industria nazionale dei
film, insieme al ritardo nella diffusione della tv.
Le presenze di pubblico nelle sale cinematografiche furono sempre piuttosto
alte. A metà degli anni Cinquanta ogni italiano acquistava in media 16 biglietti
per i film, meno degli inglesi (25), ma più di americani (15), tedeschi (13) e francesi (9)23. Le pellicole sul grande schermo erano preferite alla televisione. Nonostante la rigida censura, al cinema gravava meno il peso della morale “di Stato”,
che per non urtare le sensibilità cattoliche bandiva la benché minima scena di
sesso e violenza dagli sceneggiati, riduzioni tv dei classici della letteratura di
alta qualità ed enormi ascolti. Per la proiezione nelle sale, il cui accesso poteva
essere vietato dalla censura, i registi erano in grado di osare di più: qualche centimetro di pelle coperta in meno ed abiti sensuali, come quello che avvolgeva
19
Ivi, p. 277.
Luca Gorgolini, I consumi, in Paolo Sorcinelli, Angelo Varni (a cura di), Il secolo dei giovani, Roma,
Donzelli, 2004, pp. 221-222.
20
21
Lorenzino Cremonini, Castel Maggiore com’era... e com’è, Castel Maggiore, Lions Club, 1988, pp.
369-370.
22
Ascm, Ca, anno 1948, b. 81, cat. 15, cl. 2, f. 1, Comune di Castel Maggiore, prot. 648, 30 marzo 1948.
Donald Sassoon, La cultura degli Europei dal 1800 ad oggi, Milano, Rizzoli, 2008, p. 985. Il dato
delle 8.000 sale si riferisce al 1949.
23
56
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Anita Ekberg mentre usciva, bagnata e ammiccante, dalla fontana di Trevi della
felliniana Dolce Vita.
I film di produzione italiana restavano una minoranza. Se tra il 1931 ed il
1938, in piena politica autarchica, la percentuale di pellicole straniere rispetto
al totale di quelle distribuite in Italia si era sempre attestata sopra all’80%24, negli
anni Cinquanta essa era scesa intorno al 70%, delineando una singolarità rispetto agli altri Paesi europei, ormai quasi totalmente “colonizzati” dalle produzioni
straniere (soprattutto statunitensi). Anche Bologna, secondo quanto pubblicato
da un’inchiesta del mensile Emilia, soffriva di una pronunciata esterofilia. Nel
maggio del 1950 vennero proiettati 51 film in prima visione: solo sette (13,9%)
erano italiani, tre francesi, due inglesi. Ben 39 (pari al 76,4%) erano americani:
di questi, 11 erano prodotti dalla Paramount, 10 dalla Mgm, otto dalla Universal, cinque dalla 20th Century Fox, quattro dalla Rko e uno dalla Columbia. Nel
luglio dello stesso anno a Bologna le cose andarono un po’ meglio per la cinematografia nazionale. Su 57 prime visioni, le pellicole americane proiettate nel
capoluogo furono il 68%, quelle italiane il 20% ed il restante 12% di altri Paesi.
Il mensile vicino al Pci diretto da Luciano Bergonzini così commentava: «È risaputo in quale misura l’invadenza holliwoodiana ha subissato il mercato italiano
costringendo con veri e propri films che, se vanno bene in America, non sono ben
accetti al nostro pubblico. Inutilmente gli esercenti si “sfogano” affermando che
lo spettatore non “capisce niente” di cinematografo».25
I russi, i russi… e gli americani
Nella polemica del giornale verso gli esercenti delle sale che preferivano le pellicole americane a quelle nazionali (o sovietiche) c’era tutto il travaglio di un
partito che guardava al modello comunista ma che assisteva alla penetrazione
degli Stati Uniti nei costumi (e soprattutto nei consumi) degli italiani, con idee,
miti e modelli che avrebbero plasmato e diretto la tumultuosa modernizzazione
degli anni Cinquanta. Poco importava che ogni europeo recepisse in realtà la
cultura di massa americana in forme e modi diversi, mediati dalle singole culture
nazionali (e forse anche regionali e locali), secondo processi originali di selezio-
24
Ivi, p. 987.
25
Antonio Natoli, Films e spettatori, in “Emilia”, anno II, n. 9, agosto 1950, p. 257.
Fabio Montella, Associazionismo, cultura, consumi, stili di vita e tempo libero
57
ne, trasformazione e ricontestualizzazione26.
Fu in particolare la cultura giovanile, «intesa come modo di elaborare l’esperienza, di produrre idee, stili di vita, modelli di comportamento e forme
espressive»27, ad essere plasmata dal modello e dal mito americano. I giovani
degli anni Cinquanta indossano blue jeans e t-shirt, iniziano a bere Coca Cola, a
masticare chewing-gum e a ballare rock and roll. I mass media, la carta stampata
ed il cinema avevano un ruolo fondamentale nel descrivere i caratteri di questa
nascente cultura giovanile, già allora chiaramente riconoscibile, i cui contorni
furono tuttavia meglio precisati e riempiti di contenuto nel decennio successivo,
quando lo «strappo» tra genitori e figli, fino ad allora relegato nei contrasti tra le
mura domestiche, si trasformò in una rivolta generalizzata contro i «padri» nelle
piazze e nelle strade28.
Oltre ad affollare il cinema, i giovani frequentavano i bar, ascoltavano musica
dai juke-box e si ritrovavano la domenica nelle sale da ballo. A Castel Maggiore
nel 1946 esisteva un unico ritrovo estivo con ballo all’aperto a Villa Zambonelli,
gestito dalle locali sezioni di Anpi, Fronte della Gioventù, Associazione ragazze
italiane (Ari) e Associazione combattenti e reduci29. Nel 1954 in via Galliera 135
funzionava la sala da ballo “Arigona” da 150 posti, gestita da Guido Guidi30, e nel
1959 la sala “Arlecchino Danze” (gestore Franco Bassi), che organizzava serate
di ballo con orchestre e cantanti, e la “Stella Azzurra” (gestore Guerrino Casalini)
a Trebbo31. Nel 1961 era attiva in via Galliera 113 la sala “Bar Sport” gestita da
Guido Frabetti32.
I juke-box arrivarono in Italia, insieme ai flipper, sul finire del 1956. Il successo
fu immediato anche a Bologna, tanto che le spese per i cosiddetti «trattenimenti vari» conobbero un’impennata proprio in conseguenza dell’introduzione dei
nuovi apparecchi nei bar e nei circoli, dai quali sparirono invece per qualche
anno i bigliardini33. Dai 121 milioni di lire spesi nel 1955, la voce «trattenimenti
26
Questions of cultural Exchange: the NIAS statement on the european reception of american mass
culture, in Rob Kroes, Robert W. Rydell, Doeko F. J. Bosscher (a cura di), Cultural transmissions and
receptions: american mass culture in Europe, Amsterdam, VU University Press, 1993, p. 329.
27
Gorgolini, I consumi, cit., p. 215.
28
Ivi, p. 224.
29
Ascm, Ca, anno 1946, b. 69, cat. 15, cl. 2, f. 3, Comune di Castel Maggiore, prot. 2030, 1 agosto 1946.
30
Ascm, Ca, anno 1954, b. 120, cat. 15, cl. 3, f. 1, Prefettura di Bologna, s.d.
31
Ascm, Ca, anno 1959, b. 160, cat. 15, cl. 2, f. 4, Comune di Castel Maggiore, 10 marzo 1959.
32
Ascm, Ca, anno 1961, b. 176, cat. 15, cl. 2, f. 3, Comune di Castel Maggiore, 10 marzo 1961.
Nel 1960 si ebbe infatti una flessione nelle spese per «trattenimenti vari», passate da 381 a 213
milioni di lire, proprio a seguito della «quasi totale sparizione dei bigliardini» (Camera di Commercio
Industria e Artigianato di Bologna, Compendio statistico della provincia di Bologna 1961, Bologna,
Tamari, 1961, p. XLII).
33
58
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
vari» lievitò a 381 milioni spesi a Bologna nel 1959. Il forte aumento di questa
particolare area dell’industria del divertimento proseguì anche negli anni successivi, raggiungendo un +113% tra il 1961 e il 1963.
Chi perse terreno nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta fu invece il teatro,
la cui crisi generò vivaci dibattiti culturali e spinse gli amministratori emiliani a
cercare un respiro regionale per questo genere di intrattenimento, ponendo le
basi per la nascita di Ater, ente ufficialmente costituito da alcuni Comuni nel
1964 allo scopo, tra l’altro, di favorire la produzione di spettacoli in forma associata e di supportare la gestione dei teatri.
Sostenere gli alti costi delle rappresentazioni teatrali, in un periodo di pieno sviluppo di altre forme di intrattenimento come tv, cinema e sport, divenne
sempre meno sostenibile. Le rappresentazioni di questo genere di spettacolo in
provincia scesero dalle 1.495 del 1954 alle 876 del 1959, i biglietti venduti da 404
a 284 mila, le spese per abitante da 344 a 277 lire. Particolarmente colpite furono le rappresentazioni dialettali, passate da 88 nel 1954 a 20 nel 1959, quelle di
prosa (da 587 a 321), l’operetta (da 52 a 14), la rivista (da 85 a 51) e il varietà (da
238 a 109), mentre lirica e balletti addirittura aumentarono (da 48 a 49). Anche
le marionette e i burattini, che avevano una lunga tradizione a Bologna34, conobbero un declino, passando da 306 a 245 spettacoli.
La perdita di peso del teatro rispetto ad altre forme di spettacolo (in particolare cinema e sport) proseguì nei primi anni Sessanta. Le rappresentazioni teatrali diminuirono dalle 876 del 1959 alle 600 del 1963 e i biglietti venduti da 284
a 275 mila, mentre la spesa aumentò (da 277 a 298 lire per abitante), ma come
semplice conseguenza di un ulteriore incremento del costo dei biglietti35.
Conobbero un aumento le spese per le manifestazioni sportive, passate da un
totale di 355 nel 1955 a 415 milioni nel 1959 e, in misura più contenuta, quelle
per cinema, da 3.304 a 3.448 milioni di lire. Nel 1959 in provincia di Bologna erano presenti 183 sale, ognuna delle quali diede spettacoli, in media, per 219 giorni. Il numero dei biglietti venduti fu enorme: 18.929.000 (473 per ogni giorno di
spettacolo) e la somma sborsata da ogni abitante in un anno fu di ben 4.201 lire36.
Anche le spese per il ballo aumentarono fino alla fine degli anni Cinquanta, per poi discendere a metà degli anni Sessanta, quando le “balere” conob-
Sulla tradizione bolognese cfr. Gian Paolo Borghi, Giorgio Vezzani, Il teatro dei burattini a
Bologna, in “Il Cantastorie”, 1982, n. 8, pp. 5-11; Alessandro Cervellati, Storia dei burattini e dei
burattinai bolognesi (Fagiolino e C.), Bologna, Cappelli, 1964; Antonio Pandolfini Barbieri, Burattini
e burattinai bolognesi, Bologna, Zanichelli, 1923.
34
35
Camera di Commercio Industria e Artigianato di Bologna, Compendio statistico della provincia
di Bologna 1964, Bologna, Tipografia Azzoguidi, 1964, p. 332.
Camera di Commercio Industria e Artigianato di Bologna, Compendio statistico della provincia
di Bologna 1960, Bologna, Tamari, 1960, pp. XL e 310.
36
Fabio Montella, Associazionismo, cultura, consumi, stili di vita e tempo libero
59
bero un rapido declino. Nel 1967 a Castel Maggiore era presente un’unica sala,
l’“Arlecchino Danze” di piazza Pace 9, gestita da Franco Bassi e condotta dal
Circolo culturale ricreativo progresso. L’ingresso era riservato ai soli soci Arci e
le danze si svolgevano esclusivamente nei mesi invernali. A quell’epoca, invece,
le attività della sala “Stella Azzurra” di Trebbo, condotta da Luciano Gruppioni,
dell’“Arigona” di Guidi (in via Galliera 135), della pista “Bar Sport” di Frabetti (via
Galliera 113), e della sala da ballo della Casa del Popolo (via Matteotti 2/4), gestita sempre da Guidi, risultavano cessate «da molti anni»37.
Al cinema “Progresso” dei Rigosi si svolgevano grandi feste danzanti. Sfogliando
il fascicolo delle autorizzazioni rilasciate nel 1953 emergono ad esempio un «veglionissimo della Befana» per il 5 gennaio, una serata di carnevale il 14 febbraio ed
una veglia dello sport del 21 marzo, che si protrasse dalle 20.30 alle 4 del mattino38.
Sempre in tema di strutture per lo spettacolo va segnalato anche il contributo
una tantum di 10 mila lire erogato dal Comune di Castel Maggiore nel 1951 a
favore della Casa di riposo per artisti drammatici italiani di Bologna, con sede in
via Saragozza, per la costruzione nel cortile di un edificio per spettacoli (il tuttora esistente Teatro delle Celebrazioni), che avrebbe dovuto rappresentare una
boccata d’ossigeno per le casse dell’ente morale degli artisti39.
Istruzione e mattone
La crescita della cultura andava di pari passo con quella dell’istruzione, che in
provincia di Bologna fu una costante per tutti gli anni Cinquanta e Sessanta. Anche in questo caso il Comune di Castel Maggiore fu pronto ad assecondare e a
favorire il processo in atto, investendo importanti risorse nell’edilizia scolastica
e rilevanti contributi a sostegno delle attività scolastiche ed extra scolastiche.
All’inizio degli anni Cinquanta il grado di istruzione dei bolognesi era «sensibilmente più elevato di quello medio nazionale e l’analfabetismo, specie in
pianura» era «ormai quasi completamente scomparso». Soltanto in alcuni sper-
37
Ascm, Ca, anno 1967, b. 221, cat. 15, cl. 3, f. 3, Comune di Castel Maggiore, prott. 1405, 1407 e
1408, 19 aprile 1967.
Ascm, Ca, anno 1953, b. 113, cat. 15, cl. 2, f. 4, Domanda di Ezio Rigosi, 3 gennaio 1953, Armando
Baschieri, 14 febbraio 1953 e Romano Vannini, 21 marzo 1953.
38
39
Ascm, Deliberazioni del Consiglio comunale, anno 1951, seduta del 23 febbraio, delibera n. 11.
60
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
duti centri della montagna permanevano rilevanti sacche di analfabetismo40. La
situazione andò ulteriormente migliorando nel decennio successivo. Se il censimento del 1951 aveva registrato la presenza in provincia di 57 analfabeti ogni
mille abitanti, quello di dieci anni dopo ne aveva evidenziati 36 ogni mille, con
un calo del 30% circa. Si trattava di performance migliori della media regionale
(49 per mille nel 1961) e nazionale (84 per mille). Fra le persone fornite di titolo
di studio, l’incremento più accentuato si verificò nei licenziati di scuola media
inferiore (+73% dal 1951 al 1961), ma notevole fu anche l’evoluzione positiva
avvenuta nell’istruzione superiore. Il numero dei diplomati aumentò del 46%,
quello dei laureati del 44%41.
Considerando le 6.207 persone con più di sei anni che vivevano a Castel Maggiore nel 1961, 4.842 avevano la licenza elementare, 404 la licenza di scuola
media inferiore e 128 erano la laurea o il diploma di scuola superiore. Le altre
833 persone erano prive di qualunque titolo di studio; di queste, 647 avevano comunque la conoscenza dell’alfabeto e la capacità almeno di leggere, 186 erano
analfabete. Rispetto al resto della provincia a Castel Maggiore la percentuale di
analfabeti sul totale della popolazione era inferiore (3% contro il 3,6%) ma lo era
anche quella dei diplomati e laureati (2% contro 7%)42
Negli anni postbellici il Comune investì risorse considerevoli nella scuola, a
partire dal ripristino degli edifici danneggiati dalla guerra e dalla riattivazione delle lezioni che vi erano state sospese. Nel maggio del 1947 la Giunta decise di far
ripartire il corso di istruzione professionale43, che era stato soppresso senza troppe
spiegazioni nel 1942, ma le pratiche ebbero esito negativo. Per avere un corso di
avviamento professionale si dovette dunque attendere ancora diversi anni. Nel
1951 il Consiglio comunale accettò infatti la proposta della scuola statale di San
Pietro in Casale di aprire a Castel Maggiore una prima classe distaccata con indirizzo agrario ed industriale, in attesa di avviare un vero e proprio corso autonomo44. Nel 1954 venne approvato il progetto di massima per la costruzione di un
edificio scolastico da adibire a sede della scuola di avviamento professionale45 e
nel 1957 furono inseriti nel bilancio 35 milioni di lire a questo scopo46.
Gli anni Sessanta rappresentarono un punto di svolta. All’inizio del decennio
40
Camera di Commercio, Compendio 1959, cit., p. 30.
41
Camera di Commercio, Compendio 1964, cit., p. LII.
42
Ivi, pp. 33-34.
43
Ascm, Delibere di Giunta comunale, anno 1947, seduta del 25 maggio, delibera n. 11.
44
Ascm, Delibere di Consiglio comunale, anno 1951, seduta del 6 luglio, delibera n. 38.
45
Ascm, Delibere di Giunta comunale, anno 1954, seduta del 13 febbraio, delibera n. 28.
46
Ascm, Delibere di Giunta comunale, anno 1957, seduta del 23 ottobre, delibera n. 176.
Fabio Montella, Associazionismo, cultura, consumi, stili di vita e tempo libero
61
la scuola elementare era diventata insufficiente alle accresciute esigenze del
paese, mentre era ancora nulla l’offerta pubblica per asili nido e materne, avendo il Comune lasciato ampio spazio all’iniziativa privata. L’Asilo privato infantile
“Pietro Zarri”47 aveva ricominciato a funzionare nel 1948 e l’asilo parrocchiale
“Sant’Anna” di Sabbiuno nel 1951. Il terzo asilo esistente, quello parrocchiale
di Bondanello, nel 1952 doveva ancora essere ripristinato dopo i danni bellici48.
Tutte e tre le istituzioni private vennero comunque sempre incoraggiate e sostenute dall’amministrazione comunale, attraverso l’erogazione di contributi annui.
La scuola di avviamento commerciale venne autorizzata dal Ministero della
Pubblica Istruzione e partì ufficialmente il 1° ottobre 1960. Per il primo anno gli
studenti furono ospitati nel sottotetto delle elementari, in attesa che il Comune
realizzasse quattro aule e servizi dalla sopraelevazione della palestra di ginnastica49. L’accoglimento della proposta della nuova istituzione andò al di là di ogni
più rosea aspettativa. Gli iscritti al primo anno furono oltre 100 e la Direzione
della scuola, che si aspettava di completare una sola sezione, fu costretta ad
organizzare doppi turni, al mattino e al pomeriggio, per le quattro classi prime50.
Nel novembre del 1960 partì anche la scuola media unica sperimentale51 e l’anno
dopo furono avviate le pratiche per la costruzione di un nuovo edificio. Nel 1964
si costituì un consorzio tra i Comuni di Bologna e Castel Maggiore per la costruzione nel territorio di quest’ultimo di un edificio52 che rispondesse ai criteri della
nuova legge sulla scuola media unificata53.
Nella prima metà degli anni Sessanta il Comune iniziò anche a sostenere con
47
La nascita di questa importante istituzione risale al 30 marzo del 1946, quando il dott. Leonida
Zarri, in memoria del padre Pietro, decise di effettuare una donazione per costruire un asilo. Il 7
settembre 1946 l’Ente comunale di Assistenza del Comune deliberò di accettare la donazione, per
un valore di complessivi un milione e 700 mila lire. L’edificio dell’asilo, retto da una Fondazione, fu
costruito su un’area di 1.600 metri quadrati in viale Rimembranza, donata dal Comune, ed iniziò a
funzionare nel 1948. Nel 1964 venne eretto in ente morale.
48
Ascm, Delibere di Giunta comunale, anno 1952, seduta del 10 giugno, delibera n. 59.
49
Ascm, Delibere di Giunta comunale, anno 1960, seduta del 19 agosto, delibera n. 147.
50
Ascm, Delibere di Giunta comunale, anno 1961, seduta del 17 gennaio, delibera n. 18.
51
Ascm, Delibere di Giunta comunale, anno 1961, seduta del 17 gennaio, delibera n. 20.
52
Ascm, Delibere di Giunta comunale, anno 1964, seduta del 23 settembre, delibera n. 68.
La riforma della scuola media, introdotta dalla legge 31 dicembre 1962, n. 1859, riunificò in un
unico ambito la molteplicità delle opzioni presenti dopo il ciclo primario, con l’elevamento dell’obbligo scolastico a 14 anni. Prima di allora, per la fascia di età compresa fra gli 11 e i 14 anni era
prevista l’opzione tra una scuola media triennale, istituita dalla riforma Bottai nel 1940, e altre specializzazioni professionalizzanti, tutte di derivazione gentiliana. Mentre la prima opportunità consentiva il successivo proseguimento degli studi in tutti i settori dell’istruzione secondaria superiore,
l’altra scelta (riservata per lo più alle fasce meno abbienti) non lo permetteva, limitando l’opzione
ai corsi di avviamento professionale o a quelli di scuola post-elementare.
53
62
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
premi gli studenti più meritevoli54 e a finanziare attività extrascolastiche, come la
visita alla grande “Mostra dell’Etruria padana e della città di Spina”, che si svolse
a Bologna nell’autunno del 1960, i campionati interscolastici di atletica55 e i giochi della gioventù, organizzati per la prima volta nel 196956.
Negli anni Sessanta l’offerta appariva nettamente migliorata rispetto a un
anno prima. Nell’anno scolastico 1962-63 vi erano nel Comune cinque «scuole
del grado preparatorio» con 124 alunni, quattro scuole elementari dotate di 22
aule 609 studenti e un avviamento professionale con cinque aule e 331 allievi.
Quell’anno i licenziati di quinta elementare furono 7957.
L’angelo del focolare mette le ali
Il ruolo delle donne era stato mortificato dal fascismo, la cui politica si basava
sulla tesi di una loro «inferiorità biologica» rispetto all’uomo e su un presunto
«predeterminato destino ad occuparsi essenzialmente della cura degli uomini e
dell’infanzia, in casa e nella società, e a procreare»58. All’«angelo del focolare»
era tra l’altro preclusa la possibilità di diventare sindaco e assessore e l’accesso
ad uffici elettivi. Fu dunque una svolta epocale quando due donne nel 1946, a
seguito della concessione del pieno diritto di voto attivo e passivo, entrarono per
la prima volta in Consiglio comunale. Per vedere eletta una donna alla carica di
sindaco si dovette invece attendere altri 46 anni, nel 1992, a testimonianza delle
difficoltà a raggiungere una piena parità in questo ed in altri ambiti lavorativi.
Alle elezioni amministrative della primavera del 1946, le prime a suffragio
universale, entrarono in Consiglio Lina Serenari e Virginia Bernardi. Quest’ultima, nella prima seduta del 14 aprile, fu nominata assessore effettivo59. Il suo
mandato durò tuttavia poco. Con lettera dell’11 giugno 1947 rassegnò infatti le
dimissioni «per ragioni personali»60.
54
Ascm, Delibere di Giunta comunale, anno 1962, seduta del 23 novembre, delibera n. 144.
55
Ascm, Delibere di Giunta comunale, anno 1965, seduta del 25 giugno, delibera n. 98.
56
Ascm, Delibere di Giunta comunale, anno 1969, seduta del 26 maggio, delibera n. 39.
57
Camera di Commercio, Compendio 1964, cit., pp. 314-315.
58
Patrizia Dogliani, Il fascismo degli italiani, Torino, Utet, 2008, p. 118.
59
Ascm, Deliberazioni del Consiglio comunale, anno 1946, seduta del 14 aprile, delibera n. 3.
60
Le dimissioni furono tuttavia accettate dal Consiglio soltanto un anno e mezzo dopo (Ascm,
Fabio Montella, Associazionismo, cultura, consumi, stili di vita e tempo libero
63
Anche nelle successive elezioni amministrative furono elette due donne: alla
confermata Serenari (che, avendo ottenuto il maggior numero di voti, divenne
anche «consigliere anziano»), si affiancò Aldina Damiani. Il peso femminile era
dunque rimasto invariato rispetto alla precedente legislatura (due consigliere di
cui una, la Serenari, nominata assessore), ma con l’Amministrazione Mazzacurati
(1951-56) il tema dell’emancipazione femminile sembrò giungere a maturazione, almeno come principio ideale, a partire dallo spazio conquistato (ma anche
contestato dall’opposizione democristiana) nel dibattito consigliare.
La prima volta che si parlò di questo dibattuto tema fu il 6 marzo 1952, in
occasione della giornata internazionale della donna, che divenne occasione per
un vivace scontro verbale. L’ex sindaco Servisi (divenuto, nel frattempo, leader
della minoranza), affermando che l’oggetto non era stato posto all’ordine del
giorno, uscì dall’aula in segno di protesta, tra le rimostranze della maggioranza social-comunista. La seduta proseguì con il discorso della relatrice ufficiale,
la consigliera Serenari, che parlò dell’importanza della ricorrenza dedicata alla
donna «come madre, come lavoratrice» e «come cittadina», a partire dalla sua
istituzione, nel 1910. Da allora
ogni anno all’inizio della primavera tutte le donne abbiano la pelle bianca, nera o
gialla, si incontrano, si riuniscono, festeggiano, la loro giornata per meglio conoscersi,
capirsi, per chiedere per sé e per i propri figli una vita più bella nella quale la donna
sia considerata con dignità e rispetto, nella quale essa non sia più una schiava o un
ninnolo ma un essere pensante, uguale all’uomo nella famiglia[,] nello Stato[,] nella
Società e di fronte alla legge.
Lina Serenari proseguì dicendo che la festa venne soppressa dal fascismo ma già
negli anni della resistenza quando il flagello che distruggeva il mondo, divampava nella sua furia più feroce […] l’8 Marzo ricomparve e fu celebrato clandestinamente mentre si preparavano le maglie per i partigiani in montagna, mentre anche sulle piazze di
Castel Maggiore le donne chiedevano più pane e più burro per le loro famiglie.
Dalla consigliera venne infine l’invito a far sì «che la festa della donna finora sviluppatasi su un terreno più simbolico e floreale che culturale e morale» potesse
diventare «una vera festa nel senso più profondamente umano»61.
Di emancipazione femminile si parlò anche nel 1955, in occasione del decennale della conquista del voto alle donne. Dopo un excursus storico del sindaco
Mazzacurati, parlò di nuovo Lina Serenari, che sottolineò la «profonda volontà di
Deliberazioni del Consiglio comunale, anno 1949, seduta del 10 febbraio, delibera n. 11).
61
Ascm, Deliberazioni del Consiglio comunale, anno 1952, seduta del 6 marzo, delibera n. 20 bis.
64
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
pace» che animava le donne di Castel Maggiore e che evidenziò le loro aspirazioni «più salienti» emerse nel corso delle assemblee di celebrazione del decennale: «costruzione di case popolarissime per le famiglie nullatenenti ancora ricoverate in alloggi antigienici»; un «programma di lavori pubblici» per alleviare la
disoccupazione; «allargamento dell’assistenza sanitaria ed alimentare ai bambini bisognosi» con il loro invio in colonie climatiche e possibile somministrazione
di alimenti nella refezione scolastica; estensione della luce elettrica alle frazioni
di Bondanello e Sabbiuno, che ne erano ancora sprovviste; costruzione di un acquedotto o, dove non era possibile far arrivare l’allacciamento, di pozzi artesiani
nelle frazioni di Trebbo di Reno, Castiglia, Bondanello e Sabbiuno62.
Meno di un mese dopo, la condizione delle donne fu nuovamente al centro
del dibattito consigliare, con la celebrazione della festa internazionale a loro
dedicata e l’adozione di un ordine del giorno in cui si stigmatizzava il comportamento della prefettura di Bologna, che non aveva autorizzato la manifestazione
ed aveva addirittura denunciato alcune donne che «offrivano la mimosa»63.
La valorizzazione della figura femminile, in quegli anni, avveniva anche attraverso l’esaltazione di esempi di altruismo e abnegazione, come quello della
partigiana Albertina Girotti (“Bruna”), caduta in combattimento il 21 aprile 1945
e puntualmente ricordata nelle commemorazioni della Resistenza; oppure come
la «nobile figura di lavoratrice instancabile» rappresentata dalla direttrice didattica Maria Vacchi, che andò in pensione con l’anno 1956-57 dopo 41 anni di
attività «senza un giorno di assenza». A questa educatrice che aveva «saputo
svolgere con abnegazione, senso di responsabilità e soprattutto con rettitudine
e lealtà una mansione tanto delicata e importante», come ricordò Lina Serenari,
il Consiglio comunale decise di assegnare una medaglia d’oro64.
Nel 1957 il sindaco Carlo Garulli evidenziò alcune delle azioni ancora da sviluppare localmente per elevare la condizione della donna: «lavanderie meccaniche, consultorio pediatrico», il «parto indolore» per le gestanti e «pensioni alle
casalinghe»65.
Nei primi dieci anni del dopoguerra la maggioranza che governava il Comune pose dunque con una certa lucidità e apertura i termini della questione; nel
successivo sessantennio i temi dell’emancipazione e del raggiungimento della
piena parità si riempirono di nuovi contenuti, con risultati anche molto significativi, come quello dell’elezione a sindaco di Gabriella Ercolini nel 1992 (carica
che ricoprì fino al 2004) e di Belinda Gottardi nel 2014.
62
Ascm, Deliberazioni del Consiglio comunale, anno 1955, seduta del 18 febbraio, delibera n. 20.
63
Ascm, Deliberazioni del Consiglio comunale, anno 1955, seduta del 15 marzo, delibera n. 22.
64
Ascm, Deliberazioni del Consiglio comunale, anno 1956, seduta del 1° dicembre, delibera n. 188.
65
Ascm, Deliberazioni del Consiglio comunale, anno 1957, seduta del 18 marzo, delibera n. 45.
Fabio Montella, Associazionismo, cultura, consumi, stili di vita e tempo libero
65
Una diffusa cultura della solidarietà
Quella che si sprigionò nel dopoguerra fu anche una diffusa cultura della solidarietà. Nell’inverno del 1946-47 a Castel Maggiore arrivarono alcune decine dei
12 mila bambini napoletani ospitati nelle regioni del Nord Italia, «la più estesa
e duratura» di una serie di iniziative di solidarietà a favore dell’infanzia delle
regioni del Centro e del Sud promosse dal Pci e dall’Udi tra la fine del 1945 ed
il 195266. L’impegno dell’Emilia fu straordinario. Un documento dell’Udi della
provincia di Bologna, che riassumeva le attività di assistenza e solidarietà per
l’infanzia svolte dalla sola associazione femminile tra la seconda metà del 1945
e il 30 giugno del 1949, riportava la creazione di 75 asili (per un totale di 2.500
bambini ospitati), 21 doposcuola (per 670 alunni), 46 colonie (per 8.545 ragazzi).
E ancora: 11 ambulatori allestiti in città e 8 nei centri della provincia, sussidi alle
famiglie bisognose per oltre 6 milioni di lire, 17.251 pacchi distribuiti ai bimbi poveri per Natale e durante l’inverno e tanti altri aiuti: 81 casse di latte condensato,
227 kg di medicinali, 427 litri di olio di fegato di merluzzo, 476 paia di scarpe e
8.000 indumenti67.
L’impegno a favore dell’infanzia si rafforzò nel 1948 con l’adesione del Comune di Castel Maggiore al Consorzio provinciale volontario istituito a Palazzo
d’Accursio, nel gennaio del 1948, in un’assemblea dei sindaci bolognesi. Scopo
del nuovo organismo era quello di assistere e curare i «bambini poveri dei Comuni associati, provvedendo ed agevolando la istituzione delle opere necessarie,
con particolare riguardo alla costruzione e gestione di colonie alpine, marine ed
elioterapiche, nonché asili comunali, ed ogni altro mezzo idoneo a conseguire
lo scopo»68. Sulla base dell’adesione al Consorzio, l’Amministrazione comunale
iniziò dal 1948 ad inviare decine di bambini alla colonia di Cervia e a quella
montana del Passo Tre Croci, nella zona dell’Ampezzano (gestita dal Centro Attività Gioventù di Carpi), ottenendo non solo benefici per la salute dei ragazzi, ma
anche per la municipalità, grazie all’«alleggerimento della spesa dei medicinali»
e della «spedalità»69. Nel 1950, ad esempio, il Comune inviò a proprie spese 41
bambini alle cure marine, 21 a quelle montane e 32 a quelle solari nella colonia
elioterapica di Trebbo, sul greto del Reno70.
66
Angiola Minella, Nadia Spano, Ferdinando Terranova (a cura di), Cari bambini, vi aspettiamo con
gioia…, Milano, Teti e C., 1980, p. 68.
67
Ivi, pp. 90-91.
68
Ascm, Delibere di Consiglio comunale, anno 1948, seduta del 7 febbraio, delibera n. 13.
69
Ascm, Delibere di Consiglio comunale, anno 1949, seduta del 23 giugno, delibera n. 4.
70
Ascm, Delibere di Giunta, anno 1951, seduta del 22 maggio, delibera n. 56.
66
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Nell’inverno del 1950-51 vennero ospitati gruppi di bambini dell’Appennino.
Il 26 dicembre una riunione delle consulte popolari diede il via ad un comitato
promotore, con sede presso la Camera del Lavoro, incaricato di raccogliere e distribuire gli aiuti. A capo del comitato, di cui facevano parte Dino Stefani, Roberto Chiarini, Otello Menarini, Mario Calza ed Edmondo Romagnoli, venne posto
il vicesindaco, Marcello Zanasi. L’assemblea inoltre istituì «consultori frazionali»
incaricati di recarsi dalle famiglie per raccogliere adesioni di ospitalità o almeno
il versamento di offerte mensili, per la durata di un trimestre71.
Espressione di una cultura diffusa della solidarietà, che poneva Bologna e l’Emilia all’avanguardia, è anche la promozione della donazione di sangue. Nell’aprile del 1956 il Comune erogò un contributo straordinario di 25 mila lire all’Avis
provinciale per l’acquisto di una “autoemoteca” che sarebbe servita «per la raccolta, la conservazione e il trasporto di sangue umano» prelevato «in apposite
bottiglie», al fine di «affrontare quella carenza» che ancora veniva «lamentata
dagli ospedali e dai centri trasfusionali» di una parte rilevante del Paese. A partire dal 1962, dopo la nascita di una sezione Avis a Castel Maggiore, il Comune
erogò un contributo annuo per la crescita del sodalizio che era presieduto, a
quell’epoca, da Romano Badini72. Non venivano dimenticate neppure popolazioni lontane come quella dell’India, cui venne destinato nel 1966 un contributo
«per la lotta contro la fame»73, e del Vietnam del Nord, cui andò una somma per
la costruzione di un ospedale pediatrico74.
La crescita di una cultura della solidarietà venne alimentata anche dalla magnificazione di gesti “eroici”, come quello del soldato Cataldo Mancarella, già
in forza al 1° Battaglione del Genio ferrovieri. Il 9 maggio 1956, a rischio della
propria vita, il geniere aveva salvato «da sicuro investimento» una bambina di
4 anni, Nadia Soverini, che si trovava in mezzo al binario della linea ferroviaria
Bologna-Venezia, mentre sopraggiungeva un treno. Il Consiglio comunale, riconoscente, propose di assegnare all’uomo una medaglia75.
71
Il manifesto di costituzione del Comitato è pubblicato in T’arcôrdet Castèl Mażåur?, opuscolo
della mostra che si è svolta a Castel Maggiore dal 26 giugno al 4 luglio 2010, p. 73.
72
Ascm, Delibere di Consiglio comunale, anno 1962, seduta del 9 ottobre, delibera n. 113.
73
Ascm, Delibere di Consiglio comunale, anno 1966, seduta del 21 febbraio, delibera n. 1.
74
Ascm, Delibere di Consiglio comunale, anno 1972, seduta del 24 maggio, delibera n. 65.
75
Ascm, Delibere di Consiglio comunale, anno 1956, seduta dell’11 settembre, delibera n. 155.
Fabio Montella, Associazionismo, cultura, consumi, stili di vita e tempo libero
67
Sulle strade nasce il pantheon repubblicano
La cultura di un territorio si esprime in una molteplicità di forme, che insieme
contribuiscono a costruire l’identità di un luogo, i suoi punti di riferimento e i suoi
simboli. Parte non secondaria di questa costruzione sono i nomi di vie, piazze ed
edifici pubblici, espressione degli orientamenti dei ceti dirigenti e intellettuali
predominanti in un certo periodo. Trattando di cultura è dunque interessante
analizzare quali siano stati i personaggi e gli avvenimenti che hanno ispirato gli
amministratori di Castel Maggiore nella scelta toponomastica, creando un singolare e mai concluso “pantheon” stradale che ha contribuito non poco a creare
una “memoria civica”, ossia un senso di appartenenza alla comunità e alla nuova
Nazione nata dalle ceneri della guerra.
Tra le prime azioni della Giunta democratica insediata nel 1945 ci fu la cancellazione di odonimi di chiara origine fascista e l’introduzione di denominazioni
legate all’antifascismo e alla Resistenza, secondo una tendenza diffusa in tutta
l’area emiliana.
Subito dopo la Liberazione venne ripristinato il nome di corso Umberto I, che
durante il periodo della Repubblica sociale era stato trasformato in corso Ettore
Muti76. Un mese dopo la Giunta decise tuttavia di cambiare nuovamente nome a
corso Umberto I in quello di corso Giacomo Matteotti e di trasformare piazza del
Mercato in piazza Martiri della Libertà77.
Il 13 novembre 1948 il ricostruito edificio scolastico di Sabbiuno, distrutto
durante la guerra, venne intitolato al partigiano Franco Franchini (“Romagna”),
ucciso dai nazifascisti il 14 ottobre 1944 nei pressi del fabbricato78. Il 9 febbraio
1950 la vasta area di corso Matteotti davanti all’edificio scolastico venne invece
denominata piazza della Pace79.
76
Ascm, Delibere di Giunta, anno 1945, seduta del 5 giugno, delibera n. 7.
Ascm, Delibere di Giunta, anno 1945, seduta del 6 luglio, delibera n. 3. La proposta venne in un
primo tempo bocciata dalla Gpa: il primo cambiamento perché non era consentito, «durante la
tregua istituzionale, modificare la denominazione delle Vie e Piazze intitolate ai Savoia», il secondo
perché Piazza del Mercato era «antica denominazione tradizionale». Il Consiglio comunale
ripropose le due modifiche nel 1946, essendo «decaduta la riserva» sulla Casa regnante dopo il
Referendum del 2 giugno e ritenendo senza «riscontro storico» la denominazione di Piazza del
Mercato (Ascm, Delibere di Consiglio, anno 1946, seduta del 1° ottobre, delibera n. 6).
77
78
Ascm, Delibere di Consiglio, anno 1948, seduta del 13 novembre, delibera n. 4. Sulla battaglia
durante la quale fu ucciso “Romagna” e sul successivo rastrellamento che costò la vita a 36 persone,
cfr. la testimonianza di Luigi Borghi in Roberto Fregna, Castel Maggiore 1943-45, Bologna, Edizioni
APE, 1974, pp. 149-152. Cfr. anche Domenico Bruno, Enrico Cavalieri, Luca Pastore, La pianura e il
conflitto. Fascismo, Resistenza e ricostruzione a Castel Maggiore 1919-1946, Venezia, Marsilio, 2010.
79
Ascm, Deliberazioni del Consiglio comunale, anno 1950, seduta del 9 febbraio, delibera n. 2.
68
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Alla fine degli anni Cinquanta, l’occasione per ragionare nuovamente sui personaggi e i valori intorno ai quali costruire la nuova identità del territorio fu
fornita dal progredire dell’opera di ricostruzione, che stava trasformando il volto
dell’abitato con il sorgere di numerosi fabbricati e l’apertura di nuove aree di
circolazione. Nel 1959 il Consiglio comunale, dopo «ampia discussione», decise
di intitolare strade ai caduti partigiani Irma Bandiera, Albertina Girotti, Eugenio
Curiel, Giuseppe Bentivogli, Franco Franchini, Paolo Fabbri e fratelli Melega, agli
scrittori Giovanni Pascoli, Edmondo De Amicis, Alessandro Manzoni, alle date
del XX Settembre e del I Maggio ed al Lavoro. Una piazza fu dedicata alla Pace80,
mentre un’altra via venne intitolata all’ex sindaco socialista Roberto Carati, a
capo dell’Amministrazione comunale per ben 17 anni e costretto a dimettersi
per le violenze fasciste81. La vecchia via provinciale Galliera fu suddivisa in due
parti: a quella che va dal sottopassaggio delle Fs alla località Frabaccia fu messo nome Genuzio Bentini82; al tratto che prosegue fino al confine di Argelato,
quello di Antonio Gramsci83. Infine, corso Matteotti fu suddivisa in tre denominazioni: una mantenne il nome del martire socialista del fascismo e le altre due
divennero rispettivamente via Filippo Turati e via Giovanni Amendola84. Nel 1960
seguirono via Giuseppe Verdi e via della Stazione85 e nel 1965 (in occasione del
settimo centenario della nascita del poeta) via Dante Alighieri86. Nel 1969, in
coincidenza di un rinnovato fervore edilizio, che aveva portato alla creazione di
altre aree di circolazione, fu rinsaldato il ricordo dell’antifascismo, della Lotta di
Liberazione e della nascita dell’Italia democratica, con le vie 25 Aprile 1945, don
Giovanni Minzoni, fratelli Cervi, Marzabotto, Caduti di Cefalonia, Risorgimento
(nella delibera si specifica che si tratta del “secondo”, ovvero della Resistenza),
Andrea Alberghini, Pietro Golfieri, Walter Parenti, Gaetano Chiarini, Oreste Vancini, della Libertà, della Repubblica e della Costituzione. Altre vie sono dedicate
a papa Giovanni XXIII, al 4 Novembre 1918, ai sindacalisti Giuseppe Di Vittorio,
80
Ascm, Deliberazioni del Consiglio comunale, anno 1959, seduta del 28 settembre, delibera n. 111.
Ascm, Deliberazioni del Consiglio comunale, anno 1959, seduta del 28 settembre, delibera n. 112.
Carati, nato a Castel Maggiore il 1° settembre 1873, fu tra i fondatori della locale sezione del Partito
socialista. Assessore dall’ottobre 1904 al febbraio 1905, fu ininterrottamente sindaco dal marzo
1905 all’agosto 1922, quando fu costretto a dimettersi e ad abbandonare il paese per le continue
persecuzioni fasciste. Morì il 21 gennaio 1934.
81
82
Nato a Forlì il 27 giugno 1874, Bentini fu un politico e avvocato penalista. Nel 1904 venne eletto
deputato nella circoscrizione di Castel Maggiore nelle file del Partito socialista. Morì a Lodi il 15
agosto 1943.
83
Ascm, Deliberazioni del Consiglio comunale, anno 1959, seduta del 28 settembre, delibera n. 113.
84
Ascm, Deliberazioni del Consiglio comunale, anno 1959, seduta del 28 settembre, delibera n. 114.
85
Ascm, Deliberazioni del Consiglio comunale, anno 1960, seduta del 25 luglio, delibera n. 133.
86
Ascm, Deliberazioni del Consiglio comunale, anno 1965, seduta del 17 novembre, delibera n. 134.
Fabio Montella, Associazionismo, cultura, consumi, stili di vita e tempo libero
69
Clodoveo Bonazzi, Achille Grandi e Mario Pinardi, all’Artigianato, ai fratelli John
e Bob Kennedy, ad Andrea Costa e a due persone che hanno lasciato un segno
positivo nella comunità locale: l’ostetrica Zelinda Martelli e il medico condotto
Giulio Malservisi87.
Seguendo l’espansione del Comune e la creazione di nuove strade di accesso
alle lottizzazioni residenziali e industriali che via via si stavano creando, il Consiglio comunale proseguì le intitolazioni anche negli anni successivi, scegliendo,
per il “pantheon” urbano, vari esponenti della cultura e della politica, soprattutto nazionali. Nel 1991, ad esempio, alcune aree nate dalle previsioni del nuovo
Prg furono dedicate a Byron, Foscolo, Quasimodo, Montale, Berlinguer, La Pira,
Bachelet, Camilla Ravera, Verne e Parri: poeti, scrittori e uomini politici88.
Le intitolazioni interessarono anche gli edifici pubblici. Il 5 gennaio 1979, ad
esempio, il provveditore agli studi di Bologna decretò di intitolare a Carlo Levi la
scuola elementare di Castel Maggiore e il 2 ottobre 1987 a Italo Calvino quella
di Trebbo. Nel 1986 il Comune decise di dedicare il parco pubblico di via Costituzione al colonnello del Genio ferrovieri Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, medaglia d’oro della Resistenza e martire delle Fosse Ardeatine. Il 31 marzo
1987 al nuovo centro sportivo comunale fu dato il nome di Guido Guidi. Il 25 settembre 1993 la scuola materna di via Costituzione, in forza anche di una richiesta sottoscritta da un migliaio di cittadini, venne intitolata a Maurizia Mezzetti,
ex insegnante poi responsabile della biblioteca di Castel Maggiore, deceduta in
un incidente d’auto il 30 aprile del 1992. L’8 maggio 2004 l’asilo nido di via Ungaretti venne denominato “Gatto Talete”, mentre la scuola statale dell’infanzia
fu dedicata nello stesso anno a “Cipì”, protagonista del popolare racconto dello
scrittore Mario Lodi. Il 9 maggio 2009 infine la scuola primaria Curiel fu intitolata
a Piero Bertolini, pedagogista, fondatore della rivista “Infanzia” e punto di riferimento per il mondo della scuola bolognese.
Mack-a-rownee! Mack-a-rownee!
A partire dagli anni Cinquanta i consumi degli italiani subirono una notevole
espansione, sia quantitativa che qualitativa, a seguito del sostenuto sviluppo
economico e delle profonde trasformazioni demografico-sociali che interessa-
87
Ascm, Deliberazioni del Consiglio comunale, anno 1969, seduta del 28 febbraio, delibera n. 19.
88
Ascm, Deliberazioni del Consiglio comunale, anno 1991 (I), seduta del 19 marzo, delibera n. 20.
70
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
rono, per la verità in modo piuttosto differente tra Nord e Sud, l’intera penisola.
Il consumo di vari generi, sia di prima necessità che voluttuari, aumentò di pari
passo con la capacità di acquisto della popolazione, che contribuì a modificare
gli stili di vita, l’abbigliamento e l’alimentazione.
Dell’incremento globale dei consumi si avvantaggiarono innanzitutto quelli
non alimentari. Mentre la spesa per le famiglie per l’alimentazione passò, nel
corso del ventennio 1951-1970, da un indice 100 a 248, quelle per altri consumi
crebbe da 100 a 29889. Per alcuni generi, come carne e tabacco, il fenomeno fu
particolarmente evidente. Tra il 1954 ed il 1958 in provincia di Bologna la vendita di tabacco subì un incremento notevole, passando da 887 tonnellate vendute
(per un valore pari a 7.631 milioni di lire) a 1.074 (per un totale di 9.883 milioni
di lire)90.
Sulle tavole degli italiani si vide un numero crescete di alimenti, di qualità
sempre più varia. Rimasta per un secolo tendenzialmente ai limiti o al di sotto
del fabbisogno delle 2.100 calorie giornaliere, la popolazione italiana aumentò costantemente il cibo consumato fino ad arrivare ad oltre 3.000 calorie nel
196891.
In genere raddoppiò il consumo di pollame ed aumentò quello di carne bovina ed equina e delle carni salate e affumicate. Solo per i suini e gli ovini si registrò una diminuzione92. Da cibo del giorno di festa la carne divenne un alimento
più diffuso, da preparare e consumare in “fettine”, veloci da cucinare rispetto ai
più laboriosi umidi e stufati di un tempo. Il taglio sottile era più rispondente ai
ritmi accelerati degli orari di fabbrica, così come le scatolette della Simmenthal,
i dadi da brodo, le minestre in barattolo “Cirio”, che si diffusero in quegli stessi
anni93.
Se prima della guerra si mangiava in prevalenza ciò che fornivano l’orto e
il pollaio, ora gli italiani «si innamorarono dei prodotti dell’industria alimentare», abbandonando quelli «che puzzavano della miseria di un tempo»94, a partire
dalla polenta. I 60 grammi pro capite di farina gialla di granturco consumati al
giorno negli anni Cinquanta in Italia diminuirono di due terzi alla fine del decennio successivo, per poi scomparire dalle statistiche negli anni Ottanta. Allo stesso
89
Nora Federici, Il costume, in Antonio Gambino et al., Dal ’68 a oggi. Come siamo e come eravamo,
Roma-Bari, Laterza, 1980, p. 294.
90
Camera di Commercio Industria e Artigianato di Bologna, Compendio statistico della provincia
di Bologna 1959, Bologna, Tamari, 1960, p. 234.
91
Federici, Il costume, cit., p. 295.
92
Camera di Commercio, Compendio, cit., p. 227.
93
John Dickie, Con gusto. Storia degli italiani a tavola, Roma-Bari, Laterza, 2009, p. 336.
94
Ivi, p. 334.
Fabio Montella, Associazionismo, cultura, consumi, stili di vita e tempo libero
71
modo crebbe il consumo di pastasciutta, che nel 1954 si attestò sui 75 grammi
pro capite, rimasto da allora pressoché invariato fino ai giorni nostri. In quello
stesso anno i maccheroni assursero a simbolo, nell’immaginario collettivo, della
tradizione culinaria italiana, contro tutte le novità alimentari «futuristiche, artefatte e forestiere»95. A “fare quadrato” intorno al maccherone fu, tra gli altri, il
popolare film Un Americano a Roma di Steno96. «Mack-a-rownee!», intimava in
una celeberrima scena Alberto Sordi-Nando Meliconi, dopo aver sputato il «sostanzioso» ma disgustoso boccone di pane “all’americana” spalmato con marmellata, yogurt, mostarda e latte. «Tu m’hai provocato e io te distruggo! Me te
magno!». Si trattava di una rivendicazione di indipendenza (dal cibo, ma soprattutto dall’american way of life) che non troveremo nell’Andrea Mingardi di Xa
vut dalla vétta del 1981. Il protagonista della canzone, uno speaker radiofonico
alla prese con una consorte sfaccendata, discinta ed eternamente insoddisfatta,
dovrà ammettere, sconsolato, di essere costretto a «parlare in americano» proprio per riuscire a «mangiare due maccheroni».
Maccheroni, dunque, ma anche carne e pesce: di pari passo con il benessere
si allungò la lista e la quantità delle pietanze sulle tavole delle famiglie. A pochi anni dalla fine della guerra, il pesce ai castelmaggioresi lo forniva ancora il
Reno. Il fiume rappresentava una fonte di cibo non secondaria, oltre che un’occasione di arrotondamento dei magri guadagni famigliari. Nelle sue acque nuotava
pesce in abbondanza. Ricordava Lorenzino Cremonini che il fiume, nel 1949 «era
ancora un paradiso ricco di limpida acqua, sabbia e ghiaia pulite». Vi si pescavano «cavedani, barbi, trote, anguille, gobbe e tinche», venduti prima di tutto ai
gestori delle trattorie della zona e poi, se ne avanzava, portati a casa97.
Anche il bere cambiò. Tra il 1954 e il 1958 raddoppiò il consumo di acqua in
bottiglia, ma presero piede anche la Coca Cola ed altre bevande gassate, il cui
consumo (nella sola città di Bologna) passò da 11.027 a 18.844 ettolitri in un
quinquennio.
Il focolare domestico non era più rappresentato soltanto dal camino, ma dai
nuovi modelli di cucina “all’americana”, che trasformavano consuetudini e spazi domestici. Al classico fornello con bomboletta a gas liquido appoggiato sul
mobiletto subentrò la cucina “componibile”, i cui fuochi vennero collegati alla
nascente rete del metano, che si diffuse nella provincia di Bologna a partire dagli anni Cinquanta. A Castel Maggiore, per la verità, la metanizzazione ad uso
domestico ed industriale rimase un miraggio fino alla metà degli anni Sessanta,
95
Ivi, p. 341.
Steno era lo pseudonimo di Stefano Vanzina. Sul suo film del 1954 cfr. anche David Ellwood, Un
americano a Roma, «History Today», vol. 46, 5 maggio 1996.
96
97
Cremonini, Castel Maggiore com’era… e com’è, cit., p. 369.
72
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
«nonostante i vari interventi personali ed indiretti effettuati presso le Autorità
preposte» da parte degli amministratori locali98. Dopo numerosi tentativi infruttuosi i lavori per l’impianto iniziarono finalmente nel 196699. In quell’anno vennero erogati per uso civile 20 mila metri cubi di metano, che divennero 629 mila un
anno dopo e un milione e 157 mila nel 1968100.
Mandate in soffitta le vecchie bombole a gas, le cucine collegate con la rete
del metano si corredarono di accessori tecnologici di ogni tipo, che assursero
anche al ruolo di status-symbol: il frigorifero, che subentrò alla ghiacciaia, il frullatore, il fornetto elettrico, la pentola a pressione e via di seguito, fino al forno a
microonde e ad ogni altra novità che si impose, invariabilmente, come “irrinunciabile”.
Un altro simbolo del benessere finalmente conquistato fu la diffusione del telefono, il cui trillo divenne sempre più famigliare nelle case di Castel Maggiore.
Nel 1961-62 gli abbonati al gestore Timo (Telefoni Italia Media Orientale) erano
complessivamente 125: 85 nel capoluogo e a Sabbiuno e 40 a Trebbo101.
La radio, la tv e il giradischi
La riconquistata libertà marciò trionfalmente anche al suono della radio e del
giradischi. «Domenica si balla sull’aia di Siggi, che ha salvato il grammofono.
Porta anche i tuoi dischi»: inviti come quello ricordato nel libro di Garulli passavano di bocca in bocca e davano il “la” a domeniche di danza frenetiche e
spensierate. Tra gli oggetti «riesumati» subito dopo la Liberazione nelle case di
Castel Maggiore, accanto alla bicicletta e alla macchina da cucire, c’era la radio,
che in molte famiglie era stata nascosta per anni, temendo sequestri e guai con
le autorità102. A casa Garulli, al contrario, l’apparecchio radiofonico, sintonizzato
su Radio Mosca o Radio Londra, non lavorò «mai tanto» come sotto il regime e
98
Ascm, Deliberazioni del Consiglio comunale, anno 1958, seduta del 26 novembre, delibera n. 267.
99
Ascm, Deliberazioni del Consiglio comunale, anno 1966, seduta del 27 giugno, delibera n. 46.
Camera di Commercio Industria e Artigianato di Bologna, Compendio statistico della provincia
di Bologna 1969, Bologna, Tamari, 1969, p. 173.
100
Timo, Elenco ufficiale degli abbonati al telefono-compartimento di Bologna, vol. I-Distretti di:
Bologna, Imola, Porretta, 1961-1962, pp. 361-362.
101
102
Garulli, La palla, cit., p. 248.
Fabio Montella, Associazionismo, cultura, consumi, stili di vita e tempo libero
73
«tutte le sere» c’erano persone che si riunivano per ascoltare le trasmissioni103.
Con l’arrivo del benessere nei primi anni Cinquanta l’apparecchio di famiglia
venne poi sostituito da uno più moderno, dotato di giradischi. Quello vecchio fu
regalato alla zia Pina, sorella minore del padre di Carlo.
A Bologna e provincia le vendite di radiogrammofoni passarono dalle 1.232
del 1955 alle 2.109 del 1958, un aumento considerevole ma nemmeno lontanamente paragonabile a quelle dei semplici e più economici grammofoni, che da
102 schizzarono a ben 2.467.
L’industria discografica italiana stava conoscendo in quegli anni un’impennata di vendite senza precedenti. Se nel 1951 in Italia furono acquistati tre milioni
di dischi, nel 1958 (anno in cui Domenico Modugno vinse il festival di San Remo
con Nel blu dipinto di blu-Volare e la Rca iniziò a distribuire i dischi di Elvis Presley) ne furono venduti quasi 17 milioni104. A Bologna tra il 1955 e il 1958 raddoppiò il numero dei dischi venduti, che passarono da 63 mila a 115 mila105.
In quasi tutte le case esistevano ormai giradischi e radio. In un decennio gli
abbonamenti alle radiodiffusioni in provincia di Bologna erano cresciuti in modo
esponenziale. Dai 126.703 del 1954 (165 ogni mille abitanti) si era passati ai
164.040 del 1958 (202) ai 213.521 del 1963 (249 per mille). La radio venne anche
introdotta nelle scuole, come strumento didattico al pari dei libri di testo, e nelle
strutture per anziani. Nel 1953 il Comune erogò un contributo di 100 mila lire per
l’acquisto dalla ditta di Walter Mazzanti di un impianto radiofonico da installare
nelle elementari del capoluogo106 e nel 1955 ne diede un altro di 10 mila lire per
comprare un apparecchio radio-ricevente per il reparto femminile della casa di
riposo “Ramponi” di San Giorgio di Piano, dove erano ricoverati anche diversi
anziani di Castel Maggiore107.
Di lì a poco, la novità rappresentata dalla radio col giradischi integrato sarebbe impallidita di fronte a una nuova meraviglia, che modificò radicalmente
il rapporto dei cittadini con la cultura: la televisione. Prima del suo avvento l’accesso a molti prodotti culturali richiedeva diverse condizioni quali saper leggere,
avere la possibilità di viaggiare o disporre di somme di denaro consistenti. Con
la tv, superato l’ostacolo (comunque non irrilevante) del costo dell’apparecchio
e del canone, il prodotto culturale diventava «fruibile all’istante, premendo un
103
La citazione è tratta da un’intervista a Carlo Garulli contenuta in: Stefano Magagnoli, Tra
dopoguerra e ricostruzione. Le politiche amministrative del Comune di Castel Maggiore (19461956), Modena, Mucchi, 1994, p. 258.
104
Gorgolini, I consumi, cit., pag. 224.
105
Camera di Commercio, Compendio 1959, cit., p. 231.
106
Ascm, Delibere di Consiglio comunale, anno 1953, seduta del 19 maggio, delibera n. 86.
107
Ascm, Delibere di Consiglio comunale, anno 1955, seduta del 22 agosto, delibera n. 139.
74
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
pulsante, nell’intimità della propria casa». In breve si poteva «vedere la “vita reale” senza farne esperienza»108.
Le trasmissioni televisive in Italia iniziarono ufficialmente la mattina del 3
gennaio 1954. Due giorni prima, in un’esortazione apostolica, Papa Pio XII aveva
dato il benvenuto al nuovo mezzo, mettendo tuttavia in guardia i fedeli dalla
possibilità che potesse «introdursi fra le stesse pareti domestiche quell’atmosfera avvelenata di materialismo, di fatuità e di edonismo» che, a suo parere, si
respirava «in tante sale cinematografiche»109. Di lì a poco i suoi timori sarebbero
stati fugati; anzi, la tv divenne in Italia un baluardo (tra i più inespugnabili) della
«morale comune» di stampo cattolico, difesa dal principale partito di governo,
la Democrazia Cristiana.
Appena lanciato sul mercato, il televisore non era ancora alla portata di tutti. Nel 1954 in tutta la provincia di Bologna gli abbonati alla televisione erano
1.992. Nel piccolo comune di Castel d’Aiano, in febbraio (ovvero un mese dopo
l’inizio ufficiale delle trasmissioni) erano presenti quattro apparecchi, uno ogni
175 abitanti. Un televisore si trovava nell’abitazione del medico condotto, un
altro nell’osteria del paese, «sotto festoni di salami», e gli altri due «in private
abitazioni di autentici montanari», come testimoniavano le foto di un servizio,
tra l’ironico e il meravigliato, del “Radiocorriere”. Il popolare settimanale non
mancava di sottolineare l’entusiasmo con il quale «questi pionieri» avevano «accolto la televisione», che li teneva «collegati al mondo» e che affiancava «all’antico focolare, che in questi luoghi non è mai stato spento», il “caminetto” «dei
nostri tempi»110. Quattro apparecchi per 700 abitanti erano in effetti pochini, ma
il prezzo costituiva ancora un ostacolo rilevante. Per i modelli “Radiomarelli”
occorreva sborsare tra le 155 e le 276 mila lire111, ovvero quanto un operaio guadagnava in tre-cinque mesi. Non era poco, anche per chi si fosse avventurato nei
pagamenti con rate e cambiali, fortemente incentivati dalla pubblicità112.
A questo proposito, va detto che anche a Castel Maggiore la pubblicità era
108
Sassoon, La cultura, cit., p. 1132.
109
Ivi, p. 1130.
110
La TV è arrivata anche in montagna, in “Radiocorriere”, a. XXXI, n. 8, 21-27 febbraio 1954, p. 15.
Pubblicità degli apparecchi Radiomarelli, in “Radiocorriere”, a. XXXI, n. 20, 16-22 maggio 1954,
p. 15.
111
112
L’intensificato ritmo degli scambi e quindi della circolazione monetaria, per la maggior parte
sostituita dagli effetti cambiari, ebbe come conseguenza il diffondersi delle insolvenze, dei protesti
e dei fallimenti (Camera di Commercio, Compendio 1959, cit., p. 31). Nel 1963 Castel Maggiore si
situò all’undicesimo posto provinciale per importo pro capite di protesti cambiari, con 9.153 lire
per abitante di media, risultato di 222 cambiali, 392 tratte non accettate e 12 assegni protestati. La
cifra complessiva rimaneva comunque al di sotto della media provinciale di 12.745 lire pro capite
(Camera di Commercio, Compendio 1964, cit., p. 339).
Fabio Montella, Associazionismo, cultura, consumi, stili di vita e tempo libero
75
diventata sempre più diffusa e invasiva. Nel 1950 il Comune, per mettere ordine
nella giungla «di cartelli, targhe, tabelle, quadri, globi, stendardi» e «fac-simili giganti» quali «bidoni» e «barattoli», adottò il primo Regolamento per la disciplina
delle pubbliche affissioni e della pubblicità, aggiornato nel 1955 con l’aggiunta
dei luoghi (una quindicina) in cui era permessa l’affissione113. Oltre ai mezzi tradizionali, venivano disciplinate anche forme più moderne, come la pubblicità «visibile di notte da una fonte apposita di luce», quella «in cui i caratteri ed i disegni
stessi» erano «essi stessi costituiti da una fonte di luce», i messaggi veicolati da
«sistemi speciali», quali «tele» esposte trasversalmente su vie o piazze (striscioni), attuati «facendo circolare persone con cartelli, stendardi e scritture» o che
distribuivano «manifestini per le pubbliche vie», o ancora attraverso automezzi
«recanti iscrizione»114.
La pubblicità si era ormai confermata come «l’anima del commercio», ma si
avviava ad essere anche il cuore e il motore del mezzo televisivo, che in quei
primi anni continuava ad essere fruito, per lo più, in forma pubblica. Il giovedì
sera, i caffè dotati di apparecchio si affollavano di persone che guardavano alla
tv il popolare quiz Lascia o raddoppia?, adattamento del programma americano
The $64,000 Question115. Il 21 maggio 1956 una “telesquadra” Rai arrivò a Castel
Maggiore per trasmettere uno spettacolo televisivo che coinvolse alcuni artisti dilettanti e le scolaresche «in esibizioni di carattere folkloristico». Il Comune
contribuì all’accoglienza della troupe, pagando le spese per l’accordatura di un
pianoforte, ma anche per colazioni e bibite varie116.
Per diversi anni sia la radio che la televisione continuarono a crescere, ma il
ritmo di aumento di quest’ultima divenne presto vertiginoso. Nel 1958 a Castel
Maggiore gli abbonati alla radio erano 1.210, mentre quelli alla tv erano appena
55: la maggior parte (43) erano stati attivati per abitazioni private e gli altri 12
per esercizi pubblici (i cosiddetti abbonamenti “speciali”). In media, c’era un abbonamento radio ogni cinque residenti ed uno alla tv ogni 118. Dieci anni dopo
la situazione era notevolmente mutata: gli abbonamenti alla radio erano raddoppiati, passando a 2.878 (305 ogni mille abitanti, poco più di uno per famiglia,
in media), ma quelli alla tv erano aumentati di ben 31 volte, salendo a 1.694 (206
abbonamenti ogni mille). In altre parole, il 70% delle famiglie possedeva una tv:
era finita l’era della visione collettiva.
113
Ascm, Delibere di Consiglio comunale, anno 1955, seduta del 2 dicembre, delibera n. 187.
114
Ascm, Delibere di Consiglio comunale, anno 1950, seduta del 1 aprile, delibera n. 5.
115
Sassoon, La cultura, cit., p. 1129.
116
Ascm, Delibere di Consiglio comunale, anno 1956, seduta del 17 dicembre, delibera n. 230.
76
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Abbonamenti a radio e tv a Castel Maggiore
Anno
Abbonamenti alle radiodiffusioni
Abbonamenti alla televisione
Totali
per 1.000 abitanti
solo speciali
Totali
per 1.000 abitanti
solo speciali
1958
1.210
186
19
55
8
12
1959
1.246
192
20
84
13
12
1960
1.315
200
20
128
17
14
20
499
70
13
1.694
206
1963
1.576
221
1968
2.878
350
Abbonamenti a radio e tv in provincia di Bologna
Anno
1955
Abbonamenti alle radiodiffusioni
Abbonamenti alla televisione
Totali
per 1.000 abitanti
solo speciali
Totali
per 1.000
abitanti
solo
speciali
135.824
173
2.497
4.385
6
496
1956
143.460
180
2.922
8.967
11
1.114
1957
153.926
191
3.058
15.165
19
1.379
1958
164.040
202
3.091
24.083
30
1.420
1959
172.818
211
3.249
34.415
42
1.593
1960
179.187
216
3.326
45.930
55
1.700
1961
189.384
225
3.454
60.233
72
1.674
1962
201.699
240
3.539
76.844
91
1.669
3.559
1.638
1963
213.521
249
98.096
114
1964
225.349
261
122.134
140
1965
235.160
266
140.373
159
1966
244.758
277
159.523
180
1967
255.623
288
177.125
199
1968
233.495
261
190.045
212
Va ricordato infine che nella prima metà degli anni Sessanta, grazie alla diffusione di juke-box, radioline transistor, giradischi e registratori, che permettevano la
fruizione della musica in qualunque situazione ed in ogni momento della giornata, i giovani divennero i principali consumatori di musica. Dopo aver favorito
il decollo dell’industria discografica nazionale, furono loro a determinare anche
«una svolta nella produzione, sempre più orientata a soddisfare i loro gusti».
Nel 1964 le case discografiche italiane arrivarono a produrre per l’80% dischi
destinati ai giovanissimi tra gli 11 e i 18 anni117. A trascinare la crescita furono
117
Gorgolini, I consumi, cit., p. 231.
Fabio Montella, Associazionismo, cultura, consumi, stili di vita e tempo libero
77
trasmissioni radiofoniche di grande successo come Bandiera gialla, condotta da
Gianni Boncompagni e Renzo Arbore, che consentiva anche ai fan della musica
beat, folk e rhythm and blues che vivevano nei piccoli comuni di provincia «di
essere informati sugli ultimi brani usciti e sui nuovi complessi»118.
La Lambretta, la Vespa e le prime utilitarie
Con il graduale aumento del benessere cominciarono a diffondersi anche nuovi
mezzi di trasporto, come la Vespa e la Lambretta, che sostituirono progressivamente bicicletta e carretti trainati da animali negli spostamenti casa-lavoro,
ma anche per lo svago e la fruizione di spettacoli e attività culturali. Tra gli appassionati della Vespa (prodotta dalla Piaggio a partire dal 1946) e i patiti della
Lambretta (immessa sul mercato, dalla Innocenti, nel 1947) si creò una bonaria
rivalità, che ricordava quella delle popolari sfide tra Coppi e Bartali, capaci di
infiammare il pubblico in quello stesso periodo.
Sul finire degli anni Cinquanta, ad accendere le passioni degli italiani fu anche la Fiat 600, prima utilitaria a divenire concretamente il simbolo di un’aspirazione di massa. A rendere possibile quello che per gli stipendi medi sarebbe rimasto comunque un sogno, furono soprattutto l’acquisto a rate e le cambiali. La
600, presentata il 10 marzo 1955 ed immessa sul mercato al prezzo di 590 mila
lire (corrispondenti a circa 8.000 euro del 2016), venne venduta in 2 milioni e
700 mila esemplari, diventando la prima utilitaria italiana a larga diffusione. Nel
1957 alla Fiat 600 fu affiancata la più economica 500, che contribuì a sua volta a
dare sostanza all’ambizioso progetto del direttore della Fiat, Vittorio Valletta, di
«mettere gli italiani su 4 ruote».
In provincia di Bologna i veicoli in circolazione aumentarono sensibilmente
tra il 1958 ed il 1963, passando da 166.098 a 259.610. Ma se la crescita coinvolse ogni genere di mezzo a motore, l’aumento fu sorprendente per le auto, che
in sei anni triplicarono, passando da 31.297 a 95.981. I motocicli con cilindrata
fino a 125 cm3 passarono invece da 96.454 a 112.600119. Insieme alla provincia di
Modena, quella di Bologna si collocò al primo posto nella classifica di auto per
abitanti (una ogni 14 nel 1962120).
118
Ivi, p. 233.
119
Camera di Commercio, Compendio 1964, cit., p. 171.
120
Il “miracolo” della motorizzazione, in “Tuttomodena”, a. II, n. 4, febbraio 1963, p. 39.
78
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
La motorizzazione di massa introdusse ulteriori cambiamenti nello stile di
vita e rese possibili «esperienze gastronomiche interamente nuove, come prendere la macchina e andare fino al mare, in agosto, per mangiare gli spaghetti con
le vongole, o fermarsi a un Autogrill per fare uno spuntino»121.
L’altra faccia di questa rincorsa alla motorizzazione fu tuttavia rappresentata
dagli incidenti stradali, che subirono un’impennata, imponendo alle amministrazioni pubbliche una maggiore attenzione alla manutenzione delle strade e alla
regolazione del traffico. Il totale degli incidenti in provincia di Bologna passò da
4.855 nel 1959 a 8.555 nel 1963, i morti da 159 a 227, i feriti da 4.781 a 7.354122. Nel
1957 il Comune di Castel Maggiore acquistò dieci cartelli stradali con il limite dei
40 chilometri orari, «per la disciplina del traffico e per l’incolumità dei cittadini
nei luoghi più frequentati e nevralgici del Capoluogo» ed una «tartaruga spartitraffico» da posizionare a Trebbo, all’incrocio di via Lame, in corrispondenza
con la Casa del Popolo123. L’anno seguente vennero acquistati due stampi per la
realizzazione in economia di paracarri in cemento da posizionare lungo le strade per evitare incidenti, che «non di rado» avvenivano124. Nel 1970 venne anche
decisa l’installazione dell’impianto semaforico all’incrocio tra le vie Gramsci e
Matteotti125, mentre con la diffusione delle due e delle quattro ruote si estese
anche la rete dei distributori di benzina e miscela. Nel 1968 a Castel Maggiore
esistevano 13 impianti, sette sulle strade provinciali e sei su quelle comunali126.
Gli interventi per la sicurezza, diffusi su tutto il territorio provinciale, sortirono i primi effetti nella seconda metà degli anni Sessanta. Se nel 1964 gli incidenti
erano stati 8.024 (198 dei quali mortali e 5.142 con soli feriti) nel 1968 scesero a
5.751 (con 153 mortali e 3.704 con soli feriti)127.
121
Dickie, Con gusto, cit., p. 335.
122
Camera di Commercio, Compendio 1964, cit., p. 178.
123
Ascm, Delibere di Consiglio comunale, anno 1957, seduta del 16 luglio, oggetti n. 114 e 115.
124
Ascm, Delibere di Giunta comunale, anno 1958, seduta del 8 aprile, delibera n. 75.
125
Ascm, Delibere di Giunta comunale, anno 1958, seduta del 16 marzo, delibera n. 22.
126
Camera di Commercio, Compendio 1969, cit., pp. 266-267.
127
Ivi, p. 263.
Fabio Montella, Associazionismo, cultura, consumi, stili di vita e tempo libero
79
Favorire lo sport, un «dovere sociale»
La voglia di praticare, ma anche di assistere allo sport come spettatori, che si
sprigionò dopo la Liberazione è ben evidenziata dalla crescita della spesa per
questa forma di divertimento, che andò di pari passo con l’aumento del benessere. Dalle 389 lire che ogni bolognese spendeva per le manifestazioni sportive
nel 1954 si passò alle 493 del 1958, mentre negli stessi anni dalle 1.055 lire ad
abitante spese per il Totocalcio e il Totip si passò alle 1.069.
La data che in qualche modo segna la rinascita dello sport cittadino è quella
del 18 ottobre 1950. Quel giorno il Consiglio comunale decise di prendere in
affitto per nove anni dall’amministrazione del Ricovero di Mendicità “Vittorio
Emanuele II” di Bologna un appezzamento di terreno da destinare in parte a
campo sportivo ed in parte a coltura, dietro il pagamento di un canone d’affitto
“in natura” pari a 120 kg di grano e 14 kg di canapa «per ogni tornatura bolognese», per un valore intorno alle 60 mila lire l’anno. Il paese era sprovvisto di un
campo da calcio dal 1939, quando il podestà aveva deciso di vendere il terreno
comunale usato per la fiera e le manifestazioni sportive, investendo la somma
incassata di 36 mila lire in titoli di Stato. I tempi nuovi imponevano di riallacciare
i fili che il fascismo aveva spezzato, «in conformità alle esigenze dello Sport, che
[…] rinvigorisce il fisico ed eleva lo spirito dei giovani». Il campo sarebbe stato
dato in gestione alla locale società sportiva, che si sarebbe impegnata a sistemarlo e conservarlo a proprie spese128. La delibera venne tuttavia bocciata dalla
Giunta provinciale amministrativa (Gpa), che giudicò la spesa «inammissibile»
per le condizioni del bilancio comunale129. La questione si trascinò per più di un
quinquennio. Nel 1953 il Consiglio comunale deliberò di prendere in affitto la
proprietà del Ricovero di Mendicità di Bologna (poderi Colombarola e Casino)
per realizzarvi una palestra all’aperto «per le esercitazioni ginniche sportive e
per lo svolgimento del programma di educazione fisica» delle scuole, al posto
di quella coperta, che era stata distrutta durante la guerra130. All’inizio del 1955
finalmente la Gpa approvò la delibera di Consiglio con la quale il Comune prendeva in affitto l’appezzamento di terreno di via Lirone di cui si discuteva ormai
da più di cinque anni, ad un costo che nel frattempo era cresciuto a 79 mila lire.
Nell’aprile del 1956 la parte di terreno da adibire a campo sportivo venne data in
gestione, al costo simbolico di una lira all’anno, alla Società Calcistica Progresso,
che svolgeva attività agonistica e che portava «localmente e quasi settimanal-
128
Ascm, Delibere di Giunta comunale, anno 1950, seduta del 18 ottobre, delibera n. 29.
129
Ascm, Delibere di Giunta comunale, anno 1952, seduta del 29 aprile, delibera n. 34.
130
Ascm, Delibere di Giunta comunale, anno 1953, seduta del 20 ottobre, delibera n. 144.
80
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
mente afflusso di persone, a vantaggio di questi esercizi pubblici e dell’amministrazione comunale per il consumo di generi soggetti ad imposte»131. L’altra porzione di terreno (corrispondente ai poderi “Colombara” e “Casino”) venne invece
destinata a coltura e subaffittata a Callisto Serenari132.
Oltre alle spese per gli impianti, il Comune intervenne anche per finanziare
le attività delle associazioni, con contributi che rientravano nei capitoli di bilancio della “Pubblica istruzione”, a sottolineare il nesso che l’attività fisica aveva,
già per quei primi amministratori, con l’educazione complessiva delle giovani
generazioni. Nel concedere un contributo allo Sport Club Progresso, «in difficili
condizioni economiche», per la disputa del campionato dilettanti della Figc133, il
Comune sottolineò nel 1959 come l’aiuto dell’ente locale era considerato «un
dovere sociale», perché della società facevano «parte i giovani del paese, i quali
devono essere spronati a dedicarsi sempre di più agli svaghi che li fortificano
fisicamente e moralmente» e che «li allontanano da altri che possono essere
nocivi»134.
Il calcio era la disciplina principalmente finanziata, sia con contributi annui
che con offerte una tantum, come in occasione del torneo notturno “Super Mercato Mobili”, la cui prima edizione fu organizzata dal Progresso, con «un certo
afflusso di persone anche dai Comuni limitrofi», nell’estate del 1958135 o come il
Torneo Novarese under 21136. Non mancarono aiuti ad altri sport: al Moto Club
per il motoraduno del 15 giugno 1952137, alla Bocciofila Castello per l’annuale
coppa “Comune di Castel Maggiore”138, al Tennis Club139 ed alla Polisportiva Progresso Pallavolo140.
Alla fine degli anni Cinquanta venne avviata la ricostruzione della palestra
scolastica, distrutta dai bombardamenti. L’opera venne finanziata con un contributo di 18 milioni di lire a totale carico dello Stato141.
Nella vicenda del campo sportivo si evidenziano i riflessi del mai sopito con-
131
Ascm, Delibere di Giunta comunale, anno 1956, seduta del 7 aprile, delibera n. 33.
132
Ascm, Delibere di Giunta comunale, anno 1956, seduta del 7 aprile, delibera n. 34.
133
Federazione Italiana Giuoco Calcio.
134
Ascm, Delibere di Consiglio comunale, anno 1959, seduta del 28 settembre, delibera n. 108.
135
Ascm, Delibere di Consiglio comunale, anno 1958, seduta del 5 luglio, delibera n. 118.
136
Ascm, Delibere di Consiglio comunale, anno 1967, seduta del 24 febbraio, delibera n. 58.
137
Ascm, Delibere di Consiglio comunale, anno 1952, seduta del 10 giugno, delibera n. 58.
138
Ascm, Delibere di Consiglio comunale, anno 1967, seduta del 24 febbraio, delibera n. 58.
139
Ascm, Delibere di Consiglio comunale, anno 1969, seduta del 3 ottobre, delibera n. 84.
140
Ascm, Delibere di Consiglio comunale, anno 1971, seduta del 4 agosto, delibera n. 79.
141
Ascm, Delibere di Consiglio comunale, anno 1957, seduta del 23 ottobre, delibera n. 176.
Fabio Montella, Associazionismo, cultura, consumi, stili di vita e tempo libero
81
trasto tra enti locali ed apparati dello Stato, tra centro e periferia. Il progetto dovette infatti superare diverse difficoltà per essere realizzato. Il 6 settembre 1960
l’Ufficio tecnico del Comune redasse il progetto per la realizzazione dell’impianto, ma il Coni e il Cis lo approvarono più di un anno dopo (il 12 dicembre 1961),
bloccandolo a lungo per presunti motivi tecnici. Il 15 novembre 1962 il Comune
acquistò dal Ricovero di Mendicità Vittorio Emanuele II ed Opere Pie annesse di
Bologna un terreno di 25 mila metri quadrati, che in gran parte ricadevano sul
fondo chiamato “Casino”, condotto a mezzadria dalla famiglia del colono Alfredo Mazzanti, che venne indennizzato.
Quando il progetto venne finalmente finanziato dall’Istituto per il Credito
Sportivo (lettera del 18 marzo 1963), furono erogati soltanto 12 dei 17 milioni
richiesti, che nel frattempo erano peraltro divenuti già insufficienti. L’appalto fu
vinto dall’impresa Martelli Guido di Castel Maggiore, che concluse i lavori il 16
luglio 1965. A causa dell’esiguità delle risorse disponibili, il progetto dovette essere «realizzato in buona parte» con l’apporto di lavoro volontario142, come ricordava l’ex sindaco Garulli. Se da un lato ciò evidenziava forme inedite e trasversali di solidarietà (anche il prete fece da tramite con un’azienda per reperire le
piastrelle necessarie), dall’altro misero in qualche imbarazzo gli amministratori,
dal momento che si sarebbero potuti ingenerare sospetti su tanta generosità.
Per fugare ogni dubbio al riguardo, Garulli decise di andare a spiegare al prefetto che si trattava realmente di opera volontaria e non di accordi per successivi
favori. Il prefetto, dimostratosi comprensivo, accettò eccezionalmente di partecipare all’inaugurazione dell’impianto, che avvenne martedì 7 settembre 1965,
davanti ad un pubblico numeroso, che era accorso al nuovo stadio per assistere
alla sfida tra la squadra di casa e il Bologna.
Se lo sport fu a Castel Maggiore uno dei principali veicoli per la crescita individuale e collettiva, ad esso si affiancarono altre occasioni di incontro e socialità.
Il 28 febbraio 1969 il Consiglio comunale deliberò all’unanimità di approvare il
gemellaggio con Krapina, in Jugoslavia, nel quadro dell’azione promossa dalla
Fédération mondiale des villes jumelées (creata 12 anni prima nella città francese di Aix les Bains), per promuovere l’amicizia e la pace tra i popoli143. Sempre
nello stesso anno il Comune iniziò ad inviare in «pellegrinaggio» nei campi di
sterminio nazisti congiunti di deportati144.
142
Magagnoli, Tra dopoguerra, cit., p. 272.
143
Ascm, Delibere di Giunta comunale, anno 1969, seduta del 28 febbraio, delibera n. 18.
144
Ascm, Delibere di Giunta comunale, anno 1969, seduta del 25 marzo, delibera n. 27.
82
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
La dilatazione dei consumi di spettacolo
Alla fine degli anni Sessanta il consumo di spettacolo ebbe un ulteriore incremento in tutta la provincia. Questo genere di spese voluttuarie passò dai 9 milioni e
344 mila del 1965 ai 10 milioni e 982 mila lire del 1969 e la spesa per abitante da
10.572 a 12.270 lire, ben superiori delle 7.285 di media pro capite nazionale e più
alte anche del dato medio dell’Emilia Romagna (10.790 lire). La Camera di Commercio attribuiva questa «dilatazione del consumo dello spettacolo» a «fattori
di diversa natura, fra i quali l’emancipazione della donna nella vita sociale, la
riduzione degli orari di lavoro, il miglioramento del livello culturale e la formazione di un costume nuovo di vita associata, che risponde all’indole ed al gusto
della popolazione». Alla vigilia degli anni Settanta lo spettacolo era diventato
«un bene di consumo immateriale e pressoché inesauribile, in quanto grazie alle
nuove tecniche di riproduzione e di diffusione» era «messo ovunque a disposizione di tutti». A meglio leggere i dati, comunque, l’aumento della spesa globale nei
locali pubblici non corrispondeva ad un’effettiva espansione del consumo. Per
ogni 100 lire di reddito provinciale, per spettacoli pubblici e divertimenti a pagamento ne venivano spese 1,35 nel 1965, 1,39 nel 1966, 1,37 nel 1967 e 1,33 nel
1968. Soprattutto, ciò che balzava agli occhi era la perdita di peso relativo dello
spettacolo dal vivo rispetto a quello a domicilio e meccanizzato (televisione e dischi). Su 5.306 milioni di lire spesi nel 1958 per spettacoli e pubblici divertimenti,
il cinema assorbiva il 61,9%, il teatro il 4,7%, lo sport il 7,6% e i trattenimenti vari
(mostre, fiere, ecc.) l’11,6%. Alla radiotelevisione era riservato il 14,2% residuo.
Dieci anni dopo la proporzione era notevolmente cambiata. Nel 1968, su 10.982
milioni di lire spesi, il cinema assorbiva il 50,4% (-11,4 punti percentuali), il teatro
il 3,9%, lo sport il 10,3%, i trattenimenti vari il 6,9% e la radiotelevisione il 22,6%
(+8,4); una crescita peraltro fortemente sottostimata, visto che il dato di radio e
tv comprendeva soltanto le spese per gli abbonamenti e non anche quelle per
l’acquisto e la manutenzione degli apparecchi145.
Lo sport aveva dunque risentito meno di altri la concorrenza della televisione, perché ancora non era «effettuata la ripresa simultanea degli avvenimenti
calcistici e solo una parte delle partite» veniva trasmessa in differita.
Nel 1968 il 69% delle famiglie bolognesi possedeva un televisore, contro il
53,8% a livello nazionale146. La tv incalzava dunque il cinema, che nonostante tutto rimaneva un punto di riferimento fondamentale nel consumo di cultura, anche
a Castel Maggiore. Nel 1972 Vincenzo Rigosi chiese di costruire una nuova sala
145
Camera di Commercio Compendio 1969, cit., pp. LXX-LXXI.
146
Ivi, p. LXXIII.
Fabio Montella, Associazionismo, cultura, consumi, stili di vita e tempo libero
83
cinematografica della capacità di 548 posti in via Gramsci 178147. Tra il 1964 e il
1968 le sale in provincia erano diminuite (da 185 a 179), le giornate di spettacolo
erano calate, si vendevano meno biglietti e il costo dell’ingresso era divenuto
sensibilmente più caro; ma la vera novità era un’altra. Se il cinema aveva «ridotto
la sua forza di espansione nelle sale», come attestato dalla riduzione nel numero
dei biglietti venduti, aveva «tuttavia raggiunto una maggiore popolarità rispetto
al passato», proprio grazie alla sua diretta concorrente. Come annotava la Camera di Commercio, infatti, ogni anno la televisione italiana trasmetteva «oltre
100 film di lungometraggio e circa 70 film di cortometraggio, oltre a 150 telefilm
e originali televisivi e che l’indice di gradimento dello spettacolo cinematografico teletrasmesso» era «fra i più alti». In altre parole, lo sviluppo della televisione
non aveva «intaccato il consumo dello spettacolo cinematografico in sé», ma lo
aveva «semmai trasformato in spettacolo casalingo e molto più economico»148.
Tra gli spettacoli cosiddetti «tradizionali» il teatro, dopo anni di declino, manifestò segnali di ripresa, in particolare nel biennio 1965-66. Nel 1968 le rappresentazioni furono 729 (sei anni prima erano state 600) i biglietti venduti furono
366 mila, la spesa pro capite 479 lire. La prosa continuava a mantenere il primo
posto per entità di incassi e per numero di spettacoli e spettatori (27,4% del totale dei biglietti venduti nel 1968). Buona frequenza avevano anche la rivistacommedia musicale, il varietà e la lirica e balletti. Il numero dei biglietti per i
concerti conobbe un aumento del 10% tra il 1957 e il 1968, mentre marionette
e burattini continuarono la loro caduta, dimezzando quasi il numero delle rappresentazioni.
12. Gli anni Settanta
Nel 1970 si aggiunse un nuovo importante tassello al mosaico associativo. Risale
infatti a quell’anno la nascita del Comitato carnevale, che cominciò ad organizzare una festa per bambini caratterizzata da grande affluenza di persone, anche dai
comuni vicini149. Sempre per l’infanzia proseguì l’organizzazione di «campi solari»
e «colonie climatiche diurne» nel periodo estivo a Villa Salina e Trebbo di Reno150.
147
Ascm, anno 1954, b. 271, cat. 15, cl. 3, f. 4, Questura di Bologna, prot. 40552, 28 gennaio 1974.
148
Camera di Commercio, Compendio 1969, cit., p. LXXII.
149
Ascm, Delibere di Giunta comunale, anno 1970, seduta del 16 marzo, delibera n. 35.
150
Ascm, Delibere di Consiglio comunale, anno 1973, seduta del 19 giugno, delibera n. 100.
84
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Gli anni Settanta sono anche quelli della riscoperta delle radici. All’idea ed
all’opera infaticabile di un cittadino di Castel Maggiore, Ivano Trigari151, presidente del gruppo della Stadura, si deve la nascita nel 1973 del Museo della Civiltà contadina di San Marino di Bentivoglio.
L’8 aprile 1974 si costituì il Lions Club Castel Maggiore-Bologna, che si distinse subito per una serie di “services” orientati alla promozione della cultura e
dell’educazione. Segnaliamo, nei primi 15 anni di vita del sodalizio, la creazione
di una biblioteca per le scuole elementari e l’offerta di sussidi didattici per quella
comunale, l’istituzione di borse di studio per studenti e laureati, la promozione di
una ricerca storica sul territorio152.
All’inizio degli anni Settanta la ventata modernizzatrice nell’educazione, che
pose all’avanguardia l’Emilia-Romagna nei servizi dedicati alla prima infanzia,
investì anche Castel Maggiore. Nel 1973 venne infatti avviata la costruzione
dell’asilo nido “Anatroccolo”, pensato per andare incontro alle esigenze delle
mamme lavoratrici. I lavori furono affidati al Consorzio provinciale delle cooperative di produzione, lavoro e trasporto di Bologna153. Il servizio (inaugurato
nel 1975) si rivelò utilissimo ed ebbe ulteriori sviluppi, tanto che oggi il Comune
può contare su tre strutture (le altre sono “Talete” e “Scoiattolo”), con 135 posti
totali154.
Nei primi anni Settanta, la forte crescita di popolazione registrata nel precedente decennio rese del tutto insufficiente la capienza degli impianti sportivi esistenti. Alla luce delle previsioni del nuovo Piano regolatore generale, il Comune
decise dunque di destinare ad attrezzature pubbliche e private un’area del capoluogo, «baricentrica rispetto all’intero comprensorio comunale» e «sufficiente
per l’attuale e futuro fabbisogno». Nel 1972 si avviò così la costruzione del nuovo
centro sportivo comunale, dotato di palestra coperta, campi da tennis, pallavolo
e basket, pista da corsa, campo da bocce e da baseball, per un costo previsto di
151
Nato a Castel Maggiore nel 1922 da una famiglia di mezzadri, Ivano Trigari è stato attivo
protagonista nell’ambito delle cooperative agricole locali. Un po’ per caso aveva iniziato a
recuperare e salvare dalla distruzione macchine agricole, strumenti e oggetti della civiltà
contadina nel 1963, coinvolgendo molte altre persone. Il 19 aprile 1968 nel cinema Rivoli di Castel
Maggiore nacque il gruppo della Stadura, che raccolse diversi appassionati, dando vita a numerose
esposizioni. Nel 1971 la Provincia di Bologna mise a disposizione del gruppo Villa Smeraldi, dove
il 28 giugno di due anni dopo venne inaugurato ufficialmente il Museo, con il contributo decisivo
del Cest (Centro economie società tecnologie) dell’Università di Bologna. Scomparso nel 2002, a
Trigari è stata intitolata la rotonda di via Canali Crociali a San Marino, nell’agosto del 2013 (Valerio
Montanari, Ivano Trigari e le radici della museografia rurale, “in Comune”, n. 109, dicembre 2015,
pp. 76-77).
152
Cremonini, Castel Maggiore, cit., p. 5.
153
Ascm, Delibere di Consiglio comunale, anno 1973, seduta del 28 dicembre, delibera n. 265.
154
I 40 anni del nido Anatroccolo, “in Comune”, n. 106, luglio 2015, p. 7.
Fabio Montella, Associazionismo, cultura, consumi, stili di vita e tempo libero
85
oltre 186 milioni di lire. Prime opere a partire, su progetto dell’architetto Salvatore Polito e con lavori affidati alla Cooperativa intercomunale muratori (Cim) di
San Giorgio in Piano, furono palestra e bocciofila155.
Gli anni Ottanta: tra organizzazione e individualismo
A partire dagli anni Ottanta cultura e sport sono diventati una parte fondamentale ed irrinunciabile della vita dei castelmaggioresi e non più soltanto ambiti
residuali cui dedicare il poco o tanto tempo libero a disposizione. Grazie anche
alla disponibilità di nuovi impianti, una parte crescente di giovani si è avvicinata
alla pratica sportiva e alle varie iniziative culturali. Alla fine del decennio esistevano sei palestre ad uso misto scolastico-associativo, campi da calcio, un campo
da baseball, due piste di pattinaggio, due tennis club privati (con complessivi 20
campi), due vasche per il nuoto (una coperta ed un scoperta), campi da pallavolo
e pallacanestro e due maneggi di equitazione privati156.
Grazie a questa ampia disponibilità di impianti, la pratica sportiva di base è
stata in continua crescita, con numerosi settori efficienti ed organizzati. Nell’ambito della polisportiva Progresso, ad esempio, negli anni Ottanta si praticavano
il baseball, il basket, il gioco delle bocce (Castello), le boccette-biliardo, il cicloturismo (Avis), la pallamano (Jomsa), la pallavolo, il pattinaggio (Progresso
Fontana), il podismo (gruppo Renzo Rifornimento), il judo (Budokan) e il karate.
Esistevano poi tre società di pesca sportiva (Cannisti Castel Maggiore, Progresso
e I Maggio), la società di calcio Sport Club Progresso, la Vis Trebbo, il gruppo
podistico Iarro Jet, la Polisportiva Trebbo, la Federazione italiana caccia e l’Arci
caccia. Erano numerose le squadre che partecipavano a tornei e campionati ufficiali delle varie federazioni del Coni e degli enti di promozione.
Il Comune incentivava queste forme di attività organizzata con contributi
per premi e medaglie e ribadiva il ruolo indispensabile delle associazioni come
“palestra” di partecipazione attraverso l’affidamento della gestione di impianti,
come il nuovo centro sportivo di via Lirone, inaugurato il 5 maggio 1984 con
strutture realizzate, come lo stadio 20 anni prima, grazie anche al lavoro volontario di tanti cittadini.
Accanto alla pratica organizzata, risultava tuttavia cresciuta anche l’esigenza
155
Ascm, Delibere di Consiglio comunale, anno 1972, seduta del 4 luglio, delibera n. 91.
156
Cremonini, Castel Maggiore, cit., p. 405.
86
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
dei cittadini di praticare sport in forma libera, negli orari più svariati e al di fuori
del mondo associazionistico. Erano i segnali, anche a Castel Maggiore di quella
«“cultura narcisistica”, orientata principalmente verso l’individuo» e verso un privato nel quale «i valori della generazione precedente vengono messi da parte
per far posto alla soddisfazione immediata dei bisogni materiali e al possesso
di beni, ritenuti unici elementi decisivi ai fini della costruzione dell’identità individuale e sociale»157. La diffusione della ginnastica aerobica e del body building
tra i giovani sono il riflesso di un nuovo modo di vivere il rapporto con il proprio
corpo. Ad animare la voglia di sport, nei giovani come negli adulti, non è più solo
la voglia di stare insieme e divertirsi «ma, soprattutto, l’esaltazione dell’integrità
fisica e dell’efficienza del corpo». Ecco dunque che si moltiplicano le palestre
private e i negozi di articoli sportivi, ma aumenta anche la fruizione di spazi verdi, che il Comune decise di curare ed incrementare. Nel 1985 venne programmata una prima rete di percorsi pedonali e ciclabili, al fine di creare «le condizioni
di un ambiente nelle sue dimensioni naturali»158.
Più controverso fu il tentativo di strutturare l’offerta culturale con la creazione, nel 1983, di un’apposita Consulta comunale, che aveva l’obiettivo di «avvicinare […] alla cultura [il] cittadino con i suoi bisogni […] più diversi, spesso nascosti
o mortificati dai venditori di cultura consumistica (un solo esempio le tante ore
passate davanti ai video)». Non mancavano, a Castel Maggiore, i momenti di svago legati alla cultura. Durante l’anno si svolgevano infatti un concorso nazionale di pittura (marzo-aprile), il tradizionale carnevale dei bambini con sfilata dei
carri allegorici, la manifestazione “Castel Maggiore in fiore”, «con premiazione
delle vetrine dei negozi ornate dalle migliori composizioni floreali», la “Festa
della Quercia”, la “Sagra del pesce”, organizzata da quattro società sportive, e
la “Festa della civiltà contadina”, durante la quale venivano preparati, mangiati
e premiati i piatti della tradizione enogastronomica locale159. La Consulta comunale intendeva tuttavia rispondere ad una domanda che si era fatta sempre più
“evoluta”, di pari passo con l’allargamento dell’istruzione, ma che non trovava
ancora le giuste risposte sul territorio. Inoltre, l’organismo comunale si prefiggeva di «sollecitare le potenzialità esistenti, farle esprimere, farle crescere», suscitando «un fermento culturale» che fosse in grado di proporre «confronti, contributi ampi» e un «dialogo diffuso», capace di fare emergere ed esprimere «culture
ed ideologie diverse, presupposto fondamentale in una società democratica e
pluralista». La cultura, in questo senso, era intesa a tutto tondo, perché anche
157
Gorgolini, I consumi, cit., p. 247.
Ascm, Delibere del Consiglio, anno 1985, seduta del 1° marzo, delibera n. 41, Bilancio di
previsione per l’esercizio 1985, p. 36.
158
159
Cremonini, Castel Maggiore, cit., p. 405.
Fabio Montella, Associazionismo, cultura, consumi, stili di vita e tempo libero
87
«esaminare e conoscere […] le nuove povertà, le angosce, le violenze piccole e
grandi, il fenomeno droga» era considerata «una operazione culturale oltreché
politica e sociale». Era una chiamata forte alla responsabilità, che fotografava, in
controluce, una tendenza invece al “disimpegno” che si stava manifestando con
forza a partire da quegli anni, non solo a Castel Maggiore. Nella relazione della
Consulta del 1984 si legge che il cittadino impegnato in politica o nel sociale
spesso individuava, proponeva, «ma purtroppo per le “cento cose da fare”» non
partecipava alle iniziative, altri consideravano il “fare cultura” come «un bisogno
ed una necessità» non necessari e dunque giudicavano «superflui spese ed impegno in questa direzione»160. Non erano problemi specifici di Castel Maggiore,
ma qui, se non altro, li si affrontava di fronte al Consiglio comunale e si tentavano soluzioni. La Consulta proponeva ad esempio la promozione di concerti,
l’organizzazione e la qualificazione delle piccole band musicali che erano sorte
sul territorio, l’appoggio all’attivo gruppo di pittori che si era sviluppato intorno
al concorso nazionale, il sostegno all’attività dei fotografi de “La Focale” e la
proiezione di film. Particolari aspettative erano riposte nel progetto del centro
culturale che stava sorgendo in via Bondanello, nel quale avrebbe trovato posto
anche la nuova sede della biblioteca, nella speranza che il servizio si sarebbe
ulteriormente qualificato.
La biblioteca non è più Cenerentola
Un’indagine del 1983 aveva evidenziato il ritardo del Comune in questo ambito.
La biblioteca di Castel Maggiore possedeva 6.382 volumi, ovvero mezzo libro per
abitante, quando la media pro capite raggiungeva 1,4 volumi a Castello d’Argile,
0,9 a San Pietro in Casale e 0,7 a Galliera, Malalbergo e Bentivoglio. Dietro vi erano solo i Comuni di Argelato (0,3) e Minerbio (0,2). Davvero poco, ma addirittura
sconfortante se paragonato agli standard internazionali in materie di biblioteche, che già negli anni Sessanta fissavano in oltre due volumi pro capite il livello
ideale per comuni delle dimensioni di Castel Maggiore, che vent’anni dopo non
arrivava a un quarto di quell’obiettivo.
Prima del trasferimento nella nuova sede, la biblioteca era considerato uno
degli anelli deboli del “Consorzio provinciale per il servizio della pubblica lettu-
Ascm, Delibere del Consiglio, anno 1984, seduta del 15 maggio, delibera n. 82, allegato,
Programma 1984 della Consulta culturale.
160
88
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
ra e del prestito librario”, che rappresentò peraltro una delle più interessanti realizzazioni in ambito culturale della Provincia di Bologna. Il Consorzio, che aveva
avviato la propria attività il 1° aprile del 1959 con l’obiettivo di diffondere la
lettura in tutti i comuni privi di una biblioteca propria o ad integrazione di quelle
esistenti, consentì la realizzazione di 25 biblioteche e di un’intensa attività di
coordinamento e promozione culturale161.
Prima dell’adesione al Consorzio, avvenuta nel 1974, esisteva a Castel Maggiore un servizio di prestito di libri saltuario gestito da una dipendente comunale, Edera Parenti, che si occupava, al di fuori dell’orario di lavoro, della «distribuzione, ritiro e vigilanza [dei volumi] della biblioteca comunale circolare»162.
La decisione di trasferire la biblioteca in locali più consoni fu presa quando
il Consorzio provinciale di lettura, anche per effetto dell’entrata in vigore della
legge regionale che dettava norme in materia di biblioteche ed archivi storici163,
stava concludendo la propria esperienza164.
Trasferita nella nuova sede e alla luce delle nuove disposizioni, nel 1987 la biblioteca comunale di Castel Maggiore si trovò nell’esigenza di procedere ad un
complessivo riordino, sia amministrativo che fisico. Il lavoro di inventariazione,
catalogazione e ricollocazione effettuato in quell’occasione registrò un patrimonio giudicato non particolarmente rilevante, formato da 6.120 volumi (addirittura meno di quelli censiti quattro anni prima). Vennero dunque acquistate
opere di importanti collane editoriali (la Letteratura italiana “Laterza” e la Storia
d’Italia “Einaudi”, ad esempio), furono comprati classici della letteratura e best
seller capaci di avere «notevole richiamo su certe fasce d’utenza» e venne istituita una sezione di videocassette, per la scuola ma anche per le famiglie, nelle
quali si stavano diffondendo i videoregistratori. L’amministrazione aderì inoltre
al progetto di automazione delle biblioteche provinciali, aumentò a 29 le ore di
apertura settimanale ed incentivò iniziative rivolte ai più giovani, come la mostra
di libri per ragazzi “Il lettore infinito”, visitata da tutte le classi delle scuole medie
e da molte delle elementari e delle materne, costituendo per tantissimi ragazzi
il primo contatto con la biblioteca e la lettura. Grazie a questi interventi, in breve
tempo aumentarono sia il numero degli utenti che quello dei volumi prestati165.
161
Cfr. Maria Letizia Bongiovanni, Gilberta Franzoni, Giordano Vignali (a cura di), Il Consorzio provinciale di pubblica lettura di Bologna, Bologna, Provincia, 2009.
162
Ascm, Delibere di Consiglio comunale, anno 1958, seduta del 16 dicembre, delibera n. 291.
Legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 42 del 27 dicembre 1983 “Norme in materia di biblioteche e archivi storici di enti locali o di interesse locale”.
163
164
L’attività del Consorzio terminò ufficialmente nel dicembre 1986.
Ascm, b. 27 “1984-1992 Biblioteca”, Comune di Castel Maggiore-Biblioteca pubblica, Relazione
sul lavoro svolto dalla Biblioteca nel periodo giugno 1987-aprile 1988, 21 aprile 1988.
165
Fabio Montella, Associazionismo, cultura, consumi, stili di vita e tempo libero
89
La biblioteca è diventata anche un valido supporto per l’offerta educativa, che a
Castel Maggiore poteva contare, in quegli anni, su numerose strutture: un asilo
nido, due scuole materne comunali, due statali e tre parrocchiali, l’ente morale
asilo “Zarri”, una direzione didattica con quattro plessi scolastici distribuiti su
tutto il territorio, una scuola media, un liceo scientifico, uno linguistico ed un
istituto tecnico commerciale con corsi per periti aziendali166.
Negli anni più recenti la biblioteca ha conosciuto un’ulteriore fase di crescita.
Tra il 1994 e il 1998 le presenze sono passate da 10.091 a 15.859 e i prestiti da 7.607
a 13.437. Nel 1999 la postazione multimediale si è confermata tra i servizi più qualificati del servizio, con 194 «navigazioni in Internet»167. Nel 2004 la biblioteca, il
cui patrimonio aveva raggiunto i 22 mila volumi, è stata oggetto di una completa
riorganizzazione, con «l’allestimento dei nuovi arredi, la ricollocazione dei libri a
scaffale aperto, la diversa suddivisione degli spazi e l’esame del patrimonio attraverso un attento processo di aggiornamento e verifica del posseduto»168.
Giovani e stranieri: le sfide degli anni Novanta
Negli anni Novanta l’offerta culturale ha cercato di rimanere al passo dei gusti
e delle esigenze di un’utenza prevalentemente locale che aveva modificato i
propri gusti ed elevato le proprie aspettative, ma che trovava facilmente, a pochi
chilometri di distanza, ciò che poteva soddisfarla. Nel settore dello spettacolo
l’attrattività di Bologna – da sempre un tratto caratteristico del rapporto dei Comuni della cintura con il capoluogo – appariva infatti troppo forte per tentare
altre strade, che avrebbero richiesto risorse fuori portata. «Il problema di Castel
Maggiore – ribadiva la relazione della Giunta al Bilancio 1985 – è rappresentato dalla difficoltà di affermare una specifica domanda culturale in loco, data la
presenza della città e l’influenza che essa determina sul piano della qualità e
dell’organizzazione»169. Ecco allora che la soluzione fu trovata, ancora una vol-
166
Cremonini, Castel Maggiore, cit., p. 405.
Ascm, Delibere di Consiglio, anno 2000 (1-31), seduta del 28 giugno, delibera n. 32. Comune di
Castel Maggiore, Relazione della Giunta al conto consuntivo per l’esercizio finanziario 1999, p. 44.
167
168
Ascm, Delibere di Consiglio, anno 2005 (30-34), seduta del 29 giugno, delibera n. 30, Comune di
Castel Maggiore, Rendiconto della gestione anno 2004, p. 47.
Ascm, Delibere di Consiglio comunale, anno 1985, seduta del 1 marzo, delibera n. 41, Comune di
Castel Maggiore, Bilancio di previsione per l’esercizio 1985, p. 43.
169
90
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
ta, nel coinvolgimento e sostegno dell’associazionismo locale ed anche nella
valorizzazione delle esperienze di singoli individui. Scorrendo ad esempio il programma culturale approvato in Consiglio comunale nel 1990 troviamo l’organizzazione della prima mostra mercato del libro nei locali della biblioteca, un ciclo
di teatro di figura (burattini, marionette ed ombre), una proiezione di diapositive
di spedizioni di Marco Clerici, un ciclo di conferenze su «adozione, affidamento
volontario e servizio civile», la seconda rassegna organistica intercomunale, una
mostra di foto di viaggio dei coniugi Mattei, la seconda rassegna di poesie dialettali, visite guidate al Museo civico e al Museo medievale di Bologna, un corso, una mostra e proiezioni di antiche fotografie a cura del gruppo “La Focale”,
un corso di ecologia domestica ed uno di educazione alimentare, realizzati in
collaborazione con Coop Emilia-Veneto, la mostra di libri per ragazzi, la seconda collettiva di pittori locali, la quarta edizione del ciclo di concerti di musica
classica ed antica, una serata di proiezioni di immagini relative alla spedizione
di don Bergamaschi in Paesi asiatici. Si trattava di un programma interessante,
variegato, sicuramente dispendioso (a fronte di un incasso ipotetico di 1,5 milioni
di lire il Comune si impegnava ad investirne 17,5), ma pur sempre di richiamo
poco più che locale170. Faceva in parte eccezione, per il suo respiro nazionale,
l’organizzazione del concorso nazionale di pittura “Comune di Castel Maggiore”,
che nel 1991 festeggiò i dieci anni con l’allestimento di un’edizione speciale ad
invito, alla quale parteciparono molti artisti.
Interessante, nel 1991, fu anche l’organizzazione di una serie di incontri «sulla
condizione degli extracomunitari»171, segno di nuove sfide che si stavano aprendo e che il Comune intendeva affrontare con apertura, curiosità e spirito costruttivo. Lo stesso atteggiamento venne rivolto alla popolazione giovanile, un
segmento cui l’amministrazione comunale aveva da tempo destinato risorse ma
che ammetteva di non conoscere a fondo. Tra i mesi di maggio e luglio del 1992
fu realizzata un’indagine conoscitiva su un campione di 250 giovani tra i 12 e i
24 anni, aprendo «un canale di comunicazione forse mai esistito» tra l’ente ed il
segmento di cittadinanza probabilmente più distante dall’istituzione. Non che il
Comune, prima di allora, avesse trascurato la popolazione giovanile o non avesse promosso azioni nei suoi confronti, ma si trattava ora di affrontare in modo organico la questione, anche riorganizzando il lavoro dei vari assessorati (pubblica
istruzione, sport, cultura e ambiente), al fine di realizzare politiche pubbliche
coerenti e appositamente studiate per un soggetto assai “fluido”, «un universo
variegato ed eterogeneo, con diversi interessi», ambizioni «e personalità», comesi sottolineava nel resoconto finale dell’indagine.
170
Ascm, Delibere di Consiglio comunale, anno 1990, seduta del 30 gennaio, delibera n. 14.
171
Ascm, Delibere di Consiglio comunale, anno 1991, seduta del 26 marzo, delibera n. 23.
Fabio Montella, Associazionismo, cultura, consumi, stili di vita e tempo libero
91
La ricerca, finalizzata ad attivare un coordinamento delle politiche giovanili,
evidenziò innanzitutto un aumento del tasso di scolarità, in linea con il dato nazionale, ma ancora inferiore rispetto a quello ritenuto «ottimale». L’istruzione,
per i giovani interessati, non era considerata «un mezzo per ritardare l’ingresso nel mondo del lavoro», ma «un investimento per il proprio futuro»; tuttavia,
si rilevava un «abbandono precoce del sistema scolastico dopo l’assolvimento
della scuola dell’obbligo», nel 15% del campione (un fenomeno che colpiva in
modo particolare i ragazzi provenienti da famiglie meno agiate) ed un eccessivo
ricorso alle ripetizioni private, che risultavano molto onerose per le famiglie. Per
risolvere il primo problema il Comune aveva avviato dall’anno scolastico 199091 programmi di orientamento sia alle medie che nelle classi quinte superiori;
per rispondere al secondo, l’ente aveva promosso «incontri sulla letteratura italiana» rivolti ai maturandi.
A chiaroscuri era anche la “fotografia” che emergeva dalle domande sull’impiego del tempo libero. Se da un lato, infatti, l’84% dei giovani dichiarava di essere «totalmente o parzialmente soddisfatto» di come trascorreva il proprio tempo
libero, dall’altro la ricerca evidenziava che si trattava per lo più di «attività “leggere”, poco impegnative», come lo stare con amici, in luoghi “neutri” dello spazio
urbano (angoli di strada, giardini, bar, pizzerie, sale da gioco), ascoltare musica,
girare in auto o in moto, rifuggendo «i luoghi istituzionali». Ogni ragazzo aveva
in media 3,5 ore libere al giorno ed il 55% del campione dichiarava di uscire tutte
le sere o almeno due-tre volte la settimana. Ma era un tempo libero di «bassa
qualità», perché, stando alle risposte, mancavano altre opportunità per i ragazzi,
i quali chiedevano al Comune il potenziamento dei «centri culturali», degli «spazi verdi» e degli «impianti sportivi», in particolare la piscina.
Guardando nel dettaglio alcune attività e prodotti del tempo libero, l’indagine rilevava come le letture erano orientate soprattutto ai quotidiani di informazione (31%), ai fumetti (19%) e ai giornali sportivi (15%); solo il 18% dei ragazzi
intervistati si sottraeva del tutto o quasi al rito televisivo quotidiano, mentre il
66% guardava la tv da 1 a 3 ore al giorno (soprattutto film, telegiornali e trasmissioni sportive) ed il 16% per più di 3 ore; il 36% del campione si asteneva o quasi
dall’ascoltare la radio, il 40% l’ascoltava da 1 a 3 ore al giorno e il 24% per più
di 3 ore; infine, poco meno della metà degli intervistati (soprattutto i maschi più
giovani provenienti dai ceti agiati) dichiaravano di aver praticato uno sport in
modo continuativo negli ultimi 12 mesi, il 76% di aver trascorso una vacanza in
Italia ed il 32% all’estero.
Più in generale emergeva anche a Castel Maggiore l’ormai sempre più stretta correlazione tra tempo libero, inteso come divertimento prima ancora che
come socialità, e desiderio di consumo. Per dirla altrimenti, la garanzia di avere
disponibilità economiche era anche la precondizione necessaria per far sentire i
giovani «molto soddisfatti» del loro tempo libero, un pensiero che era stato assai
92
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
meno pressante nei loro genitori, divenuti adulti negli anni della contestazione.
A preoccupare i promotori dell’indagine erano poi le domande che evidenziavano «un alto potenziale di trasgressione, in modo particolare rispetto all’area
della moralità pubblica e della violenza», che il Comune si prefiggeva di affrontare con «interventi mirati» di educazione alla legalità. Altro settore “caldo” di
intervento era quello dell’immigrazione, che ci si prefiggeva di affrontare con
iniziative per la promozione di una cultura della solidarietà e della società multietnica; un compito che non appariva impossibile, almeno stando alle risposte
dei ragazzi intervistati, i quali in maggioranza non erano disturbati dalla presenza di «tanti immigrati», non avrebbero voluto che «tornassero a casa loro» e
addirittura erano in disaccordo con quanti affermavano che non era «giusto» che
gli stranieri portassero via il posto ai disoccupati italiani172.
Sul tema della partecipazione attiva si segnala anche la nascita della pro
loco, il 24 aprile 1995. L’ente fu costituito come «strumento di promozione delle
attività commerciali, culturali, ricreative, sportive e sociali di base», attraverso la
ricerca di «ogni possibile forma di accordo e cooperazione con le altre associazioni locali e gli assessorati comunali»173. Il 28 novembre successivo il Consiglio
comunale ne approvò atto costitutivo e statuto. Sotto la guida del presidente
Giorgio Poli, la pro loco organizzò diverse manifestazioni, come la Festa della
Raviola a Trebbo di Reno, la Festa della Quercia di San Pierino in località Castello, Maggiolando e la Fiera di luglio, ma dopo qualche anno il modello, che si reggeva sul lavoro volontario di una decina di persone, entrò in crisi, soprattutto per
la difficoltà dell’Associazione di raggiungere l’autonomia finanziaria. Il 15 aprile
2004 la pro loco è rinata, sulle ceneri di quella prima esperienza, adeguando il
proprio statuto ma rimanendo fedele agli obiettivi originari.
Da luglio 2014 il Servizio promozione culturale del Comune è stato trasferito
all’Unione intercomunale Reno Galliera: ad esso fanno capo le attività culturali promosse dall’Assessorato alla Cultura, dalla Consulta culturale e da progetti sovracomunali come “Orizzonti di Pianura” e il “Distretto culturale Pianura Est”. Le iniziative promosse in collaborazione con le realtà associative del territorio continuano
a coinvolgere migliaia di persone. Nel programma culturale del 2016, ad esempio,
si segnalano molteplici occasioni di incontro e intrattenimento, momenti di divertimento e crescita per i bambini, iniziative di confronto, riflessione e impegno civico,
oltre ad appuntamenti dedicati all’arte in ogni sua forma espressiva, iniziative di
promozione e valorizzazione del territorio, con particolare attenzione alla sostenibilità ambientale, e di progetti realizzati in collaborazione con le scuole.
Ascm, b. “Piano giovani-storico”, Comune di Castel Maggiore, Indagine sulla condizione giovanile-rapporto di ricerca, maggio 1993.
172
173
Ascm, Delibere di Consiglio, anno 1995, seduta del 28 novembre, delibera n. 133.
Fabio Montella, Associazionismo, cultura, consumi, stili di vita e tempo libero
93
Due favole per concludere
Abbiamo raccontato di come lo sport, sostenuto dall’Amministrazione comunale
e dal lavoro e dalla passione di centinaia di volontari, sia riuscito dopo la seconda
guerra mondiale a riorganizzarsi, strutturarsi e crescere, coinvolgendo migliaia
di ragazzi fino ad oggi. Chiave di volta della promozione e diffusione dello sport,
a Castel Maggiore, è stato il coinvolgimento delle associazioni nella gestione
degli impianti, nell’organizzazione di iniziative, nella promozione dell’attività
all’interno delle scuole. Il Comune, d’altra parte, ha sostenuto la pratica sportiva
con investimenti sulle strutture, contributi alle società e, di recente, anche con
progetti su alimentazione, benessere e corretti stili di vita.
Ma lo sport si caratterizza anche per le grandi imprese, capaci di lasciare
segni indelebili e di passare alla storia come favole che si realizzano. Su due di
queste ci soffermeremo in conclusione.
La prima è quella del Progresso Castel Maggiore, società fondata all’inizio degli anni Novanta dal carismatico presidente Flavio Tudini e dal direttore generale
Marco Santucci, che con cinque promozioni in appena sette stagioni, passò dalla
serie D alla A2. Il primo anno nel basket professionistico (2000-2001) coincise con
l’ultimo posto in classifica, ma la società rimase in categoria per una circostanza
fortunata: il campionato a sole dieci squadre prevedeva quell’anno le retrocessioni bloccate. I match casalinghi si tennero dapprima a Imola e Modena poi al
Paladozza di Bologna. Come spiegava il vicepresidente Pier Paolo Zamboni, la società era formata da collaboratori e amici che svolgevano altri lavori e non erano
dirigenti professionisti. «Un gruppo affiatato e pieno di passione» in una società il
cui motto rimase sempre poca spesa e molta resa». L’anno seguente il Progresso si
piazzò 12° su 14 squadre, conquistando di fatto l’ultimo posto utile per la salvezza. Nella stagione 2002-2003 il club, trascinato in campo dagli americani Damon
Williams, Donzell Rush e Gerrod Abram, riuscì a qualificarsi ai play-off grazie al
settimo posto e ad arrivare fino alle semifinali, dove venne battuto da Messina.
Ci fu quindi un anno di transizione, quando il patron Tudini vendette la proprietà
all’imprenditore Claudio Sabatini, che la acquisì con l’intento di far rinascere la
Virtus Bologna, che nel frattempo era stata esclusa dalla serie A. La sede di gioco
venne spostata al Pala Malaguti e sulle canottiere comparve il marchio FuturVirtus. L’obiettivo promozione fallì ai play-off contro Jesi e al termine del campionato
il Progresso Castel Maggiore lasciò definitivamente spazio al nuovo corso della
Virtus Pallacanestro Bologna. Si chiudeva così la parabola di quella che l’Unità,
ancora nell’agosto del 2003, definiva «il Chievo dei canestri»174.
174
Andrea Bonzi, Il «Chievo dei canestri» abita a Castel Maggiore, in “l’Unità”, 19 agosto 2003.
94
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
La seconda favola sportiva, la più bella, è quella di Alex Zanardi, campione
di automobilismo e paraciclismo, oltre che conduttore televisivo, capace di reagire con determinazione al gravissimo incidente su un circuito tedesco del 15
settembre 2001, che gli costò l’amputazione di entrambi gli arti inferiori. Zanardi
è nato a Bologna il 23 ottobre 1966, in una famiglia «con pochi soldi» ma con «la
voglia di una sistemazione, una casa tranquilla e accogliente per far crescere i
figli»175. Insieme ai genitori e alla sorella Cristina (che morì nel 1979 in un incidente stradale, a soli 15 anni) si trasferì a quattro anni non ancora compiuti a
Castel Maggiore. È qui che maturò in lui la passione per i motori, coi primi kart.
È da qui che è partito per diventare un’icona popolare a livello internazionale
del coraggio e del riscatto contro le avversità attraverso lo sport. Ed è infine qui
che è tornato, il 17 giugno 2013 a ritirare l’Ape d’Oro, onorificenza civica istituita
dal Consiglio comunale per rendere sempre più forte lo spirito della comunità,
segnalando donne e uomini che, con opere concrete, abbiano in qualsiasi modo
giovato a Castel Maggiore.
Alex Zanardi, Gianluca Gasparini, …però, Zanardi da Castel Maggiore!, Milano, Baldini Castoldi
Dalai, 2003, p. 11.
175
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Istituzioni locali, economia e società
A cura di Carlo De Maria e Tito Menzani
Bologna (BraDypUS) 2016
ISBN 978-88-98392-33-9
p. 95-114
I caratteri demografici e sociali
della “Grande trasformazione”
LUCA GORGOLINI
Nel corso degli ultimi 150 anni, l’Italia ha conosciuto cambiamenti sociali che
normalmente vengono associati al processo di industrializzazione, alla crescita
economica e al conseguente aumento diffuso, non necessariamente generalizzato, del benessere materiale: in breve, allo sviluppo economico e alla modernizzazione.
Come è noto, i parametri demografici hanno «la capacità di penetrare tra
le pieghe più riposte di una società e di metterne in evidenza le trasformazioni
profonde indotte dall’evoluzione economica e sociale, tanto nel breve come nel
medio e lungo periodo. Il nascere, il morire, il formarsi e il dissolversi di un aggregato familiare, il distribuirsi della popolazione sul territorio, la forma degli
insediamenti in cui essa vive, la sua mobilità su spazi modesti o dilatati, costituiscono da sempre aspetti fondamentali della condizione umana, dell’assetto
complessivo di una società, del suo mutamento culturale ed economico»1.
Muovendo dall’analisi di alcuni parametri demografici – quali la curva della
popolazione residente, la sua struttura, i movimenti migratori, la dimensione e
la struttura degli aggregati domestici – e di alcune variabili di altro tipo – quali i
livelli di istruzione e la condizione abitativa – il testo intende offrire una lettura
delle modificazioni strutturali che hanno investito i caratteri sociali, culturali e
materiali della vita quotidiana di Castel Maggiore nel Novecento, con particolare riferimento ai decenni che seguono la fase di transizione economica che si è
compiuta nel secondo dopoguerra, negli anni della “Grande trasformazione”, e
1
Ercole Sori, Luca Gorgolini, Evoluzione demografica, sviluppo economico e mutamento sociale,
in Angelo Varni (a cura di), La Provincia di Pesaro e Urbino nel Novecento. Caratteri, trasformazioni,
identità, Venezia, Marsilio, 2003, tomo I, p. 3.
96
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
che ha trasformato la struttura economico produttiva di questa comunità locale,
facendole conoscere livelli di benessere e di miglioramento delle condizioni di
vita materiale assolutamente inediti.
La popolazione
La curva generale della popolazione relativa ai 150 anni successivi all’Unificazione nazionale mostra che la popolazione locale conosce fino al 1931 una crescita costante, con i picchi più significativi tra il 1911-1921 e 1921-1931 (rispettivamente +10,6 e +18,1 per cento) (tabella n. 1 figura n. 1). Nel complesso, tra il
1861 e il 1931 il numero dei cittadini passa da 4.123 a 7.163, con un aumento del
73% circa. Una performance positiva, superiore a quella che si registra su scala
provinciale: la popolazione della provincia bolognese passa infatti da 415.215 a
714.705, segnando un incremento percentuale del 72%.
Tra il 1931 e il 1936 la popolazione residente di Castel Maggiore conosce
un’importante contrazione: -1.066 abitanti. Una riduzione che, almeno in parte,
va messa in relazione con la pesante crisi attraversata dal maggiore presidio
manifatturiero locale, le industrie meccaniche Barbieri: «La depressione fece
calare i consumi interni e alzare ulteriori barriere per il commercio: le imprese
industriali che contavano su una quota di commesse dall’estero, come la Barbieri ne subirono tutte le conseguenze»2. A seguire, negli anni del dopoguerra, la
crescita della popolazione comunale riprende a salire, ma facendo segnare tassi
di crescita più contenuti che non consentono di recuperare gli abitanti “perduti”
dopo il 1931. Si tratta comunque di un trend positivo in controtendenza rispetto
a quello di buona parte degli altri centri gravitanti attorno al capoluogo provinciale e regionale. Questi fanno registrare una perdita di popolazione decisa, in
conseguenza di un vero e proprio esodo di migliaia di individui che decidono di
lasciare le campagne per cercare occupazione in altri settori produttivi, attivi
principalmente a Bologna. Tra il 1951 e il 1961, la popolazione di Bologna fa
segnare un balzo del 30% (da 340.526 a 444.872 abitanti) trascinando verso l’alto
il numero di residenti dell’intera provincia bolognese (+10,2%). La crescita della
popolazione di Castel Maggiore negli anni della ricostruzione che anticipano il
miracolo economico va messa in relazione con il sistema economico produttivo
Domenico Bruno, Enrico Cavalieri, Luca Pastore, La pianura e il conflitto. Fascismo, Resistenza e
ricostruzione a Castel Maggiore 1919-1946, Venezia, Marsilio, 2010, p. 111.
2
Luca Gorgolini, I caratteri demografici e sociali della “Grande trasformazione”
97
locale che presenta alcune significative realtà manifatturiere3.
Proseguendo con l’osservazione dei dati riguardanti la popolazione residente, dilatando la scala temporale di analisi fino al censimento del 2011, si osserva
che, completata la trasformazione della sua struttura economica, il comune di
Castel Maggiore fa registrare nel periodo 1961-2011 una crescita demografica
particolarmente sostenuta: la popolazione residente aumenta di oltre 160 punti
percentuali, passando da 6.699 a 17.507; un’espansione assolutamente superiore
a quella registrata dalla provincia nel suo complesso, la cui popolazione residente passa da 841.474 a 976.243, facendo dunque segnare un modesto +16%.
In particolare, il flusso dei trasferimenti di residenza in entrata nel comune
di Castel Maggiore si alimenta principalmente degli ingressi di individui e famiglie provenienti dal comune di Bologna, la cui popolazione scende da 444.872
a 371.337, in conseguenza del fatto che un numero crescente di famiglie, specie
quelle di nuova formazione, decidono di trasferirsi nei centri urbani minori che
formano l’hinterland del capoluogo e che sono contraddistinti da un mercato immobiliare più dinamico e con prezzi inferiori, nonché da ambienti semipaesani
caratterizzati da minore costo della vita, da una rete di servizi destinati alla persone e alla famiglia più facilmente accessibili, da rapporti sociali generalmente più appaganti e da un più salubre habitat naturale4. Un trend che prosegue
tutt’ora come mostrano i dati relativi alla cancellazioni anagrafiche effettuate
dagli uffici del comune di Bologna nei primi sei mesi del corrente anno: - 530
cittadini, buona parte dei quali si è trasferita nei comuni della prima cintura e,
in particolare, verso Castenaso (113), San Lazzaro di Savena (91), Granarolo (44),
Castel Maggiore (40), Pianoro (38) e Casalecchio (34)5.
Se si passa ad osservare la popolazione attraverso la lente delle classi di età,
il comune di Castel Maggiore, al pari del resto del territorio provinciale, regionale e nazionale, sperimenta una delle più rilevanti alterazioni della sua composizione demografica: l’invecchiamento (tabella n. 2). Misurato con un indice
rappresentato dal rapporto tra la popolazione con più di 65 anni e quella compresa tra 0 e 14 anni, l’invecchiamento si manifesta dopo il 1936, dunque dopo
la Seconda guerra mondiale. Un punto di svolta di questo mutamento strutturale
si registra localmente tra il 1981 e il 1991, anni nei quali il numero degli anziani
sopravanza in modo deciso quello dei giovanissimi; una svolta che si concretizza
in modo posticipato rispetto a quanto avviene su scala provinciale. La comunità
di Castel Maggiore presenta dunque una maggiore resistenza rispetto al proces-
3
Tito Menzani, supra.
4
Sori, Gorgolini, Evoluzione demografica, sviluppo economico e mutamento sociale, cit., p. 53.
Fuga in provincia, se ne vanno da Bologna in 530 in sei mesi, Dire: Agenzia di stampa nazionale.
http://www.dire.it/19-07-2016/66071-fuga-provincia-ne-vanno-bologna-530-mesi/.
5
98
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
so di invecchiamento, grazie principalmente al decentramento residenziale di
cui si è detto sopra. Tendenza che dunque trova riscontro in indici di vecchiaia
costantemente inferiori a quelli mediamente registrati su base provinciale.
La distribuzione della popolazione all’interno del territorio comunale
Passando ad analizzare come si è distribuita la popolazione di Castel Maggiore
all’interno del territorio comunale, occorre fare una premessa relativa ai movimenti di popolazione che vengono osservati lungo la penisola nel corso del
secondo dopoguerra. In quegli anni la mobilità degli italiani raggiunge livelli di
intensità mai toccati precedentemente e che a ben guardare non trovano riscontro in nessun’altra area dell’Europa occidentale. Accanto ai movimenti migratori
verso l’estero, particolarmente intensi negli anni della ricostruzione, si registra
una serie impressionante di trasferimenti di residenza all’interno dei confini nazionali: dilatando gli estremi della nostra analisi all’intero periodo in cui si manifesta e prende forma la “Grande trasformazione”, si osserva che tra il 1955 e
il 1970 si contano 24 milioni e 800 mila spostamenti di individui sul territorio, di
cui 15 milioni interni al Centro-Nord, oltre 5 milioni interni al Mezzogiorno, oltre
3 milioni diretti dal Mezzogiorno al Centro-Nord, oltre un milione con direzione
contraria6. Sono cifre che parlano da sole: si trattò di una vera e propria «grande
migrazione interna»7 che produsse un «rimescolamento senza precedenti della
popolazione italiana»8 e che già allora risultò chiaramente percepibile agli osservatori più attenti: quegli spostamenti, sottolineò all’epoca Goffredo Fofi, stanno «muovendo e sconvolgendo l’assetto demografico del paese»9.
Le distanze percorse e le destinazioni scelte da coloro che lasciano la propria
comunità sono decisamente disparate. I movimenti di lungo raggio, quelli che
hanno per protagonisti soprattutto donne e uomini che dal Meridione si sposta-
Eugenio Sonnino, La popolazione italiana dall’espansione al contenimento, in Storia dell’Italia
repubblicana, vol. 4, La trasformazione dell’Italia: sviluppo e squilibri (parte seconda), Torino, Einaudi, 1995, p. 538.
6
7
Ivi, pp. 532-539.
Paul Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi. Società e politica 1943-1988, Torino, Einaudi,
1989, p. 295.
8
9
Goffredo Fofi, L’immigrazione meridionale a Torino, Milano, Feltrinelli, 1976 (I ed. 1964), p. 9.
Luca Gorgolini, I caratteri demografici e sociali della “Grande trasformazione”
99
no nell’Italia settentrionale e che tanta parte hanno avuto nella definizione di
alcuni dei caratteri salienti che nell’immaginario collettivo sono stati attribuiti
a quel passaggio così importante nella nostra storia repubblicana, sono in realtà preceduti e sopravanzati sul piano quantitativo da movimenti con traiettorie
geografiche certamente più contenute: «di tutti i trasferimenti di residenza della
seconda metà degli anni Cinquanta (1 milione e 425 000 circa ogni anno), il 60-70
per cento riguardavano spostamenti di breve distanza, tra comuni situati nella
stessa provincia»10. Il progressivo ed inarrestabile declino dell’agricoltura, non
più settore occupazionale prevalente, determina innanzitutto l’abbandono delle
campagne. Sono così milioni gli italiani che si spostano dalla frazione rurale al
centro cittadino del proprio comune di residenza, dal comune al capoluogo di
provincia, dall’entroterra alla costa: se nel 1951 un italiano su due viveva nei
nuclei abitativi sparsi, dieci anni più tardi meno di due su dieci abitavano nelle
case isolate o nelle frazioni11.
Un processo che riguarda anche la scala locale e che può essere ricostruito
prestando attenzione ai dati relativi alla popolazione residente che viveva nei
“centri” e nelle “case sparse”. Se ancora alla vigilia del secondo conflitto mondiale, la quota di popolazione sparsa del comune è nettamente maggioritaria,
la situazione muta di segno, in modo repentino, nei due decenni successivi. A
partire dal dopoguerra, si verifica infatti un forte accentramento di abitato e,
parallelamente, un’altrettanta forte riduzione della popolazione che vive nelle
case contadine disseminiate lungo tutto il territorio e nei nuclei abitati. Anche a
Castel Maggiore, come nel resto dei comuni italiani, il centro abitato principale
intercetta una parte dell’esodo agricolo (tabella n. 3): la quota di popolazione
che abita nei centri passa così dal 42% del 1951 all’87% del 1991, rimanendo di
poco inferiore alla dimensione media percentuale registrata su scala provinciale; di contro, la popolazione che vive nelle case sparse scende dal 48 a meno del
10%.
10
Franco Ramella, Le migrazioni interne. Itinerari geografici e percorsi sociali, in Storia d’Italia,
Annali 24, Migrazioni, Torino, Einaudi, 2009, p. 436.
Guido Crainz, Storia del miracolo italiano. Culture, identità, trasformazioni, fra anni cinquanta e
sessanta, Roma, Donzelli, 1996, p. 103-104.
11
100
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Gli aggregati domestici
La forza periodizzante del secondo dopoguerra come momento di transizione
segnato da profondi mutamenti economici, sociali e culturali emerge chiaramente anche dall’osservazione dei dati relativi alla forma e alla dimensione delle famiglie (tabella n. 4). Il declino del mondo contadino, la redistribuzione della
popolazione a vantaggio dei centri urbani più grandi e maggiormente industrializzati, condiziona e modifica profondamente anche la struttura degli aggregati
domestici. Schematicamente, possiamo affermare che ha inizio il declino delle
famiglie composte da più unità coniugali, aumenta l’incidenza delle famiglie nucleari e si diffonde sempre più la tendenza dei neosposi a privilegiare la residenza neolocale.
A mettere in crisi il modello di famiglia allargata, tipica di un’area rurale dominata dal prevalere dell’istituto mezzadrile, caratterizzata al suo interno da
rapporti fortemente gerarchici che investono il dialogo tra le generazioni e tra
i generi, sono soprattutto i nuovi modelli comportamentali delle giovani generazioni. Nel secondo dopoguerra, infatti, sono i più giovani i primi e maggiori
interpreti del processo di modernizzazione del paese che mette in seria crisi i
modelli comportamentali e i sistemi valoriali che dominano una società contadina ormai irrimediabilmente in declino. La fuga dalle campagne è dettata dalla
volontà di lasciarsi alle spalle una prospettiva di vita caratterizzata molto spesso
dalla miseria, ma anche dal rifiuto di un sistema relazionale tra le generazioni e i
generi che appare, agli occhi delle ragazze e dei ragazzi italiani dell’epoca, non
più sopportabile. In particolare, per chi vive all’interno di una famiglia legata
alla terra per mezzo di un patto mezzadrile, le scelte personali oltre che essere
soggette al volere del capofamiglia, sono vincolate anche alle decisioni assunte
dal proprietario del fondo su cui la famiglia abita e lavora.
Nel medio e lungo periodo successivo al secondo dopoguerra, intervengono
numerosi fattori di trasformazione della famiglia tradizionale: dalla rivoluzione
sessuale (che mette in crisi la morale comune secondo la quale i rapporti sessuali, seppur con il correttivo tollerato della prostituzione, potevano svolgersi esclusivamente tra coniugi, cioè né prima né al di fuori del matrimonio) alla durata
del matrimonio (con l’introduzione del divorzio che ha evidentemente ridotto la
durata media delle unioni coniugali), dal significato economico della discendenza (all’interno di una società urbana industriale la prole numerosa non costituisce più un investimento di tipo previdenziale finalizzato a garantire una vecchiaia dignitosa ai due genitori, bensì un costo che grava sui bilanci familiari nell’età
adulta dei genitori) alla liberazione della donna (con il crescente accesso della
donna che funge da deciso disincentivo alla procreazione). Questi e altri fattori
hanno determinato alcune novità che hanno modificato in modo significativo le
Luca Gorgolini, I caratteri demografici e sociali della “Grande trasformazione”
101
caratteristiche della famiglia italiana: dopo gli anni Sessanta, si è assistito ad una
decisa contrazione del numero dei matrimoni, a cui ha fatto da contraltare un
aumento del numero delle libere unioni; mentre la legge sull’adozione speciale
(1967) e quella sulla cessazione dello status giuridico di illegittimo o abbandonato (1975) hanno cambiato i termini legali della procreazione al di fuori dell’unione matrimoniale, innescando un mutamento culturale in questa materia12.
Il processo di modernizzazione accelerata che si verifica negli anni Cinquanta
e Sessanta che investe la comunità di Castel Maggiore sia in termini di struttura
economico-produttiva, sia in termini di comportamenti sociali, determina una
crisi dei due elementi caratterizzanti dell’aggregato domestico mezzadrile, ossia la sua dimensione larga e la sua struttura complessa. Osservando i dati contenuti nella tabella n. 4 e relativi ai decenni della seconda metà del secolo scorso,
possiamo rilevare che il numero medio dei componenti la famiglia nel comune
di Castel Maggiore, che nel 1951 è sensibilmente superiore alla media provinciale (4,2 contro 3,7), conosce una progressiva contrazione che lo porta nel 2001
ad essere in linea con i valori provinciali (2,4 contro 2,3). Una evoluzione dettata
dalle ragioni sopra ricordate e che trova riscontro anche nel forte incremento
del numero delle famiglie censite nel comune di Castel Maggiore nella seconda metà del secolo scorso: da 1.449, quante erano nel 1951, le famiglie locali
sono aumentate in modo esponenziale fino a toccare quota 6.674 nel 2001. Così,
mentre la popolazione residente a Castel Maggiore è cresciuta, sempre con riferimento all’arco temporale 1951-2001, del 184% circa, il numero delle famiglie
ha fatto registrare un balzo del 360%13.
Più dettagliatamente, la distribuzione delle famiglie per numero di componenti tra il 1971 e il 2001 mette in evidenza l’alterazione che la struttura della
famiglia presenta a partire dalla conclusione della “Grande trasformazione”. Su
scala locale, l’incidenza percentuale delle grandi famiglie (5 o 6 e più membri)
sul totale degli aggregati domestici, che nel 1971 è ancora al 17% circa e superiore alla quota provinciale (pari a circa il 13%), si riduce fortemente, mentre si
afferma ulteriormente la piccola famiglia coniugale (2 e 3 membri) che passa dal
52,9 del 1971 al 58,2 del 2001. Più netto risulta il trend ascendente dei “solitari”
(1 membro), in forte crescita a partire soprattutto dalla fine degli anni Ottanta.
Una tendenza da associare sia a fenomeni di mutamento socio-culturale (single
maturi più che persone molto giovani e precocemente distaccate dalla famiglia,
che non è fenomeno diffuso in Italia, ove sembrano prevalere un familismo gio-
12
Ercole Sori, Demografia e movimenti di popolazione, in Massimo Firpo, Nicola Tranfaglia, Pier
Giorgio Zunino (a cura di), Guida all’Italia contemporanea, vol. IV, Comportamenti sociali e cultura,
Milano, Garzanti, 1998, pp. 17-20.
13
Istat, Censimenti generali della popolazione e delle abitazioni, anni vari.
102
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
vanile «opportunistico» e qualche «sindrome di Peter Pan»), sia a trasformazioni
di tipo demografico sociale (aumento di anziani, soprattutto donne vedove, non
conviventi con i figli)14.
Istruzione
Ancora a metà Novecento, l’Italia mostrava il profilo di un paese scolasticamente sottosviluppato, al cui interno la diffusione della lingua nazionale era ancora
fortemente ostacolata dal predominio dei diversi idiomi regionali, tra loro chiaramente eterogenei. L’Italia repubblicana riceveva in eredità una popolazione in
cui quasi il 60% di adulti era priva di licenza elementare e il 13% era analfabeta.
Il censimento del 1951 presentava una situazione in cui solamente il 30,6% degli italiani con più di sei anni aveva ottenuto la licenza elementare e soltanto
il 10,2% era andato oltre questo livello di scolarizzazione: un esiguo 6% circa
aveva ottenuto una licenza media inferiore (dopo tre anni di ginnasio o di scuola
d’avviamento al lavoro), il 3,3% aveva raggiunto un diploma mediosuperiore e
l’1% una laurea. A partire da questi dati si ha che l’indice medio complessivo di
scolarità era di tre anni e l’indice medio per gli ultra quindicenni era di 4,22; gli
altri paesi europei presentavano indici complessivi sensibilmente superiori: 4,32
la Francia, 4,95 la Germania, 5,90 il Regno Unito, 6,26 l’Olanda, 6,76 la Svezia,
7,35 la Svizzera, 7,51 l’Irlanda e la Norvegia, 8,13 la Cecoslovacchia15. Fattori quali il servizio militare, i movimenti migratori, l’esperienza nelle trincee della Prima
guerra mondiale e al fronte nel secondo conflitto mondiale, gli interventi riformatori condotti dai diversi governi che si erano succeduti nell’Italia liberale e
durante il Ventennio fascista, avevano solo in parte rafforzato la diffusione della
lingua italiana e la crescita dei livelli di scolarizzazione media. Complessivamente, nel secondo dopoguerra gli italiani presentavano una condizione linguistica
decisamente fragile e arretrata, dove peraltro permanevano forti sperequazioni
territoriali: nel 1951 la percentuale regionale di analfabeti sul totale della popolazione con più di sei anni oscillava tra l’1% del Trentino Alto Adige e il 32,8%
14
Sori, Gorgolini, Evoluzione demografica, sviluppo economico e mutamento sociale, cit., p. 38.
Quando non diversamente indicato, i dati segnalati nel paragrafo sono stati desunti dai seguenti
testi: Pier Giorgio Zunino, Stefano Musso, Scuola e istruzione, in Massimo Firpo, Nicola Tranfaglia,
Pier Giorgio Zunino (a cura di), Guida all’Italia contemporanea, vol. III, Politica e società, Milano,
Garzanti, 1998, pp. 261-262; Tullio De Mauro, Storia linguistica dell’Italia repubblicana. Dal 1946 ai
giorni nostri, Roma-Bari, Laterza, 2015, p. 24.
15
Luca Gorgolini, I caratteri demografici e sociali della “Grande trasformazione”
103
della Calabria. L’Emilia-Romagna, con un tasso di analfabetismo dell’8,2%, si collocava in una posizione di cerniera tra le Regioni del Nord e quelle del Centro.
Anche in questo caso, lo scardinamento della società contadina e il processo modernizzazione che il Paese conosce in quel frangente della propria storia
postunitaria coincidono con l’avvio di una intensa fase di mutamento culturale
che porta alla sconfitta dell’analfabetismo e all’acquisizione, da parte di fasce
sempre più ampie della popolazione, di un crescente livello di istruzione superiore e maggiormente qualificata. All’interno di settori sempre più ampi della
classe politica si diffonde la consapevolezza della necessità impellente di attuare una progressiva estensione dell’obbligo scolastico allo scopo di attuare il
dettato costituzionale relativo al diritto allo studio e allo scopo di avvicinare la
situazione italiana a quella delle altre nazioni europee impegnate proprio con
l’Italia a promuovere l’avvio di una fase di interscambio culturale e integrazione economica16. A seguire, all’inizio degli anni Sessanta, il “miracolo economico”
determinò «la diffusione di approcci funzionalisti secondo i quali l’istruzione andava considerata un investimento produttivo, in quanto la qualificazione della
manodopera costituiva un prerequisito dello sviluppo economico»17. Si arriva
così, nel 1962, alla riforma che estende l’obbligo scolastico fino ai 14 anni attraverso l’istituzione della scuola media unica, preceduta, nel 1961, dagli interventi
normativi che promuovevano una “piccola liberalizzazione” degli accessi universitari, consentendo a chi era in possesso di un diploma tecnico di accedere a
corsi di laurea ritenuti congruenti.
Prestando attenzione alla scala ridotta del territorio oggetto della nostra indagine (tabella n. 5), i dati raccolti nel primo censimento del periodo repubblicano mostrano che, pochi anni dopo la conclusione della guerra, il tasso di analfabetismo registrato a Castel Maggiore è decisamente contenuto (4,2%), di poco al
di sotto al dato medio provinciale (5,7%), ma largamente inferiore al valore medio regionale (8,2%), e soprattutto al valore medio nazionale (12,9%). Negli anni
successivi si assiste alla scomparsa degli analfabeti (i pochi che vengono censiti
sono sostanzialmente appartenenti alle generazioni più anziane), ma soprattutto si registra un miglioramento progressivo dei livelli di istruzione elementare,
media e superiore. Tra il 1951 e il 2001, la percentuale di cittadini (con più di sei
anni) di Castel Maggiore in possesso di licenza media inferiore, sale da 3,3 a 29,2,
mentre i diplomati (scuole medie superiori) e i laureati passano rispettivamente
da 1,4 a 29,0 e da 0,2 a 6,5. Dati che potremmo definire in linea con i valori medi
del resto della provincia, fatte eccezione per l’incidenza percentuale dei laureati
che su scala provinciale è chiaramente superiore (10,7).
16
Zunino, Musso, Scuola e istruzione, cit., p. 211.
17
Ibid.
104
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Condizione abitativa
L’esplosione del mercato dell’edilizia civile privata fu uno degli effetti più immediati ed evidenti determinati dai forti movimenti migratori che si attivarono
lungo la penisola negli anni della ricostruzione e nel periodo successivo all’avvio
del “miracolo economico”. Benché i dati statistici non forniscano in tal senso l’esatta dimensione quantitativa del fenomeno, a causa del forte abusivismo edilizio praticato in quel periodo e della scarsa attenzione degli stessi comuni nella
trasmissione dei dati, questi ultimi risultano comunque fortemente indicativi della tendenza di quegli anni che vede un vero e proprio boom della costruzione di
nuove abitazioni: 73.000 nel 1950, 273.000 nel 1957 e 450.000 nel 196418.
Lo sconvolgimento demografico e insediativo che si registra all’interno dell’Italia rurale nel secondo dopoguerra produce inevitabili trasformazioni anche
sul piano culturale, modificando i tradizionali parametri attraverso i quali valutare alcuni beni, tra i quali la casa. È a partire da questo momento, infatti, che
una parte rilevante della popolazione ormai non più rurale, inizia a concepire
l’abitazione come un problema autonomo. Esclusa dal processo produttivo, venuto meno il suo carattere di “fattore di produzione”, come era in particolare nel
sistema mezzadrile, la casa mantiene a partire da questo momento il solo aspetto di bene di consumo di prima necessità e molti credono che nessun sacrificio
volto ad assicurarsi una casa sia troppo grande. Le nuove case favoriscono un
netto miglioramento della condizione abitativa di una parte crescente della popolazione italiana, specie di quella che viveva in un ambiente tendenzialmente
rurale. Come si è già ricordato, tra il 1954 e il 1964, le abitazioni con elettricità,
acqua e servizi igienici passano da meno dell’8% a oltre il 30%.
Anche nella provincia bolognese, e quindi nel comune di Castel Maggiore, il
fenomeno è altrettanto dirompente, come confermano i valori presentati nella
tabella n. 6 e relativi all’incidenza percentuale delle abitazioni costruite nell’ultimo decennio sul totale della abitazioni risultate occupate nel 1971. Da questi si
evince che la metà del totale delle abitazioni del comune era stato costruito nel
periodo 1962-1971; un valore nettamente superiore al dato medio provinciale
che si attestava attorno al 33%. Nei decenni successivi, caratterizzati dalla costante crescita della popolazione residente, la produzione locale di nuove abitazioni prosegue, per così dire, senza sosta, dando forma ad un tessuto urbanistico
sempre più ampio: al momento del censimento del 2001, il 75% delle abitazioni
occupate sono stati costruiti nel periodo 1961-2001; un dato chiaramente supe-
Giorgio Rochat, Gaetano Sateriale, Lidia Spano, La casa in Italia. Alle radici del potere democristiano, Bologna, Zanichelli, 1980, p. 250 (tab. X).
18
Luca Gorgolini, I caratteri demografici e sociali della “Grande trasformazione”
105
riore al resto del territorio provinciale, al cui interno l’incidenza percentuale media delle abitazioni costruite nel periodo 1961-2001 sul totale delle abitazioni
occupate censite nel 2001 si aggira attorno al 53%.
Per quel che riguarda i servizi in dotazione nelle abitazioni (tabella n. 7), osserviamo che nel 1951 sono 3 su 10 le abitazioni che dispongono di acqua potabile tramite acquedotto (molte famiglie possono disporre di acqua potabile solo
grazie ad alcuni pozzi); solamente l’8% degli alloggi possiede un bagno e il 20%
di questi non dispone di energia elettrica. Si tratta di un quadro che, sul versante
del servizio idrico e dei servizi igienici interni all’abitazione, si mostra sensibilmente più critico rispetto al contesto qualitativo provinciale, almeno per come
questo ci viene descritto dai dati raccolti dall’Istituto nazionale di statistica, dove
mediamente oltre la metà delle abitazioni occupate dispone di acqua potabile
attraverso l’acquedotto e poco meno del 20% per cento ha un bagno al suo interno. Nel corso degli anni Cinquanta, la situazione abitativa dei cittadini del comune migliora sensibilmente, ma si mantiene decisamente al di sotto della qualità
media provinciale: oltre il 30% di abitazioni continua ad essere sprovvista di acqua potabile tramite acquedotto, mentre la battaglia contro il freddo (impianto
di riscaldamento, 25,3%) e per una migliore igiene (bagno, 42,1%) sembra ancora lontana dall’essere vinta. Dati questi che definiscono per i cittadini di Castel
Maggiore una condizione abitativa parzialmente più fragile rispetto alla condizione abitativa per cosi dire media provinciale. Solo nel corso dei due decenni
successivi, la situazione migliora progressivamente in modo netto: il censimento
del 1981 presenta un quadro in cui la quasi totalità delle abitazioni occupate
dispone della combinazione completa dei servizi sopra richiamati.
Nel periodo 1951-1991, mentre il numero delle abitazioni occupate aumenta,
del 314% circa, l’aumento degli occupanti registra un incremento pari al 143%
(rispettivamente 5.404 abitazioni occupate nel 1991 contro le 1.305 del 1951 e
14.743 occupanti nel 1991 contri i 6.068 del 1951)19. Ne deriva che il rapporto tra
il numero degli occupanti e quello delle abitazioni occupate (uno dei cosiddetti
“indicatori grezzi” che misura la qualità delle condizioni abitative), scende da 4,6
nel 1951 a 2,7 nel 1991 (tabella n. 8).
Altri due indicatori utili a valutare il miglioramento delle condizioni abitative
sono forniti dal numero delle stanze per abitazione e dal numero di occupanti
per stanza. L’aumento del primo valore – si passa da 3,9 del 1951 al 4,0 del 1991 –
benché limitato, e la decisa diminuzione del secondo – il numero degli occupanti
per stanza passa 1,2 a 0,7 – confermano in modo chiaro la tendenza a costruire
alloggi più ampi e, quindi, meglio rispondenti alle esigenze delle singole famiglie e dei loco componenti.
19
Istat, Censimenti generali della popolazione e delle abitazioni, anni vari.
106
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Il rapporto tra il numero delle famiglie e quello delle abitazioni occupate
restituisce invece la misura del fenomeno riguardante la progressiva scomparsa
della “coabitazione”: i dati del censimento 1991, con una media di una famiglia
per ciascuna abitazione, mostra che questo fenomeno è dunque scomparso in
coincidenza del venir meno del modello della famiglia contadina mezzadrile
e del mondo contadino per come quest’ultimo si era manifestato nei decenni
precedenti.
Infine, i dati contenuti nella tabella n. 9 e relativi alla distribuzione per valori assoluti e percentuali delle abitazioni in rapporto al titolo di possesso degli
occupanti, rivelano che il progressivo miglioramento della condizione abitativa
sopra rappresentato, ha visto un’ascesa del numero delle abitazioni occupate a
titolo di proprietà da parte delle famiglie che le abitavano: tra il 1951 e il 2001
gli alloggi occupati in proprietà passano dal 16% al 75%; quelli in affitto crollano
dal 63% al 18%. Confrontando il dato comunale con quello provinciale, si ha che
l’incremento relativo più elevato della proprietà dell’abitazione è lungo tutto il
periodo indicato ad appannaggio del comune oggetto della nostra analisi, benché questo fosse partito da una situazione meno vantaggiosa nel 1951. Nel 2001,
pertanto, 75 famiglie su 100 di Castel Maggiore risultano proprietarie dell’abitazione in cui vivono; 18 circa occupano l’abitazione a titolo di affitto; le restanti
6-7 occupano l’immobile ad “altro titolo”.
Immigrazione
Nel 1973, in coincidenza della crisi petrolifera del 1973 che ha ripercussioni significative nei mercati del lavoro dei paesi industriali europei, il saldo migratorio
dell’Italia si annulla e diventa poi negativo, con i rimpatri che prevalgono sugli
espatri: «dal 1973 in avanti più che emigrazione si dovrà parlare di mobilità verso l’estero, di circolazione internazionale di quote specializzate delle forze di
lavoro nazionali (ma non solo per lavoro…), cioè di un fenomeno caratteristico di
una società complessa, industrialmente avanzata, orientata a svolgere un ruolo
economico attivo nei confronti del resto dell’economia mondiale in termini di
internazionalizzazione e presenza all’estero, ma oberata ancora, in ampie parti
del paese, da diffusi fenomeni di disoccupazione»20.
In quel passaggio l’Italia cessa di essere Paese di emigrazione per trasfor-
20
Sori, Demografia e movimenti di popolazione, cit., p. 34.
Luca Gorgolini, I caratteri demografici e sociali della “Grande trasformazione”
107
marsi in una meta di immigrazione di cittadini stranieri. I 156.000 permessi di
soggiorno rilasciati nel 1971 diventano 332.000 nel 1981 e 729.000 nel 199121.
Passando al periodo successivo e facendo riferimento al dato sulle residenza,
si ha che tra il 1993 e il 1999, i cittadini stranieri residenti salgono da 573.258
a 1.116.39422. Si è trattato dunque un aumento significativo che nella realtà è
stato ancor più importante se si tiene conto del fatto che le cifre riportate sono
solo parzialmente attendibili in ragione del noto fenomeno dell’immigrazione
clandestina.
Relativamente alle ragioni che stanno alla base dell’arrivo di un numero crescente di cittadini stranieri in Italia, si può osservare che «sia fattori di domanda
(elevato livello di reddito pro capite, elevato livello di scolarizzazione, rifiuto di
alcune mansioni penose da parte di forze lavoro nazionali, necessità di settori
produttivi marginali di contenere i costi del lavoro, fabbisogno assistenziale alla
popolazione anziana ecc…), sia fattori di offerta (emigrazione «economica» dai
paesi meno sviluppati del Sud del mondo […], fuga da aree travagliate da conflitti
e da traumatiche trasformazioni del regime politico, caduta del muro di Berlino
ecc.) convergono nel determinare ampi flussi di emigrazione diretti verso i paesi
più sviluppati e industrializzati dell’Europa, Italia compresa»23.
I dati riportati nella tabella n. 10 e relativi agli anni 2005-2012, mostrano
come il numero dei cittadini stranieri residenti nel comune di Castel Maggiore
sia andato progressivamente aumentando, sia in termini assoluti, passando da
662 a 1.145 unità (con un incremento dunque del 73%), sia in termini percentuali
sul totale della popolazione residente, salendo dal 4,0 al 6,5 per cento, pur rimanendo nettamente al di sotto della incidenza media percentuale della provincia
che nello stesso periodo passa dal 5,9 al 10,6 per cento. Per quel che riguarda la
provenienza geografica di questi immigrati, i valori della tabella n. 11 rivelano
che nel corso degli anni 2004-2012 l’incidenza percentuale degli individui originari dell’Africa è andata riducendosi (passando dal 25,8% del 2004 al 19,5%
del 2012); analogamente, il peso percentuale del contingente proveniente dalle
Americhe si è più che dimezzato (dal 5,9 al 2,5). Al contrario, la quota di asiatici
ed europei è andata aumentando passando rispettivamente da 25,6 a 28,7 e da
42,4 a 49,3. Per quel che riguarda gli europei, osserviamo con riferimento al 2012,
che dei 565 cittadini residenti 219 sono rumeni, 86 moldavi e 68 ucraini. Si tratta
dei tre gruppi nazionali maggiormente numerosi e che complessivamente arrivano al 66% della comunità di cittadini stranieri residenti a Castel Maggiore. Per
21
Ibid.
Sori, Gorgolini, Evoluzione demografica, sviluppo economico e mutamento sociale, cit., p. 70
(tab. 33).
22
23
Ivi, p. 68.
108
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
quel che riguarda la comunità rumena, si può supporre che essa sia stata attratta
da un locale comparto dell’industria dell’edilizia in quegli anni costantemente in
crescita; mentre per quel che riguarda i cittadini provenienti dall’Ucraina e dalla
Repubblica moldova sembrerebbero invece riferibili alla crescita della domanda all’interno del mercato dell’assistenza alla popolazione anziana (crescita del
numero cosiddette “badanti”).
Luca Gorgolini, I caratteri demografici e sociali della “Grande trasformazione”
109
Appendice
Tab. 1. Popolazione residente, 1861-2011. Comune di Castel Maggiore, comune di Bologna e
provincia di Bologna
Castel Maggiore
Anni
V.A.
Comune di Bologna
Var.%
V.A.
Provincia di Bologna
Var.%
V.A.
Var.%
1861
4.123
-
116.874
-
415.215
-
1871
4.348
5,5
118.217
1,1
445.251
7,2
1881
4.592
5,6
126.178
6,7
460.835
3,5
1901
5.055
10,1
153.271
21,5
520.750
13,0
1911
5.483
8,5
179.311
17,0
575.632
10,5
1921
6.065
10,6
212.754
18,7
634.388
10,2
1931
7.163
18,1
249.226
17,1
687.669
8,4
1936
6.097
-14,9
281.162
12,8
714.705
3,9
1951
6.164
1,1
340.526
21,1
763.907
6,9
1961
6.699
8,7
444.872
30,6
841.474
10,2
1971
10.153
51,6
490.528
10,3
918.844
9,2
1981
12.573
23,8
459.080
-6,4
930.284
1,2
1991
14.832
18,0
404.378
-11,9
906.856
-2,5
2001
16.068
8,3
371.217
-8,2
915.225
0,9
2011
17.507
9,0
371.337
0,0
976.243
6,7
Fonte: www.tuttitalia.it
20,000
17,507
18,000
16,068
14,832
16,000
14,000
12,573
12,000
10,153
4,592
1881
1901
6,065
7,163
6,097
6,164
1951
4,348
5,483
1936
4,123
1871
6,000
5,055
1861
8,000
1911
10,000
6,699
4,000
Figura n. 1. Castel Maggiore. Pop. residente 1861-2011
2011
2001
1991
1981
1971
1961
1931
0
1921
2,000
%
21,1
18,2
12,0
12,3
13,6
V.A.
2.139
2.293
1.774
1.971
2.374
-
101.031
90.860
142.939
170.471
V.A.
-
11,0
10,0
15,4
18,6
%
Provincia di Bologna
11.439
11.105
10.801
8.705
6.927
V.A.
65,5
69,1
72,8
69,2
68,2
%
Castel Maggiore
-
600.606
630050
630.712
626.160
V.A.
65,6
69,5
67,8
68,1
%
Provincia di Bolgna
15-64
3.653
2.992
2.257
1.575
1.087
V.A.
-
18,6
15,2
12,6
10,7
%
Castel
Maggiore
-
213.558
185.946
156.633
121.913
V.A.
20,9
23,3
20,5
16,8
13,3
%
Provincia di Bologna
65 e oltre
153,9
151,8
127,2
68,7
50,8
185,1
211,4
204,7
109,6
71,5
Castel Provincia di
Maggiore Bologna
Indice di vecchiaia
4156
12967
1991
87,4
62,0
42,1
%
%
804.444 88,7
638.416 75,9
495.315 64,0
V.A.
Provincia di
Bologna
446
423
610
V.A.
3,0
6,3
9,9
%
Castel Maggiore
22.145
44.537
68.236
V.A.
2,4
5,3
8,8
%
Provincia di
Bologna
1419
2120
2956
V.A.
9,6
31,6
48,0
%
Castel Maggiore
Fonte: Istat, Censimenti generali della popolazione e delle abitazioni, anni vari.
2598
1961
V.A.
Castel
Maggiore
1951
Anni
%
80.267
8,9
158.521 18,8
210.356 27,2
V.A.
Provincia di
Bologna
14832
6.699
6164
V.A.
100
100
100
%
Castel Maggiore
%
906.856 100
841.474 100
773.907 100
V.A.
Provincia di
Bologna
Tab. 3. Popolazione residente nei centri, nei nuclei abitati e nelle case sparse, 1951-1991. Comune di Castel Maggiore e provincia di Bologna
Fonte: Istat, Censimenti generali della popolazione e delle abitazioni, anni vari.
2011
2001
1991
1981
1971
Anni
Castel
Maggiore
0-14
Tab. 2. Popolazione per classi di età e indice di vecchiaia, 1971-2011. Comune di Castel Maggiore e provincia di Bologna
110
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
3,8
3,3
2,6
2,7
2,4
1961
1971
1981
1991
2001
41.606
-
-
16,3 87.351
14,8 69.397
8,0
-
-
V.A.
24,3
20,1
13,7
-
-
%
1.651 24,7 124.747 31,0
884
668
246
-
%
Provincia di
Bologna
1
-
-
V.A.
-
-
%
-
-
V.A.
22,9 78.407 25,9 928
-
-
%
-
-
V.A.
2.144 32,1 128.128 31,9 1.738 26,0 88.557
1.549 28,5 106.337 29,6 1.687 33,4 92.853
-
-
V.A.
22,0 908
25,8 993
27,0 852
13,6
18,2
18,9
22,5
-
-
%
Castel
Maggiore
28,4 695
-
-
%
Provincia di
Bologna
30,0 86.056
-
-
%
Castel
Maggiore
3
1273 28,3 97.944 28,4 1.383 30,7 93.081
708
-
-
V.A.
Castel
Provincia di
Maggiore
Bologna
2
46.605
54.074
58.590
57.959
-
-
V.A.
-
-
V.A.
11,6 172
15,0 250
17,0 224
-
-
V.A.
2,6
4,6
5,0
10.408
14.064
18.511
2,6
3,9
5,4
8,1
-
-
%
Provincia di
Bologna
5
10,7 24.680
-
-
%
Castel
Maggiore
19,1 330
-
-
%
Provincia di
Bologna
4
61
77
103
186
-
-
V.A.
0,9
1,4
2,3
6,0
-
-
%
3340
5.025
7.654
14.223
-
-
V.A.
-
-
V.A.
100 345.177
100 302.931
-
-
V.A.
0,8 6.674 100 401.785
1,4 5.440 100 359.704
2,2 4503
-
-
%
189
103
107
81
1981
1991
2001
0,5
0,8
0,9
3,0
4,2
5.420
6.895
10.301
28.893
40.348
0,6
0,8
1,2
3,7
5,7
%
4.024
4.963
5.546
4.842
4.629
26,4
35,0
46,7
78,0
81,1
%
225.374
288.116
359.107
517.487
481.025
V.A.
25,6
33,0
40,4
66,1
68,3
%
Con licenza media inferiore
4.446
4.354
2.987
405
188
V.A.
29,2
30,7
25,2
6,5
3,3
%
238.025
250.633
222.367
90.273
52.133
V.A.
27,3
28,7
25,0
11,5
7,4
%
Castel Maggiore Provincia di
Bologna
Fonte: Istat, Censimenti generali della popolazione e delle abitazioni, anni vari.
241
1961
V.A.
V.A.
%
V.A.
1951
Anni
Con licenza elementare
Castel Maggiore Provincia di
Bologna
Analfabeti
Castel Maggiore Provincia di
Bologna
Diplomati
4.418
2.929
1.226
114
79
V.A.
29,0
20,6
10,3
1,8
1,4
%
238.842
186.727
111.019
41.024
28.263
V.A.
27,4
21,4
12,5
5,2
4,0
%
Castel Maggiore Provincia di
Bologna
Laureati
991
411
221
16
12
V.A.
6,5
2,9
1,9
0,3
0,2
%
92.956
52.153
36.108
14.334
10.041
V.A.
10,7
6,0
4,1
1,8
1,4
%
Castel Maggiore Provincia di
Bologna
Totale
15.220
14.196
11.873
6.208
5.704
V.A.
871.737
873.253
887.947
782.513
704.234
V.A.
Castel
Provincia di
Maggiore Bologna
100
100
100
100
-
-
%
Provincia di
Bologna
Totale
Castel
Maggiore
4,7 3093
-
-
%
Castel
Provincia di
Maggiore
Bologna
6 e più
Tab. 5. Popolazione residente in età da 6 anni in poi per grado di istruzione, 1951-2001. Comune di Castel Maggiore e provincia di Bologna
Fonte: Istat, Censimenti generali della popolazione e delle abitazioni, anni vari.
2,3
2,5
2,3
3,0
3,3
-
4,2
1951
3,7
C.M. Prov. di V.A.
Bologna
Castel
Maggiore
Anni
Dimensione
media
Tab. 4. Famiglie per numero di componenti, 1971-2001. Comune di Castel M. e provincia di Bologna
Luca Gorgolini, I caratteri demografici e sociali della “Grande trasformazione”
111
302
386
422
1981
1991
2001
6,1
7,1
7,4
13,7
%
58369
50733
45607
51975
V.A.
12,8
14,3
14,0
18,9
%
Provincia di
Bologna
177
262
188
199
V.A.
2,5
4,8
4,6
7,0
%
Castel
Maggiore
49651
41102
41536
43668
V.A.
10,9
11,6
12,7
15,9
%
Provincia di
Bologna
Dal 1919 al 1945
1177
635
738
766
V.A.
16,9
11,8
18,1
26,8
%
Castel
Maggiore
103734
85384
90144
90595
V.A.
22,8
24,0
27,7
32,9
%
Provincia di
Bologna
Dal 1946 al 1961
1349
1499
1499
1419
V.A.
19,4
27,7
36,8
50,0
%
89742
89862
93030
88761
V.A.
Castel
Provincia di
Maggiore
Bologna
Dal 1962 al 1971
19,7
25,3
28,5
32,3
%
1420
1350
1345
-
V.A.
20,4
25,0
33,0
-
%
Castel
Maggiore
69899
58225
55697
-
V.A.
15,4
16,4
17,1
-
%
Provincia di
Bologna
Dal 1972 al 1981
2426
1272
-
-
V.A.
34,8
23,5
-
-
%
Castel
Maggiore
-
-
%
83697 18,4
30069 8,4
-
-
V.A.
Provincia di
Bologna
Dopo il 1981
1179
2275
3999
1971
1981
98,2
79,6
69,9
32,5
%
317188
273056
196395
109559
V.A.
97,3
94,6
82,7
57,2
%
Provincia di
Bologna
4068
2840
1663
1170
V.A.
99,9
99,4
98,6
85,5
%
Castel
Maggiore
325608
285038
226813
158252
V.A.
99,9
99,1
95,5
82,6
%
Provincia di
Bologna
Energia elettrica
3978
2676
711
109
V.A.
97,7
93,7
42,1
8,0
%
Castel
Maggiore
308836
238786
122448
37834
V.A.
94,7
83,0
51,5
19,8
%
Provincia di
Bologna
Bagno
Fonte: Istat, Censimenti generali della popolazione e delle abitazioni, anni vari.
445
1961
V.A.
Castel
Maggiore
1951
Anni
Acqua potabile con acquedotto
4067
2016
427
-
V.A.
99,9
70,6
25,3
-
%
Castel
Maggiore
325039
174421
78128
-
V.A.
99,7
60,6
32,9
-
%
Provincia di
Bologna
Riscaldamento
Tab. 7. Abitazioni occupate per titpo di servizio installato, 1951-1981. Comune di Castel Maggiore e provincia di Bologna
Fonte: Istat, Censimenti generali della popolazione e della abitazioni, anni vari.
392
V.A.
Castel
Maggiore
1971
Anni
Prima del 1919
Tab. 6. Abitazioni occupate per epoca di costruzione, 1971-2001. Comune di Castel Maggiore e provincia di Bologna
455092
355375
326014
274999
V.A.
Totale
100
100
100
100
%
100
100
100
100
%
Provincia di
Bologna
4072
2857
1687
1369
V.A.
326014
287539
237544
191465
V.A.
Castel Provincia di
Maggiore Bologna
6971
5404
4072
2857
V.A.
Castel
Maggiore
Totale
112
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
V.A.
Famiglie per abitazione Occupanti per abitazione Stanze per abitazione
5404
1991
V.A.
355375
326014
287539
179434
V.A.
5435
4501
3088
1449
V.A.
359439
344733
302166
201868
V.A.
1,0
1,1
1,1
1,1
V.A.
1,0
1,0
1,1
1,1
V.A.
2,7
3,1
3,5
4,6
V.A.
2,5
2,8
3,1
4,1
V.A.
4,0
4,1
3,9
3,9
V.A.
4,1
4,0
3,7
3,7
537
1149
2168
3546
4971
1971
1981
1991
2001
75,0
65,6
53,2
40,2
31,8
16,5
%
275.371
227.236
162.757
110.507
74.347
37.225
V.A.
69,6
63,9
49,9
38,4
31,3
20,7
%
Provincia di
Bologna
1240
1573
1706
1572
973
832
V.A.
18,7
29,1
41,9
52,0
57,7
63,7
%
90.993
106.606
146.545
162.766
143.040
116.480
V.A.
23,0
30,0
44,9
56,6
60,2
64,9
%
Provincia di
Bologna
In affitto
Castel Maggiore
415
285
198
136
177
257
V.A.
6,3
5,3
4,9
4,8
10,5
19,6
%
29.313
21.533
16.712
14.266
20.157
25729
V.A.
7,4
6,1
5,1
5,0
8,5
14,3
%
Provincia di
Bologna
Altro titolo
Castel Maggiore
Fonte: Istat, Censimenti generali della popolazione e delle abitazioni, anni vari.
216
1961
V.A.
1951
Anni
Castel Maggiore
In proprietà
Occupanti per stanza
V.A.
6626
5404
4072
2857
1687
1305
V.A.
100
100
100
100
100
100
%
395.677
355.375
326.014
287.539
237.544
179.434
V.A.
V.A.
0,6
0,7
0,8
1,1
100
100
100
100
100
100
%
Provincia di
Bologna
Totale
0,7
0,8
0,9
1,2
Castel Maggiore
Tab. 9. Abitazioni occupate per titolo di godimento, 1951-2001. Comune di Castel Maggiore e provincia di Bologna
Fonte: Istat, Centimenti generali della popolazione e delle abitazioni, anni vari.
2857
4072
1971
1981
1305
1951
Anni
Famiglie
Castel
Provincia di
Castel
Provincia di
Castel
Provincia di
Castel
Provincia di
Castel
Provincia di
Castel Provincia di
Maggiore
Bologna
Maggiore
Bologna
Maggiore
Bologna
Maggiore
Bologna
Maggiore
Bologna
Maggiore Bologna
Abitazioni occupate
Tab. 8. Numero delle abitazioni occupate, delle famiglie, degli occupanti e delle stanze, 1951-1991. Comune di Castel Maggiore e provincia di
Bologna
Luca Gorgolini, I caratteri demografici e sociali della “Grande trasformazione”
113
55.840
Provincia
Bologna
2006
5,9
4,0
2007
6,5
4,4
65.785
722
% su tot. V.A.
pop. res.
2008
6,9
4,3
75.277
885
% su tot. V.A.
pop. res.
2009
7,8
5,2
86.701
1005
% su tot. V.A.
pop. res.
2010
8,9
5,9
94.779
1113
% su tot. V.A.
pop. res.
2011
9,6
6,4
33
142
235
553
Americhe
Asia
Europa
Totale
Fonte: www.tuttitalia.it
143
V.A.
Africa
99,7
42,4
25,6
5,9
25,8
%
2004
885
407
217
48
213
V.A.
2008
99,9
46,0
24,5
5,4
24,0
%
1145
565
328
29
223
V.A.
100
49,3
28,7
2,5
19,5
%
2012
2012
7,2
6,5
% su tot.
pop. res.
105.287 10,6
1145
% su tot. V.A.
pop. res.
102.809 10,4
1232
% su tot. V.A.
pop. res.
Tab. 11. Stranieri residenti al 1 gennaio per area geografica di provenienza, 2004-2012. Comune di Castel Maggiore.
61.569
727
% su tot. V.A.
pop. res.
Fonte: www.tuttitalia.it
662
Castel
Maggiore
V.A.
2005
Tab. 10. Stranieri residenti al 1 gennaio, anni 2005-2012. Comune di Castel Maggiore e provincia di Bologna.
114
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Istituzioni locali, economia e società
A cura di Carlo De Maria e Tito Menzani
Bologna (BraDypUS) 2016
ISBN 978-88-98392-33-9
p. 115-130
Territorio e sviluppo urbano.
Un approfondimento sui piani
urbanistici
MATTEO TROILO
In questo capitolo si porrà l’attenzione su alcuni aspetti dello sviluppo urbanistico del territorio di Castel Maggiore nel secondo dopoguerra. In particolare sono
due le tematiche degne di nota: da un lato la ricostruzione del territorio urbano
dopo i danni subiti dalla guerra, dall’altro lo sviluppo comunale in forte connessione con il vicino capoluogo, Bologna. Anche il Comune di Castel Maggiore, così
come la maggior parte del territorio bolognese, aveva subito danni notevoli dai
bombardamenti anglo-americani del 1944, e quindi era stato costretto a ripartire quasi da zero alla fine delle ostilità. La situazione che la nuova amministrazione democratica fu costretta ad affrontare era tutt’altro che facile in quanto
oltre ai danni materiali notevoli c’erano anche i danni economici, riscontrabili in
un cospicuo deficit nelle casse comunali. Terminato il non semplice, ma comunque proficuo, processo ricostruttivo Castel Maggiore iniziò una fase di crescita
demografica ed economica che farà nascere nuove esigenze urbanistiche con
risultati molto significativi sul tessuto urbano della città. Sono gli anni Sessanta,
con i piani urbanistici intercomunali, quelli decisivi per lo sviluppo successivo del
territorio cittadino, e proprio per questo si è dato nel testo particolare importanza a tale fase.
La ricostruzione
Così come accadde in tutto il territorio bolognese la macchina della ricostruzione si mise in moto e portò ad un cambiamento radicale anche nella comunità di
116
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Castel Maggiore. Questa fase vide come protagonisti sia elementi internazionali,
si pensi in particolare al ruolo fondamentale degli aiuti finanziari provenienti
dagli Stati Uniti, sia nazionali, le prefetture in particolare si prodigarono per gestire e rendere meno complessa la macchina della ricostruzione. Non mancò
però neanche lo sforzo della cittadinanza affinché si tornasse davvero a sperare
in un futuro migliore. Furono tanti i casi in cui la solidarietà si fece concreta e
i cittadini si rimboccarono letteralmente le maniche per far ripartire le attività
amministrative e sociali territoriali. I primi passi furono di adattamento di fronte ad un contesto senz’altro difficile; l’asilo infantile che era stato danneggiato
riaprì in alcuni locali dell’industria metallurgica cittadina Barbieri, mentre nella
villa dei nobili Ercolani furono spostati gli uffici amministrativi cittadini in attesa
che venisse ricostruita la sede municipale1.
Il finanziamento alla ricostruzione era complesso poiché coinvolgeva vari
soggetti, dai comuni, al genio civile, alle prefetture, e passava ovviamente per le
decisioni di politica nazionale e dai finanziamenti internazionali provenienti dal
piano Marshall2. Il Comune faceva soprattutto da tramite raccogliendo le dichiarazioni fatte dai singoli riguardanti i danni. In genere la richiesta prevedeva un
indennizzo che sarebbe servito alla ricostruzione dell’edificio o all’acquisto dei
beni perduti, in alcuni casi le aziende private richiedevano invece un’esenzione
dalle tasse comunali.
Un esempio di dichiarazione di danni subita da un privato rinvenuta nell’Archivio storico comunale riguarda una casa in via di Galliera che secondo una
perizia estimativa aveva subito danni nel bombardamento del 5 giugno 1944 per
più di un milione e seicento mila lire. Si trattava di una casa di due piani crollata
completamente e che aveva perduto anche l’annesso negozio adibito a latteria.
Era un edificio, cosa non da poco per l’epoca che era dotato di acqua corrente
e di impianto di luce elettrica. È questo solo un esempio della complessità della
ricostruzione urbana sul lato privato3.
Sul lato pubblico la ricostruzione diventa materia di dibattito politico già nei
primi consigli comunali eletti con le amministrative del 1946. Nella riunione del
Consiglio comunale del primo agosto di quell’anno veniva discussa la necessità
e l’urgenza di molti lavori pubblici non ancora partiti per la mancanza di fondi.
Le difficoltà erano molte e il quadro era solo in minima parte positivo. In quel
1
Domenico Bruno, Enrico Cavalieri, Luca Pastore, La pianura e il conflitto. Fascismo, Resistenza e
ricostruzione a Castel Maggiore 1919-1946, Venezia, Marsilio, 2010, pp. 236-242.
Per un quadro di riferimento vedi Andrea Giuntini, I finanziamenti pubblici, in Roberto Parisini
(a cura di), Politiche urbane e ricostruzione in Emilia-Romagna, Bologna, Bononia University Press,
2006, pp. 39-46.
2
Archivio storico del Comune di Castel Maggiore (Ascm), Ufficio tecnico. Pratiche diverse 19441949, b. 1.
3
Matteo Troilo, Territorio e sviluppo urbano
117
momento l’amministrazione poteva vantare soltanto la partenza della ricostruzione del cimitero comunale e la costruzione di un fabbricato per famiglie di
sinistrati. Inoltre erano sul punto di partire i lavori di ricostruzione delle scuole
di Sabbiuno e dei fabbricati delle case popolari. Ciò che invece non era ancora
partito era il piano di ripristino delle strade comunali per il quale era stata richiesta al Provveditorato regionale dei lavori pubblici una somma di circa 1 milione
e 700 mila lire. Una spesa che però non era ancora stata stanziata dal provveditorato, per un ritardo decisamente normale nell’andamento della ricostruzione4.
Sempre nella stessa riunione del consiglio veniva approvato un piano generale di lavori per la ricostruzione delle infrastrutture cittadine definite urgenti.
Tra queste vi erano opere fondamentali soprattutto per la viabilità e per l’igiene
pubblica, c’era però da considerare anche la natura di protezione sociale che
tali lavori avevano, come quella di diminuire la diffusa disoccupazione. I nuovi
progetti che avrebbero dovuto eseguire gli uffici tecnici comunali riguardavano
il ripristino delle fognature e dei fossi comunali e la riattivazione delle scuole del
capoluogo. Il progetto del geometra comunale Gino Ricci, tecnico incaricato di
dirigere le opere, prevedeva una spesa di due milioni di lire riguardanti le fogne
e i fossi danneggiati dagli eventi bellici5.
I lavori sarebbero stati eseguiti in economia sotto la direzione dell’ufficio tecnico comunale e con una divisione delle spese a metà tra l’amministrazione e lo
Stato. A quest’ultimo si richiedeva il finanziamento di un milione di lire che il Comune avrebbe rimborsato in rate annuali e senza interessi a partire dal collaudo
dei lavori. La ricerca di finanziamenti oltre che verso lo Stato era diretta anche
verso le banche locali come la Cassa di risparmio di Bologna. I lavori di ripristino
delle scuole elementari del capoluogo furono infatti finanziati con la contrattazione di un mutuo di due milioni e mezzo con la banca bolognese. Il prestito fu
accordato con un interesse dell’otto per cento e con un piano di ammortamento
decennale. Anche in questo caso era stata fatta precedentemente una perizia da
parte dell’ufficio tecnico che andava in realtà oltre la quota di due milioni e mezzo richiesta alla banca; la spesa presunta era infatti di 2.460.000 lire. Il Comune
avrebbe assolto ai suoi obblighi verso la cassa di risparmio inscrivendo il debito
direttamente nel bilancio comunale tra le passività6. Un altro punto importante
della politica ricostruttiva del Comune di Castel Maggiore era la realizzazione
di ricoveri per i senzatetto per la quale veniva decisa la donazione di un’area
4
«Il Presidente espone che già da circa sette mesi venne formulato un piano finanziario straordinario per ripristino delle strade comunali per ammontare di circa L. 1.700.000», in Ascm, Atti del
Consiglio comunale del 1 agosto 1946.
5
6
In Ascm, Atti del Consiglio comunale del 16 ottobre 1946.
In Ascm, Atti del Consiglio comunale del 16 ottobre 1946.
118
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
comunale di 995 metri quadrati allo Stato7.
Nel febbraio del 1947 il consiglio comunale approvò dopo lunghe discussioni
il Piano di ricostruzione generale secondo le norme approvate, a guerra ancora
in corso, con il Decreto Legislativo Luogotenenziale del primo marzo 1945 e con
il Decreto del Ministero dei Lavori pubblici del 28 maggio 1946. Il piano di ricostruzione seguiva sostanzialmente lo stesso schema messo in opera nei primi
mesi di emergenza e che influenzerà lo sviluppo urbano sino all’adozione dei
piani urbanistici degli anni Sessanta8.
Il cambiamento urbano tra la fine degli anni Quaranta e i primi
anni Sessanta
I primi interventi per la ricostruzione servirono a riportare alla normalità il territorio comunale; con il passare degli anni, pur con una politica dei piccoli passi,
Castel Maggiore investì per la realizzazione dei servizi essenziali allo sviluppo
economico.
Un aspetto decisivo di questa “lunga ricostruzione” era la fabbricazione di
case popolari, a tal proposito nel dicembre 1949 il Comune cedeva a titolo gratuito alla gestione Ina-Casa un’area per la realizzazione di case per i dipendenti
della Costruzioni Meccaniche Barbieri. Era un appezzamento di circa 1.900 metri
quadrati sita in Viale Rimembranze. Il tutto veniva svolto in base alla legge n.
43 del 28 febbraio 1949, la famosa legge Fanfani, che regolava il finanziamento
delle case popolari9. Il piano, che inizialmente avrebbe dovuto durare sette anni,
ma fu prorogato per altri sette, rappresentò una fase significativa della politica economica del dopoguerra ma anche una delle più concrete esperienze di
realizzazione nel campo dell’edilizia sociale italiana. Le sue realizzazioni a cui
parteciparono anche architetti e urbanisti di grande fama offrirono alloggi sani
e moderni portando ad un consistente miglioramento delle condizioni igienicoabitative10.
7
Ascm, Atti del Consiglio comunale del 16 ottobre 1946.
8
Ascm, Atti del Consiglio comunale del 2 febbraio 1947.
La legge n. 43 del 28 febbraio 1949 istitutiva un comitato di attuazione di un piano per incrementare l’occupazione operaia mediante la costruzione di case per i lavoratori. Il comitato presiedeva
all’impiego dei fondi raccolti predisponendo il piano di costruzione degli alloggi.
9
10
Sul piano Ina-Casa nella ricca bibliografia si è fatto principalmente riferimento a Alberto Pedraz-
Matteo Troilo, Territorio e sviluppo urbano
119
La legge prevedeva un finanziamento misto con la partecipazione dello Stato, dei datori di lavoro e dei lavoratori dipendenti, tramite una piccola trattenuta
sul salario mensile. Dal canto loro i comuni però cercavano di facilitare il più
possibile le cose dando a disposizione le aree edificabili. Nel 1949 a tale scopo il
Comune di Castel Maggiore cedeva a titolo gratuito all’Ina-Casa un’area di circa
680 chilometri quadrati da destinare alla costruzione di case popolari in corso Matteotti. La cessione era gratuita ma il Consiglio comunale nell’atto di approvazione riconosceva i sicuri vantaggi che la cittadinanza ne avrebbe tratto11.
Negli stessi giorni invece veniva deliberato l’acquisto dagli eredi del principe
Astorre Ercolani di un’area di 1.500 metri quadrati per una spesa complessiva di
225.000 lire. L’area sarebbe servita alla costruzione del nuovo macello comunale. La spesa veniva fatta rientrare nel mutuo già aperto da alcuni anni con la
Cassa di Risparmio di Bologna e che intanto era cresciuto fino a superare i sette
milioni di lire12.
Un altro intervento importante di costruzione di abitazioni popolari a Castel
Maggiore si realizzò grazie all’Unrra-Casas che finanziò la costruzione di 32
appartamenti da assegnarsi a famiglie nullatenenti in una zona confinante con
la strada provinciale Galliera13. Lo United Nations Relief and Rehabilitation Administration (Unrra) era un’organizzazione delle Nazioni Unite nata per assistere
economicamente i paesi usciti gravemente danneggiati dalla Seconda guerra
mondiale. In Italia ebbe un ruolo di primo piano nella ricostruzione tramite il Comitato amministrativo soccorso ai senzatetto (Casas) che favorì la realizzazione
di case per i senzatetto e i disoccupati. In questo modo agì laddove l’Ina-Casa
non operava, in quanto quest’ultima era destinata a realizzare case per lavoratori14.
Anche nei progetti dell’Unrra-Casas i comuni interessati partecipavano cedendo i terreni per la realizzazione degli edifici popolari. In questo caso il Comune di Castel Maggiore non aveva a disposizione un’area propria e quindi era
dovuto entrare in trattativa con dei privati per la cessione di uno spazio tramite
un’indennità di espropriazione. L’area fu espropriata ricorrendo al procedimento coattivo pagando una somma decisa dal perito comunale, minore in realtà
zini, Bologna ed i 14 anni del Piano Ina-Casa, in Fanfani e la casa. Gli anni Cinquanta e il modello
italiano di welfare state. Il piano Ina-Casa, Soveria Mannelli, Rubettino, 2002, pp. 306-329.
11
Ascm, Atti del Consiglio comunale del 19 ottobre 1950.
Si tratta di Astorre Hercolani (1877-1944), membro dell’antica famiglia patrizia bolognese degli
Ercolani o Hercolani come nell’antica dizione. Ascm, Atti del Consiglio comunale del 19 ottobre
1950.
12
13
14
Ascm, Atti del Consiglio comunale del 19 ottobre 1950.
Alessandro Polsi, Storia dell’ONU, Roma-Bari, Laterza, 2003, pp. 42-47.
120
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
rispetto a quella richiesta dal proprietario, dopodiché il Comune cedette a titolo
gratuito il terreno all’Unrra-Casas15.
Il Comune di Castel Maggiore dal canto suo però non partecipava solo passivamente a queste operazioni ma dava anche indicazioni interessanti sul futuro
sviluppo urbanistico cittadino. La scelta dei luoghi in cui si sarebbe dovuto costruire nasceva da una valutazione chiara, quella cioè di preferire lo sviluppo di
certe aree piuttosto che di altre. Può essere letta come un’importante direttiva
urbanistica la scelta di preferire la realizzazione degli edifici di edilizia popolare
nel capoluogo di Castel Maggiore piuttosto che nelle frazioni. Nel 1951 fu infatti
lo stesso Consiglio comunale a sancire il cambio di ubicazione di edifici popolari, le motivazioni erano di ordine logistico come si dichiarava in una seduta del
Consiglio comunale di quell’anno:
In quanto nel capoluogo di Castel Maggiore la nuova costruzione sarebbe avvantaggiata dalla immediata vicinanza dell’acquedotto e della fognatura, invece al Trebbo,
mancando tali opere occorrerebbe procedere ad un impianto per il sollevamento acqua, assai costoso e di precario funzionamento, nonché ad una spesa non indifferente
per l’allacciamento alla fogna esistente. Non vi è da escludere che, in considerazione
della particolare ubicazione del costruendo fabbricato in Trebbo e della vicinanza del
fiume Reno possono verificarsi sospensioni dell’approvvigionamento idrico a causa di
una prevedibile escursione della falda freatica superficiale, circostanza questa che
dovrebbe indirizzare i tecnici alla scelta di costosi tipi di pompe funzionanti in immersione16.
L’altra forte motivazione riguardava la maggiore richiesta di alloggi nel capoluogo rispetto alla frazione di Trebbo, segno di una precisa tendenza che andava
verso la crescita del capoluogo. Con il tempo i servizi basilari, come l’illuminazione pubblica e le fognature, si ampliarono a tutto il territorio comunale, di certo però restarono nei primi tempi più circoscritti alle zone del centro cittadino.
Così per tutti gli anni Cinquanta continuò il processo di modernizzazione del
tessuto urbano. In questi anni viene prolungata la fognatura comunale fino a via
Bondanello, viene estesa l’illuminazione pubblica alle nuove strade realizzate
con la costruzione del villaggio Unrra-Casas, viene sistemata l’area retrostante
la casa comunale a giardino pubblico e vengono asfaltati i viali del centro del
capoluogo, quest’ultima opera con una spesa di un milione di lire17.
Più complesso sia per l’onerosità che per la dimensione degli interventi fu
15
Ascm, Atti del Consiglio comunale del 19 ottobre 1950.
16
Ascm, Atti del Consiglio comunale del 23 febbraio 1951.
Per i principali lavori di ammodernamento nel territorio comunale vedi come esempi Atti del
Consiglio comunale del 9 settembre 1951, 23 maggio 1954, 5 giugno 1954 e 15 aprile 1956.
17
Matteo Troilo, Territorio e sviluppo urbano
121
l’ampliamento dell’acquedotto nelle frazioni di Trebbo, Bondanello e Sabbiuno.
Il progetto approvato nel 1953 dalla Giunta provinciale amministrativa, che doveva vagliare tutte le spese comunali, aveva una spesa prevista di 9.652.000 lire.
Lo sforzo economico era notevole e poteva essere coperto anche in questo caso
da un mutuo con la cassa depositi e prestiti che era in grado di fornire la somma
necessaria ammortizzabile in 35 anni. Le 35 annualità venivano assicurate attingendo a quelle che erano allora le imposte dirette comunali18.
In generale le difficoltà non furono poche, anche per i ritardi che in certi casi
caratterizzarono l’arrivo dei fondi, i lavori di modernizzazione di Castel Maggiore andarono però avanti e si fusero con le nuove esigenze di una comunità che
tornò di nuovo a crescere anche a livello demografico.
Partiamo da dei dati significativi, dopo la guerra la popolazione di Castel Maggiore non smette mai di crescere, persino nel decennio 1951-1961 che è quello
più problematico dal punto di vista demografico per i comuni della provincia di
Bologna. È una fase di resistenza del trend demografico che poi conoscerà una
fase di netta crescita a partire dagli anni Settanta. Tornando al decennio 19511961 si registra una crescita di popolazione di circa 500 unità (da 6.164 a 6.699)
un dato che da solo non era in grado di cambiare completamente l’urbanistica
del territorio, nonostante ciò si vede invece un altro trend interessante e cioè il
cambiamento delle tipologie urbanistiche delle abitazioni dei residenti. La crescita dei residenti nei centri principali (il capoluogo, Sabbiuno, Trebbo) è di quasi
il 40 per cento cui fa da riscontro un calo di residenti netto, all’incirca il 30 per
centro negli abitati minori e nelle case sparse di campagna. È il segno soprattutto di un cambiamento nel sistema produttivo con l’abbandono della campagna
e del lavoro agricolo e la crescita del lavoro industriale. Tale tendenza si riflette
nel cambiamento del tessuto urbano con una maggiore concentrazione delle
nuove case nei principali centri abitativi19.
Anche se non è direttamente collegata con le scelte urbanistiche dell’amministrazione comunale vale la pena di ricordare come in questi anni chiuse i
battenti la storica tramvia Bologna-Pieve di Cento che attraversava alcune frazioni del territorio. Nata negli ultimi decenni dell’Ottocento la linea tramviaria
collegava l’area dello zuccherificio di Bologna e la manifattura tabacchi con la
zona agricola di Pieve di Cento, in quegli anni dedicata alla produzione di barbabietola. La linea passava per Trebbo dove c’era una stazione e per gli abitati
di Torreverde e Boschetto sempre all’interno del territorio comunale di Castel
Maggiore. Inizialmente con trazione a vapore i locomotori passarono alla tra-
18
Ascm, Atti del Consiglio comunale del 10 febbraio 1957.
I dati sono presi da Istat, Censimento generale della popolazione del 1951 e Istat, Censimento
generale della popolazione del 1961.
19
122
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
zione a gasolio negli anni Trenta e continuarono nonostante i danni di guerra a
viaggiare anche dopo il 1945. Dopo il fallimento della società proprietaria i tram
continuarono a girare grazie al personale che si era riunito in una cooperativa e
poi direttamente tramite l’amministrazione provinciale. La linea tramviaria chiuse i battenti nel 1955 sostituita da un servizio di autobus, contrariamente a quello che era accaduto con altre storiche linee tramviarie divenute con il tempo linee ferroviarie20. Così alcune frazioni di Castel Maggiore persero il collegamento
su ferro, e forse avrebbero conosciuto uno sviluppo differente se avessero avuto
una stazione vicina. Oggi l’unico accesso al sistema ferroviario resta la stazione
di Castel Maggiore sulla frequentatissima linea Bologna-Padova.
Il piano regolatore del 1962
Il secondo aspetto curato in questo capitolo riguarda la crescita urbana di un territorio fortemente legato al vicino Comune di Bologna, ma comunque in grado di
svilupparsi anche con tendenze proprie. L’ambivalenza delle forme di sviluppo
del territorio cittadino si esprime perfettamente nel piano regolatore del 1962
che come vedremo nel successivo paragrafo si legava strettamente al progetto
di un piano urbanistico intercomunale.
Il Comune di Castel Maggiore fu autorizzato a formare un piano regolatore generale con un decreto ministeriale del 24 marzo 1960, in collaborazione
con altri 14 comuni tra cui la stessa Bologna. Il processo di pianificazione era
articolato in due fasi, una a breve termine, tramite piani regolatori espressi dai
singoli comuni, e un’altra a lungo termine con piani urbanistici intercomunali
decisi attraverso ampie assemblee con la partecipazione di tutti i sindaci e gli
assessori dei territori interessati. La prima fase era costituita dalla continuazione
dei lavori già fatti negli anni precedenti con il potenziamento della rete idraulica, dell’illuminazione e il miglioramento degli edifici scolastici. La fase intercomunale veniva svolta in accordo con gli altri comuni con l’indubbio vantaggio di
poter razionalizzare le spese. Si pensi ad esempio al sicuro beneficio di realizzare piani di edilizia popolare utilizzando gli uffici tecnici di tutti i comuni del
territorio bolognese. Un vantaggio riconosciuto dallo stesso Consiglio comunale
Maurizio Panconesi, Quando, lungo il Reno, fischiavano le vaporiere. La Ferrara-Cento-Modena
e la Tramvia Bologna-Pieve di Cento, Cento, Pavé editrice, 1995 e Valerio Montanari, Carlo Garulli,
Castel Maggiore tra storia e memoria, Bologna, Pendragon, 2007.
20
Matteo Troilo, Territorio e sviluppo urbano
123
nella discussione dell’attuazione del piano regolatore. Così si legge negli atti
della seduta del 17 luglio 1964:
Tanto più che questo Comune, per la composizione del proprio Ufficio Tecnico, non
è in grado di provvedere direttamente ed in via autonoma alla formazione del piano
per l’edilizia economica e popolare per cui dovrebbe incaricare tecnici qualificati ed
esterni per lo studio e redazione dello stesso piano, sopportando conseguentemente
sensibili spese21.
L’ufficio del piano intercomunale del Comune di Bologna aveva provveduto a
raccogliere e ad elaborare i dati relativi allo sviluppo demografico e edilizio, alla
disponibilità di aree ed al calcolo del fabbisogno per i vari comuni del comprensorio. In collaborazione con l’ufficio tecnico comunale si sarebbe potuti arrivare
ad una soluzione economicamente più efficiente22.
Nell’agosto del 1962 l’amministrazione comunale di Castel Maggiore votava
a favore del Piano regolatore generale, poi il piano subiva alcune piccole modifiche negli anni successivi e soprattutto doveva affrontare l’opposizione dei
singoli cittadini. Un avviso fu pubblicato il 13 ottobre 1963 sulle pagine locali de “L’Avvenire d’Italia”, “Il Resto del Carlino”, l’”Avanti!” e “l’Unità” e tramite
manifesti negli spazi pubblici cittadini. L’avviso sostanzialmente informava del
fatto che i documenti del piano regolatore sarebbero rimasti depositati presso il
municipio per trenta giorni. Durante questo mese enti o privati avrebbero potuto
prenderne visione per presentare «osservazioni, ai fini di un apporto collaborativo dei cittadini al perfezionamento del Piano»23.
In realtà l’avviso diede vita a 64 opposizioni presentate per lo più da singoli
cittadini ma anche da aziende private. Le osservazioni si dividevano in due categorie, quelle a carattere generale e quelle più specifiche. Tra quelle generali
molti si opponevano all’idea che chi avesse voluto costruire avrebbe avuto a
proprio carico le spese per la presentazione di piani di lottizzazione, alla cui
approvazione era subordinata la licenza edilizia. Il piano di lottizzazione è uno
strumento ancora oggi utilizzato per urbanizzare nuove aree e completare l’edificazione delle zone di espansione, ma deve essere approvato dal Consiglio
comunale, sempre in conformità con quanto stabilito con il piano regolatore
generale. In parole povere la norma contestata serviva a regolare con molto
anticipo la costruibilità di ogni singolo isolato24.
21
Ascm, Atti del Consiglio comunale del 17 luglio 1964.
22
Sempre in Ascm, Atti del Consiglio comunale del 17 luglio 1964.
23
Ascm, Atti del Consiglio comunale del 18 settembre 1964.
24
Sempre in Ascm, Atti del Consiglio comunale del 18 settembre 1964.
124
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Nello stesso documento di approvazione del piano regolatore generale si
spiegava il suo rapporto con il piano urbanistico intercomunale su cui, come vedremo, i tecnici del comprensorio stavano negli stessi anni lavorando. Si riteneva
in generale importante dare conto della nozione di “intercomunalità” come un
concetto fondamentale al quale ogni scelta interna a un singolo comune doveva
fare i conti. Nella relazione presentata dal sindaco a nome dell’amministrazione
si diceva esplicitamente:
È giusto dunque che il PRG contenga prescrizioni che abbiano presenti le più vaste
esigenze del comprensorio. Il che, tra l’altro, nella presente situazione, realizza uno
scopo che giustamente sta a cuore a codesta Amministrazione; e cioè di far sì che questo piano possa presentarsi, rispetto al futuro e imminente piano intercomunale, come
un momento preliminare ed omogeneo e non invece come un impedimento alla sua
piena realizzazione25.
Nel dibattito seguito all’approvazione del piano regolatore venivano fuori due
questioni interessanti. La prima riguardava la frazione di Sabbiuno. Un consigliere rimproverava all’amministrazione la mancata previsione di sviluppo per
quella frazione con un’adeguata dotazione di servizi pubblici. La richiesta non
era solo a titolo informativo, in effetti il nuovo tracciato autostradale BolognaPadova, in fase di progettazione, avrebbe favorito lo sviluppo della frazione di
Trebbo piuttosto che quello di Sabbiuno, fuori dalla direttrice principale. L’osservazione dell’opposizione veniva respinta in quanto si richiamava la scelta principale fatta dall’amministrazione, già espressa in precedenza, e cioè quella di
concentrare lo sviluppo non nelle frazioni ma direttamente nel capoluogo, per
la massimizzazione dell’efficacia degli investimenti pubblici oltre che per motivi
di organizzazione civile.
Il piano urbanistico intercomunale
All’inizio degli anni Sessanta lo sviluppo dei comuni della cintura bolognese saltò
all’attenzione della politica del capoluogo ed in particolare dell’assessore all’urbanistica Giuseppe Campos Venuti, noto urbanista, che trovò proprio nell’hinterland bolognese un territorio fecondo per la sperimentazione di politiche di pianificazione da attuarsi anche in ambito nazionale. Romano di nascita, urbanista
25
Sempre in Ascm, Atti del Consiglio comunale del 18 settembre 1964.
Matteo Troilo, Territorio e sviluppo urbano
125
di fama internazionale, Campos Venuti divenne assessore all’urbanistica nella
giunta del sindaco Giuseppe Dozza dal 1960 al 1966. Sul piano cittadino l’urbanista impostò lo sviluppo della futura Bologna con la costruzione del nuovo quartiere fieristico e dei quartieri popolari nella zone a ridosso del centro storico26.
Siamo nei primi anni Sessanta, durante i quali nella politica emiliana si parlava
insistentemente di «programmazione democratica» con la volontà di esprimere
l’esigenza di autonomia e partecipazione in grado di marcare una netta distanza
con le tendenze burocratiche e centralizzatrici dell’apparato statale27.
Uno strumento per l’appunto ritenuto risolutivo era la creazione di un piano
urbanistico intercomunale, che sarebbe dovuto essere il frutto di un’intensa collaborazione tra i comuni del comprensorio. Grazie alle assemblee, da svolgersi a
scadenza fissa, i sindaci e gli assessori dei vari comuni potevano discutere le problematiche derivanti da uno sviluppo urbanistico che in quegli anni si stava manifestando come molto intenso e che sembrava non seguire particolari regole.
Tale pianificazione non aveva soltanto uno obiettivo tecnico ma anche politico. Nel luglio del 1962 è lo stesso Campos Venuti a spiegare chiaramente gli
obiettivi del piano intercomunale e un primo bilancio dopo un anno di lavori.
Riassumendo i criteri programmatici che erano alla base dell’inizio dei lavori
così si diceva:
Primo: pianificazione democratica, programmatica e normativa. Non solo democrazia
dei metodi, cioè pariteticità di tutti i Comuni, ma democrazia dei fini, cioè obiettivi
democratici, obiettivi di interesse pubblico e non privato. Secondo: politica democratica delle aree, realizzata con nuovi strumenti più democratici e rivendicazione di una
legge democratica sulle aree. Terzo punto: modello urbanistico democratico che nel
caso nostro è rappresentato dallo schema policentrico, tendente al decentramento,
così come il modello urbanistico della macchia d’olio, tendente al concentramento e
alla congestione, può essere in qualche modo definito antidemocratico28.
Si comprende bene come ci fosse dietro un’idea di urbanistica molto avanzata
che doveva servire a rappresentare in pieno le esigenze delle comunità e non,
come spesso veniva ripetuto, l’interesse degli imprenditori dell’edilizia. Doveva
essere insomma l’interesse pubblico a prevalere e non quello privato, per sua
Sull’esperienza di governo nel comune bolognese vedi in particolare Giuseppe Campos Venuti,
Amministrare l’urbanistica, Torino, Einaudi, 1972.
26
27
Vedi a tal proposito Carlo De Maria, Politica, autonomie, territorio dal 1945 a oggi, in Carlo De
Maria, Tito Menzani (a cura di), Un territorio che cresce. Castenaso dalla Liberazione a oggi, Bologna, Bradypus, 2015, pp. 58-59.
28
Intervento dell’Architetto Giuseppe Campos Venuti, Assessore all’Urbanistica del Comune di Bologna svolto a conclusione della discussione consiliare sul Piano Intercomunale il 27 luglio 1962 in
Ascm, Ufficio tecnico, Pratiche diverse, 1962, busta 2.
126
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
natura meno rivolto a considerare uno sviluppo urbano armonico e diretto a
favorire la vivibilità dei residenti. L’immagine dello sviluppo decentrato da preferire ad uno sviluppo a macchia d’olio è una chiara di una volontà di mantenere,
anche nei comuni del territorio bolognese un’espansione proporzionata e legata al mantenimento dei vari nuclei urbani già esistenti, piuttosto che verso la
concentrazione a ridosso della città con la realizzazione di nuove periferie non
sempre semplici da gestire. I risultati odierni mostrano in realtà come gli auspici
di Campos Venuti siano stati realizzati soltanto in minima parte.
Nel corso dei lavori vennero alla luce le varie problematiche e le difficoltà
di arrivare alla realizzazione di una pianificazione che fosse il più possibile rappresentativa degli interessi di ogni singolo comune. Interessante, anche per i riflessi su Castel Maggiore, la relazione della Commissione consultiva nel maggio
196429.
La commissione mise in luce una delle principali criticità del piano intercomunale e cioè la mancanza di coordinamento tra i vari piani regolatori. Non si
era in realtà dato vita a un piano di massima sul quale i singoli comuni avrebbero
dovuto inserirsi realizzando interventi coordinati in grado di soddisfare le esigenze generali del comprensorio. Al contrario il risultato finale era stato quello
di una sommatoria di piani in parte discontinui tra loro che stavano creando non
poche difficoltà ai lavori per il piano intercomunale. Focalizzando l’attenzione
sul Castel Maggiore si sottolineava come l’espansione verso Bologna lungo la
strada Galliera in realtà si stava svolgendo proprio a macchia d’olio, con la possibile creazione di una zona periferica esterna al Comune di Bologna che invece
Campos Venuti avrebbe voluto evitare. L’altro tema di discussione riguardava
l’espansione di Trebbo di Reno, favorita dalla sua migliore posizione sugli assi
viari in direzione di Bologna e la mancata politica urbanistica verso il territorio
di Sabbiuno, più lontano dalle vie principali, tematica sulla quale già si era discusso all’interno del Consiglio comunale di Castel Maggiore.
Nel 1966 Campos Venuti lasciò l’incarico di assessore per dedicarsi a tempo
pieno all’attività accademica. Non è certo questa la sede per fare un bilancio del
suo ambizioso piano urbanistico intercomunale, di certo la difficoltà di coordinare l’espansione di ben 14 comuni limitò le sue possibilità reali di intervento. Al
di là dei limiti di questa esperienza c’è però da sottolineare come questa riuscì
a favorire uno sviluppo integrato dei comuni dell’area bolognese, evitando in
parte i disastri urbanistici visti in altre realtà urbane. È lo stesso Campos Venuti
a tracciare un quadro dei primi anni di lavoro individuandone i limiti e sottolineandone gli elementi positivi.
29
Interessante è soprattutto l’intervento dell’ingegner Giuseppe Coccolini, consigliere comunale
democristiano del Comune di Bologna e membro della commissione. Verbale della sesta seduta, 12
maggio 1964, in Ascm, Ufficio tecnico, Pratiche diverse, busta 3.
Matteo Troilo, Territorio e sviluppo urbano
127
Dal canto suo l’Ufficio Piano Intercomunale del Comune di Bologna ha lavorato in
sistematica e proficua collaborazione con le Amministrazioni della cintura e con i
progettisti dei PRG; ma certamente la sua composizione quantitativa non risulta proporzionata alle necessità, anche di fronte alla estrema debolezza del contributo tecnico che le finanze dei Comuni minori consentono di fornire quotidianamente. Ciò ha
nuociuto e nuove gravemente alla pianificazione, ritardando operazioni indispensabili,
non consentendo ricerche importanti e talvolta neppure gli aggiornamenti necessari
per tenere continuamente la situazione sotto controllo30.
Come dicevamo, nonostante i grossi limiti l’assessore all’urbanistica bolognese
forniva comunque un bilancio positivo soprattutto «per la vitalità e l’impegno
dimostrati dalle Amministrazioni e dalle popolazioni nell’affrontare un esperimento tanto nuovo e per i successi conseguiti nella pianificazione a breve termine, sottoponendo tutto il territorio ad una disciplina urbanistica omogenea a
carattere decisamente antispeculativo»31.
Già nei lavori del piano intercomunale era emersa la problematica dello sviluppo industriale dei comuni della cintura bolognese e dello stesso Comune di
Castel Maggiore, ad occuparsene sarà un nuovo progetto guidato dal Comune di
Bologna, quello del Comprensorio industriale che operò dal 1968 al 1972.
L’idea principale del progetto era quella di evitare che lo sviluppo industriale
seguisse soltanto la direzione della via Emilia, impostando invece la realizzazione di direttrici di collegamento che creassero insediamenti produttivi anche
nella zona centro-orientale. Tra questi un’importanza notevole aveva la realizzazione dell’autostrada Bologna-Padova individuata come asse di supporto allo
sviluppo di attività industriali. Il Comune di Castel Maggiore fu tra i principali
comuni bolognesi a beneficiare della realizzazione autostradale. A questo si unì
la tendenza viva tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta a decentrare gli impianti industriali. Le periferie cittadine, a Bologna come in altre città, si
erano trasformate rapidamente in zone residenziali, allontanando di fatto verso
i centri minori o lungo gli assi di comunicazione gli agglomerati produttivi. Nel
1966 il territorio comunale di Bologna aveva assorbito solo il trenta per cento
del potenziale industriale del comprensorio, mentre comuni come Casalecchio
di Reno, Ozzano dell’Emilia, San Lazzaro di Savena e Zola Predosa avevano già
da tempo assunto l’aspetto di centri industriali decentrati. Castel Maggiore invece inizia questo processo proprio in concomitanza con la costruzione dell’autostrada che rende le aree nel suo territorio comunale più appetibili allo sviluppo
industriale.
Un bilancio della pianificazione comprensoriale, in Ascm, Ufficio tecnico, Pratiche diverse, 1962,
busta 3.
30
31
Ibid.
128
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
La commissione valutò soprattutto l’impatto che l’espansione degli impianti
industriali avrebbe avuto sulla comunità di Castel Maggiore e sul suo rapporto
con Bologna.
Di importanza fondamentale risulta la formazione dei servizi ed attrezzature sociali; se
in un primo tempo si formeranno moti pendolari in massima parte con Bologna (anche
in funzione della rapidità di collegamento), la presenza di attrezzature sociali a vario
livello porterà ad una forte richiesta a carattere residenziale nelle zone limitrofe e
principalmente nel paese di Castel Maggiore32.
La commissione lavorò soprattutto sulle infrastrutture viarie, ancora una volta
considerate fondamentali per lo sviluppo urbano di Castel Maggiore. La via di
Saliceto in procinto di diventare una delle maggiori arterie di traffico a carattere
industriale sarebbe stata migliorata sia nell’illuminazione che con l’aggiunta di
servizi, il tutto attraverso la formazione di un consorzio con i proprietari delle
industrie in funzione33.
Lo sviluppo urbanistico più recente
Dagli anni Settanta in poi Castel Maggiore continua a crescere in termini demografici e lo fa grazie ad una combinazione di aspetti. Da un lato c’è la vicinanza
con Bologna che trasforma una parte di Castel Maggiore in periferia del capoluogo, dall’altro c’è la presenza, proprio a partire da questi anni, di un settore
produttivo dinamico che proprio nella strada verso Bologna trova il suo punto
di forza. In una fase più recente Castel Maggiore è diventato invece uno di quei
comuni dell’hinterland bolognese appetibili per una migliore qualità della vita
e ciò spiega come sia potuto arrivare ad avere oggi una popolazione di quasi
18.000 abitanti.
La crescita di popolazione costante nei decenni ha ovviamente influito sul
tessuto abitativo portando alla costruzione di nuovi edifici residenziali. Ciò ha
portato a rafforzare la tendenza di un rafforzamento dei principali centri abitativi a discapito dei nuclei minori. Lo sviluppo urbanistico insomma era già stato
avviato in un senso ben preciso ed è continuato su questa linea sino ad oggi.
32
Ascm, Ufficio tecnico, Pratiche diverse, 1968-1972, busta 3.
33
Ascm, Ufficio tecnico, Pratiche diverse, 1968-1972, busta 3.
Matteo Troilo, Territorio e sviluppo urbano
129
L’unica grande novità, già però annunciata nei piani regolatori e intercomunali,
fu lo sviluppo della zona immediatamente al confine con Bologna ed in particolare con il quartiere Corticella. La frazione Primo Maggio costituisce così oggi un
interessante centro produttivo e residenziale.
Sull’evoluzione delle abitazioni costruite nel territorio cittadino è interessante vedere i dati dei censimenti che nel corso dei decenni hanno registrato le età
degli edifici. Partiamo dal censimento del 1971 che ci dà il quadro abitativo dei
primi decenni del dopoguerra di cui abbiamo parlato nei primi paragrafi. A quella data il 14 per cento delle abitazioni era stato realizzato negli anni precedenti
alla Grande guerra, mentre soltanto il 6,9 era stato costruito nel periodo tra i due
conflitti mondiali. Ben differenti le percentuali successive che illustrano in pieno
i processi sinora raccontati. Più del 26 per cento delle abitazioni proveniva dal
periodo 1946-1960, gli anni della ricostruzione e del ritorno alla normalità. Più
della metà degli edifici erano invece stati costruiti nel decennio 1961-1970, in cui
si erano mescolati vari elementi come il boom demografico (si passa da 6.699 a
10.153 residenti) e la realizzazione delle nuove zone industriali34.
Guardando ad un censimento più recente, quello del 2001 troviamo dati ancora in parte simili. Il 45 per cento delle abitazioni registrate nel 2001 era stato
costruito tra il 1946 e il 1971, mentre all’incirca il 35 per cento del patrimonio
edilizio cittadino proveniva dal trentennio 1972-2001. Ciò conferma come la crescita notevole fu negli anni della ricostruzione e dei piani intercomunali, quelli in
cui si diede un’impostazione al territorio cittadino sul quale si sarebbe impostato
lo sviluppo futuro35.
Negli ultimi anni il tema della pianificazione territoriale è ritornato fortemente in auge. Castel Maggiore fa parte dell’Unione Reno Galliera36, nata come associazione nel 2001 e diventata unione di comuni nel 2008. Oggi l’Unione è un ente
pubblico territoriale dotato di personalità giuridica e tra i vari servizi cui i comuni aderenti le affidano c’è la pianificazione territoriale e urbanistica. Quando era
ancora un’associazione la Reno Galliera nel 2003 ha stipulato una convenzione
per la costituzione e gestione dell’Ufficio di Piano e l’anno successivo una convenzione con la Regione per usufruire di finanziamenti per l’elaborazione del
Piano strutturale comunale in forma associata. I sindaci dei comuni della Reno
Galliera hanno elaborato successivamente documenti politici con obiettivi e linee strategiche da realizzare di fronte ad una realtà essenzialmente modificata.
Il territorio bolognese era sostanzialmente cambiato rispetto a quello sui cui
34
I dati sono presi da Istat, Censimento generale della popolazione del 1971.
35
I dati sono presi da Istat, Censimento generale della popolazione del 2001.
Oltre a Castel Maggiore vi fanno parte: Argelato, Bentivoglio, Castello d’Argile, Pieve di Cento,
San Giorgio di Piano e San Pietro in Casale.
36
130
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
quarant’anni prima aveva iniziato a lavorare Campos Venuti. Dal 1961 al 2001 la
città di Bologna ha subito una riduzione del 15 per cento di abitanti mentre tutta
la Reno Galliera negli stessi anni ha di fatto raddoppiato la sua popolazione. Le
parole d’ordine del piano non erano poi diverse da quelle usate negli anni Sessanta: favorire il policentrismo evitando il congestionamento verso il capoluogo,
puntare sui trasporti ed in particolare la ferrovia e sullo sviluppo dei servizi per
migliorare la vivibilità dei comuni dell’area. A completamento di questo percorso Castel Maggiore ha approvato nel 2010 un nuovo Piano strutturale comunale
nel quale alcune elaborazioni erano comuni alle altre realtà dell’Unione mentre
altre come il censimento delle risorse architettoniche, la carta archeologica e
l’analisi della viabilità urbana erano elaborate dagli uffici tecnici comunali.
Percorsi fotografici
A CURA DI CARLO DE MARIA
Percorsi fotografici
Sezione 1. L’eredità della guerra e dei bombardamenti
(Archivio storico comunale)
Palazzo comunale.
Il centro cittadino.
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134
Cooperativa del popolo.
Edifici distrutti in via Galliera.
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Percorsi fotografici
Edifici distrutti in via Matteotti.
Palestra delle scuole.
135
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Officina Rigosi.
Cimitero comunale.
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Percorsi fotografici
Sezione 2. Dalla ricostruzione al boom
(Archivio storico comunale)
Piazza della Pace.
Piazza della Pace.
137
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Progresso – Giardino e scuole elementari.
Progresso – Villaggio INA Casa e case popolari.
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Percorsi fotografici
Casa del Popolo.
Progresso – Stazione ferroviaria.
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Il traffico automobilistico.
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Percorsi fotografici
Sezione 3. Archivio Pci Castel Maggiore
Gli anni Cinquanta
L’associazionismo popolare.
L’assistenza all’infanzia colpita dalla guerra.
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Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Colonie marine.
Colonie montane.
Percorsi fotografici
Refezione scolastica.
Manifestazione di partito.
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I giovani “pionieri” di Castel Maggiore.
Riflessi della “Guerra fredda”.
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Percorsi fotografici
Sezione 4. Archivio Pci Castel Maggiore
Gli anni Sessanta
L’uscita dalla fabbrica.
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Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Festa de l’Unità.
Percorsi fotografici
147
Festa de l’Unità.
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Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Festa de l’Unità.
Percorsi fotografici
Festa de l’Unità.
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Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Sezione 5. Archivio Pci Castel Maggiore
Gli anni Settanta
Renato Zangheri, sindaco di Bologna, interviene a Castel Maggiore.
Manifestazione per il 25 Aprile.
Percorsi fotografici
Festa de l’Unità.
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Festa de l’Unità. Delegazione vietnamita.
Festa de l’Unità.
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Percorsi fotografici
Festa de l’Unità.
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Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Festa de l’Unità.
Percorsi fotografici
Festa de l’Unità.
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Percorsi fotografici
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Sezione 6. Campagna e paesaggi rurali
(Biblioteca comunale, raccolta fotografica del gruppo “La Focale”, 1982)
Case Hercolani, località Castello.
Sabbiuno di Piano.
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Case coloniche al confine con Bentivoglio.
Frabaccia.
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Percorsi fotografici
Località Ronco.
Quercia secolare, sullo sfondo la zona industriale.
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Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Pozzo località Ronco.
Località Boschetto.
Casa del Guardiano delle acque.
Percorsi fotografici
Quartiere Primo Maggio visto dai campi a ovest.
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Percorsi fotografici
Sezione 7. Cartoline degli anni Settanta e Ottanta
(Archivio storico comunale)
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Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Percorsi fotografici
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Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Istituzioni locali, economia e società
A cura di Carlo De Maria e Tito Menzani
Bologna (BraDypUS) 2016
ISBN 978-88-98392-33-9
p. 167-168
Gli autori
Carlo De Maria (Bologna, 1974), direttore dell’Istituto storico della Resistenza e
dell’Età contemporanea di Forlì-Cesena, presidente di Clionet. Tra i suoi interessi
di studio principali, la storia delle autonomie e la storia del socialismo. I suoi ultimi lavori sono la monografia Lavoro di comunità e ricostruzione civile in Italia.
Margherita Zoebeli e il Centro educativo italo-svizzero di Rimini (Viella, 2015), il
manuale per i Licei Una storia globale, 3 voll., Mondadori Education-Le Monnier
Scuola, 2015 (scritto con Vera Zamagni, Germana Albertani e Tito Menzani) e la
curatela del volume Il “modello emiliano” nella storia d’Italia. Tra culture politiche e pratiche di governo locale (Bradypus, 2014).
Luca Gorgolini (Macerata Feltria, 1975) è docente a contratto di Storia contemporanea presso l’Università di Modena e Reggio Emilia e borsista all’interno del
Centro studi sull’emigrazione della Università degli studi di San Marino. È socio
di Clionet e membro della redazione della rivista digitale “Storia e Futuro”. Tra
le sue pubblicazioni più recenti: L’Italia in movimento. Storia sociale degli anni
Cinquanta (Bruno Mondadori, 2013); Memorie italiane (con Alberto Malfitano,
Bruno Mondadori, 2012); I dannati dell’Asinara. L’odissea dei prigionieri austroungarici nella Prima guerra mondiale (Utet, 2011, tradotto in tedesco nel 2012,
e in serbo nel 2014).
Tito Menzani (Bologna, 1978) è docente a contratto di Storia economica e Storia dell’impresa all’Università di Bologna ed è co-fondatore di Clionet. La sua
attività di ricerca si è principalmente indirizzata verso lo studio del movimento
cooperativo e dell’industria meccanica. Collabora stabilmente con vari centri di
ricerca e istituti culturali, fra i quali la Fondazione Memorie Cooperative e la
Fondazione Ivano Barberini, e con diverse riviste scientifiche, italiane e interna-
168
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
zionali. Tra le sue pubblicazioni più note: Il movimento cooperativo fra le due
guerre. Il caso italiano nel contesto europeo (Carocci, 2009); La macchina nel
tempo. La meccanica strumentale italiana dalle origini all’affermazione in campo internazionale (Clueb, 2011).
Fabio Montella (Mirandola, 1969) è giornalista professionista e ricercatore. Tra
le sue pubblicazioni: 1918 Prigionieri italiani in Emilia (Il Fiorino, 2008) e Confucio Basaglia e il socialismo riformista modenese (Artestampa, 2012). È coautore
di Una regione ospedale. Medicina e sanità in Emilia Romagna durante la Prima
guerra mondiale (Clueb, 2010) ed è tra i curatori del Dizionario storico dell’antifascismo modenese (Unicopli, 2012). Nel 2013 ha pubblicato il saggio Rigenerazione, rieducazione, redenzione. Milano e il corpo dei soldati, nel volume Fronti
interni. Esperienze di guerra lontano dalla guerra 1914-1918 (Edizioni scientifiche italiane) e nel 2015 il saggio Modena nel volume Abbasso la guerra! a cura
di Fulvio Cammarano (Le Monnier).
Matteo Troilo (San Benedetto del Tronto, 1976), dottore di ricerca in Storia economica, è archivista presso il Polo archivistico regionale dell’Emilia-Romagna
(Parer). Collabora con l’Università di Bologna ed è vicepresidente di Clionet. Ha
pubblicato due monografie: Un’economia di famiglia. Strategie patrimoniali e di
prestigio sociale degli Aldrovandi di Bologna (Il Mulino, 2010) e Storia e protagonisti del turismo a San Marino (Aiep, 2011). Come archivista ha lavorato al riordino e all’inventariazione di numerosi fondi archivistici tra cui: le scuole tecniche
Aldini-Valeriani e Sirani di Bologna, la Camera del Lavoro di Forlì e la Federazione forlivese del Partito comunista italiano.
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Istituzioni locali, economia e società
A cura di Carlo De Maria e Tito Menzani
Bologna (BraDypUS) 2016
ISBN 978-88-98392-33-9
p. 169-174
Indice dei nomi
Abram, Gerrod, 93
Adolfo, Pietro, 53n
Alberghini, Andrea, 69
Albertini, Alessandro, 42n
Alighieri, Dante, 68
Amendola, Giovanni, 68
Andalò, Learco, 13n
Antinori, Nadia, 15, 16
Arbizzani, Anna, 15
Arbore, Renzo, 77
Bachelet, Vittorio, 69
Badini, Romano, 66
Baietti, Sanzio, 46
Baldacci, Francesco, 16n
Balletti, Adelmo, 54n
Bandiera, Irma, 68
Baratti, Olindo, 13n
Barbieri, Deodato, 34
Barbieri, Emilio, 34, 35
Barbieri, famiglia, 32, 35
Barbieri, Gaetano (nipote), 34
Barbieri, Gaetano (nonno), 34
Barbini, Donatella, 16
Bartali, Gino, 77
Baschieri, Angela, 16
Baschieri, Armando, 60n
Basco, Carmine, 47
Bassi, Franco, 57n, 59
Battilani, Patrizia, 41n, 48n
Battistini, Giovanna, 16n
Belletti, Nadia, 16
Bentini, Genuzio, 68 e n
Bentivogli, Giuseppe, 68
Bergamaschi, don, 90
Bergami, Luigi, 46
Bergami, Vittorio, 46
Bergonzini, Luciano, 56
Berlinguer, Enrico, 69
Bernardi, Virginia, 12, 62
Bertagnoni, Giuliana, 41n
Bertolini, Piero, 69
Betti, Eloisa, 34n
Betti, Valeria, 16
Bettin, Gianfranco, 15n
Bianchi Tonizzi, Maria Elisabetta, 31n
Bichecchi, Leana, 16
Bigalli, Davide, 13n
Bolelli, Calisto, 45
Bonafede Gardini, Rosanna, 28n
Bonazzi, Clodoveo, 69
Boncompagni, Gianni, 77
Bondì, Martino, 13n
Bonetti Altobelli, Argentina, 34 e n
Bongiovanni, Maria Letizia, 88n
Bonomi, Ivanoe, 11
Bonzi, Andrea, 93n
Borghi, Federico, 46
Borghi, Gian Paolo, 58n
Borghi, Luigi, 67n
170
Borsari, Paola, 10n
Bosscher, Doeko F. J., 57n
Bottini, Fabrizio, 17n
Bovina, Dino, 46
Brandola, Silvino, 54n
Bruno, Domenico, 5, 34n, 67n, 96n, 116n
Byron, George Gordon Noel, 69
Calace, Francesca, 35n
Calò, Antonio, 17n
Calvino, Italo, 69
Calza, Adriano, 47
Calza, Mario, 66
Cammelli, Marco, 14n
Campanini, Sanzio, 5
Campigotto, Antonio, 34n
Campos Venuti, Giuseppe, 5, 125 e n,
126 e n, 127, 130
Carati, Mario, 13n
Carati, Mauro, 46
Carati, Roberto, 68 e n
Carrai, Massimo, 12n
Carrattieri, Mirco, 18n
Casalini, Guerrino, 57n
Cattabriga, Claudia, 16
Cavalieri, Enrico, 5, 34n, 67n, 96n, 116n
Cavalli, Luciano, 15n
Cervellati, Alessandro, 58n
Cervellati, Domenico, 46
Cervi, fratelli, 68
Chiarini, Gaetano, 69
Chiarini, Roberto, 66
Ciardo, Vera, 16
Cimatti, Donatella, 16n
Cinieri, Gianni F.P. , 47
Cinti, Guerrina, 32n
Cinti, Sigismondo, 54n
Clerici, Marco, 90
Coccolini, Giuseppe, 126n
Collorafi, Federica, 27n, 32n
Coltelli, Marco, 47
Conte, Leandro, 42n
Coppi, Fausto, 77
Cordero Lanza di Montezemolo, Giuseppe, 69
Cossutta, Armando, 14n
Costa, Andrea, 69
Cremonini, Lorenzino, 27n, 55n, 71e n,
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
84n, 85n, 86n, 88n
Crescimbeni, Adelmo, 13n
Curiel, Eugenio, 68, 69
Curti, Luciano, 28n
Curti, Roberto, 34n, 35n
D’Andrea, Giovanni, 46
D’Attorre, Pier Paolo, 31n
Damiani, Aldina, 15, 63
De Amicis, Edmondo, 68
De Maria, Carlo, 7, 8, 12n, 18n, 37n,
125n
De Mauro, Tullio, 102n
De Morsier, Edoardo, 32
De Santis, Giacomo, 46
Della Casa, Cecilia, 32n
Della Peruta, Franco, 17n
Di Vittorio, Giuseppe, 69
Dickie, John, 70n, 78n
Dogliani, Patrizia, 11n, 12n, 62n
Dozza, Giuseppe, 14, 125
Drandola, Silvino, 46
Ekberg, Anita, 56
Ercolani (o Hercolani), Astorre, 119 e n
Ercolini, Gabriella, 16, 64
Ernesti, Giulio, 17n
Fabbri, Paolo, 68
Fanelli, Angelo, 5
Fava, Augusto, 45
Federici, Nora, 70n
Fini Zarri, Guido, 39
Firpo, Massimo, 101n, 102n
Fofi, Goffredo, 98n
Fornasari, Massimo, 45n
Foscolo, Ugo, 69
Frabetti, Guido, 57n, 59
Franceschi, Fiorenza, 16n
Franchi, Franco (detto Romagna), 67 e
n, 68
Franzoni, Gilberta, 88n
Fregna, Roberto, 5, 45n, 67n
Galeotti, Giulia, 11n
Galletti, Fiorenzo, 36
Galletti, Luigi, 36
Galletti, Ugo, 35
Matteo Troilo, Territorio e sviluppo urbano
Gamberini, Antonio, 46
Gambino, Antonio, 70n
Garulli, Carlo, 13 e n, 15, 16n, 28 e n,
30n, 34n, 51 e n, 52, 64, 72, 73 e n,
81, 122n
Garulli, Pina, 73
Garuti, Maurizio, 44n
Gasparini, Gianluca, 94n
Gazzotti, Leonello, 40
Gentile, Gerardo, 26n
Ghizzoni Manuela, 32n
Gianfranceschi, Gianfranco, 37
Gianfranceschi, Mario, 37
Gianfranceschi, Roberto, 37
Ginsborg, Paul, 98n
Giovanni XXIII, papa, 69
Giovannini, Dante, 39
Girotti, Albertina (detta Bruna), 64, 68
Giuntini, Andrea, 116n
Golfieri, Pietro, 69
Gorgolini, Luca, 8, 29n, 55n, 57n, 73n,
77n, 86n, 95n, 97n, 102n, 107n
Gottardi, Belinda, 5, 8, 16 e n, 64
Gramsci, Antonio, 68
Grandi, Achille, 69
Grandi, Maura, 34n, 35n
Grazia, Mauro, 16
Gruppioni, Luciano, 59
Guenzi, Alberto, 34n
Guerrini, Angiolino, 18n
Guerrini, Maura, 16 e n
Guidetti, Pietro, 12
Guidi, Guido, 46, 57, 69
Gurieri, Angela, 47
Gurioli, Anna, 47n
Hercolani (o Ercolani), famiglia, 119n
Isnenghi, Mario, 12n
Kennedy, Bob, 69
Kennedy, John, 69
Kroes, Rob, 57n
La Pira, Giorgio, 69
Lambertini, Callisto, 45
Lambertini, Carlo, 54n
Levi, Carlo, 69
171
Lodi, Mario, 69
Lollini, Maurizio, 47
Magagni, Silvana, 15
Magagnoli, Stefano, 33n, 73n, 81n
Malservisi, Giulio, 69
Mancarella, Cataldo, 66
Mandrioli, Gualtiero, 54
Manzoni, Alessandro, 68
Marcaccio, Marco, 16n
Maresti, Renzo, 16
Marino, Ottorino, 32n
Martelli, Zelinda, 69
Masina, Elvira, 15
Masioli, Elisa, 26n
Matta, Giovanni, 46
Mattei, coniugi, 90
Matteotti, Giacomo, 67, 68
Mazzacurati, Mario, 13, 14, 45, 63
Mazzanti, Alfredo, 81
Mazzanti, Mario, 12
Mazzanti, Walter, 73
Mazzoni, Amedeo, 15, 16n
Mazzoni, Maria, 16
Melega, fratelli, 68
Melega, Giuseppe, 12
Meliconi, Nando, 51n, 71n
Menarini, Otello, 66
Mengotti, Giovanni, 32
Menzani, Tito, 7, 8, 37n, 45n, 49n, 97n,
125n
Mezzetti, Maurizia, 69
Minella, Angiola, 65n
Mingardi, Andrea, 51 e n, 71n
Minzoni, Giovanni, 68
Modugno, Domenico, 73
Monesi, Marco, 16, 24
Montale, Eugenio, 69
Montanari, Valerio, 34n, 84n, 122n
Montella, Fabio, 8
Monti Boragine, Ave, 16n
Moro, Alessandro, 47
Mulazzani, Luana, 16, n
Musso, Stefano, 102n, 103n
Muti, Ettore, 67
Nani, Michele, 12n
Natoli, Antonio, 56n
172
Nerozzi, Paolo, 13n
Orlandi, Giuseppe, 43
Paci, Allegra, 26n
Palotta, Guido, 18n
Panconesi, Maurizio, 122n
Pandolfini Barbieri, Antonio, 58n
Parenti, Armando, 39
Parenti, Dino, 46
Parenti, Edera, 88
Parenti, Giovanni, 54n
Parenti, Walter, 69
Parisini, Roberto, 116n
Parri, Ferruccio, 69
Pascoli, Giovanni, 68
Pastore, Luca, 5, 34n, 67n, 96n, 116n
Pedrazzini, Alberto, 118n, 119n
Pellerani, Ester, 54 e n
Pesci, Federico, 28n
Pettazzoni, Arnaldo, 44n
Piccini, Morena, 16
Piluso, Giandomenico, 42n
Pinardi, Mario, 69
Pio IX, papa, 32
Pio XII, papa, 74
Pizzardi, Gaetano, 32
Poli, Giorgio, 92
Polito, Salvatore, 84, 85
Polsi, Alessandro, 119n
Proni, Lina, 15
Quasimodo, Salvatore, 69
Ravera, Camilla, 69
Renda Luppi, Girolama, 16 e n
Restani, Alessandra, 16n
Ricci, Gino, 117
Ridolfi, Maurizio, 11n, 12n, 17n
Rigosi, Aristodemo, 32
Rigosi, Bruno, 55
Rigosi, Ezio, 60n
Rigosi, Franco, 32
Rigosi, fratelli, 55, 59
Rigosi, Vincenzo, 82
Rimondi, Malvina, 54n
Roberti, Ludovico, 46
Rochat, Giorgio, 104n
Castel Maggiore dalla Liberazione a oggi
Romagnoli, Edmondo, 66
Romagnoli, Elena, 47n
Romagnoli, Umberto, 47
Romita, Giuseppe, 10 e n
Rosi, Francesco, 6
Rossi, Dorando, 12
Rossi-Doria, Anna, 11n
Roversi, Giancarlo, 32n, 34n
Ruggeri, Edmondo, 46
Rush, Donzell, 93
Rydell, Robert W., 57n
Salfi, Anna, 34n
Salsini, Giampaola, 16
Sangiorgi, Nello, 46
Santagada, Laura, 16
Santucci, Marco, 93
Sassoon, Donald, 55n, 71n, 74n,
75n
Sateriale, Gaetano, 104n
Savoia, famiglia reale, 40, 67n
Scarpellini, Emanuela, 41n, 42n
Secondino, Sergio, 8
Selleri, Monica, 16n
Serenari, Callisto, 80
Serenari, Lina, 12, 13, 15, 62, 63,
64
Servisi, Amedeo, 12, 53, 63
Siggi, cittadino, 72
Silvestrini, Maria Teresa, 12n
Solmi, Francesco, 46
Sonnino, Eugenio, 98n
Sorcinelli, Paolo, 55n
Sordi, Alberto, 51 e n, 71n
Sori, Ercole, 95n, 97n, 101n, 102n,
106n, 107n
Soverini, Nadia, 66
Spanedda, Maria Margherita, 16
Spano, Lidia, 104n
Spano, Nadia, 65n
Stefani, Dino, 66
Tarozzi, Fiorenza, 34n
Terranova, Ferdinando, 65n
Togliatti, Palmiro, 54
Tolomelli, Bruno, 46
Tolomelli, Edma, 15
Toniolo, Gianni, 42n
Matteo Troilo, Territorio e sviluppo urbano
173
Tranfaglia, Nicola, 101n, 102n
Trebbi, Carlo, 55
Trigari, Ivano, 83 e n
Troilo, Matteo, 8
Tudini, Flavio, 93
Turati, Filippo, 68
Vezzani, Giorgio, 58n
Vignali, Giordano, 88n
Vignoli, Alberto, 54n
Vignoli, Gino, 46
Umberto I, re, 67
Ungaretti, Giuseppe, 69
Zamagni, Vera, 31n, 45n
Zamboni, Pier Paolo, 93
Zanardi, Alex, 94 e n
Zanardi, Cristina, 94
Zanasi, Marcello, 12, 66
Zanella, Roberto, 8
Zanetti, Sandro, 16n
Zangheri, Renato, 150
Zarri, Leonida, 39, 61n
Zarri, Pietro, 61
Zunino, Pier Giorgio, 101n, 102n, 103n
Vacchi, Maria, 64
Valletta, Vittorio, 77
Vancini, Oreste, 69
Vannini, Romano, 60n
Vanzina, Stefano (in arte Steno), 71n
Varni, Angelo, 55n, 95n
Verdi, Giuseppe, 68
Verne, Jules, 69
Verri, Tiberio, 45n
Williams, Damon, 93
OttocentoDuemila
COLLANA DI STUDI STORICI E SUL TEMPO PRESENTE
DELL’ASSOCIAZIONE CLIONET
PRESSO BRADYPUS EDITORE
www.clionet.it
books.bradypus.net
Direttore: Carlo De Maria
Comitato di direzione: Francesco Di Bartolo, Luca Gorgolini, Tito Menzani, Fabio
Montella, Francesco Paolella, Matteo Troilo
Comitato scientifico: Enrico Acciai, Germana Albertani, Luigi Balsamini, Emanuele Bernardi, Eloisa Betti, Mirco Carrattieri, Sante Cruciani, Michelangela Di
Giacomo, Alberto Ferraboschi, Fiorella Imprenti, Alessandro Luparini, Barbara
Montesi, Antonio Senta, Gilda Zazzara
Coordinamento editoriale: Julian Bogdani, Erika Vecchietti, Marco Masulli
Orientata, fin dal titolo, verso riflessioni sulla contemporaneità, la collana è
aperta anche a contributi di più lungo periodo capaci di attraversare i confini
tra età medievale, moderna e contemporanea, intrecciando la storia politica e
sociale, con quella delle istituzioni, delle dottrine e dell’economia.
Si articola nelle seguenti sottocollane:
“Storie dal territorio”. Le autonomie territoriali e sociali, le forme e i caratteri della politica, dell’economia e della società locale, la storia e le culture d’impresa.
“Percorsi e networks”. L’attenzione per le biografie e le scansioni generazionali,
per le reti di corrispondenze e gli studi di genere.
“Tra guerra e pace”. La guerra combattuta e la guerra vissuta, i fronti e le retrovie, le origini e le eredità dei conflitti.
“Italia-Europa-Mondo”. Temi e sintesi di storia italiana e internazionale.
“Strumenti”. Le fonti e gli inventari, i cataloghi e le guide.
OttocentoDuemila, collana di studi storici e sul tempo presente
dell’Associazione Clionet, diretta da Carlo De Maria
Volumi usciti:
Eloisa Betti, Carlo De Maria (a cura di), Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo
economico e cambiamento sociale, Bologna, BraDypUS, 2014 (Storie dal territorio, 1).
Carlo De Maria (a cura di), Il “modello emiliano” nella storia d’Italia. Tra culture politiche e
pratiche di governo locale, Bologna, BraDypUS, 2014 (Storie dal territorio, 2).
Learco Andalò, Tito Menzani (a cura di), Antonio Graziadei economista e politico (1873-1953),
Bologna, BraDypUS, 2014 (Percorsi e networks, 1).
Learco Andalò, Davide Bigalli, Paolo Nerozzi (a cura di), Il Psiup: la costituzione e la parabola
di un partito (1964-1972), BraDypUS, 2015 (Italia-Europa-Mondo, 1).
Carlo De Maria (a cura di), Sulla storia del socialismo, oggi, in Italia. Ricerche in corso e riflessioni storiografiche, Bologna, BraDypUS, 2015 (Percorsi e networks, 2).
Carlo De Maria, Tito Menzani (a cura di), Un territorio che cresce. Castenaso dalla Liberazione
a oggi, Bologna, BraDypUS, 2015 (Storie dal territorio, 3).
Fabio Montella, Bassa Pianura, Grande Guerra. San Felice sul Panaro e il Circondario di Mirandola tra la fine dell’Ottocento e il 1918, Bologna, BraDypUS, 2016 (Tra guerra e pace, 1).
Antonio Senta, L’altra rivoluzione. Tre percorsi di Storia dell’anarchismo, Bologna, BraDypUS,
2016 (Percorsi e networks, 3).
Volumi in preparazione:
Luigi Balsamini, Fonti scritte e orali per la storia dell’Organizzazione anarchica marchigiana
(1972-1979), Bologna, BraDypUS, autunno 2016 (Strumenti, 1).
Fabio Montella (a cura di), “Utili e benèfici all’indigente umanità”. L’Associazionismo popolare
in Italia, il laicato cattolico e il caso della San Vincenzo de’ Paoli a Mirandola e Bologna, Bologna, BraDypUS, fine 2016 (Storie dal territorio, 5).
BraDypUS.net
COMMUNICATING
CULTURAL HERITAGE
Finito di stampare nell’ottobre 2016.