la trasformazione del nord est - Camera di Commercio di Trento

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la trasformazione del nord est - Camera di Commercio di Trento
4-2015
Rivista trimestrale della Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Trento – Anno LXIV n° 4-2015
Reg. Tribunale di Trento n° 34, Direttore responsabile Mauro Leveghi — Poste Italiane s.p.a. – Spedizione in A. P. – 70% Trento
nr 4-2015
LA TRASFORMAZIONE DEL NORD EST
Analisi storica, economica e sociologica di un “laboratorio” d’impresa
Economia trentina
Rivista trimestrale
della Camera di Commercio
Industria Artigianato e Agricoltura di Trento
Economia trentina
In questo numero
Anno LXIV - n. 4-2015
dicembre 2015
Direzione e redazione
Camera di Commercio I.A.A. di Trento
AREA SVILUPPO
Forum – La trasformazione del Nord Est
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e-mail: [email protected]
Non una crisi istantanea, ma di lungo, lunghissimo, corso ENRICO ZANINOTTO
pag.
6
Ha ancora senso parlare di Nord Est? DAVIDE GIRARDI
pag. 10
“Le Metamorfosi” MAURO MARCANTONI
pag. 14
www.tn.camcom.it
Reg. Tribunale di Trento n. 34
dell’11 agosto 1952
Presidente: Giovanni Bort
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Comitato editoriale: Alberto Folgheraiter,
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In redazione: Roberto Giampiccolo
Progetto grafico e impaginazione: Artimedia
Stampa: Publistampa Arti Grafiche
AREA ECONOMIA E AZIENDE
I mercati elettronici delle pubbliche amministrazioni,
opportunità o minaccia?
CHIARA CHEMELLI, MATTEO DEGASPERI
pag. 26
I Wood doctor con la Panda a metano
ALBERTO FOLGHERAITER
pag. 32
Sozialpartnerschaft trentina
FRANCO IANESELLI, ALBERTO MATTEI
pag. 35
Foto: Archivio della Camera di Commercio
di Trento; Bernardinatti; Archivio della Fondazione
Museo Civico di Rovereto; Archivio Ri-legno;
Archivio Iniziative Turistiche per la Montagna,
Trento-Pierluigi Cattani Faggion.
Poste Italiane s.p.a.
– Spedizione in Abbonamento Postale –
70% Trento nr. 4-2015
ISSN 0012-9879
AREA CULTURA E TERRITORIO
Viticoltura eroica e qualità del vino
FRANCESCO SPAGNOLLI
pag. 42
L’importanza di essere “Civico”
FRANCO FINOTTI
pag. 48
La triangolazione lavoro-povertà-famiglia
SILVIA BRUNO
pag. 52
Corrispondenza, manoscritti, pubblicazioni devono
essere indirizzati alla Direzione della rivista. Gli articoli firmati e siglati rispecchiano soltanto il pensiero
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Periodica Italiana - USPI
OLTRE I CONFINI PROVINCIALI
Combattere lo spreco e la povertà alimentare con la tecnologia
AARON CIAGHI, ADOLFO VILLAFIORITA
pag. 58
Turismo cinese: dinamiche e peculiarità di un nuovo mercato
RICCARDO SCARTEZZINI, ALESSANDRO FRANCESCHINI
pag. 63
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area sviluppo
Forum – LA TRASFORMAZIONE DEL NORD EST
ENRICO ZANINOTTO
Non una crisi istantanea, ma di lungo, lunghissimo, corso
DAVIDE GIRARDI
Ha ancora senso parlare di Nord Est?
MAURO MARCANTONI
“Le Metamorfosi”
Forum – LA TRASFORMAZIONE DEL NORD EST
Non una crisi istantanea, ma
di lungo, lunghissimo, corso
Stagnazione e turbolenza dietro la deludente performance media
dell’economia
ENRICO ZANINOTTO*
S
ono numerosi gli economisti che ritengono sia necessario risalire fino alla
fine degli anni 90 – secondo alcuni
addirittura fino al 1995 – per ritrovare
i primi segnali di stagnazione della crescita della
produttività totale dei fattori. Un indicatore importantissimo, questo, in quanto misura la crescita
del valore aggiunto conseguente al progresso
tecnico, ai miglioramenti nella conoscenza e
all’efficienza dei processi produttivi. Un modo,
* Professore ordinario presso il Dipartimento di economia e management dell’Università degli studi di Trento.
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dunque, per legare la capacità di avanzamento di
un Paese o di un settore, non tanto al maggior
impiego dei fattori produttivi (intesi come capitale, lavoro, organizzazione), quanto piuttosto alla
loro innovazione.
L’ultima rilevazione annuale ISTAT, in particolare,
ha mostrato come la produttività in Italia fosse
in calo da almeno vent’anni. Secondo l’Istituto
superiore di statistica, infatti, nel periodo 19952014, la produttività totale dei fattori è diminuita,
pur a fronte di un incremento medio del valore
aggiunto e dell’impiego complessivo di capitale
e lavoro. Massimo picco al ribasso, in particolare,
nel 2009.
Nello specifico, dal 1995 e fino al 2007, nel siste-
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Nel 2014 la produttività totale è scesa dello 0,2%,
la produttività del lavoro dello 0,7% mentre
è aumentata dello 0,8% quella del capitale
ma è stato inserito un numero sempre maggiore
di fattori produttivi ma la loro produttività non è
stata efficiente, anche perché non accompagnata
da un corretto investimento in termini di ricerca e
innovazione. Così anche il valore aggiunto generato dall’introduzione di tali input produttivi, dopo
una crescita iniziale, è diventato decrescente,
fino a crollare dopo il 2007 perché non supportato
da innovazione tecnologica né dall’inserimento di
nuovi fattori produttivi (con la crisi l’investimento
di capitali è diminuito).
Considerando le diverse componenti della crescita del prodotto, nell’intero periodo 1995-2014, si
può inoltre affermare che, a fronte di un aumento
iniziale degli input di lavoro e di capitale, si è registrata comunque una caduta della produttività
totale dei fattori. Venendo al 2014, in particolare,
si nota come la produttività totale sia scesa dello
0,2%, la produttività del lavoro dello 0,7% (a
seguito del calo del valore aggiunto, -0,5%, e del
modesto incremento dell’input di lavoro, +0,2%),
mentre è aumentata dello 0,8% quella del capitale (risultato di una forte contrazione degli input,
-1,3%, e di un calo più contenuto del valore aggiunto, -0,5%).
Tali andamenti riflettono, evidentemente, la difficoltà dell’economia italiana di adattarsi a due
cambiamenti fondamentali: l’ingresso nel mercato di nuovi attori (la “globalizzazione”) e il cambio
fisso collegato all’introduzione dell’euro che rende impossibile riproporre le politiche di svalutazione competitiva impiegate in passato. In questo
quadro, già di grande difficoltà, si innesta la crisi,
con effetti devastanti, soprattutto dell’ultima fase, perché la caduta della domanda ha ostacolato
la ristrutturazione delle imprese.
Operai in un cantiere edile.
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Zona industriale di Pergine Valsugana.
Una parte del sistema produttivo ha cercato
di adattarsi alla competizione internazionale
con un aggiustamento “al ribasso”
Sui motivi di questa difficoltà di lungo periodo di
crescita dell’economia italiana gli economisti hanno a lungo dibattuto. Un punto di vista condiviso
da molti è che alla fine degli anni 80 l’Italia abbia
terminato la lunga rincorsa alle economie dei Paesi di più antica industrializzazione (catching up) iniziata con il miracolo economico. Mentre le economie che rincorrono possono crescere attraverso
uno spostamento delle risorse dai settori meno
produttivi a quelli più produttivi (tipicamente,
dall’agricoltura all’industria) e importando tecnologie sviluppate altrove, i Paesi sviluppati per continuare a crescere devono generare innovazione
dall’interno. A questo cambiamento di rotta l’Italia
non era preparata: una economia basata sull’innovazione richiede infatti molte condizioni esterne:
una forza lavoro istruita, la presenza di istituzioni
di ricerca avanzate e ben collegate con il mondo
economico, una finanza capace di sostenere
investimenti rischiosi in innovazione, una rete di
servizi avanzati, generalmente localizzati in aree
metropolitane, che risponda alle nuove domande
di consulenza, progettazione, formazione delle
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imprese. Tutte queste condizioni sono difficili da
creare e la crisi ha rallentato questo processo.
Quella interpretazione tuttavia si scontra con una
visione che sottolinea invece l’eterogeneità della
situazione italiana. L’evidenza di una stagnazione
generale e di lungo periodo nasconde, in realtà,
una forte turbolenza, sicché dietro alla deludente
performance media c’è una fortissima variabilità
e situazioni in cui convivono imprese altamente produttive, in genere capaci di operare con
efficacia nei mercati e di posizionarsi in modo
opportuno nella catena internazionale del valore,
e imprese che cercano di sopravvivere cercando
di rincorrere la concorrenza sui costi portata dai
Paesi in via di sviluppo, soprattutto attraverso
riduzioni del costo del lavoro.
Questo dualismo sottostante la bassa performance media è stato acuito dalle misure per la
flessibilità nel mercato del lavoro, introdotte tra la
fine degli anni 90 e i primi anni 2000 (il pacchetto
Treu nel 1997 e la riforma Biagi nel 2003) come
tentativo di rispondere a mercati maggiormente
AREA SVILUPPO
La parte più vivace dell’imprenditoria italiana
sa rispondere alle esigenze specifiche dei clienti
con un’attività di “customizzazione”
competitivi e mobili. Si trattava di provvedimenti
fortemente asimmetrici, in quanto prevedevano
diversi trattamenti per chi entrava nel mercato del
lavoro rispetto a chi era già presente in esso con
posizioni a tempo indeterminato. Ciò generava un
dualismo nei profili temporali dell’impiego e nel
costo del lavoro. Una parte del sistema produttivo, in particolare, ha cercato così di adattarsi alla
competizione internazionale con un aggiustamento “al ribasso”, sostituendo manodopera stabile
con manodopera flessibile e meno costosa (ma
anche meno qualificata). Cosa che inevitabilmente ha avuto effetti sulla produttività. Per contro,
altre imprese hanno continuato a investire in innovazione, e in manodopera stabile e qualificata,
cercando di competere non sui costi, ma sulla
differenziazione del prodotto e l’ingresso in nuovi
mercati internazionali.
Nonostante la crisi, dunque, e a dispetto delle
medie, l’economia italiana si è mossa: l’economia
del Nord Est ne è un esempio. Leggere oggi il
Nord Est con le lenti del passato, delle economie distrettuali, ad esempio, non permettere di
cogliere i profondi cambiamenti in corso. I distretti tradizionali non esistono più e, nonostante
i tentativi di rincorsa al ribasso, le imprese che
hanno cercato di rincorrere la concorrenza sul
costo del lavoro si trovano in difficoltà sempre
maggiori. Per contro, in altre situazioni il distretto
si è riorganizzato attorno a imprese leader, la cui
rete di relazioni si è estesa permettendo loro di
posizionarsi adeguatamente nella catena internazionale del valore. Alcuni settori tradizionali che
costituivano punti di forza dell’economia del Nord
Est (come il mobile) sono pesantemente ridimensionati, mentre altri, come la meccatronica, stanno avendo grande successo e guidano la crescita
delle esportazioni italiane innestandosi in filiere
produttive a elevata crescita. La parte più vivace
dell’imprenditoria italiana (e del Nord Est in particolare) sembra scoprire che la sua vera specialità
è la capacità di risposta a esigenze specifiche dei
clienti, con una attività di “customizzazione” che
richiede velocità e innovazione. E questa ricetta
può essere applicata a molti settori, non solo a
quelli tradizionali del made in Italy.
La visione che deriva da queste osservazioni è,
per molti aspetti, meno negativa di quella che
guarda alla caduta della produttività come a un fenomeno omogeneo e a una caratteristica di sistema. Individuare e rafforzare quei modelli emergenti richiede però non solo capacità di lettura dei
fenomeni in corso, ma anche un cambiamento radicale dell’azione pubblica. Non solo la creazione
di un mercato del lavoro dualistico ha rallentato
il cambiamento (e per fortuna la legislazione sul
mercato del lavoro ha corretto alcune storture più
palesi), ma questo è stato ostacolato anche dalla
lentezza della riallocazione delle risorse verso le
imprese e i sistemi trainanti la crescita. Le imprese che hanno sviluppato la capacità di rispondere
rapidamente e con innovazioni alle esigenze dei
propri clienti abbisognano di personale qualificato, di servizi avanzati, di finanziamenti adeguati,
di accesso alle reti di comunicazione… In quello
che Daniele Marini chiama “il laboratorio del Nord
Est” c’è uno spazio fondamentale anche per la
sperimentazione di nuovi ruoli per le politiche
pubbliche.
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Forum – LA TRASFORMAZIONE DEL NORD EST
Interno di un’impresa meccanica.
Ha ancora senso parlare
di Nord Est?
Tre sfide da considerare per tornare a essere la “locomotiva d’Italia”
DAVIDE GIRARDI*
I
n che termini ha ancora senso parlare di Nord
Est? Nella risposta al quesito è da qualche
tempo impegnato il dibattito sull’opportunità
di impiegare la categoria “Nord Est” in modo
forte o, al contrario, di sottolineare i caratteri di
normalizzazione dell’area rispetto agli anni Novanta e ai primi anni Duemila. Certamente, il brand
“Nord Est” è stato per anni molto connotato su
diversi fronti, da quello economico a quello politico, fino a quello più ampiamente sociale; lo è stato fino a divenire una sorta di definizione di senso
comune che – come tutte le definizioni di senso
comune applicate ai diversi fenomeni sociali –
* Istituto Universitario Salesiano di Venezia e Università di Padova.
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garantiscono “facilità”, ma ingabbiano spesso
l’analisi complessa, oggi più che mai necessaria
anche per quello che fu “il Nord Est”.
Utilizzare il passato remoto, da questo punto di
vista, ha senso se si considera come la categoria
Nord Est venne coniata, per rappresentare fenomeni diversi da quelli di oggi: su tutti, la piccola
impresa come chiave portante di un’architettura
sociale che su di essa si reggeva per molta parte
e, nella dimensione partitico-politica, la percezione di un deficit di rappresentanza poi sfociato
nella nascita e nello sviluppo di formazioni come
la Lega Nord. Per altro verso, però, i fenomeni
che oggi interessano il Nord Est appaiono tuttora
degni di attenzione, e vale forse la pena analizzarli
perché rappresentano vere e proprie sfide per il
futuro dell’area, evitando di cestinarli assieme
AREA SVILUPPO
I fenomeni che oggi interessano il Nord Est
appaiono tuttora degni di attenzione e rappresentano
vere e proprie sfide per il futuro dell’area
alle categorie definitorie (da rivedere perché provvisorie). La volontà di comprensione di questi fenomeni, infatti, implica anche la consapevolezza
che essi abbiano ancora qualcosa da dire.
Innanzitutto, sul versante dell’impresa: se – anche alla luce della recente crisi economica – il
Nord Est non è più la “locomotiva d’Italia” tout
court – che negli anni 90 divenne quasi il paradigma della crescita economica – molte imprese del
Nord Est rappresentano ancora una punta avanzata dei processi che le aziende hanno dovuto affrontare per rispondere attivamente alle richieste
dei mercati internazionali, negli anni della crisi e
in quelli che ci attendono; dinamiche che hanno
riguardato un recupero di efficienza e di efficacia
giocato sui processi di innovazione interni, sulla
cura dei rapporti con i fornitori, sull’impiego di
capitale umano qualificato e sulla capacità di
simbolizzare i prodotti e le specificità del made
in Italy. In questa prospettiva, una delle sfide
richiamate sopra sarà proprio quella di estendere
le buone prassi di quelle aziende – soprattutto
di media dimensione – che nel Nord Est si sono
rivelate in grado di mettere a fattore comune le
caratteristiche riprese in precedenza, soprattutto
considerando come la variabile dimensionale non
sia più, oggi, l’unica utile a raccontare le diverse
traiettorie (di successo o meno) delle aziende.
In tal senso, piccole imprese capaci di innovare,
prestare attenzione strategica al capitale umano e
rappresentare adeguatamente il proprio prodotto
sono già presenti e vincenti nelle filiere internazionali; quanto più sistematiche diverranno tali
caratteristiche, tanto più l’area nordestina saprà
riacquisire percorsi di crescita strutturale e non
limitata ad alcune “eccellenze”, soprattutto in un
Presentazione del laboratorio di imprenditorialità per giovani talenti.
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Oltre alla crescita economica vanno
considerate anche le tendenze
demografiche venutesi a configurare
momento in cui paiono trasparire concreti segnali
di fiducia delle imprese rispetto a un futuro meno
statico di quello recente. Si tratterà poi di verificare i ritorni sul piano occupazionale, poiché anche
in un’area in cui la disoccupazione era divenuta
quasi frizionale la crisi ha portato conseguenze
non marginali, rendendo la disoccupazione stessa
un orizzonte non certo innominabile, sia per le coorti più giovani sia per quelle più adulte (espulse
dal mercato del lavoro in età più avanzata).
Focalizzare l’attenzione solo sulle imprese, però, rischierebbe di riproporre un appiattimento
sulla dimensione della crescita economica come
indicatore univoco di un territorio. Non meno
importante, tuttavia, è la sfida posta dalle tendenze demografiche venutesi a configurare in
particolare negli anni Duemila, soprattutto quelle
relative alla popolazione di origine straniera. L’apporto di quest’ultima sul piano delle esigenze
di lavoro delle imprese, di cura delle famiglie e
di più ampio contrasto all’invecchiamento della
popolazione è stato imprescindibile, ma oggi
nuove istanze attendono anche l’area nordestina: si pensi, in proposito, ai percorsi di mobilità
sociale dei giovani di origine straniera usciti dalle
aule scolastiche, che non potranno ripercorrere i
sentieri sperimentati dai genitori; oppure a quelli
di persone d’origine straniera, giovani e meno
giovani, che in questi anni hanno acquisito e stanno acquisendo la cittadinanza italiana (una quota
non più marginale). Il Nord Est, divenuto intrinsecamente più eterogeneo nelle caratteristiche
di chi lo abita, dovrà quindi fare i conti con una
maggiore consapevolezza di questa eterogenei-
Integrazione tra studenti all’Università di Trento.
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AREA SVILUPPO
Traffico sull’Autobrennero.
Nel nuovo Nord Est convivono riferimenti
e traiettorie plurali che richiedono un rinnovato
impegno di studio e di riflessione
tà, in vista della piena partecipazione alla vita del
Paese di una componente centrale (com’è quella
di origine straniera).
Una terza sfida che merita di essere segnalata
è relativa al tema della coesione sociale, certamente legata alle altre due segnalate in precedenza: se si pensa alla funzione di sviluppo e di
integrazione sociale garantita dalle aziende o alle
numerose realtà della società civile che hanno
permesso (non solo) le prime forme d’inserimento delle persone di origine straniera, infatti, non si
può evitare di riconoscere quanto l’area nordestina sia stata dotata di “capitale sociale diffuso” e
per molti aspetti lo sia ancora; da questo punto di
vista, così, si partecipa ancora alle associazioni e
alle iniziative culturali, rimanendo inoltre quello familiare il riferimento più importante. Queste risorse “sussidiarie”, però, non potranno surrogare a
lungo i deficit istituzionali, anche considerando
che i canali della fiducia si rivolgono precipuamente a famiglia, amici e volontariato, come hanno e-
videnziato ripetutamente diverse indagini recenti.
Così come a livello nazionale, cioè, la dimensione
della sfera pubblica si colloca “in fondo” alla classifica degli attori sociali reputati degni di fiducia
e sui quali poter contare in caso di difficoltà; la
necessità di “indirizzo” dei percorsi futuri è allora
molto urgente.
In conclusione, nel nuovo Nord Est convivono
sempre più riferimenti e traiettorie plurali, tanto
sul piano economico quanto su quello più ampiamente sociale. Per questo, è tale pluralità che
richiede un rinnovato impegno di studio e di riflessione, al di là del destino delle etichette utili a rappresentare – in modo più o meno semplificato – i
fenomeni che vengono di volta in volta analizzati.
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Forum – LA TRASFORMAZIONE DEL NORD EST
Cantiere edile ad Arco.
“Le Metamorfosi”
L’invisibile e tenace evoluzione del Nord Est
MAURO MARCANTONI*
V
eneto, Friuli-Venezia Giulia e TrentinoAlto Adige – meglio conosciuti come
“Nord Est” – negli anni Novanta vennero definiti “locomotiva d’Italia” per
il florido sviluppo economico di cui si erano resi
protagonisti. Strutturatosi sulla base di una forte
effervescenza e mobilità sociale, professionale
ed economica, accompagnata da una comune
visione e da uno stesso orizzonte di valori, il Nord
Est, da marginale e periferico, aveva assunto
un ruolo trainante, divenendo oggetto di studio
per le sue prestazioni economiche e per la ricchezza e benessere creati. Insomma, un punto
* Direttore generale di tsm-Trentino School of Management.
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Econo mi a t re nt i na
di riferimento per l’intero Paese. I motivi che
determinarono tanto successo sono legati a un
particolare senso di appartenenza al territorio, a
una comunità, a un’idea di sviluppo condivisa,
ossia alla presenza di una complicità tra società
ed economia, tra famiglie e imprese: l’autonomia,
la centralità dell’individuo, il valore del lavoro e
della solidarietà, nonché la reciproca fiducia tra
gli imprenditori, fecero sorgere miriadi di imprese
familiari orientate prevalentemente al mercato
domestico e compattate in filiere coordinate orizzontalmente, dove concorrenza e cooperazione
si configuravano come le due facce di una stessa
medaglia. Lo sviluppo si è mosso quasi in modo
inconsapevole, sulla base di conoscenze trasmesse in modo diretto e derivanti dall’esperienza, con un orientamento verso settori produttivi
AREA SVILUPPO
Con il nuovo millennio, la crescita del Nord Est
ha subìto un rallentamento progressivo
che ha suscitato alcuni timori
tradizionali e un basso investimento tecnologico,
del resto non necessario all’epoca.
Con il nuovo millennio, però, la crescita del Nord
Est ha subito un rallentamento progressivo, facendo emergere alcuni timori: si è conclusa la
fase ascendente di quest’area trainante? Che
speranze ci sono di tornare ai ritmi precedenti?
Perderemo il benessere raggiunto?
Questi gli interrogativi da cui parte Daniele Marini nel suo pregevole volume “Le Metamorfosi.
Nord Est: un territorio come laboratorio” (Marsilio, 2015) per effettuare un’analisi approfondita,
sia sotto il profilo storico sia per quanto concerne
la situazione attuale e il futuro del Nord Est e, con
esso, dell’Italia intera.
CAMBIARE PER RIGENERARSI
Sulla questione, a partire dal 2005, sono stati
condotti studi e indagini (rapporti della Fondazione Nord Est, dell’Unioncamere del Veneto, di
Veneto Lavoro e del Piano regionale di sviluppo
della Regione Veneto, per citare i più autorevoli),
evidenziando l’effettivo cambiamento registrato
nell’area, dal calo della manodopera a quello
demografico, dalla carenza di lavoratori locali
alla difficoltà di gestione familiare delle imprese
– vista quest’ultima come ostacolo a reiterare i
fattori propulsivi del passato. Sono stati segnalati
quelli che, con ogni probabilità, costituiscono i
fattori che hanno prodotto un rallentamento, ossia le incrinature di un sistema economico che,
nel produrre benefici, ha anche determinato una
situazione di sfondo per molti versi differente da
quella di partenza. Si pensi, ad esempio, che con
l’aumento del benessere si è verificato anche un
allargamento del livello di istruzione, con una conseguente scarsità di giovani disposti ad accogliere l’offerta di lavori manuali o non corrispondenti
al loro titolo di studio. Oppure a come, con l’ingresso di nuovi Paesi nel mercato internazionale,
si sia fatta avanti una concorrenza in settori prima
Studenti universitari alla Facoltà di lettere di Trento.
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Rispetto all’Italia, il Nord Est resta
a ottimi livelli, ma non se paragonato
con aree analoghe dell’Europa
esclusivamente appannaggio del Nord Est. O,
ancora, all’impatto nei sistemi di produzione delle
nuove tecnologie. Tutti aspetti che sono andati
a mettere in crisi l’organizzazione produttiva che
nei decenni precedenti tanto era riuscita a distinguersi nel panorama italiano.
A nessuno era sfuggita l’entità del problema ma,
se effettuare la diagnosi non era particolarmente
difficile, altrettanto non si può dire per quel che
riguarda la prognosi: da un lato vi era chi sosteneva che il Nord Est avrebbe ripreso vigore una
volta scongiurata la crisi, attuando progressivi
aggiustamenti per ritrovare il proprio equilibrio,
dall’altro chi riteneva necessario un intervento
programmatico, in grado di rinnovare l’area mettendola al passo con i tempi. Ossia che la defaillance rilevata nel Nord Est fosse in qualche modo
prevedibile, visti i rapidi e profondi cambiamenti
culturali, sociali e anche economici che hanno caratterizzato l’inizio del Millennio. Da qui la necessità di una leadership capace di proiettarsi verso
una nuova immagine del Nord Est e di affrontare
la sfida del nuovo che avanza. O almeno questa
era la proposta.
Dopo il 2005, si assistette a una leggera ripresa,
sebbene il Nord Est ancora non si fosse definito
in “qualcos’altro”, ma continuasse, almeno in
apparenza, lungo la strada imboccata in passato.
C’era, tuttavia, la consapevolezza tra gli attori
principali di dover “affrontare un salto evolutivo”,
sia sotto il profilo del sistema produttivo, sia per
quanto riguarda la visione d’insieme, culturale
e identitaria. E questa consapevolezza riuscì a
tradursi in un invisibile quanto tenace processo di
trasformazione o, per meglio dire, di metamorfosi. Molti indicatori confermano questa tendenza.
Ad esempio, un dinamismo negli orientamenti
delle nuove generazioni imprenditoriali che, nonostante la crisi, iniziavano a palesare un cauto
ottimismo, indirizzando le loro imprese verso un
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Econo mi a t re nt i na
processo di terziarizzazione destinato a procedere in modo significativo, fino a rendere arduo
identificare il prettamente industriale rispetto ai
servizi tout court. Processo che è stato affiancato, oltre a una crescente internazionalizzazione,
anche dalla spinta verso la specializzazione e l’innovazione: dalle ricerche e dai rapporti sulla crisi
del Nord Est, risulta che le imprese che in quegli
anni sono riuscite a mantenersi competitive avevano puntato su prodotti o servizi che altri non
erano in grado di realizzare. Insomma, avevano
intuito cosa poteva fare la differenza.
Nonostante molte fossero le spinte di trasformazione, è opportuno rilevare che si trattava di
un fenomeno legato a una bassa percentuale di
imprese. E anche in queste poche coraggiose
permanevano aspetti legati al “vecchio” modo
di gestire l’impresa. Non tutti questi aspetti, in
verità, rappresentavano un elemento di disturbo.
O meglio, nel loro insieme solo alcuni erano entrati a far parte del processo di metamorfosi ma,
inevitabilmente, venivano frenati nella loro spinta
propulsiva da quanto ancorava l’economia del
Nord Est al passato e anche dalle resistenze alle
novità e alle trasformazioni che sempre insorgono in questi casi.
Le cose cominciarono a cambiare in modo più
significativo a partire dal 2009, anno dal quale
si è assistito a un iniziale processo di rigenerazione del Nord Est. Un primo cambiamento è
ravvisabile nella scolarità delle nuove generazioni,
sempre più orientate verso gli istituti tecnici e
professionali, anziché verso i licei. Come se, dopo
tanto parlare della carenza di figure specializzate
all’interno dell’industria, le famiglie si fossero
rese conto che l’istruzione doveva dimostrarsi
coerente con l’offerta economica dell’area. Ma,
ovviamente, per avere una cognizione di cosa
produrrà questa tendenza, bisognerà aspettare
ancora qualche anno. Un secondo cambiamen-
AREA SVILUPPO
Traffico pesante a Bolzano.
to è dato dall’aumento della coesione sociale,
soprattutto grazie agli elementi di innovazione
introdotti dalle cooperative sociali e assistenziali,
le quali, pur continuando a svolgere un ruolo di
supporto alla pubblica amministrazione, hanno
incrementato i servizi sul versante privato. Un
altro elemento rigenerativo è identificabile nelle
nuove modalità di apertura ai mercati esteri: anche prima di allora il Nord Est aveva dimostrato
una propensione all’internazionalizzazione, ma
da questo momento l’approccio cambia: diviene
primaria la vicinanza al cliente, la capacità di offrire risposte immediate e personalizzate, con una
conseguente riorganizzazione delle filiere produttive, sempre più corte e formali per reggere la
competizione in campo internazionale e con un
allungamento, invece, della rete, per presidiare
nuovi mercati.
I PUNTI CRITICI
Questo il panorama attuale. Tuttavia, nel volume
di Marini, viene evidenziata la permanenza di
alcuni elementi di disturbo: il primo è la scarsa
quota di capitale umano disponibile per il sistema
produttivo, mediamente intorno al 18% contro
il 32% dell’Unione europea. Il secondo una
mancanza di capacità attrattiva del territorio agli
investimenti esteri: questo aspetto riguarda prevalentemente il Veneto – dato che Friuli-Venezia
Giulia e Trentino-Alto Adige hanno visto in realtà
un aumento della quota di imprese partecipate –
ed è probabile che le cause, oltre alla differenza di
gestione tra regioni autonome e ordinarie, siano
ravvisabili in problemi legati alle infrastrutture
e alla logistica. Il terzo elemento è relativo alla
competizione internazionale. Certo, rispetto al
resto di Italia il Nord Est mantiene a ottimi livelli,
ma non se posto a paragone con aree analoghe
dell’Europa: dal confronto, emerge che, a parità
di struttura produttiva, le differenze spiccano per
quanto riguarda le risorse e il capitale umano. E
qui arriviamo a uno dei punti più dolenti dell’attuale situazione. Perché è evidente che, se le imprese del Nord Est non riescono o non possono
investire in risorse e capitale umano, questo è dovuto in larga parte a una mancanza di appoggio da
parte delle istituzioni, le quali non si preoccupano
abbastanza di sostenere la metamorfosi in atto e
lo sviluppo economico. Da un Rapporto del 2011,
risulta che la maggior parte degli imprenditori
che si sono proiettati sui mercati esteri lo hanno
fatto con un senso di solitudine, percependo la
propria regione come marginale sotto il profilo e-
E co n o m ia tr e n tin a
17
Interno di un’industria di componentistica.
conomico e politico. In altri termini, si sono dovuti
arrangiare, hanno dovuto fare da sé. E, spesso, la
staticità istituzionale, con una pubblica amministrazione incapace di rinnovarsi rispetto al nuovo
che avanza e con tempi lunghissimi per varare e
attualizzare le riforme, ha portato diverse industrie a scegliere l’estero non solo come mercato,
ma anche come sede definitiva. Perché in altri
Paesi la pressione fiscale è di gran lunga minore
e l’amministrazione pubblica in grado di fornire le
condizioni base non solo per restare a galla in un
momento di crisi, ma anche per risultare competitivi a livello internazionale. Tirando le somme, la
situazione generale si presenta come segue: piccole industrie, con solo un mercato domestico,
schiacciate dalla crisi; piccole e medie industrie,
capaci di rinnovarsi rispetto alle tecnologie, agli
input provenienti dal sociale, di aprirsi sui mercati esteri risultando competitive; altre (medie o
grandi) che abbandonano l’Italia con una “fuga
delle imprese” forse ancora più allarmante della
già nota “fuga dei cervelli”. Un fenomeno per
ora contenuto, sottolinea Daniele Marini, ma che
potrebbe diventare contagioso, fino al rischio, per
l’Italia, di perdere il suo Nord Est.
CRESCERE IN EQUILIBRIO TRA RINNOVAMENTO E TRADIZIONE
Tuttavia, la soluzione non sta esclusivamente
nell’internazionalizzazione, la quale è sì di grande
importanza, ma non senza aver preventivamente
aggiustato il tiro sugli altri punti oscuri. Il processo
18
Econo mi a t re nt i na
che aveva portato il Nord Est a tanto splendore,
a conti fatti, era stato più istintivo che meditato,
ossia proveniva da un modo di fare economia
basato su dei fattori fondativi dello sviluppo, depositati da tempo – pur con le dovute differenze
– nel Veneto, nel Trentino-Alto Adige e nel FriuliVenezia Giulia: capitalismo familiare, localismo,
riferimento al territorio, competenze non formalizzate. Fattori che da soli erano stati in grado di
indicare la giusta via, ma che, sull’onda di una
trasformazione rapida e per molti versi incontrollata del sistema sociale e culturale, si sono rivelati
insufficienti a reggere il colpo. Anch’essi, tuttavia,
stanno subendo una metamorfosi. Economia e
società non sono mondi separati, e l’uno dall’altro
traggono linfa se sanno muoversi in sintonia, se
sanno capirsi, trovare un’intesa. In caso contrario,
è come vedere sulla pista due ballerini che si
muovono uno a tempo di valzer e l’altro a tempo
di rock, mentre di sottofondo suona musica jazz.
L’effetto, in questi casi, è devastante.
Sembra che ci sia, oggi, un Nord Est che ha già
radiografato il futuro e si trova, pertanto, proiettato nella globalizzazione, all’apertura con i mercati
esteri, alla ricerca di collaboratori con sempre più
elevata specializzazione, pronto allo sviluppo di
reti culturali e di eventi diffusi sul territorio, alla
contrattazione con sindacati e lavoratori, nonché
con un’esperienza di welfare sia nel pubblico che
nel privato. Mentre gli fa da contraltare un Nord
Est primitivo, geloso del proprio passato, con
visioni localistiche dello sviluppo economico e
incapace di accordarsi al nuovo; un secondo Nord
AREA SVILUPPO
Senza la consapevolezza della necessità
di una nuova vision, è da mettere in preventivo
il rischio di un affossamento
Est che rifiuta di cambiare e trova rassicurazioni
solo nel portare avanti schemi antiquati rispetto
ai tempi, nella convinzione che tutto potrebbe
tornare come prima una volta superata la fase di
crisi.
A questo si aggiunge la percezione esterna di
quello che rappresenta l’industria, profondamente
cambiata negli ultimi anni: un tempo “industria”
era sinonimo di benessere, occupazione, salario,
prospettive di miglioramento; oggi è subentrato
un nuovo criterio, ossia la sostenibilità. Non basta
che un’impresa porti lavoro e ricchezza, è necessario che riesca a farlo nel rispetto dell’ambiente,
senza aumentare il traffico o l’inquinamento. C’è
poi da considerare la percezione dell’industria
come luogo di lavoro. Sempre più giovani, come
già osservato, non vedono alcuna attrattiva nella
fabbrica, probabilmente perché permane nel loro
immaginario la figura dell’operaio, del lavoro prettamente manuale. Eppure le cose sono cambiate:
nelle industrie trovano impiego tecnici, informatici e molte altre figure professionali. Senza
contare che, non di meno, andrebbe rivalutato e
riconsiderato il lavoro manuale, che oggi non solo
è ben remunerato, ma offre anche grandi garanzie di stabilità. Si tratta, in conclusione, di riuscire
a trasmettere all’esterno la nuova immagine del
lavoro industriale, al fine di renderlo attrattivo.
Pertanto, senza la consapevolezza – che alcune
imprese già hanno dimostrato di avere – della
necessità di una nuova vision, ossia quell’insieme
di valori e ideali che definiscono la progettualità
di lungo periodo, il rischio di un affossamento
anziché di una ripresa è da mettere in preventivo.
Ma come prefigurare il futuro? Come riuscire a
capire in anticipo quali siano le mosse più appropriate non solo di far fronte alla crisi, ma addirittura di scavalcarla, producendo eccellenza?
Daniele Marini propone soluzioni tailor made,
confezionate su misura. Le imprese oggi hanno
Operazioni di saldatura.
E co n o m ia tr e n tin a
19
Innovare, diversificare, ascoltare, capire,
anticipare, il che significa, soprattutto, puntare
sul capitale umano e sulla sua formazione
sì bisogno di rinnovarsi, ma senza dimenticare le
proprie specificità. Ad esempio, è nota la difficoltà delle imprese italiane a crescere oltre una certa
dimensione, ma non sempre essere più grandi
significa essere più grossi: quel che conta è la
crescita organizzativa e qualitativa, magari combinata all’attenzione rispetto al mercato. Oppure la
questione della famiglia imprenditoriale, modello
ampiamente diffuso nel Nord Est e, come si diceva, ritenuto limitante: è vero che un’eccessiva
concentrazione delle leve di comando mal si accompagna con le possibilità di cambiamento, ma
è altrettanto vero che molte imprese sono riuscite a compiere una metamorfosi nella conduzione
manageriale grazie al passaggio del timone nelle
mani delle nuove generazioni. Quindi, non tutto
quello che ha costituito in passato un valore e un
fondamento per le imprese del Nord Est deve per
forza di cose essere abbandonato. Semmai va
riveduto, riadattato al cambiamento esterno con
estrema consapevolezza.
Ad esempio, non va sottovalutata la metamorfosi
che – in parallelo con quella dell’industria – sta verificandosi nella società. I valori cardine del Nord
Est non sono sostanzialmente mutati. Restano
centrali il lavoro, l’autonomia, l’intraprendenza, la
famiglia, la solidarietà, l’appartenenza a un territorio. Eppure la possibilità di praticarli e renderli
centrali non è la stessa di un tempo. La famiglia
è notevolmente cambiata, la religione ha perduto
il suo ruolo di collante sociale e l’appartenenza
al territorio è sentita in una valenza allargata,
in direzione nazionale e anche europea. Nuove
forme di interazione sociale si sono sovrapposte
alle precedenti (Facebook, Twitter e i social network in generale), modificando in modo incisivo
le modalità di relazione tra persone e comunità. E
nuovi valori, nuove esigenze stanno emergendo,
in primis una richiesta di qualità della vita, che si
traduce in aumento di tempo dedicato alle attività
culturali, ma anche in bisogni legati ai servizi: asili
nido per madri lavoratrici, assistenza per anziani,
Bambini in un asilo nido.
20
Econo mi a t re nt i na
AREA SVILUPPO
Corso di formazione professionalizzante ad Accademia d’Impresa.
tanto per portare i due esempi più eclatanti. Tutti
elementi, insieme ad altri dovutamente presi in
considerazione da Marini nella sua analisi (come
l’impatto della nuova realtà costituita dall’immigrazione) di cui oggi è impellente tenere conto.
LE PREMESSE PER RIGENERARSI
Dall’osservazione del comportamento delle imprese che hanno saputo rinnovarsi e riorganizzarsi, emergono alcuni aspetti e alcune dinamiche
che potremmo definire “premesse strategiche”
per una rigenerazione. Il primo è il fattore tempo:
con le nuove tecnologie oggi le imprese possono comunicare in tempo reale in ogni parte
del mondo, organizzare la propria produzione e
distribuzione a distanza, trovare fornitori all’esterno del loro territorio. In un mondo che continua
a cambiare a velocità vertiginose, è necessaria
altrettanta velocità, coniugata alla flessibilità, per
riuscire a cavalcare l’onda. E, pertanto, l’investimento in tecnologie avanzate è indispensabile.
Tuttavia, sembra che le nuove tecnologie entrino in contrasto con le tradizionali logiche del
distretto, legate al territorio. Secondo le analisi
pluriennali realizzate da Mediobanca, solo un
terzo delle relazioni produttive e commerciali
delle medie e piccole imprese del Nord Est sono
rimaste nei confini territoriali di origine, mentre gli
altri due terzi si distribuiscono nel resto d’Italia e
all’estero. Questo significa che, per competenze
particolari o per la scelta dei fornitori, spesso le
imprese si rivolgono all’esterno del loro territorio.
Non si tratta, però, di un declino della formula
distrettuale, a cui gli imprenditori del Nord Est
restano sostanzialmente legati, quanto a una sua
metamorfosi: da “di-stretto” a “dis-largo”, ossia
il passaggio da una forma definita e strutturata a
una flessibile e adattiva, a un’apertura relazionale
che, comunque, mantiene (innovando) un forte
contatto con il territorio di appartenenza. Rapporto che trova la propria linfa nella tradizione, nei
rapporti privilegiati con la cerchia di conoscenze
e nella creazione del capitale umano.
Un ulteriore elemento chiave è la flessibilità.
La flessibilità comporta una pluralità a livello di
produzione e di servizi, ma anche la capacità di
ascoltare e recepire cosa di nuovo è atteso, muoversi per assecondare il mercato in tempi utili,
evitare di fossilizzarsi su un solo prodotto, proprio
per la velocità con cui tutto cambia. E questo ha
un peso a livello di investimenti sui macchinari,
che non possono più essere pensati solo per la
realizzazione di un particolare prodotto, e soprattutto a livello di servizi, che sempre più assurgono
a fare la parte del leone nel nuovo trend economico. Innovare, diversificare, ascoltare, capire,
anticipare, il che significa, soprattutto, puntare
sul capitale umano e sulla sua formazione. Da
diversi studi, rapporti e analisi, risulta che solo le
imprese strutturate organizzativamente, che hanno investito nell’innovazione e sul capitale umano
E co n o m ia tr e n tin a
21
La zona industriale e commerciale a Nord di Trento.
sono riuscite ad affacciarsi sui mercati esteri e a
sostenere il peso della crisi. Le altre, ancorate al
mercato domestico, specie se di piccole dimensioni, stanno conoscendo una pericolosa deriva.
E stiamo parlando delle sopravvissute ad oggi,
perché, in mezzo, tante medie e piccole imprese
hanno chiuso i battenti.
Un altro fattore è l’approccio all’internazionalizzazione. In Italia, e così nel Nord Est, prevalgono
imprese di piccole o medie dimensioni, ossia
non sufficientemente strutturate per investire
all’estero. Eppure, deteniamo l’ottavo posto al
mondo in fatto di esportazioni. Questo perché,
al di là della “delocalizzazione”, ossia strategie di
breve periodo che inducono le imprese a produrre dove di volta in volta costa meno, il processo
di metamorfosi ha indotto una nuova formula,
definita “multilocalizzazione”, che consiste non
solo nel cercare territori dove poter produrre a
costi inferiori, ma anche nel vederli come mercati
in cui insediarsi. Così, anche se negli ultimi anni è
diminuito il numero di imprese in grado di presidiare mercati esteri, nel contempo le imprese che
ci sono riuscite lo hanno fatto all’insegna dell’innovazione e ottenendo non solo ottimi riscontri,
ma anche trascinando con loro (volenti o nolenti)
imprese terziste o subfornitrici più piccole, in
22
Econo mi a t re nt i na
grado di garantire prodotti o servizi non reperibili
con lo stesso grado qualitativo oltre confine. Un
simile processo, pertanto, ha il potere di generare
un’osmosi di arricchimento anche sul territorio
d’origine – e non di impoverirlo, come si temeva
– confermando che il passaggio da “di-stretto” a
“dis-largo” porta più vantaggi di quanto potrebbe
sembrare ad un’analisi superficiale. Inoltre, altra
conseguenza non indifferente, l’internazionalizzazione ha spinto molti imprenditori al confronto
con le imprese di altri Paesi, le quali agiscono
con maggior concerto istituzionale e finanziario:
da qui l’esigenza, sempre più sentita, di aumentare la cooperazione tra imprese, di fare sistema.
In altri termini, per aumentare la competitività,
è importante senza dubbio puntare sull’innovazione di qualità (dei prodotti e dei servizi), ma
anche curare la rete di relazioni e cercare alleanze aggregative, entrare a far parte di filiere per
proiettarsi sui mercati esteri, scambiare risorse,
informazioni e formazione. L’ideale, secondo
Marini, sarebbe arrivare alla costituzione di un
ecosistema dell’innovazione, il quale garantirebbe una maggiore permeabilità delle strutture
formative con le imprese, un migliore raccordo
con le strutture di trasferimento tecnologico, con
la pubblica amministrazione, con il mondo del
AREA SVILUPPO
Le sfide aperte dal confronto internazionale
esigono una classe dirigente fondata
su nuovi aspetti valoriali, culturali e professionali
credito e della finanza, sostenendo sia la nascita
di nuovi soggetti imprenditoriali, sia il completamento del processo di metamorfosi delle imprese che ne hanno la necessità. Il tutto tenendo
vivo il rapporto con il territorio, così come alcune
imprese già fanno, pur avendo avviato il processo
di internazionalizzazione. Il che comporta investire nella formazione professionale, nell’ambiente,
nelle relazioni con gli altri attori del territorio, con
i sindacati, con il mondo dell’associazionismo e
del volontariato.
LE RESPONSABILITÀ DELLA CLASSE DIRIGENTE PUBBLICA E DI QUELLA PRIVATA
L’apertura ai mercati esteri si sta dunque delineando come un’opportunità di trasformazione. La
quale è accompagnata anche da una riaffermazione e ri-definizione dell’identità industriale del
Nord Est, attenta alla qualità del prodotto, risoluta
a non tramutarsi in gestrice di operazioni finanziarie e orgogliosa di portare il made in Italy nel
mondo. Questo in positivo. In negativo, va osservato che l’identità territoriale non è affiancata da
una fiducia nelle istituzioni, come risulta da una
ricerca nazionale di Community Media Research.
Gli italiani si sentono parte di un territorio allargato, a plurilivello (luoghi di origine, nazione, Europa), ma nutrono scarsa stima rispetto alla classe
dirigente, soprattutto nel Nord Est e soprattutto
rispetto alla classe dirigente nazionale, la quale
viene percepita come corrotta, spesso pronta ad
abusare del proprio potere e incapace di attuare
riforme significative o, quando le attui, di farlo con
tempi biblici. Questo malcontento nei confronti
dell’operato a livello centrale cambia se si va a
indagare invece sul livello locale. Da una ricerca esplorativa condotta su trenta testimoni privilegiati
del Nord Est, alla pars destruens se ne associa una costruens, con il riconoscimento di una classe
dirigente, pubblica e privata, capace di operare in
modo sostanzialmente positivo e ispirata al senso
di responsabilità verso la società e verso il futuro.
Tra i limiti, vengono segnalate scarse sinergie e
collegamenti nelle iniziative, ma soprattutto la
necessità di costruire una leadership del Nord Est
sul piano nazionale, affinché venga innescato un
appoggio attivo allo sviluppo e alle imprese. Una
leadership che non si può improvvisare, ma che
deve essere adeguatamente formata e in modo
continuativo. Perché le sfide aperte dal confronto
internazionale esigono una classe dirigente, sia
nel pubblico che nel privato, fondata su nuovi
aspetti valoriali, culturali e professionali, la cui
formazione va programmata e resa permanente.
UNA NUOVA CONFIGURAZIONE GEOECONOMICA
Questo anche in considerazione del fatto che la
metamorfosi non si è affatto conclusa, non fosse
altro per via di ulteriori processi di cambiamento
in atto. Dal 2004 il Nord Est non è più un’area di
confine, ma ha acquisito una posizione centrale
sotto il profilo geoeconomico: il suo territorio è
attraversato dal Corridoio V, che da Lisbona porta
a Kiev; dall’asse delle autostrade del Mare, che
mettono in comunicazione il nord Europa con
l’Adriatico e poi con l’Oriente; dall’asse ferroviario Berlino-Palermo, che passa per il Brennero e
Verona. Insomma, un punto centrale tra Nord e
Est Europa. Ma anche un punto privo dei supporti
e coordinamenti normativi necessari, nonché di
un alto grado di autonomia per mettere a frutto
le opportunità che questa nuova configurazione
geoeconomica offre. Ecco perché – insiste Marini
– oggi più che mai è necessario che le istituzioni
accompagnino lo sviluppo del Nord Est secondo
parametri nuovi, in un’azione di coordinamento
e controllo che preveda anche largo margine di
E co n o m ia tr e n tin a
23
La richiesta di autonomia
da parte del Nord Est non equivale
alla richiesta di secessione
autonomia, affinché le imprese possano dar vita
a tutte le loro potenzialità.
Ma questo sarà possibile solo se tutta la classe
dirigente locale sarà in grado (e messa nelle condizioni) di “fare squadra” a Roma, affrontando le
problematiche che potrebbero rivelarsi ostacoli
per il futuro: gli assetti del sistema produttivo,
la salvaguardia ambientale, la tutela della qualità
della vita, la sostenibilità del welfare locale e, per
il Veneto, il federalismo fiscale e l’autonomia.
In altri termini, un Nord Est a geometria variabile,
dai più volti rispetto alle identificazioni del passato, con più articolazioni e modalità espressive, e
che cerca qualcosa oltre se stesso, soprattutto
oltre i confini italiani, pur necessitando di un progetto comune alla base.
Marini, nel finale del suo saggio, chiarisce un punto importante, forse troppo spesso equivocato:
la richiesta di autonomia da parte del Nord Est
non equivale a una secessione. Anzi, al contrario,
forse sono proprio gli imprenditori del Nord (in
senso ampio, in questo caso) a chiedere un solido intervento dello Stato e di un’amministrazione
pubblica capace di regolare lo sviluppo, sebbene
sotto formule diverse da quelle attuali. C’è la sensazione che, alla rapidità dei cambiamenti che si
vivono sul lavoro e nel sociale, non faccia da controparte un parallelo cambiamento del contesto
di sfondo: infrastrutture carenti, servizi che non
tengono il passo con le nuove domande sociali,
burocrazia appesantita e che appesantisce. Oggi
che le economie si sono aperte all’internazionalizzazione, c’è bisogno di interventi rapidi, più flessibili, meno invasivi e più vicini alle esigenze dei
territori. E, senza dubbio, di una classe dirigente
del Nord Est che, alle doti di leadership e responsabilità sociale, sappia affiancare un costruttivo
dialogo con le istituzioni centrali.
Faldoni di pratiche burocratiche.
24
Econo mi a t re nt i na
area economia e aziende
CHIARA CHEMELLI, MATTEO DEGASPERI
I mercati elettronici delle pubbliche amministrazioni, opportunità o minaccia?
ALBERTO FOLGHERAITER
I Wood doctor con la Panda a metano
FRANCO IANESELLI, ALBERTO MATTEI
Sozialpartnerschaft trentina
I mercati elettronici delle
pubbliche amministrazioni,
opportunità o minaccia?
Un team di esperti della Camera di Commercio a supporto delle
imprese locali
CHIARA CHEMELLI*, MATTEO DEGASPERI**
L’
acquisto di beni e servizi attraverso il
ricorso ai mercati elettronici rappresenta, per le pubbliche amministrazioni (PA) italiane e per le imprese
fornitrici, una delle più radicali innovazioni nei
rapporti tra il mondo pubblico e quello privato.
Tali innovazioni, introdotte nel 2012 con la finalità
di monitorare e razionalizzare la spesa pubblica
del sistema Italia, si individuano nei provvedimenti legislativi comunemente noti come spending
* Ufficio economato della Camera di Commercio Industria Artigiana-
review1, che hanno sancito, tra l’altro, l’obbligo
per tutte le pubbliche amministrazioni del ricorso
ai mercati elettronici per l’acquisto di beni e servizi di importo inferiore ai 207mila euro (la cosiddetta soglia comunitaria).
A circa tre anni dall’introduzione di tali provvedimenti è utile fare il punto della situazione per
capirne l’evoluzione, cercando anche di analizzare
l’impatto che le innovazioni procedurali hanno
avuto sul tessuto imprenditoriale provinciale.
I mercati elettronici per le pubbliche amministrazioni sono mercati digitali in cui le PA devono acquistare i beni e i servizi di cui necessitano, offerti
to e Agricoltura di Trento.
**Ufficio studi e ricerche della Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Trento.
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Econo mi a t re nt i na
1 Identificati nelle Leggi 94/2012 e 135/2012 di conversione dei Decreti legge n. 52 e 95.
I mercati elettronici per le pubbliche amministrazioni
sono mercati digitali in cui le PA devono
acquistare i beni e i servizi di cui necessitano
dalle imprese presenti. La tipologia dei beni e dei
servizi reperibili su tali mercati, nonché le modalità e i termini dei contratti, sono definiti a monte
dai soggetti deputati alla loro gestione mediante
l’adozione di appositi bandi.
Le imprese interessate possono chiedere di
essere presenti su tali mercati, previo completamento di un’apposita procedura di abilitazione
e successiva pubblicazione dei propri cataloghi
contenenti le caratteristiche principali dei prodotti
offerti.
Le pubbliche amministrazioni possono procedere
ad acquisti diretti on-line (Ordine d’acquisto - OdA) ovvero possono avviare delle procedure di richiesta di offerta (RdO), attraverso le quali richiedere alle imprese presenti offerte migliorative
nel prezzo o sotto il profilo qualitativo. Possono
inoltre reperire prodotti specifici non presenti nei
cataloghi pubblicati, ma rientranti nelle categorie
merceologiche oggetto dei bandi.
In ambito nazionale il più importante mercato
elettronico attivo è il “Mercato elettronico della
pubblica amministrazione - MePA”2.
A partire dalla metà del 2012, inizia quindi un
processo di crescita esponenziale del MePA, sia
con riguardo al numero delle imprese presenti
e prodotti offerti, sia con riguardo al numero e
valore delle transazioni, passate dai 360 milioni di
euro del 2012 ai 1,47 miliardi del 2014.
In questo ambito, anche la Provincia autonoma
di Trento ha fatto la sua parte; infatti ha promosso, con particolare enfasi, il mercato elettronico
provinciale accessibile a tutte le amministrazioni
locali, denominato “Mercato elettronico della
Provincia autonoma di Trento - ME-PAT”, gestito
dall’Agenzia provinciale per gli appalti e contratti
2 Istituito dall’art. 11 del DPR 101/2002 e gestito da Consip, società
per azioni del Ministero dell’economia e delle finanze, che ne è
azionista unico.
E co n o m ia tr e n tin a
27
AREA ECONOMIA E AZIENDE
La consultazione del ME-PAT all’Ufficio economato.
Sul mercato elettronico trentino gli ordini
di acquisto registrati sono passati dai 193
nel 2013 ai 1.786 dell’anno successivo
(APAC) e operativo sulla piattaforma Mercurio
presidiata da Informatica trentina SPA, società
partecipata dalla PAT.
Sul mercato elettronico trentino gli ordini di acquisto registrati sono passati dai 193 del 2013 ai
1.786 dell’anno successivo, per un valore complessivo salito dai 245mila euro del 2013 ai 2,3
milioni di euro del 2014 (Tab. 1), ai quali devono
essere sommati gli importi relativi alle RdO avviate nel 2014 per ulteriori 400mila euro.
Con riferimento ai dati disponibili, le imprese locali che operano sui mercati elettronici sono 692,
di queste 352 iscritte solo al MePA, 199 solo al
ME-PAT e 141 a entrambi i mercati elettronici3.
Focalizzando l’analisi sul MePA, per il quale si
dispone di dati in serie storica, risulta che le imprese locali abilitate sono passate dalle 75 unità di
metà 2013 alle 493 di giugno 2015, un aumento
significativo, superiore al trend di incremento
rilevato a livello nazionale e anche a quello fatto
registrare in provincia di Bolzano, dove, nello
3 Dati aggiornati alla fine di giugno 2015.
28
Econo mi a t re nt i na
stesso biennio, si è passati da 70 a 256 imprese.
La presenza delle imprese trentine sul MePA, in
termini percentuali rispetto alle imprese attive, è
pari a 1,05%, un valore superiore a quello della
provincia di Bolzano (0,47%) e al dato medio nazionale (0,77%).
Con riferimento alle transazioni e agli importi
ordinati negli ultimi due anni dalle pubbliche amministrazioni trentine si evidenzia un costante e
sensibile aumento. Nel 2013 le transazioni erano
2.523, per un valore di poco superiore agli 8 milioni di euro, nel 2014 questi valori sono più che
raddoppiati: le transazioni salgono a 5.366 e il
valore dell’importo ordinato a 19,7 milioni di euro.
Il trend nella prima metà del 2015 non sembra
arrestarsi: al 30 giugno le transazioni risultano
2.992 e il valore degli ordini è pari a 15 milioni di
euro (Tab. 2).
Simili nell’ordine di grandezza sono anche i valori
delle vendite delle imprese con sede in provincia
di Trento. Infatti, nel 2014 il dato complessivo
dei contratti attivi era pari a 22,4 milioni di euro,
mentre nella prima metà del 2015 si è attestato
sui 14,3 milioni di euro.
Una percentuale ben superiore al 50%
della spesa delle PA trentine sul MePA
si orienta verso imprese extra-provinciali
Anno
Extra-Trentino
Trentino
AREA ECONOMIA E AZIENDE
Tab. 1 – ME-PAT - Valore degli Ordini di acquisto per anno verso imprese trentine o extra-trentine
Totale complessivo
2013
€ 3.709
€ 241.467
€ 245.176
2014
€ 504.556
€ 1.819.524
€ 2.324.080
Tab. 2 – Numero di transazioni e importo ordinato, per anno, dalle PA trentine sul MePA
Anno di riferimento
N° transazioni
Importo ordinato
2013
2.523
€ 8.126.639
2014
5.366
€ 19.731.225
2015 (fino al 30 giugno)
2.992
€ 15.043.593
Un’informazione interessante è legata poi alla
consistenza delle vendite di fornitori locali alle PA
della provincia di Trento o, in altri termini, la quota
di acquisti realizzata sul MePA dalle amministrazioni trentine presso fornitori provinciali. Tale
valore nel 2014 risulta pari a 8,6 milioni di euro,
mentre nella prima metà del 2015 si assesta sui
5,1 milioni di euro.
Nello scorso anno quindi quasi il 44% della spesa
per acquisti delle PA locali, transitata sul MePA,
è stata realizzata a favore delle imprese trentine,
mentre il 56% è stato destinato a contratti di cui
hanno beneficiato imprese con sede fuori provincia, mentre nella prima metà del 2015 tali percentuali sono del 34% e del 66% rispettivamente.
Analogamente, con riferimento ai contratti di
vendita, nel 2014 oltre il 38% è stato realizzato
da imprese trentine verso PA trentine, mentre nel
62% dei casi le forniture erano dirette ad amministrazioni extra-provinciali e percentuali analoghe
si rilevano nel primo semestre dell’anno in corso.
Ultimata l’illustrazione delle nuove procedure
di acquisto di beni e servizi, che le pubbliche
amministrazioni sono tenute ad adottare, e illu-
strati gli scenari che interessano principalmente
gli operatori provinciali sul MePA, in attesa del
consolidarsi dell’operatività del mercato elettronico provinciale, appare utile effettuare alcune
considerazioni.
La prima considerazione è la constatazione che
una percentuale ben superiore al 50% della spesa delle PA trentine sul MePA si orienta verso
imprese extra-provinciali. Questo dato, in prima
istanza, potrebbe portare a ritenere che sia in atto una perdita di quote di mercato delle imprese
trentine a vantaggio delle imprese fuori provincia,
causata dall’introduzione dell’obbligo di ricorso ai
mercati elettronici.
Analizzando, però, con maggiore attenzione tali
dati, disaggregandoli per categoria merceologica
(bandi) (Tab.3), emerge che degli oltre 15 milioni
di euro spesi dalle PA trentine nella prima parte
del 2015, oltre 5 milioni hanno come oggetto
“beni e servizi per la sanità”, dei quali solo il 4%
è stato effettuato in favore di imprese locali. A
riguardo è però indispensabile sottolineare che
nel tessuto imprenditoriale provinciale sono quasi
assenti imprese che operano in tale ambito e che
E co n o m ia tr e n tin a
29
Tab. 3 – Acquisti delle PA trentine sul MePA per bando (con indicazione della percentuale da
fornitori locali) e vendite di fornitori trentini sul MePA per bando (con indicazione della percentuale verso PA locali) - Anno 2015 (dati fino al 30 giugno)
Anno
Bando
2015
Antincendio - servizi di manutenzione
degli impianti antincendio
2015
Acquisti
delle PA
% Acquisti
da fornitori
locali
Vendite
fornitori
% Vendite
alle PA locali
Vendite
fornitori alle
PA locali
161.517,29
68,09%
139.923,31
78,60%
109.979,65
Arredi 104
1.909.277,27
31,42%
1.309.042,92
45,82%
599.807,14
2015
Bss - beni e servizi per la sanità
5.009.555,64
4,34%
309.424,48
70,22%
217.290,88
2015
Cancelleria 104
820.566,55
42,25%
484.580,85
71,55%
346.707,68
2015
Carburanti, combustibili, lubrificanti
e liquidi funzionali
1.257,50
0,00%
2015
Elettrici 105 - servizi di manutenzione
degli impianti elettrici
26.250,05
100,00%
29.829,05
88,00%
26.250,05
2015
Elevatori 105 - servizi di
manutenzione degli impianti elevatori
170.882,46
59,6%
110.476,60
92,19%
101.849,92
2015
Eventi 2010
173.826,90
81,48%
152.769,82
92,71%
141.628,90
2015
Facility management urbano
1.000.849,65
96,32%
981.103,70
98,26%
963.988,28
2015
Farma
332,20
0,00%
2015
Fonti rinnovabili
2015
Ict 2009
2015
8.159,51
0,00%
2.625.344,17
35,51%
7.229.009,41
12,89%
932.155,66
Matel 103 - materiale elettrico
486.888,45
65,14%
326.182,72
97,24%
317.180,31
2015
Mis104 - materiale igienico sanitario,
beni raccolta rifiuti e sacchi e
attivatori
698.498,59
34,72%
698.751,25
34,70%
242.496,09
2015
Mobilità e monitoraggio
80.050,00
0,00%
267.302,00
2015
Office 103 - prodotti, servizi,
accessori, macchine per l’ufficio ed
elettronica
331.929,48
24,87%
311.808,31
26,47%
82.548,18
2015
Prodotti alimentari
154.012,00
14,89%
22.928,00
100,00%
22.928,00
2015
Promas 114
442.245,77
29,65%
426.651,85
30,73%
131.120,58
2015
Servizi di informazione
15.250,00
0,00%
2015
Servizi di logistica
13.559,84
100,00%
63.395,91
21,39%
13.559,84
2015
Servizi postali
21.564,00
0,00%
2015
Sia 104 - servizi di pulizia e di igiene
ambientale
744.273,58
95,73%
1.294.050,63
55,06%
712.502,59
2015
Termoidraulici - conduzione e
manutenzione degli impianti
termoidraulici e di condizionamento
147.502,58
85,68%
175.951,15
71,83%
126.382,58
2015
Totale bandi
15.043.593,48
33,82%
14.333.181,97
35,50%
5.088.376,34
quindi pochissime sono quelle aderenti al bando
MePA in questione.
La seconda considerazione, di segno diametralmente opposto alla prima, ha come oggetto la
percentuale, oltre il 60%, di contratti stipulati
da imprese provinciali verso pubbliche amministrazioni extra-provinciali, questo dato potrebbe
infatti indurre a ritenere l’esistenza di consistenti
potenziali vantaggi per le imprese locali, che han-
30
Econo mi a t re nt i na
no saputo affrontare e adeguarsi al meglio alle
mutazioni imposte alle procedure delle gare d’appalto. Considerazione che trova conferma nella
più alta percentuale di imprese trentine aderenti
al MePA, rispetto alla media nazionale.
Risulta tuttavia molto complesso stabilire se le
imprese trentine siano complessivamente riuscite a beneficiare oppure siano state sfavorite dalle
modifiche procedurali che hanno interessato il
La Camera di Commercio ha attivato un servizio
di assistenza alle imprese locali per accompagnarle
mondo delle gare d’appalto. Tali difficoltà interpretative risiedono principalmente nel fatto che
le informazioni e i dati disponibili sugli approvvigionamenti pubblici effettuati con le procedure
tradizionali, ante 2012, sono per lo più carenti e
frammentate. Non è possibile infatti acquisire,
se non attraverso un’indagine specifica presso le
singole amministrazioni, la quota di acquisti che,
fino al 2012, venivano affidati dalle amministrazioni alle imprese del territorio.
Pur con la consapevolezza che l’analisi effettuata
è solo parziale, non sembra, allo stato attuale,
che i mercati elettronici possano avere influito
negativamente nei confronti delle imprese locali,
ma piuttosto, pare che, fino a oggi, tali mercati
rappresentino più un’opportunità che una minaccia per le imprese della provincia di Trento; ciò
vale, però, a livello complessivo e può non essere
attinente a specifiche nicchie di mercato e tipologie di prodotto. Per concludere, anche alla luce
delle informazioni raccolte fino a ora dalla Camera
di Commercio di Trento, si deve però prendere
atto, che procedure di abilitazione e di utilizzo dei
mercati elettronici sono, per la maggior parte delle imprese trentine, completamente nuove e in
alcuni casi presentano notevoli elementi di complessità operativa e burocratica che richiedono
ingente impiego di tempo e risorse, che vengono
quindi sottratte all’attività produttiva. Per questo
motivo, la Camera di Commercio ha attivato un
servizio di assistenza alle imprese locali, soprattutto di micro e piccole dimensioni, mettendo a
loro disposizione un team di persone esperte in
grado di assisterle nelle diverse fasi di approccio
e di utilizzo delle piattaforme digitali.
Tale iniziativa si integra in un percorso di diffusione delle competenze nella gestione degli strumenti digitali nei rapporti fra imprese e pubblica
amministrazione avviato dall’Ente camerale già
nel 2012.
E co n o m ia tr e n tin a
31
AREA ECONOMIA E AZIENDE
nell’utilizzo delle piattaforme digitali
Riabilitazione di strutture lignee di un capannone a Trento.
I Wood doctor con la Panda
a metano
“I nostri nonni hanno sempre usato il legno, noi per un po’ abbiamo
dimenticato quanto fossero straordinarie le proprietà di questo
materiale, ma oggi cerchiamo di riscoprirle, risanando ciò che di bello
abbiamo già: tetti, case, grandi strutture” (Lavinia Sartori)
ALBERTO FOLGHERAITER*
C
ome i più celebri fly doctor intervengono nei casi disperati. Ma per il momento, a meno di due anni dall’avvio dell’azienda, una start-up davvero singolare
perché, come dicono i due fondatori, operano
“oltre la sostenibilità” e per lavoro si spostano
con una Panda a metano. “Inutile far debiti per
una vettura di grossa cilindrata e fare sfoggio di
ciò che non siamo” avverte Lavinia Sartori, 38 anni, ingegnera civile, co-fondatrice della “Ri-legno”
con il compagno, Giulio Franceschini, 44 anni,
pure lui ingegnere. È una piccola azienda, che ha
* Giornalista e scrittore.
32
Econo mi a t re nt i na
grandi progetti e grandi ambizioni: ridare vita alle
travature e ai manufatti di legno in precarie condizioni di stabilità. Possono avere tre anni di vita
come trenta, ma comunque bisognosi di cure e
di radicale restauro.
Lui, Giulio Franceschini, quindici anni di esperienza nell’ambito dell’industria del legno; lei Lavinia
Sartori, causa anche il momento storico di crisi
economica, reduce da esperienze professionali
precarie nell’ambito dell’ingegneria civile, sempre a sentirsi dire: “Se vuoi lavorare porta lavoro,
procura commesse che noi te ne affidiamo una
parte”.
Stufa di sentirsi dire che doveva fare l’imprenditrice in conto terzi, ha deciso di fare tutto da se
“Noi controlliamo le strutture in legno,
facciamo il check-up, somministriamo
stessa. A quel punto, i giovani ingegneri si sono
guardati alle spalle, anzi, si sono girati e anziché
puntare all’innovazione e lanciarsi nell’hi-tech si
sono tuffati nel passato. Hanno puntato tutto
sulla old economy, sulla cura dei manufatti. Prima
ancora di cominciare quella che si è dimostrata
un’avventura vincente, hanno chiesto in giro:
secondo voi c’è spazio per la riqualificazione delle
strutture di legno?
Era il 2013. La crisi dell’edilizia – e non solo – era
al culmine, ma, quando Lavinia Sartori e Giulio
Franceschini hanno avuto cinque risposte affermative su cinque, si sono lanciati.
È nata così “Ri-legno”.
Ha scritto Silvia Pagliuca sul “Corriere della Sera”
(21 marzo 2015): “La sua non è una start-up come le altre: non è young e non è digital, per dirla
come i novelli imprenditori”. I soci fondatori sono
tre: “lei”, ingegnera professionista di 38 anni, fino a un anno fa costretta a tutte le forme del precariato (da tirocini non retribuiti a collaborazioni a
500 euro al mese), “lui”, il suo compagno, anni
44, a sua volta ingegnere ma per una multinazionale dove però non c’era più spazio per lui, e “l’altro”, suo padre, 73 anni e ancora tanta voglia di
fare. “Dai business plan alle fotocopie”, ridacchia
Lavinia, che confida: “Mi sono chiesta più volte
se avessi superato il tempo massimo, se fossi
stata troppo grande per presentarmi come start­
upper. Avevo paura di ritrovarmi a competere con
ragazzi appena usciti dalle università, ma poi ho
capito che gli anni in più erano esperienze a mio
favore e dunque vaccini contro gli errori”. Ancora:
“I nostri nonni hanno sempre usato il legno, noi
per un po’ abbiamo dimenticato quanto fossero
straordinarie le proprietà di questo materiale, ma
oggi cerchiamo di riscoprirle, risanando ciò che di
bello abbiamo già: tetti, case, grandi strutture”.
È partita in questo modo l’avventura nel mondo
del… passato, nella old economy. Un ufficio a canone agevolato in una vecchia fabbrica dismessa,
la Manifattura tabacchi di Rovereto; gli strumenti
Riabilitazione strutturale di uno scivolo per piscina.
E co n o m ia tr e n tin a
33
AREA ECONOMIA E AZIENDE
eventuali cure e rimettiamo in sesto”
Operaio specializzato di Ri-legno
In un anno e mezzo gli interventi
sono stati più di cinquanta, dal Trentino
a Milano, Roma e in tutta Italia
acquistati poco per volta: un trapano penetrometrico, per verificare la bontà del materiale
legnoso, e un igrometro per misurare l’umidità,
per cominciare.
Spiega Giulio Franceschini: “Noi controlliamo
le strutture di legno, facciamo il check-up, prescriviamo e somministriamo eventuali cure e in
caso rimettiamo in sesto”. Gli fa eco Lavinia Sartori: “Finora i costruttori e i pittori intervenivano
soltanto in parte, mentre noi siamo in grado di
fornire un servizio completo: dalla diagnosi alla terapia. Si parte dall’indagine diagnostica dal punto
di vista dell’ingegneria strutturale con le tecnologie più avanzate per finire con la riqualificazione
estetica della struttura”.
Su un immobile si effettuano vari tipi di controlli.
Consentono di considerare lo stato di efficienza
della struttura ma anche di valutare gli eventuali
costi e i tempi necessari per il suo ripristino.
“Ri-legno” offre anche un pacchetto-prevenzione: verniciatura, fissaggio dei bulloni, serraggio
dei cavi. Tutti accorgimenti che possono prolungare la vita delle strutture di legno ed evitare
34
Econo mi a t re nt i na
costi aggiuntivi. In un anno e mezzo gli interventi
sono stati più di cinquanta: dal Trentino a Milano,
Roma e in tutta l’Italia. Spiega Lavinia Sartori:
“Collaboriamo con le più grosse aziende produttrici di elementi strutturali di legno. Abbiamo sede
anche al TIS di Bolzano e abbiamo dato il via a un
importante progetto di ricerca nell’ambito della
diagnostica strutturale. Ci occupiamo inoltre di
tutta la fase operativa e di esecuzione dei lavori
di risanamento in cantiere”.
Nei primi due anni di vita la start-up roveretana
ha già fatturato oltre trecentomila euro con prospettive rosee tant’è che sul sito Internet http://
www.ri-legno.it la piccola azienda dice di essere
interessata alla collaborazione di tecnici appassionati del legno.
Se è vero, come si diceva una volta, che “le vie
del Signore sono infinite”, i due ingegneri di “Rilegno” sono disponibili a percorrerle tutte. Con la
Panda, ma anche con l’aereo.
Sozialpartnerschaft trentina
Storia, caratteristiche e prospettive della concertazione territoriale
FRANCO IANESELLI*, ALBERTO MATTEI**
I
l dialogo sociale nella provincia autonoma di
Trento si è caratterizzato negli ultimi decenni
per l’elevato grado di coinvolgimento delle
parti sociali nella definizione delle politiche
nei campi del lavoro, del sociale e dello sviluppo
sul modello della Sozialpartnerschaft austriaca.
Quello adottato in Austria è un sistema di cooperazione volontaria tra il governo e i principali
gruppi di interesse sulle politiche economiche
e sociali, istituito nel secondo Dopoguerra e
tuttora operante. In quel contesto il corporatismo è strutturato su base volontaria, poggiando
* Segretario generale della CGIL del Trentino.
**Assegnista di ricerca in Diritto del lavoro all’Università di Verona e
collaboratore della CGIL del Trentino.
però sulla presenza di istituzioni pubbliche, le
Camere (Kammer), con adesione obbligatoria dei
lavoratori (Arbeiterkammer) e dei datori di lavoro
(Wirtschaftkammer). Tale sistema, inoltre, si è
sviluppato prevalentemente sul piano nazionale
piuttosto che nei singoli territori. Eco di quella
esperienza è arrivata anche in Alto Adige e in
Trentino. Se l’espressione Sozialpartnerschaft
appartiene pienamente al dibattito pubblico sudtirolese, l’intensità della concertazione territoriale
in Trentino negli ultimi decenni è stata tale da rendere questo territorio più simile al vicino austriaco
che non al resto d’Italia. L’istituzione nel 2011
dell’Euroregione tra Tirolo austriaco, Alto Adige e
Trentino rafforza questa convinzione.
La contaminazione, anche sul terreno delle pratiche di dialogo sociale, sembra dunque destinata
a crescere.
E co n o m ia tr e n tin a
35
AREA ECONOMIA E AZIENDE
Manifestazione di CGIL, CISL e UIL in Piazza Dante a Trento.
Per la previdenza complementare regionale
l’anno “zero” è il 1998 quando le parti sociali
crearono il fondo negoziale Laborfonds
Storia, caratteristiche e prospettive della Sozialpartnerschaft in chiave trentina sono al centro di
questa analisi.
Le radici della Sozialpartnerschaft trentina si
rintracciano alla fine degli anni Settanta, quando
la lungimiranza della classe dirigente politica e
sindacale di allora spinse tutte le parti sociali,
comprese le organizzazioni dei lavoratori, verso
processi di contrattazione territoriale a sostegno
dello sviluppo economico e sociale del territorio.
Il primo grande banco di prova di questo modello
concertativo è stato la “Legge provinciale sul
lavoro”1. Il provvedimento venne varato in un
contesto storico singolare: tra la fine degli anni
Settanta e l’inizio degli anni Ottanta il Trentino
visse una drammatica crisi industriale, che spinse istituzioni dell’epoca e parti sociali a muoversi
su un terreno fino a quel momento inedito per
contenere quanto più possibile gli effetti negativi
della crisi sul piano occupazionale e sociale.
Con la “Legge provinciale sul lavoro” si stabilì
nei fatti un metodo che responsabilizzava tutti gli
attori del territorio, istituzioni, sindacati, associazioni datoriali, realtà del sociale, nella individuazione e definizione di strumenti di politica attiva
del lavoro per sostenere le persone licenziate.
Nacque, poi, l’esperienza del “Progettone”, per
favorire la rioccupazione dei disoccupati “anziani”
in cooperative impegnate nella cura dell’ambiente e del verde pubblico.
Negli oltre trent’anni che ci separano da quella
prima esperienza di Sozialpartnerschaft la concertazione trentina si è evoluta. Si è sviluppata nel
processo di formazione delle decisioni pubbliche
con i patti territoriali; attraverso il coinvolgimento dei sindacati nella sottoscrizione di accordi
organizzativi e occupazionali con imprese che
ricevono contributi pubblici per la ricerca; con i
protocolli tra istituzioni e parti sociali su sviluppo
e coesione sociale, come quello sulla produttività
del dicembre 2012, sottoscritto unitariamente, a
differenza dell’accordo nazionale e come il patto
per lo sviluppo economico e il lavoro dell’aprile
2014, firmato in piena controtendenza rispetto
all’abbandono delle intese concertative al livello
nazionale2.
La via trentina alla concertazione è maturata
anche grazie a due importanti passaggi, la definizione del progetto di previdenza complementare
su base regionale e la sottoscrizione del Patto di
Milano tra Stato e Provincia autonoma di Trento
del 2009, che ha ridefinito risorse e competenze
dell’autonomia speciale, con deleghe di funzione
sull’università e sugli ammortizzatori sociali. In
quest’ultimo ambito è opportuno sottolineare
come la scelta di costruire un sistema territoriale
di protezione sociale è stata assunta quando la
possibilità di una riforma nazionale sembrava
remota ed è stata motivata anche con la necessità di tutelare i lavoratori sul mercato dentro un
auspicabile processo di “distruzione creatrice” in
grado di rivitalizzare un’economia trentina che ha
gli stessi problemi di bassa produttività del resto
del Nord Italia3.
Per la previdenza complementare regionale l’anno “zero” è il 1998 quando le parti sociali creano
il fondo negoziale Laborfonds, che con 115mila
iscritti e oltre 2 miliardi di euro di patrimonio è
2 Una ricostruzione sistematica è contenuta nel saggio: S. Vergari, La
concertazione sociale in Trentino, in A. Mattei (a cura di), Il diritto
del lavoro tra decentramento e ricentralizzazione. Il modello trentino nello spazio giuridico europeo, Editoriale Scientifica, Napoli,
2014, pag. 111 ss.
3 Si veda: FBK-IRVAPP, Rapporto sulla situazione economica e
sociale del Trentino, 2014 (https://irvapp.fbk.eu/it/news/rapporto-
1 Legge provinciale n. 19 del 1983.
36
Econo mi a t re nt i na
sulla-situazione-economica-e-sociale-del-trentino-edizione-2014).
AREA ECONOMIA E AZIENDE
In Trentino, la concertazione
socioeconomico-istituzionale ha avuto
un significativo consolidamento
attualmente il quarto fondo pensione chiuso in
Italia.
Sul piano degli ammortizzatori sociali, l’attuazione
della delega alla Provincia ha richiesto tempo,
un’intensa attività di consultazione, dialogo e
confronto, con le organizzazioni sindacali, in sede
locale, e con i Ministeri competenti e l’INPS, in
sede nazionale. Essa si è fondata su alcuni perni,
ora presenti nella Legge n. 19 del 1983 riformata:
il reddito di attivazione, operativo a partire dall’autunno del 2014, che allunga, in termini di tempo,
le prestazioni nazionali per i disoccupati a fronte
di un’attuazione rigorosa del principio di condizionalità; il reddito di qualificazione per i giovani
lavoratori che intendono completare il percorso di
studi; il reddito di continuità, che una volta operativo, concorrerà al sostegno dei lavoratori sospesi
mediante “l’integrazione del reddito per il mantenimento dell’occupazione e il miglioramento della
professionalità”.
Il sistema di protezione sociale si completa con
il reddito di garanzia, erogazione monetaria introdotta, a favore dei nuclei familiari in difficoltà
economica, nell’autunno del 2009. In Trentino,
dunque, la concertazione socioeconomico-istituzionale ha basi solide e nel corso degli anni ha
avuto un significativo consolidamento.
Il rapido evolversi degli scenari economici e sociali, la contrazione delle risorse a disposizione
dell’autonomia locale, le difficoltà nella crescita
economica richiedono oggi un’ulteriore evoluzione, per non vanificare nel tempo la positività di
questa esperienza. Occorre interrogarsi, inoltre,
su quale tipo di collegamento essa possa avere
rispetto al possibile sviluppo della contrattazione
decentrata, aziendale e territoriale, in quanto la
Sozialpartnerschaft trentina è chiamata a occuparsi non solo della dinamica di coesione, ma a
ripensarsi in chiave “offensiva”, accelerando lo
sviluppo economico e produttivo.
I protocolli trilaterali sulla produttività (2012) e
sullo sviluppo economico e il lavoro (2014), del
resto, individuano nella tutela offerta ai lavoratori,
attraverso l’innovazione nel sistema di protezione sociale, da un lato, e nello sviluppo della
contrattazione decentrata in chiave partecipativa,
E co n o m ia tr e n tin a
37
Clochard in centro a Trento.
dall’altro, gli strumenti per contribuire, sul fronte
della rappresentanza sociale, a questa difficile
quadratura del cerchio. Le misure che stanno
prendendo avvio si muovono su tre linee direttrici: sul fronte del welfare contrattuale integrativo,
con l’avvio del fondo sanitario integrativo territoriale Sanifonds e con la gestione di un “fondo
di solidarietà intersettoriale territoriale” a compimento della delega in materia di ammortizzatori
sociali; sul fronte della contrattazione collettiva,
con l’investimento da parte della Provincia a favore delle parti sociali sia nella formazione degli
operatori sindacali con la scuola di formazione
unitaria La.Re.S4 sia con la promozione della
contrattazione decentrata, da sviluppare e consolidare in chiave partecipativa; infine, sul fronte del
ruolo delle parti sociali nella tutela nel mercato del
lavoro, attraverso progetti di riorientamento della
rappresentanza sindacale nella direzione della tutela delle transizioni nel mercato del lavoro.
4 tsm-Trentino School of Management LaReS - Laboratorio di relazioni sindacali nel corso di questi anni ha promosso percorsi formativi,
seminari, incontri di approfondimento e ricerche a favore degli
operatori delle relazioni industriali (consultabili sul sito: http://www.
tsm.tn.it/). La costituzione di LaReS ha preso spunto dall’esperienza altoatesina dell’Arbeitsförderungsinstitut-Istituto promozione
Nello specifico, la prima direttrice riprende quanto
già realizzato negli anni Novanta con l’istituzione
del fondo di previdenza complementare Laborfonds. Il fondo Sanifonds Trentino vuole essere
uno strumento mediante il quale adempiere alle
previsioni contrattuali nazionali, territoriali e aziendali in materia di assistenza sanitaria integrativa,
concentrando gli interventi sulle prestazioni che il
servizio sanitario pubblico provinciale garantisce
esclusivamente ai nuclei familiari al di sotto di una
determinata condizione economica (cure odontoiatriche, assegno provinciale per la cura dei non
autosufficienti).
Nel corso del 2013 è stato stipulato l’accordo
istitutivo per la costituzione del fondo tramite
associazione non riconosciuta, a cui partecipano
la Provincia come datore di lavoro pubblico, le
organizzazioni sindacali e imprenditoriali. Analogamente a quanto avvenuto con il suo “cugino
maggiore” Laborfonds, Sanifonds Trentino potrà
avvalersi del sostegno dell’ente pubblico, attraverso la società regionale Pensplan.
Il “fondo di solidarietà intersettoriale territoriale”
ha invece visto pieno riconoscimento nel Decreto
legislativo5 sul riordino della normativa nazionale
in materia di ammortizzatori sociali in costanza di
rapporto di lavoro, rientrante nella riforma attuata
lavoratori (AFI-IPL), istituto pubblico di supporto ai lavoratori suditirolesi della provincia autonoma di Bolzano, che a sua volta ha preso
origine dalle Kammern für Arbeiter und Angestellte austriache.
38
Econo mi a t re nt i na
5 D.Lsg. n. 148 del 2015.
CGIL, CISL e UIL del Trentino, all’interno di
tsm-Trentino School of Management, hanno promosso
dal Jobs Act. Il fondo porterà a compimento, una
volta a regime, l’opera di territorializzazione degli
ammortizzatori sociali. In particolare, s’inserirebbe nel fondo – alimentato con risorse contrattuali
eventualmente integrabili dall’ente pubblico e
gestito dalla parti sociali presso l’INPS – il “reddito di continuità” a favore dei lavoratori sospesi
previsto nella delega alla Provincia in materia di
ammortizzatori: oltre al sostegno al reddito per i
lavoratori costretti a interrompere il lavoro a fronte di crisi temporanee dell’impresa, attraverso il
fondo bilaterale, si potrà intervenire anche per
potenziare gli ammortizzatori rivolti ai disoccupati, per anticipare il trattamento di pensione e per
finanziare programmi di formazione, dando così
vita a un nuovo polmone delle politiche del lavoro
trentine.
Con riferimento alla seconda direttrice, la formazione degli operatori sindacali e la promozione
della contrattazione collettiva decentrata rappresentano obiettivi condivisi da parti sociali e istituzione pubblica: CGIL, CISL e UIL del Trentino,
all’interno di tsm-Trentino School of Management, hanno promosso nel 2012 il Laboratorio
delle relazioni sindacali (LaReS). LaReS nel corso
di questi anni ha organizzato corsi di formazione,
seminari e ricerche a favore degli operatori delle
relazioni industriali, sui temi della contrattazione
collettiva di settore e decentrata e delle politiche
pubbliche, prestando particolare attenzione alle
prospettive di rivitalizzazione del sindacato.
Sempre seguendo questa impostazione, la Provincia ha istituito, nel corso del 2014, l’incarico a
livello dirigenziale denominato “di sostegno alla
concertazione e alla contrattazione decentrata”6.
L’incarico, a quanto consta, risulta innovativo,
oltre che inedito, nella misura in cui l’istituzione
provinciale pubblica si vuole far carico delle esigenze della contrattazione, che deve comunque
rimanere nella piena titolarità degli agenti nego-
6 Delibera Giunta della Provincia autonoma di Trento, n. 1948, 18
novembre 2014.
La sede di tsm-Trentino School of Management.
E co n o m ia tr e n tin a
39
AREA ECONOMIA E AZIENDE
il Laboratorio delle relazioni sindacali (LaReS)
Manifestazione sindacale.
ziali (imprese e rappresentanze degli interessi).
L’ultima direttrice su cui si sta operando nel
“laboratorio” trentino tocca il ruolo degli stessi
corpi intermedi nella tutela nel mercato del lavoro, ossia la riconfigurazione della rappresentanza
sindacale nelle transizioni, intese in senso ampio:
dalla fase dell’istruzione a quella del lavoro (per
il mercato) e viceversa; da un posto di lavoro a
un altro, o da una posizione lavorativa a un’altra
all’interno dello stesso posto; dalla condizione di
occupato a quella di disoccupato in cerca di occupazione; da un tipo di contratto a un altro, o da
una posizione di lavoro sommersa a una regolare,
o dal lavoro in un Paese a un altro; transizioni dal
lavoro per il mercato al lavoro di cura e viceversa,
o dalla vita “attiva” a una condizione “inattiva”
spesso ricca di altre attività.
In quest’ottica, la sfida per il sindacato diviene
quella di ampliare progressivamente l’orizzonte della propria iniziativa, “spostando il fuoco
dell’attenzione dalla difesa del posto di lavoro o
di una specifica condizione lavorativa, comunque
definita, alla promozione di modi di regolare e
fornire solide tutele a tutte le svariate forme di
transizione sul mercato che interessano gli individui. In questo modo il sindacato si ritroverebbe
a diventare un nuovo importante punto di riferimento per ciascun lavoratore nei momenti diversi
del suo percorso, della sua carriera lavorativa,
40
Econo mi a t re nt i na
e interlocutore prezioso per le imprese e per le
istituzioni”7. Una tematica che è stata inserita e
valorizzata anche nel XVIII Congresso della CGIL
del Trentino del 2014 e nella recente conferenza
di organizzazione, del giugno di quest’anno.
In tale contesto, pertanto, il welfare è da consolidare, anche in funzione di accompagnamento ai
processi di ristrutturazione produttiva, sia sul lato
dell’offerta pubblica sia mediante la contrattazione integrativa territoriale; la contrattazione decentrata è da sviluppare in chiave partecipativa e di
sostegno all’innovazione organizzativa; nonché,
da ultimo, le transizioni sono il tema cardine su
cui rinnovare la rappresentanza: queste le nuove
sfide a cui è chiamata oggi la Sozialpartnerschaft
trentina.
Una versione più estesa del contributo è uscita
sul n. 2/2015 della rivista Quaderni di Rassegna
sindacale. Lavori, con il titolo “Sozialpartnerschaft
trentina. Concertazione territoriale e sviluppo della contrattazione decentrata”.
7 I. Regalia, Quale rappresentanza. Dinamiche e prospettive del sindacato in Italia, Ediesse, Roma, 2009.
area cultura e territorio
FRANCESCO SPAGNOLLI
Viticoltura eroica e qualità del vino
FRANCO FINOTTI
L’importanza di essere “Civico”
SILVIA BRUNO
La triangolazione lavoro-povertà-famiglia
Terrazzamenti vitati in Valle di Cembra.
Viticoltura eroica e qualità
del vino
Decisiva l’interazione tra terroir e vitigno per ottenere prodotti
di eccellenza
FRANCESCO SPAGNOLLI*
U
n’inevitabile premessa. Tra le varie
definizioni che il “Coinciso Vocabolario Treccani” fornisce a proposito
del termine “eroe”, una, fra tutte,
sembra particolarmente pertinente all’argomento
che stiamo per sviluppare. Eccola: “Chi dà prova
di grande abnegazione e di spirito di sacrificio, per
un nobile ideale.” Lavorando in queste, quanto
mai precarie condizioni, come quelle rappresentate dai vigneti impervi, senza un autentico spirito
di sacrificio, è sicuramente impossibile approdare
concretamente a un risultato positivo, che ovviamente può essere tutt’altro che economico: che
il “nobile ideale” possa essere rappresentato
pressoché esclusivamente dal fatto di ottenere
vini di grande o grandissima eccellenza è altrettanto indiscutibile.
Rebo Rigotti1, nei suoi “Rilievi statistici sulla
viticoltura trentina”, pubblicato su Esperienze e
ricerche del 1932, differenziava il posizionamento
del vigneto in provincia di Trento in cinque zone,
ben distinte a seconda della giacitura e, soprattutto, dell’altimetria. Lo stesso Autore affermava
che la fascia più elevata (la montagna), pur con
qualche difficoltà di maturazione (si pensi anche
alle varietà coltivate quasi un secolo fa), in particolar modo nelle annate non proprio favorevoli,
dava comunque ottimi risultati qualitativi, ma
1 Rigotti, R. (1932) – Rilievi statistici sulla viticoltura trentina. Espe-
* Già Dirigente del Centro istruzione e formazione della Fondazione
Edmund Mach-Istituto Agrario di San Michele.
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Econo mi a t re nt i na
rienze e ricerche. Edito a cura della. Stazione sperimentale agraria
e forestale di S. Michele a/A (TN).
Fascia geografica europea dei climi viticoli di timbro subcontinentale:
i mutamenti climatici spingono la fascia verso Nord, oppure obbligano ad aumentare la quota.
Anche un grande vitigno, posto in un terroir
non vocato, fornirà sempre e comunque
un vino modesto, privo di complessità
I FATTORI DELLA QUALITÀ DEL VINO
Gli studiosi di vitienologia sono unanimemente
concordi nel ritenere che gli elementi-fattori della
qualità di un qualsiasi vino siano da ascrivere
essenzialmente a clima, terreno, vitigno e tecnologia (produttiva). È altrettanto vero, però, che
non sempre esiste altrettanto unanime accordo
sull’ordine di priorità da dare agli stessi: infatti,
mentre nei paesi di antiche tradizioni vitivinicole
si tende a privilegiare i fattori “prevalentemente
naturali”, in quelli di più recente approccio e in
particolare in quelli pressoché esclusivamente
“consumatori”, si apprezza soprattutto l’aspetto
tecnologico e spesso addirittura si privilegia quello commerciale (presentazione, marketing, ecc.).
In effetti, come sostiene Mario Fregoni3, anche
un grande vitigno posto in un terroir non vocato
come, ad esempio, le pianure feritili e fresche
(non solo dell’Italia) fornirà sempre e comunque
un vino molto modesto, privo di complessità
3 Fregoni, M. (1999) – Viticoltura di qualità. Edizioni “L’Informatore
2 Branas, J. (1974) – Viticulture. Impremierie Dèhan, Montpellier (F).
Agrario”, Verona. p. 241-282.
E co n o m ia tr e n tin a
43
AREA CULTURA E TERRITORIO
richiedeva anche un monte-ore annuo di lavoro
ben superiore a quello di tutte le altre zone:
parafrasando Rigotti, si potrebbe essere tentati
di supporre “più fatica, ma anche maggiore
qualità!”. Così sembrerebbe trovare ampia giustificazione il detto, ben noto ai “sacri sacerdoti
del tempio delle bollicine” (CIVC-Champagne),
che “la vite dà il meglio di se stessa proprio nelle condizioni di sofferenza”: in altre parole, una
pianta di origine euroasiatica (Armenia) e diffusa,
almeno originariamente, soprattutto nell’area circummediterranea, fornisce grandi risultati (per il
vino) solo nei climi subcontinentali2.
L’indimenticato giornalista enogastronomo Luigi
Veronelli, nell’abbracciare pienamente questa
tesi, manifestava anche una tutt’altro che malcelata avversità per la viticoltura (da vino) di pianura, sostenendo che in quelle situazioni la vite
si comportava semmai come una “macchina da
zucchero” anziché come un grande “potenziale
da vino”.
Ricercatrice in un laboratorio della Fondazione Mach.
gusto-olfattiva, cioè “senz’anima” come direbbe
Nereo Pederzolli4, duro al palato e particolarmente corto in bocca, aggressivo, erbaceo…:
sostenuto da fondamenti scientifici è un po’ lo
stesso concetto espresso giornalisticamente da
Luigi Veronelli5.
D’altronde, le ben note classificazioni qualitative
francesi (Bordeaux: 1855; Borgogna:1868), si basavano pressoché esclusivamente sull’assaggio
del vino, e in particolare sulla ben nota PAI (persistenza aromatica intensa).
I rapporti tra gli elementi del clima, in particolare
l’irradiazione luminosa e la temperatura (nelle sue
varie espressioni: media annua, sommatoria temperature attive, escursione termica giornaliera,
ecc.) e gli obiettivi produttivi sono sempre stati
nelle attenzioni di molti illustri scienziati della viticoltura6 che hanno messo a punto diversi “indici”
in grado di prevedere con una più che sufficiente
precisione se quel determinato ambiente è adatto
a esaltare, sotto l’aspetto qualitativo, il potenziale
genetico di uno specifico vitigno (o magari anche
di un suo clone). Lo studio dell’interazione tra
terroir e vitigno rappresenta il cardine essenziale
del vasto programma di zonazione che ha visto il
Trentino particolarmente impegnato, anche con
l’ausilio di valenti ricercatori dell’Istituto Agrario di
4 Pederzolli, N. (2001) – Insieme per la qualità. Atti del convegno
S. Michele (oggi Fondazione Edmund Mach) nel
definire gli areali più consoni ai diversi vitigni e soprattutto a quelli “autoctoni”. In questo contesto,
di perseguire obiettivi qualitativi di gradimento al
consumatore, molta attenzione è stata rivolta,
nel corso degli ultimi due decenni, alla così detta
“vitienologia sostenibile”.
Infatti, l’evoluzione dei gusti di chi apprezza il
vino, con una sempre maggiore attenzione agli
aspetti salutistici dell’alimentazione, ha portato, in
tempi relativamente recenti, a una vera e propria
rivoluzione nella gestione della difesa fitosanitaria del vigneto. Così si è passati da un impiego, a volte anche indiscriminato, di fitofarmaci
ed erbicidi, a un più coscienzioso loro utilizzo
(protocolli d’intesa). Sulla stessa strada, ma con
posizioni ben più radicali, si pongono la viticoltura
biologica e quella biodinamica, anche se, a volte,
qualche scelta dogmatica (prodotti naturali e non
di sintesi) appare discutibile come ad esempio
l’esclusivo impiego come antiperonosporico del
solfato di rame (spesso inquinato da piombo) e
dello zolfo (come antioidico), frequentemente
con abbondanti residui di selenio. Ma, al di là di
queste considerazioni che possono apparire di
carattere generale, c’è un aspetto fondamentale
che influisce sulla composizione chimica della
materia prima e quindi sulla qualità del vino: è la
cinetica di maturazione delle uve7.
presso IASMA, S. Michele a/A (TN). Pagg. 82-83.
5 Veronelli, L. (1988) – I vini da favola. In “nota di prefazione” a cura
dell’Autore. Veronelli Editore, Bergamo.
6 Branas, J. (1974) – Viticulture. Impremierie Dèhan, Montpellier (F).
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Econo mi a t re nt i na
7 Pederzolli, N., Spagnolli, F. (2011) – Trento DOC: quando la montagna diventa perlage. Valentina Trentini Editore, Trento.
Classifico grafico “a forbice” tra zuccheri e acidità
durante la maturazione delle uve: la quota altimetrica
spinge la forbice a destra.
di “ritardare” la raccolta delle uve: la classificazione dei Qualitätswein tedeschi si basa proprio su
questo aspetto: secondo la tradizione, il messo
imperiale che da Fulda doveva portare il bando
vendemmiale a Johannisberg (cuore della Rheingau), per una svariata serie di motivi, arrivò con
almeno quindici giorni di ritardo rispetto alla data
preventivata. Ma, nonostante l’infinita serie di improperi che, momentaneamente, l’ignaro messo
si tirò addosso dai viticoltori, venne poi premiato
dal fato, perché quella “vendemmia tardiva” si
rivelò di particolare pregio qualitativo e attualmente una statua equestre lo ricorda proprio nel cortile principale di Schloss Johannisberg a ridosso
del 50° parallelo di latitudine Nord.
RAPPORTI TRA VITICOLTURA “SOSTENIBILE” E TERRITORIO
L’evoluzione dei gusti del consumatore, con una
sua sempre maggiore attenzione al “sapere e
Vigneti su un conoide in Valle di Cembra.
E co n o m ia tr e n tin a
45
AREA CULTURA E TERRITORIO
Decisiva, infatti, ovviamente nei riguardi della
qualità del futuro vino, risulta la fase compresa
tra l’invaiatura e la vendemmia: non a caso, un
antico proverbio, ben noto ai viticoltori, recita
testualmente “la quantità la fa il periodo della fioritura (fine maggio-primi di giugno), ma la qualità
è priorità di agosto!”
Questo vale per tutti i vini, e in particolare per gli
spumanti, dove la così detta “struttura acidica”
dell’uva e del mosto è uno dei parametri ritenuti
fondamentali. È ben vero che nell’ambito dell’evoluzione compositiva che caratterizza la maturazione dell’uva, il sopra citato parametro può solo
rappresentare una specie di “punta dell’iceberg”,
cioè la parte che emerge (rispetto ai 9/10 che
sono sott’acqua!), ma è comunque un elemento
discriminante per valutare come possano procedere i complicati biochimismi che caratterizzano
la fase di maturazione dell’uva.
Un’ultima considerazione in proposito alla scelta
della data più opportuna di vendemmia e al fatto
Raccolta a mano su terrazzamenti vitati.
conoscere l’ambiente da dove proviene il prodotto” ha indotto i produttori a orientarsi sempre
più verso quella che altro non potremmo definire
se non “cultura del territorio”. Finalmente! Il
“pellegrino-enofilo” che visita la Borgogna respira immediatamente l’aria di quella terra particolarmente vocata al vino già alle porte di Chalon-surSaône, prima ancora di entrare nei mitici “templi”
degli Hospices-de-Beaune o di Clos-de-Vougeot:
dovrebbe succedere la stessa cosa anche a Borghetto, o meglio a Mama d’Avio, dove, tra l’altro,
per ben 52 anni (1866-1918) c’era un (controllato)
valico di confine tra il quasi neonato Regno d’Italia
e il vasto Impero austroungarico.
Non c’è dubbio, quindi, che la viticoltura, e in
particolare quella “eroica”, risulti integrante, se
non addirittura sostanziale ed essenziale, del territorio, ne condivida gli aspetti umani e ne rappresenti un tutt’uno: un’immagine che sempre più
affascina il consumatore competente e avveduto
e che altro non può costituire se non un importantissimo biglietto da visita sul piano promozionale.
Ma, ovviamente, ogni medaglia ha il proprio rovescio: bisogna appurare se la viticoltura eroica
sia in grado di compensare, sotto il profilo del
reddito, i suoi alti costi di produzione; per chiarire
meglio questo concetto basti pensare che nei
vigneti delle Cinque Terre (Liguria), dichiarati patrimonio dell’Unesco, occorrono circa 1.500 ore
annue di manodopera a ettaro come negli areali
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Econo mi a t re nt i na
“eroici” del Trentino, mentre in un vigneto di
medio-alta collina, parzialmente meccanizzabile,
ne servono circa 600, in contrapposizione alle
300-400 di un vigneto di fondo-valle lungo tutta
l’asta dell’Adige: sempre e comunque molto di
più di certe aree vitate dell’Australia, dove con
una meccanizzazione pressoché integrale8 si può
arrivare addirittura a una cifra quasi incredibile di
sole 50 ore annue a ettaro.
CONCLUSIONI
Sotto l’aspetto strettamente viticolo, il risultato
concreto dei primordi di quella che adesso comunemente chiamiamo “globalizzazione”, è stato
l’arrivo in Europa, dall’America del Nord, di alcuni
parassiti quali oidio, fillossera e peronospora
(ovviamente non in ordine alfabetico, bensì di
“apparizione” sul vecchio continente).
Tutto ciò ha letteralmente modificato il sistema di
gestione del vigneto: introduzione del portainnesto (americano o ibridi), difesa antiperonosporica
e antioidica sono solo alcuni esempi emblematici
di quegli aspetti che fino a pochi decenni fa illustri
studiosi come Giovanni Dalmasso9 chiamavano
“viticoltura moderna”, ovviamente in contrappo8 Baldini, E., Intrieri, C. (1984) – Meccanizzazione della vendemmia e
della potatura. CLUEB, Bologna.
9 Dalmasso, G. (1974) – Viticoltura moderna. Hoepli, Milano.
È necessario difendere la viticoltura eroica
ma anche gli “eroi” che quotidianamente
la coltivano e la amano
della vendemmia scalare. E noi? Riusciremo,
forse, a ritagliarci uno spazio per difendere non
solo la viticoltura eroica, ma anche gli “eroi” che
quotidianamente la coltivano e la amano come
ormai, purtroppo, solo pochi instancabili viticoltori
sanno fare?
In tempi non molto lontani, Augusto Giovannini10
ha scritto “L’ultima vigna”, un accorato inno alla
viticoltura eroica, quella di uno dei più angusti
ambiti dove si trova ancora arroccata una delle
varietà un tempo simbolo del Trentino vitivinicolo
e soprattutto della Valle di Non: il Groppello.
Una speranza: che le note, purtroppo sempre più
malinconiche e deboli, di questo inno non abbiano a perdersi e disperdersi soltanto nell’oblio.
AREA CULTURA E TERRITORIO
sizione con quella più “antica” e cioè tradizionale.
Fino al 1970, nei Paesi di antiche tradizioni vitivinicole (Europa mediterranea o poco più) sembrava
che tutto andasse per il meglio: buone produzioni, alti consumi all’interno e nei Paesi limitrofi,
euforia per il neointrodotto sistema delle DOC,
drastica riduzione dei vincoli doganali… Risultato:
in un decennio (quello successivo) c’è stata una
considerevole riduzione dei consumi (arrivati poi
più che a dimezzarsi); così si sono avviate (a livello comunitario) politiche di sostegno alle produzioni di pianura (vari tipi di distillazione per ridurre
i volumi di vino immessi sul mercato).
A questo punto, però, una riflessione si dimostra
quanto mai ovvia: come mai, pur essendo particolarmente interessati sia i francesi, sia i tedeschi
a questa “nostra” viticoltura eroica, non l’hanno
mai adeguatamente difesa a livello comunitario?
Forse si tratta soltanto di filosofia: i francesi risultano saldamente arroccati sul loro terroir, mentre
i tedeschi sono impegnati a tutelare il “sistema”
10Giovannini A. (2001) – L’ultima vigna. Publilux, Trento.
Mescita di Trentodoc.
E co n o m ia tr e n tin a
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La sede della Fondazione Museo Civico di Rovereto.
L’importanza di essere
“Civico”
Le numerose vocazioni di un museo aperto e fortemente radicato
sul territorio
FRANCO FINOTTI*
Q
ualche tempo fa un’agenzia di comunicazione di grido mi disse che la definizione più coerente della complessità
che caratterizzava l’identità del Museo
Civico di Rovereto si sarebbe offerta pronunciandone il nome al contrario.
L’ipotesi – per quanto affascinante – non fu praticata. Si è voluto conservare il nome originale
e dare conto della varietà delle competenze
coltivate e maturate all’interno della nostra Istituzione analizzando la storia del Museo e delle sue
collezioni e osservando come questa si intrecci
con la storia della città, dei suoi uomini, della sua
* Direttore della Fondazione Museo Civico di Rovereto.
48
Econo mi a t re nt i na
vita economica, politica e culturale. Si è voluto
osservare i cambiamenti nel solco della tradizione
e della continuità di pensiero con i suoi padri fondatori. L’immagine di sé che ritrova nel passato
è quella di un’istituzione insieme municipale ed
europea, costruita attraverso un processo marcatamente sociale, partecipato, autogestito. Nel
museo ottocentesco, quello nuovo riconosce i
tratti di una fisionomia familiare, nonostante le
radicali diversità del contesto. Legame con la città
e con il territorio, impegno tenace nella ricerca sul
campo, vocazione a situarsi in una rete di relazioni molto vasta, autonomia e dignità istituzionale
sono quindi assunte come valori caratterizzanti di
un’eredità rivendicata con orgoglio. La conoscenza della propria storia e la consapevolezza delle
proprie origini hanno forgiato il modello culturale
L’idea forte è quella di un museo che non sia
soltanto una muta vetrina di reperti, ma un luogo
e gestionale del Museo, meglio delineando ruoli
e funzioni. Provo quindi a sintetizzare gli elementi
essenziali.
Il Museo Civico di Rovereto nasce nel 1851,
prima dell’Unità d’Italia, su impulso di un gruppo
di intellettuali cittadini che lo fondano dandosi
il carattere privatistico di “Società del Museo
Civico”. In un’Italia sottoposta alla dominazione
asburgica, per tutelare il patrimonio naturalistico
e storico locale da ogni tipo di spoliazione nasce
forse il primo esempio ante litteram di gestione
privatistica di una “impresa culturale”. Imprenditori, artigiani, professionisti, docenti, che il primo
agosto del 1851 danno vita al Museo, manifestano un disegno politico chiaro con la ferma volontà
di mantenere alla città di Rovereto e alla Vallagarina quelle prerogative di modernità economica e
culturale che si erano affermate nel 1700 intorno
all’industria e commercio della seta. Fu infatti nel
contesto di una necessaria riconversione economica che prese sede a Rovereto la Camera di
Commercio e Industria del Tirolo italiano (1850) e
il sistema scolastico si arricchì della Scuola Reale
(1855) a indirizzo tecnico e scientifico, così come
l’insediamento a Sacco della grande Manifattura tabacchi del monopolio statale imperialregio
(1854) fu un altro evento importante della vita
economica e sociale della Vallagarina. La nascita
del Museo s’inserisce in questo contesto storico
e rappresenta quindi un progetto forte i cui temi
in gioco furono: patrimonio, scuola e territorio, in
un impegno culturale e politico fortemente partecipato e impostato sulla conoscenza sistematica
del territorio, dei sui beni culturali e sul valore civico che ha sempre caratterizzato il nostro agire.
Da sempre quindi il Museo Civico di Rovereto è
radicato sul territorio, forte di una lunga tradizione
dove scelte del passato e del presente si fondano
in un’unica concezione di museo e in una continuità di metodo che, all’occhio del profano, ha
dell’incredibile. L’idea forte è quella di un museo
che non sia soltanto una muta vetrina, di reperti
La sede storica della Camera di Commercio a Rovereto.
E co n o m ia tr e n tin a
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AREA CULTURA E TERRITORIO
vivo, una vera agenzia di socializzazione
Le orme dei dinosauri ai Lavini di Marco.
e materiali vari, che esaurisce il suo interesse
alla prima visione, ma un luogo vivo, da frequentare e sentire come proprio, una vera agenzia di
socializzazione qualificata e alternativa dove la
scienza, la cultura, e la didattica non rimangono
chiusi nei laboratori di ricerca e fra le pareti dell’istituzione, ma si aprono alla comunità, si offrono
alla fruizione.
Il Museo s’identifica con una sede cittadina (due,
da qualche tempo, a dire il vero), ma la distribuzione sul territorio delle occorrenze storiche,
geologiche, botaniche, naturalistiche per le quali
è noto è in realtà la cifra di un Museo diffuso
che travalica i confini comunali e si spinge sulle
cime dell’Alpe Cimbra, del Monte Baldo e del
Monte Zugna, verso l’Alto Garda e lungo l’asta
dell’Adige.
Infine, e più di ogni altra cosa, l’attività del Museo, che pure conserva le caratteristiche proprie
del termine nella sua accezione più tradizionale,
sconfina nei settori della ricerca, della didattica,
dei servizi alle imprese e di pubblico interesse
(con le reti di monitoraggio ambientale, ad esempio). Proprio questo genere di esclusiva ambivalenza gli ha conquistato, negli anni, un ruolo
di prestigio nel panorama locale, e non solo: il
Museo ha avuto la capacità di stringere una quantità di rapporti, convenzioni e collaborazioni con
istituzioni pubbliche, musei, enti culturali e di ri-
50
Econo mi a t re nt i na
cerca, scuole e realtà produttive di tutto il mondo.
Raccogliendo gli stimoli pervenuti dalle associazioni territoriali, dai professionisti, dalle persone
di cultura, il Museo ha creato quindi nuove “strutture del fare”, luoghi neutri, dove offrire servizi e
nuove chiavi di lettura della realtà territoriale, per
fare interagire formazione, ricerca e prodotto. In
questa cornice nasce “Sperimentarea”, una vera
cittadella per la ricerca scientifica e la didattica,
con spazi outdoor e indoor dedicati all’archeologia sperimentale e alle attività naturalistiche, e
“Openlab”, luogo all’interno del quale, grazie alle
competenze interdisciplinari dei nostri ricercatori
e all’alto profilo tecnologico delle attrezzature,
siamo in grado di fornire servizi di qualità ad architetti, ingegneri, geologi, imprese, restauratori,
aziende, enti pubblici e privati cittadini. Chiunque
– a tariffe peraltro particolarmente vantaggiose
se abbonato al Museo – può valersi di tutta la
strumentazione disponibile per realizzare modelli,
ricostruzioni e stampe 3D, interventi di restauro,
prove, test e valutazioni energetiche, indagini geofisiche e geoelettriche, da integrare ai propri progetti o alle proprie perizie. Allo stesso tempo, può
divenire partecipe di una “comunità intelligente”
fatta di professionisti e ricercatori interessati a
condividere dati, informazioni scientifiche, esperienze e realizzazioni per favorire un saper fare
interdisciplinare e innovativo. A una tale vastità
“Scopri l’importanza di essere Civico”:
uno slogan che ben rappresenta la vocazione
della Fondazione Museo Civico di Rovereto
Fondazione, sviluppati intorno al segno di una
“C”, che conserva e promuove il valore di quel
“civismo” al quale l’istituzione è legata da 164
anni. Contestualmente, a consolidare le relazioni
con i suoi interlocutori, pubblici e privati, reali e
potenziali, il Museo ha precisato una nuova declinazione delle formule di abbonamento – Small,
Large e Business – pensata per favorire diverse
tipologie di utenza. Il nuovo percorso si svolge
all’insegna del motto “Scopri l’importanza di essere Civico”: uno slogan che ben rappresenta la
vocazione della Fondazione, che fin dalla nascita
ha costruito il proprio patrimonio con la convinzione che il sapere scientifico, artistico, storico siano
valori fondanti della buona cittadinanza alla quale
è chiamato chi partecipa alla vita di una comunità.
AREA CULTURA E TERRITORIO
di luoghi fisici corrisponde un investimento di pari
intensità nella cura e nella gestione di siti virtuali
pensati per favorire l’accesso alle informazioni,
ai contenuti, ai documenti, attraverso i mezzi più
innovativi o più mainstream, come il cinema, i siti
Internet (quello istituzionale, ma anche i siti satellite costruiti ad hoc per le più diverse esigenze), le
webtv (Sperimentarea.tv, ma anche didamedia.
tv, archeologiaviva.tv, retenatura2000.tv, innovazione.tv), i social, i QR-code. Un presidio delle
nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione che ci ha, di recente, orientato verso
l’introduzione di un’apposita app, fruibile gratuitamente previa registrazione, attraverso la quale il
cittadino è posto nella condizione di dialogare con
il Museo. La novità arriva in concomitanza con il
lancio del nuovo logo e della nuova veste grafica
del nostro Museo, da pochi anni trasformato in
Vetrine espositive all’interno del Museo.
E co n o m ia tr e n tin a
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Simboli di povertà ed emarginazione al parco S. Chiara a Trento.
La triangolazione
lavoro-povertà-famiglia
Gli effetti della crisi tra teoria sociologica e teoria economica
SILVIA BRUNO*
U
n’indagine Eurostat del 2012 riferisce
che in Europa il 25% della popolazione è a rischio di povertà ed esclusione
sociale. Un dato questo, che se confrontato con il 17% del 2008, prima della crisi, impressiona particolarmente e dimostra come essa
abbia avuto un impatto rilevante sulla povertà e
l’esclusione sociale.
Se dal 2009 a oggi si è sviluppato il dibattito degli
studiosi e dei politici sul tema del lavoro, che è
diventato una vera e propria emergenza, non è
possibile affermare lo stesso per la povertà, che
non sembra essere considerata un’urgenza di cui
occuparsi. Lo è certamente per studiosi come la
sociologa Chiara Saraceno1, che nel suo ultimo
libro “Il lavoro non basta. La povertà in Europa
negli anni della crisi” ci spiega come il lavoro
potrebbe non essere sufficiente per uscire dalla
crisi e riflette sulla povertà analizzando il presente
e i rischi futuri.
L’incontro di approfondimento avvenuto lo scorso settembre nel contesto di tsm-Trentino School
of Management-LaReS ha permesso a Chiara
Saraceno e Sandro Trento2 di confrontare il punto
di vista sociologico con quello economico.
1 Sociologa e membro onorario del Collegio Carlo Alberto di Torino.
2 Docente di economia e gestione delle imprese e direttore del corso
di laurea in Innovation Management all’Università degli studi di
* tsm-Trentino School of Management.
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Econo mi a t re nt i na
Trento.
L’aumento dell’occupazione ha riguardato
le famiglie in cui gli adulti avevano livelli
“La povertà è soprattutto una questione economica” afferma Chiara Saraceno, quindi legata al
lavoro e al mercato del lavoro.
Per anni abbiamo pensato, e la stessa Europa era
convinta fosse la strada corretta, che l’aumento
dell’occupazione potesse generare una riduzione
della povertà; di conseguenza si pensava che la
povertà sarebbe scomparsa con la crescita economica. Questo non è accaduto.
Con la strategia di Lisbona, che ha puntato
sull’aumento dell’occupazione, quest’ultima è sì
aumentata, ma la povertà non è diminuita a livello
europeo complessivo, anche se con importanti
differenze (si sono registrati diminuzioni in alcuni
Paesi e aumenti in altri).
Per Sandro Trento il titolo del libro “Il lavoro
non basta” contiene un profondo significato
che spinge a un’analisi orientata verso differenti
riflessioni.
Il lavoro non basta per una serie di ragioni: perché
il lavoro remunerato non è sufficiente e soprattutto non è sufficiente il lavoro adatto alle persone
che sono considerate a rischio, coloro che hanno
una bassa qualifica e un basso livello di istruzione.
Questo tipo di lavoro non c’è e non ci sarà nemmeno dopo la fine della crisi. Perché il mercato
del lavoro è cambiato e nonostante si fingesse di
non accorgersene, stava cambiando anche prima
del 2007.
Il lavoro non basta perché la crescita dell’occupazione non è omogenea tra le varie categorie,
ma è sempre più legata a variabili quali il genere,
il titolo di studio, la sempre maggiore omogamia
delle coppie. Un fenomeno questo già evidenziato negli anni 80 dal sociologo inglese Vernon Pahl
e da altri studiosi secondo cui l’aumento dell’occupazione femminile si combina con l’omogamia
sociale delle coppie, secondo cui donne istruite
con migliori possibilità lavorative sono spesso
legate a uomini altrettanto istruiti, mentre donne
poco istruite tendono a essere legate a partner
nelle stesse condizioni.
Come ben hanno evidenziato i due studiosi nel
corso del seminario, l’aumento dell’occupazione
ha riguardato infatti le famiglie in cui gli adulti (in
particolare le donne) avevano livelli di istruzione e
competenze professionali più elevati, generando
così una sorta di “polarizzazione tra famiglie ricche di lavoro e famiglie povere di lavoro”.
Il lavoro non basta per la diffusione di tutta una
serie di contratti precari e di tipologie contrattuali
che non necessariamente assicurano livelli sociali
adeguati. E come si ricordava, in questa polarizzazione tra famiglie si distingue tra lavoratori che,
perché in possesso di competenze (skill) molto
elevate, si garantiscono salari soddisfacenti, e
lavoratori che, per la bassa istruzione e le ridotte
specializzazioni, percepiscono un salario inadeguato e quindi sono i cosiddetti “lavoratori poveri” (working poor).
Negli anni della crisi è certamente aumentato
il numero degli inoccupati e dei disoccupati, il
numero di chi vive in famiglie senza lavoro o
con sotto-occupazione grave, ma ciò che colpisce maggiormente è certamente l’aumento del
numero dei lavoratori poveri. Il termine “lavoratore povero”, che poteva essere considerato
un ossimoro fino agli anni Novanta, distingue tra
lavoratori a basso salario e lavoratori poveri su
base famigliare. L’Eurostat definisce lavoratori a
basso salario coloro che percepiscono il 60 per
cento della retribuzione mensile mediana calcolata fra tutti i lavoratori del Paese di appartenenza
e definisce invece come lavoratori poveri su base
famigliare coloro che hanno un reddito disponibile
inferiore al 60 per cento di quello mediano pro
capite.
Dal libro emerge che “la nozione di povertà
dipende dal tempo e dal luogo” dice Sandro
Trento: “Ciò che in un certo momento della storia
E co n o m ia tr e n tin a
53
AREA CULTURA E TERRITORIO
di istruzione e competenze più elevati
Famiglia a passeggio in montagna.
La povertà può dipendere da diversi
fattori, uno fra i quali la dimensione
consistente della famiglia
è povertà, in un altro momento storico potrebbe
non essere percepito come tale”. Chiara Saraceno ricorda, ad esempio, come settant’anni fa
essere analfabeta o non avere l’acqua corrente
in casa non fosse considerato indicatore di esclusione sociale e di povertà, ma fosse invece un
fenomeno molto diffuso tra i ceti popolari. Oggi
sarebbe segno di totale esclusione.
Occorre quindi tenere ben presenti queste comparazioni temporali ma anche legate ai luoghi
nell’analisi del concetto di povertà (“diverso è essere povero in Svizzera rispetto all’essere povero
in Uganda”, ci ricordano i due studiosi).
La povertà è un fenomeno strettamente legato
alla comparazione, è una situazione di diseguaglianza materiale. È l’incapacità da parte di un
individuo di rispondere alle proprie aspettative
materiali.
La povertà può dipendere da numerosi fattori,
uno fra i quali la dimensione della famiglia. Il
numero di figli presenti in un nucleo familiare,
infatti, sembra condizionare enormemente la
possibilità di un nucleo di uscire dalla povertà o
superare una fase di disagio. Altri fattori sono
l’invecchiamento della popolazione, che seppur
54
Econo mi a t re nt i na
tutelato dalle pensioni, si trova negli ultimi anni
della vita a confrontarsi con situazioni di disagio
e l’immigrazione che condiziona notevolmente
fasce di popolazione definite a rischio di povertà.
Per gli adulti avere un lavoro è certamente la
migliore garanzia contro la povertà, ma essere
occupati non protegge totalmente. Al contrario,
la mancanza di lavoro, così come un lavoro a bassa remunerazione, non sempre si accompagna
a povertà e deprivazione materiale. Le ragioni
di questo apparente paradosso, sostiene Chiara
Saraceno, stanno nella mediazione operata dalla
condizione famigliare e nel ruolo delle politiche
redistributive. Questi due aspetti, differenti nei
diversi Paesi, provocano quindi situazioni molto
lontane tra loro.
L’assenza di lavoro è invece la causa principale
di povertà soprattutto quando a esserne senza è
chi ha la principale o esclusiva responsabilità di
mantenimento proprio e dei familiari. L’assenza
di lavoro remunerato può essere particolarmente
rischiosa quando in una famiglia riguarda tutti
gli adulti, non anziani e non studenti, o in cui gli
adulti presenti sono occupati per meno del 20%
del loro potenziale lavorativo.
L’aumento di famiglie in cui nessun adulto
è occupato, o in cui gli adulti risultano
Questa situazione è considerata da Eurostat come uno dei tre indicatori per stimare l’incidenza
della povertà e dell’esclusione sociale in ciascun
Paese dell’Unione europea.
Diversi studi Ocse confermano, a tal proposito,
l’esistenza di un rapporto tra mancanza di lavoro
in famiglia e povertà. L’aumento di famiglie in cui
nessun adulto è occupato o in cui gli adulti risultino sotto-occupati, è certamente preoccupante,
non solo per i rischi di povertà che comporta. Individua infatti un’area sociale in cui vi sono adulti
che dipendono dai più anziani e/o da varie forme
di assistenza, e bambini e ragazzi che durante la
loro crescita, per periodi più o meno lunghi, non
hanno esperienza diretta di adulti che producono
un reddito. Sono famiglie queste che rischiano di
non riuscire a costruirsi un capitale sociale al di là
delle reti informali ristrette e di essere pertanto
escluse da risorse e relazioni utili per rientrare o
entrare nel mercato del lavoro.
Anche il “Report on Employment and Social Developments in Europe” relativo al 2012, fa emer-
gere che “non sempre avere un lavoro protegge
dalla povertà o permette di uscirne”. Questo
avviene nei casi in cui non si può contare su altri
redditi familiari o in cui lo stipendio percepito è
inadeguato rispetto ai bisogni della famiglia. Il
fattore maggiormente preoccupante è che un
lavoratore povero su base famigliare definisce in
questa condizione anche tutti i componenti della
sua famiglia. Rischio tanto più alto quanto più alta
è la percentuale di famiglie monoreddito e quanto
più scarsi sono i trasferimenti legati alla presenza
di figli.
Assolutamente disarmante la riflessione di Chiara
Saraceno circa gli indicatori economici, di deprivazione e povertà relativi ai bambini e ai minori in
genere. Indicatori che descrivono cosa significhi
essere povero per un minore in una società ricca
e tecnologicamente avanzata come quella in cui
viviamo. Le interviste dell’équipe di Save the
Children riportate nel libro ci descrivono situazioni
drammatiche anche in zone non lontane da noi.
Sconvolge ascoltare le parole della studiosa che
Operatore ecologico a Trento.
E co n o m ia tr e n tin a
55
AREA CULTURA E TERRITORIO
sotto-occupati, è certamente preoccupante
Giovane questuante al Duomo di Trento.
La prima grande politica contro
la povertà dei minori è il sostegno
all’occupazione femminile
riporta dati e situazioni testimonianti il fatto che in
Italia la povertà minorile sta aumentando e superando quella degli anziani. La povertà dei minori
non è legata esclusivamente alla disoccupazione
dei genitori perché la maggior parte di essi vive
in famiglie in cui almeno un genitore adulto lavora
ma, o il numero dei figli o il basso salario, non
permettono al genitore lavoratore di soddisfare i
bisogni dei propri familiari.
Interessante un’indagine di qualche anno fa svolta da Chiara Saraceno in cui si evidenziava come
la maggioranza dei minori viveva in una famiglia
in cui almeno un genitore lavorava, e come avere
anche il secondo genitore occupato provocasse
una diminuzione di due terzi della povertà tra i
minori. È evidente quindi che la prima grande
politica contro la povertà dei minori è il sostegno
all’occupazione femminile.
È preoccupante constatare che questo fenomeno
della povertà minorile non sia messo a fuoco e
considerato prioritario nelle agende dei decisori
italiani e che non si comprenda che intervenire sull’età infantile può concorrere a evitare di
“sprecare capitale umano” e il rischio di futuri e
imponenti problemi sociali ed economici. Come
56
Econo mi a t re nt i na
si ricorda sempre per le questioni ambientali,
prevenire i rischi potrebbe essere considerato un
risparmio anche economico per il futuro.
In tutti i Paesi sono i lavoratori con più basso livello di istruzione e qualifica i più esposti al rischio di
avere una bassa remunerazione. Alcuni studiosi
ricordano come la bassa istruzione sia fortemente collegata all’origine famigliare. Se un basso
salario può interessare una fase transitoria nella
vita lavorativa di un individuo, per chi invece ha
una bassa qualifica e proviene da famiglie a basso
reddito questa condizione può rappresentare una
fase permanente nel corso della vita3.
Lavoro, povertà e famiglia possono, in conclusione, definirsi una triangolazione da studiarsi e su
cui intervenire simultaneamente in questo nuovo
sistema economico e di inclusione sociale.
3 Su questo argomento si vedano i dati presenti nel Rapporto 2014
– Profilo dei laureati 2013 (Almalaurea) e nel Rapporto dell’indagine
pilota PIAAC OCSE: Programma Internazionale sulle competenze
degli adulti (Isfol).
oltre i confini provinciali
AARON CIAGHI, ADOLFO VILLAFIORITA
Combattere lo spreco e la povertà alimentare con la tecnologia
RICCARDO SCARTEZZINI, ALESSANDRO FRANCESCHINI
Turismo cinese: dinamiche e peculiarità di un nuovo mercato
Combattere lo spreco
e la povertà alimentare
con la tecnologia
Applicazioni solidali per web e smartphone, prospettive e nuove sfide
AARON CIAGHI*, ADOLFO VILLAFIORITA**
N
ell’anno di Expo il problema dello
spreco alimentare è salito più che
mai agli onori della cronaca. In Italia
si stima uno spreco di circa 4 milioni
di tonnellate all’anno per un valore economico di
oltre 8 miliardi di euro. Il dato è contenuto in un
rapporto del Ministero dell’ambiente, il quale, allo
stesso tempo, fa notare che lo spreco reale è
probabilmente ancora più alto di quello stimato.
Lo spreco domestico nel mondo si aggira intorno
ai 630 grammi a settimana per famiglia1 e ciò
* Ricercatore presso l’unità ICT4G della Fondazione Bruno Kessler.
stride con gli 1,4 miliardi di persone che soffrono
di obesità2. Papa Francesco – che in più occasioni ha descritto lo spreco alimentare come uno
scandalo – ha definito il cibo sprecato come cibo
rubato ai poveri.
Sono oltre 15mila gli enti caritativi in Italia che
ogni giorno sono impegnati nel recupero delle
eccedenze alimentari per ridistribuirle agli oltre 4
milioni di Italiani in condizioni di povertà assoluta3.
Le strutture caritative mettono in campo tutte le
proprie forze, ma spesso la domanda di aiuti è
superiore alla disponibilità di donazioni alimentari,
al punto che solo il 6% delle eccedenze vengono
**Responsabile dell’unità ICT4G della Fondazione Bruno Kessler.
2 Dati Oxfam.
1 Rapporto Waste Watchers 2014.
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Econo mi a t re nt i na
3 Rapporto ISTAT 2014 sulla povertà in Italia.
Alcune organizzazioni pongono dei limiti
più restrittivi sulle caratteristiche
dei prodotti che possono essere donati
Per cercare di risolvere questi problemi, noi del
gruppo ICT4G della Fondazione Bruno Kessler
sviluppiamo dal 2011 BringTheFood (http://
www.bringfood.org), una applicazione web e
per smartphone per segnalare e prenotare eccedenze alimentari. Nell’idea originale, i donatori
indicano le caratteristiche della donazione (tipo,
contenuto, quantità, scadenza, disponibilità per la
consegna) e il sistema rende visibili le donazioni
a tutti gli enti caritativi nella zona, togliendo la
necessità di fare lunghi giri di telefonate. Il primo
ente interessato e in grado di ritirare la donazione la prenota e si accorda con il donatore per la
consegna.
Nel primo periodo di operatività e grazie anche
alla collaborazione con diverse ONLUS che operano nel settore, abbiamo però potuto toccare
con mano cosa significhi organizzare e gestire il
recupero giornaliero, anche salendo letteralmente sui furgoncini di Banco alimentare che tutti i
E co n o m ia tr e n tin a
59
OLTRE I CONFINI PROVINCIALI
recuperate. Anche per un’organizzazione come
Banco alimentare non è sempre facile o conveniente raggiungere tutti i potenziali donatori per
limiti di tempo, capacità di trasporto o stoccaggio
e numero di volontari. Dall’altro lato, chi ha cibo
in eccesso non sempre pensa o è nelle condizioni di poterlo donare. Chi non produce grandi
eccedenze con regolarità, per esempio, non può
accordarsi per una raccolta periodica con un ente
e non può segnalare abbastanza rapidamente la
disponibilità di una eccedenza. Non è detto poi
che l’associazione sia in grado di reagire tempestivamente alla segnalazione. A complicare
ulteriormente la situazione sono le regole applicate dalle diverse organizzazioni per accettare
donazioni alimentari. Per esempio, alcune organizzazioni pongono dei limiti più restrittivi sulle
caratteristiche dei prodotti che possono essere
donati, spesso richiedendo ai donatori di affiliarsi
formalmente all’organizzazione.
Antipasti pronti nella cucina di un ristorante.
“BringTheFood” fornisce ai donatori
un canale privato per segnalare le proprie
eccedenze a gruppi fidati di enti caritativi
giorni recuperano e ridistribuiscono centinaia di
pasti. Aspetti più tecnici, come il rispetto della
catena del freddo attraverso l’uso di abbattitori, si
affiancano alle questioni etiche della preservazione della dignità dei beneficiari finali. L’idea originale di un “eBay solidale” che permette a tutti di
donare a chiunque, pur essendo affascinante va
a scontrarsi con una realtà molto più complessa
(tanto per cambiare?) in cui si deve tenere conto
di dinamiche di volontariato, vincoli logistico/
organizzativi e – non ultimi – aspetti più filosofici
legati alle persone coinvolte come beneficiari e al
significato di donare loro del cibo.
All’idea originale si sono affiancate nuove funzioni
che consentono di fornire servizi specificamente
mirati alle esigenze di alcune modalità di donazione. Si va dalla dimensione dei privati che possono
scambiare cibo tra di loro fino alla dimensione
delle reti di recupero che devono smistare grandi
donazioni di organizzazioni di produttori. BringTheFood supporta anche la creazione di nuove
reti di solidarietà on-line, fornendo ai donatori un
canale privato per segnalare le proprie eccedenze
60
Econo mi a t re nt i na
a gruppi fidati di enti caritativi. Inoltre, l’applicazione dà indicazioni in modo non invasivo sulla
corretta gestione delle donazioni, enfatizzandone
la natura di dono più che quella di transazione
commerciale.
Un esempio che riteniamo “di successo” è la
collaborazione con il progetto Rete Solida di ACLI
nell’area di Padova, che raccoglie una cinquantina di enti caritativi che ricevono donazioni da
organizzazioni di produttori. Le organizzazioni di
produttori sono in grado di ricevere agevolazioni
fiscali e il trasporto gratuito di prodotti destinati
alla donazione che altrimenti verrebbero distrutti.
Questo è possibile solo se dall’altra parte c’è una
capacità ricettiva adeguata. Considerato che la dimensione media di una donazione è 20 tonnellate
(un TIR), il problema è coordinare lo smistamento
dei prodotti “just in time”, frazionando il prodotto
in piccoli lotti e in modo da evitare di utilizzare
magazzini. A questo vanno aggiunti tutti i requisiti burocratici per il trasporto e la comunicazione
alla Prefettura dell’avvenuta donazione. Questo
avrebbe comportato un carico di lavoro notevole
Si tratta di una rivoluzione nel modo
in cui viene governato lo spreco di cibo
e organizzata la logistica delle eccedenze
Da questa esperienza nasce anche GASAPP
(http://ict4g.org/gas), l’applicazione che stiamo
sperimentando per i gruppi di acquisto solidale. In
questo caso la tecnologia di BringTheFood viene
messa al servizio di produttori di bio e di gruppi
di acquisto, per organizzare la prenotazione e
l’acquisto di prodotti. Con circa 150 utenti attivi,
l’applicazione ha visto effettuare circa 400 ordini
nei mesi estivi.
Il futuro è rappresentato da una rivoluzione nel
modo in cui viene governato lo spreco e organizzata la logistica delle eccedenze.
Una prima sfida è trovare delle logiche in cui le
tecnologie sono al servizio degli enti che si adoperano con tanta dedizione a combattere lo spreco.
L’opportunità più evidente è quella di contribuire
all’implementazione di due delle azioni prioritarie
del Piano nazionale di prevenzione degli sprechi
alimentari incidendo in maniera significativa sulla
quantità di eccedenze che vengono recuperate.
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61
OLTRE I CONFINI PROVINCIALI
per il responsabile della rete: almeno una giornata
passata al telefono più tutto il tempo per stampare, compilare e firmare i documenti richiesti.
BringTheFood supporta in maniera efficace l’intero processo: prenotazione e smistamento avvengono poche ore dopo la segnalazione da parte dei
fornitori. Il sistema genera tutta la documentazione già compilata con cui gli enti si possono presentare il giorno della consegna, un paio di giorni
dopo, e ricevere la merce. Da gennaio 2015, ACLI
Padova ha smistato in questo modo più di 430
tonnellate di prodotti ortofrutticoli, per un valore
commerciale all’ingrosso stimato di circa 500mila
euro. Le consegne avvengono al ritmo di una
donazione ogni due settimane, ma il dato che dà
più soddisfazione sono gli oltre 18mila assistiti
degli enti caritativi associati alla rete, che hanno
la possibilità di fruire di prodotti freschi e freschissimi (un’area in cui le donazioni “standard” hanno
maggiore difficoltà).
Lo spreco alimentare non si riduce
facilmente: in Vallagarina le mense scolastiche
buttano in media il 7% dei pasti
Le possibilità di miglioramento sono notevoli, allargando lo sguardo alle altre parti della catena in
cui si realizzano eccedenze non recuperate: ristorazione, piccoli esercizi commerciali, produttori.
Per il futuro di BringTheFood quindi puntiamo a
stabilire un dialogo con le istituzioni e con gli enti
già attivi in tutta Italia e fornire supporto per replicare la “storia di successo” di ACLI Padova. Basti
pensare che Rete Solida finora ha collaborato con
otto organizzazioni di produttori e in Italia ce ne
sono 308 accreditate presso il Ministero per le
politiche agricole e forestali. Va da sé inoltre che
l’applicazione permette facilmente di gestire donazioni di qualsiasi categoria merceologica.
La seconda sfida è rappresentata dal governo
dei dati e dalla riduzione degli sprechi. L’obiettivo
è utilizzare le tecnologie di BringTheFood per
ridurre le eccedenze a minore fruibilità: spreco
domestico, prodotti preparati. Anche guardando
al solo Trentino, le realtà che recuperano cibo da
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Econo mi a t re nt i na
ristoranti e rivenditori sono molte e spesso incontrano problemi logistici nella gestione dei propri
donatori e della ridistribuzione. Allo stesso tempo
lo spreco alimentare non si riduce facilmente.
Basti pensare al recente studio4 che ha evidenziato come in Vallagarina le mense scolastiche
sprechino in media il 7% dei pasti. Qui BringTheFood e i prototipi che stiamo sperimentando
hanno l’obiettivo, da una parte, di consigliare stili
di acquisto, preparazione e consumo più adeguati
e, dall’altra, rendere ancora più efficiente il processo di recupero in quei segmenti della catena
di difficile fruibilità.
4 Dati Comunità di valle della Vallagarina e Risto3.
Relatori e pubblico al convegno di BITM.
Turismo cinese: dinamiche
e peculiarità di un nuovo
mercato
Il profilo di un visitatore ancorato a rigide regole comportamentali e culturali
I
l turismo cinese in Italia, le sue caratteristiche
e le sue potenzialità sono state al centro di
un pomeriggio di discussione organizzato lo
scorso settembre dalla Borsa internazionale
del turismo montano. L’incontro, promosso in
collaborazione con il “Centro Martino Martini”
dell’Università di Trento, aveva lo scopo di avviare una riflessione sulla crescita e sullo sviluppo
* Professore ordinario di sociologia delle relazioni internazionali presso la Facoltà di sociologia dell’Università degli studi di Trento.
**Architetto e Vicepresidente dell’Ordine degli architetti, pianificatori,
paesaggisti e conservatori della provincia di Trento.
del turismo in Trentino, cercando di ragionare,
in particolare, sul fenomeno cinese, visto anche
nella prospettiva del business turistico. Tra i nuovi
protagonisti del turismo dei prossimi anni, infatti,
uno spazio speciale va riservato al popolo cinese
che, con i suoi numerosi potenziali turisti (appartenenti cioè a una classe medio-alta), si appresta
a visitare l’Europa. E quindi anche l’Italia. Si tratta
di un mercato turistico estremamente interessante, non solo per le città ma anche per i territori
di montagna. Ma quali sono le caratteristiche di
questo turismo? Cosa cerca il turista cinese in visita in Italia? Cosa può fare il Trentino per rendersi
più appetibile al turista che proviene dall’Oriente?
Quali sono gli accorgimenti che gli operatori
E co n o m ia tr e n tin a
63
OLTRE I CONFINI PROVINCIALI
RICCARDO SCARTEZZINI*, ALESSANDRO FRANCESCHINI**
Wang xin, imprenditore ed esperto di tecniche turistiche internazionali.
turistici devono approntare per accogliere con
professionalità l’ospite orientale? Il Convegno ha
riflettuto proprio su queste tematiche.
A Miriam Castorina, docente dell’Università la
Sapienza di Roma, con il suo intervento dal titolo
“Turismo cinese e gastronomia. Chiavi di lettura
e proposte”, e a Carlotta Trevisan con il tema
“Gli standard di accoglienza per il turista cinese”,
il compito di approfondire l’identikit del turista
cinese. “I turisti cinesi cercano delle garanzie del
gusto – ha detto Castorina – qualcosa di familiare,
qualcosa che aiuti ad accettare e scoprire il piatto
locale”. Meglio quindi proporre assaggini che un
piatto all’amatriciana. Per il vino quasi nessun problema, “in Cina è diffusissimo così come lo sono
le bollicine”. I turisti cinesi sono sempre più giovani e social, si informano attraverso Internet ma
per usare questi canali di comunicazione occorre
affidarsi alle piattaforme diffuse in Cina come
64
Econo mi a t re nt i na
“elong”, “qunar”, “wechat” (e non “whatsapp”)
e “daodao” la versione cinese di “Tripadvisor”.
Carlotta Trevisan ha evidenziato, tra le altre cose,
l’importanza della comunicazione non verbale:
“‘Cina’ in cinese significa ‘il Paese del centro’,
per secoli è stata al centro del mondo, quindi
il turista cinese ha una forte percezione del
proprio Paese e chiede un senso di privilegio e
prestigio». Insomma chiedono onori e attenzioni
e che vengano applicati secondo una particolare
gerarchia, con grande attenzione all’anziano. Il più
giovane è portatore di “dovere” nei confronti di
chi è più grande di lui, anche in una tavolata fra
amici o famigliari. La relatrice ha anche parlato
dell’importanza di Internet, per poter intercettare
il turista cinese. Attualmente in Cina ci sono 618
milioni di internauti e gran parte delle ricerche
viene fatta su siti indipendenti e su blog: nel 48%
alloggio/località; il 36% prenota alloggio delle
I cinesi chiedono sicurezza,
non amano le sorprese e cercano
cose memorabili, anche stereotipate
cilmente raggiungibile e senza stress”. Ancora il
geografo: “Per riassumere, gli ingredienti per attrarre il turista cinese in Trentino possono essere
riassunti nell’acronimo “MASSE”: ovvero Montagna, Accoglienza (anche linguistica e gastronomica), Sorprese=zero, Stereotipi, Efficienza. A questo, come motore, può essere associata la visita
ai luoghi legati a un personaggio famoso in Cina,
tema che i cinesi vivono con una certa sensibilità”. Secondo il ricercatore, infatti, “se per attrarre
i tedeschi bastava avere un po’ di sole e un po’
di natura, più o meno incontaminata, per attrarre
i cinesi occorre fornire loro un buon pretesto per
venire ‘proprio qui’ “.
Sullo sfondo di immagini di vari aspetti della vita
e del paesaggio cinese, che avevano lo scopo di
mettere in evidenza soprattutto le differenze con
situazioni e paesaggi cui siamo abituati nei nostri
Un momento della tavola rotonda.
E co n o m ia tr e n tin a
65
OLTRE I CONFINI PROVINCIALI
vacanze on-line; 17% prenota addirittura con una
app del suo mobile. In questo contesto hanno
successo i siti di forum e i blog di viaggi: l’Italia è
presente, ma assai meno della Francia, e solo in
modo molto “spontaneo”, senza una strategia di
marketing globale.
Infine, Michele Castelnovi geografo del Centro
studi Martino Martini ha illustrato la montagna
che piace ai cinesi. “I cinesi vanno in vacanza in
montagna da secoli. E per loro il mare non è una
grossa attrattiva, a meno che non sia di extra
lusso a sette stelle con mete verso le Maldive o
Dubai”. I cinesi chiedono sicurezza, non amano
le sorprese e cercano cose memorabili, anche
stereotipate. Come quindi deve essere la montagna? “Un posto dove si va tutti insieme con
il pullman o il treno. Non deve essere selvaggia
ma rassicurante e serena. Tutto deve essere fa-
In Italia si va espandendo una richiesta
di turismo più specifico di gruppi meno numerosi
che richiedono ambienti ed esperienze particolari
paesi, il prosieguo della conversazione ha riguardato l’attrattività delle zone montane dell’Arco
alpino e lo stile di accoglienza. La domanda di
turismo in queste zone sta cambiando in maniera
radicale e cerca sempre più qualità in vari aspetti
correlati: comfort residenziale, cultura e tradizioni,
gastronomia, ambienti incontaminati. Ciò vale
essenzialmente per i turisti italiani ed europei,
specialmente se colti e consapevoli delle caratteristiche distintive dell’ambente montano. Ma
riguarda anche un segmento del turismo cinese
di classe sociale e di capacità di spesa medio alta.
Dopo la stagione del turismo tradizionale in Italia,
organizzato per grandi gruppi e legato soprattutto
alle città d’arte e alle aree dello shopping, si va espandendo una richiesta di turismo più specifico,
di gruppi meno numerosi ma richiedenti ambienti
ed esperienze particolari.
Anche di questi temi si è discusso nella seconda parte dell’incontro, organizzata in una Tavola
rotonda con ospiti legati al mondo del turismo.
Erano presenti Mirco Elena (viaggiatore, divulgatore scientifico), Yu jin (avvocata), Wang xin (imprenditore), Attilio Silvestri (operatore turistico),
Sergio Cucini (già presidente degli Albergatori
della provincia di Verona), Monica Basile (Associazione albergatori e imprese turistiche della
provincia di Trento), Ettore Zampiccoli (Dirigente
di Assoturismo trentino), Natale Rigotti (presidente di Accademia d’Impresa). Elena ha sottolineato
di essere rimasto affascinato dalla Cina sin dal
primo viaggio, nel 1984, mettendo in evidenza gli
impressionanti i cambiamenti, non solo materiali,
ma anche nella mentalità e nell’atteggiamento
delle persone avvenuti in questi anni. Per vari
aspetti si può affermare che i cinesi sono un po’
Il dibattito a margine della tavola rotonda.
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Econo mi a t re nt i na
Yu jin, avvocata e studiosa di scambi culturali tra Cina e Italia.
I cinesi, più degli europei, danno importanza
alla tradizione culturale, che modella il costume,
gli italiani d’Oriente. Avremmo avuto più chance
di altri, ma non ci siamo mossi per tempo e con
intelligenza per conquistare un posto di prima
fila alla ricca “mensa del business” cinese. Ma
abbiamo ancora delle carte da giocare.
Durante il dibattito, Wang xin ha ricordato che le
delegazioni cinesi, attualmente in visita all’Expo
di Milano, prendono contatti con diverse realtà
regionali, facendo, ad esempio, convenzioni e
accordi di scambio nel settore educativo (è un
esempio quello delle scuole delle Giudicarie),
mentre Yu jin ha ricordato le difficoltà, soprattutto
di carattere burocratico, che incontrano i cinesi
quando si interfacciano con il nostro Paese. Sono
emerse, infine, anche delle suggestioni operative. Fra le tante va segnalato il bisogno di valorizzare la figura di Martino Martini: questo gesuita
trentino del Seicento fu il primo europeo autore
della prima grammatica cinese, della prima storia
antica della Cina, della prima cronaca della guerra
tartarica, del primo Atlante completo dell’Impero.
Un’eredità straordinaria che potrebbe essere un
efficace ponte tra il Trentino e la Cina. Un patri-
monio affettivo, riconosciuto da entrambe le parti
che potrebbe dare il via a impensabili flussi turistici. In fondo ciò che rende compatibili e attraenti
reciprocamente l’Italia e la Cina è proprio l’avere
dietro le spalle due grandi civiltà (quella latina e
quella confuciana), sostenute da due grandi Imperi (romano e cinese dinastico). I cinesi, più degli
europei, danno molta importanza alla tradizione
culturale, che modella il costume, i valori, il gusto
del bello e i saperi. Entrambi i Paesi hanno ricchezze ambientali, artistiche e manifatturiere che
consentono di riconoscere le caratteristiche apprezzabili prodotte dalle due civilizzazioni, come
il paesaggio, le arti, la gastronomia, (l’estetica,
cultura del cibo…). E quale strumento migliore
del turismo può essere il collante per rafforzare
l’amicizia e la collaborazione tra questi due grandi
Paesi?
E co n o m ia tr e n tin a
67
OLTRE I CONFINI PROVINCIALI
i valori, il gusto del bello e i saperi
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