la trasformazione del nord est - Camera di Commercio di Trento
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la trasformazione del nord est - Camera di Commercio di Trento
4-2015 Rivista trimestrale della Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Trento – Anno LXIV n° 4-2015 Reg. Tribunale di Trento n° 34, Direttore responsabile Mauro Leveghi — Poste Italiane s.p.a. – Spedizione in A. P. – 70% Trento nr 4-2015 LA TRASFORMAZIONE DEL NORD EST Analisi storica, economica e sociologica di un “laboratorio” d’impresa Economia trentina Rivista trimestrale della Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Trento Economia trentina In questo numero Anno LXIV - n. 4-2015 dicembre 2015 Direzione e redazione Camera di Commercio I.A.A. di Trento AREA SVILUPPO Forum – La trasformazione del Nord Est via Calepina, 13 - 38122 Trento tel. 0461-887269 - fax 0461-986356 e-mail: [email protected] Non una crisi istantanea, ma di lungo, lunghissimo, corso ENRICO ZANINOTTO pag. 6 Ha ancora senso parlare di Nord Est? DAVIDE GIRARDI pag. 10 “Le Metamorfosi” MAURO MARCANTONI pag. 14 www.tn.camcom.it Reg. Tribunale di Trento n. 34 dell’11 agosto 1952 Presidente: Giovanni Bort Direttore responsabile: Mauro Leveghi Comitato editoriale: Alberto Folgheraiter, Alessandro Franceschini, Mauro Leveghi, Mauro Marcantoni, Daniele Marini, Donatella Plotegher In redazione: Roberto Giampiccolo Progetto grafico e impaginazione: Artimedia Stampa: Publistampa Arti Grafiche AREA ECONOMIA E AZIENDE I mercati elettronici delle pubbliche amministrazioni, opportunità o minaccia? CHIARA CHEMELLI, MATTEO DEGASPERI pag. 26 I Wood doctor con la Panda a metano ALBERTO FOLGHERAITER pag. 32 Sozialpartnerschaft trentina FRANCO IANESELLI, ALBERTO MATTEI pag. 35 Foto: Archivio della Camera di Commercio di Trento; Bernardinatti; Archivio della Fondazione Museo Civico di Rovereto; Archivio Ri-legno; Archivio Iniziative Turistiche per la Montagna, Trento-Pierluigi Cattani Faggion. Poste Italiane s.p.a. – Spedizione in Abbonamento Postale – 70% Trento nr. 4-2015 ISSN 0012-9879 AREA CULTURA E TERRITORIO Viticoltura eroica e qualità del vino FRANCESCO SPAGNOLLI pag. 42 L’importanza di essere “Civico” FRANCO FINOTTI pag. 48 La triangolazione lavoro-povertà-famiglia SILVIA BRUNO pag. 52 Corrispondenza, manoscritti, pubblicazioni devono essere indirizzati alla Direzione della rivista. Gli articoli firmati e siglati rispecchiano soltanto il pensiero dell’Autore e non impegnano la Direzione della rivista. È vietata la riproduzione degli articoli e delle note senza l’autorizzazione. Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana - USPI OLTRE I CONFINI PROVINCIALI Combattere lo spreco e la povertà alimentare con la tecnologia AARON CIAGHI, ADOLFO VILLAFIORITA pag. 58 Turismo cinese: dinamiche e peculiarità di un nuovo mercato RICCARDO SCARTEZZINI, ALESSANDRO FRANCESCHINI pag. 63 E co n o m ia tr e n tin a 3 area sviluppo Forum – LA TRASFORMAZIONE DEL NORD EST ENRICO ZANINOTTO Non una crisi istantanea, ma di lungo, lunghissimo, corso DAVIDE GIRARDI Ha ancora senso parlare di Nord Est? MAURO MARCANTONI “Le Metamorfosi” Forum – LA TRASFORMAZIONE DEL NORD EST Non una crisi istantanea, ma di lungo, lunghissimo, corso Stagnazione e turbolenza dietro la deludente performance media dell’economia ENRICO ZANINOTTO* S ono numerosi gli economisti che ritengono sia necessario risalire fino alla fine degli anni 90 – secondo alcuni addirittura fino al 1995 – per ritrovare i primi segnali di stagnazione della crescita della produttività totale dei fattori. Un indicatore importantissimo, questo, in quanto misura la crescita del valore aggiunto conseguente al progresso tecnico, ai miglioramenti nella conoscenza e all’efficienza dei processi produttivi. Un modo, * Professore ordinario presso il Dipartimento di economia e management dell’Università degli studi di Trento. 6 Econo mi a t re nt i na dunque, per legare la capacità di avanzamento di un Paese o di un settore, non tanto al maggior impiego dei fattori produttivi (intesi come capitale, lavoro, organizzazione), quanto piuttosto alla loro innovazione. L’ultima rilevazione annuale ISTAT, in particolare, ha mostrato come la produttività in Italia fosse in calo da almeno vent’anni. Secondo l’Istituto superiore di statistica, infatti, nel periodo 19952014, la produttività totale dei fattori è diminuita, pur a fronte di un incremento medio del valore aggiunto e dell’impiego complessivo di capitale e lavoro. Massimo picco al ribasso, in particolare, nel 2009. Nello specifico, dal 1995 e fino al 2007, nel siste- AREA SVILUPPO Nel 2014 la produttività totale è scesa dello 0,2%, la produttività del lavoro dello 0,7% mentre è aumentata dello 0,8% quella del capitale ma è stato inserito un numero sempre maggiore di fattori produttivi ma la loro produttività non è stata efficiente, anche perché non accompagnata da un corretto investimento in termini di ricerca e innovazione. Così anche il valore aggiunto generato dall’introduzione di tali input produttivi, dopo una crescita iniziale, è diventato decrescente, fino a crollare dopo il 2007 perché non supportato da innovazione tecnologica né dall’inserimento di nuovi fattori produttivi (con la crisi l’investimento di capitali è diminuito). Considerando le diverse componenti della crescita del prodotto, nell’intero periodo 1995-2014, si può inoltre affermare che, a fronte di un aumento iniziale degli input di lavoro e di capitale, si è registrata comunque una caduta della produttività totale dei fattori. Venendo al 2014, in particolare, si nota come la produttività totale sia scesa dello 0,2%, la produttività del lavoro dello 0,7% (a seguito del calo del valore aggiunto, -0,5%, e del modesto incremento dell’input di lavoro, +0,2%), mentre è aumentata dello 0,8% quella del capitale (risultato di una forte contrazione degli input, -1,3%, e di un calo più contenuto del valore aggiunto, -0,5%). Tali andamenti riflettono, evidentemente, la difficoltà dell’economia italiana di adattarsi a due cambiamenti fondamentali: l’ingresso nel mercato di nuovi attori (la “globalizzazione”) e il cambio fisso collegato all’introduzione dell’euro che rende impossibile riproporre le politiche di svalutazione competitiva impiegate in passato. In questo quadro, già di grande difficoltà, si innesta la crisi, con effetti devastanti, soprattutto dell’ultima fase, perché la caduta della domanda ha ostacolato la ristrutturazione delle imprese. Operai in un cantiere edile. E co n o m ia tr e n tin a 7 Zona industriale di Pergine Valsugana. Una parte del sistema produttivo ha cercato di adattarsi alla competizione internazionale con un aggiustamento “al ribasso” Sui motivi di questa difficoltà di lungo periodo di crescita dell’economia italiana gli economisti hanno a lungo dibattuto. Un punto di vista condiviso da molti è che alla fine degli anni 80 l’Italia abbia terminato la lunga rincorsa alle economie dei Paesi di più antica industrializzazione (catching up) iniziata con il miracolo economico. Mentre le economie che rincorrono possono crescere attraverso uno spostamento delle risorse dai settori meno produttivi a quelli più produttivi (tipicamente, dall’agricoltura all’industria) e importando tecnologie sviluppate altrove, i Paesi sviluppati per continuare a crescere devono generare innovazione dall’interno. A questo cambiamento di rotta l’Italia non era preparata: una economia basata sull’innovazione richiede infatti molte condizioni esterne: una forza lavoro istruita, la presenza di istituzioni di ricerca avanzate e ben collegate con il mondo economico, una finanza capace di sostenere investimenti rischiosi in innovazione, una rete di servizi avanzati, generalmente localizzati in aree metropolitane, che risponda alle nuove domande di consulenza, progettazione, formazione delle 8 Econo mi a t re nt i na imprese. Tutte queste condizioni sono difficili da creare e la crisi ha rallentato questo processo. Quella interpretazione tuttavia si scontra con una visione che sottolinea invece l’eterogeneità della situazione italiana. L’evidenza di una stagnazione generale e di lungo periodo nasconde, in realtà, una forte turbolenza, sicché dietro alla deludente performance media c’è una fortissima variabilità e situazioni in cui convivono imprese altamente produttive, in genere capaci di operare con efficacia nei mercati e di posizionarsi in modo opportuno nella catena internazionale del valore, e imprese che cercano di sopravvivere cercando di rincorrere la concorrenza sui costi portata dai Paesi in via di sviluppo, soprattutto attraverso riduzioni del costo del lavoro. Questo dualismo sottostante la bassa performance media è stato acuito dalle misure per la flessibilità nel mercato del lavoro, introdotte tra la fine degli anni 90 e i primi anni 2000 (il pacchetto Treu nel 1997 e la riforma Biagi nel 2003) come tentativo di rispondere a mercati maggiormente AREA SVILUPPO La parte più vivace dell’imprenditoria italiana sa rispondere alle esigenze specifiche dei clienti con un’attività di “customizzazione” competitivi e mobili. Si trattava di provvedimenti fortemente asimmetrici, in quanto prevedevano diversi trattamenti per chi entrava nel mercato del lavoro rispetto a chi era già presente in esso con posizioni a tempo indeterminato. Ciò generava un dualismo nei profili temporali dell’impiego e nel costo del lavoro. Una parte del sistema produttivo, in particolare, ha cercato così di adattarsi alla competizione internazionale con un aggiustamento “al ribasso”, sostituendo manodopera stabile con manodopera flessibile e meno costosa (ma anche meno qualificata). Cosa che inevitabilmente ha avuto effetti sulla produttività. Per contro, altre imprese hanno continuato a investire in innovazione, e in manodopera stabile e qualificata, cercando di competere non sui costi, ma sulla differenziazione del prodotto e l’ingresso in nuovi mercati internazionali. Nonostante la crisi, dunque, e a dispetto delle medie, l’economia italiana si è mossa: l’economia del Nord Est ne è un esempio. Leggere oggi il Nord Est con le lenti del passato, delle economie distrettuali, ad esempio, non permettere di cogliere i profondi cambiamenti in corso. I distretti tradizionali non esistono più e, nonostante i tentativi di rincorsa al ribasso, le imprese che hanno cercato di rincorrere la concorrenza sul costo del lavoro si trovano in difficoltà sempre maggiori. Per contro, in altre situazioni il distretto si è riorganizzato attorno a imprese leader, la cui rete di relazioni si è estesa permettendo loro di posizionarsi adeguatamente nella catena internazionale del valore. Alcuni settori tradizionali che costituivano punti di forza dell’economia del Nord Est (come il mobile) sono pesantemente ridimensionati, mentre altri, come la meccatronica, stanno avendo grande successo e guidano la crescita delle esportazioni italiane innestandosi in filiere produttive a elevata crescita. La parte più vivace dell’imprenditoria italiana (e del Nord Est in particolare) sembra scoprire che la sua vera specialità è la capacità di risposta a esigenze specifiche dei clienti, con una attività di “customizzazione” che richiede velocità e innovazione. E questa ricetta può essere applicata a molti settori, non solo a quelli tradizionali del made in Italy. La visione che deriva da queste osservazioni è, per molti aspetti, meno negativa di quella che guarda alla caduta della produttività come a un fenomeno omogeneo e a una caratteristica di sistema. Individuare e rafforzare quei modelli emergenti richiede però non solo capacità di lettura dei fenomeni in corso, ma anche un cambiamento radicale dell’azione pubblica. Non solo la creazione di un mercato del lavoro dualistico ha rallentato il cambiamento (e per fortuna la legislazione sul mercato del lavoro ha corretto alcune storture più palesi), ma questo è stato ostacolato anche dalla lentezza della riallocazione delle risorse verso le imprese e i sistemi trainanti la crescita. Le imprese che hanno sviluppato la capacità di rispondere rapidamente e con innovazioni alle esigenze dei propri clienti abbisognano di personale qualificato, di servizi avanzati, di finanziamenti adeguati, di accesso alle reti di comunicazione… In quello che Daniele Marini chiama “il laboratorio del Nord Est” c’è uno spazio fondamentale anche per la sperimentazione di nuovi ruoli per le politiche pubbliche. E co n o m ia tr e n tin a 9 Forum – LA TRASFORMAZIONE DEL NORD EST Interno di un’impresa meccanica. Ha ancora senso parlare di Nord Est? Tre sfide da considerare per tornare a essere la “locomotiva d’Italia” DAVIDE GIRARDI* I n che termini ha ancora senso parlare di Nord Est? Nella risposta al quesito è da qualche tempo impegnato il dibattito sull’opportunità di impiegare la categoria “Nord Est” in modo forte o, al contrario, di sottolineare i caratteri di normalizzazione dell’area rispetto agli anni Novanta e ai primi anni Duemila. Certamente, il brand “Nord Est” è stato per anni molto connotato su diversi fronti, da quello economico a quello politico, fino a quello più ampiamente sociale; lo è stato fino a divenire una sorta di definizione di senso comune che – come tutte le definizioni di senso comune applicate ai diversi fenomeni sociali – * Istituto Universitario Salesiano di Venezia e Università di Padova. 10 Econo mi a t re nt i na garantiscono “facilità”, ma ingabbiano spesso l’analisi complessa, oggi più che mai necessaria anche per quello che fu “il Nord Est”. Utilizzare il passato remoto, da questo punto di vista, ha senso se si considera come la categoria Nord Est venne coniata, per rappresentare fenomeni diversi da quelli di oggi: su tutti, la piccola impresa come chiave portante di un’architettura sociale che su di essa si reggeva per molta parte e, nella dimensione partitico-politica, la percezione di un deficit di rappresentanza poi sfociato nella nascita e nello sviluppo di formazioni come la Lega Nord. Per altro verso, però, i fenomeni che oggi interessano il Nord Est appaiono tuttora degni di attenzione, e vale forse la pena analizzarli perché rappresentano vere e proprie sfide per il futuro dell’area, evitando di cestinarli assieme AREA SVILUPPO I fenomeni che oggi interessano il Nord Est appaiono tuttora degni di attenzione e rappresentano vere e proprie sfide per il futuro dell’area alle categorie definitorie (da rivedere perché provvisorie). La volontà di comprensione di questi fenomeni, infatti, implica anche la consapevolezza che essi abbiano ancora qualcosa da dire. Innanzitutto, sul versante dell’impresa: se – anche alla luce della recente crisi economica – il Nord Est non è più la “locomotiva d’Italia” tout court – che negli anni 90 divenne quasi il paradigma della crescita economica – molte imprese del Nord Est rappresentano ancora una punta avanzata dei processi che le aziende hanno dovuto affrontare per rispondere attivamente alle richieste dei mercati internazionali, negli anni della crisi e in quelli che ci attendono; dinamiche che hanno riguardato un recupero di efficienza e di efficacia giocato sui processi di innovazione interni, sulla cura dei rapporti con i fornitori, sull’impiego di capitale umano qualificato e sulla capacità di simbolizzare i prodotti e le specificità del made in Italy. In questa prospettiva, una delle sfide richiamate sopra sarà proprio quella di estendere le buone prassi di quelle aziende – soprattutto di media dimensione – che nel Nord Est si sono rivelate in grado di mettere a fattore comune le caratteristiche riprese in precedenza, soprattutto considerando come la variabile dimensionale non sia più, oggi, l’unica utile a raccontare le diverse traiettorie (di successo o meno) delle aziende. In tal senso, piccole imprese capaci di innovare, prestare attenzione strategica al capitale umano e rappresentare adeguatamente il proprio prodotto sono già presenti e vincenti nelle filiere internazionali; quanto più sistematiche diverranno tali caratteristiche, tanto più l’area nordestina saprà riacquisire percorsi di crescita strutturale e non limitata ad alcune “eccellenze”, soprattutto in un Presentazione del laboratorio di imprenditorialità per giovani talenti. E co n o m ia tr e n tin a 11 Oltre alla crescita economica vanno considerate anche le tendenze demografiche venutesi a configurare momento in cui paiono trasparire concreti segnali di fiducia delle imprese rispetto a un futuro meno statico di quello recente. Si tratterà poi di verificare i ritorni sul piano occupazionale, poiché anche in un’area in cui la disoccupazione era divenuta quasi frizionale la crisi ha portato conseguenze non marginali, rendendo la disoccupazione stessa un orizzonte non certo innominabile, sia per le coorti più giovani sia per quelle più adulte (espulse dal mercato del lavoro in età più avanzata). Focalizzare l’attenzione solo sulle imprese, però, rischierebbe di riproporre un appiattimento sulla dimensione della crescita economica come indicatore univoco di un territorio. Non meno importante, tuttavia, è la sfida posta dalle tendenze demografiche venutesi a configurare in particolare negli anni Duemila, soprattutto quelle relative alla popolazione di origine straniera. L’apporto di quest’ultima sul piano delle esigenze di lavoro delle imprese, di cura delle famiglie e di più ampio contrasto all’invecchiamento della popolazione è stato imprescindibile, ma oggi nuove istanze attendono anche l’area nordestina: si pensi, in proposito, ai percorsi di mobilità sociale dei giovani di origine straniera usciti dalle aule scolastiche, che non potranno ripercorrere i sentieri sperimentati dai genitori; oppure a quelli di persone d’origine straniera, giovani e meno giovani, che in questi anni hanno acquisito e stanno acquisendo la cittadinanza italiana (una quota non più marginale). Il Nord Est, divenuto intrinsecamente più eterogeneo nelle caratteristiche di chi lo abita, dovrà quindi fare i conti con una maggiore consapevolezza di questa eterogenei- Integrazione tra studenti all’Università di Trento. 12 Econo mi a t re nt i na AREA SVILUPPO Traffico sull’Autobrennero. Nel nuovo Nord Est convivono riferimenti e traiettorie plurali che richiedono un rinnovato impegno di studio e di riflessione tà, in vista della piena partecipazione alla vita del Paese di una componente centrale (com’è quella di origine straniera). Una terza sfida che merita di essere segnalata è relativa al tema della coesione sociale, certamente legata alle altre due segnalate in precedenza: se si pensa alla funzione di sviluppo e di integrazione sociale garantita dalle aziende o alle numerose realtà della società civile che hanno permesso (non solo) le prime forme d’inserimento delle persone di origine straniera, infatti, non si può evitare di riconoscere quanto l’area nordestina sia stata dotata di “capitale sociale diffuso” e per molti aspetti lo sia ancora; da questo punto di vista, così, si partecipa ancora alle associazioni e alle iniziative culturali, rimanendo inoltre quello familiare il riferimento più importante. Queste risorse “sussidiarie”, però, non potranno surrogare a lungo i deficit istituzionali, anche considerando che i canali della fiducia si rivolgono precipuamente a famiglia, amici e volontariato, come hanno e- videnziato ripetutamente diverse indagini recenti. Così come a livello nazionale, cioè, la dimensione della sfera pubblica si colloca “in fondo” alla classifica degli attori sociali reputati degni di fiducia e sui quali poter contare in caso di difficoltà; la necessità di “indirizzo” dei percorsi futuri è allora molto urgente. In conclusione, nel nuovo Nord Est convivono sempre più riferimenti e traiettorie plurali, tanto sul piano economico quanto su quello più ampiamente sociale. Per questo, è tale pluralità che richiede un rinnovato impegno di studio e di riflessione, al di là del destino delle etichette utili a rappresentare – in modo più o meno semplificato – i fenomeni che vengono di volta in volta analizzati. E co n o m ia tr e n tin a 13 Forum – LA TRASFORMAZIONE DEL NORD EST Cantiere edile ad Arco. “Le Metamorfosi” L’invisibile e tenace evoluzione del Nord Est MAURO MARCANTONI* V eneto, Friuli-Venezia Giulia e TrentinoAlto Adige – meglio conosciuti come “Nord Est” – negli anni Novanta vennero definiti “locomotiva d’Italia” per il florido sviluppo economico di cui si erano resi protagonisti. Strutturatosi sulla base di una forte effervescenza e mobilità sociale, professionale ed economica, accompagnata da una comune visione e da uno stesso orizzonte di valori, il Nord Est, da marginale e periferico, aveva assunto un ruolo trainante, divenendo oggetto di studio per le sue prestazioni economiche e per la ricchezza e benessere creati. Insomma, un punto * Direttore generale di tsm-Trentino School of Management. 14 Econo mi a t re nt i na di riferimento per l’intero Paese. I motivi che determinarono tanto successo sono legati a un particolare senso di appartenenza al territorio, a una comunità, a un’idea di sviluppo condivisa, ossia alla presenza di una complicità tra società ed economia, tra famiglie e imprese: l’autonomia, la centralità dell’individuo, il valore del lavoro e della solidarietà, nonché la reciproca fiducia tra gli imprenditori, fecero sorgere miriadi di imprese familiari orientate prevalentemente al mercato domestico e compattate in filiere coordinate orizzontalmente, dove concorrenza e cooperazione si configuravano come le due facce di una stessa medaglia. Lo sviluppo si è mosso quasi in modo inconsapevole, sulla base di conoscenze trasmesse in modo diretto e derivanti dall’esperienza, con un orientamento verso settori produttivi AREA SVILUPPO Con il nuovo millennio, la crescita del Nord Est ha subìto un rallentamento progressivo che ha suscitato alcuni timori tradizionali e un basso investimento tecnologico, del resto non necessario all’epoca. Con il nuovo millennio, però, la crescita del Nord Est ha subito un rallentamento progressivo, facendo emergere alcuni timori: si è conclusa la fase ascendente di quest’area trainante? Che speranze ci sono di tornare ai ritmi precedenti? Perderemo il benessere raggiunto? Questi gli interrogativi da cui parte Daniele Marini nel suo pregevole volume “Le Metamorfosi. Nord Est: un territorio come laboratorio” (Marsilio, 2015) per effettuare un’analisi approfondita, sia sotto il profilo storico sia per quanto concerne la situazione attuale e il futuro del Nord Est e, con esso, dell’Italia intera. CAMBIARE PER RIGENERARSI Sulla questione, a partire dal 2005, sono stati condotti studi e indagini (rapporti della Fondazione Nord Est, dell’Unioncamere del Veneto, di Veneto Lavoro e del Piano regionale di sviluppo della Regione Veneto, per citare i più autorevoli), evidenziando l’effettivo cambiamento registrato nell’area, dal calo della manodopera a quello demografico, dalla carenza di lavoratori locali alla difficoltà di gestione familiare delle imprese – vista quest’ultima come ostacolo a reiterare i fattori propulsivi del passato. Sono stati segnalati quelli che, con ogni probabilità, costituiscono i fattori che hanno prodotto un rallentamento, ossia le incrinature di un sistema economico che, nel produrre benefici, ha anche determinato una situazione di sfondo per molti versi differente da quella di partenza. Si pensi, ad esempio, che con l’aumento del benessere si è verificato anche un allargamento del livello di istruzione, con una conseguente scarsità di giovani disposti ad accogliere l’offerta di lavori manuali o non corrispondenti al loro titolo di studio. Oppure a come, con l’ingresso di nuovi Paesi nel mercato internazionale, si sia fatta avanti una concorrenza in settori prima Studenti universitari alla Facoltà di lettere di Trento. E co n o m ia tr e n tin a 15 Rispetto all’Italia, il Nord Est resta a ottimi livelli, ma non se paragonato con aree analoghe dell’Europa esclusivamente appannaggio del Nord Est. O, ancora, all’impatto nei sistemi di produzione delle nuove tecnologie. Tutti aspetti che sono andati a mettere in crisi l’organizzazione produttiva che nei decenni precedenti tanto era riuscita a distinguersi nel panorama italiano. A nessuno era sfuggita l’entità del problema ma, se effettuare la diagnosi non era particolarmente difficile, altrettanto non si può dire per quel che riguarda la prognosi: da un lato vi era chi sosteneva che il Nord Est avrebbe ripreso vigore una volta scongiurata la crisi, attuando progressivi aggiustamenti per ritrovare il proprio equilibrio, dall’altro chi riteneva necessario un intervento programmatico, in grado di rinnovare l’area mettendola al passo con i tempi. Ossia che la defaillance rilevata nel Nord Est fosse in qualche modo prevedibile, visti i rapidi e profondi cambiamenti culturali, sociali e anche economici che hanno caratterizzato l’inizio del Millennio. Da qui la necessità di una leadership capace di proiettarsi verso una nuova immagine del Nord Est e di affrontare la sfida del nuovo che avanza. O almeno questa era la proposta. Dopo il 2005, si assistette a una leggera ripresa, sebbene il Nord Est ancora non si fosse definito in “qualcos’altro”, ma continuasse, almeno in apparenza, lungo la strada imboccata in passato. C’era, tuttavia, la consapevolezza tra gli attori principali di dover “affrontare un salto evolutivo”, sia sotto il profilo del sistema produttivo, sia per quanto riguarda la visione d’insieme, culturale e identitaria. E questa consapevolezza riuscì a tradursi in un invisibile quanto tenace processo di trasformazione o, per meglio dire, di metamorfosi. Molti indicatori confermano questa tendenza. Ad esempio, un dinamismo negli orientamenti delle nuove generazioni imprenditoriali che, nonostante la crisi, iniziavano a palesare un cauto ottimismo, indirizzando le loro imprese verso un 16 Econo mi a t re nt i na processo di terziarizzazione destinato a procedere in modo significativo, fino a rendere arduo identificare il prettamente industriale rispetto ai servizi tout court. Processo che è stato affiancato, oltre a una crescente internazionalizzazione, anche dalla spinta verso la specializzazione e l’innovazione: dalle ricerche e dai rapporti sulla crisi del Nord Est, risulta che le imprese che in quegli anni sono riuscite a mantenersi competitive avevano puntato su prodotti o servizi che altri non erano in grado di realizzare. Insomma, avevano intuito cosa poteva fare la differenza. Nonostante molte fossero le spinte di trasformazione, è opportuno rilevare che si trattava di un fenomeno legato a una bassa percentuale di imprese. E anche in queste poche coraggiose permanevano aspetti legati al “vecchio” modo di gestire l’impresa. Non tutti questi aspetti, in verità, rappresentavano un elemento di disturbo. O meglio, nel loro insieme solo alcuni erano entrati a far parte del processo di metamorfosi ma, inevitabilmente, venivano frenati nella loro spinta propulsiva da quanto ancorava l’economia del Nord Est al passato e anche dalle resistenze alle novità e alle trasformazioni che sempre insorgono in questi casi. Le cose cominciarono a cambiare in modo più significativo a partire dal 2009, anno dal quale si è assistito a un iniziale processo di rigenerazione del Nord Est. Un primo cambiamento è ravvisabile nella scolarità delle nuove generazioni, sempre più orientate verso gli istituti tecnici e professionali, anziché verso i licei. Come se, dopo tanto parlare della carenza di figure specializzate all’interno dell’industria, le famiglie si fossero rese conto che l’istruzione doveva dimostrarsi coerente con l’offerta economica dell’area. Ma, ovviamente, per avere una cognizione di cosa produrrà questa tendenza, bisognerà aspettare ancora qualche anno. Un secondo cambiamen- AREA SVILUPPO Traffico pesante a Bolzano. to è dato dall’aumento della coesione sociale, soprattutto grazie agli elementi di innovazione introdotti dalle cooperative sociali e assistenziali, le quali, pur continuando a svolgere un ruolo di supporto alla pubblica amministrazione, hanno incrementato i servizi sul versante privato. Un altro elemento rigenerativo è identificabile nelle nuove modalità di apertura ai mercati esteri: anche prima di allora il Nord Est aveva dimostrato una propensione all’internazionalizzazione, ma da questo momento l’approccio cambia: diviene primaria la vicinanza al cliente, la capacità di offrire risposte immediate e personalizzate, con una conseguente riorganizzazione delle filiere produttive, sempre più corte e formali per reggere la competizione in campo internazionale e con un allungamento, invece, della rete, per presidiare nuovi mercati. I PUNTI CRITICI Questo il panorama attuale. Tuttavia, nel volume di Marini, viene evidenziata la permanenza di alcuni elementi di disturbo: il primo è la scarsa quota di capitale umano disponibile per il sistema produttivo, mediamente intorno al 18% contro il 32% dell’Unione europea. Il secondo una mancanza di capacità attrattiva del territorio agli investimenti esteri: questo aspetto riguarda prevalentemente il Veneto – dato che Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige hanno visto in realtà un aumento della quota di imprese partecipate – ed è probabile che le cause, oltre alla differenza di gestione tra regioni autonome e ordinarie, siano ravvisabili in problemi legati alle infrastrutture e alla logistica. Il terzo elemento è relativo alla competizione internazionale. Certo, rispetto al resto di Italia il Nord Est mantiene a ottimi livelli, ma non se posto a paragone con aree analoghe dell’Europa: dal confronto, emerge che, a parità di struttura produttiva, le differenze spiccano per quanto riguarda le risorse e il capitale umano. E qui arriviamo a uno dei punti più dolenti dell’attuale situazione. Perché è evidente che, se le imprese del Nord Est non riescono o non possono investire in risorse e capitale umano, questo è dovuto in larga parte a una mancanza di appoggio da parte delle istituzioni, le quali non si preoccupano abbastanza di sostenere la metamorfosi in atto e lo sviluppo economico. Da un Rapporto del 2011, risulta che la maggior parte degli imprenditori che si sono proiettati sui mercati esteri lo hanno fatto con un senso di solitudine, percependo la propria regione come marginale sotto il profilo e- E co n o m ia tr e n tin a 17 Interno di un’industria di componentistica. conomico e politico. In altri termini, si sono dovuti arrangiare, hanno dovuto fare da sé. E, spesso, la staticità istituzionale, con una pubblica amministrazione incapace di rinnovarsi rispetto al nuovo che avanza e con tempi lunghissimi per varare e attualizzare le riforme, ha portato diverse industrie a scegliere l’estero non solo come mercato, ma anche come sede definitiva. Perché in altri Paesi la pressione fiscale è di gran lunga minore e l’amministrazione pubblica in grado di fornire le condizioni base non solo per restare a galla in un momento di crisi, ma anche per risultare competitivi a livello internazionale. Tirando le somme, la situazione generale si presenta come segue: piccole industrie, con solo un mercato domestico, schiacciate dalla crisi; piccole e medie industrie, capaci di rinnovarsi rispetto alle tecnologie, agli input provenienti dal sociale, di aprirsi sui mercati esteri risultando competitive; altre (medie o grandi) che abbandonano l’Italia con una “fuga delle imprese” forse ancora più allarmante della già nota “fuga dei cervelli”. Un fenomeno per ora contenuto, sottolinea Daniele Marini, ma che potrebbe diventare contagioso, fino al rischio, per l’Italia, di perdere il suo Nord Est. CRESCERE IN EQUILIBRIO TRA RINNOVAMENTO E TRADIZIONE Tuttavia, la soluzione non sta esclusivamente nell’internazionalizzazione, la quale è sì di grande importanza, ma non senza aver preventivamente aggiustato il tiro sugli altri punti oscuri. Il processo 18 Econo mi a t re nt i na che aveva portato il Nord Est a tanto splendore, a conti fatti, era stato più istintivo che meditato, ossia proveniva da un modo di fare economia basato su dei fattori fondativi dello sviluppo, depositati da tempo – pur con le dovute differenze – nel Veneto, nel Trentino-Alto Adige e nel FriuliVenezia Giulia: capitalismo familiare, localismo, riferimento al territorio, competenze non formalizzate. Fattori che da soli erano stati in grado di indicare la giusta via, ma che, sull’onda di una trasformazione rapida e per molti versi incontrollata del sistema sociale e culturale, si sono rivelati insufficienti a reggere il colpo. Anch’essi, tuttavia, stanno subendo una metamorfosi. Economia e società non sono mondi separati, e l’uno dall’altro traggono linfa se sanno muoversi in sintonia, se sanno capirsi, trovare un’intesa. In caso contrario, è come vedere sulla pista due ballerini che si muovono uno a tempo di valzer e l’altro a tempo di rock, mentre di sottofondo suona musica jazz. L’effetto, in questi casi, è devastante. Sembra che ci sia, oggi, un Nord Est che ha già radiografato il futuro e si trova, pertanto, proiettato nella globalizzazione, all’apertura con i mercati esteri, alla ricerca di collaboratori con sempre più elevata specializzazione, pronto allo sviluppo di reti culturali e di eventi diffusi sul territorio, alla contrattazione con sindacati e lavoratori, nonché con un’esperienza di welfare sia nel pubblico che nel privato. Mentre gli fa da contraltare un Nord Est primitivo, geloso del proprio passato, con visioni localistiche dello sviluppo economico e incapace di accordarsi al nuovo; un secondo Nord AREA SVILUPPO Senza la consapevolezza della necessità di una nuova vision, è da mettere in preventivo il rischio di un affossamento Est che rifiuta di cambiare e trova rassicurazioni solo nel portare avanti schemi antiquati rispetto ai tempi, nella convinzione che tutto potrebbe tornare come prima una volta superata la fase di crisi. A questo si aggiunge la percezione esterna di quello che rappresenta l’industria, profondamente cambiata negli ultimi anni: un tempo “industria” era sinonimo di benessere, occupazione, salario, prospettive di miglioramento; oggi è subentrato un nuovo criterio, ossia la sostenibilità. Non basta che un’impresa porti lavoro e ricchezza, è necessario che riesca a farlo nel rispetto dell’ambiente, senza aumentare il traffico o l’inquinamento. C’è poi da considerare la percezione dell’industria come luogo di lavoro. Sempre più giovani, come già osservato, non vedono alcuna attrattiva nella fabbrica, probabilmente perché permane nel loro immaginario la figura dell’operaio, del lavoro prettamente manuale. Eppure le cose sono cambiate: nelle industrie trovano impiego tecnici, informatici e molte altre figure professionali. Senza contare che, non di meno, andrebbe rivalutato e riconsiderato il lavoro manuale, che oggi non solo è ben remunerato, ma offre anche grandi garanzie di stabilità. Si tratta, in conclusione, di riuscire a trasmettere all’esterno la nuova immagine del lavoro industriale, al fine di renderlo attrattivo. Pertanto, senza la consapevolezza – che alcune imprese già hanno dimostrato di avere – della necessità di una nuova vision, ossia quell’insieme di valori e ideali che definiscono la progettualità di lungo periodo, il rischio di un affossamento anziché di una ripresa è da mettere in preventivo. Ma come prefigurare il futuro? Come riuscire a capire in anticipo quali siano le mosse più appropriate non solo di far fronte alla crisi, ma addirittura di scavalcarla, producendo eccellenza? Daniele Marini propone soluzioni tailor made, confezionate su misura. Le imprese oggi hanno Operazioni di saldatura. E co n o m ia tr e n tin a 19 Innovare, diversificare, ascoltare, capire, anticipare, il che significa, soprattutto, puntare sul capitale umano e sulla sua formazione sì bisogno di rinnovarsi, ma senza dimenticare le proprie specificità. Ad esempio, è nota la difficoltà delle imprese italiane a crescere oltre una certa dimensione, ma non sempre essere più grandi significa essere più grossi: quel che conta è la crescita organizzativa e qualitativa, magari combinata all’attenzione rispetto al mercato. Oppure la questione della famiglia imprenditoriale, modello ampiamente diffuso nel Nord Est e, come si diceva, ritenuto limitante: è vero che un’eccessiva concentrazione delle leve di comando mal si accompagna con le possibilità di cambiamento, ma è altrettanto vero che molte imprese sono riuscite a compiere una metamorfosi nella conduzione manageriale grazie al passaggio del timone nelle mani delle nuove generazioni. Quindi, non tutto quello che ha costituito in passato un valore e un fondamento per le imprese del Nord Est deve per forza di cose essere abbandonato. Semmai va riveduto, riadattato al cambiamento esterno con estrema consapevolezza. Ad esempio, non va sottovalutata la metamorfosi che – in parallelo con quella dell’industria – sta verificandosi nella società. I valori cardine del Nord Est non sono sostanzialmente mutati. Restano centrali il lavoro, l’autonomia, l’intraprendenza, la famiglia, la solidarietà, l’appartenenza a un territorio. Eppure la possibilità di praticarli e renderli centrali non è la stessa di un tempo. La famiglia è notevolmente cambiata, la religione ha perduto il suo ruolo di collante sociale e l’appartenenza al territorio è sentita in una valenza allargata, in direzione nazionale e anche europea. Nuove forme di interazione sociale si sono sovrapposte alle precedenti (Facebook, Twitter e i social network in generale), modificando in modo incisivo le modalità di relazione tra persone e comunità. E nuovi valori, nuove esigenze stanno emergendo, in primis una richiesta di qualità della vita, che si traduce in aumento di tempo dedicato alle attività culturali, ma anche in bisogni legati ai servizi: asili nido per madri lavoratrici, assistenza per anziani, Bambini in un asilo nido. 20 Econo mi a t re nt i na AREA SVILUPPO Corso di formazione professionalizzante ad Accademia d’Impresa. tanto per portare i due esempi più eclatanti. Tutti elementi, insieme ad altri dovutamente presi in considerazione da Marini nella sua analisi (come l’impatto della nuova realtà costituita dall’immigrazione) di cui oggi è impellente tenere conto. LE PREMESSE PER RIGENERARSI Dall’osservazione del comportamento delle imprese che hanno saputo rinnovarsi e riorganizzarsi, emergono alcuni aspetti e alcune dinamiche che potremmo definire “premesse strategiche” per una rigenerazione. Il primo è il fattore tempo: con le nuove tecnologie oggi le imprese possono comunicare in tempo reale in ogni parte del mondo, organizzare la propria produzione e distribuzione a distanza, trovare fornitori all’esterno del loro territorio. In un mondo che continua a cambiare a velocità vertiginose, è necessaria altrettanta velocità, coniugata alla flessibilità, per riuscire a cavalcare l’onda. E, pertanto, l’investimento in tecnologie avanzate è indispensabile. Tuttavia, sembra che le nuove tecnologie entrino in contrasto con le tradizionali logiche del distretto, legate al territorio. Secondo le analisi pluriennali realizzate da Mediobanca, solo un terzo delle relazioni produttive e commerciali delle medie e piccole imprese del Nord Est sono rimaste nei confini territoriali di origine, mentre gli altri due terzi si distribuiscono nel resto d’Italia e all’estero. Questo significa che, per competenze particolari o per la scelta dei fornitori, spesso le imprese si rivolgono all’esterno del loro territorio. Non si tratta, però, di un declino della formula distrettuale, a cui gli imprenditori del Nord Est restano sostanzialmente legati, quanto a una sua metamorfosi: da “di-stretto” a “dis-largo”, ossia il passaggio da una forma definita e strutturata a una flessibile e adattiva, a un’apertura relazionale che, comunque, mantiene (innovando) un forte contatto con il territorio di appartenenza. Rapporto che trova la propria linfa nella tradizione, nei rapporti privilegiati con la cerchia di conoscenze e nella creazione del capitale umano. Un ulteriore elemento chiave è la flessibilità. La flessibilità comporta una pluralità a livello di produzione e di servizi, ma anche la capacità di ascoltare e recepire cosa di nuovo è atteso, muoversi per assecondare il mercato in tempi utili, evitare di fossilizzarsi su un solo prodotto, proprio per la velocità con cui tutto cambia. E questo ha un peso a livello di investimenti sui macchinari, che non possono più essere pensati solo per la realizzazione di un particolare prodotto, e soprattutto a livello di servizi, che sempre più assurgono a fare la parte del leone nel nuovo trend economico. Innovare, diversificare, ascoltare, capire, anticipare, il che significa, soprattutto, puntare sul capitale umano e sulla sua formazione. Da diversi studi, rapporti e analisi, risulta che solo le imprese strutturate organizzativamente, che hanno investito nell’innovazione e sul capitale umano E co n o m ia tr e n tin a 21 La zona industriale e commerciale a Nord di Trento. sono riuscite ad affacciarsi sui mercati esteri e a sostenere il peso della crisi. Le altre, ancorate al mercato domestico, specie se di piccole dimensioni, stanno conoscendo una pericolosa deriva. E stiamo parlando delle sopravvissute ad oggi, perché, in mezzo, tante medie e piccole imprese hanno chiuso i battenti. Un altro fattore è l’approccio all’internazionalizzazione. In Italia, e così nel Nord Est, prevalgono imprese di piccole o medie dimensioni, ossia non sufficientemente strutturate per investire all’estero. Eppure, deteniamo l’ottavo posto al mondo in fatto di esportazioni. Questo perché, al di là della “delocalizzazione”, ossia strategie di breve periodo che inducono le imprese a produrre dove di volta in volta costa meno, il processo di metamorfosi ha indotto una nuova formula, definita “multilocalizzazione”, che consiste non solo nel cercare territori dove poter produrre a costi inferiori, ma anche nel vederli come mercati in cui insediarsi. Così, anche se negli ultimi anni è diminuito il numero di imprese in grado di presidiare mercati esteri, nel contempo le imprese che ci sono riuscite lo hanno fatto all’insegna dell’innovazione e ottenendo non solo ottimi riscontri, ma anche trascinando con loro (volenti o nolenti) imprese terziste o subfornitrici più piccole, in 22 Econo mi a t re nt i na grado di garantire prodotti o servizi non reperibili con lo stesso grado qualitativo oltre confine. Un simile processo, pertanto, ha il potere di generare un’osmosi di arricchimento anche sul territorio d’origine – e non di impoverirlo, come si temeva – confermando che il passaggio da “di-stretto” a “dis-largo” porta più vantaggi di quanto potrebbe sembrare ad un’analisi superficiale. Inoltre, altra conseguenza non indifferente, l’internazionalizzazione ha spinto molti imprenditori al confronto con le imprese di altri Paesi, le quali agiscono con maggior concerto istituzionale e finanziario: da qui l’esigenza, sempre più sentita, di aumentare la cooperazione tra imprese, di fare sistema. In altri termini, per aumentare la competitività, è importante senza dubbio puntare sull’innovazione di qualità (dei prodotti e dei servizi), ma anche curare la rete di relazioni e cercare alleanze aggregative, entrare a far parte di filiere per proiettarsi sui mercati esteri, scambiare risorse, informazioni e formazione. L’ideale, secondo Marini, sarebbe arrivare alla costituzione di un ecosistema dell’innovazione, il quale garantirebbe una maggiore permeabilità delle strutture formative con le imprese, un migliore raccordo con le strutture di trasferimento tecnologico, con la pubblica amministrazione, con il mondo del AREA SVILUPPO Le sfide aperte dal confronto internazionale esigono una classe dirigente fondata su nuovi aspetti valoriali, culturali e professionali credito e della finanza, sostenendo sia la nascita di nuovi soggetti imprenditoriali, sia il completamento del processo di metamorfosi delle imprese che ne hanno la necessità. Il tutto tenendo vivo il rapporto con il territorio, così come alcune imprese già fanno, pur avendo avviato il processo di internazionalizzazione. Il che comporta investire nella formazione professionale, nell’ambiente, nelle relazioni con gli altri attori del territorio, con i sindacati, con il mondo dell’associazionismo e del volontariato. LE RESPONSABILITÀ DELLA CLASSE DIRIGENTE PUBBLICA E DI QUELLA PRIVATA L’apertura ai mercati esteri si sta dunque delineando come un’opportunità di trasformazione. La quale è accompagnata anche da una riaffermazione e ri-definizione dell’identità industriale del Nord Est, attenta alla qualità del prodotto, risoluta a non tramutarsi in gestrice di operazioni finanziarie e orgogliosa di portare il made in Italy nel mondo. Questo in positivo. In negativo, va osservato che l’identità territoriale non è affiancata da una fiducia nelle istituzioni, come risulta da una ricerca nazionale di Community Media Research. Gli italiani si sentono parte di un territorio allargato, a plurilivello (luoghi di origine, nazione, Europa), ma nutrono scarsa stima rispetto alla classe dirigente, soprattutto nel Nord Est e soprattutto rispetto alla classe dirigente nazionale, la quale viene percepita come corrotta, spesso pronta ad abusare del proprio potere e incapace di attuare riforme significative o, quando le attui, di farlo con tempi biblici. Questo malcontento nei confronti dell’operato a livello centrale cambia se si va a indagare invece sul livello locale. Da una ricerca esplorativa condotta su trenta testimoni privilegiati del Nord Est, alla pars destruens se ne associa una costruens, con il riconoscimento di una classe dirigente, pubblica e privata, capace di operare in modo sostanzialmente positivo e ispirata al senso di responsabilità verso la società e verso il futuro. Tra i limiti, vengono segnalate scarse sinergie e collegamenti nelle iniziative, ma soprattutto la necessità di costruire una leadership del Nord Est sul piano nazionale, affinché venga innescato un appoggio attivo allo sviluppo e alle imprese. Una leadership che non si può improvvisare, ma che deve essere adeguatamente formata e in modo continuativo. Perché le sfide aperte dal confronto internazionale esigono una classe dirigente, sia nel pubblico che nel privato, fondata su nuovi aspetti valoriali, culturali e professionali, la cui formazione va programmata e resa permanente. UNA NUOVA CONFIGURAZIONE GEOECONOMICA Questo anche in considerazione del fatto che la metamorfosi non si è affatto conclusa, non fosse altro per via di ulteriori processi di cambiamento in atto. Dal 2004 il Nord Est non è più un’area di confine, ma ha acquisito una posizione centrale sotto il profilo geoeconomico: il suo territorio è attraversato dal Corridoio V, che da Lisbona porta a Kiev; dall’asse delle autostrade del Mare, che mettono in comunicazione il nord Europa con l’Adriatico e poi con l’Oriente; dall’asse ferroviario Berlino-Palermo, che passa per il Brennero e Verona. Insomma, un punto centrale tra Nord e Est Europa. Ma anche un punto privo dei supporti e coordinamenti normativi necessari, nonché di un alto grado di autonomia per mettere a frutto le opportunità che questa nuova configurazione geoeconomica offre. Ecco perché – insiste Marini – oggi più che mai è necessario che le istituzioni accompagnino lo sviluppo del Nord Est secondo parametri nuovi, in un’azione di coordinamento e controllo che preveda anche largo margine di E co n o m ia tr e n tin a 23 La richiesta di autonomia da parte del Nord Est non equivale alla richiesta di secessione autonomia, affinché le imprese possano dar vita a tutte le loro potenzialità. Ma questo sarà possibile solo se tutta la classe dirigente locale sarà in grado (e messa nelle condizioni) di “fare squadra” a Roma, affrontando le problematiche che potrebbero rivelarsi ostacoli per il futuro: gli assetti del sistema produttivo, la salvaguardia ambientale, la tutela della qualità della vita, la sostenibilità del welfare locale e, per il Veneto, il federalismo fiscale e l’autonomia. In altri termini, un Nord Est a geometria variabile, dai più volti rispetto alle identificazioni del passato, con più articolazioni e modalità espressive, e che cerca qualcosa oltre se stesso, soprattutto oltre i confini italiani, pur necessitando di un progetto comune alla base. Marini, nel finale del suo saggio, chiarisce un punto importante, forse troppo spesso equivocato: la richiesta di autonomia da parte del Nord Est non equivale a una secessione. Anzi, al contrario, forse sono proprio gli imprenditori del Nord (in senso ampio, in questo caso) a chiedere un solido intervento dello Stato e di un’amministrazione pubblica capace di regolare lo sviluppo, sebbene sotto formule diverse da quelle attuali. C’è la sensazione che, alla rapidità dei cambiamenti che si vivono sul lavoro e nel sociale, non faccia da controparte un parallelo cambiamento del contesto di sfondo: infrastrutture carenti, servizi che non tengono il passo con le nuove domande sociali, burocrazia appesantita e che appesantisce. Oggi che le economie si sono aperte all’internazionalizzazione, c’è bisogno di interventi rapidi, più flessibili, meno invasivi e più vicini alle esigenze dei territori. E, senza dubbio, di una classe dirigente del Nord Est che, alle doti di leadership e responsabilità sociale, sappia affiancare un costruttivo dialogo con le istituzioni centrali. Faldoni di pratiche burocratiche. 24 Econo mi a t re nt i na area economia e aziende CHIARA CHEMELLI, MATTEO DEGASPERI I mercati elettronici delle pubbliche amministrazioni, opportunità o minaccia? ALBERTO FOLGHERAITER I Wood doctor con la Panda a metano FRANCO IANESELLI, ALBERTO MATTEI Sozialpartnerschaft trentina I mercati elettronici delle pubbliche amministrazioni, opportunità o minaccia? Un team di esperti della Camera di Commercio a supporto delle imprese locali CHIARA CHEMELLI*, MATTEO DEGASPERI** L’ acquisto di beni e servizi attraverso il ricorso ai mercati elettronici rappresenta, per le pubbliche amministrazioni (PA) italiane e per le imprese fornitrici, una delle più radicali innovazioni nei rapporti tra il mondo pubblico e quello privato. Tali innovazioni, introdotte nel 2012 con la finalità di monitorare e razionalizzare la spesa pubblica del sistema Italia, si individuano nei provvedimenti legislativi comunemente noti come spending * Ufficio economato della Camera di Commercio Industria Artigiana- review1, che hanno sancito, tra l’altro, l’obbligo per tutte le pubbliche amministrazioni del ricorso ai mercati elettronici per l’acquisto di beni e servizi di importo inferiore ai 207mila euro (la cosiddetta soglia comunitaria). A circa tre anni dall’introduzione di tali provvedimenti è utile fare il punto della situazione per capirne l’evoluzione, cercando anche di analizzare l’impatto che le innovazioni procedurali hanno avuto sul tessuto imprenditoriale provinciale. I mercati elettronici per le pubbliche amministrazioni sono mercati digitali in cui le PA devono acquistare i beni e i servizi di cui necessitano, offerti to e Agricoltura di Trento. **Ufficio studi e ricerche della Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Trento. 26 Econo mi a t re nt i na 1 Identificati nelle Leggi 94/2012 e 135/2012 di conversione dei Decreti legge n. 52 e 95. I mercati elettronici per le pubbliche amministrazioni sono mercati digitali in cui le PA devono acquistare i beni e i servizi di cui necessitano dalle imprese presenti. La tipologia dei beni e dei servizi reperibili su tali mercati, nonché le modalità e i termini dei contratti, sono definiti a monte dai soggetti deputati alla loro gestione mediante l’adozione di appositi bandi. Le imprese interessate possono chiedere di essere presenti su tali mercati, previo completamento di un’apposita procedura di abilitazione e successiva pubblicazione dei propri cataloghi contenenti le caratteristiche principali dei prodotti offerti. Le pubbliche amministrazioni possono procedere ad acquisti diretti on-line (Ordine d’acquisto - OdA) ovvero possono avviare delle procedure di richiesta di offerta (RdO), attraverso le quali richiedere alle imprese presenti offerte migliorative nel prezzo o sotto il profilo qualitativo. Possono inoltre reperire prodotti specifici non presenti nei cataloghi pubblicati, ma rientranti nelle categorie merceologiche oggetto dei bandi. In ambito nazionale il più importante mercato elettronico attivo è il “Mercato elettronico della pubblica amministrazione - MePA”2. A partire dalla metà del 2012, inizia quindi un processo di crescita esponenziale del MePA, sia con riguardo al numero delle imprese presenti e prodotti offerti, sia con riguardo al numero e valore delle transazioni, passate dai 360 milioni di euro del 2012 ai 1,47 miliardi del 2014. In questo ambito, anche la Provincia autonoma di Trento ha fatto la sua parte; infatti ha promosso, con particolare enfasi, il mercato elettronico provinciale accessibile a tutte le amministrazioni locali, denominato “Mercato elettronico della Provincia autonoma di Trento - ME-PAT”, gestito dall’Agenzia provinciale per gli appalti e contratti 2 Istituito dall’art. 11 del DPR 101/2002 e gestito da Consip, società per azioni del Ministero dell’economia e delle finanze, che ne è azionista unico. E co n o m ia tr e n tin a 27 AREA ECONOMIA E AZIENDE La consultazione del ME-PAT all’Ufficio economato. Sul mercato elettronico trentino gli ordini di acquisto registrati sono passati dai 193 nel 2013 ai 1.786 dell’anno successivo (APAC) e operativo sulla piattaforma Mercurio presidiata da Informatica trentina SPA, società partecipata dalla PAT. Sul mercato elettronico trentino gli ordini di acquisto registrati sono passati dai 193 del 2013 ai 1.786 dell’anno successivo, per un valore complessivo salito dai 245mila euro del 2013 ai 2,3 milioni di euro del 2014 (Tab. 1), ai quali devono essere sommati gli importi relativi alle RdO avviate nel 2014 per ulteriori 400mila euro. Con riferimento ai dati disponibili, le imprese locali che operano sui mercati elettronici sono 692, di queste 352 iscritte solo al MePA, 199 solo al ME-PAT e 141 a entrambi i mercati elettronici3. Focalizzando l’analisi sul MePA, per il quale si dispone di dati in serie storica, risulta che le imprese locali abilitate sono passate dalle 75 unità di metà 2013 alle 493 di giugno 2015, un aumento significativo, superiore al trend di incremento rilevato a livello nazionale e anche a quello fatto registrare in provincia di Bolzano, dove, nello 3 Dati aggiornati alla fine di giugno 2015. 28 Econo mi a t re nt i na stesso biennio, si è passati da 70 a 256 imprese. La presenza delle imprese trentine sul MePA, in termini percentuali rispetto alle imprese attive, è pari a 1,05%, un valore superiore a quello della provincia di Bolzano (0,47%) e al dato medio nazionale (0,77%). Con riferimento alle transazioni e agli importi ordinati negli ultimi due anni dalle pubbliche amministrazioni trentine si evidenzia un costante e sensibile aumento. Nel 2013 le transazioni erano 2.523, per un valore di poco superiore agli 8 milioni di euro, nel 2014 questi valori sono più che raddoppiati: le transazioni salgono a 5.366 e il valore dell’importo ordinato a 19,7 milioni di euro. Il trend nella prima metà del 2015 non sembra arrestarsi: al 30 giugno le transazioni risultano 2.992 e il valore degli ordini è pari a 15 milioni di euro (Tab. 2). Simili nell’ordine di grandezza sono anche i valori delle vendite delle imprese con sede in provincia di Trento. Infatti, nel 2014 il dato complessivo dei contratti attivi era pari a 22,4 milioni di euro, mentre nella prima metà del 2015 si è attestato sui 14,3 milioni di euro. Una percentuale ben superiore al 50% della spesa delle PA trentine sul MePA si orienta verso imprese extra-provinciali Anno Extra-Trentino Trentino AREA ECONOMIA E AZIENDE Tab. 1 – ME-PAT - Valore degli Ordini di acquisto per anno verso imprese trentine o extra-trentine Totale complessivo 2013 € 3.709 € 241.467 € 245.176 2014 € 504.556 € 1.819.524 € 2.324.080 Tab. 2 – Numero di transazioni e importo ordinato, per anno, dalle PA trentine sul MePA Anno di riferimento N° transazioni Importo ordinato 2013 2.523 € 8.126.639 2014 5.366 € 19.731.225 2015 (fino al 30 giugno) 2.992 € 15.043.593 Un’informazione interessante è legata poi alla consistenza delle vendite di fornitori locali alle PA della provincia di Trento o, in altri termini, la quota di acquisti realizzata sul MePA dalle amministrazioni trentine presso fornitori provinciali. Tale valore nel 2014 risulta pari a 8,6 milioni di euro, mentre nella prima metà del 2015 si assesta sui 5,1 milioni di euro. Nello scorso anno quindi quasi il 44% della spesa per acquisti delle PA locali, transitata sul MePA, è stata realizzata a favore delle imprese trentine, mentre il 56% è stato destinato a contratti di cui hanno beneficiato imprese con sede fuori provincia, mentre nella prima metà del 2015 tali percentuali sono del 34% e del 66% rispettivamente. Analogamente, con riferimento ai contratti di vendita, nel 2014 oltre il 38% è stato realizzato da imprese trentine verso PA trentine, mentre nel 62% dei casi le forniture erano dirette ad amministrazioni extra-provinciali e percentuali analoghe si rilevano nel primo semestre dell’anno in corso. Ultimata l’illustrazione delle nuove procedure di acquisto di beni e servizi, che le pubbliche amministrazioni sono tenute ad adottare, e illu- strati gli scenari che interessano principalmente gli operatori provinciali sul MePA, in attesa del consolidarsi dell’operatività del mercato elettronico provinciale, appare utile effettuare alcune considerazioni. La prima considerazione è la constatazione che una percentuale ben superiore al 50% della spesa delle PA trentine sul MePA si orienta verso imprese extra-provinciali. Questo dato, in prima istanza, potrebbe portare a ritenere che sia in atto una perdita di quote di mercato delle imprese trentine a vantaggio delle imprese fuori provincia, causata dall’introduzione dell’obbligo di ricorso ai mercati elettronici. Analizzando, però, con maggiore attenzione tali dati, disaggregandoli per categoria merceologica (bandi) (Tab.3), emerge che degli oltre 15 milioni di euro spesi dalle PA trentine nella prima parte del 2015, oltre 5 milioni hanno come oggetto “beni e servizi per la sanità”, dei quali solo il 4% è stato effettuato in favore di imprese locali. A riguardo è però indispensabile sottolineare che nel tessuto imprenditoriale provinciale sono quasi assenti imprese che operano in tale ambito e che E co n o m ia tr e n tin a 29 Tab. 3 – Acquisti delle PA trentine sul MePA per bando (con indicazione della percentuale da fornitori locali) e vendite di fornitori trentini sul MePA per bando (con indicazione della percentuale verso PA locali) - Anno 2015 (dati fino al 30 giugno) Anno Bando 2015 Antincendio - servizi di manutenzione degli impianti antincendio 2015 Acquisti delle PA % Acquisti da fornitori locali Vendite fornitori % Vendite alle PA locali Vendite fornitori alle PA locali 161.517,29 68,09% 139.923,31 78,60% 109.979,65 Arredi 104 1.909.277,27 31,42% 1.309.042,92 45,82% 599.807,14 2015 Bss - beni e servizi per la sanità 5.009.555,64 4,34% 309.424,48 70,22% 217.290,88 2015 Cancelleria 104 820.566,55 42,25% 484.580,85 71,55% 346.707,68 2015 Carburanti, combustibili, lubrificanti e liquidi funzionali 1.257,50 0,00% 2015 Elettrici 105 - servizi di manutenzione degli impianti elettrici 26.250,05 100,00% 29.829,05 88,00% 26.250,05 2015 Elevatori 105 - servizi di manutenzione degli impianti elevatori 170.882,46 59,6% 110.476,60 92,19% 101.849,92 2015 Eventi 2010 173.826,90 81,48% 152.769,82 92,71% 141.628,90 2015 Facility management urbano 1.000.849,65 96,32% 981.103,70 98,26% 963.988,28 2015 Farma 332,20 0,00% 2015 Fonti rinnovabili 2015 Ict 2009 2015 8.159,51 0,00% 2.625.344,17 35,51% 7.229.009,41 12,89% 932.155,66 Matel 103 - materiale elettrico 486.888,45 65,14% 326.182,72 97,24% 317.180,31 2015 Mis104 - materiale igienico sanitario, beni raccolta rifiuti e sacchi e attivatori 698.498,59 34,72% 698.751,25 34,70% 242.496,09 2015 Mobilità e monitoraggio 80.050,00 0,00% 267.302,00 2015 Office 103 - prodotti, servizi, accessori, macchine per l’ufficio ed elettronica 331.929,48 24,87% 311.808,31 26,47% 82.548,18 2015 Prodotti alimentari 154.012,00 14,89% 22.928,00 100,00% 22.928,00 2015 Promas 114 442.245,77 29,65% 426.651,85 30,73% 131.120,58 2015 Servizi di informazione 15.250,00 0,00% 2015 Servizi di logistica 13.559,84 100,00% 63.395,91 21,39% 13.559,84 2015 Servizi postali 21.564,00 0,00% 2015 Sia 104 - servizi di pulizia e di igiene ambientale 744.273,58 95,73% 1.294.050,63 55,06% 712.502,59 2015 Termoidraulici - conduzione e manutenzione degli impianti termoidraulici e di condizionamento 147.502,58 85,68% 175.951,15 71,83% 126.382,58 2015 Totale bandi 15.043.593,48 33,82% 14.333.181,97 35,50% 5.088.376,34 quindi pochissime sono quelle aderenti al bando MePA in questione. La seconda considerazione, di segno diametralmente opposto alla prima, ha come oggetto la percentuale, oltre il 60%, di contratti stipulati da imprese provinciali verso pubbliche amministrazioni extra-provinciali, questo dato potrebbe infatti indurre a ritenere l’esistenza di consistenti potenziali vantaggi per le imprese locali, che han- 30 Econo mi a t re nt i na no saputo affrontare e adeguarsi al meglio alle mutazioni imposte alle procedure delle gare d’appalto. Considerazione che trova conferma nella più alta percentuale di imprese trentine aderenti al MePA, rispetto alla media nazionale. Risulta tuttavia molto complesso stabilire se le imprese trentine siano complessivamente riuscite a beneficiare oppure siano state sfavorite dalle modifiche procedurali che hanno interessato il La Camera di Commercio ha attivato un servizio di assistenza alle imprese locali per accompagnarle mondo delle gare d’appalto. Tali difficoltà interpretative risiedono principalmente nel fatto che le informazioni e i dati disponibili sugli approvvigionamenti pubblici effettuati con le procedure tradizionali, ante 2012, sono per lo più carenti e frammentate. Non è possibile infatti acquisire, se non attraverso un’indagine specifica presso le singole amministrazioni, la quota di acquisti che, fino al 2012, venivano affidati dalle amministrazioni alle imprese del territorio. Pur con la consapevolezza che l’analisi effettuata è solo parziale, non sembra, allo stato attuale, che i mercati elettronici possano avere influito negativamente nei confronti delle imprese locali, ma piuttosto, pare che, fino a oggi, tali mercati rappresentino più un’opportunità che una minaccia per le imprese della provincia di Trento; ciò vale, però, a livello complessivo e può non essere attinente a specifiche nicchie di mercato e tipologie di prodotto. Per concludere, anche alla luce delle informazioni raccolte fino a ora dalla Camera di Commercio di Trento, si deve però prendere atto, che procedure di abilitazione e di utilizzo dei mercati elettronici sono, per la maggior parte delle imprese trentine, completamente nuove e in alcuni casi presentano notevoli elementi di complessità operativa e burocratica che richiedono ingente impiego di tempo e risorse, che vengono quindi sottratte all’attività produttiva. Per questo motivo, la Camera di Commercio ha attivato un servizio di assistenza alle imprese locali, soprattutto di micro e piccole dimensioni, mettendo a loro disposizione un team di persone esperte in grado di assisterle nelle diverse fasi di approccio e di utilizzo delle piattaforme digitali. Tale iniziativa si integra in un percorso di diffusione delle competenze nella gestione degli strumenti digitali nei rapporti fra imprese e pubblica amministrazione avviato dall’Ente camerale già nel 2012. E co n o m ia tr e n tin a 31 AREA ECONOMIA E AZIENDE nell’utilizzo delle piattaforme digitali Riabilitazione di strutture lignee di un capannone a Trento. I Wood doctor con la Panda a metano “I nostri nonni hanno sempre usato il legno, noi per un po’ abbiamo dimenticato quanto fossero straordinarie le proprietà di questo materiale, ma oggi cerchiamo di riscoprirle, risanando ciò che di bello abbiamo già: tetti, case, grandi strutture” (Lavinia Sartori) ALBERTO FOLGHERAITER* C ome i più celebri fly doctor intervengono nei casi disperati. Ma per il momento, a meno di due anni dall’avvio dell’azienda, una start-up davvero singolare perché, come dicono i due fondatori, operano “oltre la sostenibilità” e per lavoro si spostano con una Panda a metano. “Inutile far debiti per una vettura di grossa cilindrata e fare sfoggio di ciò che non siamo” avverte Lavinia Sartori, 38 anni, ingegnera civile, co-fondatrice della “Ri-legno” con il compagno, Giulio Franceschini, 44 anni, pure lui ingegnere. È una piccola azienda, che ha * Giornalista e scrittore. 32 Econo mi a t re nt i na grandi progetti e grandi ambizioni: ridare vita alle travature e ai manufatti di legno in precarie condizioni di stabilità. Possono avere tre anni di vita come trenta, ma comunque bisognosi di cure e di radicale restauro. Lui, Giulio Franceschini, quindici anni di esperienza nell’ambito dell’industria del legno; lei Lavinia Sartori, causa anche il momento storico di crisi economica, reduce da esperienze professionali precarie nell’ambito dell’ingegneria civile, sempre a sentirsi dire: “Se vuoi lavorare porta lavoro, procura commesse che noi te ne affidiamo una parte”. Stufa di sentirsi dire che doveva fare l’imprenditrice in conto terzi, ha deciso di fare tutto da se “Noi controlliamo le strutture in legno, facciamo il check-up, somministriamo stessa. A quel punto, i giovani ingegneri si sono guardati alle spalle, anzi, si sono girati e anziché puntare all’innovazione e lanciarsi nell’hi-tech si sono tuffati nel passato. Hanno puntato tutto sulla old economy, sulla cura dei manufatti. Prima ancora di cominciare quella che si è dimostrata un’avventura vincente, hanno chiesto in giro: secondo voi c’è spazio per la riqualificazione delle strutture di legno? Era il 2013. La crisi dell’edilizia – e non solo – era al culmine, ma, quando Lavinia Sartori e Giulio Franceschini hanno avuto cinque risposte affermative su cinque, si sono lanciati. È nata così “Ri-legno”. Ha scritto Silvia Pagliuca sul “Corriere della Sera” (21 marzo 2015): “La sua non è una start-up come le altre: non è young e non è digital, per dirla come i novelli imprenditori”. I soci fondatori sono tre: “lei”, ingegnera professionista di 38 anni, fino a un anno fa costretta a tutte le forme del precariato (da tirocini non retribuiti a collaborazioni a 500 euro al mese), “lui”, il suo compagno, anni 44, a sua volta ingegnere ma per una multinazionale dove però non c’era più spazio per lui, e “l’altro”, suo padre, 73 anni e ancora tanta voglia di fare. “Dai business plan alle fotocopie”, ridacchia Lavinia, che confida: “Mi sono chiesta più volte se avessi superato il tempo massimo, se fossi stata troppo grande per presentarmi come start upper. Avevo paura di ritrovarmi a competere con ragazzi appena usciti dalle università, ma poi ho capito che gli anni in più erano esperienze a mio favore e dunque vaccini contro gli errori”. Ancora: “I nostri nonni hanno sempre usato il legno, noi per un po’ abbiamo dimenticato quanto fossero straordinarie le proprietà di questo materiale, ma oggi cerchiamo di riscoprirle, risanando ciò che di bello abbiamo già: tetti, case, grandi strutture”. È partita in questo modo l’avventura nel mondo del… passato, nella old economy. Un ufficio a canone agevolato in una vecchia fabbrica dismessa, la Manifattura tabacchi di Rovereto; gli strumenti Riabilitazione strutturale di uno scivolo per piscina. E co n o m ia tr e n tin a 33 AREA ECONOMIA E AZIENDE eventuali cure e rimettiamo in sesto” Operaio specializzato di Ri-legno In un anno e mezzo gli interventi sono stati più di cinquanta, dal Trentino a Milano, Roma e in tutta Italia acquistati poco per volta: un trapano penetrometrico, per verificare la bontà del materiale legnoso, e un igrometro per misurare l’umidità, per cominciare. Spiega Giulio Franceschini: “Noi controlliamo le strutture di legno, facciamo il check-up, prescriviamo e somministriamo eventuali cure e in caso rimettiamo in sesto”. Gli fa eco Lavinia Sartori: “Finora i costruttori e i pittori intervenivano soltanto in parte, mentre noi siamo in grado di fornire un servizio completo: dalla diagnosi alla terapia. Si parte dall’indagine diagnostica dal punto di vista dell’ingegneria strutturale con le tecnologie più avanzate per finire con la riqualificazione estetica della struttura”. Su un immobile si effettuano vari tipi di controlli. Consentono di considerare lo stato di efficienza della struttura ma anche di valutare gli eventuali costi e i tempi necessari per il suo ripristino. “Ri-legno” offre anche un pacchetto-prevenzione: verniciatura, fissaggio dei bulloni, serraggio dei cavi. Tutti accorgimenti che possono prolungare la vita delle strutture di legno ed evitare 34 Econo mi a t re nt i na costi aggiuntivi. In un anno e mezzo gli interventi sono stati più di cinquanta: dal Trentino a Milano, Roma e in tutta l’Italia. Spiega Lavinia Sartori: “Collaboriamo con le più grosse aziende produttrici di elementi strutturali di legno. Abbiamo sede anche al TIS di Bolzano e abbiamo dato il via a un importante progetto di ricerca nell’ambito della diagnostica strutturale. Ci occupiamo inoltre di tutta la fase operativa e di esecuzione dei lavori di risanamento in cantiere”. Nei primi due anni di vita la start-up roveretana ha già fatturato oltre trecentomila euro con prospettive rosee tant’è che sul sito Internet http:// www.ri-legno.it la piccola azienda dice di essere interessata alla collaborazione di tecnici appassionati del legno. Se è vero, come si diceva una volta, che “le vie del Signore sono infinite”, i due ingegneri di “Rilegno” sono disponibili a percorrerle tutte. Con la Panda, ma anche con l’aereo. Sozialpartnerschaft trentina Storia, caratteristiche e prospettive della concertazione territoriale FRANCO IANESELLI*, ALBERTO MATTEI** I l dialogo sociale nella provincia autonoma di Trento si è caratterizzato negli ultimi decenni per l’elevato grado di coinvolgimento delle parti sociali nella definizione delle politiche nei campi del lavoro, del sociale e dello sviluppo sul modello della Sozialpartnerschaft austriaca. Quello adottato in Austria è un sistema di cooperazione volontaria tra il governo e i principali gruppi di interesse sulle politiche economiche e sociali, istituito nel secondo Dopoguerra e tuttora operante. In quel contesto il corporatismo è strutturato su base volontaria, poggiando * Segretario generale della CGIL del Trentino. **Assegnista di ricerca in Diritto del lavoro all’Università di Verona e collaboratore della CGIL del Trentino. però sulla presenza di istituzioni pubbliche, le Camere (Kammer), con adesione obbligatoria dei lavoratori (Arbeiterkammer) e dei datori di lavoro (Wirtschaftkammer). Tale sistema, inoltre, si è sviluppato prevalentemente sul piano nazionale piuttosto che nei singoli territori. Eco di quella esperienza è arrivata anche in Alto Adige e in Trentino. Se l’espressione Sozialpartnerschaft appartiene pienamente al dibattito pubblico sudtirolese, l’intensità della concertazione territoriale in Trentino negli ultimi decenni è stata tale da rendere questo territorio più simile al vicino austriaco che non al resto d’Italia. L’istituzione nel 2011 dell’Euroregione tra Tirolo austriaco, Alto Adige e Trentino rafforza questa convinzione. La contaminazione, anche sul terreno delle pratiche di dialogo sociale, sembra dunque destinata a crescere. E co n o m ia tr e n tin a 35 AREA ECONOMIA E AZIENDE Manifestazione di CGIL, CISL e UIL in Piazza Dante a Trento. Per la previdenza complementare regionale l’anno “zero” è il 1998 quando le parti sociali crearono il fondo negoziale Laborfonds Storia, caratteristiche e prospettive della Sozialpartnerschaft in chiave trentina sono al centro di questa analisi. Le radici della Sozialpartnerschaft trentina si rintracciano alla fine degli anni Settanta, quando la lungimiranza della classe dirigente politica e sindacale di allora spinse tutte le parti sociali, comprese le organizzazioni dei lavoratori, verso processi di contrattazione territoriale a sostegno dello sviluppo economico e sociale del territorio. Il primo grande banco di prova di questo modello concertativo è stato la “Legge provinciale sul lavoro”1. Il provvedimento venne varato in un contesto storico singolare: tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta il Trentino visse una drammatica crisi industriale, che spinse istituzioni dell’epoca e parti sociali a muoversi su un terreno fino a quel momento inedito per contenere quanto più possibile gli effetti negativi della crisi sul piano occupazionale e sociale. Con la “Legge provinciale sul lavoro” si stabilì nei fatti un metodo che responsabilizzava tutti gli attori del territorio, istituzioni, sindacati, associazioni datoriali, realtà del sociale, nella individuazione e definizione di strumenti di politica attiva del lavoro per sostenere le persone licenziate. Nacque, poi, l’esperienza del “Progettone”, per favorire la rioccupazione dei disoccupati “anziani” in cooperative impegnate nella cura dell’ambiente e del verde pubblico. Negli oltre trent’anni che ci separano da quella prima esperienza di Sozialpartnerschaft la concertazione trentina si è evoluta. Si è sviluppata nel processo di formazione delle decisioni pubbliche con i patti territoriali; attraverso il coinvolgimento dei sindacati nella sottoscrizione di accordi organizzativi e occupazionali con imprese che ricevono contributi pubblici per la ricerca; con i protocolli tra istituzioni e parti sociali su sviluppo e coesione sociale, come quello sulla produttività del dicembre 2012, sottoscritto unitariamente, a differenza dell’accordo nazionale e come il patto per lo sviluppo economico e il lavoro dell’aprile 2014, firmato in piena controtendenza rispetto all’abbandono delle intese concertative al livello nazionale2. La via trentina alla concertazione è maturata anche grazie a due importanti passaggi, la definizione del progetto di previdenza complementare su base regionale e la sottoscrizione del Patto di Milano tra Stato e Provincia autonoma di Trento del 2009, che ha ridefinito risorse e competenze dell’autonomia speciale, con deleghe di funzione sull’università e sugli ammortizzatori sociali. In quest’ultimo ambito è opportuno sottolineare come la scelta di costruire un sistema territoriale di protezione sociale è stata assunta quando la possibilità di una riforma nazionale sembrava remota ed è stata motivata anche con la necessità di tutelare i lavoratori sul mercato dentro un auspicabile processo di “distruzione creatrice” in grado di rivitalizzare un’economia trentina che ha gli stessi problemi di bassa produttività del resto del Nord Italia3. Per la previdenza complementare regionale l’anno “zero” è il 1998 quando le parti sociali creano il fondo negoziale Laborfonds, che con 115mila iscritti e oltre 2 miliardi di euro di patrimonio è 2 Una ricostruzione sistematica è contenuta nel saggio: S. Vergari, La concertazione sociale in Trentino, in A. Mattei (a cura di), Il diritto del lavoro tra decentramento e ricentralizzazione. Il modello trentino nello spazio giuridico europeo, Editoriale Scientifica, Napoli, 2014, pag. 111 ss. 3 Si veda: FBK-IRVAPP, Rapporto sulla situazione economica e sociale del Trentino, 2014 (https://irvapp.fbk.eu/it/news/rapporto- 1 Legge provinciale n. 19 del 1983. 36 Econo mi a t re nt i na sulla-situazione-economica-e-sociale-del-trentino-edizione-2014). AREA ECONOMIA E AZIENDE In Trentino, la concertazione socioeconomico-istituzionale ha avuto un significativo consolidamento attualmente il quarto fondo pensione chiuso in Italia. Sul piano degli ammortizzatori sociali, l’attuazione della delega alla Provincia ha richiesto tempo, un’intensa attività di consultazione, dialogo e confronto, con le organizzazioni sindacali, in sede locale, e con i Ministeri competenti e l’INPS, in sede nazionale. Essa si è fondata su alcuni perni, ora presenti nella Legge n. 19 del 1983 riformata: il reddito di attivazione, operativo a partire dall’autunno del 2014, che allunga, in termini di tempo, le prestazioni nazionali per i disoccupati a fronte di un’attuazione rigorosa del principio di condizionalità; il reddito di qualificazione per i giovani lavoratori che intendono completare il percorso di studi; il reddito di continuità, che una volta operativo, concorrerà al sostegno dei lavoratori sospesi mediante “l’integrazione del reddito per il mantenimento dell’occupazione e il miglioramento della professionalità”. Il sistema di protezione sociale si completa con il reddito di garanzia, erogazione monetaria introdotta, a favore dei nuclei familiari in difficoltà economica, nell’autunno del 2009. In Trentino, dunque, la concertazione socioeconomico-istituzionale ha basi solide e nel corso degli anni ha avuto un significativo consolidamento. Il rapido evolversi degli scenari economici e sociali, la contrazione delle risorse a disposizione dell’autonomia locale, le difficoltà nella crescita economica richiedono oggi un’ulteriore evoluzione, per non vanificare nel tempo la positività di questa esperienza. Occorre interrogarsi, inoltre, su quale tipo di collegamento essa possa avere rispetto al possibile sviluppo della contrattazione decentrata, aziendale e territoriale, in quanto la Sozialpartnerschaft trentina è chiamata a occuparsi non solo della dinamica di coesione, ma a ripensarsi in chiave “offensiva”, accelerando lo sviluppo economico e produttivo. I protocolli trilaterali sulla produttività (2012) e sullo sviluppo economico e il lavoro (2014), del resto, individuano nella tutela offerta ai lavoratori, attraverso l’innovazione nel sistema di protezione sociale, da un lato, e nello sviluppo della contrattazione decentrata in chiave partecipativa, E co n o m ia tr e n tin a 37 Clochard in centro a Trento. dall’altro, gli strumenti per contribuire, sul fronte della rappresentanza sociale, a questa difficile quadratura del cerchio. Le misure che stanno prendendo avvio si muovono su tre linee direttrici: sul fronte del welfare contrattuale integrativo, con l’avvio del fondo sanitario integrativo territoriale Sanifonds e con la gestione di un “fondo di solidarietà intersettoriale territoriale” a compimento della delega in materia di ammortizzatori sociali; sul fronte della contrattazione collettiva, con l’investimento da parte della Provincia a favore delle parti sociali sia nella formazione degli operatori sindacali con la scuola di formazione unitaria La.Re.S4 sia con la promozione della contrattazione decentrata, da sviluppare e consolidare in chiave partecipativa; infine, sul fronte del ruolo delle parti sociali nella tutela nel mercato del lavoro, attraverso progetti di riorientamento della rappresentanza sindacale nella direzione della tutela delle transizioni nel mercato del lavoro. 4 tsm-Trentino School of Management LaReS - Laboratorio di relazioni sindacali nel corso di questi anni ha promosso percorsi formativi, seminari, incontri di approfondimento e ricerche a favore degli operatori delle relazioni industriali (consultabili sul sito: http://www. tsm.tn.it/). La costituzione di LaReS ha preso spunto dall’esperienza altoatesina dell’Arbeitsförderungsinstitut-Istituto promozione Nello specifico, la prima direttrice riprende quanto già realizzato negli anni Novanta con l’istituzione del fondo di previdenza complementare Laborfonds. Il fondo Sanifonds Trentino vuole essere uno strumento mediante il quale adempiere alle previsioni contrattuali nazionali, territoriali e aziendali in materia di assistenza sanitaria integrativa, concentrando gli interventi sulle prestazioni che il servizio sanitario pubblico provinciale garantisce esclusivamente ai nuclei familiari al di sotto di una determinata condizione economica (cure odontoiatriche, assegno provinciale per la cura dei non autosufficienti). Nel corso del 2013 è stato stipulato l’accordo istitutivo per la costituzione del fondo tramite associazione non riconosciuta, a cui partecipano la Provincia come datore di lavoro pubblico, le organizzazioni sindacali e imprenditoriali. Analogamente a quanto avvenuto con il suo “cugino maggiore” Laborfonds, Sanifonds Trentino potrà avvalersi del sostegno dell’ente pubblico, attraverso la società regionale Pensplan. Il “fondo di solidarietà intersettoriale territoriale” ha invece visto pieno riconoscimento nel Decreto legislativo5 sul riordino della normativa nazionale in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, rientrante nella riforma attuata lavoratori (AFI-IPL), istituto pubblico di supporto ai lavoratori suditirolesi della provincia autonoma di Bolzano, che a sua volta ha preso origine dalle Kammern für Arbeiter und Angestellte austriache. 38 Econo mi a t re nt i na 5 D.Lsg. n. 148 del 2015. CGIL, CISL e UIL del Trentino, all’interno di tsm-Trentino School of Management, hanno promosso dal Jobs Act. Il fondo porterà a compimento, una volta a regime, l’opera di territorializzazione degli ammortizzatori sociali. In particolare, s’inserirebbe nel fondo – alimentato con risorse contrattuali eventualmente integrabili dall’ente pubblico e gestito dalla parti sociali presso l’INPS – il “reddito di continuità” a favore dei lavoratori sospesi previsto nella delega alla Provincia in materia di ammortizzatori: oltre al sostegno al reddito per i lavoratori costretti a interrompere il lavoro a fronte di crisi temporanee dell’impresa, attraverso il fondo bilaterale, si potrà intervenire anche per potenziare gli ammortizzatori rivolti ai disoccupati, per anticipare il trattamento di pensione e per finanziare programmi di formazione, dando così vita a un nuovo polmone delle politiche del lavoro trentine. Con riferimento alla seconda direttrice, la formazione degli operatori sindacali e la promozione della contrattazione collettiva decentrata rappresentano obiettivi condivisi da parti sociali e istituzione pubblica: CGIL, CISL e UIL del Trentino, all’interno di tsm-Trentino School of Management, hanno promosso nel 2012 il Laboratorio delle relazioni sindacali (LaReS). LaReS nel corso di questi anni ha organizzato corsi di formazione, seminari e ricerche a favore degli operatori delle relazioni industriali, sui temi della contrattazione collettiva di settore e decentrata e delle politiche pubbliche, prestando particolare attenzione alle prospettive di rivitalizzazione del sindacato. Sempre seguendo questa impostazione, la Provincia ha istituito, nel corso del 2014, l’incarico a livello dirigenziale denominato “di sostegno alla concertazione e alla contrattazione decentrata”6. L’incarico, a quanto consta, risulta innovativo, oltre che inedito, nella misura in cui l’istituzione provinciale pubblica si vuole far carico delle esigenze della contrattazione, che deve comunque rimanere nella piena titolarità degli agenti nego- 6 Delibera Giunta della Provincia autonoma di Trento, n. 1948, 18 novembre 2014. La sede di tsm-Trentino School of Management. E co n o m ia tr e n tin a 39 AREA ECONOMIA E AZIENDE il Laboratorio delle relazioni sindacali (LaReS) Manifestazione sindacale. ziali (imprese e rappresentanze degli interessi). L’ultima direttrice su cui si sta operando nel “laboratorio” trentino tocca il ruolo degli stessi corpi intermedi nella tutela nel mercato del lavoro, ossia la riconfigurazione della rappresentanza sindacale nelle transizioni, intese in senso ampio: dalla fase dell’istruzione a quella del lavoro (per il mercato) e viceversa; da un posto di lavoro a un altro, o da una posizione lavorativa a un’altra all’interno dello stesso posto; dalla condizione di occupato a quella di disoccupato in cerca di occupazione; da un tipo di contratto a un altro, o da una posizione di lavoro sommersa a una regolare, o dal lavoro in un Paese a un altro; transizioni dal lavoro per il mercato al lavoro di cura e viceversa, o dalla vita “attiva” a una condizione “inattiva” spesso ricca di altre attività. In quest’ottica, la sfida per il sindacato diviene quella di ampliare progressivamente l’orizzonte della propria iniziativa, “spostando il fuoco dell’attenzione dalla difesa del posto di lavoro o di una specifica condizione lavorativa, comunque definita, alla promozione di modi di regolare e fornire solide tutele a tutte le svariate forme di transizione sul mercato che interessano gli individui. In questo modo il sindacato si ritroverebbe a diventare un nuovo importante punto di riferimento per ciascun lavoratore nei momenti diversi del suo percorso, della sua carriera lavorativa, 40 Econo mi a t re nt i na e interlocutore prezioso per le imprese e per le istituzioni”7. Una tematica che è stata inserita e valorizzata anche nel XVIII Congresso della CGIL del Trentino del 2014 e nella recente conferenza di organizzazione, del giugno di quest’anno. In tale contesto, pertanto, il welfare è da consolidare, anche in funzione di accompagnamento ai processi di ristrutturazione produttiva, sia sul lato dell’offerta pubblica sia mediante la contrattazione integrativa territoriale; la contrattazione decentrata è da sviluppare in chiave partecipativa e di sostegno all’innovazione organizzativa; nonché, da ultimo, le transizioni sono il tema cardine su cui rinnovare la rappresentanza: queste le nuove sfide a cui è chiamata oggi la Sozialpartnerschaft trentina. Una versione più estesa del contributo è uscita sul n. 2/2015 della rivista Quaderni di Rassegna sindacale. Lavori, con il titolo “Sozialpartnerschaft trentina. Concertazione territoriale e sviluppo della contrattazione decentrata”. 7 I. Regalia, Quale rappresentanza. Dinamiche e prospettive del sindacato in Italia, Ediesse, Roma, 2009. area cultura e territorio FRANCESCO SPAGNOLLI Viticoltura eroica e qualità del vino FRANCO FINOTTI L’importanza di essere “Civico” SILVIA BRUNO La triangolazione lavoro-povertà-famiglia Terrazzamenti vitati in Valle di Cembra. Viticoltura eroica e qualità del vino Decisiva l’interazione tra terroir e vitigno per ottenere prodotti di eccellenza FRANCESCO SPAGNOLLI* U n’inevitabile premessa. Tra le varie definizioni che il “Coinciso Vocabolario Treccani” fornisce a proposito del termine “eroe”, una, fra tutte, sembra particolarmente pertinente all’argomento che stiamo per sviluppare. Eccola: “Chi dà prova di grande abnegazione e di spirito di sacrificio, per un nobile ideale.” Lavorando in queste, quanto mai precarie condizioni, come quelle rappresentate dai vigneti impervi, senza un autentico spirito di sacrificio, è sicuramente impossibile approdare concretamente a un risultato positivo, che ovviamente può essere tutt’altro che economico: che il “nobile ideale” possa essere rappresentato pressoché esclusivamente dal fatto di ottenere vini di grande o grandissima eccellenza è altrettanto indiscutibile. Rebo Rigotti1, nei suoi “Rilievi statistici sulla viticoltura trentina”, pubblicato su Esperienze e ricerche del 1932, differenziava il posizionamento del vigneto in provincia di Trento in cinque zone, ben distinte a seconda della giacitura e, soprattutto, dell’altimetria. Lo stesso Autore affermava che la fascia più elevata (la montagna), pur con qualche difficoltà di maturazione (si pensi anche alle varietà coltivate quasi un secolo fa), in particolar modo nelle annate non proprio favorevoli, dava comunque ottimi risultati qualitativi, ma 1 Rigotti, R. (1932) – Rilievi statistici sulla viticoltura trentina. Espe- * Già Dirigente del Centro istruzione e formazione della Fondazione Edmund Mach-Istituto Agrario di San Michele. 42 Econo mi a t re nt i na rienze e ricerche. Edito a cura della. Stazione sperimentale agraria e forestale di S. Michele a/A (TN). Fascia geografica europea dei climi viticoli di timbro subcontinentale: i mutamenti climatici spingono la fascia verso Nord, oppure obbligano ad aumentare la quota. Anche un grande vitigno, posto in un terroir non vocato, fornirà sempre e comunque un vino modesto, privo di complessità I FATTORI DELLA QUALITÀ DEL VINO Gli studiosi di vitienologia sono unanimemente concordi nel ritenere che gli elementi-fattori della qualità di un qualsiasi vino siano da ascrivere essenzialmente a clima, terreno, vitigno e tecnologia (produttiva). È altrettanto vero, però, che non sempre esiste altrettanto unanime accordo sull’ordine di priorità da dare agli stessi: infatti, mentre nei paesi di antiche tradizioni vitivinicole si tende a privilegiare i fattori “prevalentemente naturali”, in quelli di più recente approccio e in particolare in quelli pressoché esclusivamente “consumatori”, si apprezza soprattutto l’aspetto tecnologico e spesso addirittura si privilegia quello commerciale (presentazione, marketing, ecc.). In effetti, come sostiene Mario Fregoni3, anche un grande vitigno posto in un terroir non vocato come, ad esempio, le pianure feritili e fresche (non solo dell’Italia) fornirà sempre e comunque un vino molto modesto, privo di complessità 3 Fregoni, M. (1999) – Viticoltura di qualità. Edizioni “L’Informatore 2 Branas, J. (1974) – Viticulture. Impremierie Dèhan, Montpellier (F). Agrario”, Verona. p. 241-282. E co n o m ia tr e n tin a 43 AREA CULTURA E TERRITORIO richiedeva anche un monte-ore annuo di lavoro ben superiore a quello di tutte le altre zone: parafrasando Rigotti, si potrebbe essere tentati di supporre “più fatica, ma anche maggiore qualità!”. Così sembrerebbe trovare ampia giustificazione il detto, ben noto ai “sacri sacerdoti del tempio delle bollicine” (CIVC-Champagne), che “la vite dà il meglio di se stessa proprio nelle condizioni di sofferenza”: in altre parole, una pianta di origine euroasiatica (Armenia) e diffusa, almeno originariamente, soprattutto nell’area circummediterranea, fornisce grandi risultati (per il vino) solo nei climi subcontinentali2. L’indimenticato giornalista enogastronomo Luigi Veronelli, nell’abbracciare pienamente questa tesi, manifestava anche una tutt’altro che malcelata avversità per la viticoltura (da vino) di pianura, sostenendo che in quelle situazioni la vite si comportava semmai come una “macchina da zucchero” anziché come un grande “potenziale da vino”. Ricercatrice in un laboratorio della Fondazione Mach. gusto-olfattiva, cioè “senz’anima” come direbbe Nereo Pederzolli4, duro al palato e particolarmente corto in bocca, aggressivo, erbaceo…: sostenuto da fondamenti scientifici è un po’ lo stesso concetto espresso giornalisticamente da Luigi Veronelli5. D’altronde, le ben note classificazioni qualitative francesi (Bordeaux: 1855; Borgogna:1868), si basavano pressoché esclusivamente sull’assaggio del vino, e in particolare sulla ben nota PAI (persistenza aromatica intensa). I rapporti tra gli elementi del clima, in particolare l’irradiazione luminosa e la temperatura (nelle sue varie espressioni: media annua, sommatoria temperature attive, escursione termica giornaliera, ecc.) e gli obiettivi produttivi sono sempre stati nelle attenzioni di molti illustri scienziati della viticoltura6 che hanno messo a punto diversi “indici” in grado di prevedere con una più che sufficiente precisione se quel determinato ambiente è adatto a esaltare, sotto l’aspetto qualitativo, il potenziale genetico di uno specifico vitigno (o magari anche di un suo clone). Lo studio dell’interazione tra terroir e vitigno rappresenta il cardine essenziale del vasto programma di zonazione che ha visto il Trentino particolarmente impegnato, anche con l’ausilio di valenti ricercatori dell’Istituto Agrario di 4 Pederzolli, N. (2001) – Insieme per la qualità. Atti del convegno S. Michele (oggi Fondazione Edmund Mach) nel definire gli areali più consoni ai diversi vitigni e soprattutto a quelli “autoctoni”. In questo contesto, di perseguire obiettivi qualitativi di gradimento al consumatore, molta attenzione è stata rivolta, nel corso degli ultimi due decenni, alla così detta “vitienologia sostenibile”. Infatti, l’evoluzione dei gusti di chi apprezza il vino, con una sempre maggiore attenzione agli aspetti salutistici dell’alimentazione, ha portato, in tempi relativamente recenti, a una vera e propria rivoluzione nella gestione della difesa fitosanitaria del vigneto. Così si è passati da un impiego, a volte anche indiscriminato, di fitofarmaci ed erbicidi, a un più coscienzioso loro utilizzo (protocolli d’intesa). Sulla stessa strada, ma con posizioni ben più radicali, si pongono la viticoltura biologica e quella biodinamica, anche se, a volte, qualche scelta dogmatica (prodotti naturali e non di sintesi) appare discutibile come ad esempio l’esclusivo impiego come antiperonosporico del solfato di rame (spesso inquinato da piombo) e dello zolfo (come antioidico), frequentemente con abbondanti residui di selenio. Ma, al di là di queste considerazioni che possono apparire di carattere generale, c’è un aspetto fondamentale che influisce sulla composizione chimica della materia prima e quindi sulla qualità del vino: è la cinetica di maturazione delle uve7. presso IASMA, S. Michele a/A (TN). Pagg. 82-83. 5 Veronelli, L. (1988) – I vini da favola. In “nota di prefazione” a cura dell’Autore. Veronelli Editore, Bergamo. 6 Branas, J. (1974) – Viticulture. Impremierie Dèhan, Montpellier (F). 44 Econo mi a t re nt i na 7 Pederzolli, N., Spagnolli, F. (2011) – Trento DOC: quando la montagna diventa perlage. Valentina Trentini Editore, Trento. Classifico grafico “a forbice” tra zuccheri e acidità durante la maturazione delle uve: la quota altimetrica spinge la forbice a destra. di “ritardare” la raccolta delle uve: la classificazione dei Qualitätswein tedeschi si basa proprio su questo aspetto: secondo la tradizione, il messo imperiale che da Fulda doveva portare il bando vendemmiale a Johannisberg (cuore della Rheingau), per una svariata serie di motivi, arrivò con almeno quindici giorni di ritardo rispetto alla data preventivata. Ma, nonostante l’infinita serie di improperi che, momentaneamente, l’ignaro messo si tirò addosso dai viticoltori, venne poi premiato dal fato, perché quella “vendemmia tardiva” si rivelò di particolare pregio qualitativo e attualmente una statua equestre lo ricorda proprio nel cortile principale di Schloss Johannisberg a ridosso del 50° parallelo di latitudine Nord. RAPPORTI TRA VITICOLTURA “SOSTENIBILE” E TERRITORIO L’evoluzione dei gusti del consumatore, con una sua sempre maggiore attenzione al “sapere e Vigneti su un conoide in Valle di Cembra. E co n o m ia tr e n tin a 45 AREA CULTURA E TERRITORIO Decisiva, infatti, ovviamente nei riguardi della qualità del futuro vino, risulta la fase compresa tra l’invaiatura e la vendemmia: non a caso, un antico proverbio, ben noto ai viticoltori, recita testualmente “la quantità la fa il periodo della fioritura (fine maggio-primi di giugno), ma la qualità è priorità di agosto!” Questo vale per tutti i vini, e in particolare per gli spumanti, dove la così detta “struttura acidica” dell’uva e del mosto è uno dei parametri ritenuti fondamentali. È ben vero che nell’ambito dell’evoluzione compositiva che caratterizza la maturazione dell’uva, il sopra citato parametro può solo rappresentare una specie di “punta dell’iceberg”, cioè la parte che emerge (rispetto ai 9/10 che sono sott’acqua!), ma è comunque un elemento discriminante per valutare come possano procedere i complicati biochimismi che caratterizzano la fase di maturazione dell’uva. Un’ultima considerazione in proposito alla scelta della data più opportuna di vendemmia e al fatto Raccolta a mano su terrazzamenti vitati. conoscere l’ambiente da dove proviene il prodotto” ha indotto i produttori a orientarsi sempre più verso quella che altro non potremmo definire se non “cultura del territorio”. Finalmente! Il “pellegrino-enofilo” che visita la Borgogna respira immediatamente l’aria di quella terra particolarmente vocata al vino già alle porte di Chalon-surSaône, prima ancora di entrare nei mitici “templi” degli Hospices-de-Beaune o di Clos-de-Vougeot: dovrebbe succedere la stessa cosa anche a Borghetto, o meglio a Mama d’Avio, dove, tra l’altro, per ben 52 anni (1866-1918) c’era un (controllato) valico di confine tra il quasi neonato Regno d’Italia e il vasto Impero austroungarico. Non c’è dubbio, quindi, che la viticoltura, e in particolare quella “eroica”, risulti integrante, se non addirittura sostanziale ed essenziale, del territorio, ne condivida gli aspetti umani e ne rappresenti un tutt’uno: un’immagine che sempre più affascina il consumatore competente e avveduto e che altro non può costituire se non un importantissimo biglietto da visita sul piano promozionale. Ma, ovviamente, ogni medaglia ha il proprio rovescio: bisogna appurare se la viticoltura eroica sia in grado di compensare, sotto il profilo del reddito, i suoi alti costi di produzione; per chiarire meglio questo concetto basti pensare che nei vigneti delle Cinque Terre (Liguria), dichiarati patrimonio dell’Unesco, occorrono circa 1.500 ore annue di manodopera a ettaro come negli areali 46 Econo mi a t re nt i na “eroici” del Trentino, mentre in un vigneto di medio-alta collina, parzialmente meccanizzabile, ne servono circa 600, in contrapposizione alle 300-400 di un vigneto di fondo-valle lungo tutta l’asta dell’Adige: sempre e comunque molto di più di certe aree vitate dell’Australia, dove con una meccanizzazione pressoché integrale8 si può arrivare addirittura a una cifra quasi incredibile di sole 50 ore annue a ettaro. CONCLUSIONI Sotto l’aspetto strettamente viticolo, il risultato concreto dei primordi di quella che adesso comunemente chiamiamo “globalizzazione”, è stato l’arrivo in Europa, dall’America del Nord, di alcuni parassiti quali oidio, fillossera e peronospora (ovviamente non in ordine alfabetico, bensì di “apparizione” sul vecchio continente). Tutto ciò ha letteralmente modificato il sistema di gestione del vigneto: introduzione del portainnesto (americano o ibridi), difesa antiperonosporica e antioidica sono solo alcuni esempi emblematici di quegli aspetti che fino a pochi decenni fa illustri studiosi come Giovanni Dalmasso9 chiamavano “viticoltura moderna”, ovviamente in contrappo8 Baldini, E., Intrieri, C. (1984) – Meccanizzazione della vendemmia e della potatura. CLUEB, Bologna. 9 Dalmasso, G. (1974) – Viticoltura moderna. Hoepli, Milano. È necessario difendere la viticoltura eroica ma anche gli “eroi” che quotidianamente la coltivano e la amano della vendemmia scalare. E noi? Riusciremo, forse, a ritagliarci uno spazio per difendere non solo la viticoltura eroica, ma anche gli “eroi” che quotidianamente la coltivano e la amano come ormai, purtroppo, solo pochi instancabili viticoltori sanno fare? In tempi non molto lontani, Augusto Giovannini10 ha scritto “L’ultima vigna”, un accorato inno alla viticoltura eroica, quella di uno dei più angusti ambiti dove si trova ancora arroccata una delle varietà un tempo simbolo del Trentino vitivinicolo e soprattutto della Valle di Non: il Groppello. Una speranza: che le note, purtroppo sempre più malinconiche e deboli, di questo inno non abbiano a perdersi e disperdersi soltanto nell’oblio. AREA CULTURA E TERRITORIO sizione con quella più “antica” e cioè tradizionale. Fino al 1970, nei Paesi di antiche tradizioni vitivinicole (Europa mediterranea o poco più) sembrava che tutto andasse per il meglio: buone produzioni, alti consumi all’interno e nei Paesi limitrofi, euforia per il neointrodotto sistema delle DOC, drastica riduzione dei vincoli doganali… Risultato: in un decennio (quello successivo) c’è stata una considerevole riduzione dei consumi (arrivati poi più che a dimezzarsi); così si sono avviate (a livello comunitario) politiche di sostegno alle produzioni di pianura (vari tipi di distillazione per ridurre i volumi di vino immessi sul mercato). A questo punto, però, una riflessione si dimostra quanto mai ovvia: come mai, pur essendo particolarmente interessati sia i francesi, sia i tedeschi a questa “nostra” viticoltura eroica, non l’hanno mai adeguatamente difesa a livello comunitario? Forse si tratta soltanto di filosofia: i francesi risultano saldamente arroccati sul loro terroir, mentre i tedeschi sono impegnati a tutelare il “sistema” 10Giovannini A. (2001) – L’ultima vigna. Publilux, Trento. Mescita di Trentodoc. E co n o m ia tr e n tin a 47 La sede della Fondazione Museo Civico di Rovereto. L’importanza di essere “Civico” Le numerose vocazioni di un museo aperto e fortemente radicato sul territorio FRANCO FINOTTI* Q ualche tempo fa un’agenzia di comunicazione di grido mi disse che la definizione più coerente della complessità che caratterizzava l’identità del Museo Civico di Rovereto si sarebbe offerta pronunciandone il nome al contrario. L’ipotesi – per quanto affascinante – non fu praticata. Si è voluto conservare il nome originale e dare conto della varietà delle competenze coltivate e maturate all’interno della nostra Istituzione analizzando la storia del Museo e delle sue collezioni e osservando come questa si intrecci con la storia della città, dei suoi uomini, della sua * Direttore della Fondazione Museo Civico di Rovereto. 48 Econo mi a t re nt i na vita economica, politica e culturale. Si è voluto osservare i cambiamenti nel solco della tradizione e della continuità di pensiero con i suoi padri fondatori. L’immagine di sé che ritrova nel passato è quella di un’istituzione insieme municipale ed europea, costruita attraverso un processo marcatamente sociale, partecipato, autogestito. Nel museo ottocentesco, quello nuovo riconosce i tratti di una fisionomia familiare, nonostante le radicali diversità del contesto. Legame con la città e con il territorio, impegno tenace nella ricerca sul campo, vocazione a situarsi in una rete di relazioni molto vasta, autonomia e dignità istituzionale sono quindi assunte come valori caratterizzanti di un’eredità rivendicata con orgoglio. La conoscenza della propria storia e la consapevolezza delle proprie origini hanno forgiato il modello culturale L’idea forte è quella di un museo che non sia soltanto una muta vetrina di reperti, ma un luogo e gestionale del Museo, meglio delineando ruoli e funzioni. Provo quindi a sintetizzare gli elementi essenziali. Il Museo Civico di Rovereto nasce nel 1851, prima dell’Unità d’Italia, su impulso di un gruppo di intellettuali cittadini che lo fondano dandosi il carattere privatistico di “Società del Museo Civico”. In un’Italia sottoposta alla dominazione asburgica, per tutelare il patrimonio naturalistico e storico locale da ogni tipo di spoliazione nasce forse il primo esempio ante litteram di gestione privatistica di una “impresa culturale”. Imprenditori, artigiani, professionisti, docenti, che il primo agosto del 1851 danno vita al Museo, manifestano un disegno politico chiaro con la ferma volontà di mantenere alla città di Rovereto e alla Vallagarina quelle prerogative di modernità economica e culturale che si erano affermate nel 1700 intorno all’industria e commercio della seta. Fu infatti nel contesto di una necessaria riconversione economica che prese sede a Rovereto la Camera di Commercio e Industria del Tirolo italiano (1850) e il sistema scolastico si arricchì della Scuola Reale (1855) a indirizzo tecnico e scientifico, così come l’insediamento a Sacco della grande Manifattura tabacchi del monopolio statale imperialregio (1854) fu un altro evento importante della vita economica e sociale della Vallagarina. La nascita del Museo s’inserisce in questo contesto storico e rappresenta quindi un progetto forte i cui temi in gioco furono: patrimonio, scuola e territorio, in un impegno culturale e politico fortemente partecipato e impostato sulla conoscenza sistematica del territorio, dei sui beni culturali e sul valore civico che ha sempre caratterizzato il nostro agire. Da sempre quindi il Museo Civico di Rovereto è radicato sul territorio, forte di una lunga tradizione dove scelte del passato e del presente si fondano in un’unica concezione di museo e in una continuità di metodo che, all’occhio del profano, ha dell’incredibile. L’idea forte è quella di un museo che non sia soltanto una muta vetrina, di reperti La sede storica della Camera di Commercio a Rovereto. E co n o m ia tr e n tin a 49 AREA CULTURA E TERRITORIO vivo, una vera agenzia di socializzazione Le orme dei dinosauri ai Lavini di Marco. e materiali vari, che esaurisce il suo interesse alla prima visione, ma un luogo vivo, da frequentare e sentire come proprio, una vera agenzia di socializzazione qualificata e alternativa dove la scienza, la cultura, e la didattica non rimangono chiusi nei laboratori di ricerca e fra le pareti dell’istituzione, ma si aprono alla comunità, si offrono alla fruizione. Il Museo s’identifica con una sede cittadina (due, da qualche tempo, a dire il vero), ma la distribuzione sul territorio delle occorrenze storiche, geologiche, botaniche, naturalistiche per le quali è noto è in realtà la cifra di un Museo diffuso che travalica i confini comunali e si spinge sulle cime dell’Alpe Cimbra, del Monte Baldo e del Monte Zugna, verso l’Alto Garda e lungo l’asta dell’Adige. Infine, e più di ogni altra cosa, l’attività del Museo, che pure conserva le caratteristiche proprie del termine nella sua accezione più tradizionale, sconfina nei settori della ricerca, della didattica, dei servizi alle imprese e di pubblico interesse (con le reti di monitoraggio ambientale, ad esempio). Proprio questo genere di esclusiva ambivalenza gli ha conquistato, negli anni, un ruolo di prestigio nel panorama locale, e non solo: il Museo ha avuto la capacità di stringere una quantità di rapporti, convenzioni e collaborazioni con istituzioni pubbliche, musei, enti culturali e di ri- 50 Econo mi a t re nt i na cerca, scuole e realtà produttive di tutto il mondo. Raccogliendo gli stimoli pervenuti dalle associazioni territoriali, dai professionisti, dalle persone di cultura, il Museo ha creato quindi nuove “strutture del fare”, luoghi neutri, dove offrire servizi e nuove chiavi di lettura della realtà territoriale, per fare interagire formazione, ricerca e prodotto. In questa cornice nasce “Sperimentarea”, una vera cittadella per la ricerca scientifica e la didattica, con spazi outdoor e indoor dedicati all’archeologia sperimentale e alle attività naturalistiche, e “Openlab”, luogo all’interno del quale, grazie alle competenze interdisciplinari dei nostri ricercatori e all’alto profilo tecnologico delle attrezzature, siamo in grado di fornire servizi di qualità ad architetti, ingegneri, geologi, imprese, restauratori, aziende, enti pubblici e privati cittadini. Chiunque – a tariffe peraltro particolarmente vantaggiose se abbonato al Museo – può valersi di tutta la strumentazione disponibile per realizzare modelli, ricostruzioni e stampe 3D, interventi di restauro, prove, test e valutazioni energetiche, indagini geofisiche e geoelettriche, da integrare ai propri progetti o alle proprie perizie. Allo stesso tempo, può divenire partecipe di una “comunità intelligente” fatta di professionisti e ricercatori interessati a condividere dati, informazioni scientifiche, esperienze e realizzazioni per favorire un saper fare interdisciplinare e innovativo. A una tale vastità “Scopri l’importanza di essere Civico”: uno slogan che ben rappresenta la vocazione della Fondazione Museo Civico di Rovereto Fondazione, sviluppati intorno al segno di una “C”, che conserva e promuove il valore di quel “civismo” al quale l’istituzione è legata da 164 anni. Contestualmente, a consolidare le relazioni con i suoi interlocutori, pubblici e privati, reali e potenziali, il Museo ha precisato una nuova declinazione delle formule di abbonamento – Small, Large e Business – pensata per favorire diverse tipologie di utenza. Il nuovo percorso si svolge all’insegna del motto “Scopri l’importanza di essere Civico”: uno slogan che ben rappresenta la vocazione della Fondazione, che fin dalla nascita ha costruito il proprio patrimonio con la convinzione che il sapere scientifico, artistico, storico siano valori fondanti della buona cittadinanza alla quale è chiamato chi partecipa alla vita di una comunità. AREA CULTURA E TERRITORIO di luoghi fisici corrisponde un investimento di pari intensità nella cura e nella gestione di siti virtuali pensati per favorire l’accesso alle informazioni, ai contenuti, ai documenti, attraverso i mezzi più innovativi o più mainstream, come il cinema, i siti Internet (quello istituzionale, ma anche i siti satellite costruiti ad hoc per le più diverse esigenze), le webtv (Sperimentarea.tv, ma anche didamedia. tv, archeologiaviva.tv, retenatura2000.tv, innovazione.tv), i social, i QR-code. Un presidio delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione che ci ha, di recente, orientato verso l’introduzione di un’apposita app, fruibile gratuitamente previa registrazione, attraverso la quale il cittadino è posto nella condizione di dialogare con il Museo. La novità arriva in concomitanza con il lancio del nuovo logo e della nuova veste grafica del nostro Museo, da pochi anni trasformato in Vetrine espositive all’interno del Museo. E co n o m ia tr e n tin a 51 Simboli di povertà ed emarginazione al parco S. Chiara a Trento. La triangolazione lavoro-povertà-famiglia Gli effetti della crisi tra teoria sociologica e teoria economica SILVIA BRUNO* U n’indagine Eurostat del 2012 riferisce che in Europa il 25% della popolazione è a rischio di povertà ed esclusione sociale. Un dato questo, che se confrontato con il 17% del 2008, prima della crisi, impressiona particolarmente e dimostra come essa abbia avuto un impatto rilevante sulla povertà e l’esclusione sociale. Se dal 2009 a oggi si è sviluppato il dibattito degli studiosi e dei politici sul tema del lavoro, che è diventato una vera e propria emergenza, non è possibile affermare lo stesso per la povertà, che non sembra essere considerata un’urgenza di cui occuparsi. Lo è certamente per studiosi come la sociologa Chiara Saraceno1, che nel suo ultimo libro “Il lavoro non basta. La povertà in Europa negli anni della crisi” ci spiega come il lavoro potrebbe non essere sufficiente per uscire dalla crisi e riflette sulla povertà analizzando il presente e i rischi futuri. L’incontro di approfondimento avvenuto lo scorso settembre nel contesto di tsm-Trentino School of Management-LaReS ha permesso a Chiara Saraceno e Sandro Trento2 di confrontare il punto di vista sociologico con quello economico. 1 Sociologa e membro onorario del Collegio Carlo Alberto di Torino. 2 Docente di economia e gestione delle imprese e direttore del corso di laurea in Innovation Management all’Università degli studi di * tsm-Trentino School of Management. 52 Econo mi a t re nt i na Trento. L’aumento dell’occupazione ha riguardato le famiglie in cui gli adulti avevano livelli “La povertà è soprattutto una questione economica” afferma Chiara Saraceno, quindi legata al lavoro e al mercato del lavoro. Per anni abbiamo pensato, e la stessa Europa era convinta fosse la strada corretta, che l’aumento dell’occupazione potesse generare una riduzione della povertà; di conseguenza si pensava che la povertà sarebbe scomparsa con la crescita economica. Questo non è accaduto. Con la strategia di Lisbona, che ha puntato sull’aumento dell’occupazione, quest’ultima è sì aumentata, ma la povertà non è diminuita a livello europeo complessivo, anche se con importanti differenze (si sono registrati diminuzioni in alcuni Paesi e aumenti in altri). Per Sandro Trento il titolo del libro “Il lavoro non basta” contiene un profondo significato che spinge a un’analisi orientata verso differenti riflessioni. Il lavoro non basta per una serie di ragioni: perché il lavoro remunerato non è sufficiente e soprattutto non è sufficiente il lavoro adatto alle persone che sono considerate a rischio, coloro che hanno una bassa qualifica e un basso livello di istruzione. Questo tipo di lavoro non c’è e non ci sarà nemmeno dopo la fine della crisi. Perché il mercato del lavoro è cambiato e nonostante si fingesse di non accorgersene, stava cambiando anche prima del 2007. Il lavoro non basta perché la crescita dell’occupazione non è omogenea tra le varie categorie, ma è sempre più legata a variabili quali il genere, il titolo di studio, la sempre maggiore omogamia delle coppie. Un fenomeno questo già evidenziato negli anni 80 dal sociologo inglese Vernon Pahl e da altri studiosi secondo cui l’aumento dell’occupazione femminile si combina con l’omogamia sociale delle coppie, secondo cui donne istruite con migliori possibilità lavorative sono spesso legate a uomini altrettanto istruiti, mentre donne poco istruite tendono a essere legate a partner nelle stesse condizioni. Come ben hanno evidenziato i due studiosi nel corso del seminario, l’aumento dell’occupazione ha riguardato infatti le famiglie in cui gli adulti (in particolare le donne) avevano livelli di istruzione e competenze professionali più elevati, generando così una sorta di “polarizzazione tra famiglie ricche di lavoro e famiglie povere di lavoro”. Il lavoro non basta per la diffusione di tutta una serie di contratti precari e di tipologie contrattuali che non necessariamente assicurano livelli sociali adeguati. E come si ricordava, in questa polarizzazione tra famiglie si distingue tra lavoratori che, perché in possesso di competenze (skill) molto elevate, si garantiscono salari soddisfacenti, e lavoratori che, per la bassa istruzione e le ridotte specializzazioni, percepiscono un salario inadeguato e quindi sono i cosiddetti “lavoratori poveri” (working poor). Negli anni della crisi è certamente aumentato il numero degli inoccupati e dei disoccupati, il numero di chi vive in famiglie senza lavoro o con sotto-occupazione grave, ma ciò che colpisce maggiormente è certamente l’aumento del numero dei lavoratori poveri. Il termine “lavoratore povero”, che poteva essere considerato un ossimoro fino agli anni Novanta, distingue tra lavoratori a basso salario e lavoratori poveri su base famigliare. L’Eurostat definisce lavoratori a basso salario coloro che percepiscono il 60 per cento della retribuzione mensile mediana calcolata fra tutti i lavoratori del Paese di appartenenza e definisce invece come lavoratori poveri su base famigliare coloro che hanno un reddito disponibile inferiore al 60 per cento di quello mediano pro capite. Dal libro emerge che “la nozione di povertà dipende dal tempo e dal luogo” dice Sandro Trento: “Ciò che in un certo momento della storia E co n o m ia tr e n tin a 53 AREA CULTURA E TERRITORIO di istruzione e competenze più elevati Famiglia a passeggio in montagna. La povertà può dipendere da diversi fattori, uno fra i quali la dimensione consistente della famiglia è povertà, in un altro momento storico potrebbe non essere percepito come tale”. Chiara Saraceno ricorda, ad esempio, come settant’anni fa essere analfabeta o non avere l’acqua corrente in casa non fosse considerato indicatore di esclusione sociale e di povertà, ma fosse invece un fenomeno molto diffuso tra i ceti popolari. Oggi sarebbe segno di totale esclusione. Occorre quindi tenere ben presenti queste comparazioni temporali ma anche legate ai luoghi nell’analisi del concetto di povertà (“diverso è essere povero in Svizzera rispetto all’essere povero in Uganda”, ci ricordano i due studiosi). La povertà è un fenomeno strettamente legato alla comparazione, è una situazione di diseguaglianza materiale. È l’incapacità da parte di un individuo di rispondere alle proprie aspettative materiali. La povertà può dipendere da numerosi fattori, uno fra i quali la dimensione della famiglia. Il numero di figli presenti in un nucleo familiare, infatti, sembra condizionare enormemente la possibilità di un nucleo di uscire dalla povertà o superare una fase di disagio. Altri fattori sono l’invecchiamento della popolazione, che seppur 54 Econo mi a t re nt i na tutelato dalle pensioni, si trova negli ultimi anni della vita a confrontarsi con situazioni di disagio e l’immigrazione che condiziona notevolmente fasce di popolazione definite a rischio di povertà. Per gli adulti avere un lavoro è certamente la migliore garanzia contro la povertà, ma essere occupati non protegge totalmente. Al contrario, la mancanza di lavoro, così come un lavoro a bassa remunerazione, non sempre si accompagna a povertà e deprivazione materiale. Le ragioni di questo apparente paradosso, sostiene Chiara Saraceno, stanno nella mediazione operata dalla condizione famigliare e nel ruolo delle politiche redistributive. Questi due aspetti, differenti nei diversi Paesi, provocano quindi situazioni molto lontane tra loro. L’assenza di lavoro è invece la causa principale di povertà soprattutto quando a esserne senza è chi ha la principale o esclusiva responsabilità di mantenimento proprio e dei familiari. L’assenza di lavoro remunerato può essere particolarmente rischiosa quando in una famiglia riguarda tutti gli adulti, non anziani e non studenti, o in cui gli adulti presenti sono occupati per meno del 20% del loro potenziale lavorativo. L’aumento di famiglie in cui nessun adulto è occupato, o in cui gli adulti risultano Questa situazione è considerata da Eurostat come uno dei tre indicatori per stimare l’incidenza della povertà e dell’esclusione sociale in ciascun Paese dell’Unione europea. Diversi studi Ocse confermano, a tal proposito, l’esistenza di un rapporto tra mancanza di lavoro in famiglia e povertà. L’aumento di famiglie in cui nessun adulto è occupato o in cui gli adulti risultino sotto-occupati, è certamente preoccupante, non solo per i rischi di povertà che comporta. Individua infatti un’area sociale in cui vi sono adulti che dipendono dai più anziani e/o da varie forme di assistenza, e bambini e ragazzi che durante la loro crescita, per periodi più o meno lunghi, non hanno esperienza diretta di adulti che producono un reddito. Sono famiglie queste che rischiano di non riuscire a costruirsi un capitale sociale al di là delle reti informali ristrette e di essere pertanto escluse da risorse e relazioni utili per rientrare o entrare nel mercato del lavoro. Anche il “Report on Employment and Social Developments in Europe” relativo al 2012, fa emer- gere che “non sempre avere un lavoro protegge dalla povertà o permette di uscirne”. Questo avviene nei casi in cui non si può contare su altri redditi familiari o in cui lo stipendio percepito è inadeguato rispetto ai bisogni della famiglia. Il fattore maggiormente preoccupante è che un lavoratore povero su base famigliare definisce in questa condizione anche tutti i componenti della sua famiglia. Rischio tanto più alto quanto più alta è la percentuale di famiglie monoreddito e quanto più scarsi sono i trasferimenti legati alla presenza di figli. Assolutamente disarmante la riflessione di Chiara Saraceno circa gli indicatori economici, di deprivazione e povertà relativi ai bambini e ai minori in genere. Indicatori che descrivono cosa significhi essere povero per un minore in una società ricca e tecnologicamente avanzata come quella in cui viviamo. Le interviste dell’équipe di Save the Children riportate nel libro ci descrivono situazioni drammatiche anche in zone non lontane da noi. Sconvolge ascoltare le parole della studiosa che Operatore ecologico a Trento. E co n o m ia tr e n tin a 55 AREA CULTURA E TERRITORIO sotto-occupati, è certamente preoccupante Giovane questuante al Duomo di Trento. La prima grande politica contro la povertà dei minori è il sostegno all’occupazione femminile riporta dati e situazioni testimonianti il fatto che in Italia la povertà minorile sta aumentando e superando quella degli anziani. La povertà dei minori non è legata esclusivamente alla disoccupazione dei genitori perché la maggior parte di essi vive in famiglie in cui almeno un genitore adulto lavora ma, o il numero dei figli o il basso salario, non permettono al genitore lavoratore di soddisfare i bisogni dei propri familiari. Interessante un’indagine di qualche anno fa svolta da Chiara Saraceno in cui si evidenziava come la maggioranza dei minori viveva in una famiglia in cui almeno un genitore lavorava, e come avere anche il secondo genitore occupato provocasse una diminuzione di due terzi della povertà tra i minori. È evidente quindi che la prima grande politica contro la povertà dei minori è il sostegno all’occupazione femminile. È preoccupante constatare che questo fenomeno della povertà minorile non sia messo a fuoco e considerato prioritario nelle agende dei decisori italiani e che non si comprenda che intervenire sull’età infantile può concorrere a evitare di “sprecare capitale umano” e il rischio di futuri e imponenti problemi sociali ed economici. Come 56 Econo mi a t re nt i na si ricorda sempre per le questioni ambientali, prevenire i rischi potrebbe essere considerato un risparmio anche economico per il futuro. In tutti i Paesi sono i lavoratori con più basso livello di istruzione e qualifica i più esposti al rischio di avere una bassa remunerazione. Alcuni studiosi ricordano come la bassa istruzione sia fortemente collegata all’origine famigliare. Se un basso salario può interessare una fase transitoria nella vita lavorativa di un individuo, per chi invece ha una bassa qualifica e proviene da famiglie a basso reddito questa condizione può rappresentare una fase permanente nel corso della vita3. Lavoro, povertà e famiglia possono, in conclusione, definirsi una triangolazione da studiarsi e su cui intervenire simultaneamente in questo nuovo sistema economico e di inclusione sociale. 3 Su questo argomento si vedano i dati presenti nel Rapporto 2014 – Profilo dei laureati 2013 (Almalaurea) e nel Rapporto dell’indagine pilota PIAAC OCSE: Programma Internazionale sulle competenze degli adulti (Isfol). oltre i confini provinciali AARON CIAGHI, ADOLFO VILLAFIORITA Combattere lo spreco e la povertà alimentare con la tecnologia RICCARDO SCARTEZZINI, ALESSANDRO FRANCESCHINI Turismo cinese: dinamiche e peculiarità di un nuovo mercato Combattere lo spreco e la povertà alimentare con la tecnologia Applicazioni solidali per web e smartphone, prospettive e nuove sfide AARON CIAGHI*, ADOLFO VILLAFIORITA** N ell’anno di Expo il problema dello spreco alimentare è salito più che mai agli onori della cronaca. In Italia si stima uno spreco di circa 4 milioni di tonnellate all’anno per un valore economico di oltre 8 miliardi di euro. Il dato è contenuto in un rapporto del Ministero dell’ambiente, il quale, allo stesso tempo, fa notare che lo spreco reale è probabilmente ancora più alto di quello stimato. Lo spreco domestico nel mondo si aggira intorno ai 630 grammi a settimana per famiglia1 e ciò * Ricercatore presso l’unità ICT4G della Fondazione Bruno Kessler. stride con gli 1,4 miliardi di persone che soffrono di obesità2. Papa Francesco – che in più occasioni ha descritto lo spreco alimentare come uno scandalo – ha definito il cibo sprecato come cibo rubato ai poveri. Sono oltre 15mila gli enti caritativi in Italia che ogni giorno sono impegnati nel recupero delle eccedenze alimentari per ridistribuirle agli oltre 4 milioni di Italiani in condizioni di povertà assoluta3. Le strutture caritative mettono in campo tutte le proprie forze, ma spesso la domanda di aiuti è superiore alla disponibilità di donazioni alimentari, al punto che solo il 6% delle eccedenze vengono **Responsabile dell’unità ICT4G della Fondazione Bruno Kessler. 2 Dati Oxfam. 1 Rapporto Waste Watchers 2014. 58 Econo mi a t re nt i na 3 Rapporto ISTAT 2014 sulla povertà in Italia. Alcune organizzazioni pongono dei limiti più restrittivi sulle caratteristiche dei prodotti che possono essere donati Per cercare di risolvere questi problemi, noi del gruppo ICT4G della Fondazione Bruno Kessler sviluppiamo dal 2011 BringTheFood (http:// www.bringfood.org), una applicazione web e per smartphone per segnalare e prenotare eccedenze alimentari. Nell’idea originale, i donatori indicano le caratteristiche della donazione (tipo, contenuto, quantità, scadenza, disponibilità per la consegna) e il sistema rende visibili le donazioni a tutti gli enti caritativi nella zona, togliendo la necessità di fare lunghi giri di telefonate. Il primo ente interessato e in grado di ritirare la donazione la prenota e si accorda con il donatore per la consegna. Nel primo periodo di operatività e grazie anche alla collaborazione con diverse ONLUS che operano nel settore, abbiamo però potuto toccare con mano cosa significhi organizzare e gestire il recupero giornaliero, anche salendo letteralmente sui furgoncini di Banco alimentare che tutti i E co n o m ia tr e n tin a 59 OLTRE I CONFINI PROVINCIALI recuperate. Anche per un’organizzazione come Banco alimentare non è sempre facile o conveniente raggiungere tutti i potenziali donatori per limiti di tempo, capacità di trasporto o stoccaggio e numero di volontari. Dall’altro lato, chi ha cibo in eccesso non sempre pensa o è nelle condizioni di poterlo donare. Chi non produce grandi eccedenze con regolarità, per esempio, non può accordarsi per una raccolta periodica con un ente e non può segnalare abbastanza rapidamente la disponibilità di una eccedenza. Non è detto poi che l’associazione sia in grado di reagire tempestivamente alla segnalazione. A complicare ulteriormente la situazione sono le regole applicate dalle diverse organizzazioni per accettare donazioni alimentari. Per esempio, alcune organizzazioni pongono dei limiti più restrittivi sulle caratteristiche dei prodotti che possono essere donati, spesso richiedendo ai donatori di affiliarsi formalmente all’organizzazione. Antipasti pronti nella cucina di un ristorante. “BringTheFood” fornisce ai donatori un canale privato per segnalare le proprie eccedenze a gruppi fidati di enti caritativi giorni recuperano e ridistribuiscono centinaia di pasti. Aspetti più tecnici, come il rispetto della catena del freddo attraverso l’uso di abbattitori, si affiancano alle questioni etiche della preservazione della dignità dei beneficiari finali. L’idea originale di un “eBay solidale” che permette a tutti di donare a chiunque, pur essendo affascinante va a scontrarsi con una realtà molto più complessa (tanto per cambiare?) in cui si deve tenere conto di dinamiche di volontariato, vincoli logistico/ organizzativi e – non ultimi – aspetti più filosofici legati alle persone coinvolte come beneficiari e al significato di donare loro del cibo. All’idea originale si sono affiancate nuove funzioni che consentono di fornire servizi specificamente mirati alle esigenze di alcune modalità di donazione. Si va dalla dimensione dei privati che possono scambiare cibo tra di loro fino alla dimensione delle reti di recupero che devono smistare grandi donazioni di organizzazioni di produttori. BringTheFood supporta anche la creazione di nuove reti di solidarietà on-line, fornendo ai donatori un canale privato per segnalare le proprie eccedenze 60 Econo mi a t re nt i na a gruppi fidati di enti caritativi. Inoltre, l’applicazione dà indicazioni in modo non invasivo sulla corretta gestione delle donazioni, enfatizzandone la natura di dono più che quella di transazione commerciale. Un esempio che riteniamo “di successo” è la collaborazione con il progetto Rete Solida di ACLI nell’area di Padova, che raccoglie una cinquantina di enti caritativi che ricevono donazioni da organizzazioni di produttori. Le organizzazioni di produttori sono in grado di ricevere agevolazioni fiscali e il trasporto gratuito di prodotti destinati alla donazione che altrimenti verrebbero distrutti. Questo è possibile solo se dall’altra parte c’è una capacità ricettiva adeguata. Considerato che la dimensione media di una donazione è 20 tonnellate (un TIR), il problema è coordinare lo smistamento dei prodotti “just in time”, frazionando il prodotto in piccoli lotti e in modo da evitare di utilizzare magazzini. A questo vanno aggiunti tutti i requisiti burocratici per il trasporto e la comunicazione alla Prefettura dell’avvenuta donazione. Questo avrebbe comportato un carico di lavoro notevole Si tratta di una rivoluzione nel modo in cui viene governato lo spreco di cibo e organizzata la logistica delle eccedenze Da questa esperienza nasce anche GASAPP (http://ict4g.org/gas), l’applicazione che stiamo sperimentando per i gruppi di acquisto solidale. In questo caso la tecnologia di BringTheFood viene messa al servizio di produttori di bio e di gruppi di acquisto, per organizzare la prenotazione e l’acquisto di prodotti. Con circa 150 utenti attivi, l’applicazione ha visto effettuare circa 400 ordini nei mesi estivi. Il futuro è rappresentato da una rivoluzione nel modo in cui viene governato lo spreco e organizzata la logistica delle eccedenze. Una prima sfida è trovare delle logiche in cui le tecnologie sono al servizio degli enti che si adoperano con tanta dedizione a combattere lo spreco. L’opportunità più evidente è quella di contribuire all’implementazione di due delle azioni prioritarie del Piano nazionale di prevenzione degli sprechi alimentari incidendo in maniera significativa sulla quantità di eccedenze che vengono recuperate. E co n o m ia tr e n tin a 61 OLTRE I CONFINI PROVINCIALI per il responsabile della rete: almeno una giornata passata al telefono più tutto il tempo per stampare, compilare e firmare i documenti richiesti. BringTheFood supporta in maniera efficace l’intero processo: prenotazione e smistamento avvengono poche ore dopo la segnalazione da parte dei fornitori. Il sistema genera tutta la documentazione già compilata con cui gli enti si possono presentare il giorno della consegna, un paio di giorni dopo, e ricevere la merce. Da gennaio 2015, ACLI Padova ha smistato in questo modo più di 430 tonnellate di prodotti ortofrutticoli, per un valore commerciale all’ingrosso stimato di circa 500mila euro. Le consegne avvengono al ritmo di una donazione ogni due settimane, ma il dato che dà più soddisfazione sono gli oltre 18mila assistiti degli enti caritativi associati alla rete, che hanno la possibilità di fruire di prodotti freschi e freschissimi (un’area in cui le donazioni “standard” hanno maggiore difficoltà). Lo spreco alimentare non si riduce facilmente: in Vallagarina le mense scolastiche buttano in media il 7% dei pasti Le possibilità di miglioramento sono notevoli, allargando lo sguardo alle altre parti della catena in cui si realizzano eccedenze non recuperate: ristorazione, piccoli esercizi commerciali, produttori. Per il futuro di BringTheFood quindi puntiamo a stabilire un dialogo con le istituzioni e con gli enti già attivi in tutta Italia e fornire supporto per replicare la “storia di successo” di ACLI Padova. Basti pensare che Rete Solida finora ha collaborato con otto organizzazioni di produttori e in Italia ce ne sono 308 accreditate presso il Ministero per le politiche agricole e forestali. Va da sé inoltre che l’applicazione permette facilmente di gestire donazioni di qualsiasi categoria merceologica. La seconda sfida è rappresentata dal governo dei dati e dalla riduzione degli sprechi. L’obiettivo è utilizzare le tecnologie di BringTheFood per ridurre le eccedenze a minore fruibilità: spreco domestico, prodotti preparati. Anche guardando al solo Trentino, le realtà che recuperano cibo da 62 Econo mi a t re nt i na ristoranti e rivenditori sono molte e spesso incontrano problemi logistici nella gestione dei propri donatori e della ridistribuzione. Allo stesso tempo lo spreco alimentare non si riduce facilmente. Basti pensare al recente studio4 che ha evidenziato come in Vallagarina le mense scolastiche sprechino in media il 7% dei pasti. Qui BringTheFood e i prototipi che stiamo sperimentando hanno l’obiettivo, da una parte, di consigliare stili di acquisto, preparazione e consumo più adeguati e, dall’altra, rendere ancora più efficiente il processo di recupero in quei segmenti della catena di difficile fruibilità. 4 Dati Comunità di valle della Vallagarina e Risto3. Relatori e pubblico al convegno di BITM. Turismo cinese: dinamiche e peculiarità di un nuovo mercato Il profilo di un visitatore ancorato a rigide regole comportamentali e culturali I l turismo cinese in Italia, le sue caratteristiche e le sue potenzialità sono state al centro di un pomeriggio di discussione organizzato lo scorso settembre dalla Borsa internazionale del turismo montano. L’incontro, promosso in collaborazione con il “Centro Martino Martini” dell’Università di Trento, aveva lo scopo di avviare una riflessione sulla crescita e sullo sviluppo * Professore ordinario di sociologia delle relazioni internazionali presso la Facoltà di sociologia dell’Università degli studi di Trento. **Architetto e Vicepresidente dell’Ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori della provincia di Trento. del turismo in Trentino, cercando di ragionare, in particolare, sul fenomeno cinese, visto anche nella prospettiva del business turistico. Tra i nuovi protagonisti del turismo dei prossimi anni, infatti, uno spazio speciale va riservato al popolo cinese che, con i suoi numerosi potenziali turisti (appartenenti cioè a una classe medio-alta), si appresta a visitare l’Europa. E quindi anche l’Italia. Si tratta di un mercato turistico estremamente interessante, non solo per le città ma anche per i territori di montagna. Ma quali sono le caratteristiche di questo turismo? Cosa cerca il turista cinese in visita in Italia? Cosa può fare il Trentino per rendersi più appetibile al turista che proviene dall’Oriente? Quali sono gli accorgimenti che gli operatori E co n o m ia tr e n tin a 63 OLTRE I CONFINI PROVINCIALI RICCARDO SCARTEZZINI*, ALESSANDRO FRANCESCHINI** Wang xin, imprenditore ed esperto di tecniche turistiche internazionali. turistici devono approntare per accogliere con professionalità l’ospite orientale? Il Convegno ha riflettuto proprio su queste tematiche. A Miriam Castorina, docente dell’Università la Sapienza di Roma, con il suo intervento dal titolo “Turismo cinese e gastronomia. Chiavi di lettura e proposte”, e a Carlotta Trevisan con il tema “Gli standard di accoglienza per il turista cinese”, il compito di approfondire l’identikit del turista cinese. “I turisti cinesi cercano delle garanzie del gusto – ha detto Castorina – qualcosa di familiare, qualcosa che aiuti ad accettare e scoprire il piatto locale”. Meglio quindi proporre assaggini che un piatto all’amatriciana. Per il vino quasi nessun problema, “in Cina è diffusissimo così come lo sono le bollicine”. I turisti cinesi sono sempre più giovani e social, si informano attraverso Internet ma per usare questi canali di comunicazione occorre affidarsi alle piattaforme diffuse in Cina come 64 Econo mi a t re nt i na “elong”, “qunar”, “wechat” (e non “whatsapp”) e “daodao” la versione cinese di “Tripadvisor”. Carlotta Trevisan ha evidenziato, tra le altre cose, l’importanza della comunicazione non verbale: “‘Cina’ in cinese significa ‘il Paese del centro’, per secoli è stata al centro del mondo, quindi il turista cinese ha una forte percezione del proprio Paese e chiede un senso di privilegio e prestigio». Insomma chiedono onori e attenzioni e che vengano applicati secondo una particolare gerarchia, con grande attenzione all’anziano. Il più giovane è portatore di “dovere” nei confronti di chi è più grande di lui, anche in una tavolata fra amici o famigliari. La relatrice ha anche parlato dell’importanza di Internet, per poter intercettare il turista cinese. Attualmente in Cina ci sono 618 milioni di internauti e gran parte delle ricerche viene fatta su siti indipendenti e su blog: nel 48% alloggio/località; il 36% prenota alloggio delle I cinesi chiedono sicurezza, non amano le sorprese e cercano cose memorabili, anche stereotipate cilmente raggiungibile e senza stress”. Ancora il geografo: “Per riassumere, gli ingredienti per attrarre il turista cinese in Trentino possono essere riassunti nell’acronimo “MASSE”: ovvero Montagna, Accoglienza (anche linguistica e gastronomica), Sorprese=zero, Stereotipi, Efficienza. A questo, come motore, può essere associata la visita ai luoghi legati a un personaggio famoso in Cina, tema che i cinesi vivono con una certa sensibilità”. Secondo il ricercatore, infatti, “se per attrarre i tedeschi bastava avere un po’ di sole e un po’ di natura, più o meno incontaminata, per attrarre i cinesi occorre fornire loro un buon pretesto per venire ‘proprio qui’ “. Sullo sfondo di immagini di vari aspetti della vita e del paesaggio cinese, che avevano lo scopo di mettere in evidenza soprattutto le differenze con situazioni e paesaggi cui siamo abituati nei nostri Un momento della tavola rotonda. E co n o m ia tr e n tin a 65 OLTRE I CONFINI PROVINCIALI vacanze on-line; 17% prenota addirittura con una app del suo mobile. In questo contesto hanno successo i siti di forum e i blog di viaggi: l’Italia è presente, ma assai meno della Francia, e solo in modo molto “spontaneo”, senza una strategia di marketing globale. Infine, Michele Castelnovi geografo del Centro studi Martino Martini ha illustrato la montagna che piace ai cinesi. “I cinesi vanno in vacanza in montagna da secoli. E per loro il mare non è una grossa attrattiva, a meno che non sia di extra lusso a sette stelle con mete verso le Maldive o Dubai”. I cinesi chiedono sicurezza, non amano le sorprese e cercano cose memorabili, anche stereotipate. Come quindi deve essere la montagna? “Un posto dove si va tutti insieme con il pullman o il treno. Non deve essere selvaggia ma rassicurante e serena. Tutto deve essere fa- In Italia si va espandendo una richiesta di turismo più specifico di gruppi meno numerosi che richiedono ambienti ed esperienze particolari paesi, il prosieguo della conversazione ha riguardato l’attrattività delle zone montane dell’Arco alpino e lo stile di accoglienza. La domanda di turismo in queste zone sta cambiando in maniera radicale e cerca sempre più qualità in vari aspetti correlati: comfort residenziale, cultura e tradizioni, gastronomia, ambienti incontaminati. Ciò vale essenzialmente per i turisti italiani ed europei, specialmente se colti e consapevoli delle caratteristiche distintive dell’ambente montano. Ma riguarda anche un segmento del turismo cinese di classe sociale e di capacità di spesa medio alta. Dopo la stagione del turismo tradizionale in Italia, organizzato per grandi gruppi e legato soprattutto alle città d’arte e alle aree dello shopping, si va espandendo una richiesta di turismo più specifico, di gruppi meno numerosi ma richiedenti ambienti ed esperienze particolari. Anche di questi temi si è discusso nella seconda parte dell’incontro, organizzata in una Tavola rotonda con ospiti legati al mondo del turismo. Erano presenti Mirco Elena (viaggiatore, divulgatore scientifico), Yu jin (avvocata), Wang xin (imprenditore), Attilio Silvestri (operatore turistico), Sergio Cucini (già presidente degli Albergatori della provincia di Verona), Monica Basile (Associazione albergatori e imprese turistiche della provincia di Trento), Ettore Zampiccoli (Dirigente di Assoturismo trentino), Natale Rigotti (presidente di Accademia d’Impresa). Elena ha sottolineato di essere rimasto affascinato dalla Cina sin dal primo viaggio, nel 1984, mettendo in evidenza gli impressionanti i cambiamenti, non solo materiali, ma anche nella mentalità e nell’atteggiamento delle persone avvenuti in questi anni. Per vari aspetti si può affermare che i cinesi sono un po’ Il dibattito a margine della tavola rotonda. 66 Econo mi a t re nt i na Yu jin, avvocata e studiosa di scambi culturali tra Cina e Italia. I cinesi, più degli europei, danno importanza alla tradizione culturale, che modella il costume, gli italiani d’Oriente. Avremmo avuto più chance di altri, ma non ci siamo mossi per tempo e con intelligenza per conquistare un posto di prima fila alla ricca “mensa del business” cinese. Ma abbiamo ancora delle carte da giocare. Durante il dibattito, Wang xin ha ricordato che le delegazioni cinesi, attualmente in visita all’Expo di Milano, prendono contatti con diverse realtà regionali, facendo, ad esempio, convenzioni e accordi di scambio nel settore educativo (è un esempio quello delle scuole delle Giudicarie), mentre Yu jin ha ricordato le difficoltà, soprattutto di carattere burocratico, che incontrano i cinesi quando si interfacciano con il nostro Paese. Sono emerse, infine, anche delle suggestioni operative. Fra le tante va segnalato il bisogno di valorizzare la figura di Martino Martini: questo gesuita trentino del Seicento fu il primo europeo autore della prima grammatica cinese, della prima storia antica della Cina, della prima cronaca della guerra tartarica, del primo Atlante completo dell’Impero. Un’eredità straordinaria che potrebbe essere un efficace ponte tra il Trentino e la Cina. Un patri- monio affettivo, riconosciuto da entrambe le parti che potrebbe dare il via a impensabili flussi turistici. In fondo ciò che rende compatibili e attraenti reciprocamente l’Italia e la Cina è proprio l’avere dietro le spalle due grandi civiltà (quella latina e quella confuciana), sostenute da due grandi Imperi (romano e cinese dinastico). I cinesi, più degli europei, danno molta importanza alla tradizione culturale, che modella il costume, i valori, il gusto del bello e i saperi. Entrambi i Paesi hanno ricchezze ambientali, artistiche e manifatturiere che consentono di riconoscere le caratteristiche apprezzabili prodotte dalle due civilizzazioni, come il paesaggio, le arti, la gastronomia, (l’estetica, cultura del cibo…). E quale strumento migliore del turismo può essere il collante per rafforzare l’amicizia e la collaborazione tra questi due grandi Paesi? E co n o m ia tr e n tin a 67 OLTRE I CONFINI PROVINCIALI i valori, il gusto del bello e i saperi Informativa abbonati Ai sensi dell’articolo 13 del D.Lgs. 196 del 2003, La informiamo che i Suoi dati personali verranno trattati con modalità informatiche o manuali per provvedere alla spedizione della pubblicazione “Economia trentina”. I Suoi dati non verranno diffusi e potranno essere comunicati solo a terzi, incaricati di svolgere o fornire specifici servizi strettamente funzionali agli scopi di cui sopra. Per l’esercizio dei diritti di cui all’articolo 7 del D.Lgs. 196/2003 (richiesta di accesso, correzione, aggiornamento, cancellazione dei dati) può rivolgersi alla Camera di Commercio di Trento, Titolare del trattamento, scrivendo a Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Trento - via Calepina, 13 - 38122 Trento. 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