Prime pagine - Codice Edizioni

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Prime pagine - Codice Edizioni
Cross-news
L’informazione
dai talk show
ai social media
Lella Mazzoli
Lella Mazzoli
Cross-news
L’informazione dai talk show ai social media
Progetto grafico: Limiteazero + Cristina Chiappini
Redazione e impaginazione: Daiana Galigani
Coordinamento produttivo: Enrico Casadei
Stampa e legatura: Stamperia Artistica Nazionale, Trofarello (TO)
ISBN 978-88-7578-394-5
© 2013 Codice edizioni, Torino
Tutti i diritti sono riservati
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A Bruno, e alla sua
idea di informazione
Capitolo 1
Nuove realtà e strategie di informazione
Con la crescita della rete cambiano news e dinamiche informative, e i media tradizionali non vogliono essere lasciati indietro.
Si parlerà dell’evoluzione del rapporto fra mainstream e non mainstream, e della nascita di una nuova realtà evoluta legata al mondo online, dove anche i media
tradizionali e i suoi attori imparano a muoversi e ad affinare le proprie strategie comunicative. In altri termini
si parlerà di una nuova realtà comunicativa, determinata dal passaggio da una separatezza delle due modalità
informative all’emergere di una nuova dinamica che le
vede completarsi a vicenda.
Passato e futuro, fra media mainstream e nuovi media
Si parla spesso di lotta fra vecchio e nuovo, e di come
gli scenari cambino con la nascita di nuovi paradigmi.
Per chi si occupa di comunicazione, capire se gli strumenti usati per comunicare siano cambiati, e come si
stiano evolvendo, rappresenta un punto nodale. E la necessità di comprendere tali cambiamenti e le differenze
fra i media tradizionali e i nuovi media diventa ancora
Capitolo 1
più urgente se si tiene conto delle modifiche che ha portato con sé l’avvento della rete; modifiche che possiamo
definire tecniche, relazionali e culturali, ma anche di
fruizione dell’informazione, e che sono ormai parte del
nostro modo di relazionarci con il mondo e con gli altri.
Ecco dunque il focus di questo lavoro: una modifica,
che possiamo definire radicale, del modo di informarsi.
Nel corso degli ultimi anni – ma è la contemporaneità che soprattutto mi interessa – l’uso del computer e dei dispositivi mobili ha reso internet sempre più
presente e accessibile nella quotidianità delle persone,
cambiandone le abitudini e portandole a utilizzare le
risorse che si trovano online in modo molto massivo.
Non fanno eccezione la ricerca e il reperimento delle
informazioni, per niente immuni a tale cambiamento.
L’approvvigionamento di news produce infatti modalità di osservazione del mondo sempre più complesse,
attraverso l’utilizzo di strumenti anche molto diversi
fra loro: dall’uso quasi esclusivo della tv – la cosiddetta
finestra sul mondo – e della carta stampata – da anni
sempre più in crisi, non solo in Italia1 – si è passati a
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Tanti i dati a supporto della crisi dell’editoria italiana. In primis i
notevoli cali riscontrati nelle vendite dei maggiori quotidiani nazionali. Il “Corriere della Sera”, su una tiratura media di 609.705
copie, attualmente ne vende 474.395. Numeri simili anche per “La
Repubblica”, che stampa in media 509.141 copie per venderne
396.446. Si potrebbe proseguire ancora con “La Stampa”, o con
“Il Sole24ore” (www.adsnotizie.it). La carta stampata vede sì
diminuire le vendite delle versioni cartacee dei giornali, ma allo
stesso tempo anche aumentare costantemente il numero dei lettori
che preferiscono la versione online dei quotidiani. Tra il 2009 e il
2011 il numero complessivo di utenti sul web è passato da 10,4
a 13,1 milioni, un incremento del 26%, mentre si è registrato un
incremento del 50% riferito al numero degli utenti di siti web di
quotidiani in media al giorno (www.audiweb.it). Le vendite sono
sì in calo ma i lettori si spostano su nuove piattaforme. La crisi
induce a risparmiare sull’acquisto del giornale, ma la gente non
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Nuove realtà e strategie di informazione
un panorama variegato di fonti che si intrecciano e si
fondono per completarsi a vicenda.
L’uso di internet ha portato a un’evoluzione delle modalità di distribuzione dell’informazione e, contestualmente, dei percorsi da compiere per ricevere le
info, e costruire la propria idea del mondo e di ciò che
accade attorno a noi. Dal mainstream si è passati all’informazione online, ai blog e ai social network; in altri
termini, le possibilità di essere informati in modi differenti, da fonti differenti, usando media differenti sono
aumentate e ci portano, o addirittura ci costringono, a
seguire percorsi multipli di ricerca delle informazioni,
producendo inevitabilmente anche forme nuove nel nostro panorama informativo.
Data la vastità dell’argomento vorrei precisare fin
da subito l’ambito di osservazione: ho fatto necessariamente una scelta e, avendo come obiettivo il rapporto o
la relazione possibile fra mainstream e social network,
ho pensato che il punto di osservazione privilegiato del
sistema mainstream fosse la televisione e, in particolare,
le news prodotte e diffuse attraverso questo medium.
Anche se è noto ai più, è utile ricordare come la televisione sia stata il sistema che assieme alla radio e ai fotoromanzi ha reso pop l’informazione, attraverso un percorso a senso unico che presupponeva uno spettatore
passivo2; ha avuto uno scopo divulgativo e, in particolarinuncia a leggerlo (www.fieg.it). Anche a livello internazionale la
crisi della carta stampata è forte. Famosa l’affermazione di Meyer
secondo cui nel 2043 uscirà l’ultimo numero del “New York Times”, poi ripresa qualche anno dopo anche dall’“Economist”, che
ha anticipato la data al 2014.
Per spettatore passivo si intende il modo in cui lo spettatore viene
immaginato all’interno delle logiche di produzione televisiva. Questo non nega, ovviamente, le pratiche di spettatorialità attiva che le
ricerche hanno evidenziato nel corso degli anni. Tra i tanti si veda,
per esempio, Katz et al., 1973 e Moores, 1998.
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Capitolo 1
re all’inizio, un’importante funzione di scolarizzazione3,
pur utilizzando una modalità unidirezionale e non interattiva di informazione. Da questa finestra sul mondo
che non prevedeva contatti con ciò che c’era oltre, si è
passati a uno scenario connotato da una forte interconnessione, dove per interconnessione si intende non solo
quella fra emittente e ricevente, ma anche e soprattutto
quella tra le persone e le informazioni stesse.
È proprio l’avvento del web 2.0 e dei social network, e la loro diffusione sempre più capillare, che fanno collassare i diversi livelli (boyd, 2011) fino a creare
un mondo dove le informazioni non sono più di pochi – non sono più, nel bene e nel male, subite – ma
vengono pubblicate, diffuse e reperite secondo schemi
che prevedono una forte interconnessione, nel senso
precisato sopra: il sistema non è più a senso unico, e
lo spettatore (prima solo fruitore passivo) può ora interagire, rispondere, commentare e anche far arrivare
il proprio pensiero direttamente alla fonte; può, insomma, guardare oltre. Non solo: oggi le persone hanno
la possibilità di postare online, dove tutto è potenzialmente osservabile e pubblico, lo scambio di opinioni
che prima rimaneva confinato al salotto di casa (o alla
cucina), ai caffè (luoghi per eccellenza di discussione
e dibattito, oggi non più letterari come in passato, ma
politici, sportivi e a proposito di celebrità), o alla piazza (ancora luogo significativo nella provincia italiana
ma che, curioso, torna a esserlo anche in grandi città,
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È proprio sulla tv, più che sulle altre forme di divulgazione – che
pure hanno avuto un forte impatto – che concentrerò l’attenzione,
perché dal mio punto di vista è questo strumento che ci permette di
mettere a fuoco anche il passaggio avvenuto negli anni cinquanta
e sessanta, quando la tv è arrivata a tutti. Questo punto di vista
permette di tracciare un percorso attraverso la parola detta, scritta,
vista, per arrivare poi ai cambiamenti introdotti dalla rete.
Nuove realtà e strategie di informazione
dove alcuni inscenano dei nuovi Pasquino per incentivare la discussione su temi grandi o piccoli che siano),
portando all’ennesima potenza il superamento del sense of place (Meyrowitz, 1986).
Al di là del mantenimento delle discussioni in spazi
offline che conservano la tradizione del dibattito – ma
che in alcuni casi scimmiottano o contrastano quelli
online – le tecnologie influenzano sempre più le relazioni
sociali, e contribuiscono a crearne nuove forme. Se tale
modificazione delle nostre relazioni attraverso le tecnologie dell’informazione è stata segnata in primis dall’arrivo della tv, intervenuta nella vita quotidiana delle persone, di certo i nuovi media e la loro diffusione sempre
più capillare saranno in grado di produrre trasformazioni ancor più significative nelle nostre vite sociali.
C’è, quindi, una modifica dello spazio della socializzazione e dello scambio: da quei luoghi fisici intermedi
fra l’ambito familiare e quello professionale – quei luoghi terzi di cui parla Jedlowski riprendendo Oldenburg
– a luoghi altri, connessi in rete, dove «i cittadini hanno
modo di impegnarsi in conversazioni spontanee sugli argomenti più vari» (Jedlowski, 2011, 23). È qui, e non
più solo nei caffè, che sconosciuti possono interagire
e condividere pensieri, contribuendo alla costruzione
dell’opinione pubblica. La socievolezza è dunque oggi
appannaggio anche di nuovi e particolari luoghi terzi,
una sorta di caffè virtuali.
Diventa evidente, così, la contrapposizione tra le logiche del cosiddetto mainstream, dove uno parla e tanti
ascoltano, e quelle del web 2.0, dove possono parlare
in tanti. Di conseguenza, il panorama delle informazioni diventa sì più vario, ma anche più frastagliato: una
moltitudine di dati che ogni giorno dobbiamo ricercare
per formare le nostre opinioni e creare la nostra idea
del mondo.
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La conseguenza di tutto questo, dal punto di vista
dei media, è la relativa frammentazione del modo in
cui l’informazione viene prodotta, ricercata e strutturata, ossia fornita di senso dalle singole persone; spesso,
quindi, il modo sempre più complesso e diversificato in
cui il contenuto viene prodotto porta a ripensare l’intero
processo informativo, nella sua accezione più completa.
Gli strumenti oggi a disposizione per produrre e cercare informazioni sono molti, come ho già detto. Questo
ci ha portati, nel corso degli ultimi anni, ad abituarci
sempre più a fare uso di fonti numerose e diverse: stampa tradizionale e online, blog e social network, i quali
rappresentano l’ultima frontiera della condivisione delle informazioni. Frammentazione delle notizie, pluralità
di fonti e contenuti diversificati portano poi nel tempo,
oltre a una diversa fruizione delle informazioni attraverso l’ibridazione di vari mezzi, a un cambiamento
più ampio nell’atteggiamento di chi si informa. Come
visto, il pubblico stesso cambia il suo ruolo di fronte
all’evoluzione mediale: partecipa attivamente e reagisce
alla pluralità di stimoli con curiosità crescente in più
direzioni rispetto al passato, allo stesso tempo riservando un’attenzione minore verso i singoli temi. Si pensi
per esempio ai sempre più diffusi quotidiani online: essi
elencano nella prima pagina tutte le notizie del giorno,
preferendo proporre foto o un breve titolo rispetto a
qualcosa di più approfondito, proprio per rispondere ai
bisogni di un pubblico nuovo, dotato di tempi di fruizione molto più veloci e di una soglia di concentrazione
minore. Questa nuova modalità di leggere i contenuti,
probabilmente più superficiale, deriva dalle dinamiche
di interazione e condivisione veloce proposte dal web,
ma allo stesso tempo rappresenta il modo tramite cui i
nuovi pubblici riescono a non farsi sopraffare da quelle
stesse dinamiche, e a fronteggiare la pluralità di stimoli.
Dai media tradizionali ai nuovi metodi di consumo
Prima di addentrarci nell’osservazione e analisi del
panorama informativo in Italia, è bene fare una breve
digressione e parlare dei nuovi strumenti a disposizione
del pubblico per procurarsi le notizie. Gli ormai classici
(o vecchi) mass media per eccellenza – radio, tv e giornali – che hanno caratterizzato per decenni le modalità
di recupero delle informazioni, si stanno da alcuni anni
intrecciando con i nuovi media e, in particolare, con internet e con tutte le sue applicazioni sociali e comunicative. Vedremo come tale intreccio, nato da un’iniziale
contrapposizione, sia sempre più stretto, e i confini degli ambiti di azione di ogni medium sempre più labili.
I mezzi di comunicazione di massa, lo sappiamo,
sono espressione di una società che ha fatto del broadcasting e della standardizzazione il suo cavallo di
battaglia. Abituati a ricevere le informazioni dallo
schermo (per far riferimento a quel medium che ho scelto per la mia ricerca, la tv), giusto per fare un esempio,
nel corso dei decenni ci siamo adattati a un modello
di comunicazione a senso unico, dove emittente e ricevente non avevano possibilità di interagire e scambiarsi
stimoli4. È la comunicazione da uno alla massa, ossia a
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Nuove realtà e strategie di informazione
Per comprendere tali cambiamenti di mezzi e pratiche informative degli italiani è stato costituito l’Osservatorio di cui ho già detto, sulle nuove forme di consumo
dell’informazione e sulle trasformazioni dell’ecosistema
mediale in Italia.
Secondo il modello delle 5 W esposto in Lasswell, 1948, questo tipo
di processo è particolarmente asimmetrico, come si diceva, con una
separazione netta e un forte isolamento fra emittente e destinatario.
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un gruppo indistinto, senza tenere conto dei singoli interessi e delle varie sfumature che lo segmentano al suo
interno. In realtà, si capirà presto che il pubblico è sì
passivo nell’interazione, ma anche un’audience attiva,
come ricorda Mauro Wolf quando dice che il pubblico «tenderà a esporsi alle informazioni congeniali alle
proprie attitudini e a evitare i messaggi che sono invece
difformi» (Wolf, 1985). Già a partire dagli anni trenta
e quaranta del secolo scorso, analizzando la comunicazione da un punto di vista empirico-sperimentale, questi studi parlano non più di semplice trasmissione di
informazione tra emittente e ricevente, bensì di relazione con un’audience ben differenziata al suo interno: il
pubblico in questione, insomma, recepisce il messaggio
in modo sempre diverso, in base a esposizioni e percezioni selettive.
È un’idea di comunicazione propagandistica che
giunge al suo termine e lascia spazio all’era della persuasione. Comincia a delinearsi un panorama dove i
pubblici non sono più un tutt’uno indistinto, ma qualcosa di complesso al suo interno. È proprio questa
complessità a esplodere con l’avvento dei nuovi media,
che hanno dato a ognuno la possibilità di indirizzare
in maniera più selettiva la ricerca di informazioni e di
esprimere il proprio parere. Non più la massa, dunque,
ma un insieme incredibilmente variegato di interessi e
di conseguenti modalità di consumo dell’informazione.
Si modificano i ruoli delle parti coinvolte, si aggiungono intermediari e catalizzatori di contatti – gli opinion
leader – e cambia la fisionomia del panorama: ci si avvicina a un modello di rete, con nodi e hub (Barabasi,
2004), oggi sempre più evidente grazie al diffuso utilizzo di internet e dei nuovi media.
Quali sono, dunque, i nuovi strumenti a disposizione delle persone per cercare e diffondere, a loro volta,
Nuove realtà e strategie di informazione
contenuti? Partiamo con il blog. Si è molto scritto su
questo strumento di comunicazione, ma per quanto mi
è qui utile è sufficiente identificarlo come la prima vera
possibilità espressiva dei singoli in rete: il diario personale online, com’era chiamato ai suoi albori, mezzo
indispensabile per esprimere pareri e lasciare traccia dei
propri pensieri sul web, rendendoli potenzialmente visibili. Fin dalla metà degli anni novanta, quando è nato
il web log moderno ed è stato lanciato Open Diary, il
successo è stato enorme: sono stati aperti migliaia di
diari online nel giro di pochi mesi e, nel corso di un
paio d’anni, sono nate diverse piattaforme a disposizione degli utenti.
Con il tempo, la forma e l’uso dei blog hanno subito un’evoluzione, diventando sempre più specializzati e
utilizzati da professionisti e, dal 2005 in poi, da persone
particolarmente rilevanti anche nell’ambito mainstream. Non a caso, nel gennaio 2005 la rivista “Fortune”
esce con una lista degli otto blogger che non andrebbero ignorati. E spesso, soprattutto nel caso dei professionisti, i blog ricordano veri e propri giornali digitali
che raccolgono e diffondono notizie. Questo punto mi
interessa particolarmente, perché comincia a delinearsi
un cambiamento anche nel campo degli opinion leader:
a formare la nostra conoscenza delle cose e del mondo
non sono solo i giornalisti ufficialmente riconosciuti,
ma sempre più spesso persone esperte in determinati
ambiti, seguite da migliaia di utenti.
Parallelamente all’evoluzione dei blog c’è stato l’avvento dei social network sites (SNSs), che hanno contribuito a rendere ancora più interconnesso il pubblico
e ancor più fluidi lo scambio e la condivisione di notizie e contenuti di ogni genere. Fra i più famosi oggi
c’è sicuramente Facebook, non il primo social network
lanciato, ma di certo uno dei più longevi, che in Italia
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viene utilizzato da circa 24 milioni di utenti5. Altro social network di particolare interesse per la mia ricerca è
Twitter, che dopo la sua nascita – tardiva – nel 2006, ha
raggiunto solo in Italia circa 3,3 milioni di utenti attivi6
(meno giovani degli utenti Facebook). Entrambi, assieme a molti altri7, pur con incidenza minore – Tumblr e
Pinterest sono solo due esempi – stanno contribuendo
a modificare, probabilmente in modo permanente (nel
senso che non riesco a prevedere un ritorno al passato)
le pratiche di consumo delle informazioni da parte dei
soggetti e delle comunità.
Questa modifica di pratiche di consumo dell’informazione è data fra l’altro, e soprattutto, dal fatto che
oggi tutto può essere ripreso e rilanciato attraverso il
proprio profilo virtuale, rendendo il percorso delle notizie sempre più complesso e variegato, per il possibile
intreccio di dati da una parte e per le potenzialità di
connessione offerte dalla rete dall’altra.
Cambia radicalmente, così, il concetto di fonte, che
non è più appannaggio esclusivo dei media tradizionali, ma si espande investendo un maggiore numero di
soggetti che, seguendo percorsi differenti, acquistano
autorevolezza agli occhi delle persone. Questo avviene
perché tutto il sistema di diffusione delle notizie passa,
dall’essere un piccolo insieme di organizzazioni gerarchiche, a essere una rete di entità più piccole e differenti;
quest’ultime – rappresentate dal grande numero di potenziali collaboratori del web – sono tanto numerose da
risultare pressoché presenti in ogni angolo del mondo, e
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Fonte: www.facebook.com.
Fonte: www.vincos.it, Osservatorio Social Media in Italia.
Interessante lo studio di Fabio Giglietto Io, i miei amici e il mondo:
uno studio comparativo su Facebook e Badoo in Italia, in Network
effect, 2009.
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Nuove realtà e strategie di informazione
quindi fonte di qualsiasi tipo di notizie, anche di quelle
non trattate dal giornalismo classico. Se le fonti per chi
fa classicamente informazione devono essere verificate
– così quanto meno impone (o imporrebbe) l’etica della professione di giornalista, anche a costo di operare
una ferrea selezione dei contenuti – oggi vengono accreditate fonti meno ufficiali, ma che impongono altre
modalità e si aprono a una gamma di temi più ampia.
È su questo che si fonda il nuovo citizen journalism,
ovvero sull’idea del paradosso della buca in strada, riprendendo Steven Johnson (2012): da sempre, notizie
molto vicine a noi, ma poco importanti per il resto delle
persone, hanno ricevuto la nostra maggiore attenzione
rispetto ad altre, più importanti ma più lontane8. Se fino
a poco tempo fa tali notizie minori (come poteva essere
la copertura di una buca nella nostra via, da cui prende
il nome il paradosso) non potevano trovare spazio nei
grandi mezzi di informazione, oggi grazie alle dinamiche del web e alla possibilità di chiunque di diventare
fonte, ogni cosa può diventare notizia. Talvolta la poca
attenzione per le fonti dal basso – che parlano spesso
soltanto tramite i social network – vengono in questi
casi compensate da un maggiore interesse del pubblico
per le notizie, data la vasta gamma di possibili temi da
trattare. Questa chiosa serve a evidenziare alcuni problemi e critiche indirizzati ai media più innovativi da
parte di coloro che vedono minacciata una professione
assai consolidata, anche nel suo essere una lobby. Scorretto generalizzare – come sempre d’altronde – poiché
in tanti fra i professionisti guardano con attenzione al
nuovo e, come vedremo, lo usano, ibridando conoscenze, informazioni e competenze; soggetti che aggiornano
Tra i selettori tipici dell’informazione dal punto di vista del sistema dei media compare quello della località (Luhmann, 2000).
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Capitolo 1
la propria professione imparando a usare altri strumenti oltre quello da loro privilegiato.
Proprio per poter dare un’offerta più innovativa (da
parte dei professionisti ma anche degli editori) l’informazione utilizza i mezzi mainstream coniugandoli con
quelli più innovativi, non propriamente appartenenti
alla categoria social network. Un medium che, ultimamente, sta raccogliendo buoni consensi e popolarità è la
social tv, nuova modalità di intendere il piccolo schermo
e ipotetica via di mezzo fra un uso tradizionale della televisione – la cui immagine di medium “passivo” è associata al relax e al disimpegno (Pasquali, Scifo, Vittadini,
2010) – e una nuova concezione alla luce delle innovazioni offerte dalla rete. Spendo qualche parola sulla social tv perché, lo si potrà osservare nella seconda parte
di questo lavoro, è particolarmente ben vista e utilizzata
da alcuni programmi televisivi e risulta essere una scelta
strategica di alcuni editori ed emittenti televisive.
La social tv è «l’insieme di azioni e interazioni generate sui social network il cui tema è la programmazione televisiva» (Colletti e Materia, 2012, 7) veicolate da
uno schermo, che può essere quello del televisore (almeno questo è possibile per alcuni tipi di televisori) o di
un computer. Ci immaginiamo uno spettatore connesso
che utilizzerà sempre più il telecomando del proprio televisore al posto del mouse9: si tratta dell’evoluzione del
concetto tradizionale e consolidato di tv, ma anche della
sua fruizione, che rimanda al mondo della rete e che
vive, sempre più, delle interazioni che si vengono a creare online. In sostanza, si utilizzano le peculiarità della
rete, specie dei social network, per creare una conversa9
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Interessanti, a questo proposito, le riflessioni di Guido Scorza
(Presidente Istituto Politiche per l’Innovazione) e Francesco Soro
(Presidente Corecom Lazio e autore della piattaforma Next-tv).
Nuove realtà e strategie di informazione
zione continua sui temi proposti dai programmi televisivi. Questa modalità di fruizione porta inevitabilmente a
una considerazione sul tempo dedicato alla fruizione: il
consumo dei contenuti mediali e new-mediali non è più
limitato a fasce orarie prestabilite e a momenti prefissati
dall’emittente, ma si espande e permette una fruizione
senza specifiche strutturazioni temporali o fisiche. Faccio riferimento al cosiddetto second screen – lo schermo
aggiuntivo rispetto a quello principale della tv.
Cambia la modalità di consumo dell’informazione
non solo perché, come detto sopra, lo spettatore mette insieme più info usando più modi per raggiungerle,
ma anche perché per farlo può usare schermi diversi
dal televisore, come quelli di smartphone, tablet ecc.
Strumenti leggeri, facili da maneggiare, che rendono
l’informazione ubiqua, e che per le loro caratteristiche
tecniche consentono di essere sempre (o quasi) collegati
e capaci di importare dati, commentarli e modificarli in
tempi e spazi non convenzionali. L’informazione così è
ovunque, continuamente stimolata e visibile.
Dunque la social tv può avere una connotazione
mainstream se intesa come strumento gestito da un
emittente (l’editore), ma per altri versi supera il modello mainstream, in quanto travalica la volontà delle
emittenti televisive e vede come protagonisti diretti i singoli spettatori-utenti, che con i loro account sui social
network commentano, rispondono e fanno rimbalzare
i contenuti proposti dalla tv. Queste capacità e potenzialità della social tv potrebbero creare problemi alla tv
generalista dei programmi più tradizionali e paludati.
Come vedremo, ci sono dei tentativi di inserire la social
tv fra le strategie di gestione delle dinamiche online delle
emittenti o dei singoli programmi televisivi, utilizzando
un’impostazione istituzionalizzata rispetto a forme più
spontanee ed estemporanee operate dal mainstream.
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Capitolo 1
Partendo dal presupposto, dunque, che sia le social tv
sia i social network fungano da second screen in quanto
usano gli schermi di tablet e smartphone, se ne possono
intanto valutare analogie e differenze. Già la televisione,
nel suo riprodurre il mondo, ne offre una rappresentazione che non può essere considerata la realtà in sé, ma
una sua forma mediata. Nel momento in cui il prodotto
televisivo già rappresentazione del reale viene ritrattato
tramite altri mezzi, ecco che emergerà un altro schermo,
ulteriore specchio tra il pubblico e il reale10; la percezione della realtà e la formazione dell’opinione pubblica
si modificano ancora attraverso tale secondo schermo.
Con questo intendo che se la funzione di second screen,
nel caso dei social network, è svolta direttamente dal
basso, dagli utenti, e quindi può rimandare all’idea di
sfera pubblica in cui un’opinione si forma a partire dai
singoli individui riuniti in gruppo, nel caso della social tv
la situazione muta: nel momento in cui quest’ultima non
viene più intesa come ulteriore dinamica di partecipazione attiva del pubblico, bensì come strategia del mondo
mainstream, anche il prodotto che ne deriva – e quindi
l’opinione che va a delineare – risulteranno diversi.
L’opinione pubblica al tempo dei social media
Non esiste società senza socievolezza. Questo concetto, di cui parla per la prima volta Simmel nel 1910, è
ciò che caratterizza la forma pura di società, formata da
uomini che, seppur non rinunciando alla propria individualità, si mettono in continua relazione con gli altri
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A tal proposito, in particolare per le forme artistiche, interessante il
pensiero di Turner quando parla di specchio magico per indicare quel
riflettere e allo stesso tempo interpretare la realtà (Turner, 1993).
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Nuove realtà e strategie di informazione
diventando un tutt’uno. Paolo Jedlowski, riprendendo
Simmel, spiega che «la socievolezza appare un momento esemplare in cui individuo e società sublimano, pur
senza eliminarla, la propria contraddittorietà: nell’atteggiamento “socievole” ciascuno rinuncia infatti, almeno
in una certa misura, all’affermazione unilaterale della
propria individualità, accettando di regolare il proprio
comportamento in vista di uno spazio comune dove
l’interazione sia fonte di piacere reciproco» (Jedlowski,
2011, 16). La società per Simmel è dunque essenzialmente interazione, e porta gli individui a scomparire in
quanto tali, e a ritrovarsi in un’identità unica condivisa,
mirando a un piacere che è dato dall’appagare il medesimo impulso alla socialità, comune a ogni membro
“come se tutti fossero uguali”.
La tensione all’unione e alla socievolezza ha la caratteristica di essersi manifestata, nel tempo, in posti
diversi, e di aver acquisito di volta in volta caratteristiche specifiche a seconda del luogo. La società di fine
Ottocento, per esempio, vedeva le corti come luoghi
adibiti all’incontro dei singoli in pubblico; le idee che
si sviluppavano qui, sebbene nascessero da una componente molto ristretta della società (esclusivamente
di alto rango e cultura), erano ritenute valide a livello generale. In seguito questa nascente sfera pubblica
si spostò nei caffè; essi divennero i “luoghi terzi” per
eccellenza in cui sviluppare un’opinione comune. Oggi
si può ritrovare quell’omofilia11, presente fin dagli albori del delinearsi di una sfera pubblica, in un nuovo
tipo di corte che è mediatica – per l’uso dei media che
vengono utilizzati – e che presenta caratteristiche simili
al passato. Nella nuova corte rimane in particolare l’iDi questo argomento parlerò più avanti. Comunque mi riferisco
alla definizione di omofilia data da Merton (1973).
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Capitolo 1
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dea di incontrarsi intorno a un leader che, se un tempo
era una personalità di spicco che filtrava e selezionava
discussioni per gli ospiti del proprio salotto, oggi può
essere per esempio un blogger famoso attorno al quale
si forma un contesto in analogia a quello di un tempo.
Con il progredire della società la sfera pubblica ha
dovuto ridefinire più volte i propri confini e poteri, e
questo, come ho già detto, in rapporto all’evolversi delle
tecnologie; la stampa per esempio contribuì di molto
a creare un’opinione pubblica condivisa con caratteristiche che ora, con l’esplodere del web e delle sue aumentate possibilità di interazione, sono nuovamente in
trasformazione. Ma voglio procedere per gradi.
Il concetto di socievolezza di Simmel può essere inteso come precursore del successivo concetto di sfera
pubblica, sebbene con le dovute distinzioni; per socievolezza si intende un’interazione fine a se stessa che non
si pone come obiettivo la relazione. Riprendendo l’analisi dell’atto comunicativo – il riferimento a Jakobson
(2002) è d’obbligo – la socievolezza per Simmel mira
ad adempiere esclusivamente alla funzione fàtica della
comunicazione, ovvero a costruire un mero contatto
fra gli interlocutori. Come sottolinea ancora Jedlowski,
nel caso della socievolezza si tratta di conversazioni,
ma di conversazioni solo di un certo tipo; diverse sono
le conversazioni che animano invece quella che conosciamo come sfera pubblica (Jedlowski, 2011), che non
esauriscono la loro motivazione nella costruzione della
relazione, ma sono maggiormente orientate al contenuto, alla razionalità discorsiva e all’argomentazione,
quindi anche all’informazione in senso lato. Su questa
differenza basa la sua critica Sherry Turkle, che sottolinea come nella sfera pubblica la pratica contemporanea di creare identità nuove, collettive e condivise,
porti a una quasi paradossale perdita di legame tra le
Nuove realtà e strategie di informazione
persone. Per altri invece le nuove conversazioni sono
un arricchimento, e definiscono nuove potenzialità, per
i soggetti, di entrare in relazione.
Il concetto di sfera pubblica è stato trattato, come è
ben noto, da Habermas in Storia e critica dell’opinione
pubblica (1962). Il punto forte della sua analisi sta nel
riferirsi a discorsi e pratiche pubblicamente accessibili,
intendendo però per pubblico uno spazio di interazione
tra cittadini privati, che diventa sfera pubblica nel momento in cui, in quello spazio, la conversazione assume
caratteristiche tipiche della condivisione. Gli spazi cui si
riferisce Habermas sono quelli che hanno a che fare con
l’interesse generale, concetto anche questo che varia di
volta in volta nel tempo, legandosi progressivamente a
luoghi diversi. In genere, dunque, ciò che si intende per
sfera pubblica evolve di pari passo con i luoghi a essa
adibiti, e si lega inevitabilmente a concezioni sempre diverse di opinione pubblica e dei suoi poteri.
Come già accennato, dopo una prima forma di sfera
pubblica sita nelle corti del Seicento e Settecento, i luoghi per eccellenza in cui questa prende piede a partire
da fine Ottocento sono i caffè letterari. In quei luoghi si
sviluppavano credenze e ideologie non verificate dall’alto ma condivise dai più, che quindi – seppur partendo
da semplici privati privi di poteri politici – acquisivano
forza proprio per il fatto di essere riconosciute in pubblico, e andavano a creare un nuovo potere soggettivo
basato più sulla ragione che sul sapere.
Siamo in un momento storico (l’Ottocento) in cui
possiamo parlare di sfera pubblica conclamata: è a
questo punto che si apre sempre più spesso il dibattito su chi ne potesse essere ritenuto parte, e su quanto
autonomo potesse essere considerato il potere che da
essa derivava. Una svolta avviene a inizio Novecento,
quando la progressiva statalizzazione della società di
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inizio secolo crea una sfera sociale nuova in cui non si
fa distinzione in modo preciso tra pubblico e privato; di
conseguenza abbiamo anche un’inversione di tendenza
per quanto riguarda la sfera del lavoro e quella della
casa, un tempo ritenute entrambe private, e che ora invece vedono scomparire quasi del tutto il carattere intimo dalla prima, che rimane caratteristica esclusiva della
seconda. La casa si conferma comunque l’unico luogo
privato di fronte a una ridefinizione totale dei confini
in cui la famiglia stessa, per educazione, deve ricorrere
al collettivo; così come anche il consumo di cultura diventa azione condivisa fra molti, sia perché avviene in
un tempo libero decretato in modo pubblico, sia perché
iniziano a diffondersi prodotti omologati e fruibili in
massa. La sfera pubblica nata, come si è detto, su base
privata qui si sposta dunque nella collettività, e rovescia
inevitabilmente il modo di rapportarsi tra persone e di
discutere determinati temi (in questa nuova fase le discussioni che erano tipiche dei caffè aumentano il loro
carattere “pubblico” e quindi, per esempio, si spostano
sui mass media diventando bene di consumo).
Questo momento, in cui la vita privata diventa sempre più condivisa e i prodotti di massa vengono sentiti e
fruiti quasi come fossero intimi, segna la fine della sfera
pubblica borghese (formata da privati riuniti in pubblico, e dotati di poteri decisionali) e la nascita di una sfera
pubblica che, in una società in cui non si distingue più
tra privato e collettivo, è formata da quei pochi enti che
si innalzano sopra alla massa e la governano, e che non
hanno più come fine l’agire secondo morale, bensì la
manipolazione dell’altro riunito in pubblico.
Importante è notare come l’evolvere della società e
della formazione dell’opinione pubblica al suo interno
si muovano di pari passo con l’evolvere dei media. Questa co-evoluzione porta, a poco a poco – tanto nella for-
Nuove realtà e strategie di informazione
mazione di un’opinione pubblica quanto nelle gerarchie
di potere nei media – alla nascita di alcuni individui più
forti, i quali riescono a far prevalere i propri interessi.
Nell’analisi critica della società di massa Habermas evidenzia proprio come il potere dei nuovi soggetti privati
emersi dalla sfera pubblica sia incrementato anche dal
fatto di proporre i propri interessi non come soggettivi, ma come se appartenessero alla collettività tutta. La
produzione di massa omologa i prodotti, ma anche i
contenuti e i pensieri; con l’esplodere per esempio della
pubblicità, i mass media non propongono più semplici
oggetti ma modalità di consumo e stili di vita. Tutto
agisce in modo massiccio sulla mente dei consumatori, non come semplice propaganda commerciale bensì
come vero e proprio orientamento di opinione.
Questo da una parte conferma il fatto che il pubblico non sia semplice consumatore da convincere e spingere a fare acquisti più o meno imposti o consigliati, ma
una sfera pubblica con funzioni e pensieri propri da modellare; dall’altra, però, ci mostra la gravità del processo
per cui, sebbene non si stia parlando di pubblico passivo
ma di sfera pubblica attiva con una propria opinione,
quest’ultima riesca comunque a essere plasmata. I consumatori appartenenti alla nuova sfera pubblica, allora,
fruiscono dei nuovi prodotti proposti dalla società in
modo volontario, convinti di essere ancora i portatori
di un’opinione pubblica autonoma, ma invece assecondano la generale omologazione a un’opinione pubblica
guidata dall’alto. La nuova sfera pubblica perde allora,
seppur senza accorgersene, tutto il suo potere politico,
per il semplice fatto che esso nasceva dall’unione di tutte le diverse visioni dei singoli, unione che gli garantiva
una rappresentatività generale. Ciò che ne resta è un
insieme di privati riuniti in pubblico, omologati completamente all’opinione di altri, a cui però si fa credere
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di possedere ancora un qualche potere, chiamandoli per
esempio a dare la propria approvazione fittizia su argomenti già decisi.
Il sistema sociale secondo Habermas (1962) mostra
dinamiche interne rintracciabili nel sistema attuale,
e che ancora fondano la propria forza sul fatto di rimanere nascoste ai più. Habermas parla della società
dei mezzi generalisti per eccellenza, televisione e radio,
sottolineando come tutto si rifaccia alle logiche a essi
connesse: tutto viene proposto dall’alto al pubblico, che
rimane fruitore passivo di contenuti; il potere politico
che la sfera pubblica aveva conquistato in passato diventa plebiscito di fronte a cose già decise. I meccanismi
dei media si intrecciano sempre più con quelli della società, ed entrambi vanno a discapito del libero dibattito. Partiti, ceti e Stato diventano i veri possessori di
un’opinione pubblica che però segue criteri tutt’altro
che pubblici, e che perciò non può essere riconosciuta
positiva quanto lo era in passato. Questo per quanto
riguarda l’analisi di un contesto sociale che forse non
ci appartiene più o che, come sempre accade, ha subito
un cambiamento, cambiamento che, per quel che qui mi
interessa, è inteso come trasformazione e sviluppo dei
media della comunicazione e dell’informazione.
Voglio dire che l’avvento dei nuovi media, con le
loro caratteristiche hard e soft, rovescia le dinamiche
classiche di fruizione, creando, come già visto, un nuovo
tipo di pubblico, diventato soggetto attivo della comunicazione e che ha acquistato potere dal basso; la tecnologia attuale offre indubbiamente una democraticità
impensabile fino a poco tempo fa, ponendo (o almeno
così sembrerebbe) il pubblico in primo piano. Mezzi
mainstream e nuovi media si intersecano continuamente; non esiste prodotto generalista che non abbia un
suo corrispettivo online su blog o social network. Tutto
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Nuove realtà e strategie di informazione
fa pensare a una nuova era per quell’opinione pubblica che, come faceva un tempo, può tornare a formarsi
autonomamente dal singolo dibattito (anche se questo
non avviene più nei caffè, bensì online).
Tuttavia nella perdita di confine tra pubblico e privato lo Stato novecentesco di Habermas acquistava potere
grazie al fatto di entrare nella mente del pubblico e di
riuscire a guidarne le opinioni senza che la manipolazione risultasse manifesta. Oggi, in fondo, potrebbe essere
riconosciuto lo stesso meccanismo in quel mainstream,
che inizia a far proprie le pratiche di partecipazione e che
è efficace per il fatto che i nostri interessi, sotto i quali
nascondere i loro, non richiedono nemmeno di essere
intuiti, dal momento che vengono direttamente palesati
dal basso, rispondendo per esempio a ogni sondaggio o
contest. Ecco allora che dietro alla continua richiesta di
opinioni del pubblico si cela, forse, un metodo ancora
più efficace per controllare l’opinione pubblica dall’alto.
È coinvolgendo il basso che il mainstream riesce infatti
a coglierne i gusti e le tendenze in modo da proporsi poi
come risposta a ogni bisogno. Dà vita, così, non più a
un’opinione pubblica attiva, ma a semplici seguaci, sottoposti ancor di più a dinamiche dall’alto, però convinti di scegliere personalmente, proprio per il fatto che la
loro opinione viene richiesta di continuo. Anche oggi,
dunque, la perdita di autonomia della sfera pubblica,
sebbene incrementata dall’utilizzo delle nuove tecnologie, può ricondursi come in passato a un aumento di potere dall’alto (e ai conseguenti intenti manipolatori) reso
possibile, ancora una volta, dallo spezzarsi dei confini
classici tra ciò che è pubblico e ciò che è privato, frattura
che crea un nuovo frame socio-comunicativo12.
Il concetto di frame, teorizzato per la prima volta da Goffman
(1974) e ripreso da Lakoff (2006), rappresenta una cornice
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