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NAPOLI
MARTEDì
4 ottobre 2016
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M
10
Inchiesta su mazzette per ottenere condoni, fughe di notizie e prevaricazioni
La procura trascina in aula anche un funzionario del Comune dell’isola azzurra
La cricca delle tangenti a Capri
«A processo 2 divise infedeli»
MANUELA GALLETTA
GLI ARRESTI
NEGATI
Nell’ambito
dell’inchiesta
sul malcostume sull’isola
di Capri, la
procura aveva
chiesto l’arresto per l’ex
comandante
della stazione
dei carabinieri Michele
Sansonne e
per l’ex capo
ufficio tecnico
settore edilizia
privata del Comune di Capri.
Il giudice per
le indagini
preliminari
però respinse
la richiesta e
dispose solo
misure interdittive. Di qui
il ricorso della
procura al
Tribunale del
Riesame: ma
anche i giudici
della Libertà
risposero picche ai magistrati.
Una storia di malcostume
nel mondo delle istituzioni.
Che abbraccia in un colpo
solo il Comune di Capri e
pezzi dell’A rma dei carabinieri e della Guardia di
Finanza. Una storia di tangenti, di prevaricazioni e di
infedeltà alla divisa. L’hanno
scritta un anno fa i pubblici
ministeri Henry John Woodcock e Giuseppina Loreto,
scatenando un vero
e proprio terremoto
sull’isola azzurra.
Le accuse contestate
a vario titolo sono
pesanti come macigni: associazione
per delinquere, numerose ipotesi di
concussione, corruzione, rivelazione
di segreto d uficio,
favoreggiamento e
accesso abusivo a
sistema informatico.
E adesso, a distanza di dodici mesi
dall’esplosione della
bufera giudiziaria,
l’inchiesta approderà in Tribunale.
I magistrati inquirenti hanno chiesto
il rinvio a giudizio di
sei persone iscritte
nel registro degli
indagati e tra poche settimane si va
in aula: spetterà al
giudice dell’udienza
preliminare Nicola
Quatrano decidere
se accogliere la richiesta dei pubblici
ministeri.
Due i capitoli al centro della
vicenda. Il primo: la procura
sostiene che alcuni proprietari di abitazioni sarebbero stati costretti a pagare
tangenti ad un funzionario
comunale per ottenere il
rilascio di pratiche edilizie
o per evitare multe e altre
sanzioni per presunte violazioni urbanistiche. Per
questa storia sono imputati
Mario Cacciapuoti, funzionario dell’ufficio tecnico
settore edilizia privata del
comune di Capri, incaricato
di istruire le pratiche edilizie
e di eseguire i sopralluoghi
su richiesta dell’autorità
giudiziaria; Ciro Di Capua,
accusato di fare da intermediario tra le vittime e Cacciapuoti; Gennaro Della Rocca,
tecnico progettista imposto
alle vittime per ottenere una
rapida e favorevole deinizione delle pratiche. Ai tre è
contestato anche il reato di
associazione per delinquere.
Di favoreggiamento risponde invece Pasquale Franco,
che all’epoca dei fatti contestati era vicecomandante
della Guardia di Finanza in
servizio presso la Tenenza
di Capri: il inanziere avrebbe cercato di sapere se una
delle vittime di concussione
aveva sporto denuncia contro Cacciapuoti e di Capua.
Non solo: a Franco si contestano anche quattro accessi
abusivi al sistema informatico delle forze dell’ordine per
veriicare eventuali procedimenti penali nei confronti di
diverse persone, tra cui se
stesso e Mario Cacciapuoti.
Il secondo capitolo, invece,
riguarda il luogotenente dei
carabinieri Michele Sansonne, all’epoca comandante
della stazione di Capri, e
Francesco Giuliano Verardi,
imprenditore operante nel
settore della navigazione.
I due sono accusati di corruzione, mentre Sansonne
risponde da solo di accesso
abusivo al sistema informatico. La storia ruota attorno
alla società Capri Cruise,
che Verardi aveva messo in
piedi per organizzare gite
in barca e mini crociere attorno all’isola di Ischia. La
società fu temporaneamente
bloccata da un’ordinanza
sindacale. Sansonne – dice
la procura – diede così vita
ad un’attività investigativa
per danneggiare le società
concorrenti di Verardi. In
cambio della sua opera,
Sansonne avrebbe ottenuto
diversi favori, tra i quali un
posto di lavoro per la iglia
in un albergo di Londra, un
corso di formazione, un aumento di stipendio, un posto
di lavoro per un’amica della
iglia.
IL GIALLO
Nel 1975 furono ammazzate tre persone
Massacro di via Caravaggio
Distrutti i reperti della strage
Tutti i reperti della strage di
via Caravaggio - un triplice
omicidio scoperto in un appartamento nel quartiere
di Posillipo nel 1975 per il
quale negli anni scorsi fu
processato e assolto con
formula piena Domenico
Zarrelli - su cui la magistratura aveva autorizzato
nuovi accertamenti scientiici, sono stati distrutti. È
quanto denuncia il legale di
una familiare di una delle
vittime, l’avvocato Gennaro
De Falco, che ha scoperto la
circostanza nei giorni scorsi quando si è rivolto agli
addetti dell Uficio corpi di
reato di Napoli dove si era
recato per acquisire uno
stroinaccio insanguinato e
alcuni mozziconi di sigarette. La polizia scientiica aveva individuato su di essi nel
2011 tracce di dna: alcune
ritenute dagli investigatori
compatibili con i proili genetici dell’imputato assolto
con sentenza definitiva e
altri tre proili di persone
ignote. Agli addetti, De
Falco aveva esibito le autorizzazioni irmate da due
giudici, in entrambi i casi
con il parere favorevole della procura. Il penalista ha
presentato un esposto alla
procura della Repubblica di
Napoli chiedendo che venga
svolto «ogni accertamento
sulle modalità e, soprattutto
sui tempi della distruzione dei reperti, rivelatasi
di eccezionale rilevanza
probatoria, che rischia di
pregiudicare notevolmente
l’approfondimento delle
indagini».
INDAGINE
Fuga di notizie,
il Gip gela il Pm:
nessuna misura
per il generale
La divisa non dovrà appenderla al chiodo. Il generale della Finanza Giuseppe
Mango ha scansato la misura interdittiva sollecitata
dalla procura per via di
una brutta storia di fuga
di notizie che ha rischiato
di far saltare l’inchiesta sui
rapporti tra un imprenditore
ritenuto vicino ai Polverino
e alcuni noti commercialisti
di Marano. Ieri mattina il
giudice per le indagini preliminari Claudio Marcopido
del Tribunale di Napoli ha
infatti respinto la richiesta
di applicazione della misura
ma solo perché si è ritenuto
che non ci fossero le esigenze cautelari. Sugli ‘spifferi’ attribuiti al generale,
il giudice conferma infatti
l’esistenza «dei gravi indizi
di colpevolezza» deinendo
«illuminanti le intercettazioni che configurano la
rivelazione di segreto» ad un
avvocato, il quale a sua volta
riferì la notizia dell’apertura
dell’indagine ad uno dei
commercialisti initi nel mirino della procura. In linea
con quanto sostenuto dalla
procura, il giudice precisa
che il generale commise
due fughe di notizie, avendo
sempre come interlocutore
lo stesso avvocato, di cui
era amico. Nella prima occasione Mango agì «per negligenza»: si lasciò andare
ad una conidenza inopportuna nel corso di una cena.
La seconda volta, invece, il
generale agì «per salvare
se stesso»: quando venne a
sapere che l’avvocato aveva
riportato la conidenza ad
un commercialista e che le
intercettazioni ambientali
avevano catturato la voce del
legale, il generale contattò il
penalista redarguendolo e
spiegandogli che nello studio del commercialista ‘interessato’ c’erano delle cimici.
Tuttavia, pur essendoci una
gravità indiziaria reale, per
il giudice «spetta all’amministrazione di competenza
neutralizzare eventuali rischi professionali e valutare
l’attitudine del medesimo a
ricoprire un incarico cui non
può che essere destinato un
soggetto estraneo a vicissitudini che possano mettere
in imbarazzo l’amministrazione». Il pubblico ministero
antimaia Fabrizio Vanorio,
titolare del fascicolo d’inchiesta, ha già presentato
ricorso al Riesame.
Maga