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NAPOLI MARTEDì 4 ottobre 2016 #Cronaca @metropolis napoli whatsApp 331 732 45 31 M 10 Inchiesta su mazzette per ottenere condoni, fughe di notizie e prevaricazioni La procura trascina in aula anche un funzionario del Comune dell’isola azzurra La cricca delle tangenti a Capri «A processo 2 divise infedeli» MANUELA GALLETTA GLI ARRESTI NEGATI Nell’ambito dell’inchiesta sul malcostume sull’isola di Capri, la procura aveva chiesto l’arresto per l’ex comandante della stazione dei carabinieri Michele Sansonne e per l’ex capo ufficio tecnico settore edilizia privata del Comune di Capri. Il giudice per le indagini preliminari però respinse la richiesta e dispose solo misure interdittive. Di qui il ricorso della procura al Tribunale del Riesame: ma anche i giudici della Libertà risposero picche ai magistrati. Una storia di malcostume nel mondo delle istituzioni. Che abbraccia in un colpo solo il Comune di Capri e pezzi dell’A rma dei carabinieri e della Guardia di Finanza. Una storia di tangenti, di prevaricazioni e di infedeltà alla divisa. L’hanno scritta un anno fa i pubblici ministeri Henry John Woodcock e Giuseppina Loreto, scatenando un vero e proprio terremoto sull’isola azzurra. Le accuse contestate a vario titolo sono pesanti come macigni: associazione per delinquere, numerose ipotesi di concussione, corruzione, rivelazione di segreto d uficio, favoreggiamento e accesso abusivo a sistema informatico. E adesso, a distanza di dodici mesi dall’esplosione della bufera giudiziaria, l’inchiesta approderà in Tribunale. I magistrati inquirenti hanno chiesto il rinvio a giudizio di sei persone iscritte nel registro degli indagati e tra poche settimane si va in aula: spetterà al giudice dell’udienza preliminare Nicola Quatrano decidere se accogliere la richiesta dei pubblici ministeri. Due i capitoli al centro della vicenda. Il primo: la procura sostiene che alcuni proprietari di abitazioni sarebbero stati costretti a pagare tangenti ad un funzionario comunale per ottenere il rilascio di pratiche edilizie o per evitare multe e altre sanzioni per presunte violazioni urbanistiche. Per questa storia sono imputati Mario Cacciapuoti, funzionario dell’ufficio tecnico settore edilizia privata del comune di Capri, incaricato di istruire le pratiche edilizie e di eseguire i sopralluoghi su richiesta dell’autorità giudiziaria; Ciro Di Capua, accusato di fare da intermediario tra le vittime e Cacciapuoti; Gennaro Della Rocca, tecnico progettista imposto alle vittime per ottenere una rapida e favorevole deinizione delle pratiche. Ai tre è contestato anche il reato di associazione per delinquere. Di favoreggiamento risponde invece Pasquale Franco, che all’epoca dei fatti contestati era vicecomandante della Guardia di Finanza in servizio presso la Tenenza di Capri: il inanziere avrebbe cercato di sapere se una delle vittime di concussione aveva sporto denuncia contro Cacciapuoti e di Capua. Non solo: a Franco si contestano anche quattro accessi abusivi al sistema informatico delle forze dell’ordine per veriicare eventuali procedimenti penali nei confronti di diverse persone, tra cui se stesso e Mario Cacciapuoti. Il secondo capitolo, invece, riguarda il luogotenente dei carabinieri Michele Sansonne, all’epoca comandante della stazione di Capri, e Francesco Giuliano Verardi, imprenditore operante nel settore della navigazione. I due sono accusati di corruzione, mentre Sansonne risponde da solo di accesso abusivo al sistema informatico. La storia ruota attorno alla società Capri Cruise, che Verardi aveva messo in piedi per organizzare gite in barca e mini crociere attorno all’isola di Ischia. La società fu temporaneamente bloccata da un’ordinanza sindacale. Sansonne – dice la procura – diede così vita ad un’attività investigativa per danneggiare le società concorrenti di Verardi. In cambio della sua opera, Sansonne avrebbe ottenuto diversi favori, tra i quali un posto di lavoro per la iglia in un albergo di Londra, un corso di formazione, un aumento di stipendio, un posto di lavoro per un’amica della iglia. IL GIALLO Nel 1975 furono ammazzate tre persone Massacro di via Caravaggio Distrutti i reperti della strage Tutti i reperti della strage di via Caravaggio - un triplice omicidio scoperto in un appartamento nel quartiere di Posillipo nel 1975 per il quale negli anni scorsi fu processato e assolto con formula piena Domenico Zarrelli - su cui la magistratura aveva autorizzato nuovi accertamenti scientiici, sono stati distrutti. È quanto denuncia il legale di una familiare di una delle vittime, l’avvocato Gennaro De Falco, che ha scoperto la circostanza nei giorni scorsi quando si è rivolto agli addetti dell Uficio corpi di reato di Napoli dove si era recato per acquisire uno stroinaccio insanguinato e alcuni mozziconi di sigarette. La polizia scientiica aveva individuato su di essi nel 2011 tracce di dna: alcune ritenute dagli investigatori compatibili con i proili genetici dell’imputato assolto con sentenza definitiva e altri tre proili di persone ignote. Agli addetti, De Falco aveva esibito le autorizzazioni irmate da due giudici, in entrambi i casi con il parere favorevole della procura. Il penalista ha presentato un esposto alla procura della Repubblica di Napoli chiedendo che venga svolto «ogni accertamento sulle modalità e, soprattutto sui tempi della distruzione dei reperti, rivelatasi di eccezionale rilevanza probatoria, che rischia di pregiudicare notevolmente l’approfondimento delle indagini». INDAGINE Fuga di notizie, il Gip gela il Pm: nessuna misura per il generale La divisa non dovrà appenderla al chiodo. Il generale della Finanza Giuseppe Mango ha scansato la misura interdittiva sollecitata dalla procura per via di una brutta storia di fuga di notizie che ha rischiato di far saltare l’inchiesta sui rapporti tra un imprenditore ritenuto vicino ai Polverino e alcuni noti commercialisti di Marano. Ieri mattina il giudice per le indagini preliminari Claudio Marcopido del Tribunale di Napoli ha infatti respinto la richiesta di applicazione della misura ma solo perché si è ritenuto che non ci fossero le esigenze cautelari. Sugli ‘spifferi’ attribuiti al generale, il giudice conferma infatti l’esistenza «dei gravi indizi di colpevolezza» deinendo «illuminanti le intercettazioni che configurano la rivelazione di segreto» ad un avvocato, il quale a sua volta riferì la notizia dell’apertura dell’indagine ad uno dei commercialisti initi nel mirino della procura. In linea con quanto sostenuto dalla procura, il giudice precisa che il generale commise due fughe di notizie, avendo sempre come interlocutore lo stesso avvocato, di cui era amico. Nella prima occasione Mango agì «per negligenza»: si lasciò andare ad una conidenza inopportuna nel corso di una cena. La seconda volta, invece, il generale agì «per salvare se stesso»: quando venne a sapere che l’avvocato aveva riportato la conidenza ad un commercialista e che le intercettazioni ambientali avevano catturato la voce del legale, il generale contattò il penalista redarguendolo e spiegandogli che nello studio del commercialista ‘interessato’ c’erano delle cimici. Tuttavia, pur essendoci una gravità indiziaria reale, per il giudice «spetta all’amministrazione di competenza neutralizzare eventuali rischi professionali e valutare l’attitudine del medesimo a ricoprire un incarico cui non può che essere destinato un soggetto estraneo a vicissitudini che possano mettere in imbarazzo l’amministrazione». Il pubblico ministero antimaia Fabrizio Vanorio, titolare del fascicolo d’inchiesta, ha già presentato ricorso al Riesame. Maga