Misure di sezioni d`urto di diffusione elastica ed emissione γ di
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Misure di sezioni d`urto di diffusione elastica ed emissione γ di
Università degli Studi di Firenze Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Tesi di Laurea in Fisica Misure di sezioni d’urto di diffusione elastica ed emissione γ di protoni su nuclei leggeri a energie comprese tra 3 e 7 MeV Laureando: Relatore: Antonio Caciolli Dott. Massimo Chiari Anno Accademico 2004/2005 2 Indice Introduzione 5 1 Richiami fisici fondamentali 11 1.1 La sezione d’urto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 1.2 La formula di Rutherford . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 1.3 Il fattore cinematico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 1.4 La perdita di energia nella materia e lo straggling energetico . . . 17 1.5 Tecniche di analisi con fasci di ioni . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 1.5.1 PESA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20 1.5.2 PIGE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22 2 Misure di sezioni d’urto differenziali 25 2.1 L’acceleratore Tandetron di Madrid . . . . . . . . . . . . . . . . . 25 2.2 L’apparato sperimentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 2.2.1 I rivelatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 2.3 Parametri di misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 2.4 Analisi del bersaglio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 2.5 Analisi delle misure relative a scattering elastico e inelastico di protoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 2.5.1 38 Analisi degli spettri del rivelatore di particelle . . . . . . . 3 4 INDICE 2.5.2 2.6 2.7 Errori di misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42 I risultati delle misure di sezioni d’urto elastiche e inelastiche . . . 43 2.6.1 43 Confronto con i dati disponibili in letteratura . . . . . . . Analisi delle misure relative a emissione di radiazione γ . . . . . 50 2.7.1 Analisi degli spettri del rivelatore γ . . . . . . . . . . . . 54 2.7.2 Errori di misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59 2.8 Calcolo dell’efficienza del rivelatore al Germanio . . . . . . . . . . 60 2.9 I risultati delle misure di sezioni d’urto di emissione γ . . . . . . . 66 2.9.1 70 Confronto con i dati disponibili in letteratura . . . . . . . 3 Allestimento di un canale per misure IBA all’acceleratore di Firenze 75 3.1 L’acceleratore Tandetron di Firenze . . . . . . . . . . . . . . . . 75 3.2 Il canale a +30◦ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78 3.2.1 I quadrupoli magnetici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80 3.3 Il trasporto del fascio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81 3.4 La camera di scattering . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83 3.5 Calibrazione in energia dell’acceleratore Tandetron di Firenze 86 . . 4 Applicazioni per scopi analitici 97 4.1 Membrane in Teflon . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97 4.2 Calcolo di rese di emissione di radiazione γ . . . . . . . . . . . . . 98 4.3 Simulazioni di spettri di protoni retrodiffusi . . . . . . . . . . . . 104 5 Prospettive future 109 Bibliografia 111 Ringraziamenti 117 Introduzione Tecniche nucleari, basate su fasci di ioni accelerati hanno portato un notevole contributo allo studio dei materiali in senso lato, producendo dati e conoscenze in campi come l’archeometria, la geologia e le scienze ambientali non raggiungibili tramite l’uso di altre teniche. Le tecniche di analisi con fasci di ioni (Ion Beam Analysis, IBA) sono diventate quindi uno strumento di routine in molti laboratori di ricerca analitica e nell’industria. Le tecniche IBA sfruttano i prodotti delle interazioni del fascio con gli atomi e i nuclei del bersaglio per determinare le concentrazioni elementali (o isotopiche) del campione-bersaglio. Ad esempio, nella tecnica di analisi del backscattering elastico, dallo spettro energetico delle particelle del fascio diffuse elasticamente all’indietro dai nuclei del bersaglio si traggono informazioni, oltre che sulla composizione elementale del campione, anche sul profilo di concentrazione degli elementi. L’applicazione del backscattering di ioni per scopi analitici è iniziata nei primi anni sessanta con l’utilizzo di protoni come proiettili [1]. Successivamente, i protoni sono stati sostituiti con particelle α, principalmente per la loro maggiore risoluzione in massa e in profondità, e per avere un sezione d’urto di diffusione elastica consistente con la teoria di Rutherford. Negli anni più recenti la necessità di analisi di materiali più specializzate ha aumentato la richiesta di lavori sul backscattering elastico di protoni. Infatti, rispetto alle particelle α i protoni possiedono un’alta sezione d’urto di scattering 5 6 Introduzione non-Rutherford su elementi leggeri e un basso stopping power nei materiali. Questo comporta una maggiore sensibilità di rivelazione per gli elementi leggeri e una maggiore accessibilità agli strati più profondi dei campioni analizzati. L’utilizzo di fasci di protoni può essere conveniente per aumentare lo spessore “sondato” o per eseguire in simultanea tecniche di backscattering elastico e altre tecniche IBA (ad esempio, PIGE o PIXE). Gli studi mediante le tecniche IBA sono fortemente dipendenti dalla conoscenza degli stopping power e delle sezioni d’urto delle reazioni interessate. Gli stopping power sono stati largamente studiati e nel corso degli ultimi anni è stata prodotta una quantità di dati considerevole. Le sezioni d’urto sono ben note fintanto che l’interazione è determinabile in modo analitico. Ad esempio, nel caso della diffusione elastica quando le interazioni sono descrivibili come puramente coulombiane è possibile utilizzare per il calcolo della sezione d’urto la formula di Rutherford. Nel caso di scattering elastico di protoni su nuclei leggeri, anche a energie di fascio relativamente basse, la minore intensità della repulsione coulombiana fra proiettile e bersaglio fa sì che entrino in gioco interazioni nucleari e la sezione d’urto di scattering elastico devia dal valore previsto dalla formula di Rutherford anche in maniera consistente. In questi casi, così come in presenza di interazioni nucleari che portano all’emissione di radiazione γ, non esistono formule analitiche che riproducano le sezioni d’urto sperimentali con la precisione necessaria per le analisi IBA. I dati disponibili in letteratura sulle sezioni d’urto di processi di scattering elastico e inelastico e di produzione di raggi γ ad energie di fascio maggiori di 3 MeV si riferisono in larga parte a misure effettuate precedentemente agli anni ’60, in connessione con studi sulla struttura dei livelli nucleari. I dati sono estremamente lacunosi, limitati solo a piccoli intervalli di energia. Tra l’altro gli intervalli di energia e gli angoli a cui questo dati si riferiscono sono il più 7 delle volte incompatibili con quelli normalmente usati nelle analisi IBA. Da qui la necessità di misurare le sezioni d’urto di interesse, in particolare per fasci di protoni, alle energie e agli angoli opportuni per analisi IBA. A questo scopo è stato varato un progetto di ricerca coordinato dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Development of a Reference Database for Ion Beam Analysis) per effettuare un controllo critico dei dati già presenti in letteratura e misurare le sezioni d’urto mancanti. In quest’ottica, presso il laboratorio del vecchio acceleratore Van de Graaff KN3000 della sezione INFN di Firenze sono state effettuate negli anni passati misure di sezione d’urto di diffusione elastica di protoni su nuclei di boro, carbonio e alluminio ad energie inferiori a 3 MeV. Con l’installazione del nuovo accelaratore, un Tandem da 3 MV, presso il laboratorio LABEC della Sezione INFN di Firenze nei locali del Polo Scientifico di Sesto Fiorentino, è stato deciso di proseguire queste ricerche a energie di fascio maggiori (con il nuovo Tandem, ad esempio, si possono accelerare protoni fino a 6 MeV). Nell’attesa che il nuovo acceleratore di Firenze fosse operativo, nell’ambito di una collaborazione estera, è stato effettuato un esperimento di misura di sezione d’urto presso l’acceleratore Tandetron da 5 MV del Centro de Micro-Análisis de Materiales (CMAM) di Madrid, dove sono state misurate le sezioni d’urto differenziali di diffusione elastica di protoni su 7 Li, 12 Ce 19 F, di diffusione inelastica di protoni su 19 F (19 F(p,p1 )19 F e 19 F(p,p2 )19 F) e di emissione γ indotta da protoni su fluoro e litio (19 F(p,pγ)19 F (Eγ = 0.110, 0.197, 1.24, 1.35, 1.36 MeV), 19 F(p,αγ)16 O (Eγ = 6.13, 6.92, 7.12 MeV), 7 Li(p,nγ)7 Be (Eγ = 429 keV) e 7 Li(p,pγ)7 Li (Eγ = 478 keV)) per un’energia dei protoni compresa tra 3 e 7 MeV. L’angolo nel laboratorio a cui sono state effettuate le misure è stato 150◦ per la rivelazione delle particelle cariche e di 135◦ per la rivelazione della radiazione γ. Gli angoli sono stati scelti poiché risultano i più usati nelle 8 Introduzione applicazioni delle tecniche IBA per scopi analitici. Nel Capitolo 2 descriveremo in dettaglio le misure effettuate con l’acceleratore di Madrid e i risultati ottenuti. Un’altra parte importante di questo lavoro, descritta nel Capitolo 3, è stata la progettazione e la realizzazione di un nuovo canale all’acceleratore di Firenze per misure con fasci di particelle cariche in vuoto. Sul canale è stata installata un camera di scattering che permette di effettuare sia misure di sezione d’urto, come quelle svolte presso l’acceleratore di Madrid, che analisi con fasci ionici con le tecniche PESA e PIGE in vuoto. Tali tecniche sono molto importanti, poiché costituiscono una metodologia complementare rispetto a quelle effettuate con il fascio estratto in atmosfera (ad esempio la PIXE). La corretta conoscenza dell’energia delle particelle accelerate è un elemento fondamentale sia per misure di sezione d’urto che per applicazioni di tecniche IBA. Poiché il Tandem di Firenze non era mai stato tarato in energia, abbiamo deciso di sfruttare il nuovo canale per effettuare le misure di calibrazione dell’acceleratore fino a 5 MeV di energia dei protoni, sfruttando risonanze di energia nota nelle reazioni (p,γ) e (p,p’γ) su nuclei di 27 Al, e reazioni di diffusione elastica su nuclei di 12 C, 16 Oe 27 Al. La curva di calibrazione ottenuta ha una precisione del per mille. La scelta delle sezioni d’urto misurate in questa tesi è stata in parte motivata dall’interesse che queste rivestono nello studio del particolato atmosferico con tecniche IBA. In particolare i supporti comunemente usati per la raccolta del particolato atmosferico sono i filtri in Teflon, composti esclusivamente da carbonio e fluoro. La disponibilità dei nuovi dati di sezione d’urto permette di applicare specifici programmi di simulazione alle analisi IBA. Nel Capitolo 4 discuteremo due di queste simulazioni in relazione alle misure effettuate sul particolato atmosferico. La prima ha interessato il calcolo della resa γ prodotta dal bombardamento di un filtro di Teflon con un fascio di protoni, utilizzando 9 un codice scritto da noi, mentre nel secondo caso abbiamo ricostruito lo spettro di protoni da 4 MeV retrodiffusi elasticamente da un filtro di Teflon. 10 Capitolo 1 Richiami fisici fondamentali In questo capitolo richiameremo alcuni concetti fisici fondamentali, come la sezione d’urto e daremo una breve descrizione delle tecniche di analisi con fasci di ioni (Ion Beam Analysis, IBA). 1.1 La sezione d’urto Quando un fascio di particelle incide su di un bersaglio, il numero d’interazioni che avvengono nell’unità di tempo è proporzionale al flusso di particelle incidenti sulla superficie del bersaglio ed al numero di nuclei che le particelle trovano sul loro cammino. La costante di proporzionalità è nota come sezione d’urto (σ); essa ha le dimensioni di un’area e può essere considerata come l’area totale dei nuclei bersaglio quando il fascio di particelle investe l’area unitaria: n = IσNAt (1.1) dove n è il numero di interazioni che avvengono nell’unità di tempo, I è il numero 11 12 Richiami fisici fondamentali di particelle per unita di tempo e di superficie, N il numero di nuclei per unità di volume, A la superficie del bersaglio colpita dal fascio e t il suo spessore. La sezione d’urto in generale è una misura della probabilità che una interazione possa avvenire o meno. Infatti, se andiamo a porre un rivelatore, di cui supponiamo un efficienza pari ad 1, ad una certa direzione indicata dagli angoli θ e φ, il numero di particelle, prodotte da una data reazione, che incideranno sulla superficie del rivelatore sarà dato da: dn(θ, φ) = dσ (E, θ, φ)INAtdΩ(θ, φ) dΩ (1.2) dove con dΩ(θ, φ) si indica l’angolo solido sotto il quale il “punto” di interazione dσ (E, θ, φ) indica la probabilità che avvenga la vede il rivelatore. Il termine d Ω reazione studiata e che la particella prodotta sia emessa entro l’angolo solido dΩ(θ, φ). Questa quantità viene detta sezione d’urto differenziale. Abbiamo indicato la dipendenza della sezione d’urto differenziale dall’energia delle particelle incidenti e dalla direzione di emissione dei prodotti della reazione, ma la sezione d’urto dipende anche da altri parametri, tra i quali gli accoppiamenti di spin tra proiettile e bersaglio e il momento angolare del sistema, ma, poiché non interessano per le misure effettuate, in questo lavoro trascureremo queste dipendenze. Se ammettiamo poi una simmetria anche intorno alla direzione del fascio potremo trascurare anche la dipendenza dall’angolo φ. Integrando su tutto l’angolo solido il valore della sezione d’urto differenziale si ottiene la sezione d’urto totale: σ(E) = Z Ω dσ (E, θ)dΩ(θ) dΩ (1.3) La sezione d’urto 13 Diversamente da σ, la sezione d’urto differenziale non è invariante in ogni sistema di riferimento per la sua dipendenza dal termine di angolo solido; questo fa sì che in esperimenti in cui si misuri la sezione d’urto differenziale oppure quando si utilizza il suo valore, preso dalla letteratura, si debba sempre tener presente quale è il sistema di riferimento rispetto al quale è riferita la misura e la geometria della stessa. Ad esempio, se prendiamo una particella di massa m ed energia E, che urti elasticamente una particella ferma nel laboratorio di massa M, si possono trovare le relazioni che regolano il passaggio tra il sistema di riferimento del laboratorio e del centro di massa. Per chiarezza indicheremo con il pedice CM le quantità riferite al sistema di riferimento del centro di massa. In caso contrario ogni quantità sarà riferita al sistema di riferimento del laboratorio. Poiché nel nostro esperimento vengono usati protoni come proiettili e un bersaglio composto da oro, fluoro, carbonio e litio, analizzeremo il caso in cui m < M e tratteremo il caso di regimi non relativistici (EM AX = 7 MeV per i protoni). La relazione che lega le sezioni d’urto differenziali nei due sistemi di riferimento è data da: dσ dΩ ! (E, θ) = LAB dσ dΩ ! (E, θCM ) CM Questa relazione dipende dal rapporto m ; M m 2 m 1 + (M ) + 2M cos θCM 1+ m M cos θCM 3 2 (1.4) quando questo valore tende a zero - ad esempio per protoni su nuclei pesanti, come l’oro - il sistema di riferimento del laboratorio “coincide” con quello del centro di massa e le sezioni d’urto sono le stesse nei due sistemi. Per nuclei più leggeri, come quelli di cui abbiamo misurato 14 Richiami fisici fondamentali le sezioni d’urto, non si può più trascurare questo termine e infatti si ottiene: m M 7 Li 1.2 ≈ 0.14, m M 12 C ≈ 0.08 e m M 19 F ≈ 0.05. La formula di Rutherford Per ottenere la forma esplicita delle sezioni d’urto di un processo è necessario conoscere il tipo di potenziale di interazione della reazione. Nel caso in cui questo potenziale sia coulombiano, la sezione d’urto differenziale di scattering elastico è espressa mediante la formula di Rutherford che nel sistema del centro di massa vale: dσ(θCM ) dΩ ! = Ruth Z1 Z2 e2 4ECM !2 1 sin4 ( θCM ) 2 (1.5) dove Z indica il numero atomico, e la carica dell’elettrone e i pedici “1” e “2” rispettivamente il proiettile e il bersaglio. La formula di Rutherford vale per un’interazione a due corpi mediata da un campo puramente coulombiano, dovuto alla carica elettrica dei due corpi. Nel caso di collisioni di particelle cariche a bassa energia su nuclei atomici, questa condizione non è sempre verificata per la presenza dell’effetto di schermatura degli elettroni orbitali che impediscono al proiettile di vedere la carica “nuda” del nucleo bersaglio. Per via di questo effetto il proiettile penetra nella regione non più schermata con un’energia maggiore di quanto avrebbe nel caso in cui vedesse l’atomo bersaglio come un nucleo “nudo”. La sezione d’urto di scattering elastico, σ, è inferiore a quella puramente Rutherford, σR , e l’entità di questo effetto di schermatura è ben riprodotta dall’espressione [2]: La formula di Rutherford σ fsc = = σR 1+ 1+ V1 ECM + h 1 V1 2 ECM 2ECM 2 V1 sin(θCM /2) 15 (1.6) i2 2 2 2 1 dove l’energia del proiettile è espressa in keV e V1 = 0.04873Z1Z2 (Z13 + Z23 ) 2 è anch’esso espresso in keV. La formula trovata vale nel sistema del centro di massa. A titolo di esempio riportiamo in figura 1.1 l’andamento del fattore fsc nel caso di un fascio di protoni. Figura 1.1: Andamento dell’effetto di schermatura per protoni su nuclei di oro (figura di sinistra), di litio, carbonio e fluoro (figura di destra). Si evidenzia come il contributo del fattore fsc sia non trascurabile solo per l’oro alle energie di nostro interesse. Aumentando l’energia del proiettile diminuisce la distanza di avvicinamento tra le due particelle che partecipano alla reazione. In questo caso la particella incidente risente del campo delle forze nucleari (forze a corto raggio) e il calcolo della sezione d’urto deve tenere conto degli effetti di altri possibili canali di interazione oltre che di eventuali interferenze tra questi canali. Possiamo supporre che la sezione d’urto sia definita come modulo quadro di un’ampiezza di scattering, che descriva gli effetti dell’interazione come “rimozione” delle particelle originarie dal fascio (per esempio per effetto della diffusione elastica) e “inserimento” in un qualche canale di reazione. Se le particelle incidenti hanno energia 16 Richiami fisici fondamentali abbastanza alta da penetrare la barriera coulombiana e risentire del potenziale nucleare, l’ampiezza di scattering ha due componenti, Rutherford e nucleare [3]: σ(θCM ) = |f (θCM )|2 = |fR + fnucl |2 (1.7) La figura 1.2 mostra come per i protoni la presenza di un’interazione diversa da quella coulombiana si faccia sentire già a basse energie, su nuclei con Z<20. Figura 1.2: Energia dei protoni (nel centro di massa) per cui la sezione d’urto di scattering elastico devia del 4% dall’andamento Rutherford, in funzione del numero atomico del bersaglio. La linea è un fit lineare ai dati [4]. Alcuni modelli di interazione nucleare, come il modello ottico con potenziali di tipo Wood-Saxon o Yukawa, cercano di calcolare la sezione d’urto di queste reazioni, ma i valori trovati non riescono a riprodurre in modo quantitativo i risultati ottenuti sperimentalmente [5]. Proprio per questo è necessario procedere con una misura sperimentale delle sezioni d’urto che regolano questi processi. Il fattore cinematico 1.3 17 Il fattore cinematico Quando una particella di massa m, in moto con velocità costante, urta elasticamente con un nucleo di massa M a riposo, la particella viene diffusa ad un angolo θ nel laboratorio. L’ipotesi che il trasferimento di energia tra le due particelle sia descrivibile come un urto elastico tra due corpi isolati si basa sulla condizione che l’energia E del proiettile sia molto maggiore dell’energia di legame degli atomi nel bersaglio e che siano assenti reazioni nucleari nell’interazione proiettile-bersaglio. In base alle leggi di conservazione dell’energia e dell’impulso, l’energia E ′ della particella dopo l’urto è proporzionale a quella iniziale: (1.8) E ′ = KE con K, noto come fattore cinematico, funzione dell’angolo di scattering e del rapporto M m delle masse delle due particelle: K= 1.4 "r M m 2 − sin2 θ + cos θ M m +1 2 # (1.9) La perdita di energia nella materia e lo straggling energetico Una particella carica che attraversa uno spessore di materia perde una parte della sua energia in seguito all’interazione con gli elettroni e con i nuclei presenti all’interno del materiale. Poiché le dimensioni del nucleo sono molto più piccole di quelle degli orbitali atomici possiamo pensare che l’interazione avvenga con un gas di elettroni liberi nel materiale. Nell’ipotesi che il proiettile sia totalmente 18 Richiami fisici fondamentali ionizzato1 (ipotesi verificata nel caso di ogni nostra misura), la perdità di energia per unità di percorso è espressa mediante la formula di Bethe-Bloch: dE Z 2 Z2 N 2me c2 β 2 − = 4πre2 me c2 1 2 ln − β2 dx β I(1 − β 2 ) " ! # (1.10) dove re rappresenta il raggio classico dell’elettrone, me c2 la massa dell’elettrone, Z1 e Z2 i numeri atomici rispettivamente del proiettile e del bersaglio, N la densità atomica del materiale, I il potenziale medio di eccitazione-ionizzazione degli atomi del materiale e β 2 = (v/c)2 , con v velocità della particella incidente. Il termine ddEx viene denominato stopping power e può essere indicato anche con S(E). La formula di Bethe-Bloch esprime la perdita media di energia, ∆E, subita da una particella nell’attraversare un dato spessore omogeneo, ∆x, di materia. Se consideriamo un fascio di particelle monoenergetico di energia iniziale E0 , a causa della natura stocastica del processo di perdita di energia, all’uscita dello spessore il fascio trasmesso presenta una distribuzione in energia centrata sul valor medio E0 − ∆E e la cui larghezza è una misura dello straggling, cioè delle fluttuazioni di perdita di energia. Una stima della varianza della distribuzione - assunta come gaussiana - basata sulle stesse ipotesi della derivazione della formula (1.10), è data dalla formula di Bohr, il cui risultato è indipendente dall’energia della particella incidente: 2 σBohr = 4πZ2 (Z1 e2 )2 Nt 1 (1.11) Quando la velocità delle particelle incidenti diventa confrontabile o inferiore alla velocità orbitale degli elettroni degli atomi del bersaglio (v0 = Ze2 /h̄, ∼ Z ·2.2·10−8 cm/sec), la perdita di energia nella materia e le sue fluttuazioni non sono più descrivibili tramite le formule di Bethe-Bloch e di Bohr, discusse in questo capitolo. Tecniche di analisi con fasci di ioni 19 2 dove σBohr indica la varianza e t lo spessore del materiale attraversato. 1.5 Tecniche di analisi con fasci di ioni Le tecniche di analisi con fasci di ioni (IBA) sono tecniche efficienti, non distruttive e non invasive per lo studio quantitativo della composizione di materiali di interesse in diversi settori (beni culturali, ambiente, geologia, biologia, scienza dei materiali, ...). I campioni da analizzare sono utilizzati come bersagli per un fascio di ioni accelerati (principalmente protoni e particelle α) prodotti da acceleratori di particelle di bassa energia e la loro composizione viene misurata analizzando in energia i prodotti dell’interazione (raggi X, raggi γ, particelle cariche). Esistono varie tecniche IBA, come illustrato in figura 1.3. Alcune si basano sulla rivelazione della radiazione elettromagnetica emessa (tecniche PIXE e PIGE), mentre altre delle particelle cariche diffuse elasticamente o prodotte a seguito di reazioni nucleari sia ad angoli indietro che in avanti (tecniche PESA e NRA). Più specificatamente le sezioni d’urto da noi misurate possono essere utilizzate per tecniche di tipo PESA (Particle Elastic Scattering Analysis)2 e PIGE (Proton Induced γ-ray Emission) e quindi analizzaremo con brevità queste due metodologie di analisi. 2 Abbiamo deciso di utilizzare il termine PESA per indicare questo tipo di analisi al posto di altri, più comunemente reperibili in letteratura, come RBS (Rutherford Backscattering Spettroscopy) o NBS (Non-Rutherford Backscattering Spettroscopy), poiché fa riferimento ad una classe più generale di metodologie, comprendente ad esempio anche tecniche in cui si rivelano particelle diffuse elasticamente in avanti. 20 Richiami fisici fondamentali Y(a,aX)Y PIXE raggio X Y(a,b)Z NRA raggio g Y(a,a)Y PESA Y(a,bg)Z PIGE Figura 1.3: Rappresentazione schematica dei tipi di interazione utilizzati nelle varie tecniche di Ion Beam Analysis. 1.5.1 PESA L’obiettivo dell’analisi PESA è quello di dedurre, a partire dall’energia delle particelle del fascio retrodiffuse elasticamente, informazioni quantitative circa la composizione elementale del campione studiato (con possibilità di discriminazione isotopica), determinando la concentrazione degli elementi presenti e la loro distribuzione in profondità. Con riferimento alla figura 1.4, prendiamo una particella di massa m ed energia E0 che urta elasticamente con la particella di massa M che compone il campione da analizzare. La relazione che lega l’energia E1 delle particelle del fascio, che fuoriescono dal campione dopo aver subito una deflessione all’angolo θ = 180◦ − (θ1 + θ2 ), la profondità x a cui è avvenuto l’urto e l’energia iniziale delle particelle è data da: dE ∆E = KE0 − E1 = K dx " ! in 1 dE + cos θ1 dx ! out # 1 x cos θ2 (1.12) Tecniche di analisi con fasci di ioni 21 dove K è il fattore cinematico, ddEx e ddEx sono rispettivamente gli stopping in out power valutati lungo la traiettoria incidente (determinata da θ1 ) e quella di uscita (determinata da θ2 ). Figura 1.4: Rappresentazione schematica di eventi di backscattering in un campione monoelementale. L’altezza (conteggi per canale) dello spettro energetico delle particelle retrodiffuse è connessa alla concentrazione dei centri di diffusione del bersaglio. Per semplicità ci riferiremo a un campione monoelementale; per informazioni più complete sull’analisi di un campione multielementale con la tecnica PESA si rimanda ai lavori [6] e [7]. Come illustrato nella figura 1.5, Hi = dσ Nτi (Ei )∆Ωnp dΩ cos θ1 (1.13) dσ (E ) è la sezione dove Hi sono i conteggi nell’i-esimo canale dello spettro, d i Ω d’urto differenziale corrispondente all’energia Ei , ∆Ω è l’angolo solido sotteso dal rivelatore, np il numero di particelle incidenti sul bersaglio, N il numero di atomi dell’elemento considerato per unità di volume e τi lo spessore corrispondente all’energia ǫ (τi = ǫ/S(Ei )). 22 Richiami fisici fondamentali Figura 1.5: Rappresentazione schematica degli eventi di backscattering a una profondità xi in un campione monoelementale (a) e spettro energetico risultante (b)[6] In presenza di spettri di backscattering relativi a bersagli multielementali, l’analisi è più complessa e, come vedremo meglio in seguito, viene effettuata mediante opportuni programmi di simulazione che calcolano lo spettro energetico delle particelle diffuse all’indietro utilizzando parametri sperimentali e composizione del bersaglio forniti dall’utente (vedi, ad esempio, quanto riportato nel Capitolo 4). 1.5.2 PIGE Diversamente dalla PESA, le tecniche denominate PIGE si basano sull’emissione di radiazione γ in seguito a reazioni nucleari tipo (p,γ), (p,p’γ) e (p,αγ). Il proiettile, nel nostro caso protoni, interagisce con il bersaglio, eccitandolo o producendo un nucleo diverso ad uno stato eccitato e la radiazione viene misurata durante la diseccitazione. Poiché ogni γ corrisponde ad un determinato isotopo, è possibile distinguere la quantità di ciascuno di essi all’interno del campione. In particolare, il numero di raggi γ emessi, nγ , misurati con un rivelatore di efficienza intrinseca ǫ, sottendente un angolo solido ∆Ω è pari a: Tecniche di analisi con fasci di ioni nγ = np N∆Ωǫ Z ∆E σ(E) dE S(E) 23 (1.14) dove np indica il numero di protoni incidenti sul bersaglio, N la densità atomica del bersaglio, σ(E) la sezione d’urto della reazione, S(E) lo stopping power e ∆E la perdita di energia all’interno del bersaglio [8]. La relazione (1.14) dipende fortemente dall’energia del fascio, dato che generalmente le sezioni d’urto per questi processi variano sensibilmente con l’energia e tendono ad aumentare al diminuire dello Z del bersaglio (a causa della minore repulsione coulumbiana col proiettile che consente un “avvicinamento” maggiore e rende più probabili le interazioni nucleari). Per questo sono necessarie misure molto accurate della sezione d’urto di emissione γ per analisi quantitative con la tecnica PIGE. Nel caso in cui la sezione d’urto sia costante nell’intervallo di energie del fascio all’interno del bersaglio, la relazione (1.14) può essere riscritta più semplicemente come: nγ = np σ∆ΩNt (1.15) dove t indica lo spessore del bersaglio. Se questa condizione risulta valida si può semplificare ulteriormente l’analisi effettuando misure per confronto con campioni di riferimento contenenti quantità note degli elementi da analizzare. In questo modo si ottiene: nγ = nγs Nt (Nt)s (1.16) 24 Richiami fisici fondamentali dove con il pedice s abbiamo indicato i valori relativi al campione standard certificato. Capitolo 2 Misure di sezioni d’urto differenziali In questo capitolo presenteremo in dettaglio le misure di sezioni d’urto differenziali effettuate presso il laboratorio CMAM di Madrid. Dopo una descrizione dell’apparato sperimentale utilizzato, tratteremo la procedura di analisi dei dati per la determinazione dei valori assoluti delle sezioni d’urto differenziali misurate. Le sezioni d’urto si riferiscono sia a processi elastici e inelastici, che a processi di emissione γ. Dato che, seppure simili, i due tipi di analisi presentano tuttavia delle differenze metodologiche, per maggiore chiarezza li presenteremo separatamente. Mostreremo poi i risultati ottenuti, soffermandoci su alcune valutazioni e sui confronti con i dati già presenti in letteratura. 2.1 L’acceleratore Tandetron di Madrid Le misure di sezione d’urto di questo lavoro di tesi sono state effettuate presso l’acceleratore situato nel laboratorio del Centro de Micro-Análisis de Materiales (CMAM) di Madrid, dedicato a misure IBA nel campo della scienza dei materiali, dell’archeometria e dell’ambiente. L’acceleratore è un Tandem di tipo Cocroft-Walton prodotto dalla High Vol- 25 26 Misure di sezioni d’urto differenziali tage Engineering Europe (HVEE) capace di raggiungere una tensione di terminale di 5 MV. In figura 2.1 riportiamo lo schema dell’acceleratore. Per maggiori informazioni sull’acceleratore e sulle sue caratteristiche tecniche si può fare riferimento a [9]. Magnete bassa energia Tripletto quadrupoli Tank acceleratore Magnete switching Sorgenti ioni Alimentatore RF Figura 2.1: Schema dell’acceleratore Tandetron da 5 MV del laboratorio CMAM di Madrid, a partire dalle sorgenti fino al magnete di switching. Dal lato di bassa energia, il sistema è provvisto di due sorgenti di ioni negativi, una Duoplasmatron e una sorgente a sputtering di ioni di Cs, che permetteno di inettare nell’acceleratore tutti gli elementi della tavola periodica, principalmente protoni e particelle α. Nella configurazione “tandem” le particelle sono accelerate due volte. Per esempio, per ottenere un fascio di protoni la sorgente produce ioni H− ; essi sono accelerati dal potenziale di terra al terminale di alta tensione positiva (per eliminare il problema delle scariche elettriche tra il terminale di alta tensione e massa, l’interno della tank dell’acceleratore è riempito con un gas di SF6 mantenuto alla pressione di 8 bar). Al terminale, le particelle del fascio subiscono un processo di stripping per mezzo di un flusso continuo di azoto in forma gassosa che rimuove elettroni dalle particelle (nel caso degli ioni H− , tutti gli elettroni) e gli ioni cambiano polarità; gli ioni H+ sono quindi accelerati nuovamente verso il potenziale di terra. L’apparato sperimentale 27 Dal lato di alta energia, all’uscita dell’acceleratore, è posto un tripletto di quadrupoli elettrostatici che ha la funzione di focalizzare il fascio prima che questo venga deviato mediante il magnete di switching sui vari canali. L’energia delle particelle accelerate è nota con una precisione del %, ottenuta dalla calibrazione in energia dell’acceleratore mediante risonanze nelle reazioni di scattering elastico di particelle α su 12 C, su 27 2.2 14 N, 16 O e 28 Si, e nella reazione (p,γ) Al. L’apparato sperimentale La camera di scattering che abbiamo utilizzato per le misure è posta sul canale a -30◦, a 3.5 m dal magnete di switching. Sul canale si trovano due fenditure in tantalio rettangolari, regolabili in ampiezza, posti a 0.7 m e a 2.7 m prima della camera per definire le dimensioni del fascio. Subito dopo sono posti una Faraday cup ed un Beam Profile Monitor (BPM) per caratterizzare in intensità e forma il fascio che entra nella camera. La camera di scattering, realizzata anch’essa dalla HVEE è un cilindro di acciaio di 40 cm di diametro interno e 50 cm di altezza, equipaggiato con flange di diverse dimensioni che permettono di alloggiare più rivelatori e altre strumentazioni in varie posizioni. Il centro della camera è occupato da un goniometro a tre assi [10] gestito da un controllo remoto, che permette rotazioni di 360◦ intorno agli assi X e Y, ed una rotazione di ±30◦ sull’asse Z, con precisioni di 0.1◦ . Il goniometro, come mostrato in figura 2.2, è montato su un supporto capace di traslare lungo l’asse verticale per una distanza di 22 mm, con una precisione di 0.1 mm. Sul goniometro si inserisce il porta-bersaglio costituito dal supporto stesso dove sono montati i bersagli e da una Faraday cup in grafite isolata da massa, 28 Misure di sezioni d’urto differenziali Figura 2.2: A sinistra, schema del goniometro presente nella camera di scattering. A destra, dettaglio del porta-bersaglio, inserito sul goniometro, con due campioni montati. per raccogliere le particelle del fascio che attraversano il bersaglio. Per ridurre gli effetti sulla misura della corrente del fascio dovuti alla perdita degli elettroni secondari, la Faraday cup è polarizzata ad una tensione di +180 V1 . Il movimento verticale del goniometro, combinato con la rotazione intorno all’asse X, permette di posizionare qualunque punto del bersaglio sul fascio per la misura. Il vuoto all’interno della camera è ottenuto mediante una pompa turbomolecolare con uno stadio di pompaggio preliminare di tipo rotativo; la pressione a regime è inferiore a 2 · 10−6 mbar. 2.2.1 I rivelatori All’interno della camera di scattering, nel piano orizzontale del fascio, sono montati due rivelatori al silicio a impiantazione ionica per particelle cariche, con una superficie attiva di 50 mm2 , uno spessore di 500 µm e una risoluzione energetica di circa 12 keV (FWHM). Un rivelatore è in posizione fissa, a un angolo di 171◦ 1 Come vedremo in seguito, la misura della corrente di fascio integrata non è stata necessaria per la determinazione della sezione d’urto, ma è stata comunque utilizzata per regolare il tempo di ogni misura per ottenere una buona statistica di conteggi. L’apparato sperimentale 29 rispetto alla direzione del fascio. Il secondo rivelatore, invece, è montato su una struttura che può ruotare attorno all’asse verticale della camera e può essere posizionato a qualsiasi angolo nell’intervallo da 0◦ a 170◦, rispetto alla direzione del fascio, con una precisione di 0.5◦ (figura 2.3). Inoltre, sulla stessa struttura è montato un carosello che permette di inserire collimatori di forme diverse davanti al rivelatore mobile (vedi oltre). Figura 2.3: A sinistra, foto dell’interno della camera di scattering: in primo piano, a sinistra, si vede la struttura rotante che supporta il rivelatore di particelle mobile e il carosello porta-collimatori; a destra, si vede il goniometro. A destra, foto dell’esterno della camera di scattering, con visibile sulla destra il rivelatore per radiazione γ. Sullo sfondo, a destra, si nota la tank dell’acceleratore. Per queste misure abbiamo potuto sfruttare soltanto il rivelatore mobile perché lo spettro relativo al rivelatore fisso a 171◦ è dominato dal fondo prodotto dai protoni retrodiffusi dalla Faraday cup (i bersagli utilizzati sono, infatti, sottili) che impedisce la corretta valutazione dei picchi di interesse. Il rivelatore mobile è stato quindi posizionato ad un angolo di 150◦ rispetto alla direzione del fascio2 . Il rivelatore è stato collimato mediante una diaframma 2 La scelta dell’angolo è motivata da due considerazioni. Innanzi tutto, come vedremo nel Capitolo 4, la camera di scattering per misure IBA allestita presso l’acceleratore del laboratorio 30 Misure di sezioni d’urto differenziali rettangolare di 2.10 ± 0.01 mm di larghezza per 8.2 mm di altezza, posto a 82.8 ± 0.5 mm dal bersaglio; l’angolo solido risultante è 2.51 ± 0.04 msr. Il rivelatore per i raggi γ è un Germanio iperpuro (HPGe) di spessore 61.5 mm, superficie attiva 29 cm2 , efficienza relativa 38.1% e risoluzione energetica 2 keV (FWHM) per γ da 1.33 MeV. Il rivelatore è posto ad un angolo di 135◦ rispetto alla direzione del fascio3 e si affaccia direttamente al vuoto della camera di scattering attraverso una delle flange presenti nella camera (figura 2.3). In questo modo è possibile avvicinare il più possibile il rivelatore al bersaglio, massimizzando l’angolo solido sotteso, ed evitare l’assorbimento dei raggi γ di più bassa energia da parte delle pareti della camera (per i γ da 110 keV pochi mm di acciaio attenuano più del 50%). La distanza del rivelatore dal bersaglio risulta quindi essere 20.75 ± 0.15 cm, mentre l’angolo solido sotteso è 63.7 ± 1.0 msr. In figura 2.4 mostriamo schematicamente la disposizione dei rivelatori nella camera di scattering. Il sistema di acquisizione è costituito da due catene convenzionali di formazione, amplificazione e conversione analogico-digitale del segnale. Il segnale dal rivelatore è inviato a un preamplificatore di carica (montato su una flangia all’esterno della camera per quel che riguarda il rivelatore di particelle); i segnali di LABEC di Firenze ha un rivelatore posto a 150◦ rispetto alla direzione del fascio e ciò permette di applicare direttamente i risultati di queste misure a scopi analitici senza dover modificare l’apparato sperimentale già esistente. Inoltre, dai lavori presenti in letteratura, risulta che 150◦ sia l’angolo di scattering nel laboratorio a cui si riferisce il maggior numero di misure di sezione d’urto e quindi il più logico da scegliere per effettuare confronti e per estendere il database di sezioni d’urto per applicazioni IBA. 3 Nell’ipotesi che il bersaglio sia composto da materiale isotropo e non polarizzato, l’emissione dei raggi γ avviene in maniera isotropa nel centro di massa e la posizione del rivelatore non è critica come per il rivelatore di particelle; per questo motivo è possibile sfruttare le misure effettuate a questo angolo per determinare quelle ad altri angoli, sfruttando la relazione (1.4). L’apparato sperimentale riv. raggi g (qlab = 135°) 31 bersaglio fascio di protoni riv. particelle (qlab = 150°) Figura 2.4: Rappresentazione schematica dell’apparato sperimentale. tensione prodoti dal preamplificatore sono inviati ad un amplificatore-formatore semigaussiano con costante di tempo di formazione posta a 0.5 µsec per il rivelatore di particelle e 2 µsec per il rivelatore γ. Questa scelta ha permesso di ottenere una buona risoluzione energetica evitando al tempo stesso problemi di pile-up e tempi morti eccessivi. I segnali in uscita dagli amplificatori sono classificati in ampiezza da un convertitore analogico-digitale (ADC) e trasmessi, tramite un’interfaccia, ad un PC che gestisce l’acquisizione degli spettri relativi ai segnali provenienti dai due rivelatori. Per rivelare al meglio l’ampio intervallo delle energie dei raggi γ emessi il segnale formato e amplificato del rivelatore γ è stato inviato a due ADC con un diverso valore di guadagno di conversione. Il primo (1.25 mV/canale) è stato scelto per ottenere uno spettro che coprisse energie da 0 a 2 MeV, mentre nel secondo caso (5 mV/canale) l’intervallo di energie dei raggi γ rivelati andava da 0 a 9 MeV. In questo modo siamo riusciti ad ottenere due spettri γ che ci permettessero di analizzare in maniera più efficiente i picchi di energia minore di 32 Misure di sezioni d’urto differenziali 1500 keV e la regione con energia compresa tra 6 e 7 MeV. 2.3 Parametri di misura I bersagli che abbiamo utilizzato per queste misure sono film sottili multistrato, realizzati dal Laboratorio Target dei Laboratori Nazionali di Legnaro dell’INFN. Sopra un foglio sottile di carbonio (spessore nominale 30 µgcm−2 ) è stato evaporato uno strato di fluoruro di litio, LiF (spessore nominale 50 µgcm−2 ) e successivamente un strato di oro (spessore nominale 20 µgcm−2 ). L’oro, oltre a proteggere lo strato di fluoruro di litio dall’ossidazione, è usato per normalizzare le sezioni d’urto al valore della sezione d’urto Rutheford, come vedremo in dettaglio più avanti. Gli elementi presenti nel bersaglio sono di composizione isotopica naturale: per il litio gli isotopi stabili sono 6 Li (7.53%) e 7 Li (92.47%), per il carbonio stabile, 19 12 C (98.89%) e 13 C (1.11%), mentre il fluoro ha un solo isotopo F. I bersagli sono stati montati sul porta-bersaglio e posizionati, grazie al goniometro (vedi figura 2.2), con la superficie perpendicolare alla direzione di incidenza del fascio. Il fascio di protoni è stato collimato alle dimensioni di 3.0mm×3.0mm grazie alla coppia di fenditure presenti sul canale di misura (vedi paragrafo 2.2). Le sezioni d’urto sono state misurate per energie dei protoni comprese tra 3 MeV e 7.2 MeV, a passi di 25 keV. La perdita di energia dei protoni nel bersaglio (supponendo gli spessori nominali) assume al massimo il valore di circa 8 keV per Ep = 3.0 MeV [11], per cui non ci sono sovrapposizioni tra due misure contigue. Le correnti di fascio utilizzate sono state dell’ordine dei 20-40 nA. Con questi valori i tempi di misura per ciascuna energia di fascio si sono aggirati attorno ai 10-15 minuti e le correzioni per il tempo morto si sono mantenute a livelli del tutto trascurabili per gli spettri del rivelatore di particelle (<0.5%), mentre per Analisi del bersaglio 33 gli spettri γ sono state sempre inferiori al 10%. Per limitare a meno del 2% il contributo all’errore dovuto alla statistica di conteggio per ogni misura l’acquisizione è durata fino a integrare sotto tutti i picchi di interesse un’area di almeno 2000. 2.4 Analisi del bersaglio Gli spessori dei vari strati che compongono il bersaglio dichiarati dal costruttore forniscono solo una valutazione indicativa della composizione del bersaglio. Abbiamo perciò usato la tecnica del backscattering elastico con particelle α per ottenere le concentrazioni areali di ogni elemento all’interno del campione. Abbiamo bombardato i bersagli con un fascio di particelle α di 1.8 MeV di energia, rivelando le particelle retrodiffuse con il rivelatore a 150◦ . All’energia di fascio di 1.8 MeV la sezione d’urto di scattering elastico di α su oro, fluoro e carbonio è Rutherford [12]. Le misure sono state effettuate sia con il bersaglio perpendicolare alla direzione di incidenza del fascio, sia con il bersaglio inclinato di un angolo (angolo di tilt) di 30◦ . Le misure sono state ripetute più volte durante il corso dell’esperimento, in modo da valutare eventuali cambiamenti nella struttura del bersaglio (per esempio per effetto dell’interazione con il fascio), che non sono stati comunque riscontrati. In figura 2.5 mostriamo uno spettro misurato con angolo di tilt pari a zero con sovrapposta la simulazione ottenuta mediante il codice SIMNRA, utilizzata per ricavare le concentrazioni degli elementi del bersaglio. Gli spettri ottenuti sono stati simulati con il codice SIMNRA [13]. Il programma tiene conto delle condizioni sperimentali quali, ad esempio, l’angolo di scattering, l’angolo solido sotteso dal rivelatore, l’angolo di tilt del bersaglio, 34 Misure di sezioni d’urto differenziali Figura 2.5: Spettro raccolto dal rivelatore a 150◦ durante il bombardamento del bersaglio con particelle α da 1.8 MeV. Vengono indicati i picchi corrispondenti agli elementi presenti nel bersaglio ed il risultato della simulazione di SIMNRA (linea rossa). Si può osservare nello spettro la presenza di tracce di bario dovuta al metodo di realizzazione del bersaglio. l’energia delle particelle incidenti e, nell’ipotesi -verificata- che le sezioni d’urto siano tutte Rutherford, simula uno spettro utilizzando come parametri liberi di un fit allo spettro sperimentale le concentrazioni dei vari elementi e gli spessori dei vari strati del bersaglio. Poiché il litio, per questioni puramente cinematiche, non appare all’interno dello spettro ed inoltre la sezione d’urto di scattering elastico di α su 6 Li e 7 Li non è Rutherford [14] - e non sono disponibili dati in letteratura a riguardo - abbiamo determinato lo spessore del LiF a partire dal fit al solo picco corrispondente al fluoro. Per ogni spettro misurato abbiamo quindi ricavato la concentrazione del fluoro e dell’isotopo più abbondante del litio in base al rapporto stechiometrico, SLiF , del LiF ottenuto: (Nt)19 F = (Nt)LiF SLiF (2.1) (Nt)7 Li = 0.9247(Nt)LiF (1 − SLiF ) (2.2) Analisi delle misure relative a scattering elastico e inelastico di protoni 35 I dati ottenuti risultavano tutti confrontabili, entro due deviazioni standard, e quindi abbiamo deciso di prenderne il valore medio e come errore la deviazione standard. In tabella 2.1 riportiamo gli spessori (in µg/cm2 ) dei vari strati che compongono il bersaglio e i valori dei rapporti ηX/Au tra le concentrazioni (in atomi/cm2 ) dell’elemento leggero X e l’oro. (ρt)Au (µg/cm2 ) (ρt)LiF (µg/cm2 ) (ρt)C (µg/cm2 ) 19.1±0.4 47±1 26.9±0.6 η19 F/Au η7 Li/Au η12 C/Au 18.29±0.18 17.14±0.17 23.95±0.12 Tabella 2.1: Spessori degli strati di Au, LiF e C presenti nel bersaglio; gli errori si riferiscono a una deviazione standard. Sono riportati anche i valori dei rapporti delle concentrazioni di 19 F, 12 C e 7 Li rispetto alla concentrazione di Au (gli errori si riferiscono a una deviazione standard). Il rapporto stechiometrico del LiF ottenuto è 0.490 ± 0.018. 2.5 Analisi delle misure relative a scattering elastico e inelastico di protoni I bersagli scelti ci hanno permesso di analizzare le reazioni prodotte da protoni sugli isotopi: 7 Li, 12 C e 19 F. Come accennato sopra, l’oro è stato usato soltanto per normalizzazione, poiché, come abbiamo già esposto nel Capitolo 1, alle energie prese in esame l’interazione con i protoni è regolata dallo scattering Rutherford. Per ognuno dei tre isotopi abbiamo determinato le sezioni d’urto per diffusione elastica di protoni. Il 19 F presenta anche due canali inelastici, relativi ai primi due livelli eccitati, di interesse per le misure PESA del particolato atmosferico 36 Misure di sezioni d’urto differenziali raccolto su filtri di Teflon (vedi paragrafo 4.3) e quindi abbiamo scelto di misurare anche le sezioni d’urto di questo tipo di reazioni. Per ogni picco dello spettro, ad esempio quelli di scattering elastico, possiamo esprimere il numero di conteggi con le relazioni: A7 Li (ELiF , θ) = A12 C (EC , θ) = A19 F (ELiF , θ) = AAu (EAu , θ) = dσ(ELiF , θ) dΩ dσ(EC , θ) dΩ ! dσ(ELiF , θ) dΩ dσ(EAu , θ) dΩ ! ∆Ωp (Nt)7 Li p+7 Li ∆Ωp (Nt)12 C p+12 C ! ! Q e Q e ∆Ωp (Nt)19 F p+19 F ∆Ωp (Nt)Au p+Au Q e Q e (2.3) (2.4) (2.5) (2.6) dσ(Ep ,θ) è la sezione d’urto differenziale (d’ora in poi ometteremo sempre dΩ il termine differenziale per riferirci a questa grandezza, tranne quando potranno dove nascere confusioni) per la reazione esaminata, ∆Ωp è l’angolo solido sotteso dal rivelatore di particelle, Nt è la densità superficiale dell’elemento all’interno del bersaglio e Q la carica che incide sul bersaglio durante la misura. L’efficienza intrinseca del rivelatore al silicio è assunta uguale a 1 per la rivelazione di protoni di queste energie. Abbiamo esplicitato per le varie quantità, quindi anche per il numero di conteggi A, la dipendenza dall’energia del fascio E e dall’angolo di emissione delle particelle. L’energia del fascio incidente E0 viene scalata in modo da tener conto della perdità di energia all’interno dei vari strati: EAu = E0 − ∆EAu /2 ELiF = E0 − ∆EAu − ∆ELiF /2 EC = E0 − ∆EAu − ELiF − ∆EC /2 (2.7) (2.8) (2.9) Analisi delle misure relative a scattering elastico e inelastico di protoni 37 Esplicitando le relazioni 2.3÷2.6 in funzione della carica integrata e dell’angolo solido è possibile eliminare il contributo dovuto a questi due fattori (che introdurrebbero delle incertezze maggiori del %) e normalizzare la misura delle sezioni d’urto a quella relativa all’oro. Infatti la sezione d’urto che appare nella relazione (2.6) è di tipo Rutherford e come abbiamo visto nel Capitolo 1 è perfettamente determinabile in modo analitico4 . Usando le relazioni (1.4), (1.5) e (1.6) e si ottiene un’espressione per la formula di Rutherford, espressa nel sistema di riferimento del laboratorio, pari a: dσRuth (EAu , θ) ∼ 8.088 = 2 4θ dΩ E sin 2 (barn/sr) (2.10) dove l’energia è espressa in MeV. Sostituendo la relazione 2.10 nella 2.6 e svolgendo gli opportuni passaggi si ottengono le seguenti formule per il calcolo delle sezioni d’urto differenziali di scattering elastico di protoni su 7 Li, dσ(ELiF , θ) dΩ ! dσ(EC , θ) dΩ ! dσ(ELiF , θ) dΩ ! 12 Ce 19 F: = 8.088 A7 Li 1 1 4 θ 2 AAu EAu sin 2 η7 Li/Au (2.11) = 8.088 A12 C 1 1 4 θ 2 AAu EAu sin 2 η12 C/Au (2.12) = 8.088 A19 F 1 1 4 θ 2 AAu EAu sin 2 η19 F/Au (2.13) p+7 Li p+12 C p+19 F Analogamente si ottengono anche le relazioni per il calcolo delle sezioni d’uro per 4 Le metodologie che sfruttano la normalizzazione con sezioni d’urto note e calcolabili in modo analitico sono le più usate e possono minimizzare i contributi dovuti agli errori sistematici. All’interno del progetto IAEA si è suggerito l’uso di questo tipo di tecniche come metodo principe nell’ambito di misure di sezione d’urto. 38 Misure di sezioni d’urto differenziali le reazioni inelastiche del dσ(ELiF , θ) dΩ ! dσ(ELiF , θ) dΩ ! 19 F: = 8.088 A19 F1 1 1 4 θ 2 AAu EAu sin 2 η19 F/Au (2.14) = 8.088 A19 F2 1 1 4 θ 2 AAu EAu sin 2 η19 F/Au (2.15) (19 F (p,p1 )19 F ) (19 F (p,p2 )19 F ) Le metodologie che sfruttano la normalizzazione con sezioni d’urto note e calcolabili in modo analitico sono le più usate e possono minimizzare i contributi dovuti agli errori sistematici. All’interno del progetto IAEA si è suggerito l’uso di questo tipo di tecniche come metodo principe nell’ambito di misure di sezione d’urto. 2.5.1 Analisi degli spettri del rivelatore di particelle In figura 2.6 sono presentati tre spettri corrispondenti rispettivamente alle energie di fascio di 7, 5 e 3 MeV. I picchi presenti hanno origine sia dalla diffusione elastica che da reazioni nucleari e scattering inelastico dei protoni con i vari isotopi presenti nel bersaglio. Nel caso che i picchi siano ben distanziati, abbiamo determinato le aree dei vari picchi di interesse integrando i conteggi sotto al picco e sottraendo un fondo lineare. Con questo sistema si può tenere conto anche della forma eventualmente non gaussiana dei picchi dovuta alla raccolta non uniforme di carica da parte del rivelatore. A certe energie di fascio alcuni picchi d’interesse risultano parzialmente sovrapposti ad altri, quindi le loro aree sono state ricavate mediante un fit gaussiano a più picchi. Un esempio di fit è mostrato in figura 2.7. Abbiamo comunque controllato che le due procedure di determinazione delle aree dessero il medesimo risultato nei limiti dell’errore fornito, in modo da non falsare i risultati delle misure a seconda della tecnica di analisi adottata. O Ep = 7 MeV 16 F F(p,a0 - a1 ) O 19 16 F(p,a2 ) O Au 19 19 19 19 19 F(p,a3 )16 O 19 F(p,p4 ) F 19 F(p,p5 ) F 19 Li 19 6 19 7 100 F(p,p3 ) F Li(p,p1 ) Li 7 7 Conteggi 1000 16 19 12 19 19 F(p,p2 ) F 10000 F(p,p1 ) F Analisi delle misure relative a scattering elastico e inelastico di protoni 39 13 10 1 3.5 4 4.5 5 5.5 6 6.5 7 19 19 F(p,p4 ) F 19 16 Ep = 5 MeV O 16 19 100 Au F(p,a0 ) O F(p,a1 )16 O 19 6 F 19 C 19 13 19 19 16 F(p,a2 - a3 ) O 19 F(p,p1 )19 F 7 F(p,p3 ) F 7 1000 7 Conteggi 10000 12 19 Li(p,p1 ) Li 19 19 F(p,p5 ) F 100000 F(p,p2 ) F E (keV) 10 1 3.5 5 16 F(p,a1 ) O 16 F(p,a2 ) O 19 19 F(p,a0 )16 O Au F 16 19 F(p,p1 ) F 19 7 F(p,p3 ) F 19 19 19 6 19 19 100 F(p,p4 ) F 7 12 4.5 Ep = 3 MeV 7 19 F(p,p5 )19 F 1000 19 Conteggi Li(p,p1 ) Li 13 F(p,a3 ) O 100000 10000 4 E (keV) 19 3 F(p,p2 )19 F 2.5 19 2 10 1 1 1.5 2 2.5 3 3.5 E (keV) Figura 2.6: Spettri raccolti dal rivelatore a 150◦ durante il bombardamento del bersaglio con protoni da 7, 5 e 3 MeV, rispettivamente partendo dall’alto. I picchi contrassegnati dal solo simbolo dell’isotopo si riferiscono allo scattering elastico. 40 Misure di sezioni d’urto differenziali Figura 2.7: Particolare dello spettro raccolto dal rivelatore a 150◦ per un energia di fascio di 3.975 MeV. Viene mostrata la regione di sovrapposizione di due picchi α dovuti a reazioni nucleari con il picco di scattering elastico su oro. La linea blu si riferisce al risultato del fit gaussiano con tre picchi, mentre la linea rossa indica il solo contributo del picco dell’oro. Nell’inserto in alto sono mostrati i residui. Le sovrapposizioni riscontrate sono causate dalle differenti cinematiche delle reazioni indotte da protoni sugli elementi del bersaglio. Figura 2.8: Andamento delle energie delle particelle emesse dalle reazioni Au(p,p)Au e 19 F(p,αγ)16 O in funzione dell’energia dei protoni incidenti sul bersaglio. In figura 2.8 mostriamo l’intervallo di sovrapposizione tra due picchi di particelle α, prodotte dall’eccitazione di due livelli energetici dell’16 O (6049 e 6130 keV) nelle reazioni 19 F(p,αγ)16 O (Qvalore = 8.113 MeV), e il picco di scattering elastico su oro. Nel grafico sono riportate le energie delle particelle uscenti dalle Analisi delle misure relative a scattering elastico e inelastico di protoni 41 reazioni in funzione dell’energia di incidenza dei protoni del fascio. Si può riconoscere la zona tra 3.8 e 4.2 MeV dove è stato necessario determinare l’area del picco di scattering elastico su oro mediante un fit (vedi figura 2.7). In alcuni casi le sovrapposizioni sono tali da non permettere di ottenere l’area dei picchi di interesse, a causa della non distinguibilità del picco dagli altri. Il problema è stato riscontrato per alcuni intervalli di energia del fascio, ad esempio per i picchi relativi a scattering inelastico di protoni su 19 F e per il picco di scattering elastico su 7 Li. Mostriamo anche per questi casi le energie dei picchi di interesse, in grafici analoghi a quello riportato in figura 2.8. Figura 2.9: Andamento delle energie delle particelle emesse dalle reazioni 19 F(p,p1 )19 , 19 F(p,p )19 e 19 F(p,αγ)16 O in funzione dell’energia dei protoni incidenti sul bersaglio. 2 Il picco di scattering elastico su 16 O è dovuto all’ossigeno dello strato di ossidazione del LiF. In questi casi non è stato possibile ottenere dei risultati attendibili anche con la procedura del fit. Per quanto riguarda le reazioni 19 F(p,p1 )19 F e 19 F(p,p2 )19 F (vedi figura 2.9), la maggiore larghezza dei picchi relativi alle particelle α ha contribuito a questo problema, in aggiunta alla bassa statistica delle due reazioni. Il picco relativo a diffusione elastica di protoni su 7 Li si sovrappone, invece, ad alcuni picchi di scattering inelastico su 19 F corrispondenti ai livelli eccitati di energia pari a 1346, 1459 e 1554 keV (vedi figura 2.10). 42 Misure di sezioni d’urto differenziali Figura 2.10: Andamento delle energie delle particelle emesse dalle reazioni 7 Li(p,p)7 Li e 19 F(p,pi )19 F corrispondenti all’eccitazione dei livelli eccitati a 1346, 1459 e 1554 keV, in funzione dell’energia dei protoni incidenti sul bersaglio. 2.5.2 Errori di misura Consideriamo adesso i vari fattori che in diversa misura intervengono a limitare l’accuratezza complessiva da associare ai valori di sezione d’urto relativi allo scattering elastico e inelastico di protoni, ottenuti dalle (2.11)÷(2.15). Un ovvio contributo all’errore proviene dall’incertezza statistica sui valori delle aree dei picchi dedotte dagli spettri. Gli errori dipendono sia dal tipo di picco analizzato sia dalla scelta del metodo di analisi usato. Come abbiamo detto nel paragrafo 2.3, abbiamo fatto in modo di avere un numero di conteggi nei picchi di interesse pari almeno a 2000; in questo modo l’errore statistico associato all’area nella misura della sezione d’urto rimane comunque inferiore al ±2%. Il rapporto tra le concentrazioni degli elementi ηX/Au aggiunge un contributo sistematico di ±1% nelle misure su 7 Li e 19 F e di ±0.5% nelle misure su 12 C (vedi tabella 2.1). Per quanto concerne l’energia del fascio si può assumere un’indeterminazione di ±1%; questa diventa importante soltanto nelle regioni in prossimità delle I risultati delle misure di sezioni d’urto elastiche e inelastiche 43 risonanze, dove la sezione d’urto varia rapidamente con l’energia. Il termine sin4 ( θ2 ) comporta un incertezza sistematica dovuta alla precisione con cui si può misurare l’angolo a cui è stato posto il rivelatore (±0.5◦ ), contribuendo per un valore inferiore a ±1%. In conclusione, possiamo stimare che l’errore complessivo associato alle nostre misure di sezione d’urto differenziale di scattering elastico e inelastico di protoni sia dell’ordine di ±5.0%. 2.6 I risultati delle misure di sezioni d’urto elastiche e inelastiche Presentiamo in questo paragrafo i risultati delle nostre misure in forma grafica. Le sezioni d’urto differenziali di scattering elastico, 7 Li(p,p)7 Li, e 19 F(p,p)19 F, e di scattering inelastico, 19 F(p,p1 )19 F e 19 12 C(p,p)12 C F(p,p2 )19 F, misurate all’angolo di 150◦ nel sistema di riferimento del laboratorio, sono riportate in funzione dell’energia dei protoni incidenti. Come discusso precedentemente nel paragrafo 2.5.1, nei grafici della sezione d’urto di diffusione elastica su litio e dello scattering inelastico su fluoro mancano dati per certi intervalli di energia per via della impossibilità di determinare i picchi di interesse negli spettri a quelle energie di fascio5 . 2.6.1 Confronto con i dati disponibili in letteratura Possiamo adesso fare un confronto tra i nostri risultati e i valori di sezione d’urto noti da altre misure presenti in letteratura. Tranne che in due soli casi [15, 16], 5 Utilizzando un rivelatore con risoluzione energetica più elevata oppure inserendo un assor- bitore opportuno davanti al rivelatore in grado di fermare le particelle α, ma non i protoni, sarebbe stato possibile, in principio, colmare queste lacune. 44 Misure di sezioni d’urto differenziali Figura 2.11: Sezione d’urto differenziale di scattering elastico 7 Li(p,p)7 Li in funzione dell’energia dei protoni incidenti a un angolo di 150◦ . Per confronto è riportato anche il valore della sezione d’urto secondo la formula di Rutherford, moltiplicato per un fattore 10. Figura 2.12: Sezione d’urto differenziale di scattering elastico 12 C(p,p)12 C in funzione dell’energia dei protoni incidenti a un angolo di 150◦ . Per confronto è riportato anche il valore della sezione d’urto secondo la formula di Rutherford, moltiplicato per un fattore 10. I risultati delle misure di sezioni d’urto elastiche e inelastiche 45 Figura 2.13: Sezione d’urto differenziale di scattering elastico 19 F(p,p)19 F in funzione dell’energia dei protoni incidenti a un angolo di 150◦ . Per confronto è riportato anche il valore della sezione d’urto secondo la formula di Rutherford. Figura 2.14: Sezione d’urto differenziale di scattering inelastico 19 F(p,p1 )19 F in funzione dell’energia dei protoni incidenti a un angolo di 150◦ . 46 Misure di sezioni d’urto differenziali Figura 2.15: Sezione d’urto differenziale di scattering inelastico 19 F(p,p2 )19 F in funzione dell’energia dei protoni incidenti a un angolo di 150◦ . i dati in letteratura sono sempre presentati in forma grafica e mai in tabella, per cui è stato necessario operare una digitalizzazione dei dati [17] che potrebbe aggiungere un errore (stimabile a qualche percento) ai valori riportati. Non presenteremo confronti con le sezioni d’urto di scattering inelastico di protoni su 19 F in quanto non sono stati trovati altri dati simili in letteratura. Nel caso della sezione d’urto 7 Li(p,p)7 Li sono riconoscibili due strutture molto larghe alle energie di 4.2 e 5.6 MeV, corrispondenti a due livelli eccitati del 8 Be [18]. I nostri dati sono stati confrontati con quelli dei lavori di Fasoli et al. [19] e di Gleyvod et al. [20]. Nel primo lavoro vengono riportate le sezioni d’urto a vari angoli nel centro di massa per energie dei protoni tra 3 e 5.5 MeV; ci siamo confrontati quindi con le misure effetuate all’angolo di 149◦ 27’, corrispondente a circa 144◦ nel sistema del laboratorio. Anche le misure di Gleyvod et al. si riferiscono a più angoli nel centro di massa, a energie dei protoni tra 2.5 e 12 MeV; in questo caso ci siamo confrontati con i dati realtivi all’angolo di 150◦ (circa 145◦ nel sistema del laboratorio). Gleyvod et al. dichiarano un incertezza sui dati del 15%. Come si vede dalla figura 2.16, l’accordo tra i dati è sostanzialmente buono, I risultati delle misure di sezioni d’urto elastiche e inelastiche 47 entro gli errori; la leggera differenza sistematica potrebbe essere dovuta proprio ai diversi angoli di scattering a cui si riferiscono le misure. Figura 2.16: Confronto tra le sezioni d’urto di scattering elastico di protoni su 7 Li. In legenda sono riportati i lavori presenti in letteratura con cui ci siamo confrontati. Per quanto riguarda la sezione d’urto 12 C(p,p)12 C, le strutture presenti nel- la sezione d’urto da noi misurata sono in accordo con i dati presenti nella compilazione in letteratura [21], come riportato nella tabella 2.2. Ep (MeV±keV) ΓCM (keV) 4.808±10 11 6.378 5.370±10 115±5 6.896 5.65±10 9±0.5 7.155 5.891 75±5 7.38 6.5 ≈ 1500 7.9 13 N∗ (MeV) Tabella 2.2: Risonanze e anomalie presenti nella sezione d’urto di scattering elastico p+12 C secondo i dati di letteratura [22]. Esistono molti lavori in letteratura riguardanti le misure di scattering elastico su carbonio; misure in funzione dell’angolo di scattering a energie inferiori a 48 Misure di sezioni d’urto differenziali 3 MeV sono state effettuate presso l’acceleratore KN3000 di Arcetri [23]. In particolare, a 3 MeV le nostre misure forniscono un valore di sezione d’urto di 0.0791 ± 0.0011 barn/sr, da confrontarsi con il valore di 0.079 ± 0.004 barn/sr di [23] per uno stesso angolo di scattering di 150◦. Reich et al. [24] hanno misurato le sezioni d’urto nell’intervallo di energie tra 1.5 e 5.5 MeV a vari angoli nel centro di massa; ci siamo confrontati con le misure eseguite a 149◦ 26’ (corrispondenti a circa 147◦ nel laboratorio). Gli errori dichiarati da Reich et al. sono soltanto quelli statistici, pari al 2%. Jackson et al. [25] hanno misurato per quattro angoli nel centro di massa la sezione d’urto a energie comprese tra 0.4 e 4.3 MeV; ci siamo confrontati con le misure eseguite a 148.9◦ (corrispondenti a circa 146◦ nel laboratorio). Gli errori complessivi dichiarati da Jackson et al. sono del 5%. Nikolic et al. [26] hanno misurato la distribuzione angolare della sezione d’urto per energie comprese tra 5 e 6 MeV. Possiamo vedere dai loro risultati come nell’intorno di 150◦ nel centro di massa le distribuzioni abbiano un andamento piatto e questo ci garantisce maggiormente quando andiamo a confrontarci con misure effettuate ad angoli leggermente diversi dal nostro (150◦ nel centro di massa corrispondono a 147◦ nel laboratorio). Anche Nikolic et al. riportano unicamente gli errori statistici, valutati essere l’1%. Similmente, Barnard et al. [27] hanno misurato le distribuzioni angolari della sezione d’urto per energie maggiori di 2 MeV; anche in questi dati si riconosce un andamento piatto nella regione di angoli intorno a 150◦ nel centro di massa. Gli errori riportati da Barnard et al. sono del 4.4%. Più recentemente, Amirikas et al. [16] hanno misurato la sezione d’urto per energie dei protoni comprese tra 1.0 e 3.5 MeV, agli angoli del laboratorio di 170◦ , 150◦ e 110◦ , riportando un errore complessivo migliore del 3%. In figura 2.17 presentiamo il confronto dei nostri dati con quelli trovati in letteratura: si può notare come la sovrapposizione sia molto soddisfacente, pra- I risultati delle misure di sezioni d’urto elastiche e inelastiche 49 Figura 2.17: Confronto tra le sezioni d’urto di scattering elastico di protoni su 12 C. In legenda sono riportati i lavori presenti in letteratura con cui ci siamo confrontati. ticamente, con tutti i dati. Si riconosce pur tuttavia una differenza sistematica del 10%-15% con i dati di Jackson et al., Barnard et al. e Amirikas et al. I risultati di Reich et al. e quelli di Nikolic et al. evidenziano un’altezza decisamente maggiore per la risonanza a 4.808 MeV. Questo è dovuto sicuramente al fatto che il passo energetico con cui abbiamo fatto le misure è superiore alla larghezza della risonanza (11 keV). Riguardo ai dati di sezione d’urto 19 F(p,p)19 F i lavori trovati in letteratura coprono soltanto un piccolo intervallo di energie rispetto a quanto misurato da noi. Bogdanović et al. [15] hanno misurato la sezione d’urto ad un angolo nel laboratorio identico al nostro, per energie comprese tra 2.5 e 4.8 MeV e dichiarano delle incertezze pari all’8%. Thompson et al. [28] riportano le distribuzioni angolari della sezione d’urto nel centro di massa in corrispondenza di tre energie: 4.26, 5.96 e 6.87 MeV; ci siamo confrontati con le misure eseguite a 150◦ (corrispondenti a circa 148◦ nel laboratorio). Gli errori complessivi dichiarati da Thompson et al. sono del 6%. Infine, Ouichaoui et al. [29] hanno misurato le sezioni d’urto nell’intervallo di energie tra 2 e 3.4 MeV a vari angoli nel centro 50 Misure di sezioni d’urto differenziali di massa; ci siamo confrontati con le misure eseguite a 150.10◦ (corrispondenti a circa 148.5◦ nel laboratorio). Le incertezze dichiarate da Ouichaoui et al. sono meglio del 10%. Come mostrato in figura 2.18, i nostri dati sono in buon accordo con quelli di due dei lavori citati; le uniche misure che appaiono in disaccordo sono quelle di Ouichaoui et al. (valori più alti dei nostri di circa il 40%), anche se le differenza è essenzialmente sistematica e la forma della sezione d’urto è ben riprodotta. Figura 2.18: Confronto tra le sezioni d’urto di scattering elastico di protoni su 19 F. In legenda sono riportati i lavori presenti in letteratura con cui ci siamo confrontati. 2.7 Analisi delle misure relative a emissione di radiazione γ Per quanto riguarda il litio abbiamo analizzato le sezioni d’urto relative alle reazioni 7 Li(p,nγ)7 Be (Qvalore = -1.644 MeV, Eγ = 429 keV) e 7 Li(p,pγ)7 Li (Eγ = 478 keV). Mostriamo nelle seguenti figure gli schemi dei livelli dei nuclei 7 Li e 7 Be. Analisi delle misure relative a emissione di radiazione γ 51 Figura 2.19: Schema dei livelli del nucleo 7 Li [18] (sinistra) e del nucleo 7 Be [18] (destra). La radiazione con energia Eγ = 429 keV viene emessa da un livello eccitato del 7 Be che, allo stadio fondamentale, decade con una probabilità del 10% al primo livello eccitato del 7 Li, corrispondente alla emissione della radiazione con energia pari a 478 keV. Ci aspettiamo alcune similitudini tra le due sezioni d’urto e un valore maggiore per quella corrispondente alla reazione indotta da protoni su 7 Li. Per quanto riguarda il fluoro abbiamo studiato le sezioni d’urto per emissioni γ relative alle reazioni inelastiche di protoni su 19 F corrispondenti all’emissione di raggi γ di energia pari a 110, 197, 1236, 1349, 1357 keV e alla radiazione γ emessa dalle reazioni nucleari 19 F(p,αγ)16 O (Qvalore = 8.113 MeV). Mostriamo in figura 2.20 lo schema dei livelli del 19 F. Si evidenzia come sia il livello di energia E ∗ = 1459 keV che quello con E ∗ = 1345 keV emettano due raggi γ (Eγ = 1236 keV e Eγ = 1349 keV) che vanno a popolare il primo livello eccitato, che poi decade totalmente sullo stato fondamentale emettendo a sua volta una radiazione con Eγ = 110 keV. Il raggio γ di energia pari a 1357 keV viene emesso dal livello con E ∗ = 1554, popolando il secondo livello eccitato che decade anch’esso al fondamentale, emettendo quasi totalmente un raggio γ di energia Eγ = 197 keV. Le considerazioni appena fatte ci portano a pensare che otterremo un profilo simile tra le sezioni d’urto relative all’emissione di raggi γ 52 Misure di sezioni d’urto differenziali da 110 e 1236 keV. La scelta, spiegata successivamente, di analizzare insieme i due raggi γ di energia pari a 1349 e 1357 keV ci impedisce di evidenziare le similitudini tra la sezione d’urto di emissione di quest’ultimo e del raggio γ da 197 keV. Figura 2.20: Schema dei livelli del nucleo 19 F [30]. Le reazioni che portano alla produzione di un livello eccitato dell’16 O (di cui mostriamo lo schema dei livelli in figura 2.21) corrispondono all’emissione di radiazione di alta energia. In particolare abbiamo analizzato la radiazione emessa dai livelli di energia E ∗ pari a 6.130, 6.917 e 7.117 MeV. Possiamo notare come l’emissione di radiazione dal primo livello eccitato con E ∗ = 6.049 MeV al fondamentale sia proibita dalle regole di selezione: i due stati, infatti, hanno parità e spin identici (0+ ). Figura 2.21: Schema dei livelli del nucleo 16 O [31]. Analisi delle misure relative a emissione di radiazione γ 53 In analogia con quanto esposto nel paragrafo 2.5, anche per i raggi γ vale una relazione simile alla 2.3. Infatti il numero di conteggi di ogni picco analizzato dello spettro si può esprimere mediante la relazione: Aγ (ELiF , θ) = dσ(ELiF , θ) dΩ ! ∆Ωγ ǫγ (Nt)X γ Q e (2.16) ,θ) dove, oltre ai termini già citati nella relazione 2.3, dσ(EdLiF indica la sezione Ω γ d’urto differenziale per l’emissione, indotta da protoni, del raggio γ scelto, ∆Ωγ indica l’angolo solido sotteso dal rivelatore γ, ǫγ indica l’efficienza di fotopicco del rivelatore al Germanio riferita all’energia del raggio γ emesso dalla reazione e (Nt)X indica la densità superficiale dell’elemento nel bersaglio interessato nella produzione del raggio γ di interesse (7 Li oppure 19 F). Per semplicità riportiamo ancora la relazione 2.6 che rappresenta il numero di conteggi nel picco dell’oro per semplicità di lettura: AAu (EAu , θp ) = dσ(EAu , θp ) dΩ ! ∆Ωp (Nt)Au p+Au Q e (2.17) dove abbiamo indicato con θp l’angolo corrispondente al rivelatore di particelle in modo da distinguerlo dall’angolo a cui è posto il rivelatore al Germanio. Esplicitando le relazioni 2.16 e 2.17 rispetto alla carica ed utilizzando la formula di Rutherford per la sezione d’urto dell’oro (vedi relazione 2.10) è possibile trovare la relazione per determinare la sezione d’urto differenziale di ogni raggio γ di nostro interesse: dσ(ELiF , θ) dΩ ! = 8.088 γ Aγ 1 2 AAu EAu sin4 θp 2 ∆Ωp 1 1 ∆Ωγ ǫγ ηX/Au (2.18) 54 Misure di sezioni d’urto differenziali 2.7.1 Analisi degli spettri del rivelatore γ L’analisi degli spettri raccolti dal rivelatore γ è stata più semplice rispetto a quanto fatto per il rivelatore al silicio per particelle cariche, poiché i picchi corrispondenti ai vari raggi γ mantengono le loro posizioni reciproche e non si hanno sovrapposizioni a causa della cinematica. Figura 2.22: Spettro raccolto dal rivelatore a 135◦ durante il bombardamento del bersaglio con protoni da 4 MeV, corrispondente ad energie dei raggi γ fino a 2000 keV. Sono indicati i picchi dei raggi γ studiati. In figura 2.22 e figura 2.23 mostriamo gli spettri dei segnali del rivelatore γ inviati ai due ADC (vedi paragrafo 2.2.1) relativi alla stessa energia di fascio. Nel primo si possono riconoscere i picchi dei raggi γ di energia minore di 1500 keV, mentre il secondo spettro è stato utilizzato per i tre γ da 6129, 6929 e 7114 keV. Per effetto della risoluzione del rivelatore, i due picchi alle energie di 1349 e 1357 keV non sono completamente risolvibili, come mostrato in dettaglio in figura 2.24. Poiché i due picchi sono prodotti entrambi dall’interazione di protoni su 19 F abbiamo deciso di analizzarli come se fossero un unico picco corrispon- dente all’energia media di 1353 keV. Questa scelta è la stessa effettuata anche da Analisi delle misure relative a emissione di radiazione γ 55 Figura 2.23: Spettro raccolto dal rivelatore a 135◦ durante il bombardamento del bersaglio con protoni da 4 MeV, corrispondente ad energie dei raggi γ fino a 9000 keV. Sono indicati i picchi dei raggi γ studiati. Ranken et al. [32], con cui poi ci siamo confrontati per verificare la bontà delle nostre procedure. Dalle reazioni 19 F(p,αγ)16 O vengono prodotti tre fotoni di energia 6129 keV, 6917 keV e 7117 keV, rispettivamente. La parte dello spettro relativa a questi raggi γ è mostrata in figura 2.25, dove si può vedere come il contributo dovuto ai due escape peak e al fondo Compton di ognuno di essi sia molto maggiore del picco di piena energia (questo discorso verrà illustrato meglio nel successivo paragrafo, 2.8, quando discuteremo del calcolo dell’efficienza del rivelatore mediante il codice GEANT). Come per il doppio picco intorno a 1353 keV la determinazione della sezione d’urto relativa alle singole righe va oltre i propositi di questo lavoro e avrebbe richiesto l’utilizzo approfondito e preciso di programmi di simulazione della risposta del rivelatore. L’analisi è stata quindi effettuata integrando tutti i conteggi nella regione dello spettro che va da 5.0 MeV fino a 7.1 MeV, in pratica la regione delimitata, a destra, dal picco di piena energia del raggio γ da 7.1 MeV e, a sinistra, dal secondo escape peak del raggio γ da 6.1 MeV. Abbiamo trascurato la presenza del fondo, che è comunque minima e ininfluente a queste energie 56 Misure di sezioni d’urto differenziali Figura 2.24: Particolare dello spettro γ che mostra il picco di energia 1236 keV e il doppio picco corrispondente ad un energia media di 1353 keV. Lo spettro è stato raccolto con un energia di fascio di 4 MeV. Figura 2.25: Particolare dello spettro γ nella zona corripondente ad energie tra 5 e 7 MeV, dove appaiono i raggi γ provenienti dalle reazioni 19 F(p,αγ)16 O . Lo spettro è stato raccolto con un energia di fascio di 4 MeV. FEP indica il primo escape peak, mentre SEP il secondo escape peak. Analisi delle misure relative a emissione di radiazione γ Figura 2.26: Schema dei livelli del nucleo 12 C 57 [21]. ed anche il contributo dovuto agli orli Compton a energie inferiori ai 5 MeV. Abbiamo comunque tenuto conto di queste valutazioni durante la determinazione dell’efficienza del rivelatore al Germanio per queste energie (vedi paragrafo 2.8). A differenza di quanto fatto per lo scattering elastico e inelastico di protoni le sezioni d’urto differenziali di emissione γ sono riportate soltanto fino ad energie di fascio poco superiori a 5 MeV. Infatti, in corrispondenza di questa energia compaiono negli spettri γ un picco ad un energia di 4.438 MeV e i suoi due escape peak, corrispondenti alla diseccitazione del primo livello eccitato del 12 C (figura 2.26). Riportiamo in figura 2.27 l’andamento della resa, normalizzata all’area del picco di scattering elastico su oro, del γ da 4.438 MeV. L’andamento è tipico di quanto si ottiene bombardando un bersaglio spesso: abbiamo quindi associato questi picchi alla rivelazione dei raggi γ prodotti dall’interazione dei protoni con la grafite di cui è composta la Faraday cup. Questo picco ed i suoi due escape peak creano un fondo Compton a energie più basse ed una serie di picchi somma dovuti al pile-up a energie più alte, che vanno a coprire tutti gli altri picchi presenti nello spettro (vedi figura 2.28) rendendo impossibile l’analisi degli spettri relativi a energie di fascio superiori a 5 MeV. 58 Misure di sezioni d’urto differenziali Figura 2.27: Resa del raggio γ di energia pari a 4438 keV, prodotto dalla reazione 12 C(p,p γ )12 C. L’andamento è tipico di quello che si ottiene bombardando un bersaglio 1 spesso. Figura 2.28: Spettro raccolto dal rivelatore γ ad un energia di fascio di 6 MeV. È evidente come la presenza della radiazione emessa dal carbonio presente nella Faraday cup renda impossibile distinguere gli altri picchi. FEP indica il primo escape peak e SEP il secondo escape peak Analisi delle misure relative a emissione di radiazione γ 2.7.2 59 Errori di misura Analogamente a quanto fatto nel paragrafo 2.5.2 consideriamo adesso tutti i fattori che intervengono a limitare l’accuratezza complessiva da associare ai valori di sezione d’urto differenziale di emissione γ, ottenuta dall’espressione (2.18). Il contributo dovuto all’errore statistico sulle aree dei picchi è risultato dipendere molto dalla reazione studiata, poiché le sezioni d’urto differenziali in questo caso possono risultare diverse anche di un ordine di grandezza. Riportiamo in tabella 2.3 le incertezze tipiche di tipo statistico (compreso il contributo, sommato in quadratura, dovuto all’incertezza sull’area del picco di scattering elastico su oro) riferite ad ogni reazione studiata; per facilitare la consultazione della tabella ogni reazione è identificata dall’energia della radiazione emessa. Reazione (p + 19 Errore statistico F) 110 keV 197 keV 1236 keV 1359 keV 6-7 MeV ±1.8% ±1.6% ±4.4% ±2.1% ±1.6% Reazione (p + 7 Li) Errore statistico 429 keV 478 keV ±2.0% ±2.0% Tabella 2.3: Incertezze di tipo statistico per le varie reazioni di emissione γ studiate. I numeri riportati si riferiscono a valori tipici su tutte le misure effettuate. L’incertezza da attribuire al valore degli angoli solidi ∆Ωp e ∆Ωγ è stata determinata in base a considerazioni geometriche (vedi paragrafo 2.2.1). Gli errori risultanti sono di tipo sistematico in relazione all’andamento delle sezioni d’urto con l’energia. Ogni termine dei due rivelatori contribuisce con un errore di circa ±1.5%. Per quanto riguarda le incertezze sul rapporto tra le concentrazioni degli elementi ηX/Au , l’energia del fascio e il termine sin4 ( 2θ ), rimandiamo a quanto già discusso precedentemente nel paragrafo 2.5.2. L’errore che contribuisce maggiormente all’incertezza sulle varie misure di 60 Misure di sezioni d’urto differenziali sezione d’urto differenziale di emissione γ è sicuramente il fattore relativo all’efficienza ǫγ , che introduce un contributo sistematico di circa ±8%, come verrà spiegato dettagliatamente nel prossimo paragrafo. In conclusione, possiamo stimare che l’errore complessivo associato alle nostre misure di sezione d’urto differenziale di emissione γ indotta da protoni sia dell’ordine di ±15%. 2.8 Calcolo dell’efficienza del rivelatore al Germanio Come accennato precedentemente abbiamo determinato l’efficienza di fotopicco ǫγ del rivelatore al Germanio mediante la simulazione del rivelatore con il codice GEANT, poiché non avevamo a disposizione sorgenti γ di calibrazione che coprissero un intervallo di energia abbastanza ampio da avere valori precisi per tutte le energie di interesse. In particolare, per quanto riguarda l’intervallo di energie dei raggi γ emessi nelle reazioni 19 F(p,αγ)16 O non era possibile realizzare un metodo sperimentale per misurare l’efficienza del rivelatore. Nel corso dell’esperimento abbiamo raccolto diversi spettri di sorgenti γ di calibrazione (vedere tabella 2.4) poste nella stessa posizione del bersaglio; per ognuna delle sorgenti abbiamo accumulato uno spettro della durata di 600 secondi. Per determinare le efficienze abbiamo calcolato l’attività delle sorgenti, A(t), al momento della misura mediante la relazione: t A(t) = A0 exp− τ (2.19) dove A0 è il valore dell’attività iniziale fornita dal produttore, τ = 0.693t1/2 è la Calcolo dell’efficienza del rivelatore al Germanio 61 vita media e t il tempo trascorso dalla misura di A0 . La vita media è stata ricavata dai valori presenti in letteratura con una precisione minore del %, mentre per la misura del tempo t abbiamo considerato la data fornita dal produttore con un incertezza di mezzo mese. Gli errori sulle attività iniziali sono stati supposti di ±5%, risultando così i termini con il maggior peso6 . Una volta calcolata l’attività abbiamo determinato il numero di raggi γ emessi dalla sorgente che arrivano al rivelatore, Ninc , e che poi saranno confrontati con quanto misurato sperimentalmente dallo spettro: Ninc = A(t)t′ ∆Ω I 4π dove t′ è il tempo di misura (pari a 600 ± 2 s), ∆Ω 4π (2.20) è la frazione di angolo solido sottesa dal rivelatore vista dalla sorgente e I indica l’intensità assoluta del γ emesso dalla sorgente usata. Il rapporto tra l’area del picco γ nello spettro, Nmis , e il corrispondente valore calcolato Ninc indica l’efficienza di fotopicco ǫγ all’energia del γ emesso dalla sorgente: ǫγ = Nmis Ninc (2.21) I risultati delle efficienze misurate sono riportati sempre in tabella 2.4. La distribuzione in energia dei raggi γ emessi dalle sorgenti usate non è stata sufficiente a coprire l’intervallo di energie necessario alle nostre misure. Per questo motivo è stato utilizzato il codice GEANT [33] con il quale è stata simulata 6 Le sorgenti a disposizione presso il laboratorio dell’acceleratore Tandetron di Madrid fa- cevano parte di un kit didattico e non riportavano errori corrispondenti alla misura della loro attività, ma soltanto il valore della medesima e il mese in cui era stata misurata. 62 Misure di sezioni d’urto differenziali la parte dell’apparato sperimentale comprendente il sistema sorgente-rivelatore al Germanio. In base alla scheda tecnica del rivelatore fornita dal costruttore abbiamo simulato un rivelatore cilindrico pieno, privo di finestra di ingresso davanti alla parte sensibile del rivelatore7 . Il codice GEANT simula un numero stabilito di raggi γ , di energia prefissata (che chiameremo “eventi”) che incidono sulla finestra del rivelatore e genera uno spettro come quello riportato in figura 2.29. Figura 2.29: Particolare dello spettro simulato mediante il codice GEANT relativo al raggio γ di energia pari a 384 keV emesso dalla sorgente di 133 Ba. La curva rossa è il risultato di un fit gaussiano. L’area del picco di piena energia è ottenuta mediante un fit gaussiano, e dividendo il valore ottenuto per il numero di eventi prodotto si ricava il valore dell’efficienza simulata ǫG . Nella tabella 2.4 riportiamo i valori ottenuti per le efficienze relative alle energie dei vari raggi γ emessi dalle sorgenti. Come si può vedere i valori di efficienza 7 In realtà, il rivelatore è dotato di una finestra sottile in fibra di carbonio che non comporta nessun effetto di attenuazione della radiazione γ alle energie di nostro interesse, anche nel caso del γ da 81 keV della sorgente di 133 Ba. Calcolo dell’efficienza del rivelatore al Germanio 63 ottenuti da GEANT sono superiori rispetto a quelli misurati. Questo può dipendere da vari fattori, come la non perfetta riproducibilità della posizione della sorgente rispetto a quella del bersaglio, l’errore sulla calibrazione delle sorgenti, oppure la difficoltà nel ricostruire dettagliatamente il rivelatore nella simulazione dovuta alle scarse informazioni fornite dal costruttore. Nuclide Eγ (keV) ǫexp ∆ǫexp ǫG ∆ǫG 0.003 133 Ba 80.997 0.965 0.049 0.944 133 Ba 276.4 0.524 0.029 0.5612 0.0023 133 Ba 302.85 0.474 0.024 0.5233 0.0023 133 Ba 356.01 0.416 0.021 0.4599 0.0024 133 Ba 383.85 0.394 0.021 0.4313 Na 1274.54 0.156 0.008 0.1747 0.0013 22 0.002 Tabella 2.4: Confronto tra l’efficienza del rivelatore al Germanio misurata sperimentalmente e l’efficienza ottenuta con la simulazione di GEANT, in funzione dell’energia dei raggi γ emessi dalle varie sorgenti di calibrazione utilizzate. Abbiamo quindi rinormalizzato i valori ottenuti da GEANT ai valori misurati sperimentalmente mediante un fattore moltiplicativo, α, che minimizza le discrepanze (R2 ), pesando con i relativi errori: R2 = X i (ǫexpi − αǫGi )2 ∆ǫ2expi + α2 ∆ǫ2Gi (2.22) Il valore di α ottenuto è pari a 0.94. A questo punto abbiamo costruito la curva di efficienza per il rivelatore al Germanio relativa alle energie dei γ di interesse in questo lavoro calcolando le efficienze con GEANT e moltiplicando il risultato per α. I valori ottenuti sono riportati nella figura 2.30. L’errore da associare ai valori di efficienza è stato valutato tenendo conto delle discrepanze massime tra 64 Misure di sezioni d’urto differenziali i dati di GEANT normalizzati e i valori misurati sperimentalmente; l’errore così ottenuto è di circa ±8%. Figura 2.30: Efficienze del rivelatore al Germanio misurate sperimentalmente (punti pieni) ed efficienze ottenute dalla simulazione di GEANT normalizzate mediante il fattore α (quadrati vuoti). Sono riportate anche le efficienze calcolate con GEANT relative alle energie dei raggi γ di interesse in questo lavoro. Nel caso delle reazioni 19 F(p,αγ)16 O ci siamo trovati nella necessità di de- terminare l’efficienza del rivelatore non per una ben precisa energia, ma per un intervallo di energie, tra 5 e 7.1 MeV, corrispondente alla regione dello spettro dove cadono i tre picchi di alta energia (vedi figura 2.25). Abbiamo quindi simulato gli spettri dei tre γ singolarmente (riportiamo in figura 2.31 quello relativo al γ da 6129 keV) e per ognuno abbiamo integrato i conteggi nella regione di spettro compresa tra 5 e 7.1 MeV, prendendo come errore la radice dei conteggi ottenuti. Abbiamo calcolato l’efficienza del rivelatore in questo intervallo di energie come semplice media aritmetica degli integrali dei conteggi ottenuti, diviso per il numero di eventi generati; il risultato è 0.329±0.035 (l’errore è stato ottenuto propangando quello sulla media aritmetica). In questo modo teniamo conto di un peso maggiore per le efficienze dei γ di più alta energia che contribuiscono maggiormente (tramite escape peak e orlo Compton) alla regione di integrazione. Calcolo dell’efficienza del rivelatore al Germanio 65 Figura 2.31: Particolare dello spettro simulato mediante il codice GEANT relativo al raggio γ di energia pari a 6129 keV. La zona delimitata da due marker, evidenziata in rosso, indica la parte di spettro di cui è stata calcolata l’area. Nella tabella 2.5 sono riportati i valori di efficienza per il rivelatore al Germanio utilizzati per la determinazione dei valori assoluti delle sezioni d’urto misurate. Energia (keV) ǫγ ∆ǫγ Energia (keV) ǫγ ∆ǫγ 110 0.83 0.07 1236 0.164 0.013 197 0.66 0.05 1359 0.146 0.012 429 0.37 0.03 5-7 MeV 0.329 0.035 478 0.34 0.03 Tabella 2.5: Efficienza di fotopicco del rivelatore al Germanio in funzione delle energie dei γ di interesse. 66 Misure di sezioni d’urto differenziali 2.9 I risultati delle misure di sezioni d’urto di emissione γ Similmente a quanto fatto nel paragrafo 2.6 presentiamo adesso in forma grafica i risultati delle misure di sezione d’urto differenziali di emissione γ indotte da protoni su 7 Li e 19 F, misurate all’angolo di 135◦ nel sistema di riferimento del laboratorio. I dati sono riportati in funzione dell’energia dei protoni incidenti8 . Figura 2.32: Sezione d’urto differenziale di emissione di un raggio γ con Eγ = 429 keV dalla reazione 7 Li(p,nγ)7 Be in funzione dell’energia dei protoni incidenti, a un angolo di 135◦ . Nelle sezioni d’urto riportate nelle figure 2.34 e 2.36 si possono evidenziare le similitudini previste dallo schema dei livelli del 19 F, discusse precedentemente (vedi paragrafo 2.7). Lo stesso si applica per le sezioni d’urto di figura 2.32 e 2.33 in riferimento allo schema dei livelli di 7 Li e 7 Be. 8 I dati sono riportati fino a energie di circa 5.5 MeV per i motivi esposti nel paragrafo 2.7. I risultati delle misure di sezioni d’urto di emissione γ 67 Figura 2.33: Sezione d’urto differenziale di emissione di un raggio γ con Eγ = 478 keV dalla reazione 7 Li(p,p’γ)7 Li in funzione dell’energia dei protoni incidenti, a un angolo di 135◦ . Figura 2.34: Sezione d’urto differenziale di emissione di un raggio γ con Eγ = 110 keV, dalla reazione 19 F(p,p’γ)19 F, in funzione dell’energia dei protoni incidenti, a un angolo di 135◦ . 68 Misure di sezioni d’urto differenziali Figura 2.35: Sezione d’urto differenziale di emissione di un raggio γ con Eγ = 197 keV dalla reazione 19 F(p,p’γ)19 F in funzione dell’energia dei protoni incidenti, a un angolo di 135◦ . Figura 2.36: Sezione d’urto differenziale di emissione di un raggio γ con Eγ = 1236 keV dalla reazione 19 F(p,p’γ)19 F in funzione dell’energia dei protoni incidenti, a un angolo di 135◦ . I risultati delle misure di sezioni d’urto di emissione γ 69 Figura 2.37: Sezione d’urto differenziale di emissione di un raggio γ con Eγ = 1349 e 1357 keV dalla reazione 19 F(p,p’γ)19 F in funzione dell’energia dei protoni incidenti, a un angolo di 135◦ . Figura 2.38: Sezione d’urto differenziale di emissione di raggi γ di energia 6129, 6917 e 7117 keV dalla reazione 19 F(p,αγ)16 O , in funzione dell’energia dei protoni incidenti, a un angolo di 135◦ . 70 Misure di sezioni d’urto differenziali 2.9.1 Confronto con i dati disponibili in letteratura Possiamo adesso fare un confronto tra i nostri risultati e i valori di sezione d’urto noti da altre misure presenti in letteratura. In questo caso i dati in letteratura sono sempre presentati in forma grafica, per cui abbiamo proceduto mediante la digitalizzazione dei dati. Tipicamente in letteratura si trovano le sezioni d’urto totali riferite nel sistema del centro di massa. Nell’ipotesi di isotropia dell’emissione dei raggi γ nel centro di massa [34, 32] abbiamo calcolato la sezione d’urto differenziale corrispondente al nostro angolo di misura (135◦ nel sistema del laboratorio) mediante la relazione (1.4). Per quanto riguarda la sezione d’urto di emissione γ nelle reazioni p+7 Li l’unico confronto possibile è con il lavoro di Boni et al. [34]. In questo articolo le sezioni d’urto sono misurate a energie comprese tra 2.2 e 3.8 MeV, ad un angolo di 90◦ nel laboratorio; l’incertezza dichiarata sui valori assoluti è del 15%. Come si vede in figura 2.39 l’accordo con i nostri dati è soddisfacente. Figura 2.39: Confronto tra le sezioni d’urto di emissione γ nelle reazioni p+7 Li nell’intervallo Ep = 3.0 - 3.8 MeV con i dati di Boni et al. Per quanto riguarda la sezione d’urto di emissione di γ da 110 e 197 keV nelle I risultati delle misure di sezioni d’urto di emissione γ 71 reazioni p+19 F, oltre al già citato lavoro di Boni et al., possiamo confrontarci con i risultati di Ranken et al. [32]. Questi ultimi hanno misurato la sezione d’urto per protoni di energia da 1.7 a 4.4 MeV e l’accuratezza dei dati dichiarata è dell’ordine del 10-15%. In nostri dati sono in buon accordo con quelli di Ranken et al. (figure 2.40 e 2.41); l’unica discrepanza si ha per il γ da 110 keV a energie dei protoni maggiore di 3.6 MeV, dove i valori dei dati di Ranken et al. sono circa il 20% in eccesso rispetto ai nostri. Al contrario, l’accordo con i dati di Boni et al. non è altrettanto soddisfacente, nonostante l’andamento delle sezioni d’urto sia comunque riprodotto: i nostri dati per il γ da 110 keV sono più bassi di circa il 25%, mentre per il γ da 197 keV lo sono di circa il 35%. Comunque queste discrepanze sono simili a quanto riportato in un recente articolo da Jesus et al. [35] riferite però all’intervallo di energia dei protoni tra 2.1 e 2.7 MeV (non è quindi possibile un confronto diretto tra questi e i nostri risultati). Tutto questo, però, porta a supporre che i dati di Boni et al. siano affetti da un qualche errore di tipo sistematico. Figura 2.40: Confronto tra le sezioni d’urto di emissione di γ da 110 keV nella reazione p+19 F nell’intervallo Ep = 3.0 - 4.4 MeV. In legenda sono riportati i lavori presenti in letteratura con cui ci siamo confrontati. Riguardo alla sezione d’urto di emissione di γ da 1236, 1349 e 1357 keV 72 Misure di sezioni d’urto differenziali Figura 2.41: Confronto tra le sezioni d’urto di emissione di γ da 197 keV nella reazione p+19 F nell’intervallo Ep = 3.0 - 4.4 MeV. In legenda sono riportati i lavori presenti in letteratura con cui ci siamo confrontati. nelle reazioni p+19 F gli unici altri dati con cui possiamo confrontarci sono quelli riportati nel lavoro già citato di Ranken et al. Come si vede dalle figure 2.42 e 2.43 i dati risultano essere in buon accordo entro le incertezze sperimentali. Figura 2.42: Confronto tra le sezioni d’urto di emissione di γ da 1236 keV nella reazione p+19 F nell’intervallo Ep = 3.0 - 4.4 MeV con i dati di Ranken et al. Infine, per quanto riguarda la sezione d’urto di emissione di γ da 6-7 MeV nelle reazioni 19 F(p,αγ)16 O le strutture presenti nella sezione d’urto da noi misurata sono in accordo con i dati presenti nella compilazione in letteratura [30], come I risultati delle misure di sezioni d’urto di emissione γ 73 Figura 2.43: Confronto tra le sezioni d’urto di emissione di γ da 1349 e 1357 keV nella reazione p+19 F nell’intervallo Ep = 3.0 - 4.4 MeV con i dati di Ranken et al. riportato nella tabella 2.6; in particolare, si possono riconoscere chiaramente le tre risonanze alle energie di 3190, 3490 e 4000 keV. Il confronto con gli altri dati presenti in letteratura è stato fatto, oltre che con il lavoro di Ranken et al. (in questo caso, però, le misure si riferiscono all’intervallo di energie dei protoni di 1.2 - 5.5 MeV), con il lavoro di Willard et al. che mostra la sezione d’urto in unità arbitrarie per protoni di energia compresa tra 2.1 e 5.4 MeV, con una incertezza dello 0.1%. Dalla figura 2.44 possiamo notare come l’andamento della nostra sezione d’urto sia in accordo con quanto mostrato da Willard et al. I nostri dati sono però sistematicamente più bassi di circa il 30% di quelli di Ranken et al.; questo potrebbe essere imputabile a una sovrastima dell’efficienza del nostro rivelatore al Germanio oppure alla procedura di normalizzazione della sezione d’urto adottata da Ranken et al. 74 Misure di sezioni d’urto differenziali Figura 2.44: Confronto tra le sezioni d’urto di emissione di γ da 6-7 MeV nelle reazioni 19 F(p,αγ)16 O nell’intervallo E = 3.0 - 5.0 MeV. In legenda sono riportati i lavori p presenti in letteratura con cui ci siamo confrontati. I dati di Willard et al. sono stati moltiplicati per un fattore arbitrario. Ep (keV) ΓCM (keV) 3190 76 3490 20 Ne∗ (MeV) 20 Ep (keV) ΓCM (keV) Ne∗ (MeV) 15.88 4570 29 17.19 38 16.16 4710 29 17.32 3920 29 16.57 4780 33 17.39 4000 105 16.365 4990 19 17.59 4090 - 16.73 5070 33 17.66 4290 48 16.92 5200 67 17.79 4490 29 17.11 Tabella 2.6: Risonanze per i raggi γ da 6-7 MeV della reazione 19 F(p,αγ)16 O. In tabella sono riportate le energie dei protoni, le larghezze delle risonanze nel sistema del centro di massa e l’energia del livello eccitato del 20 Ne∗ che si forma. Capitolo 3 Allestimento di un canale per misure IBA all’acceleratore di Firenze In questo capitolo descriveremo una parte del lavoro sperimentale di questa tesi svolto presso il laboratorio LABEC della sezione INFN di Firenze. Dopo una descrizione dell’acceleratore presente nel laboratorio, illustreremo le fasi di progettazione e allestimento di un nuovo canale di fascio per misure IBA su cui è stata installata una camera di scattering. Nell’ottica di proseguire poi a Firenze le misure di sezione d’urto, per le quali è necessario conoscere con precisione l’energia delle particelle incidenti, descriveremo quindi le misure di calibrazione in energia dell’acceleratore di Firenze. 3.1 L’acceleratore Tandetron di Firenze L’acceleratore è situato presso il Laboratorio di Tecniche Nucleari per i Beni Culturali (LABEC) della sezione INFN di Firenze nei locali del Polo Scientifico 75 76 Allestimento di un canale per misure IBA all’acceleratore di Firenze Acceleratore Tandem da 3 MV Tripletto elettrostatico Magnete di switching per linee di fascio IBA Doppietto elettrostatico Line aA MS Sorgente per IBA Sorgente per AMS Figura 3.1: Schema dell’acceleratore Tandetron di Firenze di Sesto Fiorentino. L’acceleratore è dedicato principalmente a misure IBA nel campo dei beni culturali e dell’ambiente e a misure di spettroscopia di massa con acceleratore (AMS) per la datazione col metodo del 14 C. L’acceleratore è un modello Tandetron con tensione massima di terminale 3 MV, prodotto dalla High Voltage Engineering Europe [36], [37]. Riportiamo in figura 3.1 uno schema dell’acceleratore. In pratica è un modello più piccolo di quello presente al laboratorio di Madrid. L’acceleratore è equipaggiato con tre sorgenti di ioni indipendenti: due sorgenti (una sorgente a sputtering di ioni di Cs e una Duoplasmatron) sono usate per produrre ioni per misure IBA e l’altra sorgente multipla a sputtering di Cs è usata per le misure di AMS. Come già accennato nel paragrafo 2.1 gli ioni vengono creati dalle sorgenti con carica negativa e sono accelerati da un campo elettrico statico fino al terminale di alta tensione dove vengono invertiti di carica mediante un sistema di stripping, ottenuto mediante un flusso continuo di gas argon1. A questo punto gli ioni 1 La scelta di uno stripper gassoso consente un’efficienza di stripping molto buona, ed evita i rischi di rotture che si hanno con stripper a film di carbonio, che costringerebbero a frequenti aperture della tank per la loro sostituzione. L’acceleratore Tandetron di Firenze 77 positivi subiscono una seconda accelerazione mediante lo stesso potenziale della fase iniziale. L’energia finale degli ioni è data da: E = e(1 + q)T + eTSorg (3.1) dove T è la tensione di terminale, TSorg è la tensione di iniezione degli ioni negativi della sorgente e q è lo stato di carica dopo il passaggio attraverso lo stripper (la distribuzione di stati di carica dipende dalla velocità degli ioni e dallo spessore del materiale attraversato). Nel caso di protoni abbiamo semplicemente: Ep = e(2T + TSorg ) (3.2) Nel tratto che collega l’acceleratore al magnete di switching sono posizionati due sistemi di focalizzazione, costituiti da un doppietto e da un tripletto di quadrupoli elettrostatici. Il doppietto è posto subito dopo la tank dell’acceleratore e il tripletto subito prima del magnete di switching. Prima del tripletto è montato un sistema di slitte che può essere utilizzato per regolare l’intensità e la forma del fascio tramite un dispositivo a settori mobili (due verticali e due orizzontali) regolabili micrometricamente. Un Beam Profile Monitor (BMP) per la diagnostica del fascio è montato dopo il tripletto. Il BPM è uno strumento che fornisce il profilo spaziale del fascio nel piano perpendicolare alla direzione di propagazione. Il magnete di switching viene utilizzato per deviare il fascio all’interno dei nove possibili canali di misura, posti ad angoli che vanno da +45◦ a -45◦ . 78 Allestimento di un canale per misure IBA all’acceleratore di Firenze 3.2 Il canale a +30◦ Al momento di iniziare questo lavoro di tesi erano installate e operanti tre linee di fascio: due dedicate a misure PIXE con fascio esterno su campioni di interesse nel campo dei beni culturali e dell’ambiente e uno dedicato a una microsonda di protoni, sempre con fascio esterno. Per poter proseguire le attività iniziate con il lavoro svolto a Madrid e per poter effettuare misure IBA in generale (per esempio analisi PESA su campioni di particolato atmosferico) abbiamo deciso di installare un nuovo canale di misura dedicato. Il canale è montato in corispondenza della flangia di uscita a +30◦ del magnete di switching. Riportiamo in figura 3.2 uno schema del canale e una sua foto. deflettori magnetici magnete di switching stazione di pompaggio quarzo 9 1m quadrupoli magnetici BPM Figura 3.2: Schema del nuovo canale a +30◦ per misure IBA in vuoto all’acceleratore di Firenze. Il canale è lungo circa 7 m. Tutti gli elementi posizionati sul canale sono stati allineati con l’asse ottico del canale mediante un teodolite. A metà del canale sono stati montati due quadrupoli magnetici che hanno la funzione di focheggiare il fascio nelle due direzioni ortogonali alla direzione di propagazione del fascio. Maggiori dettagli sui quadrupoli saranno riportati nel paragrafo 3.2.1 La camera di vuoto all’interno del magnete di switching presenta, sia in ingresso che in uscita, delle fenditure rettangolari di qualche cm per lato. La dimensione delle fenditure non permettono di individuare con precisione la direzione del fascio all’uscita del magnete e quindi la sua posizione nell’attraversare Il canale a +30◦ 79 i magneti quadrupolari. Un disallineamento tra l’asse del fascio e quello dei due quadrupoli provoca un effetto deflettore, anziché focheggiante impedendo un loro utilizzo corretto. Per questo, sia prima che dopo il doppietto di quadrupoli, sono stati poste due coppie di magneti deflettori (steerer ) che permettono di correggere la traiettoria del fascio. La prima coppia di steerer è stata posta prima dei quadrupoli ad una distanza di circa 1.5 in modo da allineare l’asse del fascio con quello dei quadrupoli, mentre la seconda coppia è stata posta dopo i quadrupoli per facilitare la trasmissione nella camera di scattering posta a fondo canale. Sul canale sono stati posizionati anche alcuni elementi di diagnostica per monitorare le caratteristiche del fascio lungo il percorso. A fondo canale, nella posizione in cui si trovano i bersagli nella camera di scattering abbiamo collocato un quarzo dotato di crocefilo per valutare le dimensioni del fascio e controllarne la posizione mediante la fluorescenza indotta dai protoni. Il quarzo è monitorato da una telecamera collegata ad un sistema di acquisizione, capace di misurare le dimensioni e la forma indicativa del fascio e dei suoi aloni mediante la sensibilità alla luminescenza del sensore della telecamera. A circa un metro prima del quarzo abbiamo installato un Beam Profile Monitor (BMP) che abbiamo utilizzato per controllare la forma del fascio all’ingresso della camera sia in fase di trasporto del fascio che in fase di misura. Per creare e mantenere il vuoto all’interno del nuovo canale abbiamo installato una stazione di pompaggio a 3/4 della lunghezza del canale. La stazione di pompaggio è costituita da una pompa turbomolecolare per la parte di alto vuoto, con uno stadio di pompaggio preliminare a membrana, con la quale si riescono a raggiungere pressioni finali nel solo canale dell’ordine di 10−8 mbar. 80 Allestimento di un canale per misure IBA all’acceleratore di Firenze 3.2.1 I quadrupoli magnetici Sappiamo che il focheggiamento tramite sistemi di quadrupoli ha forti analogie con quello che avviene per i sistemi ottici e può essere descritto con leggi simili sia nel suo comportamento ideale sia quando si introducono elementi di non idealità, come le aberrazioni sferiche e cromatiche. Come avviene in ottica, anche qui vale la formula dei punti coniugati: 1 1 1 + = p q f (3.3) con f = distanza focale, p e q rispettivamente la distanza oggetto-lente e lenteimmagine, rispettivamente. Le dimensioni dell’immagine sono legate a quelle dell’oggetto tramite il fattore di demagnificazione: D= q p (3.4) Le lenti quadrupolari sono caratterizzate dall’avere dei poli magnetici disposti simmetricamente intorno all’asse del fascio che producono un campo le cui linee di forza sono delle iperboli equilatere con gli assi inclinati di 45◦ rispetto agli assi x e y riportati in figura 3.3. Una sola lente quadrupolare è insufficiente per focalizzare un fascio di particelle cariche contemporaneamente su entrambe le direzioni degli assi ed è quindi necessario l’utilizzo di un sistema di almeno due quadrupoli allo scopo di focalizzare il fascio in uno spot di dimensioni volute. I quadrupoli permettono di ottenere una migliore definizione del fascio, eliminandone gli aloni e di non dover ricorrere alle slitte poste prima del magnete di Il trasporto del fascio 81 Figura 3.3: a- Sezione trasversale di una tipica lente quadrupolare con le linee di campo associate. b- L’azione del campo di quadrupolo su una particella con carica positiva. Le frecce rappresentano la direzione della forza agente sulla particella carica che passa attraverso la lente “entrando” nella pagina per varie posizioni sul piano trasversale alla direzione del fascio [38]. switching per modificare le dimensioni del fascio, perché porterebbe anche una conseguente variazione dell’intensità del fascio. La decisione di installare questo sistema di quadrupoli è stata preceduta da un’analisi delle teorie di trasporto per capire quali potessero essere i vantaggi apportati dai quadrupoli ai fini dell’utilizzo del canale nelle varie misure IBA. Non abbiamo trattato le caratteristiche del comportamento non ideale dei quadrupoli in quanto il nostro interesse è capire il comportamento qualitativo dei sistemi quadrupolari e le loro possibilità di utilizzo sul canale. Le correzioni fini sono state tutte effettuate mediante successive prove sperimentali. I quadrupoli utilizzati hanno le caratteristiche riportate in tabella 3.1. 3.3 Il trasporto del fascio Per ottimizzare i parametri di trasporto del fascio (i valori cioè delle tensioni e delle correnti da applicare rispettivamente ai quadrupoli elettrostatici e ma- 82 Allestimento di un canale per misure IBA all’acceleratore di Firenze Sezione interna a (mm) Gradiente del campo G (T/m) 50.00 4.3 Voltaggio massimo V (V) 9.2 Corrente massima A (A) 9.6 Peso P (kg) 52 Tabella 3.1: Caratteristiche dei quadrupoli magnetici montati sul canale a +30◦ . gnetici) abbiamo proceduto in due fasi: la prima in cui abbiamo individuato i parametri di ordine zero mediante un programma di simulazione di trasporto del fascio e una seconda fase in cui abbiamo modificato sperimentalmente quei valori, andando a controllare l’effetto sul fascio grazie ai sistemi di diagnostica posti sul canale. Il programma che abbiamo utilizzato è MULE. Immettendo nel programma la descrizione delle varie componenti dell’acceleratore (tensione di terminale, elementi focheggianti, slitte e caratteristiche del magnete di switching) e della sorgente è possibile calcolare il trasporto delle particelle e la forma del fascio in ogni punto del canale. Il programma si basa sul metodo delle matrici con approssimazione al primo ordine che non tratteremo e che può essere trovato in maniera dettagliata in [38]. I componenti del canale sono descritti come matrici e le caratteristiche della sorgente con un vettore che viene propagato dalla combinazione delle matrici che compongono il sistema. Mediante l’analisi fatta con il programma abbiamo individuato come posizione ideale dei quadrupoli la metà del canale. In questo modo possiamo utilizzare i quadrupoli per definire in modo adeguato la forma del fascio ottimizzandola a seconda del tipo di bersaglio utilizzato e della tipologia di analisi da effettuare. Oltre ai parametri per il posizionamento e la regolazione dei quadrupoli sul La camera di scattering 83 canale il programma ha fornito anche i valori iniziali da impostare per l’utilizzo dei sistemi di focheggiamento dell’acceleratore, il doppietto e il tripletto elettrostatico. Il programma effettua un’analisi piuttosto qualitativa per effetto delle grosse approssimazioni che vengono fatte, come trascurare eventuali disallineamenti tra il fascio e l’asse del canale oppure assumere il fascio come totalmente isotropo al suo interno, e per questo i suoi risultati devono essere corretti mediante prove dirette di trasporto. Utilizzando gli strumenti di diagnostica sul canale (BPM e quarzo) abbiamo ottimizzato sperimentalmente i vari parametri di trasporto per ottenere le dimensioni volute del fascio. A titolo di esempio riportiamo in figura 3.4 le immagini del fascio sul quarzo a fondo canale per due energie dei protoni. Figura 3.4: Immagini delle dimensioni del fascio sul quarzo posto a fondo canale, registrate mediante una telecamera digitale. A sinistra lo spot per protoni da 3600 keV ha le dimensioni di 2 mm×2 mm. A destra lo spot per protoni da 4800 keV ha dimensioni di 1.5 mm×1.5 mm. 3.4 La camera di scattering In fondo al canale è stata posta e allineata con l’asse ottico del canale una camera di scattering, che era già stata utilizzata per analisi PESA sul particolato atmosferico in un precedente lavoro di tesi [39]. 84 Allestimento di un canale per misure IBA all’acceleratore di Firenze Riportiamo nella figura 3.5 due fotografie della camera e del set-up di misura. La camera, realizzata in alluminio, ha una forma cilindrica con un diametro di 25 cm e un altezza di 15 cm. Al suo interno il vuoto è ottenuto mediante un sistema di pompaggio “a secco”, costituito da una pompa turbomolecolare con uno stadio di pompaggio preliminare di tipo scroll ; le pressioni che si raggiungono sono dell’ordine di 10−6 mbar. Il fascio, mostrato in figura 3.5 come una linea tratteggiata rossa entra nella camera passando attraverso due collimatori di 3 mm di diametro, posti a 20 cm di distanza tra loro. I due collimatori sono realizzati in acciaio, per ridurre il fondo di radiazione γ, dovuto agli aloni del fascio che colpiscono i collimatori stessi. Sui due collimatori viene misurata la corrente in modo da ottimizzare l’allineamento del fascio e la sua trasmissione all’interno della camera. Al centro della camera, a 30 mm dal collimatore d’ingresso, si trova il portabersaglio. Le particelle che attraversano il bersaglio sono raccolte da una Faraday cup, in acciaio, posta a 30 mm di distanza dal campione; la Faraday cup è polarizzata ad una tensione di +70 V. La camera è dotata di due rivelatori al silicio a barriera di superficie per particelle cariche con una superficie attiva di 50 mm2 , uno spessore di 300 µm e una risoluzione energetica di circa 20 keV (FWHM). Uno dei due rivelatori è posto ad un angolo di 150◦ , rispetto alla direzione del fascio, mentre l’altro all’angolo complementare di 30◦ . Quest’ultimo rivelatore non è stato usato durante le misure. Gli angoli solidi sottesi dai due rivelatori sono definiti da due collimatori posizionati a circa 65 mm dal bersaglio. Gli angoli solidi risultanti sono 4.08 msr per il rivelatore a 150◦ e 0.171 msr per quello a 30◦ . All’esterno della camera abbiamo posto un rivelatore al Germanio iperpuro La camera di scattering 85 riv. radiazione g (qlab = 90°) riv. protoni (qlab = 150°) Sistema di pompaggio Camera di scattering riv. radiazione g Figura 3.5: Vedute del set-up di misura. Nella foto in alto è mostrato l’interno della camera di scattering; sono indicati in figura gli elementi utilizzati dalle misure e la direzione del fascio (linea rossa). Nella foto in basso è mostrata una veduta esterna. 86 Allestimento di un canale per misure IBA all’acceleratore di Firenze per la rivelazione della radiazione γ. Il rivelatore ha una superficie attiva di 21.2 cm2 , uno spessore di 52.1 mm, un’efficienza relativa di 23.6% e una risoluzione energetica di 1.9 keV (FWHM) per γ da 1.33 MeV. Il rivelatore è alloggiato all’interno di una flangia in modo da massimizzare l’angolo solido sotteso. Per entrambi i rivelatori abbiamo utilizzato una catena elettronica convenzionale di formazione2 , amplificazione e conversione analogico-digitale del segnale. La carica integrata dalla Faraday cup è inviata ad un convertitore correntefrequenza (CFC) che fornisce un segnale digitale di frequenza proporzionale alla corrente integrata (tipicamente 1.25 Hz/nA). Il segnale del CFC viene utilizzato per generare un impulso simile a quello in uscita dai preamplificatori e viene quindi “miscelato” linearmente con il segnale proveniente dal rivelatore. In questo modo si produce, in ogni misura, un picco di carica che viene trattato dalla catena elettronica in modo identico agli altri segnali. 3.5 Calibrazione in energia dell’acceleratore Tandetron di Firenze La corretta conoscenza dell’energia delle particelle accelerate è un elemento cruciale non solo nelle misure di sezione d’urto, ma anche nelle applicazioni di molte tecniche IBA (ad esempio PESA e PIGE). La tensione del terminale è monitorata da un voltmetro generatore (GVM), che consiste in un piattello rotante che, alternativamente, espone alle linee di campo prodotte dal terminale delle placchette isolanti e delle placchette conduttive. Il segnale indotto sulle placchette è di ampiezza proporzionale alla tensione 2 Le costanti di tempo di formazione scelte sono 1.5 µsec per il rivelatore a barriera di superficie e 6 µsec per il rivelatore al Germanio. Calibrazione in energia dell’acceleratore Tandetron di Firenze 87 del terminale3 . La lettura del GVM è stata calibrata misurando le curve di resa relative a risonanze di energia nota nelle sezioni d’urto di reazioni nucleari. Come visto nel capitolo precedente, in presenza di una risonanza la sezione d’urto di una reazione presenta un picco molto più alto rispetto al normale andamento. Se il picco è molto stretto e isolato è possibile identificarlo in maniera precisa, e quindi è possibile determinare in modo preciso l’energia delle particelle che incidono sul bersaglio. La larghezza della risonanza fornisce anche una stima dell’incertezza sull’energia che si ottiene dalla misura. Le reazioni utilizzate possono variare in base all’energia della risonanza, alla scelta dei proiettili oppure in funzione dei prodotti di reazione che si vogliono rivelare. La scelta delle risonanze da utilizzare è fatta in modo da rispettare i seguenti requisiti: • misurare risonanze “sufficientemente” isolate, cioè tali che la differenza in energia tra la risonanza studiata e quelle subito più basse in energia, sia tale da non introdurre complicazioni per integrazione di più risonzanze sullo stesso bersaglio; • essere “sufficientemente” intense, in modo da poter ottenere una scansione in energia della risonanza nel giro di qualche ora, così da avere un sistema di controllo prontamente applicabile. Le reazioni più usate sono quelle di scattering elastico oppure di emissione γ, poiché risultano spesso le più facili da determinare anche con un semplice apparato sperimentale. Le caratteristiche delle risonanze impiegate tipicamente per la taratura di acceleratori di bassa energia si possono trovare, ad esempio, in [40]. 3 Tutto questo è vero a parità di condizioni esterne, quali ad esempio la temperatura. 88 Allestimento di un canale per misure IBA all’acceleratore di Firenze Abbiamo deciso di calibrare l’acceleratore utilizzando fasci di protoni di energia fino a circa 5 MeV, misurando le risonanze nelle reazioni di tipo (p,γ), (p,p’γ) e (p,p) su bersagli di alluminio e di carbonio. Per l’alluminio sono stati utilizzati due tipi di bersaglio: uno di spessore ≈ 100 µm (tale da bloccare totalmente protoni con Ep = 3.5 MeV) ed un altro di spessore di 24.0±1.2 µg/cm2 (∆E ≈ 2 keV con Ep = 3 MeV), mentre per il carbonio è stato usato un bersaglio di 15.0 ± 0.8 µg/cm2 (∆E ≈ 1 keV con Ep = 5 MeV). Abbiamo misurato anche una risonanza relativa ad una reazione elastica di protoni su 16 O, sfruttando la presenza di uno strato di ossidazione sul bersaglio sottile di alluminio. Lo spessore dello strato di ossigeno sul bersaglio è di circa 4 µg/cm2 , tale da rendere trascurabile la perdità di energia di protoni al suo interno. In tabella 3.2 sono elencate le risonanze utilizzate, evidenziando la reazione misurata, l’energia del fascio a cui avviene la risonanza nel sistema di riferimento del laboratorio e la larghezza della risonanza stessa, misurata nel centro di massa [41, 42, 43, 44, 22, 31]. Reazione 27 27 Al(p,γ)28 Si Al(p,p’γ)27 Al 27 Ep (keV) ΓCM (keV) 991.86±0.03 0.070±0.014 1664.4±0.2 0.45±0.05 1683±0.13 < 0.2 Al(p,p)27 Al 2876±2 4.0±0.2 O(p,p)16 O 3470±5 1.53±0.2 C(p,p)12 C 4808±10 11.0±0.5 16 12 Tabella 3.2: Caratteristiche delle risonanze utilizzate per la calibrazione in energia dell’acceleratore. Per queste misure abbiamo utilizzato la camera di scattering montata sul Calibrazione in energia dell’acceleratore Tandetron di Firenze 89 canale a +30◦ ; i raggi γ sono stati rivelati con il rivelatore al Germanio posto fuori della camera, mentre i protoni retrodiffusi elasticamente sono stati raccolti dal rivelatore a 150◦. Per l’analisi può essere utilizzato un procedimento simile a quello descritto nel paragrafo 2.5 dove, poiché non si devono misurare quantitatà assolute, non sarà necessario tener conto di alcuni fattori come la posizione o l’angolo solido sotteso dal rivelatore oppure la sua efficienza. Infatti la dipendenza della sezione d’urto dalla direzione di uscita del prodotto di reazione non modifica la posizione della risonanza e nemmeno la sua larghezza, ma solo l’ampiezza. A seconda dello spessore del bersaglio cambia il profilo della risonanza che si ottiene. La resa Y (Ep ) di una reazione misurata all’energia Ep è data da: Y (Ep ) ∝ A(Ep ) Q (3.5) dove A(Ep ) rappresenta il numero di conteggi misurati dal rivelatore utilizzato e Q la carica integrata del fascio incidente. Assumendo che la sezione d’urto σ(Ep ) in presenza di una risonanza all’energia ER di larghezza Γ assuma la caratteristica forma data dalla formula di Breit-Wigner: σ(Ep ) = costante (Ep − ER )2 + Γ2 4 (3.6) nel caso di un bersaglio spesso si ottiene: Y (Ep ) ∝ Z 0 Ep σ(Ep )dEp ∝ arctan 2(Ep − ER ) Γ (3.7) 90 Allestimento di un canale per misure IBA all’acceleratore di Firenze Nelle reazioni per produzione di radiazione γ se l’energia del fascio all’interno del bersaglio copre varie risonanze, per la cui determinazione si ricorre all’osservazione del medesimo γ, la curva di resa sarà data dalla somma di funzioni arcotangente. Utilizzando la (3.7) sono state misurate le risonanze presenti alle energie di circa 992, 1664 e 1683 keV nelle reazioni p + 27 Al, caratterizzate dalla emissione di un γ da 1779 keV per la prima e di un γ da 843 keV per le seconde due. L’analisi è stata effettuata mediante una procedura di fit a 4 parametri nel caso della risonanza isolata: Y (Tnom ) = a1 " # 2(Tnom − a2 ) π + + a4 arctan a3 2 (3.8) oppure con un fit a 7 parametri nel caso della doppia risonanza: " # 2(Tnom − a2 ) π Y (Tnom ) = a1 arctan + + a3 2 " # 2(Tnom − a5 ) π a4 arctan + + a7 a6 2 (3.9) Come appare evidente nelle formule, abbiamo eseguito il fit sostituendo direttamente alle energie dei protoni i valori nominali della tensione (Tnom ) impostate al terminale di alta tensione dell’acceleratore, poiché siamo interessati a trovare la curva di calibrazione che leghi proprio il valore della tensione nominale rispetto all’energia delle particelle uscenti dalla colonna acceleratrice. Nel caso della misura di risonanze nella reazione di scattering elastico di protoni l’utilizzo di un bersaglio spesso introdurebbe solo complicazioni nell’analisi Calibrazione in energia dell’acceleratore Tandetron di Firenze 91 degli spettri raccolti dovute all’integrazione delle risonanze sulla perdita di energia nel bersaglio, pesata con lo stopping power (vedi paragrafo 1.5.1). Quindi in questo caso abbiamo usato bersagli sottili. Le misure del profilo delle risonanze sono state effettuate a passi in energia maggiori della perdita di energia all’interno del campione in modo da non dover correggere il risultato per effetti di integrazione. In questo caso abbiamo eseguito dei fit utilizzando la formula di Breit-Wigner. In realtà la semplice (3.6) non è sufficiente a riprodurre la forma delle rese misurate, poiché è necessario tenere di conto degli effetti dovuti all’inteferenza della risonanza con processi di scattering elastico non risonante. Abbiamo utilizzato quindi una formula che tenesse conto anche di questi effetti [45]: Y (Tnom ) = a1 a4 (Tnom − a2 ) + + a5 2 (Tnom − a2 ) + a3 (Tnom − a2 )2 + a3 (3.10) Nelle figure 3.6 ÷ 3.10 sono presentati i dati ottenuti ed i fit corrispondenti. Ogni grafico riporta in ascissa i valori della tensione nominale impostata, espressa in kV, e in ordinata il valore della resa espressa in unità arbitrarie. Resa ( un. arb. ) 8 6 4 2 480 485 490 495 Tensione (kV) Figura 3.6: Curva di resa della risonanza a 991.86 keV nella reazione Misura effettuata con il bersaglio spesso di alluminio. 27 Al(p,γ)28 Si. I risultati ottenuti sono stati elaborati nel modo seguente: abbiamo associato 92 Allestimento di un canale per misure IBA all’acceleratore di Firenze Resa (un. arb.) 120 80 40 810 820 830 840 Tensione (kV) Figura 3.7: Curva di resa delle risonanze a 1664.4 e 1683 keV nella reazione 27 Al(p,p’γ)27 Al. Misura effettuata con il bersaglio spesso di alluminio. 2500 Resa ( un. arb. ) 2000 1500 1000 500 1425 1430 1435 Tensione ( kV ) Figura 3.8: Curva di resa della risonanza a 2876 keV nella reazione Misura effettuata con il bersaglio sottile di alluminio. 27 Al(p,p)27 Al. 800 Resa ( un. arb.) 600 400 200 1715 1720 1725 1730 1735 Tensione (kV) Figura 3.9: Curva di resa della risonanza a 3470 keV nella reazione 16 O(p,p)16 O. Misura effettuata sfruttando lo strato di ossidazione presente sul bersaglio sottile di alluminio. Calibrazione in energia dell’acceleratore Tandetron di Firenze 93 1.10 4 Resa (un. arb.) 8.10 3 6.10 3 4.10 3 2.10 3 2360 2380 2400 2420 Tensione ( kV ) Figura 3.10: Curva di resa della risonanza a 4808 keV nella reazione Misura effettuata con il bersaglio sottile di carbonio. 12 C(p,p)12 C. alle tensioni corrispondenti alle risonanze, ottenute mediante i fit, i valori delle energie note in letteratura delle risonanze (vedi tabella 3.3). Nel caso delle misure su bersagli sottili, abbiamo tenuto conto della perdità di energia (∆E) all’interno del campione utilizzando come energia della risonanza un valore efficace pari all’energia della risonanza riportata in letteratura più il valore ∆E/2. I valori utilizzati sono riportati nella tabella 3.3, con i relativi errori: TR indicano le tensioni corrispondenti alle risonanze, ottenute con i fit, ed ER le energie delle risonanze. TR (kV) ∆TR (kV) ER (keV) ∆ER (keV) 485.22 0.03 991.86 0.03 820.95 0.03 1664.4 0.2 830.61 0.04 1683.57 0.13 1426.82 0.03 2877 2 1723.58 0.02 3470 5 2396.93 0.04 4809 10 Tabella 3.3: Dati utilizzati per ottenere la curva di calibrazione. 94 Allestimento di un canale per misure IBA all’acceleratore di Firenze Abbiamo eseguito un fit parabolico ai dati della tabella utilizzando una relazione mutuata dalla (3.2): ER = 2(a1 TR2 + a2 TR + a3 ) + ESorg (3.11) dove abbiamo indicato con ESorg l’energia dei protoni emessi dalla sorgente ed iniettati nell’acceleratore. Questo valore è pari a 20 keV nel caso della sorgente Duoplasmatron utilizzata ed è noto con sufficiente precisione da essere trascurabile nei nostri calcoli. Riportiamo di seguito i parametri ottenuti: • a1 = −1.33 · 10−06 ± 1.10 · 10−06 keV/kV2 • a2 = 1.0032 ± 0.0015 keV/kV • a3 = −0.52 ± 0.47 keV In figura 3.11 mostriamo la curva di calibrazione ed i residui. Si può notare dai risultati ottenuti che l’errore ha sempre un valore minore di 1%. Questo valore inizia ad essere rilevante in presenza di risonanze con larghezze di qualche keV, poiché in questi casi l’incertezza sull’energia dell’acceleratore diventa paragonabile alla larghezza della risonanza stessa. Per maggiore praticità la (3.11) può essere riscritta nel caso più generale a seconda dello strato di carica q degli ioni dopo il passaggio attraverso il sistema di stripping: E = (1 + q)(a1 T 2 + a2 T + a3 ) + ESorg (3.12) Calibrazione in energia dell’acceleratore Tandetron di Firenze 95 5000 4000 E ( keV ) 3000 2000 1000 0 0 500 1000 1500 2000 2500 T ( kV ) 15 E R - E fit (keV) 10 5 0 -5 -10 -15 0 1000 2000 3000 4000 5000 E R (keV) Figura 3.11: Curva di calibrazione della tensione di terminale dell’acceleratore (in alto) e scarti tra i valori delle energie delle risonanze riportate in letteratura e i valori ottenuti dalla curva di calibrazione (in basso). 96 Capitolo 4 Applicazioni per scopi analitici Le sezioni d’urto misurate in questo lavoro di tesi possono essere applicate a fini analitici in misure IBA. In particolare siamo interessati ad ottenere delle indicazioni metodologiche per poter migliorare l’utilizzo di tali tecniche nello studio del particolato atmosferico raccolto su filtri di Teflon. L’interesse nei confronti delle polveri fini presenti in atmosfera è giustificato dall’importanza del loro contributo all’inquinamento in aree urbane e industriali e dal ruolo fondamentale che rivestono nel determinare le proprietà ottiche dell’atmosfera ed il bilancio radiativo terrestre. Ci soffermeremo sull’analisi e la previsione degli spettri di radiazione γ emessa in seguito all’interazione di protoni su un filtro di Teflon e anche sulla simulazione degli spettri di protoni retrodiffusi in analisi PESA su Teflon. 4.1 Membrane in Teflon Il politetrafluoroetilene (PTFE), normalmente più conosciuto attraverso le sue denominazioni commerciali Teflon, Fluon, Algoflon, Hostaflon, è il polimero del 97 98 Applicazioni per scopi analitici tetrafluoroetene ((CF2 )n ). È una materia plastica liscia al tatto e resistente alle alte temperature (fino a 200◦ C e oltre), usata molto anche nell’industria. Le membrane filtranti di Teflon sono ottimali dal punto di vista delle caratteristiche chimico-fisiche: sono idrofobe e presentano una buona resistenza al flusso. Alcune prove di analisi e confronto su filtri di tipo diverso hanno riscontrato nelle membrane di Teflon proprietà importanti che le indicano come dei supporti ideali per la raccolta del particolato spesso. Non ci dilungheremo nei confronti con altri tipi di membrane per la raccolta del particolato atmosferico, presentati in altri lavori di tesi, ma ci soffermeremo su alcuni punti che rendono il Teflon uno dei materiali principalmente usati per le tecniche di misura PESA: è una membrana abbastanza sottile (lo spessore medio certificato è di ∼0.6 mg/cm2 ), contiene solo carbonio e fluoro e non si degrada sotto fascio alle tipiche correnti e dosi usate. 4.2 Calcolo di rese di emissione di radiazione γ Le membrane di Teflon mostrano tuttavia un problema quando si effettuano misure di composizione del particolato atmosferico con la tecnica PIXE. I γ prodotti in seguito alle reazioni 19 F(p,p’γ)19 F dei protoni con il fluoro contenuto nel filtro provocano un notevole fondo, negli spettri X, a causa della interazione dei raggi γ nel volume attivo dei rivelatori di raggi X (tipicamente Si(Li)). Per questo è necessario individuare degli intervalli di energia del fascio in cui la produzione di γ dovuta all’interazione dei protoni sul fluoro sia la più bassa possibile. Abbiamo quindi scritto un programma di calcolo che determina la resa, in unità arbitrarie, dei γ prodotti dal bersaglio, caratterizzato per spessore e composizione, sfruttando le sezioni d’urto differenziali misurate. Calcolo di rese di emissione di radiazione γ 99 Sappiamo che un fascio di particelle con energia distribuita in maniera gaussiana intorno all’energia E0 , con deviazione standard σE , che incide su di un bersaglio di spessore ∆x subisce una perdita di energia ∆E in base alla formula di Bethe-Bloch (1.10) e subisce uno sparpagliamento in energia che incrementa la sua varianza secondo la formula di Bohr (1.11): 2 σE′2 = σE2 + σBohr (4.1) Possiamo determinare la resa Y di emissione di radiazione γ, prodotta dall’interazione del fascio con il bersaglio scelto, mediante la relazione: Y (∆E) = Z E0 E0 −∆E Z Esup (E) Einf (E) f (E, E ′ ) dσ dEdE ′ (E, θ) dΩ S(E) (4.2) dove S(E) indica lo stopping power e ddΩσ (E, θ) la sezione d’urto differenziale della reazione osservata. Abbiamo indicato con Einf ed Esup gli estremi della distribuzione f (E, E ′) dell’energia del fascio. Il programma associa i due valori in modo che formino un intorno di 6σE rispetto al centroide del fascio. Nell’attraversamento del campione l’energia media del fascio diminuisce e, a causa dello straggling, anche i valori di Einf ed Esup vengono modificato secondo la formula di Bohr. Il programma suddivide il campione, che deve essere caratterizzato nella sua composizione e nello spessore, in strati a cui viene associata una perdità di energia dE costante, sufficientementi sottili da poter trascurare l’effetto di straggling. Ad ognuno di questi strati viene associata una distribuzione gaussiana, normalizzata ad uno in modo che il numero totale di particelle del fascio rimanga conservato. La distribuzione viene divisa in bin, di larghezza dE ′ . La resa ottenuta nell’intervallo di energia dE risulta data da: 100 Applicazioni per scopi analitici Esup Y (dE) = X Einf f (E, E ′) dE ′ dσ (E, θ) dΩ S(E) (4.3) Nel passaggio al successivo spessore, corrispondente ad una nuova perdita di energia dE, viene ricalcolata la funzione gaussiana e la sommatoria indicata nella (4.3) viene ripetuta. I singoli contributi vengono poi sommati fra loro per ottenere il risultato della (4.2). Le rese vengono quindi ottenute per le singole reazioni che si vanno a calcolare. Per ottenere le sezioni d’urto alle energie desiderate il programma esegue un interpolazione lineare ai dati misurati e lo stesso viene fatto per ottenere gli stopping power. Per quest’ultimi abbiamo deciso di utilizzare i dati tabulati reperibili in letteratura [11]. Le rese calcolate sono ottenute in unità arbitrarie, poiché i contributi dovuti all’angolo solido o all’efficienza forniscono soltanto un fattore moltiplicativo di cui possiamo non tenere conto. Le misure PIXE di questo tipo vengono effettuate in “atmosfera”, ovvero il fascio è estratto dalla linea di vuoto dell’acceleratore attraverso una finestra di Upilex1 di 7.5 µm e attraversa un breve tratto saturato con He gassoso (∼10 mm) prima di incidere sul bersaglio. Abbiamo quindi incluso nel programma l’opzione per tener conto della perdita di energia e dello straggling nell’Upilex e nell’elio. Per effettuare un test di controllo del programma abbiamo confrontato i risultati ottenuti per le reazioni relative all’emissione dei raggi γ da 110, 197, 1236 keV e dal doppio picco, corrispondente ai due raggi γ di energia pari a 1349 e 1357 keV, indotta dal bombardamento di protoni su Teflon, con dei dati speri1 L’Upilex è un polimero resistente alla radiazione di formula chimica H10 C22 N2 O4 e densità 1.47 g/cm3 . Calcolo di rese di emissione di radiazione γ 101 mentali ottenuti in laboratorio nell’intervallo di energie tra 3 e 4 MeV. I punti sperimentali sono stati misurati con un set-up per misure PIXE-PIGE con fascio estratto descritto dettagliatamente in un altro lavoro di tesi [46]. Le misure sono state eseguite con un rivelatore al Germanio posto ad un angolo di 116◦ rispetto alla direzione del fascio e una corrente di fascio di ∼20 nA. Le rese sono state ottenute in unità arbitrarie normalizzando alla carica, misurata da una Faraday cup posta in aria subito dietro il filtro di Teflon. Nelle figure 4.1÷4.4 vengono mostrati i confronti tra i dati sperimentali e i risultati del nostro programma. Figura 4.1: Confronto tra le misure sperimentali su Teflon con fascio estratto e le curve calcolate dal programma per spessori di Teflon di 500 µg/cm2 (linea tratteggiata) e di 700 µg/cm2 (linea intera) relative all’emissione di un raggio γ di energia pari a 110 keV. I valori sperimentali sono moltiplicati per un opportuno fattore. Le energie del fascio sono riferite in vuoto, prima dell’estrazione in esterno. Poiché lo spessore dei filtri di Teflon viene fornito dal costruttore con un errore del 20% abbiamo riportato le simulazioni per spessori pari a 500 e 700 µg/cm2 . Le energie riportate sono quelle del fascio prima di essere estratto in atmosfera attraverso la finestra di Upilex. 102 Applicazioni per scopi analitici Figura 4.2: Confronto tra le misure sperimentali su Teflon con fascio estratto e le curve calcolate dal programma per spessori di Teflon di 500 µg/cm2 (linea tratteggiata) e di 700 µg/cm2 (linea intera) relative all’emissione di un raggio γ di energia pari a 197 keV. I valori sperimentali sono moltiplicati per un opportuno fattore. Le energie del fascio sono riferite in vuoto, prima dell’estrazione in esterno. Figura 4.3: Confronto tra le misure sperimentali su Teflon con fascio estratto e le curve calcolate dal programma per spessori di Teflon di 500 µg/cm2 (linea tratteggiata) e di 700 µg/cm2 (linea intera) relative all’emissione di un raggio γ di energia pari a 1236 keV. I valori sperimentali sono moltiplicati per un opportuno fattore. Le energie del fascio sono riferite in vuoto, prima dell’estrazione in esterno. Calcolo di rese di emissione di radiazione γ 103 Figura 4.4: Confronto tra le misure sperimentali su Teflon con fascio estratto e le curve calcolate dal programma per spessori di Teflon di 500 µg/cm2 (linea tratteggiata) e di 700 µg/cm2 (linea intera) relative all’emissione di un raggio γ di energia pari a 1349 e 1357 keV. I valori sperimentali sono moltiplicati per un opportuno fattore. Le energie del fascio sono riferite in vuoto, prima dell’estrazione in esterno. I dati sperimentali sono stati moltiplicati per un opportuno fattore in modo da poterli confrontare con i risultati del calcolo. È importante notare che il fattore moltiplicativo utilizzato per i raggi γ da 110 e 197 keV è lo stesso così come quello per i raggi γ con energia maggiore di 1 MeV. In questo modo teniamo conto indirettamente del fatto che l’efficienza del rivelatore al Germanio sia la stessa per radiazioni di energia simile. I dati sperimentali cadono quasi sempre all’interno delle due previsioni “limite”. È possibile che alcune dicrepanze tra le misure e il calcolo siano dovute ad eccessive semplificazioni fatte nella scrittura del codice del programma. Ad esempio non è stato tenuto conto della porosità o della rugosità dei filtri di Teflon e non si sono fatte ipotesi sulla forma e sulle dimensioni del fascio. Queste differenze rimangono comunque trascurabili nel contesto di utilizzazione che vogliamo fare delle nostre previsioni. Infatti un primo scopo di questi calcoli può 104 Applicazioni per scopi analitici essere quello, come già accennato, di individuare delle regioni di energia dei protoni incidenti che minimizzino il contributo del fondo dovuto ai γ del fluoro e in questo senso i risultati ottenuti sono ben apprezzabili. Per procedere in queste valutazioni sarà necesario, naturalmente, tener conto anche delle caratteristiche e soprattutto delle efficienze dei rivelatori per radiazione X utilizzati nelle misure PIXE in modo da pesare correttamente il contributo di ogni tipo di radiazione al fondo. 4.3 Simulazioni di spettri di protoni retrodiffusi Come visto nel paragrafo 1.5.1, negli spettri di particelle retrodiffuse la larghezza dei picchi ha una forte dipendenza dallo spessore del bersaglio e dalle sue eventuali disomogeneità. Nel caso di materiali spessi, come un filtro di Teflon oppure come lo strato di particolato che può esservi depositato sopra, i contributi dovuti ad ogni elemento risultano sovrapposti. In questo caso è necessario mettere a punto delle tecniche di analisi per distinguere la concentrazione di ogni singolo elemento in base alla forma dello spettro. A questo scopo sono state messe a punto tecniche di analisi basate sulla correlazione tra l’emissione dei raggi γ del 19 F e le aree dei picchi di scattering elastico dovuti al 12 C e 19 F del Teflon. Lo studio di queste correlazioni è necessario per riuscire a separare all’interno degli spettri i contributi dovuti ad ogni singolo elemento, nel caso di sovrapposizioni tra i picchi di elementi diversi. Il fluoro, presente nelle membrane di Teflon, produce negli spettri di backscattering elastico dei protoni due picchi relativi alle reazioni di diffusione inelastica 19 F(p,p1 )19 F e 19 F(p,p2 )19 F che vanno a sovrapporsi ai picchi prodotti dallo scattering elastico di protoni su elementi di interesse nelle misure di particolato atmosferico (ossigeno e azoto rispettivamente). Inoltre, nelle misure PESA sul Simulazioni di spettri di protoni retrodiffusi 105 particolato atmosferico, si è interessati soprattutto a determinare la quantità di carbonio depositata sui filtri. Il contributo del 12 C del deposito si va a sovrapporre a quello del 12 C del filtro stesso e quindi è necessario procedere criticamente durante la fase di analisi per distinguere i due contributi. Le misure presentate nel Capitolo 2 possono essere utilizzate per ottenere una simulazione completa di un filtro di Teflon ad una data energia per studiare la possibilità di applicare i metodi di simulazione agli spettri PESA sui filtri di Teflon. L’utilizzo di queste simulazioni potrà essere d’aiuto per caratterizzare al meglio i filtri e per fare previsioni degli spettri ottenuti in diverse condizioni di misura. In questo modo sarà possibile individuare quelle condizioni di misura preferibili da adottare e migliorare le confidenze delle correlazioni utilizzate nelle misure PESA sul particolato atmosferico raccolto su filtri di Teflon. Al momento ci limiteremo, però, a verificare l’effettiva possibilità di eseguire simulazioni sfruttando le sezioni d’urto misurate. Gli spettri di backscattering di particelle cariche non sono simulabili mediante algoritmi semplici e per questo abbiamo deciso di utilizzare un programma di simulazione di tipo commerciale, SIMNRA. Il programma, di cui abbiamo già parlato nel paragrafo 2.4, utilizza sia sezioni d’urto determinate in modo analitico (come ad esempio nel caso di interazione coulombiana), sia sezioni d’urto sperimentali tabulate, inserite dall’utente. È anche possibile effettuare una scelta di quali sezioni d’urto usare e definire i diversi processi che il programma dovrà simulare (come ad esempio la necessità di simulare contemporaneamente il canale elastico e i due canali inelastici delle reazioni p + 19 F). Per poterci confrontare con uno spettro sperimentale abbiamo effettuato una misura su un filtro di Teflon “bianco”, privo di particolato depositato, utilizzando il rivelatore a 150◦ nella camera di scattering montata sul nuovo canale a +30◦ dell’acceleratore, in modo da avere delle misure di confonto allo stesso angolo 106 Applicazioni per scopi analitici al quale sono state misurate le sezioni d’urto differenziali. La scelta dell’energia di fascio a cui eseguire questa misura è stata fatta basandosi sugli intervalli energetici più utilizzati per misure PESA sul particolato atmosferico [47]. Una limitazione ulteriore nella scelta dell’energia è dovuta alla mancanza di dati delle sezioni d’urto delle reazioni di scattering inelastico in certi intervalli di energia. Abbiamo deciso, quindi, di effettuare la misura con protoni di 4.050 MeV di energia. Le misure sono state effettuate con un corrente di fascio I ≈ 5 nA, integrando una carica totale Q = 2 µC. La simulazione è stata effettuata impostando le caratteristiche sperimentali utilizzate, lasciando come parametri liberi lo spessore del filtro e la sua rugosità, definita come distribuzione variabile dello spessore del campione. In figura 4.5 riportiamo i punti misurati sperimentalmente con sovrapposto il risultato della simulazione. Per lo spessore del filtro si ottiene un valore di 650 µg/cm2 . Figura 4.5: Spettro raccolto dal rivelatore posto a 150◦ ottenuto bombardando con protoni da 4050 keV un filtro di Teflon. Allo spettro sperimentale è sovrapposta la simulazione ottenuta con il programma SIMNRA. Sono indicati anche i contributi allo spettro dovuti agli scattering elastici e inelastici sugli elementi del filtro. Possiamo notare come la forma dei picchi sia diversa da quella attesa per dei Simulazioni di spettri di protoni retrodiffusi 107 campioni spessi e omogenei. Infatti si presentano delle code alle basse energie dovute alla disomogeneità nello spessore del campione. Nella figura sono evidenziati i fronti di salita dei picchi corrispondenti alle varie reazioni. Si può notare come la simulazione riproduca molto bene la forma dello spettro, soprattutto in corrispondenza dei fronti di salita e di discesa, che possono rappresentare degli elementi di criticità nelle simulazioni. Questo primo risultato apre nuove prospettive incoraggianti circa la possibilità di utilizzare le simulazioni nell’analisi degli spettri PESA sul particolato atmosferico che era stata sempre trascurata per la mancanza di dati sperimentali opportuni. 108 Capitolo 5 Prospettive future Il lavoro svolto in questa tesi ha portato alla realizzazione di un nuovo canale per misure IBA in vuoto all’acceleratore Tandetron del laboratorio LABEC di Firenze. La camera di scattering montata su questo canale è già stata utilizzata con successo per le prime misure con la tecnica PESA su campioni di particolato atmosferico raccolti su filtri in Teflon effettuate con il nuovo acceleratore. I campioni sono stati raccolti nell’ambito del progetto PATOS (Particolato Atmosferico in TOScana) un grosso progetto per lo studio del PM10 in Toscana su base regionale a cui partecipano l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente, le Università e vari Enti Pubblici di Ricerca, tra cui la sezione INFN di Firenze. Nuove misure sono già in programma, soprattutto per approfondire le implicazioni metodologiche dietro alla possibilità di simulare in modo completo lo spettro dei protoni retrodiffusi da un filtro in Teflon. Predisponendo una serie di misure con standard di composizione nota di particolato sarà possibile studiare come cambia la forma dello spettro in funzione della quantità di particolato depositato. Tra le prime implementazioni sul canale è previsto il montaggio di un secondo sistema di pompaggio costituito da una pompa turbomolecolare con uno stadio 109 110 Prospettive future di pompaggio preliminare a membrana, subito dopo il magnete di switching, in modo da mantenere un alto livello di vuoto durante le misure che richiedono continue aperture e chiusure della camera di scattering. Inoltre, è prevista l’installazione di secondo sistema di diagnostica, oltre al Beam Profile Monitor già presente, costituito da una Faraday cup per misurare l’intensità del fascio e da un quarzo per visualizzarne la forma. Benché non siano state fatte ancora prove sperimentali di trasporto, le simulazioni effettuate in fase di progettazione del canale indicano la possibilità di eseguire misure anche con fasci di particelle α e ioni di litio, che rappresentano valide alternative all’uso dei protoni come proiettili, soprattutto per analisi PESA nel campo della scienza dei materiali. La presenza di soli due rivelatori di particelle all’interno della camera di scattering, per di più ad angoli fissi, potrebbe rappresentare una limitazione nell’ottica di utilizzare questa camera per ulteriori misure di sezione d’urto di diffusione elastica ed inelastica. Per proseguire in modo più organico le misure di sezione d’urto, completando quelle misurate a Madrid in questo lavoro di tesi estendendole ad altri angoli di scattering ed eventualmente scendendo con l’energia del fascio, o misurandone di nuove, sarà necessario procedere all’installazione della camera di scattering dedicata in grado di alloggiare fino a 33 rivelatori agli angoli all’indietro (da 177.5◦ a 97.5◦ , a passi di 2.5◦ ) e altrettanti in avanti (da 82.5◦ a 2.5◦ , sempre a passi di 2.5◦ ). La camera sarà montata su un nuovo canale dell’acceleratore. Le competenze acquisite in questo lavoro di tesi per quanto concerne la progettazione, la simulazione e la costruzione di una linea di fascio si riveleranno utili per questo scopo. Bibliografia [1] D. Power, Ph. D. thesis, California, Insitute of Technology (1962) [2] H. H. Andersen, F. Besenbacher, P. Loftager e W. Möller, Large-angle scattering of light ions in the weakly screened Rutherford region, Phys. Rev. A21, 1891(1980) [3] K. S. Krane, Introductory Nuclear Physics, John Wiley & Sons (1987) [4] M. Bozoian, A useful formula for departures from Rutherford backscattering, Nucl. Inst. & Meth. B82, 602(1993) [5] A. F. Gurbich, On the concept of an actual Coulomb barrier, Nucl. Inst. & Meth. B217, 183(2004) [6] W. K. Chu, J. W. Mayer e M. A. Nicolet, Backscattering Spectrometry, Academic Press, New York (1978) [7] J. A. Leavitt e L. C. McIntyre Jr., Backscattering Spectrometry, in J. R. Tesmer e M. Nastasi, Handbook of modern ion beam materials analysis, MRS, Pittsburgh, 1995 [8] C. 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Mirko Massi per il prezioso aiuto nell’utilizzo del codice MULE e al Prof. Carraresi per avermi aiutato nell’affrontare il mondo Apple. Ringrazio il Prof. Pietro Sona per l’aiuto con il codice GEANT. Un grazie anche al personale del laboratorio CMAM di Madrid ed in particolare al Prof. Aurelio Climent Font e al Dott. Gaston García López. Ringrazio Massimo Loriggiola per la realizzazione dei bersagli utilizzati. Infine un ultimo grazie istituzionale alla mia compagna di tesi e laboratorio Giulia per aver condiviso con me la tensione e le notti insonni. Un enorme grazie ai miei genitori che hanno aspettato pazientemente che questo giorno arrivasse spronandomi in ogni momento e incoraggiandomi nei momenti di crisi ed un ringraziamento a Laura che mi è stata vicina e mi ha supportato nei momenti di stanchezza e di tensione. Grazie anche ai compagni che mi hanno accompagnato nel corso di questi anni di studio: Filippo, Giacomo, Sara, Carlo, Luigi, Valentina, Sebastiano, Giuseppe e tanti altri. Ed infine grazie a tutti agli amici che si sono sorbiti tutti i periodi peggiori e la mia follia di questi ultimi 117 118 Ringraziamenti tempi: Cecilia, Dario, Fabrizio, Stefania, Leonardo, Candia, Giuseppe, Martino, Angela...nonostante le vostre gufate alla fine ce l’ho fatta.